Sintesi_area `21` del Repertorio
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Sintesi_area `21` del Repertorio
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA Scuola di Scienze Sociali SCUOLA DI SCIENZE SOCIALI L’area ‘21’ del Repertorio: servizi sociali, socio‐sanitari ed educativi Executive Summary Marzo 2014 ____________________________________________________________________ 1 Introduzione Il settore dei servizi sociali e sociosanitari, nonostante la pesante riduzione di risorse, continua a costituire un importante bacino occupazionale ed un interessante laboratorio di innovazione sul piano delle competenze, delle modalità di lavoro e delle professionalità in campo, anche a seguito dei nuovi percorsi formativi avviati nel corso degli ultimi anni. Le competenze e le professionalità che operano in questo settore, in ogni caso, sono da sempre associate a connotati di marginalità e di precarietà, anche a fronte dell’estrema instabilità dei percorsi di impiego e di crescita professionale che connotano l’azione degli operatori. Nell’assenza di un coordinamento nazionale, infatti, l’estremo dinamismo e la tensione all’innovazione che caratterizzano questo settore si sono tradotti nella proliferazione di moltissime figure professionali, assai spesso eterogenee da regione a regione in quanto a denominazioni e profili formativi. A distanza di oltre dieci anni dall’emanazione della L. 328/2000 che pure dedicava uno specifico articolo (cfr. art. 12) alle figure professionali del sociale e mirava alla definizione a livello nazionale di tutti i principali profili afferenti a quest’area, il panorama delle professioni sociali contempla ad oggi pochissime figure professionali di rilievo nazionale: quella dell’operatore socio‐sanitario (OSS), una figura di base per la cura e l’assistenza alla persona che si forma nel canale della formazione professionale regionale con mille ore dopo l’espletamento dell’obbligo scolastico; assistente sociale ed educatore professionale, che richiedono una laurea triennale (anche se i relativi percorsi biennali di formazione magistrale sono attivati in molte università); psicologo, che necessita di una laurea magistrale; e sociologo. Accanto a questi profili di livello nazionali, inoltre, operano molte figure professionali con qualifica di livello regionale, nate in risposta ad esigenze di qualificazione degli operatori ritenute significative sul piano locale ma che pongono, evidentemente, problemi di spendibilità del titolo formativo acquisito in contesti territoriali diversi da quello di formazione. L’interesse specifico per i fabbisogni occupazionali e formativi di questo settore in Liguria è stato inoltre attestato dalla avvenuta costituzione del Polo formativo delle professioni del sociale, come esito di una collaborazione tra gli Assessorati alla Formazione, al Welfare ed alla Salute di Regione Liguria, le quattro Province liguri, l’Università degli Studi di Genova, l’Ufficio Scolastico Regionale, Cgil, Cisl, Uil, Lega delle Cooperative, Confcooperative, Agci, Anaste, Uneba, Aris, Agidae, Anffas e Fenascop. L’intesa, in particolare, è stata finalizzata alla messa a sistema dell’offerta territoriale dei percorsi di istruzione e formazione indirizzati alle figure professionali operanti nel sistema integrato di interventi e servizi sociali, così come definito dalla L. 328/2000. A partire dagli elementi di contesto appena richiamati, dagli obiettivi generali del progetto Il Laboratorio delle professioni di domani e nell’ambito delle attività previste per l’anno 2013, è stata quindi avviata un’indagine – coordinata da Agenzia Liguria Lavoro e realizzata dal Dipartimento di Economia della Scuola di Scienze Sociali dell’Università di Genova – con l’obiettivo di mettere a disposizione di Regione Liguria specifici elementi di conoscenza sulle dinamiche evolutive delle professioni nel settore sociale e sociosanitario a livello regionale e di fornire dati attendibili ed aggiornati rispetto alle dinamiche evolutive che caratterizzano questo settore in merito ai fabbisogni occupazionali e formativi. Il percorso di indagine è stato realizzato utilizzando tre modalità di acquisizione delle informazioni, autonome ma fortemente integrate: • una ricostruzione quantitativa del contesto attraverso la raccolta, l’analisi e la sistematizzazione dei dati statistici disponibili, dei rapporti di ricerca e delle indagini mirate (in connessione con quanto avviene a livello nazionale, in particolare con ISFOL); • il confronto e la raccolta di informazioni tramite interviste con una pluralità di testimoni privilegiati, tra cui i membri del Polo formativo delle professioni del sociale (Regione Liguria; 2 • Provincia di Genova; Provincia di Imperia; Provincia di La Spezia; Provincia di Savona; Università degli Studi di Genova; Ufficio scolastico regionale per la Liguria; Cgil; Cisl; Uil; Lega delle Cooperative; Confcooperative; Agci; Anaste; Uneba; Aris; Agidae; Anfass; Fenascop) e i responsabili delle aree funzionali interessate di Regione Liguria. Tali soggetti hanno anche partecipato ad una pluralità di incontri per la definizione delle fasi del percorso di indagine e la sua validazione; la conduzione di interviste semistrutturate con responsabili di enti, imprese, cooperative sociali e consorzi operativi nel settore sociale e sociosanitario a livello regionale, indicate di volta in volta dai vari testimoni qualificati come significative rispetto alla loro rappresentatività del settore e alla varietà di attività svolte. Contenuto del rapporto di ricerca Il rapporto di ricerca sulle professioni del sociale di cui questo documento costituisce l’Executive Summary si compone di tre Capitoli e di tre Allegati. Nel capitolo 1 – Professioni e cooperazione nel settore sociale: analisi delle principali caratteristiche attraverso alcuni studi e ricerche recenti sono state raccolte le informazioni disponibili nel Registro Regionale del Terzo Settore oltre ad alcuni estratti significativi provenienti da studi e ricerche condotti di recente: • sia da parte di istituzioni di livello nazionale come ISFOL e ISTAT; • sia da parte di altri soggetti di livello regionale, come il Centro di Sviluppo dell’Economia Sociale. Nel capitolo 2 – La ricerca sulle professioni del sociale in Liguria, si propongono i risultati derivati sia dai contatti attivati con soggetti istituzionali, sia dalla indagine condotta su campo presso un campione di enti, cooperative sociali e consorzi attivi nel settore sociale e sociosanitario ligure. L’indagine ha fatto emergere alcune specificità che caratterizzano la diffusione delle figure professionali nei processi e nelle attività a marcata connotazione sociosanitaria e riabilitativa da una parte, e in quelli a più evidente connotazione socioassistenziale e socioeducativa, dall’altra. Per tale ragione i risultati di ricerca sono articolati in due paragrafi distinti che riprendono questa specificità. Il capitolo 3 – Alcune riflessioni “conclusive” sistematizza i risultati dell’analisi e articola alcune proposte relative alla riconfigurazione dell’Area 21 del Repertorio ligure delle figure professionali sia nei termini di una nuova denominazione sia in merito alle figure professionali da includere in questa parte del Repertorio, alla luce delle risultanze della ricerca. L’Allegato 1 propone una selezione ragionata di norme nazionali e regionali che sono state inserite o perché richiamate direttamente dai soggetti intervistati durante la ricerca perché utili per inquadrare e comprendere aspetti e peculiarità del settore in generale. L’Allegato 2 è stato pensato sia per definire alcuni ‘concetti’ base dell’area del ‘sociale’ (es. Terzo Settore, Cooperative Sociali, Impresa Sociale, ONLUS, ONG), sia per descrivere brevemente le principali peculiarità di alcuni soggetti attivi in essa (es. Lega delle Cooperative, Confcooperative, Federsolidarietà), in modo che anche un lettore non appartenente al settore in analisi, se interessato, potesse comunque orientarsi senza problemi. L’Allegato 3 contiene una breve descrizione delle figure inserite nell’Area 21 del Repertorio Ligure delle Figure Professionali. 3 Le figure professionali nel settore sociale e socio‐sanitario Il rapporto ISFOL segnala le principali figure professionali che operano nel settore sociale e socio‐sanitario: • Addetto all’infanzia con funzioni educative; • Assistente domiciliare; • Assistente familiare; • Assistente sociale; • Assistente socio‐sanitario; • Educatore professionale; • Mediatore culturale; • Operatore inserimento lavorativo; • Operatore prima infanzia (addetto comunità infantili); • Operatore socio‐sanitario; • Psicologo; • Sociologo; • Tecnico della mediazione sociale. Il Rapporto ISFOL segnala alcuni trend strutturali che caratterizzano questo comparto: • il numero persone addette alle professioni sociali nel nostro paese ha ormai superato il milione di unità; • il lavoro sociale è prevalentemente svolto da donne; • una parte consistente degli operatori che si occupano di anziani e giovani ha cittadinanza straniera, specialmente con riferimento al lavoro di cura svolto a domicilio; • il numero di occupati era più alto, al Nord Ovest, per le professioni qualificate nei servizi sanitari, al Nord Est, per l’assistenza personale negli istituti; al Centro, per la categoria dei collaboratori domestici/assimilati; al Sud e Isole, per le categorie degli assistenti sociali/assimilati e degli addetti alla sorveglianza di bambini/assimilati. Le organizzazioni indicate dai testimoni qualificati e contattate dai ricercatori sono risultate appartenere a tutti gli ambiti operativi del macro settore “sociale e sociosanitario”. La focalizzazione sul tema dei fabbisogni occupazionali e delle figure professionali, in ogni caso, ha fatto emergere alcune specificità con riferimento a due sub‐aree, nelle quali i processi operativi e i servizi assumono una connotazione più marcata della componente: • socio‐sanitaria e riabilitativa; • socio‐assistenziale ed educativa. Le figure professionali nei processi d’azione a più marcata connotazione socio‐ sanitaria e riabilitativa In questo primo ambito le figure professionali impiegate richiamano più esplicitamente competenze e background nelle quali la componente sanitaria è rilevante, pur in un quadro di riferimento che è quello sociosanitario. Si tratta spesso di organizzazioni private che gestiscono strutture di tipo riabilitativo, nei diversi comparti dei servizi agli anziani ed alle persone disabili. Nel secondo caso, invece, è la componente sociale che assume un riferimento prioritario, sia con riferimento a servizi di tipo assistenziale sia in strutture e servizi di tipo educativo e si tratta più frequentemente di organizzazioni che appartengono al Terzo settore. 4 Nelle strutture di tipo riabilitativo, in particolare, a parte gli psicologi e le professioni legate alla sfera specificamente medica (psichiatri, geriatri, internisti, terapisti della riabilitazione, fisioterapisti, logopedisti infermieri professionali, considerando i casi più comuni), sono presenti infatti: • Educatori, inseriti in aree connotate da problematiche differenti (psichiatrica, disabilità, anziani); • Animatori • OSS Accanto a queste figure professionali è stata raccolta la segnalazione di una ulteriore figura professionale, quella del Coordinatore, sulla quale si proporranno alcune riflessioni tese a sottolineare la valenza di competenza più che di figura professionale associabile a questa indicazione. Con riferimento alla figura dell’educatore le riflessioni proposte hanno riguardato prima di tutto il livello di preparazione, diffusamente reputato valido; in secondo luogo l’oggetto delle analisi degli intervistati su questo tema si è concentrato sui percorsi pregressi di preparazione degli educatori professionali e sulla forte esigenza di prevederne anche di integrativi, in modo da equipararli tutti, soprattutto quelli svolti in periodi differenti e con durate molto varie. Il tutto con qualche difficoltà, come si rileva ad esempio dalle seguenti affermazioni: “Per noi la figura professionale dell’educatore è fondamentale, la base è buona, compresa quella data ai vari laureati in SDF, vecchio ordinamento. La loro base è comunque buona per fare agevolmente alcune integrazioni. Sono stati meno efficaci forse con quelli che hanno fatto la riqualificazione di un anno, meglio quelli che l’hanno fatta per tre anni”. (Referente formazione e tirocini in struttura privata convenzionata) “Abbiamo 4 educatori che hanno fatto il percorso regionale di educatori (vecchio corso di 3 anni che ha creato problemi per il riconoscimento); gli altri sono laureati. Oggi sappiamo bene che l’Assessore Rossetti privilegia i laureati di Scienze Pedagogiche” (Direttore struttura privata convenzionata) “Mi ricordo il percorso di 6 mesi per formare gli educatori, voluto anni fa dalla Regione: a mio avviso la stessa Regione dovrebbe a questo punto fare un percorso integrativo per questi professionisti, visto che ce ne sono ancora e che il loro titolo non ha molto valore. Al limite anche il riconoscimento di crediti per fare un percorso che colmi le lacune del titolo, tenendo anche conto di tutta la formazione integrativa che queste persone, nelle strutture dove hanno lavorato e lavorano, hanno fatto. (…). So del corso IFTS che partirà a breve, ma ho la sensazione che la figura finale sarà sotto quella dell’educatore, come livello finale contrattuale”. (Amministratore Delegato di struttura privata convenzionata) “Invece l’educatore professionale per noi è stato un problema. Per anni non abbiamo trovato educatori: ne abbiamo ma senza la qualifica di professionale”. (Amministratore Delegato di struttura privata convenzionata) In merito agli animatori, il concetto spesso sottolineato è la loro poca spendibilità di questa figura professionale nelle strutture nel caso in cui questi operatori non possano mostrare comunque altre competenze professionali, più tipiche delle professioni sociosanitarie come ad esempio saper individuare l’insorgenza di un problema di salute nell’utenza con cui si devono rapportare quotidianamente. “Noi tendenzialmente abbiamo la seguente politica: se abbiamo bisogno di un animatore, prendiamo un OSS e lo formiamo come animatore. Non ci serve un puro animatore, anzi è più utile un OSS che in base ad una sua personale vocazione fa anche l’animatore. 5 (…) Noi abbiamo bisogno di persone che sappiano riconoscere anche qualche segnale medico, visto che l’animatore è a contatto con il paziente ed è quello che deve passare le prime informazioni eventuali sulla salute del paziente al medico”. (Direttore struttura privata convenzionata) “Noi abbiamo soprattutto bisogno che le persone non dicano che una parte del lavoro richiesto non compete: se un paziente ha bisogno di essere accompagnato in bagno, un animatore non deve dire che non lo fa perché non gli compete. In generale non esiste proprio che una persona si connoti rigidamente con un ruolo non derogabile, in ambito di comunità”. (Referente formazione e tirocini in struttura privata convenzionata) Il mondo degli operatori socio sanitari (OSS) è quello su cui maggiormente questi intervistati hanno espresso idee ed opinioni. Per prima cosa è importante distinguere tra gli infermieri e OSS: “Il profilo OSS è stato molto difficile da gestire. (…) Noi ci troviamo fra i NAS che richiedono infermieri professionali e l’OSS che soltanto se è insieme all’infermiere può somministrare farmaci per legge (ma i NAS in casi così possono comunque sanzionare, perché non riconoscono l’OSS come somministratore qualificato). Per risolvere questo problema bastava che la norma prevedesse la somministrazione semplice dei farmaci: per questo si parla della terza ‘esse’, ossia di un operatore socio‐sanitario con specializzazione integrativa su argomenti quali terapie, intramuscolo, nozioni base di farmacologia”. (Responsabile del personale in struttura privata convenzionata) “(…) Gli infermieri sono riconosciuti, in particolare dalle strutture psichiatriche, come figure riabilitative, a differenza dell’OSS che sono invece considerate assistenziali”. (Amministratore Delegato di struttura privata convenzionata) Ma soprattutto gli OSS, a differenza degli infermieri, potrebbero essere (o forse sarebbe più corretto dire che dovrebbero essere) specializzati anche in altre funzioni integrative, utili alle strutture. “Noi integriamo le sue competenze magari facendo leva su sue abilità pregresse (esempio un OSS che ne sa di musica). La nostra visione è questa: per stare a contatto con il paziente, nel caso dell’animazione che ha tante sfaccettature, io non posso pensare ad un OSS puro. Se ad una figura così importante come è l’OSS noi non abbiniamo altri percorsi formativi, la figura è monca. Non è detto che sia solo la parte istrionica che deve emergere. Magari quella persona è timida ma è un ottimo organizzatore o gestore delle procedure. Se per contro la persona è estroversa, forse vale la pena sviluppare questa vocazione, perché così facendo miglioro anche la tua percezione del lavoro”. (Direttore struttura privata convenzionata) Sulla base di quanto emerso in precedenza, gli stessi intervistati hanno poi proposto ulteriori considerazioni sulla facilità/difficoltà a trovare queste figure professionali (o anche altre, più di base, come emerge proprio dal primo estratto di intervista proposto), sull’impatto che la riqualificazione degli OSS ha provocato in generale nelle strutture e sull’utilità di ulteriori percorsi formativi per potenziarne le competenze. “A seconda dei periodi ci sono carenze di alcune figure: in alcuni anni mancavano gli infermieri, in altri gli educatori. Oggi mancano gli ASA OSS (figura di base). Consiglierei l’Assessore di puntare su questa figura, anche se so che con l’IFTS qualcosa sta facendo. Le carenze sono nella figura base ASA OSS, mentre infermieri e simili sono sufficienti. In questi ultimi due anni la Regione ha interrotto la formazione di base degli ASA OSS e ha puntato di più sulla qualifica. Noi siamo facilitati anche dal fatto che le selezioni a volte le facciamo dalla regione della nostra casa madre contigua alla Liguria, perché ci sono persone che sono disposte a trasferirsi. A volte anche dal meridione abbiamo avuto trasferimenti di personale adatto alle nostre esigenze. 6 Fra l’altro i nostri pazienti richiedono al personale attitudine all’ascolto, molta pazienza: io sto molto attento a selezionare infermieri che abbiano anche altre capacità di relazione. Questo perché nella nostra struttura i pazienti entrano e magari ci passano la vita intensa, perché recuperano ma non guariscono. Come istituto noi cerchiamo anche di fornire degli strumenti per acquisire queste esigenze”. (Direttore struttura privata convenzionata) “Il pubblico ha scaricato il costo degli OSS sui privati, facendo riqualificare le persone con la formazione pubblica che poi ha migliorato la qualifica di questi professionisti, che così costano di più per i privati, che sono peraltro obbligati ad assumerli. Noi avremmo bisogno anche di figure tipo gli assistenti familiari, cioè più basse degli OSS”. (Responsabile del personale in struttura privata convenzionata) “E’ necessario definire il ruolo del soggetto che vive accanto al paziente in una pluralità di dinamiche, quindi non solo l’OSS. Serve una figura polifunzionale. Se ci deve essere, come è, la parte di animazione, l’animatore deve essere già OSS. Diversamente la persona non riesce a cogliere tutte le sfaccettature del paziente”. (Direttore struttura privata convenzionata) “Mentre è molto semplice trovare un OSS che abbia lavorato con anziani, è difficilissimo trovare persone che sappiano lavorare o abbiano lavorato con i disabili. Per le nostre necessità noi partiamo da persone che ora hanno un titolo (una volta non era così) e che comunque dobbiamo formare noi per la parte sulle disabilità; spesso proprio le persone (gli stessi OSS) non hanno mai avuto a che fare con i disabili. E’ poi vero che statisticamente è più facile lavorare con anziani che con disabili (ci sono 200 strutture per anziani, a fronte di 10 per disabili). Noi chiediamo ad esempio che le persone che lavorano con disabili facciano una prova di due settimane, per capire se riescono a lavorare con i casi complessi che abbiamo (pazienti violenti, autolesionisti, ecc.)”. (…) “Ho bisogno di un educatore professionale che sappia fare l’animatore: la riabilitazione dei nostri ragazzi passa attraverso il gioco e quindi chi li assiste dovrebbe essere formato a questo. Anche l’OSS dovrebbe avere l’integrazione dell’animatore: è utile che un animatore sappia cogliere eventuali segnali di malessere delle persone con cui interagisce. (…) Per gli anziani manca la figura dell’animatore: noi abbiamo oggi un gruppo stabile con tre animatori, che abbiamo faticato molto a mettere insieme. (…) Questi percorsi integrati sono quelli di cui abbiamo forse più bisogno. La formazione integrata per queste figure in Italia esiste, solo che a mia conoscenza la fanno soltanto in Basilicata e non nelle altre regioni. La fanno a distanza, ma ogni tanto bisogna andare nel posto per fare prove ed esami”. (Amministratore Delegato di struttura privata convenzionata) Infine, una ‘figura’ (definita così in sede di intervista anche se sarebbe più corretto inquadrarla come una competenza) segnalata come decisamente utile e da potenziare in prospettiva è quella del coordinatore che, come si potrà osservare, potrebbe provenire o dall’area infermieristica o dal percorso della ex Facoltà di Scienze della Formazione. “Se è di un reparto di disabili, magari complessi e avanti con gli anni, generalmente la struttura mette ‐ dopo il personale religioso‐ dei coordinatori infermieri perché prevale la parte sanitaria. In altri casi abbiamo visto che la competenza necessaria è anche quella dei laureati in SDF e in pedagogia. Questo perché la parte sanitaria veniva delegata agli infermieri professionali che sono in reparto, la parte di organizzazione viene ‘imparata’, ma la parte più significativa è quella educativa. Per la parte anziani invece è vitale il coordinamento fatto da infermieri. Per gli infermieri diventare coordinatori è più semplice, perché basta dopo la laurea triennale fa la specialistica e arriva così a poter prendere il coordinamento (erano le vecchie caposala). 7 Questa figura sul mercato non esiste e se anche esistesse sarebbe comunque necessario integrare con alcuni aspetti, quali ad esempio il carisma. Ad oggi non è una figura molto definita, per fortuna perché così possiamo formarle come le desideriamo. Serve anche che abbia competenze in dinamiche di gruppo e di organizzazione”. (Responsabile della formazione e dei tirocini in struttura privata convenzionata) Il coordinatore è anche un esempio di punto di arrivo in un percorso interno di carriera, per alcune strutture, anche se con qualche precisazione: “Quelli standardizzati sono sicuramente per infermieri, fisioterapisti, educatori e OSS. Per cui Le figure che, nella nostra struttura, vogliono eccellere (infermieri, fisioterapisti, educatori e OSS) e ambiscono quindi a diventare coordinatori necessariamente devono sostenere un percorso formativo di master universitario. Il fisioterapista che diventa coordinatore, dopo la laurea triennale, ha completato gli studi con il master. L’infermiere professionale che vuole diventare coordinatore, e così l’educatore, devono fare il master. Noi supportiamo quelli che lo vogliono fare, se e solo se il percorso di studi che intendono fare è peraltro compatibile con il nostro lavoro; su questo siamo molto chiari fin dall’inizio con tutto il nostro personale”. (Direttore di struttura privata convenzionata) Le figure professionali nell’area dei servizi sociosanitari e riabilitativi Educatori, che in generale, a giudizio dei rispondenti, provengono da percorsi di studio (in particolare universitari) considerati di buon livello e ottima base per la loro crescita professionale, in particolare attraverso l’innesto di ulteriori competenze; Animatori, anche se la necessità di questa figura tout court è quasi nulla: gli intervistati hanno infatti sottolineato come le sue competenze siano sì importanti, ma solo se abbinate a (se non integrate con) quelle di altre figure, quali ad esempio l’Operatore Socio Sanitario; Operatori Socio Sanitari, che gli intervistati hanno precisato più volte non vadano confusi con gli infermieri, per inserirli nelle strutture con funzioni integrative (ad esempio quelle dell’animatore di cui al punto precedente). In un caso un rispondente ha sottolineato la difficoltà a reperire OSS con competenze specifiche nella gestione di soggetti colpiti da disabilità, in particolare quelli di livello grave; Coordinatori, anche se questa più che una figura professionale sarebbe forse più opportuno considerare una competenza integrativa di figure tipiche dell’area infermieristica che abbiano obiettivi di carriera. Nelle strutture analizzate sono presenti ovviamente anche altri professionisti, in particolare delle aree medica e riabilitativa: nello specifico si tratta di geriatri, psichiatri, internisti, terapisti della riabilitazione, fisioterapisti, logopedisti e infermieri professionali. Fonte: Agenzia Liguria Lavoro U.O Monitoraggio e Analisi Le figure professionali nei processi d’azione a più marcata connotazione socio‐ assistenziale e socio‐educativa In molte realtà analizzate è la componente sociale che assume un riferimento prioritario, sia con riferimento a processi lavorativi nell’ambito assistenziale sia riguardo a strutture e servizi di tipo educativo. Si tratta più frequentemente di organizzazioni che appartengono al Terzo settore, tipicamente cooperative sociali di tipo A e consorzi. Le figure citate più di frequente dagli intervistati, in questo caso, sono state: • Educatori professionali 8 • • • • • • • • Educatori (non professionali: vedi sopra) Assistenti sociali Operatori sociosanitari Animatori Responsabile dell’inserimento lavorativo Tutor dell’inserimento lavorativo Assistenti all’infanzia (in nidi e in scuole dell’infanzia) Psicologi L’educatore e l’educatore professionale dagli anni ’70 al 2000 Anni ‘70 Partono i primi corsi, con la formazione affidata tramite le Regioni alle scuole di formazione professionale. E’ questo il periodo in cui, da regione a regione, è possibile passare da un iter formativo biennale ad uno triennale, a bienni comuni per educatori ed assistenti sociali con specializzazione nel terzo anno di corso. 1984 Nasce la figura dell’educatore professionale con il D.M 10‐02‐1984 (Decreto Degan): per tale figura viene previsto a livello nazionale un iter formativo triennale universitario o professionale ed essa è inquadrata come intermedia, da Diploma Universitario o da Corso di Formazione Professionale post diploma. Da questo provvedimento sono derivate molte scuole convenzionate con le Regioni per corsi di riqualificazione e formazione, contribuendo a diversificare i percorsi didattici e la diffusione eterogenea di sedi formative sul territorio nazionale. 1989 Viene approvato il nuovo ordinamento delle scuole a fini speciali per educatori professionali, con decreto Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica. Il decreto prevede: • come titolo di ammissione il diploma di scuola secondaria superiore quinquennale; • una durata triennale, • moduli semestrali, • sedici materie obbligatorie (otto base e otto professionalizzanti) e tre opzionali, • tirocinio di 500 ore • frequenza obbligatoria per 2/3 dell’orario • rilascio di diploma abilitante dopo una trattazione su un tema scelto dallo studente Primi anni ‘90 Nasce il già accennato corso di laurea quadriennale in Scienze dell’Educazione, con tre indirizzi, uno dei quali per Educatore Professionale. 1998 Con Decreto del Ministero della Sanità n° 520 del 1998, che contiene norme per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’educatore professionale (ai sensi del D. Lgs. 502 del 30‐12‐1992), le professioni sociali vengono introdotte a livello giuridico. L’educatore professionale viene definito un profilo professionale articolato e unico, determinato dal possesso del DU abilitante per l’esercizio della professione. 2000 La L. 328/2000 all’art. 12 (“figure professionali sociali”) rinvia a successivi decreti la definizione del profili di tali figure professionali sociali. Peraltro con la riforma recente del Titolo V la competenza in questa materia è stata attribuita alle Regioni, mentre la determinazione dei principi fondamentali resta di competenza legislativa dello Stato. Le Regioni diventano così il cardine sui cui ruota il sistema delle professioni sociali. Esse incidono quindi sulla domanda di professionisti nel sociale da un alto con atti di programmazione che pianificano le politiche di intervento e l’organizzazione dei servizi, dall’altro mediante norme regionali di riordino dei servizi sociali o l’individuazione di requisiti di personale per l’autorizzazione al funzionamento e l’accreditamento dei servizi. La figura dell’educatore professionale, come spesso è emerso nel corso delle interviste e come già è stato anticipato, è risultata derivare da vari percorsi, di tipo sia formativo (attivati negli anni ’90 e con durate variabili, in un caso di 6 mesi, in un altro triennale) sia universitario (percorsi di lauree, quadriennali prima e 9 triennali poi, attivati dalle ex facoltà di Scienze della Formazione e di Medicina in forma di corsi interuniversitario e attualmente ad esclusiva regia curata da Medicina). Proprio a questo proposito però ecco cosa ha affermato un intervistato: “Noi pensiamo che l’educatore utile per strutture come la nostra sia quello che proviene da Scienze della Formazione, non dal percorso di sola Medicina. Se le persone vengono da Scienze della Formazione hanno maggiore competenza. La 502 dice che l’educatore professionale è quello che proviene da medicina: per noi questa è un’assurdità”. (Direttore di comunità di recupero) Un aspetto sottolineato da un’intervistata è che spesso i giovani che si affacciano sul mondo del lavoro per fare il mestiere di educatore non hanno completamente in chiaro in cosa potranno consistere le attività che dovranno concretamente svolgere. I giovani assunti di recente hanno tutti la laurea e quindi sono a posto. In realtà hanno bisogno di qualche chiarimento su cosa fa l’educatore. Quel che devono avere più in chiaro è che l’educatore fa il suo mestiere anche quando prepara da mangiare ad un bambino e ad un padre, di cui si deve occupare, e non dire mai che far da mangiare non è parte delle loro competenze. (Presidente di Consorzio di cooperative) Un elemento di criticità del sistema, emerso più volte nel corso delle interviste, riguarda l’adeguatezza formale dei titoli in possesso degli educatori per poter svolgere le proprie funzioni. Per anni, infatti, l’accesso di risorse professionali nel settore è stato determinato o dell’esperienza, acquisita attraverso il volontariato, o dall’appartenenza a gruppi come gli scout, o altro. Non mancano inoltre percorsi personali che hanno portato alcune persone a svolgere il ruolo di educatore dopo essere stati essi stessi utenti dei servizi, come nel caso di ex‐tossicodipendenti che, dopo avere concluso positivamente il percorso di disintossicazione, hanno proseguito il rapporto con la propria cooperativa nella veste di volontari o soci o dipendenti o presidenti. La potenziale precarietà di queste figure inserite nelle cooperative, motivata dall’essere educatori senza avere il corrispondente titolo, in ogni caso, è un problema che si prevede di risolvere (come già accaduto in passato per altre figure come ad esempio gli OSS) con un percorso formativo IFTS sull’ “Animatore Socio‐ Educativo” di prossimo avvio. E’ stato peraltro notato come il processo che riguarderà tutte queste persone sarà tutt’altro che semplice, essendo le persone da riqualificare ovviamente tutte inserite in percorsi lavorativi, quindi con scarsa disponibilità di tempo per stare in aula in modo continuativo, quanto meno come richiesto dai canoni tradizionali della formazione professionale. “Quello dell’educatore è un profilo che ha avuto varie vicissitudini e che non è mai stato definito in modo compiuto. Negli ultimi anni ci siamo orientati per scelta e disponibilità ai laureati in Scienze dell’educazione, Scienze della Formazione, mentre non abbiamo nessuno che arrivi dal percorso interuniversitario (educatore professionale). Importante anche l’IFTS di prossima partenza; è un percorso che dà comunque preoccupazione, perché si tratta di fare formazione a persone che lavorano e che non sempre possono lasciare il posto di lavoro per andare in aula. Però è anche l’occasione per regolarizzare i vecchi casi tipo ex tossicodipendenti che sono entrati nelle coop dopo aver fatto il proprio percorso, ma senza avere titoli. Noi ne abbiamo pochi, ma qualcuno potrebbe ancora esserci. Noi comunque siamo orientati ad assumere laureati: abbiamo anche laureati in pedagogia e psicologia (anche se non ne abbiamo), anche datati (Padova, Roma). Abbiamo poi alcuni educatori che non hanno titoli congruenti con il lavoro che stanno facendo, ma che sono arrivati a questo settore per percorsi personali e che magari poi hanno fatto formazione e aggiornamento di vario tipo”. (Responsabile di Consorzio di cooperative sociali) 10 Anche l’educatore (in questo caso definito dagli intervistati come “educatore non professionale”) è comunque una figura piuttosto significativa per le cooperative sociali di tipo A. Spesso si tratta di professionisti che hanno maturato anche un’esperienza specifica con determinate tipologie di utenza, imparando quindi più di altri a gestirli. “La figura di educatore non professionale ne ricomprende tante: c’è quello per i disabili, per il sostegno scolastico, per il sostegno allo studio, per l’assistenza fisica nel caso di disabili fisici, e così via. E’ una figura trasversale, quella dell’educatore non professionale. C’è anche l’assistente scolastico, che è un caso di educatore non professionale. Sono figure queste che vengono anche richieste dai bandi, anche se poi noi sappiamo che è opportuno prevederne con specifiche professionalità. Ad esempio gli accompagnatori sui bus devono avere competenze molto specialistiche: devono saper gestire dei minori, cogliere segnali di disagio, sono potenziali interfaccia con le strutture e con le famiglie. Stessa cosa se il servizio viene offerto per soggetti disabili: anche in questo caso gli accompagnatori devono avere competenze specifiche, per poter gestire situazioni complesse (es un disabile che dà in escandescenze o che attua comportamenti scorretti)”. (Presidente di un Consorzio di cooperative sociali) “A noi servono educatori, professionali o no. Poi ognuno deve essere preparato per il tipo di utenza specifica cui si dovrà rivolgere. (…)”.. (Direttore di comunità di recupero) Un caso particolare emerso nel corso della rilevazione è stato quello dell’assistente sociale con specifiche competenze di relazione verso i lavoratori delle cooperative sociali di tipo B che, in base a quanto è derivato dall’osservazione nel tempo delle proprie realtà di riferimento, risultano talvolta trovarsi in difficoltà di vario tipo. In questo periodo, ad esempio, abbiamo spesso richieste di anticipi da parte di nostri lavoratori e, anche se lo chiedono per bisogni primari, cerchiamo di dire di no. Oggi noi facciamo fronte a queste situazioni con figure classiche del settore, tipo il presidente della coop, il responsabile delle risorse umane, il responsabile degli inserimenti. Facciamo anche ricorso allo psicologo, ma quando i temi sono i soldi o la casa che rischiano di perdere, ci chiediamo quali sarebbero le figure da mettere in campo. Una figura importante potrebbe quindi essere l’assistente sociale di riferimento per i lavoratori delle coop sociali, che sono sempre più fragili (in quanto certificati come tali per loro percorsi pregressi). Uno dei nostri progetti è avere questa figura al nostro interno. Una delle figure che io vedo come necessaria (i vecchi assistenti sociali di fabbrica) perché fa funzioni di aggregatore. Potrebbe avere uno sviluppo sia nel nostro settore, sia in quello privato. L’assistente sociale che sia in grado di farsi carico della persona e/o del nucleo familiare sarebbe certamente un buon investimento per una struttura come la nostra”. (Presidente di un Consorzio di cooperative sociali) Nelle cooperative attive anche nell’ambito socio‐sanitario, in ogni caso, è stata confermata come fondamentale la figura dell’Operatore Socio Sanitario, che viene considerata come chiave specie nei casi in cui l’area di specializzazione della cooperativa riguardi l’utenza disabile o anziana. Quel che è stato soprattutto sottolineato è la poca utilità all’interno delle cooperative di tipo A degli infermieri tout court, se non nei soli momenti della somministrazione delle terapie. Viene riproposto quindi un aspetto già emerso in altre interviste, ossia la necessità di poter disporre di figure polifunzionali, come esplicitato ad esempio nel secondo contributo inserito di seguito. “Noi abbiamo bisogno di OSS/infermieri/educatori in senso ampio, con figure di contorno tipo medici, psicologi, terapisti, animatori nelle strutture per anziani. Per quanto riguarda le competenze attivabili, però entriamo in un terreno difficile da percorrere, nelle strutture che si occupano di riabilitazione (in 11 particolare quella psichiatrica) sarebbe utile che gli OSS e gli infermieri avessero anche competenze di tipo riabilitativo‐educative, non solo sanitarie. Figure così sono molto difficili da trovare, perché manca un formazione mista su argomenti come questi. A mio avviso, per scelta della Regione Liguria gli OSS sono più simili a infermieri da clinica, non persone che siano capaci di intervenire anche sulla parte extra somministrazione di farmaci o su altre di questo tipo. All’estero gli infermieri non erogano solo prestazioni relative alle patologie organiche, ma interagisce anche con il contesto educativo e psicoterapico, partecipando al processo rieducativo insieme allo psicologo o allo psichiatra. Gli infermieri tout court sono utili solo in 3‐4 momenti della giornata. In alcuni casi addirittura la struttura non somministra farmaci quotidianamente, delegando i pazienti laddove possibile o limitandola a pochi altri casi. Sarebbe utile che l’infermiere potesse acquisire ulteriori competenze, oltre a quelle già possedute. Gli infermieri tout court cominciano a non essere più molto utili. Sarebbero utili figure multifunzionali e sono spesso gli operatori che lo richiedono per primi”. (Consigliere all’interno di un Consorzio di cooperative) Ci serve una figura polifunzionale, con forti competenze in campo socio‐sanitario ma pure in accoglienza, motivazione e terapia e che sia anche capace di gestire gli utenti, ma mi viene da dire anche di agganciarli per portarli in struttura. Il problema è che per poter essere assunta questa figura deve avere la laurea, ma spesso quelli che sono più capaci di mediare con la futura utenza potenziale non hanno mai titoli di studio significativi, anzi!”. (Direttore di comunità di recupero) Ma è anche interessante la riflessione sugli OSS emersa da un’altra intervista. Nel campo assistenziale quello dell’OSS rappresenta un tema davvero complesso. Ad esempio noi abbiamo i nostri assistenti domiciliari che hanno frequentato i corsi per OSS ma che lavorano all’interno dei nostri servizi di assistenza domiciliare per cui il livello di OSS non è economicamente riconosciuto (perché l’OSS è utile nei casi di interventi socio‐sanitari, dove questa seconda parte è presente). Gli enti pubblici fanno uscire bandi di gara dove chiedono tutte le figure vari precedenti, poi chiedono anche OSS oppure persone con 3 anni di esperienza. Questi Enti dovrebbero però fare chiarezza: non possono chiedere generici per avere specialisti, solo perché non possono pagare gli specialisti. Di OSS hanno bisogno i soggetti che gestiscono servizi o strutture di tipo sociosanitario. Fra l’altro la recente riqualificazione degli OSS ha creato problemi di budget a molte strutture: chi aveva professionisti a libro paga che si sono riqualificati hanno generalmente avuto uno sballo nel budget stesso, perché gli OSS qualificati costano di più degli altri”. (Presidente di un Consorzio di cooperative sociali) Ecco infine una brevissima riflessione proposta da un intervistato sempre su questa specifica figura professionale. Gli OSS vanno bene così come sono come competenze, anche se devono integrarle con le nostre aspettative e filosofia di comunità. In questo momento stiamo qualificando come OSS gli educatori. Gli infermieri tout court non ci servono per tutto il giorno, ma solo per quando devono dare le terapie due‐ tre volte al giorno o per altri casi più spot”. (Direttore di comunità di recupero) La figura dell’animatore è stata segnalata in modo quasi trasversale alla gran parte dei soggetti della cooperazione, in particolare per l’area dei servizi alla prima infanzia e per quella degli anziani. Figure nuovamente considerate come molto utili nelle cooperative di tipo B sono il responsabile dell’inserimento lavorativo e il tutor dell’inserimento lavorativo, figure queste delicate nella complessità 12 generale se riferita all’ingresso nel mercato del lavoro di risorse umane particolari. A questo proposito da un intervistato è stata proposta peraltro una riflessione piuttosto significativa. “Il rischio è che le cooperative di tipo B siano una sorta di ghetto. (…) Se le persone sono brave e finiscono il loro percorso con successo, possono anche trovare lavoro in esterno. Ma i numeri più consistenti sono relativi a coloro che, alla fine, lavorano solo grazie al fatto che sono inseriti in una cooperativa”. (Referente di un Consorzio di cooperative sociali) Sempre lo stesso intervistato aggiunge anche un’ulteriore riflessione sulla figura delle operatrici di asili nido, rilevante e piuttosto ricercata, specie se in grado di superare alcune rigidità, frutto forse di alcune carenze teorico‐pratiche nei programmi universitari di provenienza: Altre figure importanti sono le operatrici che lavorano negli asili nido e negli asili bambini‐bambine. Sono figure a metà tra assistenziale ed educativo. Per poter lavorare in un asilo nido ci vuole o il diploma magistrale (o altro tiolo equivalente) o la laurea in Scienze della Formazione Primaria. Spesso poi ci sono casi di ragazze che non sono disponibili a lavorare con 0‐3 anni o con disabili o che comunque si dimostrano rigide nei confronti di alcune situazioni specifiche. Le figure professionali nell’area dei servizi socioassistenziali e socioeducativi Educatori professionali, divenuti tali a seguito di corsi di formazione professionale (peraltro ormai datati) o di frequenza a percorsi mirati di tipo universitario. Alcuni intervistati hanno osservato come i giovani che iniziano a fare questa specifica professione hanno le idee un poco confuse in merito, in particolare per la convinzione che il possesso della laurea (che ormai è titolo necessario) sia direttamente correlata allo svolgimento fin dall’inizio di compiti di responsabilità e di alto livello. Educatori (definiti dagli intervistati come “educatori non professionali”), figure piuttosto significative specie per le cooperative sociali di tipo A. Spesso si tratta di professionisti che hanno maturato anche un’esperienza specifica con determinate tipologie di utenza, imparando quindi più di altri a gestirli. Da molti intervistati è stato sottolineato come dovrebbero esistere norme che rendano comunque obbligatori il possesso di alcuni requisiti, ad esempio titoli di studio mirati o esperienza pregressa: cfr. il caso degli educatori nei campi estivi, per cui è sufficiente essere maggiorenni e avere un diploma di scuola secondaria di secondo grado, come un intervistato ha criticamente sottolineato. Operatore Socio Sanitario, che è una figura professionale ritenuta fondamentale, specie nei casi di attività rivolte ad un’utenza disabile o anziana. Quel che è stato soprattutto sottolineato è la poca utilità, all’interno delle cooperative di tipo A, degli infermieri tout court, se non nei soli momenti della somministrazione delle terapie. A questo proposito da molte interviste è infatti emersa la necessità di poter disporre di figure polifunzionali (ad esempio sanitarie e contemporaneamente riabilitativo‐ educative). Animatore, professione segnalata in modo quasi trasversale da alcuni soggetti della cooperazione, in particolare per l’area della prima infanzia e per quella degli anziani. Dalle osservazioni fatte su tale figura dai diversi intervistati, essa sembra però essere più ricercata dalle strutture di tipo riabilitativo. Assistente sociale Responsabili dell’inserimento lavorativo e Tutor dell’inserimento lavorativo, figure queste ritenute molto utili specie nelle cooperative di tipo B, dato il compito delicato cui devono sovrintendere. Operatrici di asili nido, figure rilevanti e piuttosto ricercati, specie se in grado di superare alcune rigidità, frutto forse di alcune carenze teorico‐pratiche a livello di programmi universitari, quali ad esempio la frequente indisponibilità a lavorare con soggetti disabili. 13 Nuove figure professionali e nuovi bisogni Dalle interviste sono emerse anche alcune figure professionali ad oggi non ancora diffuse, ma non per questo meno significative; alcune sono state inoltre segnalate da più di un referente e comunque indicate come opportune in generale, specie se riferite a specifiche tipologie di realtà locali. Un primo caso è stato segnalato da un consorzio di cooperative con riferimento ai minori stranieri. I flussi che di recente hanno interessato l’Italia, e che si presume non siano destinati a diminuire nei prossimi anni, motivano infatti la richiesta di educatori di comunità e di mediatori culturali in particolare per questa specifica tipologia di utenti. Più nello specifico si dovrà trattare di: “Professionisti capaci di gestire minori e di lavorare in équipe nelle comunità di accoglienza di questa specifica tipologia di utenti. Per questo tipo di servizi è davvero difficile trovare persone formate e non mi pare che gli educatori di per sé abbiano competenze specifiche con riferimento ai minori problematici. La mediazione culturale è pure un servizio da integrare con il precedente, la cui formazione è al momento curata da strutture tipo la Caritas”. (Referente Consorzio di cooperative sociali) Un altro intervistato ha sottolineato il bisogno di figure professionali della mediazione e della facilitazione: “Potrebbero essere previste o in affiancamento agli educatori o come una specializzazione degli educatori professionali stessi; c’è un elevato bisogno di professionisti che sappiano includere e sostenere gli adolescenti nel percorso personale di strutturazione dell’autonomia”. (Direttore di area in fondazione di tipo religioso) Sono stati poi ricordati come decisamente rilevanti i mediatori e gli orientatori al lavoro, considerati dagli intervistati i primi come operatori di sportello, i secondi come soggetti che intervengono nelle relazioni con le aziende. “Queste figure dovrebbero essere un poco più trasversali. Ad esempio in un nostro progetto abbiamo da fare interventi su una trentina di disoccupati cinquantenni area grigia; sono persone che da sole non riescono a trovare lavoro. Il grosso del lavoro è di orientamento, bilancio di competenze, mediazione al lavoro. Anche in questo caso abbiamo costruito una figura multifunzionale. Io faccio fatica a distinguere tra orientatore e mediatore: ci vorrebbe anche qui una figura trasversale, dotata di molta dinamicità. Se no si rischia che i servizi non servano a nulla e non producano effetti concreti. E poi nei giornali si legge che l’orientamento non serve a nulla perché le persone non trovano lavoro tramite i servizi pubblici!! L’orientatore deve saper leggere una busta paga, deve sapere cose che vanno oltre il suo ruolo stretto. Ma non è davvero pensabile che queste figure non siano flessibili e con competenze multiple, correlate ovviamente alle competenze del proprio ruolo”. (Presidente di un Consorzio di cooperative sociali) “Con riferimento ai mediatori al lavoro, (generalmente psicologi o educatori), è necessario che abbiano un approccio non assistenziale ma manageriali: questo perché il loro compito è quello di inserire persone nel mondo del lavoro, non di fare assistenzialismo. Spesso poi si trovano mediatori al lavoro che sanno poco sia della sfera aziendale, sia del settore sociale: sono super partes, quando invece dovrebbero essere esperti di entrambi questi ambiti”. (Presidente di una cooperativa sociale di tipo B) 14 Sempre questo intervistato ha notato anche come sia piuttosto raro trovare educatori di genere maschile (fatto questo segnalato anche da un altro rispondente della parte strutture socio‐sanitarie), che invece sarebbero utili per svolgere mansioni in cui è utile sia farsi valere con determinate categorie di utenti (es. minori a rischio maschi), sia avere forza fisica (per gestire specifiche tipologie di utenza). Da più parti è stato inoltre auspicato lo sviluppo della figura dei professionisti con competenze manageriali e gestionali (da qualcuno definiti manager di impresa sociale): “In alcune strutture (cooperative) piccolo‐medie servono manager di impresa, anche proprio per la pianificazione e gestione di risorse umane e finanziarie”. (…) “Manager turistici sono richiesti per poter gestire strutture turistiche, in cui potrebbero comunque lavorare soci di cooperative sociali. Questo richiede ai manager stessi competenze correlate al tipo di lavoratori da gestire” (Consigliere all’interno di un Consorzio di cooperative) “Con riferimento agli aspetti manageriali e gestionali, servirebbero persone capaci di gestire strutture di qualsiasi tipo, dall’albergo all’aeroporto: so che sono esempi estremi, ma il fatto è che se venisse proposta la gestione di parte di servizi collegati a settori come questo ‐ cosa non impossibile ‐ ad oggi non sarebbe realistico accettare. In sintesi estrema servono risorse che ne sappiano di sviluppo strategico”. (Presidente di una cooperativa sociale di tipo B) Collegati a questi sono anche i tecnici di specifiche tipologie di produzione che potrebbero essere utili nelle cooperative per implementare le competenze ed ampliare così le opportunità di sbocchi nel mercato: “Al di fuori del settore sociosanitario servirebbero specializzazioni anche tipo tecnico di produzione, se si porteranno le coop a lavorare in settori quali quello dei pannelli solari (green economy), considerando che pure in questo campo ci saranno aperture future. Anche i nuovi standard per lo smaltimento rifiuti potrebbero diventare interessanti per il futuro”. (Consigliere all’interno di un Consorzio di cooperative) Questo intervistato ha aggiunto anche due ulteriori considerazioni estremamente interessanti. “Alle imprese sociali manca anche la cultura alla comunicazione istituzionale e al marketing, che dovrebbero essere integrate. La dice lunga il fatto che all’interno della nostra organizzazione di tre consorzi uno abbia un proprio sito ormai superato, un altro lo stia facendo solo ora, mentre il terzo non lo abbia ancora previsto”. “Sarebbero da preventivare investimenti sulle figure accennate in precedenza. Alcune potrebbero essere anche acquisite come liberi professionisti, anche in co‐working. Nei settori della green economy ci sono poi anche persone che con il mondo sociale potrebbero interagire senza particolari problemi, proprio per la mentalità che hanno. Sono quindi settori da esplorare anche per la comunanza di filosofia che hanno entrambi alla base.” Sempre nel campo dello sviluppo, un altro referente ha segnalato, oltre all’opportunità di monitorare le varie attività che nei prossimi anni verranno esternalizzate dai comuni, anche l’importanza di poter disporre di: “una segreteria tecnica che sappia tenere sotto controllo i bandi e fare progetti, con un’organizzazione adeguata che permetta sia un’efficace comunicazione interna, sia soprattutto il coinvolgimento dei diversi settori interni per la definizione e composizione della proposta finale”. (Direttore di area in fondazione di tipo religioso) 15 Un aspetto sottolineato da un rispondente è correlato alla necessità di risorse formate sui DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), per cui peraltro un consorzio di cooperative ha espressamente previsto e realizzato un percorso formativo mirato per 24 interni, e sui BES (Bisogni Educativi Speciali). In particolare con riferimento a questi ultimi, che sono previsti da due norme (una del dicembre del 2012 e la seconda del marzo 2013), è attualmente in corso di definizione la figura del “Tecnico dell’apprendimento per alunni con BES, un esperto nell’ambito didattico‐pedagogico, una risorsa che incrementa ed arricchisce la rete dei sostegni all’integrazione ed inclusione scolastica. Agisce da intermediario tra il bambino, la famiglia e la scuola, lavorando in sinergia con le varie figure specialistiche, si inserisce in una più ampia visione del contesto d’apprendimento, entro il quale assume importanza non solo l’apprendimento in sé, ma l’autostima, la motivazione ad apprendere, l’autonomia, le relazioni interpersonali. Progetta e realizza in sinergia con la scuola, un lavoro mirato a ridurre e/o annullare il deficit di autonomia, utilizzando a tal fine i vari strumenti compensativi. Dialoga con le varie figure specialistiche per relazionare sull’andamento scolastico, sulle strategie di studio adottate, sul vissuto psicologico del bambino, per avere indicazioni sulle strategie di intervento idonee nelle varie fasi della vita scolastica dello studente con DSA. Per fare ciò mantiene contatti periodici con lo specialista che ha effettuato la diagnosi, con la scuola e la famiglia. Presenta alla famiglia i software esistenti, illustrandone le caratteristiche in termini di differenti funzioni offerte”. Ultima figura indicata da un intervistato è stata quella del terapista occupazionale. Si tratta concretamente di una figura nuova, piuttosto complessa e caratterizzata da interventi che mettano i diretti interessati nella condizione di partecipare in modo consapevole e attivo alle attività della vita quotidiana, con specifica attenzione a quelle relative alla sfera professionale. Di seguito è stata inserita una descrizione degli aspetti più salienti di questo tipo di terapia specifica, che permettono di avere un’idea del profilo del terapista professionale. “La terapia occupazionale utilizza il termine occupazione per catturare l’ampiezza ed il significato delle "attività" in cui l’uomo è impegnato, che strutturano la vita di tutti i giorni e contribuiscono alla salute e al benessere. L'impegno in occupazioni, come centro dell'intervento di terapia occupazionale, coinvolge sia gli aspetti soggettivi (emozionali e psicologici) che quelli oggettivi (fisicamente osservabili) della performance. (…) I terapisti occupazionali usano spesso i termini occupazione e attività in modo intercambiabile per descrivere la partecipazione nelle attività della vita quotidiana, Una persona può essere considerata indipendente quando svolge o dirige le azioni necessarie per partecipare, a prescindere dal grado e dal tipo di assistenza richiesta o desiderata. In contrasto con le definizioni riduttive di indipendenza, i terapisti occupazionali considerano una persona indipendente se svolge da solo le attività, le svolge in ambienti adattati o modificati, fa uso di vari ausili o strategie alternative o supervisiona lo svolgimento dell’attività da parte di altri (AOTA, 2002a). Le occupazioni sono spesso condivise e quando coinvolgono due o più individui possono essere definite co‐occupazioni; Ad esempio prestare cura ad una persona è una co‐occupazione che coinvolge la partecipazione attiva da parte del caregiver e di chi riceve le cure. (…) I terapisti occupazionali sono quindi interessati non solo alle occupazioni ma anche alla complessità dei fattori che favoriscono e rendono possibile l’impegno e la partecipazione delle persone in occupazioni positive per la promozione della salute. Da qui deriva il concetto di giustizia occupazionale (Townsend) che rappresenta il diritto delle persone di avere pari opportunità di partecipare nelle occupazioni in cui esse decidono di impegnarsi. Per garantire la giustizia occupazionale, la terapia occupazionale pone attenzione ai fattori etici, morali e civici che possono favorire od ostacolare l’impegno salutare in occupazioni e la partecipazione alla vita dentro e fuori casa, impegnandosi per 16 migliorare le politiche sociali, gli atti e le leggi che permettano alle persone di impegnarsi nelle occupazioni che danno 1 scopo e significato alla propria vita”. Nuove figure professionali per nuovi bisogni Educatori di comunità e mediatori culturali per minori stranieri Mediatori e facilitatori in generale per l’inclusione sociale di adolescenti problematici (figure in affiancamento agli educatori o forma di loro specializzazione) Mediatori (considerati equiparabili agli operatori di sportello) e orientatori al lavoro (figure di relazione con le aziende) Educatori, specificamente di genere maschile, perché poco diffusi ma indispensabili per la gestione di determinate tipologie di utenti (ad esempio adolescenti problematici) Manager di impresa sociale (genericamente professionisti con competenze manageriali e gestionali) Tecnici di specifiche tipologie di produzione in settori di mercato (es green economy) in cui le cooperative sociali potrebbero trovare sbocchi nuovi di mercato Esperti di comunicazione e di marketing Esperto nel reperimento di bandi e nella progettazione correlata, con capacità organizzative e gestionali Tecnico dell’apprendimento per alunni con BES (figura in fase di definizione) Operatore dell’assistenza (in particolare di soggetti senza fissa dimora) Operatore esperto in attività acquatico‐psicomotorie Terapista occupazionale, figura piuttosto complessa che attua interventi per utenti non in condizione di partecipare in modo consapevole e attivo alle diverse attività della vita quotidiana, con specifica attenzione a quelle relative alla sfera professionale. Qualche breve riflessione sui fabbisogni formativi In merito alle questioni legate alle attività formative, la traccia di intervista utilizzata ha permesso di evidenziare in particolare tre sintetiche considerazioni. La prima è quella che riguarda la parte di percorsi formativi obbligatori per legge, ad esempio, per le cooperative sociali: si tratta in questo caso essenzialmente di corsi centrati sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sulla sicurezza alimentare, sulla privacy, sulle norme antincendio ed è standard per le differenti strutture. Questa tipologia di formazione viene organizzata direttamente dalla Cooperativa per tutto il personale, in base alle diverse mansioni svolte. Accanto alla formazione obbligatoria ne esiste però una quota ulteriore, che varia in base alle attività specifiche relative alle attività svolte dalle strutture stesse; tale quota è concretamente curata non solo dalle cooperative, ma anche da eventuali altri soggetti cui queste ultime offrono servizi per cui possono essere necessarie integrazioni di contenuto. La seconda è riconducibile invece al percorso che sarà avviato a breve sulla figura dell’Animatore Socio‐ Educativo. Alcune affermazioni che sono state rilevate in sede di intervista fanno pensare che ancora non sia stata fatta chiarezza su contenuto ed obiettivi del percorso; ciò in quanto: • c’è chi ravvisa nel percorso l’opportunità tout court di “mettere a posto” il proprio personale interno che, pur trovandosi in posizioni anche elevate nella struttura di appartenenza non possiede 1 Estratto da http://www.terapiaoccupazionale.it/riv1a000066.htm. 17 • • un titolo di studio adeguato al ruolo professionale, con le conseguenti ripercussioni sull’accreditamento delle strutture; c’è chi invece, oltre a quanto sopra, si pone il problema di quale sarà alla fine la figura che ne deriverà concretamente: come già detto, se da molti è già considerata equipollente a quella dell’educatore, per altri è invece percepita come di livello inferiore; c’è chi si domanda infine, come già accennato in precedenza, come contemperare l’esigenza di mandare in formazione le persone che devono adeguare il proprio titolo di studio con i carichi di lavoro quotidiano, tenendo conto che le diverse strutture, a seconda dell’area in cui sono inserite, possono avere quote anche elevate di personale da riqualificare. La terza infine va nella direzione degli oneri connessi alle attività formative ed è, in un certo senso, correlata alla precedente. E’ stato infatti osservato come i percorsi formativi che vengono attivati in chiave di sanatoria non sempre permettono di mettere a posto tutte le situazioni, specie se le edizioni dei corsi non vengono previste tenendo conto degli aspetti quantitativi reali, ossia del numero di utenti da formare. Risultato di quanto sopra è che l’adeguamento del personale a determinati profili richiesti dal mercato, se non può essere completato in occasione degli stessi percorsi‐sanatoria, rischia di rimanere un onere a carico esclusivo della struttura. Dovrebbe quindi essere preventivata una riflessione sulle quote effettivamente necessarie, con loro identificazione certa a priori, in modo da non avere poi cambiamenti imprevisti a posteriori. Quali previsioni per il futuro? Sono sembrate molto significative alcune riflessioni proposte dagli intervistati rispetto alle previsioni per il futuro. Volutamente sono stati riportati i brani tratti da alcune interviste, senza alcun commento. “Negli ultimi anni ci sono stati piccoli aumenti. Dovremo fare i conti con gli scatti dei nuovi OSS; avremo magari assunzioni nuove per far fronte al fisiologico turn over (specie per le maternità, che mediamente riguarda una dozzina di persone all’anno). Pensionamenti in vista non ce ne sono: i più vecchi di noi hanno mediamente 15 anni di lavoro. Uno solo andrà forse in pensione fra due anni e forse qualcuno che si occupa di anziani. Per il resto il personale è giovane, comunque lontano da pensionamenti. In realtà però servirebbe una forza giovane nuova da inserire nelle coop per evitare che domini una mentalità solo dei cinquantenni che al momento rappresentano la parte ai vertici”. (Presidente consorzio di cooperative sociali) “Noi nel 2012 abbiamo chiuso il bilancio in attivo. Apparentemente non abbiamo risentito della crisi. Contemporaneamente è però cresciuto il costo del personale, con l’applicazione del contratto. Gli importi degli appalti non sono però cresciuti, anzi si sono ridotti. Ad esempio per i servizi educativi se un comune aveva da spendere X, l’anno dopo nella migliore delle ipotesi aveva la stessa cifra. Avendo però noi aumentato il costo del personale, per noi tutto questo significa riduzione del margine. Noi nel 2008 eravamo 330‐350 persone. In questi anni però tutto il personale che non era socio e che era a tempo determinato è stato lasciato a casa. Quindi abbiamo perso unità lavorative e chi è rimasto si è visto ridurre le ore. L’anno per noi peggiore è stato il 2009, con grosse perdite e tagli sia del personale, sia dei costi in generale. Per il 2014 prevediamo o di rimanere stabili o di ridurre forse ancora un poco. Non è grave come è successo in altri anni la contrazione da parte dei comuni o delle ASL del proprio budget: in realtà però a volte gli enti stanziano la stessa cifra per un numero di servizi che magari comunque vengono ridotti. La cosa strana è che in certi settori (tipo l’assistenza domiciliare) questo significherebbe che o la gente è guarita o piuttosto le famiglie hanno trovato più vantaggioso assumere una badante in nero. 18 La spending review porta i comuni sempre più a impedire il proprio turn over: quindi dovranno sempre più esternalizzare i servizi. Questo porta da un lato ad avere più occasioni, dall’altro i servizi vengono appaltati con gare dove vincono soggetti a cui forse non interessano molto alcuni aspetti. Aggiungo poi che ci sono comuni che chiudono i bilanci ad aprile e altri che li stanno chiudendo ora che siamo in novembre”. (Amministratore Delegato di un consorzio di cooperative sociali) “Come previsioni in questo momento non di sviluppo, ma di difesa delle posizioni raggiunte. Il nostro modo di lavorare è comunque quello giusto, se continuano ad esserci donazioni da parte di pazienti che sono stati assistiti. Ci sono per contro anche i cosiddetti oneri di beneficienza, che consistono in quote che la nostra struttura mette di cassa propria per integrare eventuali necessità di una persona (ossia paga la retta di persone). In genere queste uscite sono colmate da donazioni, che superano questi oneri”. (Responsabile della formazione e tirocini in struttura privata convenzionata) “Per il 2014 sono previsti due nuovi dipendenti. Aumenteranno invece i liberi professionisti, perché stanno aumentando i pazienti. Abbiamo introdotto da poco 4 medici. Abbiamo bisogno di uno (forse anche due) infermieri che si affianchino ai due già esistenti che supervisionano tutte le terapie. Queste sono persone che lavorano anche sabato e domenica, quindi non sarà facile trovarlo.” (Vice Presidente di associazione di volontariato in ambito sanitario) “Ogni anno riusciamo a far fronte al turn over e ad aggiungere una o due risorse all’anno. Tutti a tempo indeterminato e a tempo pieno. Abbiamo anche qualcuno a tempo parziale o in co.co.co. e simili: magari sono utili per fare i turni di notte”. (Direttore di comunità di recupero) “Come numeri di assunzione noi non abbiamo nel 2014 nuove aperture. Sicuramente non retrocediamo dai numeri attuali. Non ho personale prossimo alla pensione. Quindi tendenzialmente devo essere lineare: assicureremo sempre alle attuali persone che ho la remunerazione. Qualche cambiamento ci può essere (qualche maternità o qualche dimissione da rimpiazzare), ma tutto dovrebbe rimanere per il 2014 come è ad oggi”. (Direttore struttura privata convenzionata) “Oggi non è davvero possibile fare previsioni di assunzioni. Si può pensare al turn over, che però sono molto bassi di per sé. Un po’ perché abbiamo la fortuna di avere diversificato molto: se una persona è logorata riusciamo a riqualificarlo e spostarlo senza problemi facendo tutto al nostro interno”. (Responsabile dello sviluppo di un consorzio di cooperative sociali) “Riusciremo a coprire il turn over normale (malattie, pensionamenti e maternità); ora come ora non so nemmeno se riuscirò a mantenere i posti di lavoro del 2013. Potrebbe essere semplicemente un accompagnamento alla pensione per qualcuno, però non rimpiazzato”. (Amministratore Delegato struttura privata convenzionata) “Non ci sono previsioni di nuove assunzioni. Contiamo di mantenere i posti del 2013. Avremo da coprire il turn over, anche se da noi è molto basso (2% del totale degli addetti) ed è dovuto o a trasferimenti in altri territori o a maternità. Nelle coop che fanno inserimento lavorativo auspichiamo invece una discreta crescita (+ 20‐30 addetti, che non saranno tutte nuove posizioni, ma qualcuna recuperata da aziende in crisi)” (Consigliere di un consorzio di cooperative sociali) 19 Le previsioni per il futuro Aspetti correlati ai costi e agli appalti • Aumento del costo del personale • Correlata riduzione del margine • Riduzione degli appalti Fabbisogni professionali Fabbisogni professionali dichiarati essenzialmente per: • la copertura del turn over fisiologico (qualche pensionamento e qualche maternità), comunque basso non per • un vero e proprio ricambio ‘generazionale’ della forza lavoro Contratti a tempo indeterminato • minor ricorso a contratti a tempo indeterminato, • ricorso a contratti a tempo determinato o in altre forme di rapporto di lavoro a termine (es. a progetto, co.co.co., ecc.) Stabilità versus precarietà • La conferma degli organici definiti nel 2013 per il 2014, quindi la stabilità, è già un successo • La tendenza generale in atto è quella di difendere le posizioni ad oggi raggiunte, cercando di contrastare così la crisi. Alcune riflessioni conclusive I dati e le informazioni che sono stati presentati nelle parti precedenti renderebbero plausibile, a questo punto del rapporto, la stesura delle tradizionali conclusioni, in modo che il processo avviato sia con l’individuazione del quadro di riferimento, sia con la raccolta effettuata su campo abbia un momento di sintesi e di riflessione complessiva. In realtà parlare di conclusioni in questa sede è forse poco opportuno e, per certi versi, non del tutto corretto. Il campo delle professioni sociali è infatti caratterizzato, come si può intuire facilmente: • da contorni non ben definiti, se si esclude solo la macro classificazione che crea la separazione tra le professioni sanitarie e quelle sociali e socio‐sanitarie, • da figure simili (es gli Educatori Professionali o gli Operatori Socio Sanitari) che, a seconda del campo in cui svolgono le proprie attività, possono dover avere caratteristiche diverse o dover assolvere a ruoli differenti, anche plurimi. Alla luce delle risultanze della ricerca pare più opportuno, piuttosto, proporre alcune considerazioni aperte all’avvio di una riflessione con la finalità di: 1. ridenominare in modo più opportuno l’Area 21 del Repertorio; 2. riclassificare le figure professionali inserite in tale area; 3. proporre l’inserimento di alcune nuove figure professionali; 20 1. Ridenominare in modo più opportuno l’Area 21 del Repertorio Per quanto riguarda il primo punto, relativo alla denominazione dell’Area 21 del Repertorio, la rilevazione ha confermato la valutazione diffusa presso gli interlocutori istituzionali e il gruppo di ricerca fin dall’avvio dell’indagine, in merito alla necessità di individuare una etichetta di riferimento più adeguata a rappresentare le diverse componenti che caratterizzano il comparto delle professioni sociali e sociosanitarie. L’attuale denominazione “Servizi socio sanitari”, infatti, è del tutto inappropriata visto che si riferisce ad una sola delle sue componenti. Sulla base delle osservazioni raccolte dagli interlocutori istituzionali con i quali è stato condiviso il percorso di ricerca e delle considerazioni effettuate dai soggetti intervistati alcune proposte sostitutive potrebbero essere le seguenti: • Sociale e socio‐sanitaria • Sociale, socio‐educativa e socio‐sanitaria • Servizi sociali, socio‐sanitari ed educativi (che parrebbe la più completa fra le tre proposte) 2. Riclassificare le figure professionali inserite in tale area Con riferimento invece agli altri punti, osservando le figure inserite nel Repertorio si nota come abbiano alcuni punti di contatto che permettono di costruire delle macro aree (almeno cinque) per una loro riclassificazione: 1. l’area della mediazione e della facilitazione, che definirebbe un primo gruppo di figure professionali che producono relazioni di tipo esogeno, in quanto tramite tra le varie categorie di utenza e il “contesto” o i contesti di riferimento (del lavoro, dell’autonomia personale, dell’inclusione sociale, ecc.); 2. l’area dell’assistenza (familiare, domiciliare, sociale), che raggrupperebbe tutte le figure professionali che hanno relazioni con diversi utenti per supportarli o per sostenerli all’interno del proprio nucleo o comunque nella propria sfera di vita, con un rapporto di relazione diretta tra chi assiste e chi riceve assistenza. Le relazioni prodotte sono in questo caso di tipo endogeno; 3. l’area dell’educazione e dell’animazione; 4. l’area sociosanitaria, nella quale andrebbe ricompresa fondamentalmente la figura dell’Operatore Socio Sanitario (OSS) e, quando concretamente prevista come profilo in uscita di percorsi formativi, dell’Operatore Socio Sanitario con formazione complementare in Assistenza Sanitaria (OSS‐S); 5. l’area organizzativo‐gestionale. 21 3. Proporre l’inserimento di alcune nuove figure professionali Nel prospetto che segue viene proposta la riconduzione delle figure dell’Area 21 del Repertorio alle macro classi elencate in precedenza. Prospetto 1 – Le figure dell’area 21 del Repertorio Ligure ricondotte alla proposta di cinque sub‐aree Area della Area dell’assistenza Area dell’educazione Area sociosanitaria Area organizzativo‐ mediazione e della e dell’animazione gestionale facilitazione Facilitatore sociale Assistente all’infanzia Animatore socio‐ educativo Operatore Socio Sanitario (OSS) Responsabile di strutture socio‐ assistenziali residenziali e semiresidenziali Mediatore familiare Assistente familiare Arteterapeuta in strutture socio‐ sanitarie ed educative Mediatore interculturale Mediatore penale minorile Assistente sociale Musicoterapista Operatore del servizio inserimento lavorativo per persone disabili in situazione di svantaggio Operatore del servizio orientamento per persone disabili in situazione di svantaggio Tutor per l’inserimento lavorativo di fasce deboli in laboratori protetti Operatore Socio Sanitario con formazione complementare in assistenza sanitaria (OSS‐S) Educatore professionale Tecnico qualificato di clownerie in strutture socio‐sanitarie Nel successivo prospetto sono state invece ripetute quelle ufficiali del Repertorio, integrate con le figure emerse dalle interviste, già esistenti o anche semplicemente auspicate dai rispondenti. 22 2 Prospetto 2 – Proposta di un nuovo repertorio che includa anche le nuove figure professionali indicate Area della mediazione Area Area dell’educazione Area sociosanitaria Area organizzativo‐ e della facilitazione dell’assistenza e dell’animazione gestionale Facilitatore sociale Assistente all’infanzia Animatore socio‐ educativo Operatore Socio Sanitario (OSS) Mediatore familiare Assistente familiare Arteterapeuta in strutture socio‐ sanitarie ed educative Mediatore interculturale Assistente sociale Musicoterapista Operatore Socio Sanitario con formazione complementare in assistenza sanitaria (OSS‐S) Educatore professionale Mediatore penale minorile Custode sociale Educatore Operatore del servizio inserimento lavorativo per persone disabili in situazione di svantaggio Operatore del servizio orientamento per persone disabili in situazione di svantaggio Tutor per l’inserimento lavorativo di fasce deboli in laboratori protetti Tutor/Responsabile dell’inserimento lavorativo (generico) Mediatore culturale per minori stranieri Operatore dell’assistenza per soggetti senza fissa dimora Animatore Operatore di Pet Therapy Esperti di gestione di bandi/progetti e di fund raising Ippoterapeuta Educatore di comunità per stranieri Tecnico dell’apprendimento per alunni con BES (2) Operatore esperto in attività acquatico‐ psicomotorie Tecnico qualificato di clownerie in strutture socio‐sanitarie Responsabile di strutture socio‐assistenziali residenziali e semiresidenziali Coordinatore (per strutture socio‐sanitarie e sanitarie) (1) Manager di impresa sociale Esperti di comunicazione e marketing di impresa sociale Tecnici di specifiche tipologie di produzione (es. Green Economy) Mediatore e‐o facilitatore per l’inclusione sociale di adolescenti problematici Mediatore al lavoro (equiparabile agli operatori di sportello) Orientatore al lavoro (con specifiche attività di relazione con le aziende) Terapista occupazionale (1) Questa, pur se indicata da almeno due intervistati come una figura professionale, è forse più corretto considerarla come una specializzazione di altra figura base, nello specifico o infermiere professionale o OSS (anche OSS‐S). (2) Questa figura potrebbe forse anche stare nel gruppo dei mediatori e facilitatori, visto l’ambito della sua attività 2 E’ possibile che la percezione della più o meno ampia diffusione delle figure, così come espressa dai rispondenti, non corrisponda alla situazione effettiva. Nel Prospetto 2 le figure già contenute nel Repertorio sono in carattere blu, quelle non inserite nel Repertorio ma comunque citati dagli intervistati come significativi sono in carattere verde, quelle poco diffuse o anche solo auspicate sono in carattere rosso. 23 Dalle precedenti riflessioni e dal contenuto dei due Prospetti costruiti, si può ricavare quanto segue. 1. La prima classificazione proposta sembra sovrapporsi efficacemente alle figure presenti nel Repertorio, registrando più presenze nell’area della mediazione e della facilitazione (del resto forse quella oggettivamente più ampia per le varie sfumature che la connotano) e con un solo caso in quella Organizzativo‐Gestionale, dove peraltro l’unica figura indicata potrebbe essere anche o ricondotta ad una delle precedenti, ovviamente dopo averla rinominata, oppure trasferita ad altre aree (a titolo puramente esemplificativo in quella definita “Organizzazione e gestione risorse umane”). 2. La seconda classificazione, come si può notare, ha avuto: a. con riferimento alle figure già esistenti (in verde) una maggiore concentrazione nell’area dell’educazione e dell’animazione, presenza singola in altre tre classi e assenza completa in quella sociosanitaria; b. per quanto riguarda invece quelle poco o per nulla diffuse (in rosso) una affluenza cospicua e pressoché paritaria nelle aree della mediazione e della facilitazione, educazione e animazione e in quella organizzativo‐gestionale; un solo caso, infine, è riscontrabile nell’area dell’assistenza, mentre nuovamente non si sono avuti casi in quella sociosanitaria. 3. Per quel che concerne le professioni indicate dagli intervistati come poco o per nulla diffuse, si osserva come siano – con le sole eccezioni del Terapista Occupazionale, del Tecnico dell’apprendimento per alunni con Bes e dell’Operatore esperto di attività acquatico‐psicomotorie – forse più correttamente definibili come specializzazioni di altre già esistenti e non come nuove figure professionali: si considerino i casi, ad esempio, del mediatore culturale per minori stranieri, specializzazione del mediatore culturale, oppure degli educatori di comunità per stranieri e quelli professionali di solo genere maschile, che appartengono al macro gruppo degli educatori professionali. 4. Infine si rileva che il caso del coordinatore per strutture socio‐sanitarie e sanitarie è in realtà definibile più propriamente una competenza, non una figura professionale; per questo motivo è da tenere in considerazione come un bisogno possibile, ma non come un profilo da ricondurre al Repertorio3. Nel Prospetto 1, classificate in base ad alcune macroaree indicate nella prima colonna (mediazione, assistenza, educazione, socio‐sanitario, organizzazione e gestione, area ‘grigia’ per quelle non riconducibili a nessuna delle precedenti) sono state inserite tutte le figure contenute nel rapporto (cf. seconda colonna contenente i loro nomi), , specificando inoltre per ciascuna: • la presenza nel Repertorio Ligure delle Figure Professionali (terza colonna), • la segnalazione fatta da uno o più intervistati durante il contatto con il team di ricerca (quarta colonna) • la presenza nel Repertorio delle professioni di ISFOL (quinta colonna). 3 Questo aspetto consiglierebbe anche una chiarificazione di concetti come conoscenze, abilità, competenze e figure professionali, in modo da non incorrere in confusioni sia terminologiche, sia di vero e proprio contenuto. 24 In questo modo, a colpo d’occhio, è possibile avere alcune informazioni macro tipo: • le figure: o presenti esclusivamente nel Repertorio Ligure (es. facilitatore sociale), o emerse soltanto dalle interviste (es. mediatore culturale per minori stranieri) o previste solo dal repertorio ISFOL (es. assistente domiciliare o sociologo); • le figure rilevabili contemporaneamente nel Repertorio Ligure (mediatore interculturale) e in quello ISFOL (es. mediatore culturale, peraltro con molta probabilità analogo a quello interculturale); • le figure emerse dalle interviste e contenute in un solo Repertorio, come il caso del: o mediatore familiare, indicato dagli intervistati e presente nel Repertorio Ligure; o l’assistente familiare, citato dai rispondenti e presente nel Repertorio ISFOL; • le figure emerse dalle interviste e contenute in entrambi i Repertori, come nei casi de: o l’Assistente Sociale, l’Educatore Professionale e l’Operatore Socio Sanitario. 25 Prospetto 3 – Le figure professionali contenute nell’indagine, classificate per macro aree, ricondotte ai Repertori Ligure e ISFOL e/o emerse dalle interviste condotte con i diversi testimoni qualificati 26