Sintesi_area `21` del Repertorio

Transcript

Sintesi_area `21` del Repertorio

DIPARTIMENTO
DI
ECONOMIA
Scuola
di
Scienze
Sociali
SCUOLA
DI
SCIENZE
SOCIALI
L’area
‘21’
del
Repertorio:
servizi
sociali,
socio‐sanitari
ed
educativi
Executive
Summary
Marzo
2014
____________________________________________________________________
1
Introduzione
Il
settore
dei
servizi
sociali
e
sociosanitari,
nonostante
la
pesante
riduzione
di
risorse,
continua
a
costituire
un
importante
bacino
occupazionale
ed
un
interessante
laboratorio
di
innovazione
sul
piano
delle
competenze,
delle
modalità
di
lavoro
e
delle
professionalità
in
campo,
anche
a
seguito
dei
nuovi
percorsi
formativi
avviati
nel
corso
degli
ultimi
anni.
Le
competenze
e
le
professionalità
che
operano
in
questo
settore,
in
ogni
caso,
sono
da
sempre
associate
a
connotati
di
marginalità
e
di
precarietà,
anche
a
fronte
dell’estrema
instabilità
dei
percorsi
di
impiego
e
di
crescita
professionale
che
connotano
l’azione
degli
operatori.
Nell’assenza
di
un
coordinamento
nazionale,
infatti,
l’estremo
dinamismo
e
la
tensione
all’innovazione
che
caratterizzano
questo
settore
si
sono
tradotti
nella
proliferazione
di
moltissime
figure
professionali,
assai
spesso
eterogenee
da
regione
a
regione
in
quanto
a
denominazioni
e
profili
formativi.
A
distanza
di
oltre
dieci
anni
dall’emanazione
della
L.
328/2000
che
pure
dedicava
uno
specifico
articolo
(cfr.
art.
12)
alle
figure
professionali
del
sociale
e
mirava
alla
definizione
a
livello
nazionale
di
tutti
i
principali
profili
afferenti
a
quest’area,
il
panorama
delle
professioni
sociali
contempla
ad
oggi
pochissime
figure
professionali
di
rilievo
nazionale:
quella
dell’operatore
socio‐sanitario
(OSS),
una
figura
di
base
per
la
cura
e
l’assistenza
alla
persona
che
si
forma
nel
canale
della
formazione
professionale
regionale
con
mille
ore
dopo
l’espletamento
dell’obbligo
scolastico;
assistente
sociale
ed
educatore
professionale,
che
richiedono
una
laurea
triennale
(anche
se
i
relativi
percorsi
biennali
di
formazione
magistrale
sono
attivati
in
molte
università);
psicologo,
che
necessita
di
una
laurea
magistrale;
e
sociologo.
Accanto
a
questi
profili
di
livello
nazionali,
inoltre,
operano
molte
figure
professionali
con
qualifica
di
livello
regionale,
nate
in
risposta
ad
esigenze
di
qualificazione
degli
operatori
ritenute
significative
sul
piano
locale
ma
che
pongono,
evidentemente,
problemi
di
spendibilità
del
titolo
formativo
acquisito
in
contesti
territoriali
diversi
da
quello
di
formazione.
L’interesse
specifico
per
i
fabbisogni
occupazionali
e
formativi
di
questo
settore
in
Liguria
è
stato
inoltre
attestato
dalla
avvenuta
costituzione
del
Polo
formativo
delle
professioni
del
sociale,
come
esito
di
una
collaborazione
tra
gli
Assessorati
alla
Formazione,
al
Welfare
ed
alla
Salute
di
Regione
Liguria,
le
quattro
Province
liguri,
l’Università
degli
Studi
di
Genova,
l’Ufficio
Scolastico
Regionale,
Cgil,
Cisl,
Uil,
Lega
delle
Cooperative,
Confcooperative,
Agci,
Anaste,
Uneba,
Aris,
Agidae,
Anffas
e
Fenascop.
L’intesa,
in
particolare,
è
stata
finalizzata
alla
messa
a
sistema
dell’offerta
territoriale
dei
percorsi
di
istruzione
e
formazione
indirizzati
alle
figure
professionali
operanti
nel
sistema
integrato
di
interventi
e
servizi
sociali,
così
come
definito
dalla
L.
328/2000.
A
partire
dagli
elementi
di
contesto
appena
richiamati,
dagli
obiettivi
generali
del
progetto
Il
Laboratorio
delle
professioni
di
domani
e
nell’ambito
delle
attività
previste
per
l’anno
2013,
è
stata
quindi
avviata
un’indagine
–
coordinata
da
Agenzia
Liguria
Lavoro
e
realizzata
dal
Dipartimento
di
Economia
della
Scuola
di
Scienze
Sociali
dell’Università
di
Genova
–
con
l’obiettivo
di
mettere
a
disposizione
di
Regione
Liguria
specifici
elementi
di
conoscenza
sulle
dinamiche
evolutive
delle
professioni
nel
settore
sociale
e
sociosanitario
a
livello
regionale
e
di
fornire
dati
attendibili
ed
aggiornati
rispetto
alle
dinamiche
evolutive
che
caratterizzano
questo
settore
in
merito
ai
fabbisogni
occupazionali
e
formativi.
Il
percorso
di
indagine
è
stato
realizzato
utilizzando
tre
modalità
di
acquisizione
delle
informazioni,
autonome
ma
fortemente
integrate:
• una
ricostruzione
quantitativa
del
contesto
attraverso
la
raccolta,
l’analisi
e
la
sistematizzazione
dei
dati
statistici
disponibili,
dei
rapporti
di
ricerca
e
delle
indagini
mirate
(in
connessione
con
quanto
avviene
a
livello
nazionale,
in
particolare
con
ISFOL);
• il
confronto
e
la
raccolta
di
informazioni
tramite
interviste
con
una
pluralità
di
testimoni
privilegiati,
tra
cui
i
membri
del
Polo
formativo
delle
professioni
del
sociale
(Regione
Liguria;
2
•
Provincia
di
Genova;
Provincia
di
Imperia;
Provincia
di
La
Spezia;
Provincia
di
Savona;
Università
degli
Studi
di
Genova;
Ufficio
scolastico
regionale
per
la
Liguria;
Cgil;
Cisl;
Uil;
Lega
delle
Cooperative;
Confcooperative;
Agci;
Anaste;
Uneba;
Aris;
Agidae;
Anfass;
Fenascop)
e
i
responsabili
delle
aree
funzionali
interessate
di
Regione
Liguria.
Tali
soggetti
hanno
anche
partecipato
ad
una
pluralità
di
incontri
per
la
definizione
delle
fasi
del
percorso
di
indagine
e
la
sua
validazione;
la
conduzione
di
interviste
semistrutturate
con
responsabili
di
enti,
imprese,
cooperative
sociali
e
consorzi
operativi
nel
settore
sociale
e
sociosanitario
a
livello
regionale,
indicate
di
volta
in
volta
dai
vari
testimoni
qualificati
come
significative
rispetto
alla
loro
rappresentatività
del
settore
e
alla
varietà
di
attività
svolte.
Contenuto
del
rapporto
di
ricerca
Il
rapporto
di
ricerca
sulle
professioni
del
sociale
di
cui
questo
documento
costituisce
l’Executive
Summary
si
compone
di
tre
Capitoli
e
di
tre
Allegati.
Nel
capitolo
1
–
Professioni
e
cooperazione
nel
settore
sociale:
analisi
delle
principali
caratteristiche
attraverso
alcuni
studi
e
ricerche
recenti
sono
state
raccolte
le
informazioni
disponibili
nel
Registro
Regionale
del
Terzo
Settore
oltre
ad
alcuni
estratti
significativi
provenienti
da
studi
e
ricerche
condotti
di
recente:
• sia
da
parte
di
istituzioni
di
livello
nazionale
come
ISFOL
e
ISTAT;
• sia
da
parte
di
altri
soggetti
di
livello
regionale,
come
il
Centro
di
Sviluppo
dell’Economia
Sociale.
Nel
capitolo
2
–
La
ricerca
sulle
professioni
del
sociale
in
Liguria,
si
propongono
i
risultati
derivati
sia
dai
contatti
attivati
con
soggetti
istituzionali,
sia
dalla
indagine
condotta
su
campo
presso
un
campione
di
enti,
cooperative
sociali
e
consorzi
attivi
nel
settore
sociale
e
sociosanitario
ligure.
L’indagine
ha
fatto
emergere
alcune
specificità
che
caratterizzano
la
diffusione
delle
figure
professionali
nei
processi
e
nelle
attività
a
marcata
connotazione
sociosanitaria
e
riabilitativa
da
una
parte,
e
in
quelli
a
più
evidente
connotazione
socioassistenziale
e
socioeducativa,
dall’altra.
Per
tale
ragione
i
risultati
di
ricerca
sono
articolati
in
due
paragrafi
distinti
che
riprendono
questa
specificità.
Il
capitolo
3
–
Alcune
riflessioni
“conclusive”
sistematizza
i
risultati
dell’analisi
e
articola
alcune
proposte
relative
alla
riconfigurazione
dell’Area
21
del
Repertorio
ligure
delle
figure
professionali
sia
nei
termini
di
una
nuova
denominazione
sia
in
merito
alle
figure
professionali
da
includere
in
questa
parte
del
Repertorio,
alla
luce
delle
risultanze
della
ricerca.
L’Allegato
1
propone
una
selezione
ragionata
di
norme
nazionali
e
regionali
che
sono
state
inserite
o
perché
richiamate
direttamente
dai
soggetti
intervistati
durante
la
ricerca
perché
utili
per
inquadrare
e
comprendere
aspetti
e
peculiarità
del
settore
in
generale.
L’Allegato
2
è
stato
pensato
sia
per
definire
alcuni
‘concetti’
base
dell’area
del
‘sociale’
(es.
Terzo
Settore,
Cooperative
Sociali,
Impresa
Sociale,
ONLUS,
ONG),
sia
per
descrivere
brevemente
le
principali
peculiarità
di
alcuni
soggetti
attivi
in
essa
(es.
Lega
delle
Cooperative,
Confcooperative,
Federsolidarietà),
in
modo
che
anche
un
lettore
non
appartenente
al
settore
in
analisi,
se
interessato,
potesse
comunque
orientarsi
senza
problemi.
L’Allegato
3
contiene
una
breve
descrizione
delle
figure
inserite
nell’Area
21
del
Repertorio
Ligure
delle
Figure
Professionali.
3
Le
figure
professionali
nel
settore
sociale
e
socio‐sanitario
Il
rapporto
ISFOL
segnala
le
principali
figure
professionali
che
operano
nel
settore
sociale
e
socio‐sanitario:
• Addetto
all’infanzia
con
funzioni
educative;
• Assistente
domiciliare;
• Assistente
familiare;
• Assistente
sociale;
• Assistente
socio‐sanitario;
• Educatore
professionale;
• Mediatore
culturale;
• Operatore
inserimento
lavorativo;
• Operatore
prima
infanzia
(addetto
comunità
infantili);
• Operatore
socio‐sanitario;
• Psicologo;
• Sociologo;
• Tecnico
della
mediazione
sociale.
Il
Rapporto
ISFOL
segnala
alcuni
trend
strutturali
che
caratterizzano
questo
comparto:
• il
numero
persone
addette
alle
professioni
sociali
nel
nostro
paese
ha
ormai
superato
il
milione
di
unità;
• il
lavoro
sociale
è
prevalentemente
svolto
da
donne;
• una
parte
consistente
degli
operatori
che
si
occupano
di
anziani
e
giovani
ha
cittadinanza
straniera,
specialmente
con
riferimento
al
lavoro
di
cura
svolto
a
domicilio;
• il
numero
di
occupati
era
più
alto,
al
Nord
Ovest,
per
le
professioni
qualificate
nei
servizi
sanitari,
al
Nord
Est,
per
l’assistenza
personale
negli
istituti;
al
Centro,
per
la
categoria
dei
collaboratori
domestici/assimilati;
al
Sud
e
Isole,
per
le
categorie
degli
assistenti
sociali/assimilati
e
degli
addetti
alla
sorveglianza
di
bambini/assimilati.
Le
organizzazioni
indicate
dai
testimoni
qualificati
e
contattate
dai
ricercatori
sono
risultate
appartenere
a
tutti
gli
ambiti
operativi
del
macro
settore
“sociale
e
sociosanitario”.
La
focalizzazione
sul
tema
dei
fabbisogni
occupazionali
e
delle
figure
professionali,
in
ogni
caso,
ha
fatto
emergere
alcune
specificità
con
riferimento
a
due
sub‐aree,
nelle
quali
i
processi
operativi
e
i
servizi
assumono
una
connotazione
più
marcata
della
componente:
• socio‐sanitaria
e
riabilitativa;
• socio‐assistenziale
ed
educativa.
Le
figure
professionali
nei
processi
d’azione
a
più
marcata
connotazione
socio‐
sanitaria
e
riabilitativa
In
questo
primo
ambito
le
figure
professionali
impiegate
richiamano
più
esplicitamente
competenze
e
background
nelle
quali
la
componente
sanitaria
è
rilevante,
pur
in
un
quadro
di
riferimento
che
è
quello
sociosanitario.
Si
tratta
spesso
di
organizzazioni
private
che
gestiscono
strutture
di
tipo
riabilitativo,
nei
diversi
comparti
dei
servizi
agli
anziani
ed
alle
persone
disabili.
Nel
secondo
caso,
invece,
è
la
componente
sociale
che
assume
un
riferimento
prioritario,
sia
con
riferimento
a
servizi
di
tipo
assistenziale
sia
in
strutture
e
servizi
di
tipo
educativo
e
si
tratta
più
frequentemente
di
organizzazioni
che
appartengono
al
Terzo
settore.
4
Nelle
strutture
di
tipo
riabilitativo,
in
particolare,
a
parte
gli
psicologi
e
le
professioni
legate
alla
sfera
specificamente
medica
(psichiatri,
geriatri,
internisti,
terapisti
della
riabilitazione,
fisioterapisti,
logopedisti
infermieri
professionali,
considerando
i
casi
più
comuni),
sono
presenti
infatti:
• Educatori,
inseriti
in
aree
connotate
da
problematiche
differenti
(psichiatrica,
disabilità,
anziani);
• Animatori
• OSS
Accanto
a
queste
figure
professionali
è
stata
raccolta
la
segnalazione
di
una
ulteriore
figura
professionale,
quella
del
Coordinatore,
sulla
quale
si
proporranno
alcune
riflessioni
tese
a
sottolineare
la
valenza
di
competenza
più
che
di
figura
professionale
associabile
a
questa
indicazione.
Con
riferimento
alla
figura
dell’educatore
le
riflessioni
proposte
hanno
riguardato
prima
di
tutto
il
livello
di
preparazione,
diffusamente
reputato
valido;
in
secondo
luogo
l’oggetto
delle
analisi
degli
intervistati
su
questo
tema
si
è
concentrato
sui
percorsi
pregressi
di
preparazione
degli
educatori
professionali
e
sulla
forte
esigenza
di
prevederne
anche
di
integrativi,
in
modo
da
equipararli
tutti,
soprattutto
quelli
svolti
in
periodi
differenti
e
con
durate
molto
varie.
Il
tutto
con
qualche
difficoltà,
come
si
rileva
ad
esempio
dalle
seguenti
affermazioni:
“Per
noi
la
figura
professionale
dell’educatore
è
fondamentale,
la
base
è
buona,
compresa
quella
data
ai
vari
laureati
in
SDF,
vecchio
ordinamento.
La
loro
base
è
comunque
buona
per
fare
agevolmente
alcune
integrazioni.
Sono
stati
meno
efficaci
forse
con
quelli
che
hanno
fatto
la
riqualificazione
di
un
anno,
meglio
quelli
che
l’hanno
fatta
per
tre
anni”.
(Referente
formazione
e
tirocini
in
struttura
privata
convenzionata)
“Abbiamo
4
educatori
che
hanno
fatto
il
percorso
regionale
di
educatori
(vecchio
corso
di
3
anni
che
ha
creato
problemi
per
il
riconoscimento);
gli
altri
sono
laureati.
Oggi
sappiamo
bene
che
l’Assessore
Rossetti
privilegia
i
laureati
di
Scienze
Pedagogiche”
(Direttore
struttura
privata
convenzionata)
“Mi
ricordo
il
percorso
di
6
mesi
per
formare
gli
educatori,
voluto
anni
fa
dalla
Regione:
a
mio
avviso
la
stessa
Regione
dovrebbe
a
questo
punto
fare
un
percorso
integrativo
per
questi
professionisti,
visto
che
ce
ne
sono
ancora
e
che
il
loro
titolo
non
ha
molto
valore.
Al
limite
anche
il
riconoscimento
di
crediti
per
fare
un
percorso
che
colmi
le
lacune
del
titolo,
tenendo
anche
conto
di
tutta
la
formazione
integrativa
che
queste
persone,
nelle
strutture
dove
hanno
lavorato
e
lavorano,
hanno
fatto.
(…).
So
del
corso
IFTS
che
partirà
a
breve,
ma
ho
la
sensazione
che
la
figura
finale
sarà
sotto
quella
dell’educatore,
come
livello
finale
contrattuale”.
(Amministratore
Delegato
di
struttura
privata
convenzionata)
“Invece
l’educatore
professionale
per
noi
è
stato
un
problema.
Per
anni
non
abbiamo
trovato
educatori:
ne
abbiamo
ma
senza
la
qualifica
di
professionale”.
(Amministratore
Delegato
di
struttura
privata
convenzionata)
In
merito
agli
animatori,
il
concetto
spesso
sottolineato
è
la
loro
poca
spendibilità
di
questa
figura
professionale
nelle
strutture
nel
caso
in
cui
questi
operatori
non
possano
mostrare
comunque
altre
competenze
professionali,
più
tipiche
delle
professioni
sociosanitarie
come
ad
esempio
saper
individuare
l’insorgenza
di
un
problema
di
salute
nell’utenza
con
cui
si
devono
rapportare
quotidianamente.
“Noi
tendenzialmente
abbiamo
la
seguente
politica:
se
abbiamo
bisogno
di
un
animatore,
prendiamo
un
OSS
e
lo
formiamo
come
animatore.
Non
ci
serve
un
puro
animatore,
anzi
è
più
utile
un
OSS
che
in
base
ad
una
sua
personale
vocazione
fa
anche
l’animatore.
5
(…)
Noi
abbiamo
bisogno
di
persone
che
sappiano
riconoscere
anche
qualche
segnale
medico,
visto
che
l’animatore
è
a
contatto
con
il
paziente
ed
è
quello
che
deve
passare
le
prime
informazioni
eventuali
sulla
salute
del
paziente
al
medico”.
(Direttore
struttura
privata
convenzionata)
“Noi
abbiamo
soprattutto
bisogno
che
le
persone
non
dicano
che
una
parte
del
lavoro
richiesto
non
compete:
se
un
paziente
ha
bisogno
di
essere
accompagnato
in
bagno,
un
animatore
non
deve
dire
che
non
lo
fa
perché
non
gli
compete.
In
generale
non
esiste
proprio
che
una
persona
si
connoti
rigidamente
con
un
ruolo
non
derogabile,
in
ambito
di
comunità”.
(Referente
formazione
e
tirocini
in
struttura
privata
convenzionata)
Il
mondo
degli
operatori
socio
sanitari
(OSS)
è
quello
su
cui
maggiormente
questi
intervistati
hanno
espresso
idee
ed
opinioni.
Per
prima
cosa
è
importante
distinguere
tra
gli
infermieri
e
OSS:
“Il
profilo
OSS
è
stato
molto
difficile
da
gestire.
(…)
Noi
ci
troviamo
fra
i
NAS
che
richiedono
infermieri
professionali
e
l’OSS
che
soltanto
se
è
insieme
all’infermiere
può
somministrare
farmaci
per
legge
(ma
i
NAS
in
casi
così
possono
comunque
sanzionare,
perché
non
riconoscono
l’OSS
come
somministratore
qualificato).
Per
risolvere
questo
problema
bastava
che
la
norma
prevedesse
la
somministrazione
semplice
dei
farmaci:
per
questo
si
parla
della
terza
‘esse’,
ossia
di
un
operatore
socio‐sanitario
con
specializzazione
integrativa
su
argomenti
quali
terapie,
intramuscolo,
nozioni
base
di
farmacologia”.
(Responsabile
del
personale
in
struttura
privata
convenzionata)
“(…)
Gli
infermieri
sono
riconosciuti,
in
particolare
dalle
strutture
psichiatriche,
come
figure
riabilitative,
a
differenza
dell’OSS
che
sono
invece
considerate
assistenziali”.
(Amministratore
Delegato
di
struttura
privata
convenzionata)
Ma
soprattutto
gli
OSS,
a
differenza
degli
infermieri,
potrebbero
essere
(o
forse
sarebbe
più
corretto
dire
che
dovrebbero
essere)
specializzati
anche
in
altre
funzioni
integrative,
utili
alle
strutture.
“Noi
integriamo
le
sue
competenze
magari
facendo
leva
su
sue
abilità
pregresse
(esempio
un
OSS
che
ne
sa
di
musica).
La
nostra
visione
è
questa:
per
stare
a
contatto
con
il
paziente,
nel
caso
dell’animazione
che
ha
tante
sfaccettature,
io
non
posso
pensare
ad
un
OSS
puro.
Se
ad
una
figura
così
importante
come
è
l’OSS
noi
non
abbiniamo
altri
percorsi
formativi,
la
figura
è
monca.
Non
è
detto
che
sia
solo
la
parte
istrionica
che
deve
emergere.
Magari
quella
persona
è
timida
ma
è
un
ottimo
organizzatore
o
gestore
delle
procedure.
Se
per
contro
la
persona
è
estroversa,
forse
vale
la
pena
sviluppare
questa
vocazione,
perché
così
facendo
miglioro
anche
la
tua
percezione
del
lavoro”.
(Direttore
struttura
privata
convenzionata)
Sulla
base
di
quanto
emerso
in
precedenza,
gli
stessi
intervistati
hanno
poi
proposto
ulteriori
considerazioni
sulla
facilità/difficoltà
a
trovare
queste
figure
professionali
(o
anche
altre,
più
di
base,
come
emerge
proprio
dal
primo
estratto
di
intervista
proposto),
sull’impatto
che
la
riqualificazione
degli
OSS
ha
provocato
in
generale
nelle
strutture
e
sull’utilità
di
ulteriori
percorsi
formativi
per
potenziarne
le
competenze.
“A
seconda
dei
periodi
ci
sono
carenze
di
alcune
figure:
in
alcuni
anni
mancavano
gli
infermieri,
in
altri
gli
educatori.
Oggi
mancano
gli
ASA
OSS
(figura
di
base).
Consiglierei
l’Assessore
di
puntare
su
questa
figura,
anche
se
so
che
con
l’IFTS
qualcosa
sta
facendo.
Le
carenze
sono
nella
figura
base
ASA
OSS,
mentre
infermieri
e
simili
sono
sufficienti.
In
questi
ultimi
due
anni
la
Regione
ha
interrotto
la
formazione
di
base
degli
ASA
OSS
e
ha
puntato
di
più
sulla
qualifica.
Noi
siamo
facilitati
anche
dal
fatto
che
le
selezioni
a
volte
le
facciamo
dalla
regione
della
nostra
casa
madre
contigua
alla
Liguria,
perché
ci
sono
persone
che
sono
disposte
a
trasferirsi.
A
volte
anche
dal
meridione
abbiamo
avuto
trasferimenti
di
personale
adatto
alle
nostre
esigenze.
6
Fra
l’altro
i
nostri
pazienti
richiedono
al
personale
attitudine
all’ascolto,
molta
pazienza:
io
sto
molto
attento
a
selezionare
infermieri
che
abbiano
anche
altre
capacità
di
relazione.
Questo
perché
nella
nostra
struttura
i
pazienti
entrano
e
magari
ci
passano
la
vita
intensa,
perché
recuperano
ma
non
guariscono.
Come
istituto
noi
cerchiamo
anche
di
fornire
degli
strumenti
per
acquisire
queste
esigenze”.
(Direttore
struttura
privata
convenzionata)
“Il
pubblico
ha
scaricato
il
costo
degli
OSS
sui
privati,
facendo
riqualificare
le
persone
con
la
formazione
pubblica
che
poi
ha
migliorato
la
qualifica
di
questi
professionisti,
che
così
costano
di
più
per
i
privati,
che
sono
peraltro
obbligati
ad
assumerli.
Noi
avremmo
bisogno
anche
di
figure
tipo
gli
assistenti
familiari,
cioè
più
basse
degli
OSS”.
(Responsabile
del
personale
in
struttura
privata
convenzionata)
“E’
necessario
definire
il
ruolo
del
soggetto
che
vive
accanto
al
paziente
in
una
pluralità
di
dinamiche,
quindi
non
solo
l’OSS.
Serve
una
figura
polifunzionale.
Se
ci
deve
essere,
come
è,
la
parte
di
animazione,
l’animatore
deve
essere
già
OSS.
Diversamente
la
persona
non
riesce
a
cogliere
tutte
le
sfaccettature
del
paziente”.
(Direttore
struttura
privata
convenzionata)
“Mentre
è
molto
semplice
trovare
un
OSS
che
abbia
lavorato
con
anziani,
è
difficilissimo
trovare
persone
che
sappiano
lavorare
o
abbiano
lavorato
con
i
disabili.
Per
le
nostre
necessità
noi
partiamo
da
persone
che
ora
hanno
un
titolo
(una
volta
non
era
così)
e
che
comunque
dobbiamo
formare
noi
per
la
parte
sulle
disabilità;
spesso
proprio
le
persone
(gli
stessi
OSS)
non
hanno
mai
avuto
a
che
fare
con
i
disabili.
E’
poi
vero
che
statisticamente
è
più
facile
lavorare
con
anziani
che
con
disabili
(ci
sono
200
strutture
per
anziani,
a
fronte
di
10
per
disabili).
Noi
chiediamo
ad
esempio
che
le
persone
che
lavorano
con
disabili
facciano
una
prova
di
due
settimane,
per
capire
se
riescono
a
lavorare
con
i
casi
complessi
che
abbiamo
(pazienti
violenti,
autolesionisti,
ecc.)”.
(…)
“Ho
bisogno
di
un
educatore
professionale
che
sappia
fare
l’animatore:
la
riabilitazione
dei
nostri
ragazzi
passa
attraverso
il
gioco
e
quindi
chi
li
assiste
dovrebbe
essere
formato
a
questo.
Anche
l’OSS
dovrebbe
avere
l’integrazione
dell’animatore:
è
utile
che
un
animatore
sappia
cogliere
eventuali
segnali
di
malessere
delle
persone
con
cui
interagisce.
(…)
Per
gli
anziani
manca
la
figura
dell’animatore:
noi
abbiamo
oggi
un
gruppo
stabile
con
tre
animatori,
che
abbiamo
faticato
molto
a
mettere
insieme.
(…)
Questi
percorsi
integrati
sono
quelli
di
cui
abbiamo
forse
più
bisogno.
La
formazione
integrata
per
queste
figure
in
Italia
esiste,
solo
che
a
mia
conoscenza
la
fanno
soltanto
in
Basilicata
e
non
nelle
altre
regioni.
La
fanno
a
distanza,
ma
ogni
tanto
bisogna
andare
nel
posto
per
fare
prove
ed
esami”.
(Amministratore
Delegato
di
struttura
privata
convenzionata)
Infine,
una
‘figura’
(definita
così
in
sede
di
intervista
anche
se
sarebbe
più
corretto
inquadrarla
come
una
competenza)
segnalata
come
decisamente
utile
e
da
potenziare
in
prospettiva
è
quella
del
coordinatore
che,
come
si
potrà
osservare,
potrebbe
provenire
o
dall’area
infermieristica
o
dal
percorso
della
ex
Facoltà
di
Scienze
della
Formazione.
“Se
è
di
un
reparto
di
disabili,
magari
complessi
e
avanti
con
gli
anni,
generalmente
la
struttura
mette
‐
dopo
il
personale
religioso‐
dei
coordinatori
infermieri
perché
prevale
la
parte
sanitaria.
In
altri
casi
abbiamo
visto
che
la
competenza
necessaria
è
anche
quella
dei
laureati
in
SDF
e
in
pedagogia.
Questo
perché
la
parte
sanitaria
veniva
delegata
agli
infermieri
professionali
che
sono
in
reparto,
la
parte
di
organizzazione
viene
‘imparata’,
ma
la
parte
più
significativa
è
quella
educativa.
Per
la
parte
anziani
invece
è
vitale
il
coordinamento
fatto
da
infermieri.
Per
gli
infermieri
diventare
coordinatori
è
più
semplice,
perché
basta
dopo
la
laurea
triennale
fa
la
specialistica
e
arriva
così
a
poter
prendere
il
coordinamento
(erano
le
vecchie
caposala).
7
Questa
figura
sul
mercato
non
esiste
e
se
anche
esistesse
sarebbe
comunque
necessario
integrare
con
alcuni
aspetti,
quali
ad
esempio
il
carisma.
Ad
oggi
non
è
una
figura
molto
definita,
per
fortuna
perché
così
possiamo
formarle
come
le
desideriamo.
Serve
anche
che
abbia
competenze
in
dinamiche
di
gruppo
e
di
organizzazione”.
(Responsabile
della
formazione
e
dei
tirocini
in
struttura
privata
convenzionata)
Il
coordinatore
è
anche
un
esempio
di
punto
di
arrivo
in
un
percorso
interno
di
carriera,
per
alcune
strutture,
anche
se
con
qualche
precisazione:
“Quelli
standardizzati
sono
sicuramente
per
infermieri,
fisioterapisti,
educatori
e
OSS.
Per
cui
Le
figure
che,
nella
nostra
struttura,
vogliono
eccellere
(infermieri,
fisioterapisti,
educatori
e
OSS)
e
ambiscono
quindi
a
diventare
coordinatori
necessariamente
devono
sostenere
un
percorso
formativo
di
master
universitario.
Il
fisioterapista
che
diventa
coordinatore,
dopo
la
laurea
triennale,
ha
completato
gli
studi
con
il
master.
L’infermiere
professionale
che
vuole
diventare
coordinatore,
e
così
l’educatore,
devono
fare
il
master.
Noi
supportiamo
quelli
che
lo
vogliono
fare,
se
e
solo
se
il
percorso
di
studi
che
intendono
fare
è
peraltro
compatibile
con
il
nostro
lavoro;
su
questo
siamo
molto
chiari
fin
dall’inizio
con
tutto
il
nostro
personale”.
(Direttore
di
struttura
privata
convenzionata)
Le
figure
professionali
nell’area
dei
servizi
sociosanitari
e
riabilitativi
Educatori,
che
in
generale,
a
giudizio
dei
rispondenti,
provengono
da
percorsi
di
studio
(in
particolare
universitari)
considerati
di
buon
livello
e
ottima
base
per
la
loro
crescita
professionale,
in
particolare
attraverso
l’innesto
di
ulteriori
competenze;
Animatori,
anche
se
la
necessità
di
questa
figura
tout
court
è
quasi
nulla:
gli
intervistati
hanno
infatti
sottolineato
come
le
sue
competenze
siano
sì
importanti,
ma
solo
se
abbinate
a
(se
non
integrate
con)
quelle
di
altre
figure,
quali
ad
esempio
l’Operatore
Socio
Sanitario;
Operatori
Socio
Sanitari,
che
gli
intervistati
hanno
precisato
più
volte
non
vadano
confusi
con
gli
infermieri,
per
inserirli
nelle
strutture
con
funzioni
integrative
(ad
esempio
quelle
dell’animatore
di
cui
al
punto
precedente).
In
un
caso
un
rispondente
ha
sottolineato
la
difficoltà
a
reperire
OSS
con
competenze
specifiche
nella
gestione
di
soggetti
colpiti
da
disabilità,
in
particolare
quelli
di
livello
grave;
Coordinatori,
anche
se
questa
più
che
una
figura
professionale
sarebbe
forse
più
opportuno
considerare
una
competenza
integrativa
di
figure
tipiche
dell’area
infermieristica
che
abbiano
obiettivi
di
carriera.
Nelle
strutture
analizzate
sono
presenti
ovviamente
anche
altri
professionisti,
in
particolare
delle
aree
medica
e
riabilitativa:
nello
specifico
si
tratta
di
geriatri,
psichiatri,
internisti,
terapisti
della
riabilitazione,
fisioterapisti,
logopedisti
e
infermieri
professionali.
Fonte:
Agenzia
Liguria
Lavoro
U.O
Monitoraggio
e
Analisi
Le
figure
professionali
nei
processi
d’azione
a
più
marcata
connotazione
socio‐
assistenziale
e
socio‐educativa
In
molte
realtà
analizzate
è
la
componente
sociale
che
assume
un
riferimento
prioritario,
sia
con
riferimento
a
processi
lavorativi
nell’ambito
assistenziale
sia
riguardo
a
strutture
e
servizi
di
tipo
educativo.
Si
tratta
più
frequentemente
di
organizzazioni
che
appartengono
al
Terzo
settore,
tipicamente
cooperative
sociali
di
tipo
A
e
consorzi.
Le
figure
citate
più
di
frequente
dagli
intervistati,
in
questo
caso,
sono
state:
• Educatori
professionali
8
•
•
•
•
•
•
•
•
Educatori
(non
professionali:
vedi
sopra)
Assistenti
sociali
Operatori
sociosanitari
Animatori
Responsabile
dell’inserimento
lavorativo
Tutor
dell’inserimento
lavorativo
Assistenti
all’infanzia
(in
nidi
e
in
scuole
dell’infanzia)
Psicologi
L’educatore
e
l’educatore
professionale
dagli
anni
’70
al
2000
Anni
‘70
Partono
i
primi
corsi,
con
la
formazione
affidata
tramite
le
Regioni
alle
scuole
di
formazione
professionale.
E’
questo
il
periodo
in
cui,
da
regione
a
regione,
è
possibile
passare
da
un
iter
formativo
biennale
ad
uno
triennale,
a
bienni
comuni
per
educatori
ed
assistenti
sociali
con
specializzazione
nel
terzo
anno
di
corso.
1984
Nasce
la
figura
dell’educatore
professionale
con
il
D.M
10‐02‐1984
(Decreto
Degan):
per
tale
figura
viene
previsto
a
livello
nazionale
un
iter
formativo
triennale
universitario
o
professionale
ed
essa
è
inquadrata
come
intermedia,
da
Diploma
Universitario
o
da
Corso
di
Formazione
Professionale
post
diploma.
Da
questo
provvedimento
sono
derivate
molte
scuole
convenzionate
con
le
Regioni
per
corsi
di
riqualificazione
e
formazione,
contribuendo
a
diversificare
i
percorsi
didattici
e
la
diffusione
eterogenea
di
sedi
formative
sul
territorio
nazionale.
1989
Viene
approvato
il
nuovo
ordinamento
delle
scuole
a
fini
speciali
per
educatori
professionali,
con
decreto
Ministero
dell’Università
e
della
Ricerca
Scientifica.
Il
decreto
prevede:
• come
titolo
di
ammissione
il
diploma
di
scuola
secondaria
superiore
quinquennale;
• una
durata
triennale,
• moduli
semestrali,
• sedici
materie
obbligatorie
(otto
base
e
otto
professionalizzanti)
e
tre
opzionali,
• tirocinio
di
500
ore
• frequenza
obbligatoria
per
2/3
dell’orario
• rilascio
di
diploma
abilitante
dopo
una
trattazione
su
un
tema
scelto
dallo
studente
Primi
anni
‘90
Nasce
il
già
accennato
corso
di
laurea
quadriennale
in
Scienze
dell’Educazione,
con
tre
indirizzi,
uno
dei
quali
per
Educatore
Professionale.
1998
Con
Decreto
del
Ministero
della
Sanità
n°
520
del
1998,
che
contiene
norme
per
l’individuazione
della
figura
e
del
relativo
profilo
professionale
dell’educatore
professionale
(ai
sensi
del
D.
Lgs.
502
del
30‐12‐1992),
le
professioni
sociali
vengono
introdotte
a
livello
giuridico.
L’educatore
professionale
viene
definito
un
profilo
professionale
articolato
e
unico,
determinato
dal
possesso
del
DU
abilitante
per
l’esercizio
della
professione.
2000
La
L.
328/2000
all’art.
12
(“figure
professionali
sociali”)
rinvia
a
successivi
decreti
la
definizione
del
profili
di
tali
figure
professionali
sociali.
Peraltro
con
la
riforma
recente
del
Titolo
V
la
competenza
in
questa
materia
è
stata
attribuita
alle
Regioni,
mentre
la
determinazione
dei
principi
fondamentali
resta
di
competenza
legislativa
dello
Stato.
Le
Regioni
diventano
così
il
cardine
sui
cui
ruota
il
sistema
delle
professioni
sociali.
Esse
incidono
quindi
sulla
domanda
di
professionisti
nel
sociale
da
un
alto
con
atti
di
programmazione
che
pianificano
le
politiche
di
intervento
e
l’organizzazione
dei
servizi,
dall’altro
mediante
norme
regionali
di
riordino
dei
servizi
sociali
o
l’individuazione
di
requisiti
di
personale
per
l’autorizzazione
al
funzionamento
e
l’accreditamento
dei
servizi. La
figura
dell’educatore
professionale,
come
spesso
è
emerso
nel
corso
delle
interviste
e
come
già
è
stato
anticipato,
è
risultata
derivare
da
vari
percorsi,
di
tipo
sia
formativo
(attivati
negli
anni
’90
e
con
durate
variabili,
in
un
caso
di
6
mesi,
in
un
altro
triennale)
sia
universitario
(percorsi
di
lauree,
quadriennali
prima
e
9
triennali
poi,
attivati
dalle
ex
facoltà
di
Scienze
della
Formazione
e
di
Medicina
in
forma
di
corsi
interuniversitario
e
attualmente
ad
esclusiva
regia
curata
da
Medicina).
Proprio
a
questo
proposito
però
ecco
cosa
ha
affermato
un
intervistato:
“Noi
pensiamo
che
l’educatore
utile
per
strutture
come
la
nostra
sia
quello
che
proviene
da
Scienze
della
Formazione,
non
dal
percorso
di
sola
Medicina.
Se
le
persone
vengono
da
Scienze
della
Formazione
hanno
maggiore
competenza.
La
502
dice
che
l’educatore
professionale
è
quello
che
proviene
da
medicina:
per
noi
questa
è
un’assurdità”.
(Direttore
di
comunità
di
recupero)
Un
aspetto
sottolineato
da
un’intervistata
è
che
spesso
i
giovani
che
si
affacciano
sul
mondo
del
lavoro
per
fare
il
mestiere
di
educatore
non
hanno
completamente
in
chiaro
in
cosa
potranno
consistere
le
attività
che
dovranno
concretamente
svolgere.
I
giovani
assunti
di
recente
hanno
tutti
la
laurea
e
quindi
sono
a
posto.
In
realtà
hanno
bisogno
di
qualche
chiarimento
su
cosa
fa
l’educatore.
Quel
che
devono
avere
più
in
chiaro
è
che
l’educatore
fa
il
suo
mestiere
anche
quando
prepara
da
mangiare
ad
un
bambino
e
ad
un
padre,
di
cui
si
deve
occupare,
e
non
dire
mai
che
far
da
mangiare
non
è
parte
delle
loro
competenze.
(Presidente
di
Consorzio
di
cooperative)
Un
elemento
di
criticità
del
sistema,
emerso
più
volte
nel
corso
delle
interviste,
riguarda
l’adeguatezza
formale
dei
titoli
in
possesso
degli
educatori
per
poter
svolgere
le
proprie
funzioni.
Per
anni,
infatti,
l’accesso
di
risorse
professionali
nel
settore
è
stato
determinato
o
dell’esperienza,
acquisita
attraverso
il
volontariato,
o
dall’appartenenza
a
gruppi
come
gli
scout,
o
altro.
Non
mancano
inoltre
percorsi
personali
che
hanno
portato
alcune
persone
a
svolgere
il
ruolo
di
educatore
dopo
essere
stati
essi
stessi
utenti
dei
servizi,
come
nel
caso
di
ex‐tossicodipendenti
che,
dopo
avere
concluso
positivamente
il
percorso
di
disintossicazione,
hanno
proseguito
il
rapporto
con
la
propria
cooperativa
nella
veste
di
volontari
o
soci
o
dipendenti
o
presidenti.
La
potenziale
precarietà
di
queste
figure
inserite
nelle
cooperative,
motivata
dall’essere
educatori
senza
avere
il
corrispondente
titolo,
in
ogni
caso,
è
un
problema
che
si
prevede
di
risolvere
(come
già
accaduto
in
passato
per
altre
figure
come
ad
esempio
gli
OSS)
con
un
percorso
formativo
IFTS
sull’
“Animatore
Socio‐
Educativo”
di
prossimo
avvio.
E’
stato
peraltro
notato
come
il
processo
che
riguarderà
tutte
queste
persone
sarà
tutt’altro
che
semplice,
essendo
le
persone
da
riqualificare
ovviamente
tutte
inserite
in
percorsi
lavorativi,
quindi
con
scarsa
disponibilità
di
tempo
per
stare
in
aula
in
modo
continuativo,
quanto
meno
come
richiesto
dai
canoni
tradizionali
della
formazione
professionale.
“Quello
dell’educatore
è
un
profilo
che
ha
avuto
varie
vicissitudini
e
che
non
è
mai
stato
definito
in
modo
compiuto.
Negli
ultimi
anni
ci
siamo
orientati
per
scelta
e
disponibilità
ai
laureati
in
Scienze
dell’educazione,
Scienze
della
Formazione,
mentre
non
abbiamo
nessuno
che
arrivi
dal
percorso
interuniversitario
(educatore
professionale).
Importante
anche
l’IFTS
di
prossima
partenza;
è
un
percorso
che
dà
comunque
preoccupazione,
perché
si
tratta
di
fare
formazione
a
persone
che
lavorano
e
che
non
sempre
possono
lasciare
il
posto
di
lavoro
per
andare
in
aula.
Però
è
anche
l’occasione
per
regolarizzare
i
vecchi
casi
tipo
ex
tossicodipendenti
che
sono
entrati
nelle
coop
dopo
aver
fatto
il
proprio
percorso,
ma
senza
avere
titoli.
Noi
ne
abbiamo
pochi,
ma
qualcuno
potrebbe
ancora
esserci.
Noi
comunque
siamo
orientati
ad
assumere
laureati:
abbiamo
anche
laureati
in
pedagogia
e
psicologia
(anche
se
non
ne
abbiamo),
anche
datati
(Padova,
Roma).
Abbiamo
poi
alcuni
educatori
che
non
hanno
titoli
congruenti
con
il
lavoro
che
stanno
facendo,
ma
che
sono
arrivati
a
questo
settore
per
percorsi
personali
e
che
magari
poi
hanno
fatto
formazione
e
aggiornamento
di
vario
tipo”.
(Responsabile
di
Consorzio
di
cooperative
sociali)
10
Anche
l’educatore
(in
questo
caso
definito
dagli
intervistati
come
“educatore
non
professionale”)
è
comunque
una
figura
piuttosto
significativa
per
le
cooperative
sociali
di
tipo
A.
Spesso
si
tratta
di
professionisti
che
hanno
maturato
anche
un’esperienza
specifica
con
determinate
tipologie
di
utenza,
imparando
quindi
più
di
altri
a
gestirli.
“La
figura
di
educatore
non
professionale
ne
ricomprende
tante:
c’è
quello
per
i
disabili,
per
il
sostegno
scolastico,
per
il
sostegno
allo
studio,
per
l’assistenza
fisica
nel
caso
di
disabili
fisici,
e
così
via.
E’
una
figura
trasversale,
quella
dell’educatore
non
professionale.
C’è
anche
l’assistente
scolastico,
che
è
un
caso
di
educatore
non
professionale.
Sono
figure
queste
che
vengono
anche
richieste
dai
bandi,
anche
se
poi
noi
sappiamo
che
è
opportuno
prevederne
con
specifiche
professionalità.
Ad
esempio
gli
accompagnatori
sui
bus
devono
avere
competenze
molto
specialistiche:
devono
saper
gestire
dei
minori,
cogliere
segnali
di
disagio,
sono
potenziali
interfaccia
con
le
strutture
e
con
le
famiglie.
Stessa
cosa
se
il
servizio
viene
offerto
per
soggetti
disabili:
anche
in
questo
caso
gli
accompagnatori
devono
avere
competenze
specifiche,
per
poter
gestire
situazioni
complesse
(es
un
disabile
che
dà
in
escandescenze
o
che
attua
comportamenti
scorretti)”.
(Presidente
di
un
Consorzio
di
cooperative
sociali)
“A
noi
servono
educatori,
professionali
o
no.
Poi
ognuno
deve
essere
preparato
per
il
tipo
di
utenza
specifica
cui
si
dovrà
rivolgere.
(…)”..
(Direttore
di
comunità
di
recupero)
Un
caso
particolare
emerso
nel
corso
della
rilevazione
è
stato
quello
dell’assistente
sociale
con
specifiche
competenze
di
relazione
verso
i
lavoratori
delle
cooperative
sociali
di
tipo
B
che,
in
base
a
quanto
è
derivato
dall’osservazione
nel
tempo
delle
proprie
realtà
di
riferimento,
risultano
talvolta
trovarsi
in
difficoltà
di
vario
tipo.
In
questo
periodo,
ad
esempio,
abbiamo
spesso
richieste
di
anticipi
da
parte
di
nostri
lavoratori
e,
anche
se
lo
chiedono
per
bisogni
primari,
cerchiamo
di
dire
di
no.
Oggi
noi
facciamo
fronte
a
queste
situazioni
con
figure
classiche
del
settore,
tipo
il
presidente
della
coop,
il
responsabile
delle
risorse
umane,
il
responsabile
degli
inserimenti.
Facciamo
anche
ricorso
allo
psicologo,
ma
quando
i
temi
sono
i
soldi
o
la
casa
che
rischiano
di
perdere,
ci
chiediamo
quali
sarebbero
le
figure
da
mettere
in
campo.
Una
figura
importante
potrebbe
quindi
essere
l’assistente
sociale
di
riferimento
per
i
lavoratori
delle
coop
sociali,
che
sono
sempre
più
fragili
(in
quanto
certificati
come
tali
per
loro
percorsi
pregressi).
Uno
dei
nostri
progetti
è
avere
questa
figura
al
nostro
interno.
Una
delle
figure
che
io
vedo
come
necessaria
(i
vecchi
assistenti
sociali
di
fabbrica)
perché
fa
funzioni
di
aggregatore.
Potrebbe
avere
uno
sviluppo
sia
nel
nostro
settore,
sia
in
quello
privato.
L’assistente
sociale
che
sia
in
grado
di
farsi
carico
della
persona
e/o
del
nucleo
familiare
sarebbe
certamente
un
buon
investimento
per
una
struttura
come
la
nostra”.
(Presidente
di
un
Consorzio
di
cooperative
sociali)
Nelle
cooperative
attive
anche
nell’ambito
socio‐sanitario,
in
ogni
caso,
è
stata
confermata
come
fondamentale
la
figura
dell’Operatore
Socio
Sanitario,
che
viene
considerata
come
chiave
specie
nei
casi
in
cui
l’area
di
specializzazione
della
cooperativa
riguardi
l’utenza
disabile
o
anziana.
Quel
che
è
stato
soprattutto
sottolineato
è
la
poca
utilità
all’interno
delle
cooperative
di
tipo
A
degli
infermieri
tout
court,
se
non
nei
soli
momenti
della
somministrazione
delle
terapie.
Viene
riproposto
quindi
un
aspetto
già
emerso
in
altre
interviste,
ossia
la
necessità
di
poter
disporre
di
figure
polifunzionali,
come
esplicitato
ad
esempio
nel
secondo
contributo
inserito
di
seguito.
“Noi
abbiamo
bisogno
di
OSS/infermieri/educatori
in
senso
ampio,
con
figure
di
contorno
tipo
medici,
psicologi,
terapisti,
animatori
nelle
strutture
per
anziani.
Per
quanto
riguarda
le
competenze
attivabili,
però
entriamo
in
un
terreno
difficile
da
percorrere,
nelle
strutture
che
si
occupano
di
riabilitazione
(in
11
particolare
quella
psichiatrica)
sarebbe
utile
che
gli
OSS
e
gli
infermieri
avessero
anche
competenze
di
tipo
riabilitativo‐educative,
non
solo
sanitarie.
Figure
così
sono
molto
difficili
da
trovare,
perché
manca
un
formazione
mista
su
argomenti
come
questi.
A
mio
avviso,
per
scelta
della
Regione
Liguria
gli
OSS
sono
più
simili
a
infermieri
da
clinica,
non
persone
che
siano
capaci
di
intervenire
anche
sulla
parte
extra
somministrazione
di
farmaci
o
su
altre
di
questo
tipo.
All’estero
gli
infermieri
non
erogano
solo
prestazioni
relative
alle
patologie
organiche,
ma
interagisce
anche
con
il
contesto
educativo
e
psicoterapico,
partecipando
al
processo
rieducativo
insieme
allo
psicologo
o
allo
psichiatra.
Gli
infermieri
tout
court
sono
utili
solo
in
3‐4
momenti
della
giornata.
In
alcuni
casi
addirittura
la
struttura
non
somministra
farmaci
quotidianamente,
delegando
i
pazienti
laddove
possibile
o
limitandola
a
pochi
altri
casi.
Sarebbe
utile
che
l’infermiere
potesse
acquisire
ulteriori
competenze,
oltre
a
quelle
già
possedute.
Gli
infermieri
tout
court
cominciano
a
non
essere
più
molto
utili.
Sarebbero
utili
figure
multifunzionali
e
sono
spesso
gli
operatori
che
lo
richiedono
per
primi”.
(Consigliere
all’interno
di
un
Consorzio
di
cooperative)
Ci
serve
una
figura
polifunzionale,
con
forti
competenze
in
campo
socio‐sanitario
ma
pure
in
accoglienza,
motivazione
e
terapia
e
che
sia
anche
capace
di
gestire
gli
utenti,
ma
mi
viene
da
dire
anche
di
agganciarli
per
portarli
in
struttura.
Il
problema
è
che
per
poter
essere
assunta
questa
figura
deve
avere
la
laurea,
ma
spesso
quelli
che
sono
più
capaci
di
mediare
con
la
futura
utenza
potenziale
non
hanno
mai
titoli
di
studio
significativi,
anzi!”.
(Direttore
di
comunità
di
recupero)
Ma
è
anche
interessante
la
riflessione
sugli
OSS
emersa
da
un’altra
intervista.
Nel
campo
assistenziale
quello
dell’OSS
rappresenta
un
tema
davvero
complesso.
Ad
esempio
noi
abbiamo
i
nostri
assistenti
domiciliari
che
hanno
frequentato
i
corsi
per
OSS
ma
che
lavorano
all’interno
dei
nostri
servizi
di
assistenza
domiciliare
per
cui
il
livello
di
OSS
non
è
economicamente
riconosciuto
(perché
l’OSS
è
utile
nei
casi
di
interventi
socio‐sanitari,
dove
questa
seconda
parte
è
presente).
Gli
enti
pubblici
fanno
uscire
bandi
di
gara
dove
chiedono
tutte
le
figure
vari
precedenti,
poi
chiedono
anche
OSS
oppure
persone
con
3
anni
di
esperienza.
Questi
Enti
dovrebbero
però
fare
chiarezza:
non
possono
chiedere
generici
per
avere
specialisti,
solo
perché
non
possono
pagare
gli
specialisti.
Di
OSS
hanno
bisogno
i
soggetti
che
gestiscono
servizi
o
strutture
di
tipo
sociosanitario.
Fra
l’altro
la
recente
riqualificazione
degli
OSS
ha
creato
problemi
di
budget
a
molte
strutture:
chi
aveva
professionisti
a
libro
paga
che
si
sono
riqualificati
hanno
generalmente
avuto
uno
sballo
nel
budget
stesso,
perché
gli
OSS
qualificati
costano
di
più
degli
altri”.
(Presidente
di
un
Consorzio
di
cooperative
sociali)
Ecco
infine
una
brevissima
riflessione
proposta
da
un
intervistato
sempre
su
questa
specifica
figura
professionale.
Gli
OSS
vanno
bene
così
come
sono
come
competenze,
anche
se
devono
integrarle
con
le
nostre
aspettative
e
filosofia
di
comunità.
In
questo
momento
stiamo
qualificando
come
OSS
gli
educatori.
Gli
infermieri
tout
court
non
ci
servono
per
tutto
il
giorno,
ma
solo
per
quando
devono
dare
le
terapie
due‐
tre
volte
al
giorno
o
per
altri
casi
più
spot”.
(Direttore
di
comunità
di
recupero)
La
figura
dell’animatore
è
stata
segnalata
in
modo
quasi
trasversale
alla
gran
parte
dei
soggetti
della
cooperazione,
in
particolare
per
l’area
dei
servizi
alla
prima
infanzia
e
per
quella
degli
anziani.
Figure
nuovamente
considerate
come
molto
utili
nelle
cooperative
di
tipo
B
sono
il
responsabile
dell’inserimento
lavorativo
e
il
tutor
dell’inserimento
lavorativo,
figure
queste
delicate
nella
complessità
12
generale
se
riferita
all’ingresso
nel
mercato
del
lavoro
di
risorse
umane
particolari.
A
questo
proposito
da
un
intervistato
è
stata
proposta
peraltro
una
riflessione
piuttosto
significativa.
“Il
rischio
è
che
le
cooperative
di
tipo
B
siano
una
sorta
di
ghetto.
(…)
Se
le
persone
sono
brave
e
finiscono
il
loro
percorso
con
successo,
possono
anche
trovare
lavoro
in
esterno.
Ma
i
numeri
più
consistenti
sono
relativi
a
coloro
che,
alla
fine,
lavorano
solo
grazie
al
fatto
che
sono
inseriti
in
una
cooperativa”.
(Referente
di
un
Consorzio
di
cooperative
sociali)
Sempre
lo
stesso
intervistato
aggiunge
anche
un’ulteriore
riflessione
sulla
figura
delle
operatrici
di
asili
nido,
rilevante
e
piuttosto
ricercata,
specie
se
in
grado
di
superare
alcune
rigidità,
frutto
forse
di
alcune
carenze
teorico‐pratiche
nei
programmi
universitari
di
provenienza:
Altre
figure
importanti
sono
le
operatrici
che
lavorano
negli
asili
nido
e
negli
asili
bambini‐bambine.
Sono
figure
a
metà
tra
assistenziale
ed
educativo.
Per
poter
lavorare
in
un
asilo
nido
ci
vuole
o
il
diploma
magistrale
(o
altro
tiolo
equivalente)
o
la
laurea
in
Scienze
della
Formazione
Primaria.
Spesso
poi
ci
sono
casi
di
ragazze
che
non
sono
disponibili
a
lavorare
con
0‐3
anni
o
con
disabili
o
che
comunque
si
dimostrano
rigide
nei
confronti
di
alcune
situazioni
specifiche.
Le
figure
professionali
nell’area
dei
servizi
socioassistenziali
e
socioeducativi
Educatori
professionali,
divenuti
tali
a
seguito
di
corsi
di
formazione
professionale
(peraltro
ormai
datati)
o
di
frequenza
a
percorsi
mirati
di
tipo
universitario.
Alcuni
intervistati
hanno
osservato
come
i
giovani
che
iniziano
a
fare
questa
specifica
professione
hanno
le
idee
un
poco
confuse
in
merito,
in
particolare
per
la
convinzione
che
il
possesso
della
laurea
(che
ormai
è
titolo
necessario)
sia
direttamente
correlata
allo
svolgimento
fin
dall’inizio
di
compiti
di
responsabilità
e
di
alto
livello.
Educatori
(definiti
dagli
intervistati
come
“educatori
non
professionali”),
figure
piuttosto
significative
specie
per
le
cooperative
sociali
di
tipo
A.
Spesso
si
tratta
di
professionisti
che
hanno
maturato
anche
un’esperienza
specifica
con
determinate
tipologie
di
utenza,
imparando
quindi
più
di
altri
a
gestirli.
Da
molti
intervistati
è
stato
sottolineato
come
dovrebbero
esistere
norme
che
rendano
comunque
obbligatori
il
possesso
di
alcuni
requisiti,
ad
esempio
titoli
di
studio
mirati
o
esperienza
pregressa:
cfr.
il
caso
degli
educatori
nei
campi
estivi,
per
cui
è
sufficiente
essere
maggiorenni
e
avere
un
diploma
di
scuola
secondaria
di
secondo
grado,
come
un
intervistato
ha
criticamente
sottolineato.
Operatore
Socio
Sanitario,
che
è
una
figura
professionale
ritenuta
fondamentale,
specie
nei
casi
di
attività
rivolte
ad
un’utenza
disabile
o
anziana.
Quel
che
è
stato
soprattutto
sottolineato
è
la
poca
utilità,
all’interno
delle
cooperative
di
tipo
A,
degli
infermieri
tout
court,
se
non
nei
soli
momenti
della
somministrazione
delle
terapie.
A
questo
proposito
da
molte
interviste
è
infatti
emersa
la
necessità
di
poter
disporre
di
figure
polifunzionali
(ad
esempio
sanitarie
e
contemporaneamente
riabilitativo‐
educative).
Animatore,
professione
segnalata
in
modo
quasi
trasversale
da
alcuni
soggetti
della
cooperazione,
in
particolare
per
l’area
della
prima
infanzia
e
per
quella
degli
anziani.
Dalle
osservazioni
fatte
su
tale
figura
dai
diversi
intervistati,
essa
sembra
però
essere
più
ricercata
dalle
strutture
di
tipo
riabilitativo.
Assistente
sociale
Responsabili
dell’inserimento
lavorativo
e
Tutor
dell’inserimento
lavorativo,
figure
queste
ritenute
molto
utili
specie
nelle
cooperative
di
tipo
B,
dato
il
compito
delicato
cui
devono
sovrintendere.
Operatrici
di
asili
nido,
figure
rilevanti
e
piuttosto
ricercati,
specie
se
in
grado
di
superare
alcune
rigidità,
frutto
forse
di
alcune
carenze
teorico‐pratiche
a
livello
di
programmi
universitari,
quali
ad
esempio
la
frequente
indisponibilità
a
lavorare
con
soggetti
disabili.
13
Nuove
figure
professionali
e
nuovi
bisogni
Dalle
interviste
sono
emerse
anche
alcune
figure
professionali
ad
oggi
non
ancora
diffuse,
ma
non
per
questo
meno
significative;
alcune
sono
state
inoltre
segnalate
da
più
di
un
referente
e
comunque
indicate
come
opportune
in
generale,
specie
se
riferite
a
specifiche
tipologie
di
realtà
locali.
Un
primo
caso
è
stato
segnalato
da
un
consorzio
di
cooperative
con
riferimento
ai
minori
stranieri.
I
flussi
che
di
recente
hanno
interessato
l’Italia,
e
che
si
presume
non
siano
destinati
a
diminuire
nei
prossimi
anni,
motivano
infatti
la
richiesta
di
educatori
di
comunità
e
di
mediatori
culturali
in
particolare
per
questa
specifica
tipologia
di
utenti.
Più
nello
specifico
si
dovrà
trattare
di:
“Professionisti
capaci
di
gestire
minori
e
di
lavorare
in
équipe
nelle
comunità
di
accoglienza
di
questa
specifica
tipologia
di
utenti.
Per
questo
tipo
di
servizi
è
davvero
difficile
trovare
persone
formate
e
non
mi
pare
che
gli
educatori
di
per
sé
abbiano
competenze
specifiche
con
riferimento
ai
minori
problematici.
La
mediazione
culturale
è
pure
un
servizio
da
integrare
con
il
precedente,
la
cui
formazione
è
al
momento
curata
da
strutture
tipo
la
Caritas”.
(Referente
Consorzio
di
cooperative
sociali)
Un
altro
intervistato
ha
sottolineato
il
bisogno
di
figure
professionali
della
mediazione
e
della
facilitazione:
“Potrebbero
essere
previste
o
in
affiancamento
agli
educatori
o
come
una
specializzazione
degli
educatori
professionali
stessi;
c’è
un
elevato
bisogno
di
professionisti
che
sappiano
includere
e
sostenere
gli
adolescenti
nel
percorso
personale
di
strutturazione
dell’autonomia”.
(Direttore
di
area
in
fondazione
di
tipo
religioso)
Sono
stati
poi
ricordati
come
decisamente
rilevanti
i
mediatori
e
gli
orientatori
al
lavoro,
considerati
dagli
intervistati
i
primi
come
operatori
di
sportello,
i
secondi
come
soggetti
che
intervengono
nelle
relazioni
con
le
aziende.
“Queste
figure
dovrebbero
essere
un
poco
più
trasversali.
Ad
esempio
in
un
nostro
progetto
abbiamo
da
fare
interventi
su
una
trentina
di
disoccupati
cinquantenni
area
grigia;
sono
persone
che
da
sole
non
riescono
a
trovare
lavoro.
Il
grosso
del
lavoro
è
di
orientamento,
bilancio
di
competenze,
mediazione
al
lavoro.
Anche
in
questo
caso
abbiamo
costruito
una
figura
multifunzionale.
Io
faccio
fatica
a
distinguere
tra
orientatore
e
mediatore:
ci
vorrebbe
anche
qui
una
figura
trasversale,
dotata
di
molta
dinamicità.
Se
no
si
rischia
che
i
servizi
non
servano
a
nulla
e
non
producano
effetti
concreti.
E
poi
nei
giornali
si
legge
che
l’orientamento
non
serve
a
nulla
perché
le
persone
non
trovano
lavoro
tramite
i
servizi
pubblici!!
L’orientatore
deve
saper
leggere
una
busta
paga,
deve
sapere
cose
che
vanno
oltre
il
suo
ruolo
stretto.
Ma
non
è
davvero
pensabile
che
queste
figure
non
siano
flessibili
e
con
competenze
multiple,
correlate
ovviamente
alle
competenze
del
proprio
ruolo”.
(Presidente
di
un
Consorzio
di
cooperative
sociali)
“Con
riferimento
ai
mediatori
al
lavoro,
(generalmente
psicologi
o
educatori),
è
necessario
che
abbiano
un
approccio
non
assistenziale
ma
manageriali:
questo
perché
il
loro
compito
è
quello
di
inserire
persone
nel
mondo
del
lavoro,
non
di
fare
assistenzialismo.
Spesso
poi
si
trovano
mediatori
al
lavoro
che
sanno
poco
sia
della
sfera
aziendale,
sia
del
settore
sociale:
sono
super
partes,
quando
invece
dovrebbero
essere
esperti
di
entrambi
questi
ambiti”.
(Presidente
di
una
cooperativa
sociale
di
tipo
B)
14
Sempre
questo
intervistato
ha
notato
anche
come
sia
piuttosto
raro
trovare
educatori
di
genere
maschile
(fatto
questo
segnalato
anche
da
un
altro
rispondente
della
parte
strutture
socio‐sanitarie),
che
invece
sarebbero
utili
per
svolgere
mansioni
in
cui
è
utile
sia
farsi
valere
con
determinate
categorie
di
utenti
(es.
minori
a
rischio
maschi),
sia
avere
forza
fisica
(per
gestire
specifiche
tipologie
di
utenza).
Da
più
parti
è
stato
inoltre
auspicato
lo
sviluppo
della
figura
dei
professionisti
con
competenze
manageriali
e
gestionali
(da
qualcuno
definiti
manager
di
impresa
sociale):
“In
alcune
strutture
(cooperative)
piccolo‐medie
servono
manager
di
impresa,
anche
proprio
per
la
pianificazione
e
gestione
di
risorse
umane
e
finanziarie”.
(…)
“Manager
turistici
sono
richiesti
per
poter
gestire
strutture
turistiche,
in
cui
potrebbero
comunque
lavorare
soci
di
cooperative
sociali.
Questo
richiede
ai
manager
stessi
competenze
correlate
al
tipo
di
lavoratori
da
gestire”
(Consigliere
all’interno
di
un
Consorzio
di
cooperative)
“Con
riferimento
agli
aspetti
manageriali
e
gestionali,
servirebbero
persone
capaci
di
gestire
strutture
di
qualsiasi
tipo,
dall’albergo
all’aeroporto:
so
che
sono
esempi
estremi,
ma
il
fatto
è
che
se
venisse
proposta
la
gestione
di
parte
di
servizi
collegati
a
settori
come
questo
‐
cosa
non
impossibile
‐
ad
oggi
non
sarebbe
realistico
accettare.
In
sintesi
estrema
servono
risorse
che
ne
sappiano
di
sviluppo
strategico”.
(Presidente
di
una
cooperativa
sociale
di
tipo
B)
Collegati
a
questi
sono
anche
i
tecnici
di
specifiche
tipologie
di
produzione
che
potrebbero
essere
utili
nelle
cooperative
per
implementare
le
competenze
ed
ampliare
così
le
opportunità
di
sbocchi
nel
mercato:
“Al
di
fuori
del
settore
sociosanitario
servirebbero
specializzazioni
anche
tipo
tecnico
di
produzione,
se
si
porteranno
le
coop
a
lavorare
in
settori
quali
quello
dei
pannelli
solari
(green
economy),
considerando
che
pure
in
questo
campo
ci
saranno
aperture
future.
Anche
i
nuovi
standard
per
lo
smaltimento
rifiuti
potrebbero
diventare
interessanti
per
il
futuro”.
(Consigliere
all’interno
di
un
Consorzio
di
cooperative)
Questo
intervistato
ha
aggiunto
anche
due
ulteriori
considerazioni
estremamente
interessanti.
“Alle
imprese
sociali
manca
anche
la
cultura
alla
comunicazione
istituzionale
e
al
marketing,
che
dovrebbero
essere
integrate.
La
dice
lunga
il
fatto
che
all’interno
della
nostra
organizzazione
di
tre
consorzi
uno
abbia
un
proprio
sito
ormai
superato,
un
altro
lo
stia
facendo
solo
ora,
mentre
il
terzo
non
lo
abbia
ancora
previsto”.
“Sarebbero
da
preventivare
investimenti
sulle
figure
accennate
in
precedenza.
Alcune
potrebbero
essere
anche
acquisite
come
liberi
professionisti,
anche
in
co‐working.
Nei
settori
della
green
economy
ci
sono
poi
anche
persone
che
con
il
mondo
sociale
potrebbero
interagire
senza
particolari
problemi,
proprio
per
la
mentalità
che
hanno.
Sono
quindi
settori
da
esplorare
anche
per
la
comunanza
di
filosofia
che
hanno
entrambi
alla
base.”
Sempre
nel
campo
dello
sviluppo,
un
altro
referente
ha
segnalato,
oltre
all’opportunità
di
monitorare
le
varie
attività
che
nei
prossimi
anni
verranno
esternalizzate
dai
comuni,
anche
l’importanza
di
poter
disporre
di:
“una
segreteria
tecnica
che
sappia
tenere
sotto
controllo
i
bandi
e
fare
progetti,
con
un’organizzazione
adeguata
che
permetta
sia
un’efficace
comunicazione
interna,
sia
soprattutto
il
coinvolgimento
dei
diversi
settori
interni
per
la
definizione
e
composizione
della
proposta
finale”.
(Direttore
di
area
in
fondazione
di
tipo
religioso)
15
Un
aspetto
sottolineato
da
un
rispondente
è
correlato
alla
necessità
di
risorse
formate
sui
DSA
(Disturbi
Specifici
di
Apprendimento),
per
cui
peraltro
un
consorzio
di
cooperative
ha
espressamente
previsto
e
realizzato
un
percorso
formativo
mirato
per
24
interni,
e
sui
BES
(Bisogni
Educativi
Speciali).
In
particolare
con
riferimento
a
questi
ultimi,
che
sono
previsti
da
due
norme
(una
del
dicembre
del
2012
e
la
seconda
del
marzo
2013),
è
attualmente
in
corso
di
definizione
la
figura
del
“Tecnico
dell’apprendimento
per
alunni
con
BES,
un
esperto
nell’ambito
didattico‐pedagogico,
una
risorsa
che
incrementa
ed
arricchisce
la
rete
dei
sostegni
all’integrazione
ed
inclusione
scolastica.
Agisce
da
intermediario
tra
il
bambino,
la
famiglia
e
la
scuola,
lavorando
in
sinergia
con
le
varie
figure
specialistiche,
si
inserisce
in
una
più
ampia
visione
del
contesto
d’apprendimento,
entro
il
quale
assume
importanza
non
solo
l’apprendimento
in
sé,
ma
l’autostima,
la
motivazione
ad
apprendere,
l’autonomia,
le
relazioni
interpersonali.
Progetta
e
realizza
in
sinergia
con
la
scuola,
un
lavoro
mirato
a
ridurre
e/o
annullare
il
deficit
di
autonomia,
utilizzando
a
tal
fine
i
vari
strumenti
compensativi.
Dialoga
con
le
varie
figure
specialistiche
per
relazionare
sull’andamento
scolastico,
sulle
strategie
di
studio
adottate,
sul
vissuto
psicologico
del
bambino,
per
avere
indicazioni
sulle
strategie
di
intervento
idonee
nelle
varie
fasi
della
vita
scolastica
dello
studente
con
DSA.
Per
fare
ciò
mantiene
contatti
periodici
con
lo
specialista
che
ha
effettuato
la
diagnosi,
con
la
scuola
e
la
famiglia.
Presenta
alla
famiglia
i
software
esistenti,
illustrandone
le
caratteristiche
in
termini
di
differenti
funzioni
offerte”.
Ultima
figura
indicata
da
un
intervistato
è
stata
quella
del
terapista
occupazionale.
Si
tratta
concretamente
di
una
figura
nuova,
piuttosto
complessa
e
caratterizzata
da
interventi
che
mettano
i
diretti
interessati
nella
condizione
di
partecipare
in
modo
consapevole
e
attivo
alle
attività
della
vita
quotidiana,
con
specifica
attenzione
a
quelle
relative
alla
sfera
professionale.
Di
seguito
è
stata
inserita
una
descrizione
degli
aspetti
più
salienti
di
questo
tipo
di
terapia
specifica,
che
permettono
di
avere
un’idea
del
profilo
del
terapista
professionale.
“La
terapia
occupazionale
utilizza
il
termine
occupazione
per
catturare
l’ampiezza
ed
il
significato
delle
"attività"
in
cui
l’uomo
è
impegnato,
che
strutturano
la
vita
di
tutti
i
giorni
e
contribuiscono
alla
salute
e
al
benessere.
L'impegno
in
occupazioni,
come
centro
dell'intervento
di
terapia
occupazionale,
coinvolge
sia
gli
aspetti
soggettivi
(emozionali
e
psicologici)
che
quelli
oggettivi
(fisicamente
osservabili)
della
performance.
(…)
I
terapisti
occupazionali
usano
spesso
i
termini
occupazione
e
attività
in
modo
intercambiabile
per
descrivere
la
partecipazione
nelle
attività
della
vita
quotidiana,
Una
persona
può
essere
considerata
indipendente
quando
svolge
o
dirige
le
azioni
necessarie
per
partecipare,
a
prescindere
dal
grado
e
dal
tipo
di
assistenza
richiesta
o
desiderata.
In
contrasto
con
le
definizioni
riduttive
di
indipendenza,
i
terapisti
occupazionali
considerano
una
persona
indipendente
se
svolge
da
solo
le
attività,
le
svolge
in
ambienti
adattati
o
modificati,
fa
uso
di
vari
ausili
o
strategie
alternative
o
supervisiona
lo
svolgimento
dell’attività
da
parte
di
altri
(AOTA,
2002a).
Le
occupazioni
sono
spesso
condivise
e
quando
coinvolgono
due
o
più
individui
possono
essere
definite
co‐occupazioni;
Ad
esempio
prestare
cura
ad
una
persona
è
una
co‐occupazione
che
coinvolge
la
partecipazione
attiva
da
parte
del
caregiver
e
di
chi
riceve
le
cure.
(…)
I
terapisti
occupazionali
sono
quindi
interessati
non
solo
alle
occupazioni
ma
anche
alla
complessità
dei
fattori
che
favoriscono
e
rendono
possibile
l’impegno
e
la
partecipazione
delle
persone
in
occupazioni
positive
per
la
promozione
della
salute.
Da
qui
deriva
il
concetto
di
giustizia
occupazionale
(Townsend)
che
rappresenta
il
diritto
delle
persone
di
avere
pari
opportunità
di
partecipare
nelle
occupazioni
in
cui
esse
decidono
di
impegnarsi.
Per
garantire
la
giustizia
occupazionale,
la
terapia
occupazionale
pone
attenzione
ai
fattori
etici,
morali
e
civici
che
possono
favorire
od
ostacolare
l’impegno
salutare
in
occupazioni
e
la
partecipazione
alla
vita
dentro
e
fuori
casa,
impegnandosi
per
16
migliorare
le
politiche
sociali,
gli
atti
e
le
leggi
che
permettano
alle
persone
di
impegnarsi
nelle
occupazioni
che
danno
1
scopo
e
significato
alla
propria
vita”. Nuove
figure
professionali
per
nuovi
bisogni
Educatori
di
comunità
e
mediatori
culturali
per
minori
stranieri
Mediatori
e
facilitatori
in
generale
per
l’inclusione
sociale
di
adolescenti
problematici
(figure
in
affiancamento
agli
educatori
o
forma
di
loro
specializzazione)
Mediatori
(considerati
equiparabili
agli
operatori
di
sportello)
e
orientatori
al
lavoro
(figure
di
relazione
con
le
aziende)
Educatori,
specificamente
di
genere
maschile,
perché
poco
diffusi
ma
indispensabili
per
la
gestione
di
determinate
tipologie
di
utenti
(ad
esempio
adolescenti
problematici)
Manager
di
impresa
sociale
(genericamente
professionisti
con
competenze
manageriali
e
gestionali)
Tecnici
di
specifiche
tipologie
di
produzione
in
settori
di
mercato
(es
green
economy)
in
cui
le
cooperative
sociali
potrebbero
trovare
sbocchi
nuovi
di
mercato
Esperti
di
comunicazione
e
di
marketing
Esperto
nel
reperimento
di
bandi
e
nella
progettazione
correlata,
con
capacità
organizzative
e
gestionali
Tecnico
dell’apprendimento
per
alunni
con
BES
(figura
in
fase
di
definizione)
Operatore
dell’assistenza
(in
particolare
di
soggetti
senza
fissa
dimora)
Operatore
esperto
in
attività
acquatico‐psicomotorie
Terapista
occupazionale,
figura
piuttosto
complessa
che
attua
interventi
per
utenti
non
in
condizione
di
partecipare
in
modo
consapevole
e
attivo
alle
diverse
attività
della
vita
quotidiana,
con
specifica
attenzione
a
quelle
relative
alla
sfera
professionale.
Qualche
breve
riflessione
sui
fabbisogni
formativi
In
merito
alle
questioni
legate
alle
attività
formative,
la
traccia
di
intervista
utilizzata
ha
permesso
di
evidenziare
in
particolare
tre
sintetiche
considerazioni.
La
prima
è
quella
che
riguarda
la
parte
di
percorsi
formativi
obbligatori
per
legge,
ad
esempio,
per
le
cooperative
sociali:
si
tratta
in
questo
caso
essenzialmente
di
corsi
centrati
sulla
sicurezza
nei
luoghi
di
lavoro,
sulla
sicurezza
alimentare,
sulla
privacy,
sulle
norme
antincendio
ed
è
standard
per
le
differenti
strutture.
Questa
tipologia
di
formazione
viene
organizzata
direttamente
dalla
Cooperativa
per
tutto
il
personale,
in
base
alle
diverse
mansioni
svolte.
Accanto
alla
formazione
obbligatoria
ne
esiste
però
una
quota
ulteriore,
che
varia
in
base
alle
attività
specifiche
relative
alle
attività
svolte
dalle
strutture
stesse;
tale
quota
è
concretamente
curata
non
solo
dalle
cooperative,
ma
anche
da
eventuali
altri
soggetti
cui
queste
ultime
offrono
servizi
per
cui
possono
essere
necessarie
integrazioni
di
contenuto.
La
seconda
è
riconducibile
invece
al
percorso
che
sarà
avviato
a
breve
sulla
figura
dell’Animatore
Socio‐
Educativo.
Alcune
affermazioni
che
sono
state
rilevate
in
sede
di
intervista
fanno
pensare
che
ancora
non
sia
stata
fatta
chiarezza
su
contenuto
ed
obiettivi
del
percorso;
ciò
in
quanto:
• c’è
chi
ravvisa
nel
percorso
l’opportunità
tout
court
di
“mettere
a
posto”
il
proprio
personale
interno
che,
pur
trovandosi
in
posizioni
anche
elevate
nella
struttura
di
appartenenza
non
possiede
1
Estratto
da
http://www.terapiaoccupazionale.it/riv1a000066.htm.
17
•
•
un
titolo
di
studio
adeguato
al
ruolo
professionale,
con
le
conseguenti
ripercussioni
sull’accreditamento
delle
strutture;
c’è
chi
invece,
oltre
a
quanto
sopra,
si
pone
il
problema
di
quale
sarà
alla
fine
la
figura
che
ne
deriverà
concretamente:
come
già
detto,
se
da
molti
è
già
considerata
equipollente
a
quella
dell’educatore,
per
altri
è
invece
percepita
come
di
livello
inferiore;
c’è
chi
si
domanda
infine,
come
già
accennato
in
precedenza,
come
contemperare
l’esigenza
di
mandare
in
formazione
le
persone
che
devono
adeguare
il
proprio
titolo
di
studio
con
i
carichi
di
lavoro
quotidiano,
tenendo
conto
che
le
diverse
strutture,
a
seconda
dell’area
in
cui
sono
inserite,
possono
avere
quote
anche
elevate
di
personale
da
riqualificare.
La
terza
infine
va
nella
direzione
degli
oneri
connessi
alle
attività
formative
ed
è,
in
un
certo
senso,
correlata
alla
precedente.
E’
stato
infatti
osservato
come
i
percorsi
formativi
che
vengono
attivati
in
chiave
di
sanatoria
non
sempre
permettono
di
mettere
a
posto
tutte
le
situazioni,
specie
se
le
edizioni
dei
corsi
non
vengono
previste
tenendo
conto
degli
aspetti
quantitativi
reali,
ossia
del
numero
di
utenti
da
formare.
Risultato
di
quanto
sopra
è
che
l’adeguamento
del
personale
a
determinati
profili
richiesti
dal
mercato,
se
non
può
essere
completato
in
occasione
degli
stessi
percorsi‐sanatoria,
rischia
di
rimanere
un
onere
a
carico
esclusivo
della
struttura.
Dovrebbe
quindi
essere
preventivata
una
riflessione
sulle
quote
effettivamente
necessarie,
con
loro
identificazione
certa
a
priori,
in
modo
da
non
avere
poi
cambiamenti
imprevisti
a
posteriori.
Quali
previsioni
per
il
futuro?
Sono
sembrate
molto
significative
alcune
riflessioni
proposte
dagli
intervistati
rispetto
alle
previsioni
per
il
futuro.
Volutamente
sono
stati
riportati
i
brani
tratti
da
alcune
interviste,
senza
alcun
commento.
“Negli
ultimi
anni
ci
sono
stati
piccoli
aumenti.
Dovremo
fare
i
conti
con
gli
scatti
dei
nuovi
OSS;
avremo
magari
assunzioni
nuove
per
far
fronte
al
fisiologico
turn
over
(specie
per
le
maternità,
che
mediamente
riguarda
una
dozzina
di
persone
all’anno).
Pensionamenti
in
vista
non
ce
ne
sono:
i
più
vecchi
di
noi
hanno
mediamente
15
anni
di
lavoro.
Uno
solo
andrà
forse
in
pensione
fra
due
anni
e
forse
qualcuno
che
si
occupa
di
anziani.
Per
il
resto
il
personale
è
giovane,
comunque
lontano
da
pensionamenti.
In
realtà
però
servirebbe
una
forza
giovane
nuova
da
inserire
nelle
coop
per
evitare
che
domini
una
mentalità
solo
dei
cinquantenni
che
al
momento
rappresentano
la
parte
ai
vertici”.
(Presidente
consorzio
di
cooperative
sociali)
“Noi
nel
2012
abbiamo
chiuso
il
bilancio
in
attivo.
Apparentemente
non
abbiamo
risentito
della
crisi.
Contemporaneamente
è
però
cresciuto
il
costo
del
personale,
con
l’applicazione
del
contratto.
Gli
importi
degli
appalti
non
sono
però
cresciuti,
anzi
si
sono
ridotti.
Ad
esempio
per
i
servizi
educativi
se
un
comune
aveva
da
spendere
X,
l’anno
dopo
nella
migliore
delle
ipotesi
aveva
la
stessa
cifra.
Avendo
però
noi
aumentato
il
costo
del
personale,
per
noi
tutto
questo
significa
riduzione
del
margine.
Noi
nel
2008
eravamo
330‐350
persone.
In
questi
anni
però
tutto
il
personale
che
non
era
socio
e
che
era
a
tempo
determinato
è
stato
lasciato
a
casa.
Quindi
abbiamo
perso
unità
lavorative
e
chi
è
rimasto
si
è
visto
ridurre
le
ore.
L’anno
per
noi
peggiore
è
stato
il
2009,
con
grosse
perdite
e
tagli
sia
del
personale,
sia
dei
costi
in
generale.
Per
il
2014
prevediamo
o
di
rimanere
stabili
o
di
ridurre
forse
ancora
un
poco.
Non
è
grave
come
è
successo
in
altri
anni
la
contrazione
da
parte
dei
comuni
o
delle
ASL
del
proprio
budget:
in
realtà
però
a
volte
gli
enti
stanziano
la
stessa
cifra
per
un
numero
di
servizi
che
magari
comunque
vengono
ridotti.
La
cosa
strana
è
che
in
certi
settori
(tipo
l’assistenza
domiciliare)
questo
significherebbe
che
o
la
gente
è
guarita
o
piuttosto
le
famiglie
hanno
trovato
più
vantaggioso
assumere
una
badante
in
nero.
18
La
spending
review
porta
i
comuni
sempre
più
a
impedire
il
proprio
turn
over:
quindi
dovranno
sempre
più
esternalizzare
i
servizi.
Questo
porta
da
un
lato
ad
avere
più
occasioni,
dall’altro
i
servizi
vengono
appaltati
con
gare
dove
vincono
soggetti
a
cui
forse
non
interessano
molto
alcuni
aspetti.
Aggiungo
poi
che
ci
sono
comuni
che
chiudono
i
bilanci
ad
aprile
e
altri
che
li
stanno
chiudendo
ora
che
siamo
in
novembre”.
(Amministratore
Delegato
di
un
consorzio
di
cooperative
sociali)
“Come
previsioni
in
questo
momento
non
di
sviluppo,
ma
di
difesa
delle
posizioni
raggiunte.
Il
nostro
modo
di
lavorare
è
comunque
quello
giusto,
se
continuano
ad
esserci
donazioni
da
parte
di
pazienti
che
sono
stati
assistiti.
Ci
sono
per
contro
anche
i
cosiddetti
oneri
di
beneficienza,
che
consistono
in
quote
che
la
nostra
struttura
mette
di
cassa
propria
per
integrare
eventuali
necessità
di
una
persona
(ossia
paga
la
retta
di
persone).
In
genere
queste
uscite
sono
colmate
da
donazioni,
che
superano
questi
oneri”.
(Responsabile
della
formazione
e
tirocini
in
struttura
privata
convenzionata)
“Per
il
2014
sono
previsti
due
nuovi
dipendenti.
Aumenteranno
invece
i
liberi
professionisti,
perché
stanno
aumentando
i
pazienti.
Abbiamo
introdotto
da
poco
4
medici.
Abbiamo
bisogno
di
uno
(forse
anche
due)
infermieri
che
si
affianchino
ai
due
già
esistenti
che
supervisionano
tutte
le
terapie.
Queste
sono
persone
che
lavorano
anche
sabato
e
domenica,
quindi
non
sarà
facile
trovarlo.”
(Vice
Presidente
di
associazione
di
volontariato
in
ambito
sanitario)
“Ogni
anno
riusciamo
a
far
fronte
al
turn
over
e
ad
aggiungere
una
o
due
risorse
all’anno.
Tutti
a
tempo
indeterminato
e
a
tempo
pieno.
Abbiamo
anche
qualcuno
a
tempo
parziale
o
in
co.co.co.
e
simili:
magari
sono
utili
per
fare
i
turni
di
notte”.
(Direttore
di
comunità
di
recupero)
“Come
numeri
di
assunzione
noi
non
abbiamo
nel
2014
nuove
aperture.
Sicuramente
non
retrocediamo
dai
numeri
attuali.
Non
ho
personale
prossimo
alla
pensione.
Quindi
tendenzialmente
devo
essere
lineare:
assicureremo
sempre
alle
attuali
persone
che
ho
la
remunerazione.
Qualche
cambiamento
ci
può
essere
(qualche
maternità
o
qualche
dimissione
da
rimpiazzare),
ma
tutto
dovrebbe
rimanere
per
il
2014
come
è
ad
oggi”.
(Direttore
struttura
privata
convenzionata)
“Oggi
non
è
davvero
possibile
fare
previsioni
di
assunzioni.
Si
può
pensare
al
turn
over,
che
però
sono
molto
bassi
di
per
sé.
Un
po’
perché
abbiamo
la
fortuna
di
avere
diversificato
molto:
se
una
persona
è
logorata
riusciamo
a
riqualificarlo
e
spostarlo
senza
problemi
facendo
tutto
al
nostro
interno”.
(Responsabile
dello
sviluppo
di
un
consorzio
di
cooperative
sociali)
“Riusciremo
a
coprire
il
turn
over
normale
(malattie,
pensionamenti
e
maternità);
ora
come
ora
non
so
nemmeno
se
riuscirò
a
mantenere
i
posti
di
lavoro
del
2013.
Potrebbe
essere
semplicemente
un
accompagnamento
alla
pensione
per
qualcuno,
però
non
rimpiazzato”.
(Amministratore
Delegato
struttura
privata
convenzionata)
“Non
ci
sono
previsioni
di
nuove
assunzioni.
Contiamo
di
mantenere
i
posti
del
2013.
Avremo
da
coprire
il
turn
over,
anche
se
da
noi
è
molto
basso
(2%
del
totale
degli
addetti)
ed
è
dovuto
o
a
trasferimenti
in
altri
territori
o
a
maternità.
Nelle
coop
che
fanno
inserimento
lavorativo
auspichiamo
invece
una
discreta
crescita
(+
20‐30
addetti,
che
non
saranno
tutte
nuove
posizioni,
ma
qualcuna
recuperata
da
aziende
in
crisi)”
(Consigliere
di
un
consorzio
di
cooperative
sociali)
19
Le
previsioni
per
il
futuro
Aspetti
correlati
ai
costi
e
agli
appalti
• Aumento
del
costo
del
personale
• Correlata
riduzione
del
margine
• Riduzione
degli
appalti
Fabbisogni
professionali
Fabbisogni
professionali
dichiarati
essenzialmente
per:
• la
copertura
del
turn
over
fisiologico
(qualche
pensionamento
e
qualche
maternità),
comunque
basso
non
per
• un
vero
e
proprio
ricambio
‘generazionale’
della
forza
lavoro
Contratti
a
tempo
indeterminato
• minor
ricorso
a
contratti
a
tempo
indeterminato,
• ricorso
a
contratti
a
tempo
determinato
o
in
altre
forme
di
rapporto
di
lavoro
a
termine
(es.
a
progetto,
co.co.co.,
ecc.)
Stabilità
versus
precarietà
• La
conferma
degli
organici
definiti
nel
2013
per
il
2014,
quindi
la
stabilità,
è
già
un
successo
• La
tendenza
generale
in
atto
è
quella
di
difendere
le
posizioni
ad
oggi
raggiunte,
cercando
di
contrastare
così
la
crisi.
Alcune
riflessioni
conclusive
I
dati
e
le
informazioni
che
sono
stati
presentati
nelle
parti
precedenti
renderebbero
plausibile,
a
questo
punto
del
rapporto,
la
stesura
delle
tradizionali
conclusioni,
in
modo
che
il
processo
avviato
sia
con
l’individuazione
del
quadro
di
riferimento,
sia
con
la
raccolta
effettuata
su
campo
abbia
un
momento
di
sintesi
e
di
riflessione
complessiva.
In
realtà
parlare
di
conclusioni
in
questa
sede
è
forse
poco
opportuno
e,
per
certi
versi,
non
del
tutto
corretto.
Il
campo
delle
professioni
sociali
è
infatti
caratterizzato,
come
si
può
intuire
facilmente:
• da
contorni
non
ben
definiti,
se
si
esclude
solo
la
macro
classificazione
che
crea
la
separazione
tra
le
professioni
sanitarie
e
quelle
sociali
e
socio‐sanitarie,
• da
figure
simili
(es
gli
Educatori
Professionali
o
gli
Operatori
Socio
Sanitari)
che,
a
seconda
del
campo
in
cui
svolgono
le
proprie
attività,
possono
dover
avere
caratteristiche
diverse
o
dover
assolvere
a
ruoli
differenti,
anche
plurimi.
Alla
luce
delle
risultanze
della
ricerca
pare
più
opportuno,
piuttosto,
proporre
alcune
considerazioni
aperte
all’avvio
di
una
riflessione
con
la
finalità
di:
1. ridenominare
in
modo
più
opportuno
l’Area
21
del
Repertorio;
2. riclassificare
le
figure
professionali
inserite
in
tale
area;
3. proporre
l’inserimento
di
alcune
nuove
figure
professionali;
20
1. Ridenominare
in
modo
più
opportuno
l’Area
21
del
Repertorio
Per
quanto
riguarda
il
primo
punto,
relativo
alla
denominazione
dell’Area
21
del
Repertorio,
la
rilevazione
ha
confermato
la
valutazione
diffusa
presso
gli
interlocutori
istituzionali
e
il
gruppo
di
ricerca
fin
dall’avvio
dell’indagine,
in
merito
alla
necessità
di
individuare
una
etichetta
di
riferimento
più
adeguata
a
rappresentare
le
diverse
componenti
che
caratterizzano
il
comparto
delle
professioni
sociali
e
sociosanitarie.
L’attuale
denominazione
“Servizi
socio
sanitari”,
infatti,
è
del
tutto
inappropriata
visto
che
si
riferisce
ad
una
sola
delle
sue
componenti.
Sulla
base
delle
osservazioni
raccolte
dagli
interlocutori
istituzionali
con
i
quali
è
stato
condiviso
il
percorso
di
ricerca
e
delle
considerazioni
effettuate
dai
soggetti
intervistati
alcune
proposte
sostitutive
potrebbero
essere
le
seguenti:
• Sociale
e
socio‐sanitaria
• Sociale,
socio‐educativa
e
socio‐sanitaria
• Servizi
sociali,
socio‐sanitari
ed
educativi
(che
parrebbe
la
più
completa
fra
le
tre
proposte)
2. Riclassificare
le
figure
professionali
inserite
in
tale
area
Con
riferimento
invece
agli
altri
punti,
osservando
le
figure
inserite
nel
Repertorio
si
nota
come
abbiano
alcuni
punti
di
contatto
che
permettono
di
costruire
delle
macro
aree
(almeno
cinque)
per
una
loro
riclassificazione:
1. l’area
della
mediazione
e
della
facilitazione,
che
definirebbe
un
primo
gruppo
di
figure
professionali
che
producono
relazioni
di
tipo
esogeno,
in
quanto
tramite
tra
le
varie
categorie
di
utenza
e
il
“contesto”
o
i
contesti
di
riferimento
(del
lavoro,
dell’autonomia
personale,
dell’inclusione
sociale,
ecc.);
2. l’area
dell’assistenza
(familiare,
domiciliare,
sociale),
che
raggrupperebbe
tutte
le
figure
professionali
che
hanno
relazioni
con
diversi
utenti
per
supportarli
o
per
sostenerli
all’interno
del
proprio
nucleo
o
comunque
nella
propria
sfera
di
vita,
con
un
rapporto
di
relazione
diretta
tra
chi
assiste
e
chi
riceve
assistenza.
Le
relazioni
prodotte
sono
in
questo
caso
di
tipo
endogeno;
3. l’area
dell’educazione
e
dell’animazione;
4. l’area
sociosanitaria,
nella
quale
andrebbe
ricompresa
fondamentalmente
la
figura
dell’Operatore
Socio
Sanitario
(OSS)
e,
quando
concretamente
prevista
come
profilo
in
uscita
di
percorsi
formativi,
dell’Operatore
Socio
Sanitario
con
formazione
complementare
in
Assistenza
Sanitaria
(OSS‐S);
5. l’area
organizzativo‐gestionale.
21
3. Proporre
l’inserimento
di
alcune
nuove
figure
professionali
Nel
prospetto
che
segue
viene
proposta
la
riconduzione
delle
figure
dell’Area
21
del
Repertorio
alle
macro
classi
elencate
in
precedenza.
Prospetto
1
–
Le
figure
dell’area
21
del
Repertorio
Ligure
ricondotte
alla
proposta
di
cinque
sub‐aree
Area
della
Area
dell’assistenza
Area
dell’educazione
Area
sociosanitaria
Area
organizzativo‐
mediazione
e
della
e
dell’animazione
gestionale
facilitazione
Facilitatore
sociale
Assistente
all’infanzia
Animatore
socio‐
educativo
Operatore
Socio
Sanitario
(OSS)
Responsabile
di
strutture
socio‐
assistenziali
residenziali
e
semiresidenziali
Mediatore
familiare
Assistente
familiare
Arteterapeuta
in
strutture
socio‐
sanitarie
ed
educative
Mediatore
interculturale
Mediatore
penale
minorile
Assistente
sociale
Musicoterapista
Operatore
del
servizio
inserimento
lavorativo
per
persone
disabili
in
situazione
di
svantaggio
Operatore
del
servizio
orientamento
per
persone
disabili
in
situazione
di
svantaggio
Tutor
per
l’inserimento
lavorativo
di
fasce
deboli
in
laboratori
protetti
Operatore
Socio
Sanitario
con
formazione
complementare
in
assistenza
sanitaria
(OSS‐S)
Educatore
professionale
Tecnico
qualificato
di
clownerie
in
strutture
socio‐sanitarie
Nel
successivo
prospetto
sono
state
invece
ripetute
quelle
ufficiali
del
Repertorio,
integrate
con
le
figure
emerse
dalle
interviste,
già
esistenti
o
anche
semplicemente
auspicate
dai
rispondenti.
22
2
Prospetto
2
–
Proposta
di
un
nuovo
repertorio
che
includa
anche
le
nuove
figure
professionali
indicate
Area
della
mediazione
Area
Area
dell’educazione
Area
sociosanitaria
Area
organizzativo‐
e
della
facilitazione
dell’assistenza
e
dell’animazione
gestionale
Facilitatore
sociale
Assistente
all’infanzia
Animatore
socio‐
educativo
Operatore
Socio
Sanitario
(OSS)
Mediatore
familiare
Assistente
familiare
Arteterapeuta
in
strutture
socio‐
sanitarie
ed
educative
Mediatore
interculturale
Assistente
sociale
Musicoterapista
Operatore
Socio
Sanitario
con
formazione
complementare
in
assistenza
sanitaria
(OSS‐S)
Educatore
professionale
Mediatore
penale
minorile
Custode
sociale
Educatore
Operatore
del
servizio
inserimento
lavorativo
per
persone
disabili
in
situazione
di
svantaggio
Operatore
del
servizio
orientamento
per
persone
disabili
in
situazione
di
svantaggio
Tutor
per
l’inserimento
lavorativo
di
fasce
deboli
in
laboratori
protetti
Tutor/Responsabile
dell’inserimento
lavorativo
(generico)
Mediatore
culturale
per
minori
stranieri
Operatore
dell’assistenza
per
soggetti
senza
fissa
dimora
Animatore
Operatore
di
Pet
Therapy
Esperti
di
gestione
di
bandi/progetti
e
di
fund
raising
Ippoterapeuta
Educatore
di
comunità
per
stranieri
Tecnico
dell’apprendimento
per
alunni
con
BES
(2)
Operatore
esperto
in
attività
acquatico‐
psicomotorie
Tecnico
qualificato
di
clownerie
in
strutture
socio‐sanitarie
Responsabile
di
strutture
socio‐assistenziali
residenziali
e
semiresidenziali
Coordinatore
(per
strutture
socio‐sanitarie
e
sanitarie)
(1)
Manager
di
impresa
sociale
Esperti
di
comunicazione
e
marketing
di
impresa
sociale
Tecnici
di
specifiche
tipologie
di
produzione
(es.
Green
Economy)
Mediatore
e‐o
facilitatore
per
l’inclusione
sociale
di
adolescenti
problematici
Mediatore
al
lavoro
(equiparabile
agli
operatori
di
sportello)
Orientatore
al
lavoro
(con
specifiche
attività
di
relazione
con
le
aziende)
Terapista
occupazionale
(1) Questa,
pur
se
indicata
da
almeno
due
intervistati
come
una
figura
professionale,
è
forse
più
corretto
considerarla
come
una
specializzazione
di
altra
figura
base,
nello
specifico
o
infermiere
professionale
o
OSS
(anche
OSS‐S).
(2) Questa
figura
potrebbe
forse
anche
stare
nel
gruppo
dei
mediatori
e
facilitatori,
visto
l’ambito
della
sua
attività
2
E’
possibile
che
la
percezione
della
più
o
meno
ampia
diffusione
delle
figure,
così
come
espressa
dai
rispondenti,
non
corrisponda
alla
situazione
effettiva.
Nel
Prospetto
2
le
figure
già
contenute
nel
Repertorio
sono
in
carattere
blu,
quelle
non
inserite
nel
Repertorio
ma
comunque
citati
dagli
intervistati
come
significativi
sono
in
carattere
verde,
quelle
poco
diffuse
o
anche
solo
auspicate
sono
in
carattere
rosso.
23
Dalle
precedenti
riflessioni
e
dal
contenuto
dei
due
Prospetti
costruiti,
si
può
ricavare
quanto
segue.
1. La
prima
classificazione
proposta
sembra
sovrapporsi
efficacemente
alle
figure
presenti
nel
Repertorio,
registrando
più
presenze
nell’area
della
mediazione
e
della
facilitazione
(del
resto
forse
quella
oggettivamente
più
ampia
per
le
varie
sfumature
che
la
connotano)
e
con
un
solo
caso
in
quella
Organizzativo‐Gestionale,
dove
peraltro
l’unica
figura
indicata
potrebbe
essere
anche
o
ricondotta
ad
una
delle
precedenti,
ovviamente
dopo
averla
rinominata,
oppure
trasferita
ad
altre
aree
(a
titolo
puramente
esemplificativo
in
quella
definita
“Organizzazione
e
gestione
risorse
umane”).
2. La
seconda
classificazione,
come
si
può
notare,
ha
avuto:
a. con
riferimento
alle
figure
già
esistenti
(in
verde)
una
maggiore
concentrazione
nell’area
dell’educazione
e
dell’animazione,
presenza
singola
in
altre
tre
classi
e
assenza
completa
in
quella
sociosanitaria;
b. per
quanto
riguarda
invece
quelle
poco
o
per
nulla
diffuse
(in
rosso)
una
affluenza
cospicua
e
pressoché
paritaria
nelle
aree
della
mediazione
e
della
facilitazione,
educazione
e
animazione
e
in
quella
organizzativo‐gestionale;
un
solo
caso,
infine,
è
riscontrabile
nell’area
dell’assistenza,
mentre
nuovamente
non
si
sono
avuti
casi
in
quella
sociosanitaria.
3. Per
quel
che
concerne
le
professioni
indicate
dagli
intervistati
come
poco
o
per
nulla
diffuse,
si
osserva
come
siano
–
con
le
sole
eccezioni
del
Terapista
Occupazionale,
del
Tecnico
dell’apprendimento
per
alunni
con
Bes
e
dell’Operatore
esperto
di
attività
acquatico‐psicomotorie
–
forse
più
correttamente
definibili
come
specializzazioni
di
altre
già
esistenti
e
non
come
nuove
figure
professionali:
si
considerino
i
casi,
ad
esempio,
del
mediatore
culturale
per
minori
stranieri,
specializzazione
del
mediatore
culturale,
oppure
degli
educatori
di
comunità
per
stranieri
e
quelli
professionali
di
solo
genere
maschile,
che
appartengono
al
macro
gruppo
degli
educatori
professionali.
4. Infine
si
rileva
che
il
caso
del
coordinatore
per
strutture
socio‐sanitarie
e
sanitarie
è
in
realtà
definibile
più
propriamente
una
competenza,
non
una
figura
professionale;
per
questo
motivo
è
da
tenere
in
considerazione
come
un
bisogno
possibile,
ma
non
come
un
profilo
da
ricondurre
al
Repertorio3.
Nel
Prospetto
1,
classificate
in
base
ad
alcune
macroaree
indicate
nella
prima
colonna
(mediazione,
assistenza,
educazione,
socio‐sanitario,
organizzazione
e
gestione,
area
‘grigia’
per
quelle
non
riconducibili
a
nessuna
delle
precedenti)
sono
state
inserite
tutte
le
figure
contenute
nel
rapporto
(cf.
seconda
colonna
contenente
i
loro
nomi),
,
specificando
inoltre
per
ciascuna:
• la
presenza
nel
Repertorio
Ligure
delle
Figure
Professionali
(terza
colonna),
• la
segnalazione
fatta
da
uno
o
più
intervistati
durante
il
contatto
con
il
team
di
ricerca
(quarta
colonna)
• la
presenza
nel
Repertorio
delle
professioni
di
ISFOL
(quinta
colonna).
3
Questo
aspetto
consiglierebbe
anche
una
chiarificazione
di
concetti
come
conoscenze,
abilità,
competenze
e
figure
professionali,
in
modo
da
non
incorrere
in
confusioni
sia
terminologiche,
sia
di
vero
e
proprio
contenuto.
24
In
questo
modo,
a
colpo
d’occhio,
è
possibile
avere
alcune
informazioni
macro
tipo:
• le
figure:
o presenti
esclusivamente
nel
Repertorio
Ligure
(es.
facilitatore
sociale),
o emerse
soltanto
dalle
interviste
(es.
mediatore
culturale
per
minori
stranieri)
o previste
solo
dal
repertorio
ISFOL
(es.
assistente
domiciliare
o
sociologo);
• le
figure
rilevabili
contemporaneamente
nel
Repertorio
Ligure
(mediatore
interculturale)
e
in
quello
ISFOL
(es.
mediatore
culturale,
peraltro
con
molta
probabilità
analogo
a
quello
interculturale);
• le
figure
emerse
dalle
interviste
e
contenute
in
un
solo
Repertorio,
come
il
caso
del:
o mediatore
familiare,
indicato
dagli
intervistati
e
presente
nel
Repertorio
Ligure;
o l’assistente
familiare,
citato
dai
rispondenti
e
presente
nel
Repertorio
ISFOL;
• le
figure
emerse
dalle
interviste
e
contenute
in
entrambi
i
Repertori,
come
nei
casi
de:
o l’Assistente
Sociale,
l’Educatore
Professionale
e
l’Operatore
Socio
Sanitario.
25
Prospetto
3
–
Le
figure
professionali
contenute
nell’indagine,
classificate
per
macro
aree,
ricondotte
ai
Repertori
Ligure
e
ISFOL
e/o
emerse
dalle
interviste
condotte
con
i
diversi
testimoni
qualificati
26