PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO MARCENARO La seduta
Transcript
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO MARCENARO La seduta
Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 3 III COMMISSIONE PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO MARCENARO La seduta comincia alle 10,40. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Sulla pubblicità dei lavori. PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l’attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso. (Cosı̀ rimane stabilito). Audizione di Cecilia Brighi, consigliere di amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla situazione dei diritti umani nel mondo, l’audizione di Cecilia Brighi, consigliere di amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sulla situazione dei diritti umani in Birmania. Cecilia Brighi è anche responsabile internazionale della CISL nonché persona impegnata da molto tempo sulle tematiche riguardanti il rapporto tra diritti umani e diritti del lavoro, in particolare per quanto riguarda la Birmania, Paese dove tali diritti subiscono le maggiori violazioni. Do la parola a Cecilia Brighi, pregandola di contenere la durata del proprio intervento in circa venti minuti, in modo che siano possibili interlocuzioni, domande e commenti dei commissari. Indagine conoscitiva – 12 — — SEDUTA DEL 26 LUGLIO 2007 CECILIA BRIGHI, Consigliere di amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Signor presidente, vorrei ringraziare la vostra Commissione per avermi dato la possibilità di svolgere questa audizione. La Birmania è un Paese molto lontano da noi dal punto di vista geografico, ma le sue scelte, dal punto di vista della struttura politica, sociale ed economica, hanno forte impatto sul piano regionale ed internazionale. Il sindacato cui appartengo – e, in particolare, la mia organizzazione – considera la Birmania come un Paese simbolo di un’impostazione sbagliata della globalizzazione e in qualche modo lo ha adottato per promuovere un impegno forte sul piano nazionale, europeo ed internazionale ed avviare un serio processo di democratizzazione e di cambiamento. La Birmania è il simbolo di una globalizzazione sbagliata perché, come sapete, è governata da una dittatura militare durissima dal 1962, che nel 1974 ha messo in discussione la Costituzione. Tale dittatura ha represso brutalmente qualsiasi richiesta di democrazia. Nel 1988 ci sono stati grandi movimenti sindacali, con grandi scioperi generali in tutto il Paese, che hanno coinvolto non solo i lavoratori e le lavoratrici, ma anche i monaci buddisti e gli studenti. Questi movimenti sono stati duramente repressi con migliaia di morti; le uccisioni sono avvenute per le strade, i cadaveri sono stati inceneriti in forni speciali e, una volta rotti i forni, sono stati dati in pasto ai coccodrilli. Esistono in proposito racconti e documentazioni estremamente gravi di quel periodo, realizzati da Amnesty International. Nel 1990 la giunta militare ha indetto elezioni democratiche, pensando di poterle vincere; invece, è stata sbaragliata dal Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 4 III COMMISSIONE nuovo partito della Lega nazionale per la democrazia, promosso da Aung San Suu Kyi, insignita del Premio Nobel per la pace nel 1991. Figlia del padre della patria, Aung San, che ha portato la Birmania all’indipendenza, Aung San Suu Kyi ha promosso, diventandone la rappresentante chiave, il movimento democratico, attorno al quale si sono coalizzate le organizzazioni sindacali (diventate clandestine, perché messe definitivamente fuori legge nel 1988), le organizzazioni degli studenti e i monaci buddisti. Quindi, si è costituita una grande coalizione e una grande rete di organizzazioni, cresciuta nel tempo, sia in modo clandestino nel Paese, sia soprattutto fuori dalla Birmania, in particolare in Thailandia. Nell’immediato dopoguerra la Birmania era considerata un Paese di punta, sia sul piano politico, sia sul piano economico. Il Governo birmano, subito dopo l’indipendenza, è anche stato l’artefice della Conferenza di Bandung, che ha dato vita al movimento dei Paesi non allineati. U Thant venne nominato Segretario generale delle Nazioni Unite proprio per la posizione indipendente e non allineata della Birmania. Da Paese di punta ed emergente qual era, caratterizzato da una forte crescita dell’educazione (sia per gli uomini che per le donne), è immediatamente scivolato, subito dopo l’inizio della dittatura, tra le nazioni meno avanzate ed è oggi, se non ricordo male, il terz’ultimo o il quart’ultimo tra quelle più povere al mondo. Si tratta, quindi, di un processo non solo di violazione totale dei diritti umani, ma anche di forte impoverimento in un Paese in cui l’economia è ancora fortemente agricola per una percentuale di circa il 70 per cento. Dopo il 1988 la Birmania si è aperta agli investimenti esteri ed al turismo, mantenendo però il totale controllo centrale dell’economia; ricordo che le imprese erano già state nazionalizzate dopo il 1962. Un altro degli elementi chiave della forte illegittimità di questa dittatura è il ricorso al lavoro forzato, cardine su cui si basa la produzione. Centinaia di migliaia Indagine conoscitiva – 12 — — SEDUTA DEL 26 LUGLIO 2007 di lavoratori – uomini, donne e persone anziane – sono costrette, ancora oggi, al lavoro forzato. Vi ho portato l’ultima testimonianza presentata dal sindacato clandestino birmano all’Organizzazione internazionale del lavoro nel giugno scorso che testimonia 4.500 nuovi casi di lavoro forzato registrati nel periodo tra la Conferenza dell’OIL del 2006 a quella del giugno 2007. Non si tratta di 4.500 persone, bensı̀ di casi collettivi; pertanto, sono migliaia e migliaia nelle varie zone del Paese i cittadini, le persone che vivono nei villaggi e i prigionieri costretti a lavorare per l’esercito o per le autorità locali. Molto spesso il lavoro forzato comporta anche stupri su donne e bambine. Ci sono decine e decine di casi di stupri compiuti dai militari su bambine tra i sei ed i nove anni. Come sapete, nella fascia di confine, soprattutto tra la Thailandia e la Birmania, vi è un’area liberata, in particolare nella zona karena, dove ci sono ancora conflitti tra le minoranze etniche e la giunta militare. Tali conflitti generano i problemi delle mine e dei bambini-soldato (la Birmania è il Paese con il più alto tasso di bambini-soldato) e, oltretutto, l’incremento esponenziale della coltivazione e del traffico di oppio e della produzione di metanfetamine. La Birmania è il primo Paese al mondo per produzione e traffico di metanfetamine – quelle che arrivano, purtroppo, anche nelle nostre discoteche – ed il secondo Paese esportatore di oppio dopo l’Afghanistan. Ci sono stati casi di riduzione della produzione di oppio in alcune zone della Birmania, cui ha però fatto immediatamente seguito, secondo gli ultimi dati internazionali, la crescita della produzione in altri Stati interni, come lo Shan. Esiste dunque il problema della droga e delle armi. Ho messo in rete per la vostra Commissione l’ultimo documento elaborato da alcune organizzazioni internazionali che dimostrano come il Governo indiano, per esempio, stia esportando in Birmania elicotteri costruiti con parti prodotte anche da aziende europee ed italiane. Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 5 III COMMISSIONE La Birmania è un Paese-cuscinetto, che sta attraendo molti investimenti, soprattutto nel settore del gas. È uno tra i grandi produttori di gas, che costituisce, ovviamente, la materia prima più importante per la Cina e l’India, nazioni vicine alla Birmania. Non è un caso che questi due Paesi – ovviamente con posizioni e governi estremamente diversi, essendo la Cina, da un lato, una dittatura di mercato e l’India una grande democrazia – abbiano grande interesse a mantenere la situazione attuale, per motivi non solo di carattere economico, ma anche di influenza politica. Nessuno vuole abbandonare il campo: né gli indiani ai cinesi, né i cinesi agli indiani. Cina ed India, insieme ad altri Paesi asiatici, costituiscono l’ago della bilancia, quanto alla definizione delle posizioni e delle scelte delle istituzioni internazionali nei confronti della Birmania. Il peso geopolitico e quello economico costituiscono gli elementi che condizionano tali scelte a livello internazionale. L’OIL ha sanzionato più volte la Birmania per la reiterazione del lavoro forzato e per non aver attuato le decisioni prese dalla Commissione d’indagine costituita dall’OIL stessa. Nel 2000 tale organizzazione ha, inoltre, approvato con l’accordo di tutti i governi, di tutte le organizzazioni imprenditoriali e, ovviamente, dei sindacati (l’OIL è un’organizzazione tripartita delle Nazioni Unite) una risoluzione che chiede appunto ai governi, alle imprese, alle organizzazioni sindacali ed alle istituzioni internazionali di rivedere i propri rapporti economici e commerciali con la Birmania e di esserne informata. Successivamente, nel 2005, questa risoluzione è stata rafforzata, chiedendo ai Paesi di rivedere le proprie relazioni con la Birmania anche per quanto riguarda i finanziamenti diretti esteri ed i rapporti commerciali, sia con le imprese di Stato, sia con quelle di proprietà dei militari. Purtroppo è però mancato un vero e proprio monitoraggio, sia sul piano internazionale, che su quello nazionale. Alcuni governi, alcune organizzazioni imprenditoriali e alcune grandi imprese hanno intrapreso importanti iniziative, de- Indagine conoscitiva – 12 — — SEDUTA DEL 26 LUGLIO 2007 cidendo anche di uscire dalla Birmania. L’Unione europea ha inoltre adottato una posizione comune sulle cosiddette sanzioni di carattere economico e politico, stabilendo il divieto per alcune merci di entrare in Europa, il congelamento dei beni e il divieto di esportazioni di armi in Birmania. Purtroppo anche in questo caso le sanzioni sono state ritagliate in modo tale da permettere alle grandi imprese europee di continuare a lavorare con la Birmania; in particolare, faccio riferimento alle imprese francesi, come la Total Fina ed altre, che hanno consistenti interessi di carattere economico. Diciamo quindi che, fino ad oggi, si è parlato di sanzioni economiche, ma non si è fatto molto. Noi chiediamo un ampliamento della posizione comune, in modo che tra i settori esclusi vengano inseriti anche il commercio del gas, le banche, le assicurazioni, e tutte le imprese del settore della pesca e cosı̀ via. Le organizzazioni sindacali birmane insieme alle organizzazioni democratiche ed al Governo in esilio hanno esercitato una forte pressione, riuscendo nel grande risultato di far mettere la questione birmana all’ordine del giorno in sede di Consiglio di sicurezza ONU. Come sapete, sono in fase di svolgimento i lavori – ripresi recentemente, proprio una settimana fa – della cosiddetta Convenzione nazionale birmana per la definizione della nuova Costituzione, una « carta fantoccio » con cui si cercherà di mantenere la centralità del ruolo dei militari nella struttura del Paese. Il Governo ha sempre rifiutato un tavolo di negoziato equilibrato, che prevedesse la partecipazione delle organizzazioni democratiche di tutti i gruppi etnici. La bozza è stata elaborata da una Convenzione formata soltanto da persone scelte e selezionate dai militari e dal Governo birmano. L’Italia, dopo essere entrata a far parte del Consiglio di sicurezza, ha immediatamente appoggiato l’idea di una risoluzione che non puntasse a comminare sanzioni nei confronti della Birmania, bensı̀ a dare un ruolo centrale al Segretario delle Nazioni Unite per stabilire un tavolo nego- Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 6 III COMMISSIONE ziale con tutte le parti interessate, al fine di avviare in tempi brevi la transizione verso la democrazia. Purtroppo Cina e Russia hanno opposto il loro veto e anche il Sudafrica, per altri motivi, ha votato contro questa risoluzione, che dunque è rimasta sul tavolo delle Nazioni Unite. Noi riteniamo importante una risoluzione ONU. Ovviamente uno dei compiti che questo Parlamento può svolgere in modo significativo, è quello di lavorare con i Parlamenti, soprattutto dei Paesi asiatici, perché convincano in particolare la Cina e la Russia, ma indirettamente anche l’India, per arrivare ad una risoluzione votata in sede di Consiglio di sicurezza. Sappiamo che nella prossima riunione ASEAN i Governi saranno ormai costretti, in qualche modo, a presentare un documento (in fase di definizione), in cui si chiede alla giunta militare di fare alcuni passi verso la democrazia. Anche se su questo si sta lavorando, ad oggi, francamente, non sappiamo ancora quali potranno essere i risultati. In conclusione credo che per aiutare il processo di democratizzazione in Birmania – un Paese che l’onorevole Boniver conosce molto bene, visto che in qualità di sottosegretario è stata attiva nel cosiddetto Bangkok process, che tuttavia ha fallito ed è, a mio avviso, difficilmente recuperabile – sarebbe importante che il Parlamento italiano collaborasse con gli altri parlamenti, soprattutto quelli asiatici; ricordo che si sono formati gruppi di parlamentari a Singapore, in Malesia, nelle Filippine e, lentamente, anche in India, i quali stanno cercando di costringere la Birmania ad un processo di democratizzazione. Questo può essere un suggerimento per impostare il lavoro e gli scambi culturali, cosı̀ come può essere utile sostenere la rete dei parlamentari in esilio, che ha bisogno di stringere rapporti più forti con i Parlamenti democratici, di crescere e di accedere ad un continuo aggiornamento sullo sviluppo dei processi istituzionali. Se, per ipotesi, domani mattina in Birmania tornasse nuovamente la democrazia, noi dovremmo avere contribuito a far sı̀ che i parlamentari locali siano in grado di ge- Indagine conoscitiva – 12 — — SEDUTA DEL 26 LUGLIO 2007 stire le leve del Governo e dei processi, anche complessi, che si devono mettere in atto. Insieme alla rete delle organizzazioni democratiche, hanno definito una bozza di Costituzione democratica molto interessante, di cui vi ho portato copia. Alla sua elaborazione hanno partecipato le organizzazioni delle donne, dei lavoratori, degli studenti e, soprattutto, dei rappresentanti di tutti i gruppi etnici; si tratta di una bozza di Costituzione democratica e fortemente federale. In secondo luogo, a mio avviso l’Unione europea deve estendere la portata delle sanzioni economiche, in modo che riguardi anche imprese che contano; inoltre, l’Italia dovrebbe avviare un processo di monitoraggio. Il nostro Paese non ha oggi grandi interessi economici in gioco, anche se molte imprese commerciano nel settore del legno ed importano tek, con forte impatto sull’ambiente. Sta avvenendo un processo di deforestazione pesantissimo ed esiste il problema dell’importazione di prodotti tessili e dell’abbigliamento dalle zone franche. Tale definizione tuttavia è un eufemismo: nelle zone franche di per sé spesso i diritti fondamentali del lavoro sono violati, in quelle birmane sono violati il doppio. Nel settore industriale i lavoratori guadagnano dai cinque ai dieci euro al mese. È quindi chiaro che non esiste solo un problema di carattere morale, ma anche di dumping con le imprese che lavorano in Italia. Quanto alla richiesta di sanzioni economiche, bisognerebbe soprattutto controllare e chiedere alle imprese italiane di fare un passo indietro nei rapporti economici; il settore turistico birmano è infatti completamente in mano ai militari, che hanno incentivato il flusso dei viaggi. Bisognerebbe, dunque, monitorare ed avviare un processo con le istituzioni italiane per convincere le imprese – sia a livello italiano che a livello europeo – a fare un passo indietro. L’altra questione importante riguarda i rapporti con le altre istituzioni internazionali, ASEAN ed ASEM. L’ASEM è un importante processo politico, in cui l’Italia ha lavorato anche in passato. Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 7 III COMMISSIONE Desta grande preoccupazione la crescita di un forte interesse e di un nuovo impegno birmano circa l’utilizzo del nucleare. La Birmania ha stipulato un accordo con la Russia per la costruzione di un reattore nucleare sperimentale – le fonti ufficiali lo definiscono a carattere medico-scientifico – ed esistono prove di una collaborazione con la Corea del nord e con i russi per la formazione di tecnici del settore. Questo è, secondo me, un altro punto interrogativo, perché permettere ad un Governo assolutamente non democratico la costruzione di un reattore, seppur piccolo, è un elemento di grande rischio politico. Inoltre, bisogna ricordare che la Birmania ha risorse proprie come le miniere di uranio dislocate in varie parti del Paese, partendo quindi in qualche modo avvantaggiata. Credo che da questo punto di vista debba suonare un altro campanello di allarme. Voi sapete che l’onorevole Boniver ed altri vostri parlamentari hanno avviato un dialogo bipartisan, sia alla Camera, che al Senato a sostegno della democrazia. Mi auguro che possa ampliarsi, anche giungendo a definire impegni e programmi specifici e invitando gli stessi rappresentati birmani in Italia, affinché uno dei Paesi simbolo della globalizzazione sbagliata possa essere aiutato a realizzare un processo certo e rapido di transizione. Anche le nostre imprese potrebbero successivamente avere pieno titolo a promuovere la loro presenza ed i loro investimenti in Birmania, ma in un clima e in un ambiente completamente diversi, in cui i diritti umani, i diritti del lavoro e quelli dell’ambiente siano pienamente rispettati. L’Italia può fare molto da questo punto di vista. Grazie. PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Brighi. Do ora la parola ai colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni. Ricordo che abbiamo circa venti minuti di tempo ancora a disposizione. SABINA SINISCALCHI. Anch’io vorrei ringraziare la dottoressa Cecilia Brighi per Indagine conoscitiva – 12 — — SEDUTA DEL 26 LUGLIO 2007 questa esaustiva relazione sulla realtà di un Paese del quale conosciamo il dramma, sia pure non in maniera cosı̀ dettagliata. La ringrazio anche per averci indicato, in quanto membri del Parlamento italiano, un’agenda e un programma di lavoro. Mi auguro che questo Comitato vorrà assumere i suoi suggerimenti come linee-guida per trattare la questione dei diritti umani in Birmania e le relazioni interparlamentari con il Parlamento di quel Paese, che ci auguriamo possa formarsi presto. La mia domanda sarà molto specifica. Lei ha parlato anche degli interessi e delle attività delle imprese italiane. Proprio ieri, in sede di Commissione esteri è stata posta un’interrogazione al Governo riguardante la SACE – l’agenzia di assicurazione – sulla quale, purtroppo, non disponiamo di molte informazioni. Infatti, diversamente da quanto accade per altre agenzie di assicurazione europee, la SACE non pubblica l’elenco delle imprese finanziate e sostenute nelle loro attività di investimento, di produzione e di commercio estero. Le chiedo, essendo la SACE una società a capitale pubblico, se lei sia al corrente di attività di finanziamento o di assicurazione della SACE in Birmania e – in caso positivo – nei confronti di quali imprese. Troverei infatti davvero contraddittorio, se non paradossale, sapere che la nostra agenzia di assicurazione pubblica, finanzia attività di imprese italiane in un Paese caratterizzato da un livello cosı̀ elevato di violazione dei diritti dei lavoratori e, in generale, dei diritti umani e della democrazia. Grazie. MARGHERITA BONIVER. Naturalmente anch’io ringrazio la dottoressa Brighi per averci riferito ed aggiornato. Ne traggo conclusioni piuttosto pessimistiche, perché mi sembra che la situazione rimanga completamente chiusa – esattamente come succede per il Darfur – malgrado una certa attività diplomatica internazionale e, soprattutto, un costante riferimento alle sanzioni che, per esempio, l’Unione europea ha assunto come posizione comune (a partire dal 1998 se ricordo bene). Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 8 III COMMISSIONE Non è stato possibile modificare nulla neanche con i Ministri degli Esteri dei vari Paesi dell’ASEAN. Insieme a loro avevamo dato vita a quello che subito battezzammo il Bangkok process, tenendo una serie di riunioni a Bangkok ed attivandoci sulla questione birmana, addirittura invitando, l’allora Ministro degli Esteri di quel Paese. Nonostante tale intensa attività, la situazione è ritornata esattamente come quella di prima, non soltanto a causa dei veti incrociati che molto spesso paralizzano le buone intenzioni del Consiglio di sicurezza, ma soprattutto perché, in realtà, il regime delle sanzioni non ha cambiato granché la situazione. Secondo me, infatti, andrebbe messa in discussione anche questa tattica, che non può essere l’unica, nei confronti di un Paese responsabile in maniera perdurante di assoluta e grave violazione dei diritti umani. Confido molto in due o tre fattori; naturalmente non saranno decisivi, ma non devono essere abbandonati. Innanzitutto occorre tenere molto alta l’attenzione della comunità internazionale sul caso birmano, perché troppo spesso siamo necessariamente distratti da crisi più vicine o più perduranti o più sanguinose o più incancrenite. Ve ne sono tante e potremmo citarne a dozzine. La questione della Birmania dovrebbe, però, secondo me, restare tra i primi punti dei colloqui che intervengono – a tutti i livelli, non soltanto parlamentari, ma evidentemente anche governativi – con i nostri amici dei Paesi asiatici, a cominciare dal Giappone, Paese democratico con il quale si può forse immaginare di fare qualche passo avanti. In secondo luogo, ho visto con molto interesse che il tandem Sarkozy-Kouchner ha preannunciato una spettacolare iniziativa sulla Birmania. Naturalmente i francesi sono « avvantaggiati » dal fatto che in Francia è presente un’importante comunità di birmani in esilio, a differenza purtroppo dell’Italia. Pertanto, restiamo un po’ in retroguardia da questo punto di vista. La terza questione riguarda la prospettiva di presentare in Parlamento la riso- Indagine conoscitiva – 12 — — SEDUTA DEL 26 LUGLIO 2007 luzione di cui parlava la signora Brighi, ricercando un’unanimità che darei per scontata. I colleghi De Zulueta, Martone ed altri ancora, tra cui io stessa, – che si sono attivati per la costituzione di un intergruppo di solidarietà per la Birmania – dovrebbero essere, credo, i firmatari di tale risoluzione; si tratta di « tecnicismi » che darei per scontati. Per il resto, francamente è molto difficile immaginare qualche cambiamento nel breve periodo perché, come stavo dicendo prima, le sanzioni funzionano soprattutto nei Paesi democratici. Gli Stati Uniti sono durissimi nell’applicarle e l’Unione europea è inflessibile, mentre esse vengono continuamente « bypassate » da altri Paesi – cito a caso Cina ed India – i quali proprio con l’orribile regime birmano hanno fiorenti traffici. Francamente non saprei neanche come concludere questo intervento, perché è davvero difficile capire cosa realmente si possa fare. L’unica cosa cui non dobbiamo assolutamente rinunciare è quella di continuare a sbandierare la causa della Birmania, perché forse anche questo potrà essere d’aiuto in futuro. Non saprei cos’altro dire. Comunque la ringrazio molto e, naturalmente, sono a disposizione per qualsiasi iniziativa vorremo concordare. BRUNO MELLANO. Toccherò molto brevemente tre punti. Anzitutto, come lei ha ricordato, la CISL ha adottato il caso della Birmania come particolarmente paradigmatico ed ha intrapreso molte azioni, molte iniziative e molte attività a sostegno di questa popolazione. Vorrei chiederle di chiarirmi brevemente per flash il tipo di cooperazione realizzata nei vari progetti localizzati all’interno e anche al di fuori del territorio birmano. Vorrei conoscere, insomma, il tipo di progetti e di progettualità che ha attualmente in corso la CISL, attraverso l’ISCOS. In secondo luogo, so che uno dei progetti che avevo avuto occasione di vedere era conseguente allo tsunami che, secondo i dati ufficiali, aveva colpito l’intera area, tranne la Birmania. In realtà, il regime Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 9 III COMMISSIONE aveva semplicemente negato di essere stato colpito dal disastro. Vorrei sapere se in proposito possiede qualche dato, visto che non ho più avuto occasione di approfondire la situazione. Il terzo punto, più politico, che vorrei toccare, rimanda anche alla discussione che abbiamo avuto precedentemente. Lei ha parlato di sanzioni europee: vorrei conoscere il suo giudizio su un sistema di sanzioni verso la Birmania. CECILIA BRIGHI, Consigliere di amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Comincerei con l’esempio del Darfur, sollevato dall’onorevole Boniver, perché anche il rapporto di Vaclav Havel e Desmond Tutu, presentato nell’ottobre del 2005, ha messo in evidenza come la situazione birmana sia forse quasi più grave di quella del Darfur. Come in Darfur, infatti, anche in Birmania vi è un altissimo numero di rifugiati interni – più di 500.000 – e di profughi – 2 milioni – al confine con la Thailandia, con l’India e con il Bangladesh. Vi è quindi una diaspora violenta, perché queste persone sono poi soggette, in tali Paesi, a traffico, a prostituzione, a commercio sessuale, a sfruttamento del lavoro, al lavoro forzato e al lavoro minorile. C’è veramente una situazione di grande dramma collettivo, per cui è importate dare maggiore risalto al problema. Come dicevo prima, penso che sia importante lavorare con alcuni Paesi asiatici, proprio come parlamentari. I Governi di questi Paesi sono forse influenzabili se i Parlamenti si parlano, quindi se i membri delle varie Commissioni esteri dialogano e rafforzano la posizione di quel gruppo di parlamentari asiatici che sta prendendo una posizione chiara nei confronti della necessità di una rapida transizione in Birmania. L’Italia ha un vantaggio rispetto a Sarkozy e alla Francia, perché non ha forti interessi economici in Birmania. Ho portato con me anche l’elenco delle imprese che, a fine 2005, lavoravano con la Birmania. Si tratta di un elenco interessante dal punto di vista settoriale, ma le rela- Indagine conoscitiva – 12 — — SEDUTA DEL 26 LUGLIO 2007 zioni economiche non sono cosı̀ corpose come accade alla Total Fina francese. L’Italia potrebbe giocare questa carta ed essere il Paese che mette in atto l’iniziativa-guida per avviare il processo democratico, proprio perché è libero da vincoli e condizionamenti di carattere economico. Penso che si possa fare molto, anche facendo tesoro della nostra presenza in Consiglio di sicurezza. Le imprese italiane sono presenti in Birmania, ma è difficilissimo sapere quali, perché in questi anni è mancato il lavoro con le istituzioni. Con l’attività svolta dai nostri sindacalisti negli uffici delle dogane – lavoro molto informale e non vorrei creare problemi ad altri – abbiamo stilato un’elenco delle imprese, che né il Ministero degli esteri, né il Ministero del lavoro avevano mai fornito. Mentre l’Italia ha scelto, a suo tempo, di chiedere all’Asian Development Bank di non finanziare iniziative in Birmania, gli investimenti in quel Paese passano comunque, indirettamente, attraverso la Great Mekong River Basin, ossia quel grosso processo di costruzione di reti, di telecomunicazioni, di trasporti ed altro, che unisce i Paesi dell’area del Mekong, tra cui anche la Birmania. Possono essere quindi attive cosiddette « triangolazioni » – anche nel settore delle armi – ed è difficile ricostruire se le armi italiane arrivino o meno in Birmania, magari attraverso la Thailandia, Singapore eccetera. È necessario il ruolo delle istituzioni e del Governo italiani nei confronti delle organizzazioni sindacali e delle imprese. È urgente mettere in piedi un monitoraggio ed una mappatura di quello che esiste; anche se minimo, si tratterebbe di un gesto politico importante perché rappresenterebbe un segnale di coerenza. Credo che sia importante attivare un percorso di cooperazione. Anche su questo noi non sappiamo quale cooperazione di carattere economico sia in piedi con la Birmania: siamo assolutamente in una situazione di « non conoscenza » e il lavoro del nostro Ministero degli Esteri resta in una sorta di clandestinità. Sappiamo che Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 10 III COMMISSIONE esistono cooperazioni nel settore artistico e degli scavi archeologici, ma francamente nulla di più. Pensiamo che sia importante finanziare, non tanto i profughi – rischierebbero di essere finanziati a vita – quanto lo sviluppo di un processo democratico. Fino ad oggi lo abbiamo fatto con le sole nostre forze, perché gli unici finanziamenti da noi ricevuti rientravano nell’ambito dello tsunami. Abbiamo sostenuto in Thailandia i lavoratori birmani, diventati clandestini perché durante lo tsunami hanno perso i loro documenti, aiutandoli a ricostruire la loro presenza legittima. Abbiamo sostenuto anche altre iniziative e tutt’ora ne stiamo creando di nuove – proprio nell’area dello tsunami – che coinvolgono anche le imprese locali, allo scopo di permettere la formalizzazione della presenza dei lavoratori birmani, in modo tale che possano evitare di essere ricattati. Stiamo svolgendo del lavoro in Birmania attraverso il sindacato clandestino. Con le risorse fornite da alcune nostre categorie abbiamo finanziato corsi di formazione per i sindacalisti. In tutto il Paese e in tutti i settori è presenta una forte rete clandestina di sindacati; gli ultimi scioperi tenuti nelle zone industriali dell’area di Rangoon, soprattutto nelle imprese del tessile e dell’abbigliamento, sono state possibili grazie al nostro lavoro comune con questi sindacati. I lavoratori venivano formati e rimandati indietro dopo aver ricevuto un processo formativo utile anche per la raccolta di informazioni di carattere economico. Siamo pronti a partire con un’iniziativa in Thailandia, al confine con la Birmania, con tutte le organizzazioni democratiche e i parlamentari in esilio; abbiamo previsto anche la partecipazione di parlamentari italiani, proprio per costruire il legame di cui dicevo. Stiamo aspettando che la situazione thailandese si sblocchi per permettere la presenza dei parlamentari; infatti, non è opportuno chiedere la presenza di rappresentanti del Governo e del Parlamento italiano in un Paese in cui ancora non si capisce se si arriverà alle elezioni. Tutto è pronto, però, e nel mo- — — SEDUTA DEL Indagine conoscitiva – 12 26 LUGLIO 2007 mento in cui si scioglierà questo nodo potremo dunque lanciare questa iniziativa. Stiamo presentando un grosso progetto al Ministero degli esteri, proprio per finanziare una scuola di formazione per le organizzazioni democratiche e parlamentari e per promuovere la formazione professionale e l’accesso al lavoro delle persone oggi presenti nei campi profughi. BRUNO MELLANO. (fuori microfono) Come OIL o come CISL ? CECILIA BRIGHI, Consigliere di amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Come CISL. L’OIL va rafforzato, a mio avviso. Stiamo aspettando che la Birmania possa denunciare la Convenzione sul lavoro forzato, quindi è un periodo in cui abbiamo scelto di essere un po’ silenti. Come OIL, abbiamo preparato la documentazione per denunciare la Birmania alla Corte internazionale di Giustizia e chiedere un parere consultivo urgente. Va inoltre rafforzato l’ufficio OIL di Rangoon, che sta svolgendo un grande lavoro di raccolta delle denunce sul lavoro forzato. Questo è quello che stiamo facendo. PRESIDENTE. Bene. Molte grazie. BRUNO MELLANO. No ! Le sanzioni... CECILIA BRIGHI, Consigliere di amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Sı̀, scusi. Le sanzioni di cui si parla, oggi non esistono. Sono semplicemente una farsa – se cosı̀ posso dire – perché le imprese inserite nell’elenco producono ananas o beni assolutamente non rilevanti. Le sanzioni hanno un ruolo importante. Non siamo noi a chiederle; la mia organizzazione, tranne che per il caso del Sudafrica e del Cile, non ha mai chiesto sanzioni economiche, cosı̀ come le altre organizzazioni sindacali italiane. È il sindacato birmano che le vuole, cosı̀ come le chiedono gli stessi lavoratori (che saranno le prime vittime, perché le imprese chiuderanno; tuttavia, se si guadagnano cinque dollari al mese, Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 11 III COMMISSIONE non fa molta differenza rispetto alla fame) e il premio Nobel per la pace. Le sanzioni, a nostro avviso, vanno quindi rafforzate, con urgenza, includendo tutti i settori chiave del Paese. Il nodo è infatti quello di costringere la giunta militare al tavolo delle discussioni e le sanzioni sono forse lo strumento fondamentale, se non l’unico, che li può costringere a discutere il cambiamento. PRESIDENTE. Vorrei ringraziare di nuovo Cecilia Brighi per la sua ampia, esauriente e precisa ricostruzione di una situazione cosı̀ difficile e cosı̀ complicata, sulla quale penso che avremo occasione di tornare ancora per verificare gli impegni possibili, anche da parte di questo Comitato della Commissione esteri. Indagine conoscitiva – 12 — — SEDUTA DEL 26 LUGLIO 2007 WWF, Legambiente e Greenpeace – abbiamo lanciato un appello con una serie di richieste alle istituzioni italiane, agli enti locali, alle imprese e, ovviamente, al Governo italiano, che mi auguro possa essere diffuso. È in corso una raccolta di firme, che presenteremo in un’iniziativa pubblica a ottobre. Mi auguro che ci diate una mano affinché questa iniziativa abbia maggiore rilevanza. Grazie. PRESIDENTE. Grazie a lei. Dichiaro conclusa l’audizione. La seduta termina alle 11,30. IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO RESOCONTI ESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE DOTT. COSTANTINO RIZZUTO CECILIA BRIGHI, Consigliere di amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Se posso interromperla, vorrei ancora dire che – con il Licenziato per la stampa il 13 settembre 2007. STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO