Myanmar - Birmania

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Myanmar - Birmania
Adesso tocca a Rangoon
di Melina Gazsi, Le Monde, Francia
La liberazione della leader birmana Aung San
Suu Kyi apre nuove prospettive per il turismo.
Evitando, però di favorire il regime militare.
Ecco la Birmania e non somiglia a nessun
altro paese". Quel che affascinava lo scrittore
britannico Joseph Rudyard Kipling, in Letters
from the east, scritto nel 1890, fa lo stesso
effetto ancor oggi ai rari turisti che si
avventurano all'interno del paese, il più
grande di quest'area del sud-est asiatico e
retto da una giunta militare.
Nel 1989 e stato ribattezzato Myanmar. Nel
2009 i turisti stranieri sono stati solo 250.000
mila. Una goccia d'acqua rispetto ai 14 milioni
che la Thailandia accoglie ogni anno o ai
138milioni arrivati in Cina in occasione dei
Giochi olimpici estivi del 2008.
Quel che tutto il mondo conosce meglio della
Birmania, insieme alla sua dittatura, e il
sorriso di Aung San Suu Kyi, la figlia dell'eroe
dell'indipendenza. Una figura emblematica
del movimento democratico e premio Nobel
per la pace nel 1991. Nel 1995 la "signora di
Rangoon" aveva invitato i turisti a boicottare
il suo paese.
In seguito è tornata sui suoi passi, riflettendo
sul fatto che questo atteggiamento avrebbe
penalizzato la popolazione senza indebolire il
regime.
La sua liberazione, il 13 novembre 2010,
dopo anni di arresti domiciliari, spingerà i
turisti a viaggiare in Birmania e gli operatori
turistici a inserirla nei loro programmi?
Infatti, se sono pochi i turisti che scelgono la
Birmania, sono poche anche le agenzie di
viaggio specializzate sull'Asia a proporla come
meta. Una scelta che non ha implicazioni
etiche, ma molto più prosaicamente dipende
dal fatto che non si tratta di una destinazione
molto redditizia, anche se i tour operator
affermano di avere a cuore le sorti del paese.
"E troppo presto per valutare le ricadute della
liberazione di Aung San Suu Kyi sul turismo”,
spiega Sophie Cason, del gruppo Kuoni, uno
dei più importanti tour operator per l’Asia.
"La destinazione continua a essere per pochi,
anche se negli ultimi mesi abbiamo notato un
sensibile aumento delle prenotazioni" .
La lista nera
Una buona notizia per Renaud Egreteau,
ricercatore associato all'Istituto di ricerche sul
sudest asiatico contemporaneo (Irasec):
"L'apertura del turismo in Birmania sarebbe
ovviamente un fatto positivo. Il paese e i suoi
abitanti ne hanno bisogno.
Inoltre, è uno dei rari settori economici che
può sfuggire in gran parte al controllo
monopolistico delle autorità militari birmane,
a differenza del settore energetico".
Un parere condiviso da Emmanuel Foiry,
presidente di Kuoni Francia.
"II giro d'affari è niente in confronto a quello
delle esportazioni di legno e pietre preziose e
degli idrocarburi, che rendono alla giunta due
milioni di dollari al giorno, contro i dodici
milioni all'anno del turismo", aggiunge
Cristophe Sentuc, direttore di Terre birmane,
un'agenzia di viaggi che promuove il turismo
responsabile.
Le agenzie che propongono la Birmania nel
loro catalogo cercano di ridurre al minimo gli
introiti che la giunta potrebbe trarre dal
turismo. Impiegando personale locale,
attraverso gli alberghi, i trasporti ed i
ristoranti e evitando le strutture governative,
le agenzie affermano che solo il 5 per cento
del frutto della loro attività va a finire nelle
tasche della giunta.
In compenso migliaia di birmani possono
vivere di turismo. Il gruppo Orient Express,
che possiede l'hotel The Governor's
Residence, a Rangoon, e il battello da
crociera Road to Mandalay che naviga sul
fiume Irrawaddy, afferma di far lavorare più
di 250 persone del posto. Inoltre, negli ultimi
quindici anni ha avviato molte azioni
umanitarie.
Tutti sperano quindi che la liberazione della
"signora di Rangoon" aprirà il paese al
turismo. Secondo Renaud Egreteau, "ci vorrà
tempo per superare le posizioni manichee
sulla politica, e l'opinione pubblica
internazionale non è ancora pronta a
considerare la Birmania come una nuova
Thailandia.
Anche se è possibile visitarla autonomamente
o con un viaggio organizzato, e si può parlare
con la popolazione". Isabelle Dubuis, di Info
Birmanie, un'associazione in difesa dei diritti
umani è impegnata nel sostegno alla
popolazione birmana, ha un punto di vista più
complesso.
Le dispiace che l'offerta turistica si limiti ai
quattro siti fondamentali: Yangon (ex
Rangoon), Bagan, Mandalay e il lago Inle.
E che la Birmania appaia solo come una bella
cartolina, eternamente misteriosa e mistica.
"I volti sorridenti dei birmani sono anche
quelli del disagio e della disperazione", dice
ricordando le donne violentate dai militari.
L'associazione incoraggia l'incontro tra le
diverse culture, ma invita i turisti a essere
attenti. A marzo Info Birmanie ha pubblicato
una lista nera, scaricabile da internet, che
segnala le strutture turistiche legate
direttamente o indirettamente al regime.
Una precauzione che gli organizzatori di
viaggi verso il "paese dalle diecimila pagode"
hanno adottato da tempo. "La Birmania è una
scelta personale e responsabile di chi ama
l'Asia", aggiunge il presidente di Kuoni
France, che nei depliant cita Victor Hugo:
"Dare senso al viaggiare e dare senso alla
vita".