1 INDAGINE CONOSCITIVA NEL SETTORE DEGLI ORDINI E

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1 INDAGINE CONOSCITIVA NEL SETTORE DEGLI ORDINI E
INDAGINE CONOSCITIVA NEL SETTORE DEGLI ORDINI E
COLLEGI PROFESSIONALI
INDICE
PARTE PRIMA: LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI ASPETTI GENERALI
1. Le professioni intellettuali protette - inquadramento giuridico
1.1 Le professioni e la legge a tutela della concorrenza
1.2
Le professioni protette
1.2.1 Definizione di professione protetta
1.2.2 Il rapporto Stato-professioni protette. Cenni alle origini storiche
1.3
Organizzazione delle professioni
1.3.1 La struttura degli ordini
1.3.2 Funzioni e poteri
1.4
I principali strumenti di regolamentazione
1.4.1 Le tariffe
1.4.2 Le esclusive di attività
2. La regolamentazione dei servizi professionali - analisi economica
2.1 Caratteristiche dei servizi professionali e motivazioni degli
interventi di regolamentazione
2.1.1 Asimmetrie informative
2.1.2 Forme di selezione avversa
2.1.3 Effetti esterni ed efficienza
2.2
Forme di regolamentazione
2.2.1 Requisiti minimi di capitale umano
2.2.2 Standard relativi alla qualità della prestazione
2.2.3 I minimi tariffari
2.3
Autoregolamentazione: costi e benefici
2.4
Conclusioni
1
PARTE PRIMA
LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI
ASPETTI GENERALI
5
CAPITOLO PRIMO: LE PROFESSIONI
PROTETTE-INQUADRAMENTO GIURIDICO
INTELLETTUALI
1.1 Le professioni e la legge a tutela della concorrenza
1. L’applicazione alle libere professioni della normativa posta a tutela
della concorrenza presuppone che l’esercizio della professione intellettuale sia
assimilabile all’attività di “impresa”.
2. Contro siffatta assimilazione, e, più in generale, a favore della
sottrazione delle attività professionali all'applicazione delle regole della
concorrenza, viene tradizionalmente sostenuto che l'operare dei meccanismi di
mercato nel settore delle professioni non garantirebbe la massimizzazione del
benessere sociale, il cui perseguimento giustificherebbe invece l’introduzione di
svariati strumenti di regolamentazione concernenti tra l’altro l’accesso alla
professione, le tariffe, la pubblicità.
3. Viene inoltre ricordato che tale impostazione è stata recepita dal
codice civile, che conferisce al professionista intellettuale protetto uno status
diverso da quello dell'imprenditore, tenuto conto del fatto che il codice stesso
disciplina le professioni intellettuali in un capo distinto e mediante norme
peculiari (artt. 2229-2238 c.c.), e in particolare che, ai sensi dell'art. 2238 c.c.1,
le attività professionali non sono legislativamente considerate quali attività
imprenditoriali. Tale norma escluderebbe infatti che l'attività professionale
costituisca impresa e, conseguentemente, che ad essa siano applicabili le norme
sull'impresa, a meno che l'esercizio della professione rappresenti un elemento di
un'attività organizzata in forma di impresa.
4. Giova innanzitutto osservare che l’assimilazione dell’attività svolta dai
professionisti intellettuali all’attività di impresa rappresenta un principio ormai
consolidato nel diritto comunitario della concorrenza. Al riguardo le ripetute
iniziative intraprese dalla Comunità, a livello normativo e giurisprudenziale,
ispirate al principio dell'applicabilità delle norme antitrust anche al settore delle
libere professioni appaiono senz'altro costituire, in ambito nazionale, un
imprescindibile punto di riferimento.
1
L’articolo stabilisce che “ se l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in
forma di impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II.
In ogni caso se l’esercente una professione intellettuale impiega sostituti e ausiliari, si applicano le
disposizioni delle sezioni II, III, e IV del capo I del titolo II”.
6
5. Come è noto, tali iniziative trovano il loro presupposto nell'ampia
nozione di impresa adottata a livello comunitario, secondo la quale, nel
contesto del diritto della concorrenza, si qualifica come impresa qualsiasi entità
che esercita un'attività economica a prescindere dal suo stato giuridico e dalle
sue modalità di finanziamento2. E’ dunque l’attività economica svolta a rilevare
e ciò in relazione agli obiettivi che l’ordinamento comunitario persegue.
Pertanto, ove si consideri che il diritto della concorrenza è diretto a regolare
l’azione sul mercato di qualsiasi soggetto economico, in quanto esso è idoneo
ad alterare il funzionamento del mercato, trova giustificazione
un’interpretazione funzionale a tale obiettivo che conferisce rilevanza a tutte le
entità che agiscono sul mercato, prescindendo dalla forma giuridica che
rivestono. L’impresa assume, in tale ambito, carattere relativo e strumentale in
ordine all’applicazione delle regole della concorrenza.
La linea interpretativa seguita in sede comunitaria prescinde quindi da
una precisa categorizzazione giuridico formale del concetto e privilegia
l'aspetto funzionale dell'impresa dando rilevanza predominante, ai fini della
qualificazione della fattispecie giuridica, all'esercizio dell'attività economica,
ossia a quella attività consistente nell'offerta di beni e servizi. In altri termini,
l’attività diventa economica e qualifica l’impresa quando è in grado di incidere
sul mercato e dunque quando lo stesso mercato è configurabile. Tale concetto
di impresa risulta senz'altro idoneo a comprendere anche le attività degli
esercenti le professioni intellettuali, incluse quelle protette, in quanto si
sostanziano nell'erogazione di servizi a fronte di un corrispettivo3.
6. Peraltro, l'equiparazione delle libere professioni al trade or commerce,
con conseguente soggezione delle prime alle norme antitrust, era già stata
affermata negli Stati Uniti4. Sicché può dirsi che la giurisprudenza comunitaria
2 Cfr. Corte Giust. 23 aprile
3Cfr. L. Di Via, L’impresa,
1991, Hofner, Elser/Macroton.
in Diritto Privato Europeo, Padova, 1997, il quale sottolinea che il Parlamento
europeo, come si deduce dalla XIX e XX Relazione sulla politica della concorrenza ha invitato la
Commissione a promuovere la concorrenza nel settore delle libere professioni. Le prime decisioni formali
della Commissione in questo senso riguardano gli spedizionieri doganali italiani (decisione del 30 giugno
1993, Consiglio Nazionale Spedizionieri Doganali) e gli agenti di brevetto spagnoli (decisione del 31
gennaio 1995, Coapi). Con riferimento a quest’ultimo caso, la Commissione, proprio in relazione ad una
figura professionale, quella dei consulenti in proprietà industriale, prevista dalla legge spagnola, ha precisato
che "Gli API (agentes de la propietad industrial) prestano i loro servizi in modo stabile e retribuito. Il fatto
che essi costituiscano una libera professione regolamentata (.....), che le prestazioni abbiano carattere
intellettuale, tecnico o specializzato e siano fornite su base personale e diretta non cambia nulla alla natura
di attività economica".
4 In U.S. Supreme Court no. 74-70, June 16, 1975, Lewis Goldfarb et ux. v. Virginia State Bar, si afferma
che la disposizione del § 1 dello Sherman Act non contiene eccezioni. In particolare, “lo Sherman Act è
applicabile nei confronti di ogni persona impegnata negli affari la cui attività potrebbe restringere o
monopolizzare gli scambi economici tra gli Stati. Nel mondo moderno non si può negare che l’attività di
avvocato gioca un ruolo importante negli scambi economici e che le pratiche anticoncorrenziali tra
avvocati possono costituire una restrizione al commercio”.
7
si è fatta portatrice, in questa materia, di un modo di sentire che tende a
generalizzarsi nel mondo contemporaneo.
7. Va detto inoltre che alcuni Paesi membri dell’Unione stanno
eliminando progressivamente i vincoli che la normativa poneva alla libera
iniziativa economica in questo settore5.
8. Assume rilievo, a questo punto, il disposto di cui all'art. 1, comma 4,
della legge n. 287/90, secondo il quale le norme di questa legge vanno
interpretate in base ai principi dell'ordinamento delle comunità europee in
materia di disciplina della concorrenza. Il che comporta che al concetto
d'impresa non potrebbe esser dato, nell'interpretazione di detta legge, un
significato diverso da quello accolto in ambito comunitario.
Ne deriva che, quale che sia il concetto di impresa già vigente nel diritto
interno e quale che sia in esso la condizione giuridica dei professionisti
intellettuali protetti, questi ultimi vanno considerati quali imprese, agli specifici
effetti della legge n. 287/19906. L’assimilazione della libera professione al
concetto di impresa appare infatti consona con la ratio che sottende la legge n.
287/90, la quale essendo volta a garantire l’assetto concorrenziale del mercato
concerne chiunque, a prescindere dal suo status giuridico, per il solo fatto di
proporsi come fonte di soddisfacimento dei bisogni, vi operi attivamente e
contribuisca alla definizione del suo equilibrio7.
5
Cfr. L. Di Via, cit., 278, il quale mette in luce che, nel Regno Unito, ad esempio, “già nel 1970 la Merger
and Monopolies Commission (MMC) ha affermato che la fissazione collettiva delle tariffe degli onorari, i
divieti di pubblicità, il divieto di esercitare la professione nella forma della società a responsabilità
limitata, il divieto di associarsi con altri professionisti costituiscono pratiche suscettibili di essere contrarie
all’interesse pubblico (The Monopolies Commission, A report on the general effect on the public interest of
certain restrictive practices so far as they prevail in relation to the supply of professional service, London,
October, 1970)”. Dopo questo intervento alcune professioni, a volte volontariamente altre sollecitate, hanno
iniziato a modificare le loro pratiche.
Tra le iniziative più recenti è utile inoltre ricordare l’emanazione, in Spagna della legge 14 aprile 1997 n. 7,
recante alcune importanti modifiche della regolamentazione dell’attività dei professionisti, in particolare in
tema di tariffe, volte a sottoporre tale attività alle norme a tutela della concorrenza.
6 Cfr. F. Galgano, G. Schiano di Pepe, Parere per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
intorno alle libere professioni intellettuali, 1996.
7 A queste conclusioni l’Autorità era già giunta in altre occasioni. In particolare la Federazione Italiana Vela
è stata qualificata come impresa dal punto di vista economico e assoggettata alla legge n. 287/90, in virtù del
fatto che la sua attività non consiste solo nell’esercizio di poteri regolamentari ma comporta anche
l’assunzione di scelte economiche relative al reperimento e alla distribuzione dei finanziamenti
(Provvedimento del 18 novembre 1992, Aici-Fiv). L’Autorità inoltre ha già assoggettato alle regole della
concorrenza le professioni intellettuali, nel provvedimento del 14 dicembre 1994, Tariffe Amministratori di
Condomini, nel quale sono stati considerati imprese gli amministratori di condomini, i quali esercitano
un’attività svolta anche dai geometri. Al riguardo il TAR del Lazio, con decisione del 25 ottobre 1995, nel
rigettare il ricorso proposto contro la citata decisione dell’Autorità, ha condiviso la definizione di impresa
risultante dal diritto comunitario e riferita a tutti i soggetti che svolgono attività economica e che, quindi,
siano attivi su un determinato mercato.
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9. Atteso che l’assimilazione della professione intellettuale all’attività
d’impresa appare perfettamente coerente con la nozione d’impresa adottata in
ambito comunitario, è importante sottolineare altresì che l’adozione di una
nozione funzionale di impresa non solo non si pone in contrasto con il nostro
ordinamento, ma nemmeno rappresenta una novità nell’ambito dello stesso.
Con riferimento alla nozione di impresa prevista dal nostro codice va
considerato innanzitutto che il legislatore del ‘42 “nel dettare la disciplina
dell’impresa non si è preoccupato di riconoscere e regolare l’entità economica
come struttura giuridica autonomamente rilevante”, quanto “di individuare
l’impresa nel suo profilo dinamico, come attività, al solo fine di risalire al
soggetto che la svolge, così da poter determinare la disciplina (....) cui questi
soggiace”8.
Pertanto, anche in base al nostro ordinamento la ricostruzione della
nozione d’impresa in termini unitari non è agevole, dal momento che la
legislazione speciale non ha mancato di assumere spesso la nozione d’impresa
in un’accezione differente o comunque in base ad elementi che non coincidono
con quelli che concorrono a delineare la fattispecie codicistica9. Si tenga infatti
presente che i requisiti posti dall’art. 2082 c.c. sono i requisiti rilevanti ai fini
della nozione civilistica di imprenditore, ai fini cioè dell’applicazione delle
norme di diritto privato che fanno riferimento all’impresa e all’imprenditore o a
figure qualificate. Pertanto, “le nozioni giuridiche di impresa e di imprenditore
elaborate in altri settori del diritto non coincidono puntualmente con quella
fissata dall’art. 2082”10. Ciò è spiegato dal fatto che il legislatore, in funzione
degli interessi che nelle singole circostanze appaiono meritevoli di protezione
può dare una ricostruzione diversa di uno stesso fenomeno che, tuttavia,
continua ad essere designato con espressioni fondamentalmente identiche.
“Non esiste quindi la nozione di impresa, ma esistono in diritto le nozioni di
impresa (civilistica, tributaria, comunitaria) dettate in funzione degli specifici
assetti normativi regolati e degli specifici interessi cui si intende dare
sistemazione”11. Con questo non si intende rinnegare la validità della
8
Cfr. G. Guizzi, Il concetto di impresa tra diritto comunitario, legge antitrust e codice civile, in Riv. Dir.
Comm., n. 3-4, 1993, 287.
9 In questo senso si è espresso G.F. Campobasso, Diritto Commerciale: diritto dell’impresa, Torino 1986, 27
il quale per spiegare i rapporti tra la definizione di impresa e quelle emergenti dalle leggi speciali appunto
sottolinea che “i requisiti posti dall’art. 2082 sono i requisiti rilevanti ai fini della nozione civilistica ... e
dunque solo tendenzialmente coincidenti con quelli autonomamente fissati da altri settori
dell’ordinamento” pervenendo dunque, alla luce di tali premesse alla conclusione che “non esiste una
nozione giuridica d’impresa ...ma solo le nozioni giuridiche d’impresa”.
10 Così G.F. Campobasso, cit., 27.
11 Così G.F. Campobasso, cit., Torino, 27.
Al riguardo non si è mancato di sottolineare come la necessità di far fronte alle nuove esigenze emergenti e
di assicurarvi adeguata protezione abbia determinato il moltiplicarsi di leggi speciali che sempre più spesso
si pongono non come “specificanti” ma piuttosto come leggi “decodificanti” che consentono legittimamente
9
definizione del codice come definizione tendenzialmente generale della realtà
giuridica dell’impresa, ma riconoscere che gli elementi che la compongono non
sempre hanno il medesimo grado di significatività quale presupposto per
l’applicazione delle diverse discipline e prendere atto che le istanze che
giustificano il ricorso ad una certa normativa possono essere meritevoli di tutela
per la sola presenza di alcuno di questi elementi. In sostanza, nell’applicazione
delle norme che concernono l’impresa appare necessario non limitarsi ad un
accertamento della mera rispondenza formale della realtà concreta con la
fattispecie astratta, ma procedere ad una interpretazione teleologica.
10. Al riguardo pertanto, occorre considerare il fatto che la finalità
perseguita dalla legge n. 287/90 non si esaurisce nella tutela della concorrenza
come aspetto della libertà di iniziativa economica del singolo individuo, ma
riguarda la difesa di tale regime economico come il più idoneo a soddisfare
esigenze della collettività. A tal fine, la normativa prende in considerazione
normalmente atti provenienti da imprese nel significato codicistico del termine,
ma può riguardare anche atti economicamente rilevanti che, pur non realizzati
da imprese quali risultano dalla definizione codicistica del termine, presentano
però eguale capacità di alterazione dell’equilibrio del mercato.
In sostanza, si tratta di un processo di adattamento della fattispecie
compiuto dall’interprete in considerazione delle finalità della legge che si
intende applicare e che consente di pervenire ad una definizione del fenomeno
che permette di dare un’adeguata protezione agli interessi che il legislatore ha
ritenuto meritevoli di tutela12.
Pertanto, poiché l’adozione di una nozione di impresa funzionale ad uno
specifico interesse non è una novità nel nostro ordinamento giuridico, la
nozione ampia di impresa adottata ai fini della tutela delle norme poste a tutela
della concorrenza non si pone assolutamente in contrasto con lo stesso.
11. Infine, a prescindere dalle considerazioni fino ad ora svolte, va
comunque osservato che l’assimilazione della professione intellettuale
all’impresa non si pone necessariamente in contrasto con la generale nozione
d’impresa dettata dal codice civile all’art. 208213, poiché quest’ultima è già di
per sè idonea a comprendere l'attività dei professionisti intellettuali. La nozione
di ricostruire la fenomenologia giuridica secondo una logica eterodossa rispetto a quella del Codice. Cfr.
N.Irti, Leggi speciali (dal mono sistema al poli sistema), in Riv Dir. Civ. 1979, 141 ss.; L’età della
decodificazione, Milano, 1979; e, da ultimo, La cultura del diritto civile, Torino, 1990.
12 Così G. Guizzi, cit.
13Secondo tale articolo "E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi".
10
di impresa in genere, desumibile da quella di imprenditore, risulta infatti
estremamente ampia.
Al riguardo, l’art. 2082 c.c., che apre il capo I- concernente l’impresa in
generale- del titolo II, definisce l’imprenditore come colui che esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o
dello scambio di beni o di servizi. A ben vedere nell’esercizio della professione
intellettuale sono presenti tutti i quattro requisiti in cui viene tradizionalmente
scomposta la nozione civilistica per l’identificazione della figura
dell’imprenditore e quindi, dell’impresa in genere: la professionalità, l’attività
economica, l’organizzazione, il fine della produzione o dello scambio di beni o
servizi.
L’esercizio di una attività intellettuale infatti può (ed anzi lo è
normalmente) essere svolto con professionalità, con tale intendendosi
l’esercizio abituale e non occasionale di una data attività; ha ad oggetto una
attività economica, ovvero una attività condotta con metodo economico,
secondo modalità cioè che consentano la copertura dei costi con i ricavi; è
attività organizzata, come tale intendendosi l’attività di programmazione e di
coordinamento della serie di atti in cui essa si sviluppa, ovvero l’impiego
coordinato di fattori produttivi (capitale e lavoro) propri e/o altrui14; è infine
attività produttiva di servizi, potendo le opere e le prestazioni intellettuali
essere annoverate tra i beni e i servizi ed essendo irrilevante ai fini della
qualificazione di una attività come produttiva la natura dei beni o servizi
prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare.
Il vasto concetto di impresa contenuto nell’art. 2082 c.c. prescinde
quindi dallo status particolare del soggetto ed è suscettibile di ricomprendere
anche l’esercizio delle professioni intellettuali, trattandosi di attività
economiche esercitate professionalmente ed organizzate per la produzione e lo
scambio di servizi. Pertanto, l'adattamento del diritto interno al diritto
comunitario non comporta in questo caso una modificazione delle categorie
ordinanti del sistema codicistico.
12. Nè per escludere professionisti intellettuali dal novero degli
imprenditori possono essere addotte le norme di cui all’art. 2232 c.c.
14
L’organizzazione imprenditoriale può essere anche organizzazione di soli capitali e del proprio lavoro
intellettuale e/o manuale. Parte della dottrina fa poi esplicito riferimento alla figura del piccolo imprenditore,
delineata dall’art. 2083 cc. dove è considerato imprenditore colui che esercita un’attività organizzata
prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, per affermare che è imprenditore
anche chi si limita ad organizzare il proprio lavoro senza impiegare nè lavoro altrui nè capitali. In questo
senso, W. Bigiavi, La piccola impresa, Milano, 1947, F. Galgano, Diritto commerciale I, Bologna, 1982, M.
Bione, L’impresa ausiliaria, Padova, 1971 e P.G. Jaeger, La nozione d’impresa dal codice allo statuto,
Milano 1985.
11
sull’esecuzione personale delle prestazioni del professionista o all’art. 2233 c.c.
sulle caratteristiche forme e misure di compenso. Tali norme non attengono ai
criteri di individuazione del soggetto rilevante per l’applicazione della
disciplina, ma alla particolare disciplina prevista per un determinato soggetto.
Non è infatti in base alla forma di remunerazione di cui all’art. 2233 c.c. che si
stabilisce se un soggetto è professionista o imprenditore, bensì si applica la
forma di remunerazione di cui all’art. 2233 c.c. a chi sia professionista
intellettuale.
13. Da ultimo, c’è, ed è già stato ricordato, l’articolo 2238 c.c.. A ben
guardare, tuttavia, tale norma si limita ad escludere implicitamente
l’applicazione di una disciplina, quella dello statuto dell’imprenditore, ai
professionisti intellettuali, ma da ciò non si può inferire necessariamente anche
la negazione della qualificazione giuridica della fattispecie di imprenditore. Al
riguardo, la norma al primo comma dispone che “se l’esercizio della
professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa,
si applicano anche le disposizioni del titolo II” (il richiamo dell’intero titolo II
rende applicabili anche le disposizioni del capo III, relative all’imprenditore
commerciale) e al secondo comma che “in ogni caso, se l’esercente una
professione intellettuale impiega sostituti o ausiliari, si applicano le disposizioni
delle sezioni II,III e IV del titolo II”, concernenti i rapporti di lavoro e il
tirocinio (non è richiamata quindi la sezione I nella quale è compreso l’art.
2082 c.c. che definisce l’imprenditore).
Da tale norma si è invece desunta altresì la negazione implicita della
qualità di imprenditori ai liberi professionisti che diverrebbero imprenditori solo
se e in quanto la professione intellettuale sia esplicata nell’ambito di altra
attività di per sè qualificabile come impresa rispetto alla quale l’esercizio della
professione si ponga quale semplice “elemento”(primo comma), mentre il
professionista intellettuale che si limiti a svolgere la propria attività non
diverrebbe mai imprenditore, neanche nell’ipotesi in cui si avvalga di una vasta
schiera di collaboratori e di un complesso apparato di mezzi materiali dando
vita ad una organizzazione complessa di capitale e lavoro (secondo comma). In
questo secondo caso infatti si applicano al professionista le norme che
disciplinano il lavoro nell’impresa ma non la restante disciplina dell’impresa.
Sulla scia di quanto autorevolmente sostenuto da F. Galgano15, è ben
possibile opporre a tale interpretazione la considerazione che, se da tale norma
appare scontata un’esclusione implicita dell’applicazione della disciplina
15
Cfr. F. Galgano, G. Schiano di Pepe, cit.
12
dell’imprenditore ai professionisti intellettuali, non altrettanto scontata appare
anche la negazione della loro qualità di imprenditori.
Anzi, se i professionisti intellettuali non potessero comunque rientrare in
tale fattispecie, in quanto carenti dei requisiti, non vi sarebbe alcuna necessità
di negare implicitamente l’applicazione della disciplina dell’impresa
all’esercizio della loro attività. La esenzione stabilita dall’art. 2238 c.c. ha
senso proprio perché in sua assenza le caratteristiche della fattispecie avrebbero
potuto comportare anche l’applicazione dello statuto dell’imprenditore ai
professionisti intellettuali nell’esercizio della loro professione, circostanza che
il legislatore ha voluto evitare attribuendo, in virtù di considerazioni di carattere
storico e sociologico, ad un determinato ceto un particolare privilegio,
consistente nell’immunità rispetto allo statuto dell’imprenditore e nella
previsione di una disciplina ad hoc. Tale immunità deriverebbe dalla tradizione,
che ha sempre differenziato l'esercente le professioni liberali dal commerciante,
tenuto conto della condizione e della considerazione sociale dell'uno e
dell'altro, nonché dalla volontà del legislatore di sottrarre i professionisti
intellettuali all’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale16 17.
14. L’esenzione concessa ai professionisti intellettuali è del resto
circoscritta al solo esercizio della professione intellettuale, proprio perché la
disciplina ad hoc prevista per tale esercizio è considerata dal legislatore
necessaria e sufficiente per tutelare gli interessi e i rapporti che esso mette in
gioco. Quando invece l’oggetto dell’attività esercitata dal libero professionista
va oltre le prestazioni intellettuali, la disciplina prevista per le professioni
intellettuali è pur sempre necessaria con riguardo a tali prestazioni, ma non è
più sufficiente con riguardo alle ulteriori attività che vengano esercitate. Questo
tuttavia non significa che la prima attività non abbia le caratteristiche elencate
nell’art. 2082 c.c. e che le abbia invece la seconda, bensì che la prima attività
usufruisce di un privilegio ed è esentata dall’applicazione della disciplina
relativa all’impresa e la seconda invece non ne è esentata.
Al riguardo deve essere ulteriormente osservato che la norma prevede
anche l’applicabilità delle disposizioni sull’impresa “se l’esercizio della
16
Sulla concessione di un privilegio concordano F. Farina, Esercizio di professione intellettuale ed
organizzazione ad impresa, in Impresa e società. Scritti in memoria di A. Graziani, V, Napoli, 1968, V.
Buonocore, Fallimento e Impresa, Napoli, 1969 e G.F. Campobasso, già citato. Nello stesso ordine di idee,
T. Ascarelli, Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano 1962, F. Galgano
Diritto commerciale, cit., e G. Cottino, Diritto commerciale, I, Padova, 1979.
17 A ciò si aggiunga che il legislatore dell’epoca avvertiva come particolarmente importante la necessità di
sottrarre i professionisti a una disciplina dell’impresa incentrata su un particolare regime di responsabilità
dell’imprenditore verso lo Stato per l’osservanza della disciplina corporativa della produzione, che oggi non
ha più ragion d’essere.
13
professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa”
e non “se l’attività del professionista è organizzato in forma di impresa”. Da ciò
si può desumere che la norma non vuole affatto significare che in questa ipotesi
la professione intellettuale si trasforma da non impresa a impresa, in quanto se
così fosse la formula adottata avrebbe fatto propendere per una sostituzione
tout court della disciplina dell’impresa a quella prevista per l’esercizio della
professione intellettuale. L’attività del professionista intellettuale rimane invece
pur sempre distinta e disciplinata dalle norme relative alle professioni
intellettuali, e non viene sostituita dalla disciplina dell’impresa, ma affiancata
ad essa. In altri termini l’attività professionale rimane pur sempre “esentata”
dall’applicazione della disciplina sull’impresa e continua a beneficiare di per sè
di una disciplina ad hoc, mentre la disciplina sull’impresa si rende in questo
caso applicabile congiuntamente perché il professionista intellettuale svolge
anche altre attività che non godono di tale beneficio18.
15. In conclusione, l’assoggettamento dei professionisti intellettuali alle
norme poste a tutela della concorrenza in quanto esercitano un’attività che può
essere qualificata impresa trova un sicuro fondamento nel diritto comunitario, al
quale quelle norme si devono informare, e non è contraddetta dal codice civile.
E tale conclusione non implica in nessun modo una scarsa considerazione
delle peculiarità dei mercati dei servizi professionali, quanto piuttosto il
riconoscimento che tali specificità, se pure hanno giustificato in passato
l’esenzione del settore da alcune discipline, non costituiscono tuttavia fattori di
automatica e generale sottrazione alle stesse regole della concorrenza. Peraltro,
proprio le distintive caratteristiche dei servizi professionali inducono ad
effettuare una accurata verifica in relazione agli interessi pubblici e privati che
l’attuale regolamentazione delle professioni intellettuali si propone di tutelare
ed in particolare inducono a valutare in che misura sia ancora giustificabile la
tutela di tali interessi, soprattutto di quelli esclusivamente di categoria,
verificando a qual punto e in quali casi la difesa degli stessi è suscettibile di
determinare distorsioni concorrenziali e non consente di conseguire le finalità di
interesse generale sottese alla legge n. 287/90. Tali valutazioni si impongono
anche in considerazione della tendenza, da parte di un sempre maggior numero
di professioni emergenti, ad acquisire una regolamentazione pubblicistica, sulla
falsariga di quella stabilita per le professioni protette.
18
E’ il caso del farmacista, al quale vengono applicate sia le norme sulla professione intellettuale in quanto
svolgente tale attività, sia quelle sulla disciplina dell’impresa, in quanto svolgente anche un’attività
commerciale.
14
I criteri di natura generale per effettuare tale valutazione verranno
esplicitati nel capitolo successivo, riguardante le caratteristiche dei servizi
professionali e la possibile ratio degli strumenti di regolamentazione pubblica e
di autoregolamentazione più frequentemente riscontrabili nel settore.
Prima di analizzare tali aspetti, tuttavia, appare opportuno accennare
brevemente all’evoluzione nel tempo del rapporto Stato-professioni, chiarendo
in tal modo il processo attraverso il quale sono stati attribuiti poteri di
autogoverno alle categorie professionali e si è giunti alla loro attuale
regolamentazione.
1.2 Le professioni protette
1.2.1 Definizione di professione protetta
16. La presente indagine si riferisce in particolare alle professioni
intellettuali il cui esercizio è subordinato all'iscrizione in albi o elenchi e
all'appartenenza ad enti, denominati ordini o collegi professionali. Tali
professioni vengono anche generalmente indicate con la locuzione "professioni
protette" e sono disciplinate dal legislatore nell’ambito del capo II, tit. III, libro
V del Codice Civile, intitolato alle “professioni intellettuali”, che si riferisce a
quell’attività autonoma tradizionalmente qualificata con l’espressione
“professione liberale”. L’oggetto della disciplina dettata dal citato complesso di
norme è rappresentato da una attività umana qualificata per la presenza di due
requisiti, la professionalità, intesa sotto il profilo della continuità del suo
esercizio, e l’intellettualità, intesa come espressione della produzione
intellettuale del soggetto che risulta preminente e determinante in tale attività19.
La previsione normativa rispetto a tali attività è aperta, nel senso che
l’iscrizione all’albo non è imposta per tutte le professioni intellettuali, ma solo
per alcune attività espressamente previste dalla legge.
1.2.2 Il rapporto Stato-professioni protette. Cenni alle origini storiche
17. Nel sistema italiano lo Stato si è posto come agente di legittimazione
delle professioni intellettuali attraverso le leggi di regolamentazione
professionale emanate a partire dal 1874. Infatti solo quelle riconosciute per
19
Sotto questo profilo appare agevole definire le linee di differenziazione della prestazione di opera
intellettuale dalla prestazione consistente nel compimento di un opera o di un servizio dietro corrispettivo
(art. 2222 c.c.) per il fatto che nella prima ipotesi l’elemento qualificante dell’opera deve essere ricercato
nella sua natura di creazione intellettuale; nella seconda invece tale elemento va individuato nel
conseguimento di un risultato materiale.
15
legge e per le quali la legge indica i requisiti indispensabili all’esercizio
(formazione, controllo dell’accesso, iscrizione all’albo) sono professioni
considerate protette. Lo Stato inoltre ha esercitato i propri poteri per
combattere l’abusivismo e per dare riconoscibilità sociale all’utilità e
all’esclusività di quei professionisti provvisti delle credenziali richieste.
Inoltre, nel corso tempo, lo Stato ha contribuito a creare una gerarchia
delle libere professioni tramite processi selettivi e di esclusione che hanno
valorizzato e privilegiato, a seconda del periodo storico, ora l’una ora l’altra
professione, modificandone lo status e il rapporto con la società. Nel periodo
postunitario la selezione privilegiò i professionisti del diritto che per quasi
quarant’anni furono i soli ad avere una legge di inquadramento sul piano
nazionale. Il fascismo dal canto suo, valorizzò i tecnici (ingegneri, architetti,
commercialisti) affermando attraverso il loro riconoscimento giuridico la loro
utilità sociale e valorizzando le loro credenziali attraverso la trasformazione
delle scuole superiori in istituti universitari.
18. Si può inoltre osservare che il rapporto Stato-professioni è stato
caratterizzato da un lato dal potere di selezione esercitato dallo Stato, dall’altro
dalle pressioni da parte dei gruppi professionali al fine di ottenere
riconoscimenti e privilegi legislativi idonei ad incrementare la rilevanza delle
professioni nel tessuto sociale. Se infatti la decisione di emanare la prima
normativa professionale, quella forense, partì dallo Stato, è pur vero che la
maggior parte dei membri del Parlamento dell’epoca erano avvocati e che le
successive leggi furono emanate sotto la pressione dei gruppi professionali. I
notai riuscirono così nel 1913 ad ottenere l’obbligo della laurea e a garantirsi un
controllo rigido dell’accesso e del mercato, gli ingegneri nel 1923 riuscirono
con la loro azione a far varare la legge sulla difesa del titolo così come i medici
si batterono tra Otto e Novecento per ottenere la tutela del titolo di studio e il
monopolio della cura. I commercialisti, come già avevano fatto i medici prima
di ottenere nel 1910 il proprio ordine, istituirono ufficiosamente i primi ordini
professionali a livello provinciale nel 1911, ma solo nel 1929 la professione
venne riconosciuta e disciplinata sotto il profilo giuridico.
Il sistema italiano si è caratterizzato quindi non solo per una forte
influenza dello Stato sulle professioni ma anche per una azione costante dei
gruppi professionali di condizionamento e di contrattazione al fine di ottenere
maggiori riconoscimenti legali e, quindi, sociali. In questo senso l’ordine, ossia
quell’istituzione che caratterizza in modo peculiare il sistema delle moderne
professioni italiane, ha mantenuto quella duplicità insita nel suo stesso nome,
l’essere cioè corpo professionale e al tempo stesso ordinamento, punto di
incontro tra due interessi, quelli pubblici e quelli privati del gruppo, i cui confini
non sono però nettamente tracciati20.
20
Cfr. M. Malatesta, Professioni e professionisti, in Storia d’Italia, Torino, 1996.
16
19. Al riguardo è opportuno considerare anche che la regolamentazione
legislativa delle professioni da parte dello Stato è stata la risposta ad esigenze
provenienti dal mercato, essendo nata solo laddove la professione aveva una
stretta connessione con il mercato. A ben vedere infatti esistono professioni che
pur avendo un indubbio contenuto intellettuale e una rilevante utilità sociale,
quali ad esempio i fisici e i matematici, non sono costituite in ordini. La ragione
è ravvisabile nel fatto che la necessità di dare una regolamentazione alle
professioni è sentita unicamente dove l’esercizio della professione esplica i
suoi effetti su un mercato e dove esiste un rapporto tra professionista e cliente
consistente nell’erogazione di un servizio a fronte di un corrispettivo. E la
regolamentazione si prefigge per l’appunto di regolamentare tale rapporto
nonché il mercato su cui esso incide.
L’intreccio tra Stato e mercato è stato poi determinante per le professioni
contemporanee perché lo Stato stesso è diventato altresì, via via che
aumentavano i suoi spazi di intervento nell’economia e nella società, un agente
di sviluppo oltre che di regolazione del mercato delle libere professioni. A tal
fine sono risultati determinanti l’importanza della committenza pubblica per gli
architetti e gli ingegneri, lo sviluppo dello stato sociale per i medici, e la
crescita dell’apparato statale per le professioni giuridiche e per i
commercialisti21.
1.3 Organizzazione delle professioni
1.3.1 La struttura degli ordini
20. Per ogni professione protetta è costituito un ente professionale,
ovvero un ordine o collegio organizzato, al quale è affidata la disciplina della
professione22. La distinzione tra ordine e collegio, posta dall'art. 1 del r.d.l. 24
gennaio 1924 n.103 ("Disposizioni per le classi professionali non regolate da
precedenti disposizioni legislative"), fa riferimento al diverso livello di
formazione scolastica richiesto ai membri per l'esercizio della corrispondente
attività, nel senso che appartengono generalmente all'ordine coloro che
21
Per un più ampio quadro storico dell’evoluzione delle libere professioni, sulla scia di quanto esposto, si
veda M. Malatesta, cit.
22 Vi sono alcuni casi in cui non si può invece parlare propriamente di disciplina dell'esercizio della
professione. Ciò si verifica quando la legge non prevede la costituzione di un ente pubblico ma soltanto
l'esistenza presso una pubblica amministrazione di un ruolo o di un albo previsti da leggi speciali per attività
che non hanno carattere intellettuale. In tali casi l’iscrizione all’albo o al ruolo non vale a conferire lo status
di professionisti intellettuali, in quanto a tali professioni manca il requisito dell’intellettualità e la funzione e
l’efficacia del ruolo sono limitate al settore economico. Inoltre, per il caso di prestazione fornita da soggetto
non iscritto al ruolo non può generalmente farsi riferimento all’art. 2231 c.c., a meno che questo non sia
esplicitamente richiamato dalla legge speciale, come nel caso del mediatore.
17
svolgono professioni per le quali è necessario il possesso di una laurea o di un
diploma presso università o istituti superiori e al collegio coloro che esercitano
attività per le quali è sufficiente un diploma di scuole medie23.
21. L’ente professionale, cioè la figura entificata del gruppo
professionale localmente organizzato, ma sistematicamente diffuso su tutto il
territorio nazionale, rappresenta il massimo riconoscimento giuridico attribuito
dallo Stato a determinate attività24. Agli ordini e ai collegi dei professionisti è
infatti riservata la tutela del gruppo di appartenenza, della dignità della funzione
individualmente esercitata dai singoli, del prestigio di cui essa e i suoi operatori
devono essere circondati nel contesto sociale, dal quale dipende l’affidamento
dei terzi e la garanzia di corretto e adeguato esercizio del ministero
professionale implicante prestazioni che incidono su beni e su valori individuali
e collettivi.
A tal fine, l’ente professionale è dotato di particolare indipendenza e di
potestà amministrative autonome ben definite nei confronti di coloro che
obbligatoriamente vi appartengono. Gli ordini e i collegi hanno quindi
nell’attuale legislazione pieno “autogoverno”, nel senso che coesistono
autonomamente all’interno della struttura statale.
Gli ordini o collegi vengono qualificati, dal punto di vista sistematico,
come enti pubblici di tipo associativo, contrassegnati da una organizzazione di
tipo assembleare, la quale importa che tutti i soggetti facenti parte del gruppo
determinino una serie di decisioni fondamentali per la vita dell’ente. A tali enti,
che agiscono sotto la vigilanza dell'amministrazione dello Stato, l'ordinamento
statale, dopo aver stabilito i requisiti di accesso dei membri, attribuisce il
compito di accertarne il possesso da parte di coloro che chiedono l'iscrizione,
nonché il governo degli iscritti in regime di autarchia e il controllo dei loro
comportamenti a garanzia degli interessi della categoria e del suo prestigio,
nonché della collettività generale. Pertanto, l’entificazione del gruppo
professionale, per effetto dell’interesse pubblico intimamente connesso
all’esercizio della professione, implica la determinazione di una normativa di
settore garantista dell’attività in sè considerata e obiettivamente limitativa della
privata autonomia dei singoli.
Su questa base l’organizzazione professionale appare costante nelle sue
linee fondamentali per ogni professione, anche se la disciplina pubblicistica
23A
tale principio fa eccezione, per esempio, il collegio dei notai, probabilmente per conservare un'antica
denominazione, l'appartenenza al quale presuppone la laurea in giurisprudenza.
24 Cfr. C. Gessa, Ordini e Collegi professionali, in Enc. giuridica Treccani, Roma, 1990.
18
adottata per ognuna di esse muta a seconda del tipo di professione e della sua
rilevanza sociale.
22. Gli enti professionali, dato che la partecipazione effettiva degli
associati all’ente si determina unicamente a livello di piccoli gruppi, ovvero in
ambito territoriale limitato, hanno generalmente una struttura federativa.
Generalmente le leggi prevedono un ordine o collegio per ogni provincia.
Tuttavia se il numero dei professionisti residenti è esiguo si può disporre che un
ordine o collegio abbia per circoscrizione due o più provincie limitrofe,
designandone la sede.
Per alcuni ordini, come quelli forensi, la circoscrizione coincide con
quella del tribunale, mentre altri sono organizzati su base regionale, come gli
psicologi o, ancora, nell’ambito di un unico organo nazionale, come i geologi.
Le organizzazioni locali vengono coordinate da un ente unico, che
generalmente è costituito per ciascuna categoria dal rispettivo consiglio
nazionale.
23. Gli ordini e i collegi professionali sono dotati di personalità giuridica
e di organi collegiali. Essi sono l'Assemblea degli iscritti, convocata e
presieduta dal presidente del consiglio dell'ordine o del collegio, alla quale
spettano principalmente, oltre alla fondamentale funzione elettorale,
l'approvazione dei bilanci e le decisioni programmatiche relative agli indirizzi
generali dell'attività dell'ente.
Il Consiglio è invece l'organo collegiale esterno rappresentativo di
ciascun ordine o collegio, al quale sono attribuite le funzioni gestorie proprie
dell'ente. Il Consiglio è costituito esclusivamente da componenti dell'ordine
eletti dai colleghi. Ciascun Consiglio elegge nel proprio seno un Presidente,
talvolta un Vicepresidente, un Segretario ed un Tesoriere.
Il Consiglio nazionale è invece l'organo comune di tutti i relativi ordini o
collegi locali, essendo costituito, a seconda dei casi, da un rappresentante di
ciascuna organizzazione locale ovvero di tutte le organizzazioni che fanno capo
al medesimo distretto.
Generalmente gli ordini e collegi sono collocati sotto la vigilanza del
Ministro di Grazia e Giustizia; per le professioni sanitarie sotto la vigilanza del
Ministro per la Sanità e per i consulenti del lavoro del Ministro del Lavoro.
Ove vengano ravvisate gravi irregolarità o i consigli non siano in grado di
funzionare, possono essere sciolti e il ministro può nominare un commissario
per un tempo determinato.
19
1.3.2 Funzioni e poteri
24. La dottrina di diritto amministrativo, tradizionalmente, considera gli
ordini e i collegi come centri di potere amministrativo, ai quali lo Stato
attribuisce la possibilità di perseguire, sulla base di scelte autonome ma non per
questo esenti da controlli, obiettivi di interesse della comunità oltre che della
consociazione. A questi obiettivi, di interesse generale, è riconosciuta
particolare rilevanza, e da tale riconoscimento deriva per i suddetti enti la
disponibilità di strumenti diversi da quelli di diritto comune e identici o affini a
quelli tradizionalmente propri dello Stato25. Si pensi, ad esempio, ai poteri
inerenti alla tenuta degli albi (iscrizioni, cancellazioni, revoche, revisioni) e alla
disciplina degli iscritti.
Detti poteri, conferiti direttamente dalla legge, devono ricondursi quindi
alle ragioni che giustificano l'esistenza dei suddetti enti, attinenti innanzitutto
alla tutela dell'affidamento della collettività destinataria dell'opera dei
professionisti iscritti. Tali poteri, nel limitare l'autonomia degli iscritti, sono
diretti a garantire che le prestazioni vengano svolte da soggetti muniti
dell'abilitazione stabilita dalla legge e con competenza e moralità tali da non
pregiudicare gli interessi e i valori pubblici su cui incidono.
25. Peraltro dai compiti che la legge demanda agli ordini e ai collegi per
la tutela di interessi pubblici vanno tenuti distinti quelli che gli stessi svolgono
nell'interesse della categoria professionale. Al riguardo, viene sottolineato che
"la tenuta degli albi e i poteri disciplinari appartengono sicuramente al primo
ordine di compiti, siccome diretti a tutelare l'interesse dell'intera collettività a
che la professione intellettuale sia esercitata da soggetti dotati della
necessaria abilitazione ed in possesso dei requisiti richiesti. Ma altrettanto
non può dirsi per ciò che attiene a compiti volti a proteggere il decoro della
professione, che sono compiti attinenti ad interessi superindividuali, ma pur
sempre circoscritti all'interno della categoria professionale"26.
26. Sotto il profilo delle funzioni dirette a tutelare interessi collettivi, è
necessario menzionare lo strumento principale attraverso il quale l’ordinamento
realizza la sua finalità, cioè l’albo professionale che costituisce il fulcro
dell’organizzazione.
L’albo svolge una duplice funzione: da un lato sottopone il professionista
alle norme deontologiche e alla vigilanza e al potere disciplinare dell’ordine (o
25
26
Cfr. per tutti A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1990.
Cfr. F. Galgano, G. Schiano di Pepe, cit.
20
collegio), dall’altro costituisce una forma di pubblicità per coloro i quali
necessitano dell’opera dei professionisti assicurando la tutela della pubblica
fede.
La tenuta o conservazione dell’albo è al centro della ragion d’essere
dell’ente professionale, in quanto ogni determinazione adottata si riflette ed ha
come atto terminale un provvedimento che lo riguarda. I procedimenti
amministrativi che la legge riserva all’ente riflettono sempre il potere di
decisione circa l’appartenenza del singolo al gruppo e vanno dall’iscrizione
all’albo di soggetti che ne hanno i requisiti, alla radiazione dallo stesso di
coloro che risultano successivamente indegni di continuare a farne parte,
passando attraverso procedimenti intermedi dei singoli e della categoria di
carattere sollecitatorio, istruttorio, sanzionatorio o più semplicemente
certificativi.
L'art. 2229 c.c.27 ha reso l'iscrizione all'albo un fatto di legittimazione per
lo svolgimento della professione. Il diritto di esercitare la libera professione,
auto-organizzandosi, è la più importante situazione giuridica attiva che deriva
dall’iscrizione ma quest’ultima si configura anche come atto di ammissione col
quale un soggetto entra a far parte di un gruppo sociale organizzato e ne
assume il relativo status dal quale derivano diritti, obblighi, poteri e facoltà
attinenti all’attività disciplinata dalla legge. Quando tale iscrizione manca non
solo non vi è azione per il pagamento della retribuzione (art. 2231 c.c.), ma
ricorre anche il reato di abusivo esercizio della professione (art. 348 c.p.).
27. Un altro potere di notevole importanza è rappresentato dal potere
normativo. Le norme dell'ordine professionale assumono in parte valore di
norme giuridiche anche nell'ordinamento statale, in parte rimangono invece
interne al gruppo stesso.
L'autonomia normativa pubblica così riconosciuta all'ente professionale
implica quindi che le norme emanate dagli ordini professionali hanno, dinanzi
agli organi costituiti nell'interno degli stessi, valore di vere e proprie norme
giuridiche ed hanno effetto normativo esterno anche senza trasformarsi in
normazione statale28.
27
L’articolo dispone che “la legge determina le professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione
in appositi albi o elenchi”.
28 La normazione professionale risulta costituita dalle seguenti fonti gerarchicamente ordinate:
1) norme legislative costituzionali e ordinarie;
2) norme regolamentari dell'ordinamento generale e dell'ordine e del collegio, ciascuno nell'ambito della
propria competenza, secondo la sfera di autonomia riconosciuta all'ente professionale;
3) regolamenti interni dell'ordine e del collegio;
4) consuetudini aventi effetto, come prodotto spontaneo della comunità, nel solo ambito di essa.
21
Il potere normativo è volto principalmente all’emanazione di norme di
organizzazione e funzionamento degli organi dell'ente e di norme di natura
deontologica, a tutela per l'appunto della correttezza professionale degli iscritti
all’albo.
28. Alla violazione delle regole deontologiche, in gran parte, è ricollegato
l'esercizio del potere disciplinare che può dar luogo a procedimenti disciplinari,
amministrativi e contenziosi, e all'eventuale irrogazione delle relative sanzioni
nei confronti dell'iscritto. Tali misure, nei casi più gravi di violazione delle
norme deontologiche, possono comportare l'espulsione del singolo dal gruppo
con la conseguente cancellazione dall'albo e l'inibitoria all'esercizio dell'attività.
In tale ipotesi, come anche contro il rifiuto di iscrizione è ammesso, ai sensi
dell'art. 2229, comma 3, c. c., ricorso in via giurisdizionale.
Il potere disciplinare che presidia il rispetto e l'aderenza dei
comportamenti individuali all'osservanza delle norme deontologiche non ha
natura giurisdizionale ma si esercita attraverso un procedimento amministrativo
contenzioso. Per il suo tramite gli ordini e i collegi professionali difendono il
complesso dei valori connessi alla professione e tutelano gli interessi della
categoria, assumendo oltre alla qualità di giudice interno anche quella di parte.
Pertanto il potere disciplinare si esplica esclusivamente nei confronti dei
soggetti appartenenti al gruppo e investe solo il comportamento del
professionista inerente o influente sull'esercizio della professione. Il legislatore
lascia la materia alla sfera di autonomia degli ordini e dei collegi. Infatti, le
disposizioni legislative individuano le fattispecie legittimanti le sanzioni
disciplinari con formulazioni molto ampie (compromissione della reputazione
individuale e della dignità della classe di appartenenza, violazione del decoro...)
spesso prive di dettagliate specificazioni, mentre assicurano garanzie
procedimentali e il diritto di difesa dell'inquisito.
L'individuazione della norma concretamente applicabile al caso di specie
è quindi funzione riservata dalla legge alle strutture dell'ordinamento di settore,
le quali conferiscono caso per caso con le loro pronunce rilevanza giuridica alle
regole di comportamento, all'atto stesso di applicarle effettivamente rendendole
vincolanti per tutti gli appartenenti.
Talvolta il potere disciplinare può essere attivato in funzione della
violazione di norme deontologiche stabilite dagli ordini a tutela di interessi della
categoria che non hanno specifica attinenza con l’affidamento dei terzi e la
garanzia di un corretto e adeguato esercizio del ministero professionale. Ciò si
verifica quando l’esercizio della professione viene limitato al solo fine di
evitare la concorrenza tra i professionisti, per salvaguardarne il decoro. In tal
22
caso non solo non si tutela un interesse generale, essendo il decoro della
professione un mero interesse della categoria, ma si può impedire alla
collettività di acquisire i servizi professionali alle condizioni di mercato più
favorevoli.
29. Tra i poteri esercitati al fine di tutelare interessi privati deve
menzionarsi il potere tariffario.
La determinazione delle tariffe soltanto per alcune professioni è di
competenza dei Consigli nazionali dei relativi ordini (avvocati, notai,
commercialisti, ragionieri), come potere di stabilire con i propri regolamenti i
criteri per la quantificazione degli onorari da approvarsi poi dal Ministero di
Grazia e Giustizia, che svolge al riguardo un controllo di mera legittimità
(avvocati e notai), o con un Decreto del Presidente della Repubblica su
proposta del Ministro competente (ragionieri, commercialisti). Più ridotti sono i
poteri che hanno al riguardo i consigli nazionali degli ingegneri, degli architetti
e dei geometri, che si limitano ad una mera funzione propulsiva, ovvero
propongono la tariffa e in cui l’approvazione del Ministro assume il carattere
del controllo di merito.
Vi sono poi professioni per le quali è previsto che i relativi consigli
partecipino alla determinazione della tariffa in termini soltanto consultivi, come
è stabilito per i medici.
30. I suddetti ordini e collegi svolgono, infine, una serie di funzioni di
carattere consultivo, designativo, culturale, che costituiscono prestazioni a
favore della categoria. Ad esempio, con riferimento al potere consultivo, detti
enti danno pareri sulla liquidazione degli onorari, quando richiesti, risolvendo
controversie tra professionisti e clienti. Ancora al fine di rappresentare gli
interessi comuni degli appartenenti alla categoria, gli ordini e i collegi
intervengono per designare i soggetti ai quali attribuire compiti di
rappresentanza della professione all'esterno.
1.4 I principali strumenti di regolamentazione
31. Tra gli strumenti di regolamentazione delle professioni protette
adottati dallo Stato, la cui necessità e proporzionalità rispetto alle esigenze di
interesse pubblico verrà valutata nei capitoli seguenti, ve ne sono due, le tariffe
e l’attribuzione di aree di esclusiva di attività, che meritano un breve
inquadramento generale al fine di agevolare la comprensione di quanto
illustrato al riguardo nella seconda parte dell’indagine.
23
1.4.1 Le tariffe
32. La tariffa professionale è la fonte normativa che fissa le modalità per
la determinazione del compenso dovuto al libero professionista per la sua
attività, attraverso l'indicazione di criteri generali o della misura in concreto da
percepire per ogni singola prestazione. Tale fonte è dotata di efficacia diversa
in relazione al soggetto che la emana e alla forma con cui è stata emanata29.
La tariffa professionale è nata come atto interno dell’organo
rappresentativo delle diverse categorie professionali che intendeva tutelare
l’interesse della categoria professionale sia evitando una eventuale concorrenza
fra i singoli appartenenti ad essa sia garantendo loro dignità, prestigio
professionale ed indipendenza economica.
33. Un consolidato orientamento giurisprudenziale, ritenendo che la
finalità dei minimi tariffari e soprattutto della loro inderogabilità consiste nella
necessità di evitare l’accaparramento della clientela, allo scopo di tutelare il
decoro e la dignità professionale, sottolinea che "tale finalità sicuramente
trascende l'interesse delle parti del rapporto d'opera professionale, essendo
essa riferibile all'interesse della categoria professionale, ma che altrettanto
sicuramente non può considerarsi riferita ad un interesse generale, cioè
dell'intera collettività"30.
29
Oltre alla legge, che è adottata solamente come fonte di determinazione dei criteri generali e della
procedura da seguire per l'emanazione della tariffa, le tariffe professionali sono fonti di varia natura:
a) tariffa professionale fissata con Decreto del Presidente della Repubblica, quale quella determinata
dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti;
b) tariffa professionale emanata con Decreto Ministeriale su proposta dell'ordine professionale, in
cui l'approvazione del ministro assume il carattere di un controllo di merito- tale natura hanno le tariffe
professionali dei chimici, agronomi, periti agrari, ingegneri, architetti e geometri;
c) tariffa professionale deliberata dall'ordine professionale ed emanata con Decreto Ministeriale in
cui il Ministro con la sua firma attesta unicamente un controllo di legittimità, per cui l'atto risulta un
regolamento dell'ordine professionale. E' l'ipotesi della tariffa dei notai e di quella degli avvocati e
procuratori: quest'ultima è deliberata ogni biennio dal Consiglio nazionale forense e poi approvata dal
Ministro di Grazia e Giustizia;
d) tariffa professionale deliberata ed emanata dagli ordini professionali; tale tariffa risulta avere
natura di regolamento amministrativo interno degli ordini professionali, avente finalità disciplinari,
integrativo delle tariffe emanate nelle altre forme ed efficace solo qualora il suo contenuto non violi quello
delle tariffe ad efficacia nazionale.
Rispetto al contenuto le tariffe professionali si distinguono in tre tipi:
1) tariffe aventi efficacia nazionale che contengono i criteri per la valutazione delle attività
professionali e la determinazione concreta del valore economico di singoli tipici atti professionali elencati
sotto altrettante voci;
2) tariffe professionali elaborate dai consigli periferici, integrative di quelle nazionali, aventi
efficacia nazionale o locale e che si riferiscono ad uno o ad alcuni particolari aspetti della professione;
3) tariffe con efficacia nazionale, c.d. adeguative, che aggiornano la misura del compenso secondo il
mutare del valore della lira.
30 Cfr. Cass. 16 gennaio 1986 n. 224; Cass. 13 gennaio 1983 n. 260; Cass. 12 novembre 1982 n. 6034.
24
Il principio deriva da una precisa volontà del legislatore di porre in una
situazione di privilegio e di salvaguardare l’attività del libero professionista e
non il destinatario della prestazione. Ciò è confermato dal fatto che nella
maggioranza dei casi l’inderogabilità viene riferita solo ai minimi fissati nella
tariffa e non ai massimi. Di contro, se la finalità della tariffa fosse quella di
tutelare l’interesse del consumatore, l’inderogabilità verrebbe stabilita con
riferimento ai massimi, soprattutto con riguardo a quelle prestazioni per le quali
vige l’obbligatorietà del cliente di fruire dell’opera del professionista in quanto
il solo giuridicamente legittimato a compiere determinate attività.
34. L’inderogabilità delle tariffe non costituisce comunque un principio
generale degli ordini professionali. Da tutta la legislazione vigente in materia,
infatti, emerge la prevalenza dell’autonomia nella contrattazione privata.
Con specifico riferimento all’art 2233 c.c., il quale al 1 comma dispone
che il compenso del professionista "se non è convenuto dalle parti e non può
essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito
il parere delle associazione professionale a cui il professionista appartiene” e al
secondo comma che “in ogni caso la misura del compenso deve essere
adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”, la
giurisprudenza ha affermato che “il compenso spettante al professionista va
determinato in base alla tariffa e adeguato all’importanza dell’opera solo nel
caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto la citata norma
pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di
determinazione del compenso per prestazioni professionali, attribuendo
rilevanza in primo luogo, alla convenzione che sia intervenuta tra le parti e
poi, in ordine successivo, e solo in mancanza di convenzione, alle tariffe e agli
usi, ed infine ove questi manchino, alla determinazione del giudice”31.
35. Atteso che la norma di cui all’art. 2233 c.c. sancisce in linea di
principio la prevalenza della determinazione negoziale sulle tariffe, che è
destinata ad operare solo in assenza di dirette pattuizioni tra le parti, l’unico
limite al valore primario dell’accordo è per alcune categorie la previsione
31
Cfr. Cass. 16 gennaio 1986 n. 224, la quale ha affermato che la violazione del precetto di cui al 3° comma
dell’art. 2 della legge 21 febbraio 1963 n. 244 che fa divieto di esercitare la professione sanitaria ad onorari
inferiori a quelli stabiliti nella tariffa medesima, non importa la nullità ex art. 1418, 1 comma c.c., del patto
in deroga al minimo tariffario. Infatti, la Cassazione ha sottolineato che in mancanza di esplicita previsione
della nullità per contrasto con norma imperativa ai sensi della citata disposizione del Codice Civile,
l’interprete deve vagliare se il precetto della norma violata sia dettato nell’interesse generale, e cioè se esso
sia dotato di quel carattere di imperatività che vale a rendere nulli negozi o patti ad esso contrari. La Corte
non ha ritenuto che l’interesse al decoro e alla dignità professionale potesse essere considerato un interesse
generale.
25
legislativa che assegna valore inderogabile ai minimi di tale tariffa. Tale
limitazione può avvenire, tuttavia, soltanto in virtù di un atto avente efficacia di
legge formale e pari vigore normativo della disposizione del codice civile che
stabilisce il principio della libera pattuizione e giammai in forza di atti di
normazione secondaria (quali i regolamenti di esecuzione, o gli atti
regolamentari soggetti ad approvazione ministeriale con cui vengono stabilite le
tariffe di alcuni ordini professionali)32.
36. Alla luce di tali principi sono inderogabili nei confronti dei terzi
soltanto le tariffe dei diritti e degli onorari degli avvocati in materia giudiziale
civile, in quanto solo per tale categoria e solo per tali prestazioni la legge
stabilisce espressamente l’inderogabilità e la conseguente nullità di ogni
contraria convenzione33.
Per altre professioni l’obbligatorietà della tariffa assume una rilevanza
meramente interna alla categoria nel senso che comporta unicamente
l’irrogazione di un provvedimento disciplinare a carico del professionista che
non la osserva, ma non può esigere ossequio sul piano esterno, nei rapporti con
il cliente, trattandosi di statuizioni sprovviste del vigore di norma primaria e
pertanto inidonee a superare il principio emergente dall’art. 2233 c.c..
Da ultimo, secondo la Cassazione, il principio della inderogabilità dei
minimi non vige nell'ipotesi di rinuncia totale o parziale alle competenze
professionali quando trova ispirazione in considerazioni socialmente
apprezzabili34.
Si è così ritenuto che il principio dell'inderogabilità non soffre violazioni
nel caso di rinuncia al compenso in qualsiasi forma realizzata (totale o parziale,
preventiva o successiva) soltanto quando essa sia ispirata da motivi etici o
sociali35.
1.4.2 Le esclusive di attività
32
Sulla legittimità di tale previsione si è espressa la Corte di Cassazione che ha dichiarato l'illegittimità del
principio dell'inderogabilità fissato da una fonte secondaria che, come tale, non può derogare alla legge. Cfr.
Cass. 13 gennaio 1979, n.271; Cass. 24 aprile 1981, n 2454; Cass. 3 luglio 1971 n. 2073; Cass. 28 luglio
1977 n.3359; Cass.15 ottobre 1975 n.3351; Cass. 29 ottobre 1975 n. 3660 e Cass. 4 gennaio 1977, n. 2.
33 Cfr. art. 24 della legge 13 giugno 1942 n. 794, che dopo aver disposto che “gli onorari e i diritti stabiliti
per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono
inderogabili” espressamente prevede che “ogni contraria pattuizione è nulla”.
34Cfr. Cass. 22 luglio 1967, n.1923.
35Per taluni, in ogni caso, l'inderogabilità dei minimi impedirebbe solo le rinunce preventive e non quelle
successive: a prestazione avvenuta, infatti, dovrebbe valere il principio per cui ciascuno è libero di rinunciare
anche parzialmente al proprio credito, non essendo possibile imporre coattivamente di esercitare un proprio
diritto. Così C. Lega , in Temi, 1968, 158.
26
37. Tra le professioni protette ve ne sono alcune all'interno delle quali è
possibile distinguere fra prestazioni esclusive o tipiche, riservate agli iscritti
all'apposito albo, e prestazioni non esclusive o atipiche, che sono di solito
eseguite da iscritti all'albo, ma che possono essere fornite da chiunque abbia il
titolo professionale, anche se non iscritto nell'albo professionale. Infatti, le leggi
istitutive delle singole professioni e dei relativi albi, che identificano l'oggetto
della professione attraverso l'individuazione delle attività che gli iscritti possono
svolgere, soltanto in alcuni casi prevedono esclusive a favore dei professionisti
iscritti.
La previsione esplicita, contenuta nella legge istitutiva della professione,
di una riserva di competenza esclusiva per lo svolgimento di determinate
attività vale ad attribuire un "monopolio" alla corrispondente categoria
professionale per tali prestazioni. Al contrario, in difetto di specifica riserva,
ponendosi sullo stesso piano l'iscritto e il non iscritto ad albi, nonché gli iscritti
a differenti albi, non può essere esclusa una concorrente libera attività da parte
di altri soggetti.
38. Possono quindi essere identificate tre categorie di professioni
protette: quelle a favore delle quali la legge prevede una completa riserva di
attività36; le professioni che comprendono prestazioni esclusive e non37; e infine
le professioni le cui prestazioni non presentano mai il carattere dell'esclusività38.
39. Al riguardo, giova aggiungere che le prestazioni rese dagli esercenti
professioni intellettuali protette - siano esse prestazioni esclusive oppure non
esclusive - non possono formare oggetto se non del contratto d'opera
intellettuale ed essere pertanto regolate dalla relativa, peculiare disciplina
prevista dal codice civile (art. 2229 c.c. e ss.). In particolare, la prestazione
deve essere eseguita personalmente, il compenso è determinato secondo il non
mercantile criterio dell'importanza dell'opera e del decoro della professione, il
rischio del lavoro incombe sul cliente. Per contro, altri soggetti in concorrenza
con i professionisti intellettuali protetti non devono necessariamente regolare il
loro rapporto con il cliente secondo lo schema del contratto d'opera
intellettuale: essi possono godere di una maggiore libertà contrattuale, possono
ritenersi liberi di adottare altri schemi contrattuali, non importa se implicanti
36Si
tratta delle professioni sanitarie, ad esempio, che sono protette in ogni loro manifestazione, essendo le
prestazioni sanitarie tutte prestazioni esclusive.
37E' il caso, ad esempio, della professione forense, essendo riservate agli iscritti agli albi degli avvocati e
procuratori solo le attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio, mentre sono libere per chiunque
le attività di rappresentanza e assistenza stragiudiziale, l'attività di consulenza legale, la rappresentanza,
l'assistenza e la difesa delle parti nei giudizi arbitrali.
38Quale quella del dottore commercialista, come diffusamente rilevato nel capitolo quarto.
27
una spersonalizzazione della prestazione e una retribuzione determinata
secondo criteri di mercato, liberi, in particolare, di assumere il rischio del
lavoro e di conformare la propria obbligazione come obbligazione di risultato,
ossia di scegliere le forme giuridiche del contratto di appalto39.
Da ciò si può agevolmente desumere che la protezione stabilita dal
legislatore a favore dei professionisti intellettuali protetti finisce - specialmente
nei casi in cui le attività non sono loro attribuite in esclusiva o lo sono solo
parzialmente - per nuocere agli stessi professionisti protetti nell'offerta delle
relative prestazioni, nella misura in cui i vincoli posti all'esercizio dell'attività
impediscono di competere su base paritaria con gli altri operatori che offrono
liberamente le stesse prestazioni secondo modalità maggiormente efficienti.
Peraltro, anche nelle ipotesi in cui esista una riserva assoluta di attività a favore
dei professionisti protetti, e quindi gli stessi non debbano confrontarsi in una
posizione di svantaggio con operatori non regolamentati, appare opportuno
valutare, secondo le linee che verranno sviluppate nei capitoli successivi, se tali
vincoli non siano comunque idonei a ridurre il livello di efficienza nello
svolgimento della professione.
39
Cfr. F. Galgano, G. Schiano di Pepe, cit.
28
CAPITOLO SECONDO: LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI
PROFESSIONALI-ANALISI ECONOMICA
1. Questo capitolo dell’indagine si propone di delineare un quadro
generale per l’analisi dei mercati dei servizi professionali e di esaminare gli
interventi di regolamentazione di norma individuati per una strutturazione
efficiente di tali mercati.
Il quadro tracciato non offre il dettaglio delle singole attività
professionali, anche se talvolta fa riferimento a contesti istituzionali specifici,
privilegiando la trattazione di aspetti comuni a tutte le categorie professionali.
Il capitolo è strutturato come segue: la prima sezione (2.1) è dedicata ad
un'analisi positiva delle caratteristiche dei servizi professionali, e in particolare
della loro natura parzialmente pubblica e della frequente presenza di asimmetrie
informative nei rapporti tra professionisti e clienti. La seconda sezione (2.2)
contiene una tassonomia delle principali forme di regolamentazione riscontrabili
nel settore. La sezione successiva (2.3) analizza la forma di intervento più
frequentemente adottata, l’autoregolamentazione, e le sue principali
implicazioni in termini di benessere sociale. L’ultima sezione (2.4) delinea in
sintesi le principali conclusioni.
2.1 Caratteristiche dei servizi professionali e motivazioni degli interventi
di regolamentazione
2.1.1 Asimmetrie informative
2. Il rapporto tra professionista e cliente è frequentemente caratterizzato
da una situazione di asimmetria informativa: ciò significa che se da un lato il
primo conosce il valore delle proprie prestazioni, dall'altro lato il consumatore è
incapace di valutarne appieno l'adeguatezza rispetto alle proprie esigenze.
L'asimmetria informativa può operare ex-ante, quando il cliente non
riesce nemmeno a identificare con precisione il tipo di prestazione che può
condurre alla soluzione del problema che lo spinge a rivolgersi al
professionista. Si tratta di una situazione strettamente connessa alla natura
specialistica delle competenze professionali richieste, la quale, peraltro, implica
anche la incapacità del consumatore di valutare la abilità del professionista a
dare una risposta al suo problema.
In alcuni casi poi, l'asimmetria informativa può operare anche ex-post,
quando il cliente non è nemmeno in grado di valutare le caratteristiche della
prestazione ottenuta e quindi la reale qualità del servizio ricevuto.
Esistono tuttavia circostanze in cui il consumatore, pur non essendo in
grado di valutare, sotto il profilo tecnico, l'operare del professionista, può
realizzare una qualche forma di controllo ex-post, beneficiando nel giudicare il
servizio ricevuto di precedenti esperienze di consumo, comparando cioè la
29
prestazione ottenuta con quelle ricevute in precedenti occasioni o da altri
consumatori.
3. Quando l'asimmetria informativa grava sia nella fase di specificazione
della domanda indirizzata al professionista, che successivamente nella
valutazione della sua performance, i servizi professionali possono essere
classificati tra i credence goods, il che implica che l'attività professionale può
essere considerata come una forma di assistenza fiduciaria, sostanzialmente
slegata da vincoli di obbligatorietà di risultato. Alternativamente, se esiste una
qualche forma di verifica ex-post della prestazione basata su precedenti
esperienze, i servizi professionali possono essere più propriamente classificati
come experience goods.
Per entrambe le situazioni non si può escludere la possibilità, in un libero
mercato, che il cliente riceva, quanto meno nel breve periodo, prestazioni di
qualità inadeguata o, in altri termini, subisca una selezione avversa tra diverse
possibili prestazioni caratterizzate da differenti livelli qualitativi. Tuttavia,
mentre nel caso di experience goods i problemi di selezione avversa tendono a
svanire nel medio periodo poichè in un contesto di ripetute esperienze di
consumo si rendono operativi meccanismi reputazionali, nel caso di credence
goods, l'operare di meccanismi di mercato può permanentemente risultare
insufficiente a produrre allocazioni efficienti.
4. E' utile precisare che, in ogni caso, problemi di selezione avversa si
pongono soltanto quando ricorrano significative forme di asimmetria
informativa. Non si verificano pertanto in presenza di servizi caratterizzati da
un certo grado di standardizzazione, offerti a soggetti che li richiedono con una
certa regolarità e in condizioni di dilazionabilità della domanda nel tempo. In
tali circostanze, infatti, vengono meno per il consumatore le condizioni di
incertezza ex-ante (nella specificazione delle proprie esigenze al
professionista), ed ex-post, (nell'identificazione delle principali caratteristiche
della prestazione ricevuta e nella loro valutazione). Informazioni sufficienti a
valutare la qualità dei servizi diventano reperibili a costi accessibili, sia perché
intrinsecamente meno complesse, che perché più diffusamente disponibili, e nel
concreto, più agevolmente acquisibili in tempo utile. In tal caso, le prestazioni
professionali possono essere configurate come search goods, cioè servizi per
l'acquisizione dei quali il consumatore può avvalersi di informazioni ricercabili
sul mercato.
5. In sintesi, pertanto, si possono distinguere tre diverse configurazioni di
servizi professionali, così come schematizzato nella tabella seguente, in
rapporto alla effettiva severità con cui si pone il problema della asimmetria
informativa tra professionista e cliente e, di conseguenza, alle proprietà di
efficienza delle allocazioni di mercato:
30
Tabella 1- classificazione dei servizi professionali in rapporto al grado di incertezza
della domanda
tipologia servizi
incertezza ex ante
incertezza ex post
valutazione circa le proprietà
di efficienza del mercato
search goods
experience goods
credence goods
nulla o scarsa
può essere elevata
elevata
nulla o scarsa
media
elevata
positiva
positiva nel medio periodo
negativa
2.1.2 Forme di selezione avversa
6. In rapporto al grado di incertezza che grava sul consumatore di servizi
professionali, variano le forme di selezione avversa alle quali egli può essere
esposto in un libero mercato. Quando l'incertezza è massima, riguardando le
competenze dei professionisti e la identificazione da parte del cliente del
servizio di cui abbisogna, nonché le caratteristiche delle prestazioni, in
mancanza di adeguati correttivi, il consumatore potrebbe essere esposto sia
all’imperizia di soggetti non adeguatamente qualificati, che a comportamenti
deliberatamente “opportunistici" da parte di operatori, pur qualificati, che
tuttavia sfruttano a proprio vantaggio l’impraticabilità di controlli efficaci da
parte della domanda.
7. Con riguardo all’incertezza sulle competenze dei professionisti, si
consideri l'ipotetico caso di un mercato di servizi professionali nel quale
l'entrata non sia in alcun modo regolamentata e il consumatore abbia difficoltà a
percepire le differenze qualitative esistenti tra gli operatori, i quali pertanto
saranno tendenzialmente visti come perfetti sostituti. Ciò rende improbabile
l’applicazione di prezzi differenziati, cioè l’adattamento della remunerazione
dei diversi professionisti alle differenti “dotazioni di capitale umano” e porta
ciascun professionista a fissare prezzi corrispondenti alle caratteristiche
qualitative medie degli operatori sul mercato. E' evidente che in tal modo
risultano disincentivati a permanere o entrare nel settore i soggetti più
qualificati, che possono presumibilmente accedere ad alternative d'impiego
capaci di rendere una remunerazione superiore a quella fissata secondo il
criterio sopra indicato. La loro uscita dal mercato, tuttavia, determina una
diminuzione della qualità media che, traducendosi in un abbassamento delle
remunerazioni, fornisce un ulteriore incentivo per altri professionisti a ridurre la
propria attività, secondo una progressione che conduce a situazioni di mercato
inefficienti, caratterizzate dalla presenza di operatori inadeguatamente
qualificati, o nel caso limite, al venir meno dello stesso mercato.
8. Oltre agli effetti sulle caratteristiche dei professionisti, i problemi di
natura informativa che si sostanziano nella incapacità del cliente di specificare
la prestazione di cui ha bisogno, lo espongono alla possibilità che, in assenza di
adeguati correttivi, professionisti, pur in possesso della necessaria
qualificazione, agiscano in modo cosiddetto "opportunistico", esercitando un
31
ingiustificato stimolo alla domanda, fornendo cioè suggerimenti ai consumatori
per generare surrettiziamente una domanda di prestazioni non necessarie.
9. Infine, le asimmetrie informative ex-post, attinenti cioè all'incapacità
del consumatore di valutare le caratteristiche della prestazione ricevuta,
potrebbero consentire altre forme di comportamento opportunistico che
ricadono essenzialmente nelle seguenti categorie: - semplice negligenza, cioè
insufficiente attenzione nello svolgimento del servizio; - deliberata
sottoproduzione del servizio, per risparmiare tempo e risorse. Nel primo caso,
la prestazione verrebbe effettuata senza la dovuta diligenza, mentre nel secondo
caso, essa verrebbe erogata solo in parte, sebbene il cliente ritenga che la
prestazione sia stata completa.
2.1.3 Effetti esterni ed efficienza
10. Alcune categorie professionali producono servizi fondamentali di
interesse pubblico, inerenti, ad esempio, la salute, l'amministrazione della
giustizia, la trasparenza dei mercati. L'erogazione di tali servizi non esaurisce i
propri effetti allocativi fra i soggetti direttamente coinvolti nelle transazioni ma
genera anche "effetti esterni". L'attività dei medici, ad esempio, pur essendo
svolta negli interessi del paziente che essi stanno curando, riguarda anche
l'intera collettività, poiché concerne la salvaguardia di un bene quale la salute.
Analogamente, gli avvocati non sono soltanto i difensori dei propri clienti, ma
contribuiscono al funzionamento del sistema giudiziario. Ancora, i
commercialisti/revisori contabili hanno obbligazioni nei confronti di potenziali
azionisti dell'impresa di cui certificano il bilancio, e non soltanto nei confronti
di quelli esistenti. In tali casi, gli interessi del cliente cui la prestazione viene
fornita a ricevere un servizio di qualità adeguata e della collettività che subisce
gli effetti esterni positivi di quella prestazione coincidono e contribuiscono
entrambi a determinare il valore sociale della prestazione professionale, che
supera pertanto il mero valore ad essa attribuibile da chi la riceve. Dati questi
presupposti, è possibile argomentare che qualora la remunerazione del
professionista fosse fissata secondo criteri di libero mercato, cioè in misura pari
al valore privato (per il singolo cliente) delle prestazioni, l’offerta di servizi
professionali risulterebbe inferiore a quella ottimale. Un’efficiente allocazione
delle risorse richiederebbe invece un intervento di “correzione” dei meccanismi
di mercato che consenta al corrispettivo professionale di eguagliare non già il
solo beneficio ricevuto dal singolo acquirente di servizi, ma piuttosto il valore
sociale della prestazione.
11. Tali considerazioni si intrecciano con quelle svolte ai punti
precedenti in merito alle difficoltà per il consumatore di valutare la qualità dei
servizi ed hanno implicazioni di rilievo per la eventuale ricerca di misure
correttive dei meccanismi di mercato. Emerge in particolare la difficoltà di
32
quantificare il valore sociale delle prestazioni professionali e quindi di
ipotizzare in questo settore interventi pubblici di regolamentazione analoghi a
quelli suggeriti in altri mercati caratterizzati da esternalità positive, dove viene
generalmente previsto di sussidiare opportunamente l’offerta affinché essa si
espanda fino a raggiungere il livello ottimale per la collettività.
12. Occorre infine aggiungere che può esistere anche una seconda forma
di esternalità, questa volta di segno negativo, nelle transazioni fra professionista
e cliente, in presenza della quale la domanda di servizi professionali risulta
maggiore di quella socialmente desiderabile. Ciò può avvenire quando apparati
pubblici svolgono attività complementari a quelle professionali, il costo delle
quali è finanziato dall'intera collettività attraverso prelievo fiscale non specifico.
In tali circostanze, il consumo di servizi professionali può risultare
sovradimensionato rispetto alle effettive necessità, poiché il consumatore, non
sopportando il costo complessivo della prestazione che riceve, avrà meno
incentivi a non accogliere eventuali indicazioni del professionista relative a
prestazioni non necessarie.
2.2
Forme di regolamentazione
13. Le asimmetrie informative tra cliente e professionista che
caratterizzano l’erogazione di alcuni servizi professionali e il conseguente
rischio per il consumatore di fenomeni di selezione avversa, nonché gli effetti
esterni di alcune prestazioni professionali, costituiscono i presupposti per
interventi di regolamentazione, a tutela dei consumatori e dell’interesse
pubblico.
14. Al riguardo, occorre preliminarmente osservare che il verificarsi di
inefficienze del meccanismo di mercato non rende di per sè inevitabili interventi
pubblici di regolamentazione. Quasi tutti i mercati nel loro operare generano
inefficienze del tipo più diverso (a causa della presenza di esternalità e
asimmetrie informative) a cui tuttavia non corrisponde una altrettanto estesa
area di intervento pubblico. Ogni attività di regolamentazione infatti ha dei costi
diretti (connessi al costo delle persone e delle strutture ad essa dedicate), dei
costi indiretti (connessi alla necessità per i soggetti regolati di adempiere ai
nuovi compiti da essa previsti) ed indotti (connessi alle modificazioni dei
comportamenti di tutti i soggetti coinvolti nel funzionamento dei mercati).
Interventi di regolamentazione sono pertanto desiderabili qualora si possa
ragionevolmente ritenere che in loro assenza si verificherebbe una significativa
perdita di benessere e che i costi che essi comportano non superano i benefici.
15. Quando ricorrono questi presupposti, la letteratura economica
suggerisce l’impiego di due forme tipiche di intervento regolamentativo per
33
contenere i fenomeni di selezione avversa a danno del consumatore: la
regolamentazione delle caratteristiche dei professionisti e della qualità delle
prestazioni, che verranno illustrate rispettivamente ai successivi paragrafi 2.2.1
e 2.2.2.
Giova osservare tuttavia che nel settore dei servizi professionali
l’impiego di strumenti regolamentativi tradizionali si accompagna
frequentemente a forme regolative atipiche, che si sostanziano nell’obbligo per
il professionista di aderire a norme di condotta stabilite dall’ordine, la
violazione delle quali può portare nei casi più gravi all’estromissione dal
mercato. Tali norme, contenute nei codici deontologici, seppur non estranee al
perseguimento dell’interesse individuale, mirano tuttavia a contenere alcuni
comportamenti più chiaramente opportunistici potenzialmente attuati dai
professionisti.
Regolamentazione pubblica e codici di condotta vengono quindi
considerati da alcuni come complementari poichè disegnerebbero un sistema
che, da un lato sottrae le attività professionali ai meccanismi di mercato,
attribuendo loro particolari benefici, dall’altro condiziona il mantenimento degli
stessi alla adozione di comportamenti orientati al perseguimento degli interessi
del cliente.
Pertanto, nella sezione seguente dedicata all’illustrazione di specifici
strumenti di regolamentazione, gli stessi verranno considerati sia per il loro
impatto diretto sulla qualità dei servizi, che per la loro funzionalità rispetto
all’obiettivo di motivare i professionisti all’assunzione di comportamenti
deontologici.
2.2.1 Requisiti minimi di capitale umano
16. In presenza di asimmetrie informative, la tutela dei consumatori può
richiedere l’introduzione di meccanismi che disciplinino l’accesso al mercato
degli aspiranti professionisti, cioè forme di selezione che ne certifichino la
preparazione e la capacità tecnica.
La principale forma di selezione all'entrata è rappresentata dalla
definizione per legge dei requisiti minimi di capitale umano - livello di
istruzione, periodo di apprendistato, superamento di un esame di abilitazione necessari per lo svolgimento dell'attività professionale. Se si posseggono tutti i
requisiti, lo Stato - o un autorità delegata - rilascia il titolo che autorizza
all'esercizio dell'attività.
Le ragioni dei requisiti minimi
17. Facendo seguito a quanto osservato al precedente punto 7, si può
innanzitutto argomentare che la selezione all’entrata può fornire ai
professionisti più qualificati un incentivo ad operare che altrimenti non
avrebbero, consentendo così al consumatore di accedere a servizi di qualità
superiore a quella altrimenti disponibile.
34
In secondo luogo, se si assume, piuttosto realisticamente, che il capitale
umano e la qualità siano complementi, nel senso che l'investimento in capitale
umano riduce i costi della produzione di servizi di alta qualità, di nuovo si
arriva alla conclusione che la selezione di professionisti maggiormente
qualificati costituisce un presupposto per l’aumento della qualità media delle
prestazioni offerte sul mercato.
Infine, considerando la questione dal lato della domanda, è anche
possibile sostenere che la selezione all’entrata riduce l’onere per il consumatore
di acquisizione delle informazioni necessarie a stimare la qualità dei servizi e
per questa via rappresenta uno strumento per rendere più efficiente il processo
di scelta.
In sintesi, l’introduzione di requisiti minimi di capitale umano è
suscettibile di: a) frenare l’eventuale uscita dal mercato dei professionisti più
qualificati, b) diminuire il costo di offerta di miglioramenti della qualità, c)
diminuire il costo di ricerca per il consumatore.
Giova tuttavia aggiungere che il verificarsi di queste circostanze, pur
rappresentando in alcuni casi un presupposto necessario per un aumento della
qualità dei servizi, non costituisce una condizione sufficiente a tal fine: la
selezione all’entrata può proteggere il consumatore dall’imperizia, ma non
rappresenta di per sè una misura idonea a eliminare fenomeni di negligenza o di
sotto (sovra) produzione del servizio.
Gli effetti dell’introduzione di requisiti minimi
18. In ogni caso, occorre considerare che vi sono dei costi specifici di
questa forma di regolamentazione (in aggiunta ai tradizionali costi
amministrativi) che devono essere confrontati con i benefici in termini di
miglioramento della qualità di cui sopra. Ci si riferisce in particolare
all’aumento dei costi per la produzione di servizi di qualità inferiore.
19. Al riguardo, giova preliminarmente osservare che l’attività
professionale nei diversi campi prevede l’erogazione di servizi di diversa
complessità. Tuttavia è ragionevole sostenere che i requisiti di qualificazione
necessari per accedere al mercato saranno fissati dal regolamentatore, in chiave
di tutela del consumatore, avendo riguardo a prestazioni mediamente
complesse. Ne deriva che la regolamentazione delle entrate fa aumentare i costi
relativi alla produzione di servizi di qualità inferiore che potrebbero essere
erogati anche da operatori meno qualificati di quelli selezionati. Una qualità
inferiore potrebbe essere valutata positivamente da alcuni consumatori, che non
richiedono necessariamente la prestazione di un professionista sovraqualificato.
In sostanza, questa forma di regolamentazione ha certamente un effetto
redistributivo, con un aumento del benessere dei consumatori che valutano
molto la qualità e una riduzione del benessere di coloro che sarebbero
soddisfatti anche in presenza di prestazioni di qualità inferiore.
35
20. Il segno dell’effetto complessivo dipende quindi dal grado di
restrittività della selezione all’entrata in rapporto alle effettive esigenze di tutela
dei consumatori. E’ evidente tuttavia che all’aumentare del livello di
differenziazione dei servizi, cresce la difficoltà per il regolamentatore di fissare
requisiti di entrata che effettivamente comportino un aumento del benessere
collettivo. Tale difficoltà si acuisce poi in settori caratterizzati da una rapida
evoluzione delle prestazioni, (ad esempio nel senso di una crescente
standardizzazione di alcune di esse), a cui non fa seguito un altrettanto veloce
adeguamento dei criteri di selezione o più in generale delle modalità di entrata
sul mercato.
21. Occorre tuttavia aggiungere che i costi indotti dalla selezione dei
neo-professionisti non sempre si esauriscono negli effetti negativi gravanti sui
consumatori di servizi professionali poco complessi, o sui clienti che valutano
meno la qualità dei servizi.
Non può infatti essere trascurato che difficilmente la regolamentazione
dell’entrata potrà essere così accurata da produrre un livello di offerta
(ponderato per la qualità) calibrato sulla domanda in modo ottimale. Al
contrario, è ragionevole supporre che le limitazioni all’accesso possano - in un
certo numero di casi - comportare l’entrata di un numero di operatori inferiore a
quello che in media i consumatori avrebbero comunque desiderato, anche
tenendo conto delle esigenze qualitative. In tal caso i prezzi dei servizi
sarebbero superiori a quelli che avrebbero garantito un’allocazione ottimale
delle risorse. Pertanto, anche per questa via si potranno verificare sensibili
perdite di benessere.
22. Ciò peraltro equivale a dire che la selezione all’entrata, in alcuni casi,
può comportare una limitazione della concorrenza tra professionisti, laddove
l’esiguità del numero di operatori ammessi ad esercitare rispetto alle esigenze
della domanda conferisce agli stessi potere di mercato e si traduce nel
conseguimento di guadagni superiori a quelli che altrimenti sarebbero stati
raggiunti.
Tale configurazione appare coerente con la visione secondo la quale le
restrizioni all’entrata non costituirebbero solamente uno strumento direttamente
volto a migliorare la qualità dei servizi, secondo le linee indicate al precedente
punto 17, ma anche una misura consapevolmente introdotta dal regolamentatore
per limitare la concorrenza tra professionisti al fine di aumentare il loro reddito,
in tal modo “incentivandoli” ad assumere comportamenti deontologici.
23. Qualunque sia la finalità per la quale la regolamentazione all’entrata
viene introdotta (sia quella di migliorare la qualità dei servizi direttamente, che
di conseguire il medesimo risultato indirettamente incentivando i professionisti
in tal senso), appare possibile sostenere che requisiti particolarmente restrittivi
36
nella selezione possono risultare controproducenti, soprattutto laddove i
problemi di asimmetria informativa non sono marcati, come nei mercati in cui è
ipotizzabile che il meccanismo reputazionale funzioni e sia efficace. In tal caso
infatti i benefici derivanti da un effettivo miglioramento della qualità dei servizi
ricevuti a seguito dell’introduzione di restrizioni all’entrata non appaiono tali da
compensare le perdite connesse all’aumento dei prezzi, particolarmente per i
consumatori meno esigenti.
24. In generale, pertanto, il livello delle restrizioni all’entrata va
attentamente commisurato:
- al grado di difficoltà nella valutazione sia ex-ante che ex-post della
qualità della prestazione professionale, in rapporto anche ai costi di ricerca
delle informazioni relative alla reputazione dei professionisti e al grado di
dilazionabilità della domanda,
- ai rischi derivanti da imperizia nell’erogazione delle prestazioni
professionali.
In altre parole, utilizzando la classificazione schematizzata nella tabella
1, l’introduzione di restrizioni all’entrata appare poter costituire una misura
giustificata soltanto per i servizi professionali configurabili come credence
goods. Quando invece ricorrono asimmetrie informative di modesta rilevanza
(search goods) o comunque superabili nel medio periodo (experience goods),
l’intervento pubblico sarebbe assai più desiderabile ove si limitasse a favorire la
diffusione di corrette informazioni sul rapporto qualità/prezzo delle prestazioni
offerte.
25. In pratica, ciò significa che l’erogazione di servizi per i quali non si
verificano importanti forme di asimmetria informativa tra cliente e
professionista non dovrebbe presupporre il superamento di un esame di
abilitazione e l’obbligatoria iscrizione ad un ordine. Chiunque dovrebbe poter
offrire tali servizi, benchè sia ragionevole ipotizzare che soltanto chi possiede
determinati requisiti possa continuare a fregiarsi del titolo ufficiale. In tal caso,
l’iscrizione ad un ordine assumerebbe il valore di una certificazione della
qualità del professionista, e svolgerebbe una funzione segnaletica per quei
consumatori che sono più disponibili a spendere per la qualità.
Si può naturalmente immaginare un quadro differenziato in cui si
ammette la possibilità di diversi livelli, più o meno elevati, di certificazione che
generano una concorrenza intraprofessionale che si sviluppa sulle due
coordinate qualità-prezzo, segmentando il mercato a seconda delle diverse
esigenze del consumatore di servizi professionali. In
altri
termini,
un
allargamento della certificazione ad altre forme associative all’interno del
mercato dei servizi professionali potrebbe avere l’effetto di sviluppare forme di
concorrenza tra gruppi di professionisti che segnalano credibilmente la propria
37
qualità40. Tale processo potrebbe condurre a nuovi trade-off tra
regolamentazione e concorrenza, che meglio soddisfano le esigenze di tutela
dei consumatori attraverso un maggior ricorso ai meccanismi di mercato.
I requisiti richiesti dalla regolamentazione
26. Rimangono a questo punto da svolgere alcune considerazioni di
carattere generale sui requisiti attualmente richiesti a coloro che intendono
esercitare professioni intellettuali protette, entrando a far parte dei relativi
ordini. Tali requisiti riguardano la formazione scolastica, di norma
l’effettuazione di un tirocinio e il superamento dell’esame di abilitazione.
27. Il tema dei curricola formativi necessari per raggiungere un livello
minimo di conoscenze per le varie professioni non può essere trattato in modo
sufficientemente dettagliato in questa sede. Tuttavia, è comunque utile proporre
alcune considerazioni di carattere generale.
In primo luogo, l’evoluzione di tutte le discipline è così rapida da non
garantire che un’adeguata preparazione possa realizzarsi nella frequenza di un
corso di studio all’inizio del percorso professionale, per quanto completo e
impegnativo. In secondo luogo, la crescente domanda di specializzazione tende
a restringere sensibilmente il campo di attività dei singoli professionisti ad un
numero circoscritto di servizi all’interno della professione.
Entrambe queste motivazioni portano a escludere che periodi iniziali di
formazione scolastica particolarmente lunghi possano esaurire una volta per
tutte le esigenze di apprendimento di gran parte delle professioni.
Per questo motivo, iniziative volte ad aumentare gli anni previsti dai
percorsi formativi obbligatori per i neoprofessionisti non necessariamente
costituiscono una risposta efficace all’esigenza di innalzarne il livello di
qualificazione; gran parte del capitale umano accumulato durante corsi
universitari di più lunga durata non sarà di maggiore utilità ai neoprofessionisti
rispetto alle conoscenze che essi potrebbero ottenere accumulando esperienza o
frequentando corsi di specializzazione nelle aree ritenute di volta in volta
maggiormente interessanti per la propria attività professionale.
40 Ciò, peraltro, appare coerente con l’orientamento comunitario così come espresso dalla direttiva
89/48/CEE del Consiglio, riguardante un iniziale sistema generale di riconoscimento per i diplomi
conseguiti a seguito di periodi di formazione della durata minima di 3 anni e dalla direttiva 92/51/CEE del
Consiglio, che ha integrato la precedente considerando anche i gradi di formazione inferiore, non previsti
dal sistema generale iniziale. Entrambe le direttive prevedono che sia assimilata ad un’attività professionale
regolamentata l’attività professionale esercitata dai membri di un’associazione od organizzazione che, oltre
ad avere segnatamente lo scopo di promuovere e di mantenere un livello elevato nel settore professionale in
questione, sia oggetto, per la realizzazione di tale obiettivo, di un riconoscimento specifico da parte di uno
Stato membro e: - rilasci ai suoi membri un titolo di formazione, - esiga da parte loro il rispetto di regole di
condotta professionale da essa prescritte e - conferisca ai medesimi il diritto di un titolo professionale." In
pratica, le professioni regolamentate, ai sensi delle direttive 89/48 e 92/51, possono essere esercitate o da
coloro che hanno seguito un certo percorso formativo direttamente riconosciuto dallo stato come requisito
indispensabile per l'esercizio della professione, o da coloro che appartengono ad associazioni riconosciute
dallo stato, alle quali è delegata la funzione di certificazione dei soggetti idonei allo svolgimento di una certa
attività sulla base del possesso di predeterminate caratteristiche professionali.
38
28. Relativamente al periodo di praticantato da svolgere
obbligatoriamente presso professionisti che hanno già maturato una certa
anzianità, occorre osservare che la ratio sottostante a tale obbligatorietà appare
del tutto condivisibile, in quanto è indubbia l'utilità di un periodo durante il
quale l'aspirante professionista possa apprendere come mettere in pratica le
proprie conoscenze. Naturalmente, tuttavia, tale misura comporta degli oneri
per il consumatore, a causa dei maggiori prezzi richiesti da professionisti che
devono recuperare in un numero più limitato di anni di esercizio professionale
gli elevati costi opportunità sostenuti per avere accesso alla professione stessa.
Nel concreto, poi, appare esistere un ampio margine di variabilità circa le
modalità di svolgimento del tirocinio, al punto che tale istituto potrebbe
rappresentare in alcuni casi un modesto contributo alla formazione del
praticante.
Del resto, dato l'elevato valore dello sforzo di un professionista già
attivo, è abbastanza plausibile che all'attività di supervisione e guida del
praticante non vengano sempre dedicate le risorse necessarie. Due le possibili
conseguenze: in primo luogo, un aumento dei rischi di imperizia e la possibilità
di danni per i clienti; in secondo luogo, poiché il professionista anticiperà tale
possibilità e la conseguente perdita di reputazione per il proprio studio,
attribuirà al praticante le incombenze tecnicamente meno complesse.
In questo contesto, le uniche conoscenze aggiuntive che l'aspirante
professionista acquisirebbe nel corso del tirocinio sarebbero quelle volte a
soddisfare la fascia più bassa del mercato del servizio professionale. Un lungo
tirocinio potrebbe quindi, in definitiva, tradursi in una misura del tutto
sproporzionata rispetto al fine originario di migliorare la qualità delle
prestazioni del neo-professionista.
In sintesi, il praticantato, se non adeguatamente effettuato, rischia di
comportare soprattutto un aumento dei costi dei servizi di qualità inferiore che
potrebbero essere resi a prezzi più bassi e senza danni per i clienti da soggetti
con minore pratica, se fosse per loro possibile accedere al mercato; ciò
consentirebbe una maggiore differenziazione dei servizi all'interno della
professione a tutto vantaggio dei consumatori.
Sulla base di queste argomentazioni, se l'abolizione del praticantato può
apparire una soluzione eccessivamente drastica in quanto esso può svolgere
alcune funzioni positive, del tutto inopportune appaiono comunque le proposte
di aumento degli anni di tirocinio, in assenza di specifici incentivi che
garantiscano un’effettiva trasmissione di competenza professionale.
29. L'abilitazione all’esercizio delle professioni intellettuali protette
implica il superamento di esami di Stato. Le prove sono finalizzate ad accertare
l’organica preparazione di base del candidato e a saggiare la sua capacità
tecnica in vista dell’adeguato svolgimento delle attività professionali. L’esame
di abilitazione viene organizzato da organi dello Stato, ma vede un ampio
39
coinvolgimento degli ordini. Per la maggior parte delle professioni i programmi
degli esami sono determinati dal Ministero dell’Università e della Ricerca
Scientifica e Tecnologica, sentiti gli ordini professionali nazionali; le
commissioni esaminatrici sono costituite con decreto del Ministro,
prescegliendo i membri da terne di persone designate dai competenti ordini, e
appartenenti a varie categorie, tra cui quella dei professionisti iscritti all’albo.
Inoltre gli esami possono svolgersi nei capoluoghi di provincia e nelle città sedi
di Università, che siano altresì sedi di ordini41.
L’attribuzione agli ordini di un ruolo rilevante nell’organizzazione e
svolgimento dell’esame di abilitazione riflette la scelta di privilegiare forme di
autoregolamentazione delle professioni, di cui si dirà successivamente nella
sezione 2.3.
Il problema principale di questo meccanismo è il rischio concreto che gli
ordini siano fortemente interessati a selezionare i neoprofessionisti per eccesso
in termini di qualità e per difetto in termini di quantità al fine di stabilizzare i
redditi professionali nel territorio rilevante.
2.2.2 Standard relativi alla qualità della prestazione
30. La regolamentazione della qualità dei servizi equivale all'introduzione
di uno standard minimo, per cui non può essere fornito un servizio di qualità
inferiore al livello fissato.
Al riguardo, al fine di meglio precisare il concetto stesso di qualità del
servizio, giova preliminarmente distinguere varie fasi del processo attraverso il
quale il professionista arriva a rispondere alle esigenze del cliente.
In particolare, giova distinguere l’attività relativa all’analisi del problema
posto e alla identificazione della sua soluzione, da quella successiva,
concernente la vera e propria prestazione tecnica, che si traduce nella
produzione di pareri, perizie, progetti...
Ora, la regolamentazione della qualità di quest’ultima attività presuppone
un intervento autoritativo di specificazione delle caratteristiche tecniche delle
prestazioni che, nel concreto, appare difficilmente ipotizzabile, anche in ragione
della natura non standardizzata di numerosi servizi professionali. Risulta invece
meno complesso configurare l’introduzione di regole nella fase antecedente alla
vera e propria prestazione tecnica, concernenti la qualità dei rapporti tra
professionista e cliente.
Al riguardo, può essere utile osservare che tale tipo di intervento è
adottato con crescente frequenza nel settore dei servizi pubblici, laddove viene
41
Cfr L. 8 dicembre 1956, n. 1378, Esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni, in G.U. 21
dicembre 1956, n. 321; D.M. 9 settembre 1957, Approvazione del regolamento sugli esami di Stato di
abilitazione all’esercizio delle professioni, in G.U. 2 novembre 1957, n. 271; L. 9 maggio 1989, n. 168,
Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica. Tali norme si applicano alle seguenti
professioni: medico-chirurgo, veterinario, chimico, biologo, farmacista, psicologo, ingegnere, architetto,
geometra, geologo, agronomo, perito agrario, perito forestale, perito industriale, dottore commercialista,
ragioniere.
40
prescritto alle imprese di rispettare, nel rapporto con l’utente, standard
riguardanti ad esempio i tempi di erogazione del servizio, la sua disponibilità
sul territorio, la pubblicità e trasparenza delle condizioni contrattuali applicate.
Anche nel settore delle professioni intellettuali protette non mancano
esempi di regolamentazione pubblica in tal senso42. Tuttavia, la definizione di
questi standard di comportamento appare più facilmente riconducibile a forme
di autoregolamentazione.
31. Indipendentemente dal fatto che gli standard di qualità siano fissati
all’esterno o all’interno della professione, quando il rispetto degli standard
stessi richiede maggiori e/o più qualificate risorse, è ragionevole attendersi che
al miglioramento della qualità media si associ un aumento del prezzo dei
servizi.
32. Pertanto, dal momento che il benessere del consumatore si valuta
sulle due coordinate qualità-prezzo, gli standard qualitativi minimi tendono
tanto più a promuovere il benessere sociale:
a) quanto maggiore è la reattività dei consumatori a variazioni della
qualità media della prestazione; se i consumatori valutano molto positivamente
un miglioramento della qualità media, l'introduzione di uno standard minimo è
suscettibile di incrementare sensibilmente il loro benessere. (O, in altri termini,
quanto più bassa è la valutazione dell’erogazione di una prestazione di bassa
qualità; se prestazioni qualitativamente scadenti sono valutate molto
negativamente, è naturale che una loro eliminazione comporti un significativo
miglioramento di benessere);
b) quanto più bassi sono i costi aggiuntivi connessi al miglioramento di
qualità e quindi i conseguenti aumenti dei prezzi.
Analogamente a quanto rilevato a proposito degli effetti della selezione
all’accesso alla professione, anche nel caso della fissazione di standard di
qualità minima dei servizi, è possibile argomentare che la regolamentazione
produce effetti redistributivi, a favore dei consumatori più disponibili a
spendere per la qualità e a scapito degli altri consumatori. Pertanto, l’effetto
complessivo in termini di benessere non è noto a priori.
33. E' stato osservato in precedenza che può essere opportuna l'adozione
di forme regolative volte ad attribuire dei benefici ai professionisti che possano
stimolare prestazioni slegate dall'interesse individuale. Sotto questo profilo,
l'imposizione di uno standard minimo sulla qualità del servizio non rappresenta
una misura efficace, anche se può generare conseguenze positive sul benessere
del consumatore, elevando la qualità media dei servizi. Ciò in quanto
42
Il notaio, ad esempio, “per assicurare il funzionamento regolare e continuo dell’ufficio, deve tenere nel
comune assegnatogli studio aperto (...) e deve assistere personalmente allo studio nei giorni della settimana e
con l’orario che saranno fissati dal presidente della Corte d’appello, previo parere del Consiglio notarile” art
26, legge 16 febbraio 1913, n. 89, Ordinamento del notariato e degli archivi notarili.
41
l’introduzione di standard non genera maggior profitto per i professionisti, e
quindi non funge da incentivo ad adottare autonomamente comportamenti
deontologici.
In realtà, la specificazione delle caratteristiche qualitative del servizio che è naturalmente accompagnata da forme di controllo e dalla previsione di
sanzioni nei casi di non osservanza degli standard - punta a ridurre l’offerta di
prestazioni di bassa qualità mediante la riduzione dei margini di autonomia del
professionista da un lato, e l’introduzione di disincentivi a tenere
comportamenti opportunistici dall’altro. Tuttavia, se esistono imperfezioni nel
meccanismo di controllo, non è escluso che alcuni professionisti beneficino
comunque di guadagni altrimenti non conseguibili, senza però che ciò sia
idoneo a generare incentivi ad operare secondo criteri estranei all'autointeresse.
In sintesi, sembra ragionevole ritenere che l’introduzione di standard
rischia, in assenza di un controllo efficace sul loro effettivo rispetto, di generare
rendite senza eliminare i comportamenti opportunistici.
2.2.3 I minimi tariffari
34. Tra gli strumenti di regolamentazione dell'attività professionale è
frequentemente utilizzata anche l'imposizione di una soglia minima delle tariffe
che, viene sostenuto, servirebbe per limitare la degenerazione della qualità del
servizio che tende ad essere decrescente con il prezzo.
Per quanto illustrato in precedenza, tale argomentazione può assumere
una certa validità se riferita a mercati nei quali il consumatore non sia
effettivamente in grado di distinguere le differenze esistenti tra professionisti. In
tali circostanze infatti, la fissazione di una soglia di prezzo (o di profittabilità
minima dell’attività) potrebbe costituire una misura necessaria a incentivare
sufficienti investimenti in capitale umano da parte dei futuri professionisti,
nonchè la loro entrata e permanenza sul mercato.
In altri termini, nei casi di credence goods, le tariffe potrebbero svolgere
la funzione di impedire che i prezzi scendano ai livelli fissati da operatori
inadeguatamente qualificati e pertanto disponibili ad accettare corrispettivi che
risulterebbero non remunerativi per chi invece abbia sostenuto i necessari costi
di formazione.
Pertanto, le tariffe minime, analogamente alle restrizioni all’entrata,
sarebbero funzionali alla sopravvivenza stessa del mercato, impedendo che i
soggetti più qualificati si trovino, paradossalmente, in una situazione di
svantaggio rispetto agli altri.
35. Tuttavia, al contrario della selezione all’entrata, le tariffe minime, pur
potendo adeguatamente incentivare i professionisti più qualificati ad operare,
non impediscono a soggetti che non possiedono i necessari requisiti di
qualificazione di continuare ad offrire servizi di scarsa qualità. A tali soggetti,
anzi, conferiscono una rendita particolarmente ingiustificata. L’introduzione di
42
prezzi minimi appare, pertanto, un intervento a tutela del consumatore
certamente meno efficace delle restrizioni all’accesso.
Peraltro, qualora già esistano forme di selezione all’entrata, come di fatto
risulta per tutte le categorie professionali, la fissazione di prezzi minimi diventa
superflua e contraria ad elementari criteri di efficenza regolamentativa, che
sconsigliano l’impiego di più misure di regolamentazione per ottenere un solo,
identico scopo.
36. Ad una conclusione dello stesso tenore si perviene anche qualora si
ritenga che le tariffe minime possano tutelare il consumatore rispetto a
comportamenti opportunistici, quali la sottoproduzione del servizio indotta dalla
concorrenza tra soggetti consapevoli dell’incapacità del cliente di valutare
appieno la completezza della prestazione ricevuta. In questo caso, si
argomenta, la fissazione di tariffe minime impedirebbe che professionisti, pur
qualificati, pratichino prezzi che sono di fatto incompatibili con l’offerta di un
servizio di adeguata qualità.
Occorre di nuovo considerare che, al contrario di altre forme di
regolamentazione pubblica, quali la determinazione di standard qualitativi delle
prestazioni, l’introduzione di tariffe minime non assicura in alcun modo che
comportamenti opportunistici non siano comunque tenuti e risulta pertanto una
forma di intervento certamente meno efficace di altre.
37. Infine, potrebbe essere esplicitamente sostenuto che le tariffe
costituiscono lo strumento attraverso il quale viene assicurata una rendita ai
professionisti, la quale li incentiva a tenere comportamenti deontologici, nel
timore che infrazioni alle regole di comportamento comportino un’esplusione
dal gruppo professionale e quindi la perdita della rendita stessa.
Anche volendo adottare questo punto di vista, tuttavia, la fissazione dei
prezzi costituisce una misura meno efficace di altre, quali le restrizioni
all’accesso, che incidendo sulle determinanti strutturali del livello di prezzo, in
particolare sul numero di operatori presenti sul mercato, sono suscettibili di
produrre effetti più solidi e duraturi.
38. In sintesi, l’introduzione di tariffe minime, seppur idonea ad attenuare
i fenomeni di selezione avversa, non ne assicura il superamento e appare
comunque meno efficace di altre forme di regolamentazione, alle quali,
peraltro, frequentemente si accompagna.
D’altro canto, nei casi in cui ciò avviene, la fissazione di prezzi risulta
del tutto ingiustificata e contraria ai principi di efficenza regolamentativa.
Più in generale, inoltre la determinazione di tariffe minime appare non
necessaria per tutte le prestazioni professionali che non siano caratterizzate da
significative forme di asimmetria informativa.
43
39. A conclusione di questa sezione relativa agli strumenti di
regolamentazione pubblica più frequentemente utilizzati nel settore dei servizi
professionali, è possibile sintetizzare le considerazioni fino ad ora svolte
attraverso l’impiego della tabella 2, che riguarda gli obiettivi dei diversi
interventi di regolamentazione.
Tabella 2 - obiettivi e strumenti di regolamentazione pubblica dei servizi professionali
selezione alla
entrata
garantire l’esistenza del mercato
ridurre i costi di miglioramenti della qualità
ridurre i costi di ricerca per i consumatori
eliminare i comportamenti opportunistici
incentivare comportamenti deontologici
standard di
qualità delle
prestazioni
X
X
X
minimi
tariffari
X
X
X
X
X
La tabella mette in evidenza che la selezione all’entrata, in congiunzione
con l’introduzione di standard di qualità delle prestazioni può consentire una
piena tutela del consumatore sia rispetto a fenomeni di imperizia, che di
negligenza o di sovra (sotto)produzione del servizio.
La desiderabilità dell’adozione i tali strumenti dipende tuttavia dalla
natura del servizio che si intende regolamentare, secondo le linee schematizzate
nella tabella 3 seguente.
Tabella 3 - desiderabilità di diverse forme di regolamentazione
tipologia servizi
selezione all’entrata
standard di qualità minimi tariffari
delle prestazioni
search goods
experience goods
credence goods
nulla o scarsa
scarsa /media
elevata
nulla o scarsa
scarsa/media
elevata
nulla o scarsa
nulla o scarsa
nulla o scarsa
2.3 Autoregolamentazione: costi e benefici
40. In ciò che segue si considerano i costi e benefici
dell’autoregolamentazione, intesa come il coinvolgimento di membri delle
categorie professionali nell'applicazione degli strumenti di regolamentazione
pubblica sopra analizzati, nonché la delega ad esse di integrare detta
regolamentazione attraverso l'introduzione di norme di comportamento,
contenute in codici deontologici.
contributo alla regolamentazione pubblica
41. La presenza di asimmetrie informative rende di fatto necessario lo
svolgimento di alcune funzioni regolative da parte dei membri delle professioni.
Il motivo principale della partecipazione delle professioni alla regolamentazione
pubblica è da rinvenirsi nella maggiore abilità dei professionisti a valutare gli
44
standard di qualità della prestazione e i livelli di competenza minimi per
l’esercizio della professione. I membri della professione possono avere accesso
a costi inferiori a quell'informazione che è necessaria perché la
regolamentazione sia efficace.
42. Anche nel caso in cui lo stato decidesse di intervenire direttamente
nell'applicazione della regolamentazione, dovrebbe comunque fare ricorso ad
esperti qualificati che nella maggioranza dei casi sarebbero membri della
professione stessa. La fusione degli addetti alla regolamentazione e degli
esperti in unico ruolo comporta quindi un notevole risparmio di risorse.
43. Un ulteriore argomento che viene spesso addotto a favore
dell’autoregolamentazione è che i suoi costi inciderebbero soltanto all'interno
della professione stessa e sui consumatori di quei servizi, e non sull'intera
collettività come accadrebbe nel caso di una regolamentazione condotta da
agenzie governative il cui finanziamento avviene attraverso la tassazione.
Inoltre, dal momento che quelle voci di costo si sostengono completamente
all'interno del mercato, gli addetti all'autoregolamentazione sarebbero
incentivati a minimizzare i costi di applicazione delle regole e quelli che i
privati subiscono in relazione a ciò. Le agenzie governative, nel breve periodo,
potrebbero avere incentivi a ridurre i primi, ma non i secondi.
44. Benché i vantaggi, in termini di risparmio di costi, del coinvolgimento
delle categorie professionali nella regolamentazione pubblica siano del tutto
evidenti, risulta altrettanta chiara la possibilità che l’autoregolamentazione
possa essere utilizzata al fine di restringere la concorrenza, limitando l’accesso
a nuovi professionisti in misura maggiore di quanto sarebbe giustificato dalla
sola esigenza di tutelare i consumatori.
45. Adottando criteri più o meno stringenti agli esami di abilitazione si
può influenzare il numero degli ammessi alla professione e adeguare le entrate
alle condizioni prevalenti di mercato, alleviando gli effetti negativi di un
momento di congiuntura sfavorevole o prolungando gli effetti positivi di
un’espansione della domanda. In particolare, nel primo caso, l’impatto negativo
di una riduzione della domanda può essere contenuto restringendo l’entrata e
lasciando che l’interazione fra le forze di mercato riporti i prezzi al livello
desiderato.
46. Peraltro, le stesse considerazioni si applicano anche ai casi in cui gli
ordini, oltre a svolgere un ruolo nella valutazione dei potenziali entranti, hanno
la possibilità di influire sulla determinazione dei requisiti stessi di accesso alle
professioni.
Ciò può accadere in ragione del fatto che, come già osservato, chi già
esercita è nelle migliori condizioni per valutare appieno il grado di preparazione
45
e le caratteristiche di capitale umano che sono necessarie per svolgere con
competenza l’attività professionale. Inoltre, il coinvolgimento delle categorie
professionali nella determinazione dei requisiti per l’accesso può consentire
maggiore flessibilità in risposta a modificazioni del contesto economico,
favorendo il superamento di regole inefficienti che tenderebbero a cristallizzarsi
se rimesse totalmente alle decisioni pubbliche e promuovendo il passaggio
verso regole che influiscono positivamente sullo sviluppo del mercato.
Dall’altro lato, tuttavia, esiste il rischio che gli ordini influenzino in senso
restrittivo la determinazione dei requisiti di accesso, non tanto al fine di
assecondare un mutamento nelle preferenze dei consumatori circa le
combinazioni di qualità e prezzo delle prestazioni, quanto piuttosto per
stabilizzare i guadagni dei membri della categoria43.
Inoltre viene sostenuto che non è affatto scontato che le categorie
professionali tendano a rimuovere norme inefficienti, ma al contrario sembra
prevedibile che esse vengano mantenute soprattutto nel caso in cui un loro
mutamento finirebbe per causare perdite di capitale umano investito
irreversibilmente o, in altri termini, per minare previsioni di rendita non sempre
giustificata44.
47. Relativamente all’autoregolamentazione degli standard di qualità dei
servizi, e in particolare alla funzione di controllo della qualità delle prestazioni
assegnata agli ordini, valgono considerazioni analoghe.
Da un lato, in ragione della complessità e non standardizzazione
dell’attività professionale, soltanto chi esercita appare in grado di valutare
l’effettiva adeguatezza delle prestazioni e in particolare la perizia e la diligenza
impiegata dal professionista nonché l’assenza di fenomeni di sovra o
sottoproduzione del servizio.
Dall’altro lato tuttavia, non appare sussistere un forte incentivo
all’interno degli ordini a svolgere in modo imparziale una funzione di vigilanza
sull’aderenza dei comportamenti dei membri della professione a criteri slegati
dall’autointeresse. Al riguardo, giova osservare che comportamenti non
deontologici da parte di alcuni professionisti non giungono mai al punto da
43 Al riguardo, alcune analisi empiriche statunitensi hanno ad esempio messo in luce il ruolo di estremo
rilievo che ha avuto l'ordine dei medici americani (AMA) nella definizione dei requisiti necessari per
l'entrata, fino alla promulgazione di un atto legislativo che prevedeva che l'abilitazione fosse concessa in
esclusiva ai medici provenienti dalla ristretta lista di scuole approvate dall'AMA stessa. Il risultato di questa
restrizione all'entrata è stato una drastica riduzione delle scuole mediche e della densità di medici nella
popolazione (Cfr. C.Curran, The American Experience with Self-Regulation in the Medical and Legal
Professions, in M. Faure, Regulation of Professions, 1993).
44 A titolo esemplificativo, si pensi al consolidarsi all'interno degli statuti degli ordini professionali delle
cosiddette clausole dei diritti acquisiti, che esentano i membri già in attività dalla presentazione dei requisiti
contenuti nei nuovi standard per l'ottenimento dell'abilitazione all'esercizio. (Si veda ad esempio la recente
normativa sull’accesso alla professione di ragioniere e perito commerciale, che richiede a differenza di
quanto accadeva prima del 1992, il diploma universitario. La clausola dei diritti acquisiti vale in quanto la
normativa non agisce retroattivamente). La giustificazione addotta alla mancata applicazione retroattiva
della “nuova” regolamentazione è che i membri già attivi hanno maturato esperienza nel corso dell'attività,
che equivarrebbe comunque ad un aumento del capitale umano.
46
compromettere l'ampiezza delle transazioni che costituiscono il mercato dei
servizi professionali e quindi a far sorgere la necessità di un intervento “di
autotutela” dell’ordine. Per altro verso, accordi fra i membri della professione
per sovrastimare la qualità media delle prestazioni erogate consentono di
evitare il ricorso ai provvedimenti disciplinari che sarebbero previsti per i casi
di negligenza professionale e mantenere un più elevato prezzo medio delle
prestazioni.
48. In conclusione, l'efficacia della autoregolamentazione può risultare
compromessa se i professionisti incaricati della sua applicazione utilizzano a
loro favore l'informazione privata di cui dispongono. Tale possibilità diventa
tanto più concreta quanto più verosimile appare l'ipotesi che tali professionisti
non siano disinteressati e che non sia loro estraneo l'obiettivo della tutela degli
interessi della categoria che rappresentano. In tal caso, risultano affievoliti gli
incentivi ad una efficace azione di contrasto dei comportamenti opportunistici
che emergono all'interno della professione.
i codici deontologici e il divieto di pubblicità
49. Una delle funzioni principali degli ordini professionali in un regime di
autoregolamentazione è l'applicazione del codice deontologico; esso contiene
generalmente una serie di norme relative alla condotta professionale e morale
del professionista tra le quali è frequentemente compreso il divieto di
pubblicità. In ciò che segue si considerano i costi e i benefici di questa specifica
forma di autoregolamentazione45.
50. L'obiezione più frequentemente addotta da parte di membri delle
categorie professionali alle proposte di liberalizzazione delle norme sulla
pubblicità è che l'annullamento del divieto comporterebbe un decadimento
morale della professione. La “mercificazione” dell’assistenza fornita dal
professionista al cliente rappresenterebbe uno snaturamento dell'esercizio della
professione, che deve essere svincolata dai criteri allocativi di mercato.
Inoltre, la possibilità di effettuare investimenti pubblicitari finirebbe per
favorire i professionisti con maggiori capacità finanziarie, determinando
un’eccessiva concentrazione del mercato e traducendosi, in ultima analisi, in
una riduzione del benessere dei consumatori.
51. Tali argomentazioni tuttavia contrastano con la considerazione che,
data la presenza delle asimmetrie informative di cui sopra, il divieto alla
45
Al riguardo giova precisare che nel caso delle professioni sanitarie e di quelle sanitarie ausiliarie il divieto
di pubblicità è previsto non solo dai codici deontologici, ma anche dalla legge 5 febbraio 1992, n. 175, in
G.U. 29 febbraio 1992, n. 50, Norme in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio
abusivo delle professioni sanitarie. Analogamente, per i notai, il divieto di pubblicità è disposto, oltre che
dal codice deontologico, anche dall’art. 14 del RDL 14 luglio 1937, n. 1666, Modificazioni dell’ordinamento
del notariato e degli archivi notarili.
47
pubblicità finisce per precludere un canale di trasmissione dell'informazione
sulle caratteristiche delle prestazioni e sulla dispersione dei prezzi
(eventualmente anche solo sopra i minimi tariffari) che sarebbe particolarmente
utile per ridurre i costi di ricerca sostenuti dai consumatori, aumentando
l’efficienza dei meccanismi di mercato e il benessere collettivo.
52. Alcuni studi di natura empirica sul settore dei servizi professionali
hanno sottoposto a verifica sia l’ipotesi che il maggior ricorso alla pubblicità si
traduca in un aumento del benessere, a seguito di risparmi di costi di ricerca per
il consumatore, che l’ipotesi secondo la quale gli investimenti pubblicitari
abbiano problematici effetti sulla struttura dei mercato.
In particolare, sono stati analizzati gli effetti della liberalizzazione in
termini di pubblicità avvenuta in alcuni segmenti del mercato dei servizi legali
inglesi 46. Al riguardo, è stato constatato che all'aumentare della proporzione di
imprese che ricorrevano all'investimento pubblicitario, diminuivano le tariffe
prevalenti nel mercato. Inoltre, non sono emerse indicazioni che un
indebolimento del divieto di diffondere pubblicità comporti sostanziali
distorsioni allocative e relative perdite di benessere per i consumatori.
Con riferimento all’ipotesi che la pubblicità modifichi la struttura di
mercato, la verifica empirica ha in realtà riguardato principalmente settori
industriali, caratterizzati inoltre da un elevato rapporto pubblicità/fatturato e/o
da elevati livelli in valore assoluto di investimento pubblicitario per impresa,
mentre è stata piuttosto limitata nel settore dei servizi professionali. In linea di
massima, gli studi riguardanti i settori industriali confermano l'ipotesi che un
massiccio investimento pubblicitario possa generare sostanziali effetti anticoncorrenziali. Tuttavia, tale risultato non appare confermato nel settore dei
servizi professionali. In particolare, con riguardo al mercato dei servizi sanitari
inglesi, si è riscontrato che sono soprattutto i giovani medici da poco entrati sul
mercato ad investire in pubblicità 47(Folland, 1987). Ciò è spiegabile
considerando che la pubblicità agirebbe da fattore di accelerazione della
costituzione di capitale reputazionale, consentendo ai nuovi entranti di superare
con maggiore velocità lo svantaggio che li separa dai professionisti affermati e
aumentando così la concorrenza tra professionisti, a vantaggio del consumatore.
Altri studi relativi al mercato delle prestazioni sanitarie confermano che il
ricorso alla pubblicità è meno frequente da parte dei medici affermati 48 e che
tuttavia i benefici derivanti dalla pubblicità sono maggiori per i medici con più
esperienza. In altri termini, i professionisti in attività da lungo tempo ricorrono
meno alla pubblicità, probabilmente anche nel timore che ciò possa essere
interpretato come un segnale di scarsa qualità. Tuttavia, quando lo fanno
46 J.H. Love et al., Spatial Aspects of Deregulation in the Market for Legal Services, in regional Studies,
1992.
47 S.Folland, Advertising by Phisicians: Behavior and Attitudes, in Medical Care, 1987.
48 S.J.A.Rizzo e R.J. Zeckhauser, Advertising and Entry: the case of Phisician Services, in Journal of
Political Economy, 1990.
48
migliorano la loro posizione di mercato di più di quanto accade ai nuovi entranti
a seguito di analoghi investimenti.
53. In conclusione, la letteratura empirica sembra confermare
l'opportunità di una liberalizzazione della pubblicità all'interno dei servizi
professionali. L'investimento pubblicitario incide il più delle volte positivamente
sul benessere del consumatore generando una riduzione delle tariffe medie.
Peraltro, la stima degli effetti dell'investimento pubblicitario sulla struttura del
mercato non genera predizioni univoche. Alcune recenti indagini relative al
settore sanitario inglese sembrano tuattavia confermare che l'investimento
pubblicitario favorisce nel breve periodo l’affermazione sul mercato dei neoprofessionisti.
2.4 Conclusioni
54. Sulla base delle considerazioni sopra svolte si possono trarre alcune
conclusioni di natura generale con riguardo alla regolamentazione dei servizi
professionali.
Dato l'intrinseco vantaggio informativo di cui dispongono i membri delle
professioni stesse e l'onerosità del reperimento di quell'informazione da parte di
terzi, il decisore pubblico deve necessariamente delegare ai professionisti parte
dell'attività regolativa. Di fatto ciò avviene, in quanto gli ordini professionali
svolgono un ruolo attivo nell'applicazione di strumenti di regolamentazione
pubblica e inoltre contribuiscono alla tutela del consumatore attraverso
l’emanazione di norme di condotta che dovrebbero prevenire il verificarsi di
comportamenti opportunistici da parte dei professionisti.
Il costo di questa delega agli ordini è rappresentato dalla rendita di
posizione che viene loro concessa. Essa può in parte essere vista come forma di
incentivazione sub-ottimale alla produzione privata di servizi professionali, che
permettono di realizzare esternalità positive aventi un valore sociale e inoltre
come forma di incentivazione all’adesione alle regole di condotta previste dai
codici deontologici.
55. Il sostenimento di questo costo da parte della collettività risulta
giustificato:
a) se la probabilità che il consumatore non sia da solo in grado di evitare
selezioni avverse tra servizi di differente qualità è significativa;
b) se il coinvolgimento degli ordini nell’applicazione degli strumenti di
regolamentazione pubblica e il ruolo loro attribuito di integrarla con
l’emanazione di norme di condotta nonchè di controllarne l’applicazione appare
realmente suscettibile di produrre un miglioramento della qualità delle
prestazioni.
49
56. Elementi di valutazione concreta di entrambi gli aspetti verranno
forniti nei capitoli seguenti, dedicati all’esame delle caratteristiche economiche
e dell’assetto regolamentativo degli specifici servizi professionali.
50
PARTE TERZA
NUOVE CONFIGURAZIONI DELL’OFFERTA NEI SERVIZI
PROFESSIONALI
INTERESSI EMERGENTI E PROBLEMI APERTI
186
CAPITOLO SETTIMO: LE PROFESSIONI NON REGOLAMENTATE
7.1 Sviluppo delle professioni non regolamentate
1. Estendendo ora i confini dell’analisi fin qui condotta al più ampio e
variegato panorama delle attività professionali in senso lato, giova innanzitutto
osservare che le professioni possono essere distinte in funzione del grado di
intensità del controllo che lo Stato ha ritenuto necessario apprestare sia sul tipo
di formazione richiesta per esercitare le attività, sia sulle stesse attività che ne
costituiscono l’oggetto.
Al riguardo, nel nostro ordinamento, possono essere individuate un primo
tipo di professioni, quelle protette, per l’esercizio delle quali è prevista
l’iscrizione in albi e l’istituzione di un ordine al quale è delegata la funzione di
controllo sull’esercizio dell’attività; un secondo tipo di professioni che sono
riconosciute, ovvero disciplinate dalla legge, per le quali tuttavia si richiede
solo l’iscrizione in albi o elenchi, senza che sia necessaria la costituzione di un
ordine (ad esempio gli agenti di assicurazione e i periti assicurativi); infine, un
terzo tipo di professione è dato dalle attività non regolamentate, ovvero non
soggette ad una regolamentazione pubblicistica, ma presenti sul mercato del
lavoro e rappresentate dalle relative associazioni. Il presente capitolo concerne
prevalentemente quest’ultima categoria di professioni.
2. Nel corso degli anni 80’, si è assistito alla nascita di svariate attività
professionali, come evoluzione o specificazione di professioni già esistenti,
oppure come nuove attività sorte per rispondere a specifiche richieste di
mercato.
Il quadro di queste professioni è molto vasto, in quanto include anche
attività che non sono propriamente “liberali”, nel senso di svolgersi senza
vincoli di dipendenza, oppure “intellettuali”, nel senso di avere un contenuto
prevalentemente legato all’ingegno.
Il settore è stato recentemente oggetto di una ricognizione da parte del
CNEL382 dalla quale emerge che nel 1995 circa 700.000 operatori esercitavano
professioni non regolamentate nel settore dei servizi alle imprese383, in quello
socio-sanitario384 e nel settore delle arti, delle scienze e delle tecniche385.
382
Cfr. CNEL, 2° Rapporto di monitoraggio sulle Associazioni rappresentative della Professioni non
Regolamentate, 1996
383
Le principali professioni del settore sono rappresentate dagli esperti di marketing e in pubbliche
relazioni, dai disegnatori, dai cambisti, dagli approvvigionatori, dai traduttori e interpreti, dai consulenti di
direzione aziendale, dai periti liquidatori, dai tecnici degli scambi internazionali ecc...
384
Le principali professioni del settore sono rappresentate dai chinesiologi, dagli igienisti dentali, dagli
osteopati, dai terapisti della riabilitazione, dagli ortottisti, dai podologi, dai massifisioterapisti, dagli
ergonomi, dai pedagogisti e dai consulenti familiari.
385
Si tratta di un settore molto variegato che comprende, tra gli altri, stenotipisti, urbanisti, amministratori
immobiliari, restauratori, enologi, fotografi e telecineoperatori.
187
Tabella 1. Stima della ripartizione del numero di operatori svolgenti
attività non regolamentate in diverse aree
settori
n. operatori
servizi all’impresa
293.650
attività socio-sanitarie
167.913
arti, scienze e tecniche
232.225
totale
693.788
Fonte: CNEL, cit..
3. Naturalmente le caratteristiche delle prestazioni erogate dagli operatori
variano sensibilmente a seconda dei settori interessati, anche in rapporto alle
caratteristiche della domanda, la quale nel settore dei servizi alle imprese è
rappresentata da soggetti pubblici e da aziende private, mentre nel settore socio
sanitario è rappresentata soprattutto da persone fisiche.
4. Alcune attività oggetto delle professioni non regolamentate vengono
svolte in concorrenza con quelle normalmente svolte da coloro che
appartengono ad una professione protetta. Deve infatti essere considerato che le
professioni protette hanno ad oggetto alcune attività in esclusiva, per le quali
non esiste concorrenza con soggetti che non siano iscritti agli albi, ma anche
molte attività libere, che possono essere svolte anche da soggetti non iscritti
agli albi. Alcune di queste attività libere costituiscono attualmente l’oggetto di
specifiche figure professionali non disciplinate dalla legge, che si trovano ad
operare in concorrenza con i professionisti protetti.
Un esempio in tal senso è dato dall’”urbanista”, figura professionale
venutasi a creare con l’istituzione di una laurea in urbanistica386 che consente di
acquisire e svolgere particolari competenze in materia di pianificazione
territoriale, il quale esercita un’attività abitualmente svolta da ingegneri e
architetti. Poiché infatti la pianificazione territoriale non è attività attribuita in
esclusiva agli ingegneri e agli architetti, essa può essere legittimamente svolta
anche da soggetti come gli urbanisti che sono qualificati nella materia anche se
non devono superare un esame di Stato, nè sono iscritti ad un albo387.
Analoghe considerazioni possono essere fatte nei riguardi dell’attività di
consulenza tributaria che non costituendo attività riservata ai commercialisti e
ai ragionieri può essere svolta anche da professionisti non iscritti agli albi, tra
cui figurano i “tributaristi”.
Pertanto, il delinearsi di queste nuove figure professionali ha contribuito
a sviluppare la concorrenza in ambiti di attività tradizionalmente appannaggio
delle professioni protette, nonché ha evidenziato che segmenti di clientela
tradizionalmente soddisfatti da iscritti ad albi, sono disponibili ad indirizzare la
386
Istituita con D.P.R. 14 aprile 1970 n. 1009.
Cfr. T.A.R. Liguria 14 luglio 1983 n. 253, T.A.R. Veneto 20 dicembre 1990 n. 100/91 e T.A.R. di Trento
28 ottobre 1991 n. 375.
387
188
propria domanda a soggetti che propongono combinazioni qualità-prezzo del
servizio ritenute preferibili.
7.2 L’autoregolamentazione delle professioni non regolamentate
a) il fenomeno dell’associazionismo
5. Con l’evoluzione e il proliferare di tali nuove professioni si è altresì
assistito allo sviluppo di Associazioni di rappresentanza delle professioni
emergenti, con compiti anche di autoregolamentazione delle attività. Queste
associazioni, oltre alla tutela degli interessi dei propri iscritti, si sono poste
l’obiettivo di ricercare forme di autocertificazione tese a valorizzare la
professione e a fare acquisire visibilità alla stessa. Tra gli obiettivi che le
associazioni si sono poste i principali sono rappresentati dall’acquisizione di un
riconoscimento pubblico, dall’aggiornamento professionale e dalla garanzia
della qualità dei servizi resi dagli associati.
L’associazionismo rappresenta pertanto un canale di sostegno
promozionale, culturale ed economico per un elevato numero di operatori,
nonché la possibilità di riconoscersi in una strategia di sviluppo comune a tutta
la categoria e di acquisire una identità collettiva.
6. Le associazioni professionali di cui si ha conoscenza sono 142388, delle
quali due terzi si sono costituite in tempi abbastanza recenti, cioè dopo il 1980
e ben 42 negli ultimi cinque anni.
7. Come evidenziato dalla tabella che segue, mettendo a confronto i dati
stimati sul numero di operatori presenti nei settori interessati con i dati sul
numero degli iscritti alle varie associazioni, emerge che la rappresentatività di
queste è piuttosto ridotta rispetto all’intero mercato, ad indicare, ad avviso del
CNEL, la difficoltà delle associazioni di raggiungere alcune fasce di operatori
e, in parte, lo scarso interesse alla adesione ad organismi di rappresentanza.
Per altro verso, tuttavia, si riscontra, la presenza, in quasi tutti i settori
presi in considerazione, all’interno delle associazioni, di iscritti ad albi
riconosciuti. La circostanza appare degna di rilievo in quanto evidenzia che tali
professioni emergenti svolgono una parte di attività in concorrenza con alcune
professioni regolamentate.
Tabella 2. Iscritti alle Associazioni delle professioni non regolamentate
settori
iscritti
%
operatori
servizi all’impresa
15.253
35,2
293.550
attività socio-sanitarie
11.977
27,7
167.913
arti, scienze e tecniche
15.997
37,1
232.325
totale
43.227
100,0
693.788
Fonte: CNEL, cit..
388
Si tratta di quelle associazioni che sono state censite dal CNEL.
189
a) accesso all’associazione
8. Il livello di qualificazione richiesto dalle associazioni è molto vario,
ma per la gran parte dei settori, la licenza di scuola media superiore è il titolo
necessario per l’ammissione. In alcuni casi è richiesto un diploma universitario
o la laurea (specie nel settore dei servizi alle imprese e di comunicazione
d’impresa) o la frequenza di scuole di specializzazione (specie nel settore
socio-sanitario). Nei settori delle arti, scienze e tecniche a volte non è richiesto
alcun titolo di studio.
In alcuni settori e, segnatamente, le tecniche di comunicazione e dei
servizi di impresa, assume importanza una formazione pratica. Il titolo di studio
nella maggior parte dei casi non è sufficiente per essere ammessi
all’Associazione, essendo richiesto anche un periodo di praticantato svolto o
durante o dopo il percorso formativo.
Inoltre, la maggioranza delle associazioni sottopone gli aspiranti soci
anche ad una prova di ammissione.
Infine, solo una minoranza (soprattutto nel settore socio-sanitario e nelle
arti, scienze e tecniche) gestisce scuole professionali allo scopo di formare i
professionisti.
b) funzioni e deontologia
9. Una delle attività più importanti delle associazioni riguarda l’offerta ai
propri iscritti di servizi diretti ad un miglioramento della qualità delle
prestazioni e relativi prevalentemente all’aggiornamento (attraverso periodici,
corsi periodici, convegni, congressi o seminari specifici) e alla formazione
professionale.
10. La maggior parte delle associazioni indica ai propri iscritti alcuni
criteri di comportamento contenuti in Codici etici.
Relativamente alla natura di tali principi, fatta eccezione per quelli
connessi alle peculiarità delle attività svolte, le regole più importanti sono
sostanzialmente identiche e consistono nell’onestà, nel rispetto del segreto
professionale, nell’aggiornamento della propria professionalità, nel rispetto
delle regole interne dell’Associazione.
Sono inoltre previsti controlli sul rispetto delle norme deontologiche,
esercitati nelle forme più varie, da collegi regionali, interregionali e nazionali,
da Consigli di garanti, da Commissioni deontologiche ecc.., e, nella maggior
parte dei casi il contravvenire a tali principi comporta anche l’attivarsi di un
sistema sanzionatorio (ammonizioni, richiami, diffide, la sospensione e nei casi
più gravi all’espulsione).
Scarsamente diffusa è invece la verifica in itinere delle capacità
professionali degli iscritti, limitandosi il controllo ai requisiti nella fase di
accesso.
190
7.3 Forme di riconoscimento in ambito comunitario
11. Le più recenti iniziative della Comunità europea in materia di
professioni intellettuali sono contenute nella Direttiva 92/51/CEE del Consiglio,
relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione
professionale, che integra la Direttiva 89/48/CEE del Consiglio, riguardante un
iniziale sistema generale di riconoscimento per i diplomi conseguiti a seguito di
periodi di formazione della durata minima di 3 anni.
La Direttiva 92/51
considera anche i gradi di formazione inferiore, che non sono stati previsti dal
sistema generale iniziale.
Entrambe le direttive, applicabili sia ai lavoratori autonomi che
subordinati, sono volte a favorire la libera circolazione delle persone e dei
servizi in ambito comunitario, creando le condizioni affinché i cittadini degli
Stati Membri possano esercitare una professione in uno Stato diverso da quello
nel quale essi hanno acquisito le loro qualifiche professionali389.
A tal fine le Direttive introducono il principio del riconoscimento
reciproco delle condizioni di accesso alle quali gli Stati membri subordinano
l’esercizio delle professioni, basato sul principio della fiducia reciproca che
devono nutrire nelle rispettive formazioni professionali Stati che hanno un
livello equivalente di sviluppo economico, sociale e culturale.
Pertanto, viene previsto che un Paese membro ospitante non possa
rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro l'accesso o l'esercizio ad una
professione, se il richiedente possiede il diploma che nello Stato membro di
origine è richiesto per accedere o esercitare tale professione.
12. Una prima osservazione deve essere fatta in merito alla circostanza
che le Direttive non interferiscono affatto sui poteri dei diversi Stati membri di
decidere se una professione o un’attività professionale debba essere
regolamentata ed eventualmente secondo quali modalità. Il legislatore
comunitario si è solo preoccupato che dalla diversa valutazione degli Stati in
merito alla necessità di regolamentare un’attività, o dal modo in cui è
regolamentata non derivasse un pregiudizio alla libertà di esercizio delle
professioni in ambito europeo e, pertanto, nelle Direttive suddette si è cercato
di tenere conto di tutte le molteplici situazioni in cui si può attuare una
formazione professionale390.
389
La realizzazione del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi nel campo delle
professioni liberali ha conosciuto tre fasi: una prima consistente nell’adozione di programmi generali al fine
di sopprimere le restrizioni connesse alla nazionalità e alla residenza; un seconda, di attività legislativa,
consistente nell’emanazione di direttive settoriali volte all’adozione di misure di coordinamento legislativo
tra i diversi Stati membri; infine una terza, basata sul principio del riconoscimento reciproco.
390
Cfr V. Scordamaglia, La direttiva CEE sul riconoscimento dei diplomi, in Foro It. 1990, IV, 391.
191
13. Le situazioni contemplate dalle Direttive sono sostanzialmente due,
ovvero quella in cui le professioni sono regolamentate in entrambi i Paesi, ma in
modo diverso, e quella in cui la professione non è regolamentata in un Paese,
ma lo è in quello nel quale il professionista intende esercitare la professione.
Nel primo caso è necessario valutare le differenze tra la disciplina dell’attività
nei due Paesi: qualora si tratti di differenze di poco conto, tali da poter essere
superate dal professionista nel processo di adattamento in un altro Paese, lo
Stato ospitante non potrà rifiutare l’accesso; qualora invece le differenze
dovessero essere sostanziali, le Direttive forniscono dei meccanismi di
adattamento per addivenire ad una compensazione.
Nel secondo caso, invece, per beneficiare dell’ammissione alla
professione regolamentata, il richiedente che proviene da un Paese nel quale
quella professione non è disciplinata, deve fornire la prova di aver effettuato un
corso di studi preparatorio, nonché di aver esercitato la professione nel proprio
Paese per almeno due anni durante gli ultimi dieci.
Pertanto, la nozione di professione non regolamentata ai sensi di queste
Direttive non esclude, quale requisito per l’esercizio, il possesso di un titolo di
studio, il quale individuerebbe un titolo di formazione rilasciato a seguito della
frequenza di un corso di studi.
14. Relativamente alla nozione di attività professionale regolamentata,
poi, merita sottolineare che l’Unione Europea, dopo aver considerato tale
l’attività professionale per la quale l’accesso o l’esercizio sia subordinato
direttamente o indirettamente mediante disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative al possesso di un diploma (inteso nell’accezione di cui si è
detto), ha assimilato ad una attività regolamentata “l’attività professionale
esercitata dai membri di un’associazione od organizzazione che, oltre ad avere
segnatamente lo scopo di promuovere e di mantenere un livello elevato nel
settore professionale in questione, sia oggetto, per la realizzazione di tale
obiettivo, di un riconoscimento specifico da parte di uno Stato membro e: rilasci ai suoi membri un titolo di formazione, - esiga da parte loro il rispetto di
regole di condotta professionale da essa prescritte e - conferisca ai medesimi il
diritto di un titolo professionale"391.
Pertanto, il legislatore comunitario ha posto su un analogo piano i
processi formativi direttamente regolati dallo Stato e i processi formativi delle
associazioni riconosciute dallo Stato, alle quali è delegata la funzione di
certificazione dei soggetti idonei allo svolgimento di una certa attività sulla base
del possesso di predeterminate caratteristiche professionali.
La circostanza appare come un vero e proprio riconoscimento
dell’equivalenza sostanziale dei due diversi sistemi di certificazione.
391
Articolo 1, lettera d) della direttiva 89/48 e articolo 1, lettera f) della direttiva 92/51.
192
7.4 Conclusioni
a) La tendenza alla regolamentazione pubblicistica delle professioni
15. La tendenza in atto nel nostro ordinamento è quella di un
allargamento della disciplina legislativa ad un sempre maggior numero di
professioni emergenti, in base ad una valutazione del legislatore che non
sempre sembra avere riguardo alla rilevanza degli interessi su cui incide
l’esercizio delle stesse. Talvolta il legislatore è giunto sino a disciplinare alcune
di queste professioni nella stessa forma rigida e pervasiva prevista per le
professioni protette, prevedendo un esame di Stato e l’istituzione di un ordine.
E’ il caso della disciplina relativa alla professione di maestro di sci, e della
professione di guida alpina392.
16. A questa tendenza alla professionalizzazione delle attività non è
certamente estranea una richiesta in tal senso da parte delle professioni
emergenti le quali frequentemente non ritengono sufficienti le forme di
organizzazione e di rappresentanza già autonomamente adottate ed aspirano ad
un riconoscimento che abbia un valore per tutta la collettività.
Pertanto, quello che le professioni cercano di acquisire non è una
regolamentazione che sostanzialmente già c’è, quanto una legittimazione
pubblica di tale regolamentazione, una sorta di “marchio di qualità”
socialmente riconosciuto. Tra le motivazioni principali sottese a tale richiesta
figura certamente l’acquisizione di una maggiore visibilità sul piano economico
e sociale e di un riconoscimento che svolga una funzione di garanzia agli occhi
del consumatore.
Inoltre, non si può tralasciare il fatto che spesso la richiesta di tali forme
di tutela deriva dagli ostacoli posti nello svolgimento dell’attività da parte dei
professionisti protetti, i quali difendono segmenti di mercato in precedenza
interamente controllati, e da parte della pubblica amministrazione che spesso
non conferisce gli incarichi se non agli iscritti agli albi393.
Tuttavia, non si può negare altresì che alcune di queste professioni
ambiscano anche ad acquisire un monopolio sulle attività svolte, attraverso le
tradizionali forme di regolamentazione pubblica adottate per le professioni
protette, con l’istituzione di albi o ordini che definiscano, limitino e riservino le
attività ad una determinata categoria di soggetti.
b) la possibilità di adottare sistemi di regolamentazione diversi
dall’istituzione di Albi e Ordini
17. Con riguardo alla domanda di regolamentazione espressa dalle
professioni emergenti che ambiscono ad ottenere l’istituzione di albi e di
392
Cfr. , rispettivamente, leggi 8 marzo 1991 n. 81 e 2 gennaio 1989 n. 6.
Al riguardo, ad esempio, nonostante nessuna legge riservi l’attività di pianificazione territoriale agli
iscritti agli albi notevoli difficoltà sono state incontrate dagli urbanisti nel ricevere gli incarichi di
elaborazione dei piani urbanistici da parte degli enti territoriali.
393
193
ordini, deve essere sottolineato che, se può essere accettabile la richiesta di una
certificazione che conferisce un marchio di qualità, non appaiono ricorrere i
presupposti perché questo avvenga necessariamente con modalità selettive e
limitative quali quelle già previste per le professioni protette.
Deve infatti essere considerato che l’esercizio di una professione è, in
linea di principio, libero e, pertanto, le limitazioni poste dal legislatore
all’esercizio di tale attività dovrebbero assumere carattere eccezionale e trovare
una giustificazione nella particolare rilevanza dell’attività svolta in connessione
anche con l’elevata probabilità che la fornitura di un servizio scadente produca
danni significativi al singolo consumatore e alla collettività. Solo in presenza di
comprovate esigenze di tutela di interessi generali, il legislatore dovrebbe
attribuire la riserva di attività a determinate categorie di soggetti, che
possiedono i requisiti per assicurare uno standard minimo di prestazioni, ed
esercitare un controllo sulle modalità di esercizio della professione.
Tali esigenze di carattere generale che non appaiono sempre ricorrere
talora persino nell’ambito delle professioni protette, risultano poi difficilmente
riscontrabili per le professioni emergenti. Peraltro, seppure si possa
comprendere e ipotizzare per le stesse un sistema di certificazione di qualità
idoneo a fornire garanzie per il consumatore più esigente che intende assicurarsi
un servizio qualitativamente elevato non si giustifica l’adozione di una
regolamentazione che limiti sia la libertà di iniziativa economica privata dei
soggetti che attualmente operano in piena autonomia, sia la libertà di scelta del
consumatore, il quale, può preferire servizi di qualità meno elevata ma di
prezzo più conveniente.
18. Si può allora ipotizzare per tali professioni un sistema di
certificazione di qualità meno “impegnativo”, sulla scia di quanto avviene in
altri Paesi Europei, basato sul riconoscimento di associazioni delle professioni
non regolamentate e soprattutto sull’adesione volontaria dei soggetti394. Tale
sistema ha trovato d’altra parte pieno riconoscimento anche in sede comunitaria
con le Direttive 89/48 e 92/51, dalle quali emerge una nozione di professione
regolamentata non necessariamente connessa all’istituzione di albi o ordini.
Secondo tale modello i professionisti sono organizzati in associazioni alle
quali fa capo, tra l’altro, la predisposizione di un sistema rigoroso di verifica
della competenza del professionista, e dei suoi standard di comportamento.
Pertanto, il professionista che lo desidera può iscriversi ad un’Associazione,
acquisendo così una sorta di marchio di qualità. Il modello descritto si basa,
dunque, sul riconoscimento di un certo titolo di studio che abilita alla
394
D’altra parte, nell’ambito delle professioni non regolamentate, esistono una serie di figure professionali,
soprattutto nel settore socio-sanitario (fisioterapista, tecnico ortopedico, igienista dentale ecc..), per le quali
seppure non è previsto un esame di Stato e non è stato costituito un ordine, l’accesso alla professione è
consentito solo dopo il conseguimento di un diploma universitario abilitante. Pertanto, la mancanza di una
disciplina pubblicistica non significa che chiunque, sprovvisto di un titolo di studio, possa esercitare queste
attività.
194
professione e sul riconoscimento di associazioni che garantiscono la formazione
dei propri iscritti e il rispetto, da parte degli stessi, di alcune regole
deontologiche essenziali.
Le associazioni professionali sono riconosciute dallo Stato in quanto
hanno lo scopo di promuovere e mantenere una qualità dell'offerta adeguata nei
settori di competenza. A tal fine, viene previsto che queste associazioni
esercitino una funzione di autoregolamentazione della categoria, principalmente
attraverso l'accertamento del possesso e mantenimento di predeterminati
requisiti di competenza e professionalità da parte degli iscritti. Esse possono
inoltre esigere da questi ultimi il rispetto di regole di condotta professionale,
comunque finalizzate alla realizzazione dell'obiettivo di garantire la qualità
delle prestazioni.
L’adozione di un sistema siffatto concilierebbe le esigenze di coloro che
aspirano ad appartenere ad una categoria pubblicamente riconosciuta, senza
precludere l’esercizio della medesima attività da parte di coloro che non hanno
le medesime aspirazioni e garantirebbe al consumatore la possibilità di
scegliere tra servizi di qualità diverse e, verosimilmente anche di prezzi diversi.
195
CAPITOLO OTTAVO: ATTIVITÀ LIBERO-PROFESSIONALE E
ALLE DIPENDENZE
1. Questo capitolo riguarda il tema dell’incompatibilità tra attività liberoprofessionale e attività alle dipendenze, la quale assume due vesti distinte: a)
con riguardo a tutte le professioni, ad eccezione di quella medica, essa si
sostanzia in un divieto di “cumulare” l’attività svolta alle dipendenze di un
datore di lavoro con attività effettuate a favore di altri soggetti in regime libero
professionale; b) con riguardo poi alla sola professione forense, si estende fino
a precludere ai giuristi dipendenti di enti o imprese private lo svolgimento per il
proprio datore di lavoro dell’attività di patrocinio.
In ciò che segue, dopo aver brevemente sintetizzato la disciplina del
divieto, si svolgono alcune considerazioni circa la necessità e proporzionalità
dello stesso in rapporto al perseguimento dei fini di interesse pubblico ai quali
viene generalmente finalizzato.
8.1 La regolamentazione
2. La tabella che segue illustra sinteticamente il quadro normativo di
riferimento per le professioni esaminate nei capitoli precedenti395.
Dalla stessa emerge che, relativamente alla generalità delle professioni,
ad eccezione del patrocinio forense, non risulta esistente l’incompatibilità
dell’esercizio della libera professione con l’impiego privato.
Anche con riferimento all’incompatibilità tra libera professione e impiego
pubblico, tuttavia, emerge che, per i professionisti dell’area tecnica e dell’area
economico contabile, eccettuati i consulenti del lavoro, il divieto, ove esiste,
discende dalla legislazione in materia di impiego pubblico.
Per i medici, infine, non sussiste alcuna incompatibilità in senso proprio.
395
Segnatamente, cfr. per i notai art. 2 legge n. 89/1913; per gli avvocati, art. 3, commi 2, 3 e 4 r.d.l. n.
1578/1933; per i dottori commercialisti e i ragionieri, art. 3, comma 2, d.p.r. n. 1067/1953 e d.p.r. n.
1068/1953; per i consulenti del lavoro, art. 4, l. n. 12/1979; per gli ingegneri e gli architetti, art. 62 r.d. n.
2537/1925; per i geometri, art. 7, r.d. n. 274/1929 ed infine per i medici art. 5, d.p.r. n. 221/1950 e da
ultimo art. 1, comma 10, legge n. 622/1996.
196
Tabella 1 - Incompatibilità tra libera professione e impiego pubblico e privato
Principali
professioni
Notai
Avvocati
Dottori Comm.
Ragionieri
Consulenti lav.
Ingegneri
Architetti
Geometri
Medici
Incompatibilità
con l’impiego privato
no
si, per il patrocinio
no
no
no
no
no
no
no
Incompatibilità con l’impiego pubblico
Norme dell’ordinamento della
professione
x
x
Norme dell’ordinamento
dell’Ente di appartenenza
x
x
x
x
x
x
3. Deve poi mettersi in luce che, con riguardo alla sola professione
forense, l’incompatibilità non si esaurisce nel divieto di “cumulo” ma preclude
altresì agli abilitati dipendenti di enti o imprese private lo svolgimento del
patrocinio a favore del proprio datore di lavoro. Gli abilitati dipendenti di enti
pubblici, invece, iscritti in un elenco speciale, ed inseriti nell’ufficio legale
dell’ente di appartenenza appositamente istituito, possono esercitare
limitatamente alle cause e agli affari cui sono addetti.
i) le recenti modifiche legislative
4. Nel descritto contesto normativo si inseriscono, ridimensionandolo,
alcune importanti modifiche legislative. Di recente, infatti, è stato stabilito,
relativamente ai soli dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che le
disposizioni dei relativi ordinamenti che prevedono incompatibilità o cumulo di
impieghi e quelle che vietano l’iscrizione in albi professionali non si applicano
ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo
parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo
pieno396.
Successivamente, è intervenuta una norma che ha previsto l’abrogazione
delle disposizioni che vietano l’iscrizione ad albi e l’esercizio di attività
professionali per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale,
restando salve le altre disposizioni in materia di requisiti per l’iscrizione e per
l’esercizio delle relative attività397. Tuttavia, tale norma, nel rimuovere
l’incompatibilità tra libera professione e impiego pubblico part-time, limita per
i dipendenti pubblici iscritti agli albi e che esercitano attività professionale le
possibilità di esercizio dell’attività stessa agli incarichi professionali che non
siano conferiti dalle amministrazioni pubbliche. Né tali dipendenti, nel caso in
396
Cfr. art. 1, comma 56, della legge n. 622/1996, recante “Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica”.
397
Cfr. art. 6, comma 2, legge 28 maggio 1997 n. 140, recante “Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto legge 28 marzo 1997 n. 79, recante misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica”.
197
cui svolgano attività forense, possono assumere il patrocinio in controversie
nelle quali sia parte una pubblica amministrazione398.
5. Con riferimento a tali modifiche legislative, deve rilevarsi che è stata
presentata una proposta di legge, volta ad impedire l’iscrizione dei dipendenti
pubblici part-time agli albi degli avvocati399. Nella relazione, l’iniziativa in
esame viene giustificata sottolineando che per gli avvocati, differentemente da
altre professioni liberali, si pongono seri problemi per l’inviolabilità del diritto
di difesa ove si considerino, ad esempio, le ipotesi in cui l’avvocato
contemporaneamente sia anche cancelliere, ufficiale giudiziario, dipendente non
militare degli uffici finanziari400.
6. Sulla base di quanto precede, rimane dunque ferma l’incompatibilità
tra libera professione e impiego pubblico a tempo pieno, nonché tra libera
professione e impiego privato per le professioni giuridiche.
8.2 Necessità e proporzionalità delle diverse forme di incompatibilità
a) il divieto della coesistenza tra libera professione e attività alle
dipendenze
7. Relativamente al primo dei due divieti illustrati, si osserva che
l’incompatibilità di norma (ad eccezione degli avvocati) non sussiste rispetto
all’impiego privato e, per quanto concerne quello pubblico, ove esista, viene di
solito stabilita e regolata dalla disciplina relativa al rapporto di impiego
pubblico. Ciò appare indicare che il divieto sia riconducibile essenzialmente
all’esigenza, propria del datore di lavoro, di impedire o limitare comportamenti,
tenuti dal dipendente, che siano in contrasto con gli obblighi derivanti
dall’inserimento dello stesso nella struttura e nell’organizzazione dell’ente o
che creino situazioni di conflitto con gli interessi dell’ente stesso, arrecando a
quest’ultimo un pregiudizio, nonché alla necessità di assicurarsi la piena
dedizione del dipendente all’attività istituzionale.
Pertanto, appare evidente che il divieto, in tale ipotesi, non rappresenta
uno strumento di regolamentazione dell’esercizio della professione, ma
398
Cfr. art. 6, comma 2, ultima parte, legge n. 140/1997.
Cfr. Proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati il 25 febbraio 1997, recante “Norme in
materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato” (Atto Camera n. 3274), che, all’art.
1, prevede “le disposizioni di cui all’art. 1, commi 56, 56bis e 57 della legge 23 dicembre 1996 n. 622 non si
applicano all’iscrizione agli albi degli avvocati, per i quali restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio
decreto legge 27 novembre 1933 n. 158 (....)”.
400
In particolare “si verrà a creare uno strano rapporto di interazione pubblico-privato, per cui il prestigio
del difensore non sarà più basato sulla sua professionalità, ma sul suo potere nell’ambito
dell’amministrazione, con creazione di una clientela al di fuori di una corretta concorrenza professionale ed
una commistione di interessi privati in attività pubbliche (....). Il cittadino non potrà non rivolgersi
all’avvocato che lavora negli uffici pubblici, peraltro potenziali controparti, e si troverà ad essere assistito da
un difensore condizionato oggettivamente dalla sua posizione di pubblico dipendente divaricato da due
concorrenziali interessi”.
399
198
piuttosto una misura eventualmente adottata dalle pubbliche amministrazioni al
fine di garantire un’efficiente e corretto svolgimento dell’attività istituzionale401.
8. Diversamente appare potersi argomentare nell’ipotesi, quale quella
degli avvocati, in cui il divieto “di cumulo” è previsto dalla relativa legge
professionale.
L’incompatibilità per gli avvocati è stabilita dalla legge forense a priori e
per la generalità delle situazioni.
9. Si sostiene che tale divieto sarebbe motivato dall’esigenza di garantire
l’efficienza, il prestigio e l’autonomia della classe forense, impedendo al libero
professionista lo svolgimento di attività alle dipendenze che per loro natura
verrebbero ad incidere negativamente su detti principi402.
10. Al riguardo, deve rilevarsi che l’esistenza di un impiego
parallelamente all’esercizio di attività libero professionale, di per sè, non
appare pregiudicare l’efficienza di quest’ultima, come dimostra del resto il fatto
che tale divieto non è previsto per la generalità delle professioni. E’ ragionevole
ipotizzare infatti che i professionisti forensi, non diversamente da tutti gli altri
professionisti, siano autonomamente in grado di determinare efficientemente il
proprio volume di attività.
A ciò si aggiunga che qualora il professionista dovesse trovarsi in
situazioni potenzialmente idonee a determinare conflitti di interessi, il pericolo
di una compressione dell’autonomia della professione - e dunque di una
violazione del diritto di difesa - rappresenterebbe un giusto motivo di rifiuto
dell’incarico, come d’altra parte viene previsto dalle stesse norme
deontologiche. Tutt’al più, solo per le specifiche ipotesi (cancelliere, ufficiale
giudiziario, ecc.) nelle quali secondo la categoria appare potersi determinare
un’effettiva commistione di interessi privati in attività pubbliche, potrebbero
essere stabiliti specifici divieti di cumulo.
Pertanto, la previsione di un divieto generalizzato appare senz’altro
sproporzionata.
11. Nello stesso senso depongono le recenti modifiche legislative, le
quali, nel prevedere per tutti i professionisti dipendenti pubblici part time compresi gli avvocati - la possibilità di svolgere anche attività liberoprofessionale, con il solo limite che gli incarichi professionali non siano
conferiti dalle amministrazioni pubbliche, implicitamente confermano che
l’efficienza e l’autonomia del professionista nell’esecuzione dell’attività libero
401
Quanto ai notai, va detto da subito che il divieto contenuto nella legge notarile appare diretto ad evitare il
cumulo di funzioni pubbliche in capo ad un soggetto che già svolge funzioni delegategli dallo Stato.
402
Cfr.Cass. 29 marzo 1989 n. 1530.
199
professionale non è di per sè pregiudicata dall’esistenza di un rapporto di
lavoro dipendente.
12. Per altro verso, si sostiene che l’incompatibilità si giustificherebbe in
quanto diretta ad assicurare la piena dedizione del professionista al lavoro che
ha liberamente scelto, senza le inevitabili distrazioni di tempo, di energia e di
capacità lavorativa, che il parallelo esercizio di una libera attività professionale
certamente comporterebbe403. Al riguardo, è appena il caso di notare che
l’efficienza e l’autonomia nello svolgimento dell’attività alle dipendenze, come
accade per tutte le altre professioni, potrebbero essere salvaguardate da
specifiche forme di incompatibilità introdotte dal datore di lavoro nei casi in cui
tali esigenze effettivamente ricorrano.
13. In conclusione, la regola dell’incompatibilità assoluta, se, da un lato,
non appare uno strumento proporzionato a salvaguardare l’autonomia della
professione, dall’altro sicuramente limita la libertà di scelta del professionista
circa le soluzioni lavorative ritenute più idonee ed in particolare l’accesso
all’albo, restringendo in tal modo la concorrenza tra soggetti qualificati
nell’offerta dei servizi rientranti nell’oggetto della professione.
b) il divieto di esercizio di attività tipiche della professione in qualità di
dipendente
14. Con riferimento alla seconda forma di incompatibilità considerata,
riguardante i soli abilitati dipendenti di enti e imprese private, la categoria
forense ha precisato che la regola vale come divieto, per il professionista che
sia dipendente, di prestare il patrocinio persino a favore del proprio datore di
lavoro, sottolineando, al riguardo, che per l'avvocato è essenziale mantenere
una posizione di autonomia nei confronti del cliente, e che tale posizione risulta
incompatibile con l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato404.
15. Con riguardo, poi, alla deroga prevista a favore dei soli avvocati di
enti pubblici, questa, secondo il Consiglio Nazionale Forense, sarebbe
giustificata in quanto l’attività degli impiegati pubblici beneficerebbe di alcune
condizioni di autonomia e cioè: della formale ed apposita istituzione, presso
l’ente pubblico, di un ufficio legale avente carattere di separatezza e autonomia
403
Cfr. Consiglio nazionale forense, delibera del 29 marzo 1979, in Rass. Forense, 1983, 5.
Cfr. l’audizione dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura del 12 luglio 1996; S. Carbone e F. Munari,
L’indagine conoscitiva dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli Ordini e Collegi
professionali ed il suo possibile impatto sull’avvocatura, in Concorrenza e Mercato, 1995, 434, poi,
precisano “Tale indipendenza non può, per definizione coesistere con rapporti di lavoro subordinato, che da
un lato, (...) priverebbero l’avvocato della libertà di assumere determinate posizioni in giudizio e, a fortiori,
della libertà di rappresentare o meno una parte relativamente ad una data controversia (...); dall’altro lato,
finirebbero inevitabilmente coll’identificare l’avvocato con la parte, mettendo quindi in discussione quella
necessaria differenziazione tra verità reale e verità processuale che è alla base di tutti gli ordinamenti
giuridici evoluti”.
404
200
rispetto agli altri uffici e ai settori amministrativi, e della esclusività, per tale
ufficio e per coloro che vi sono addetti, dell’espletamento di attività di difesa,
rappresentanza e assistenza dell’ente405.
16. Relativamente all’impedimento all’esercizio del patrocinio forense
alle dipendenze di enti o imprese private, si tratta pertanto di verificare quali
effetti l’esistenza di tale vincolo di subordinazione comporta sull’autonomia del
professionista dipendente nell’esercizio dell’attività di rappresentanza e difesa
giudiziale del datore di lavoro.
17. Va innanzitutto messa in rilievo la circostanza che la limitazione in
esame non riguarda la forma di lavoro dipendente pubblico, per il quale, anzi, è
prevista espressamente una deroga. Tale circostanza indica che la
subordinazione non influisce, negandola, sull’autonomia dell’avvocato
nell’espletamento della attività di difesa, rappresentanza e assistenza dell’ente
dal quale dipende.
L’autonomia, intesa come discrezionalità tecnica del professionista,
sebbene si esplichi pienamente nelle ipotesi in cui la prestazione sia svolta nella
forma di lavoro autonomo, appare, senz’altro, poter sussistere anche
nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. Infatti, il potere direttivo del
datore di lavoro, correlativo alla subordinazione del professionista-lavoratore,
riguarderebbe prevalentemente le modalità organizzative dell’attività piuttosto
che quelle tecniche o, comunque, in relazione a queste ultime, subirebbe un
affievolimento, considerata la qualificazione dell’attività come professione
intellettuale406,407.
405
Cfr. Consiglio Nazionale Forense, delibera del 28 febbraio 1993, secondo la quale “la ricorrenza di
entrambi i suddetti elementi vale infatti, se non ad escludere, certamente ad attenuare il rapporto di
dipendenza dall’ente, conferendo alla posizione del professionista interessato quelle caratteristiche di
autonomia, di indipendenza che sole giustificano la deroga al principio generale della incompatibilità della
libera professione forense con il rapporto di lavoro subordinato”. Cfr., inoltre, nello stesso senso, le delibere
del Consiglio del 10 gennaio 1989 e del 26 gennaio 1985. E’ appena il caso di ricordare - giacché il tema
esula propriamente dall’oggetto della trattazione - che tale deroga ha dato luogo ad un imponente
contenzioso, riguardante essenzialmente la presunta incostituzionalità della stessa, per violazione del
principio di uguaglianza, rispetto agli avvocati dipendenti di enti privati: al riguardo, è stato tuttavia ritenuto
che la previsione di tale eccezione non sarebbe incostituzionale in quanto la diversità di trattamento “trova
giustificazione nella natura pubblica o privata delle strutture in cui essi si inseriscono come dipendenti e
nelle peculiarità delle rispettive esigenze (Cass. SS.UU. n. 7939/1990, cit.); cfr. inoltre Cass. 12 gennaio
1987 n. 115, secondo la quale, in particolare, “L’inserimento di un dipendente in una struttura pubblica
comporta che lo stesso debba necessariamente collaborare per le finalità di ordine generale perseguite
dall’ente di appartenenza, e si spiega così la ragione per la quale agli avvocati e procuratori pubblici
dipendenti sia stata riconosciuta la legittimazione ad esercitare l’attività professionale, ma in favore
dell’ente di appartenenza soltanto, sicché l’iscrizione negli elenchi speciali consente e limita al tempo
stesso l’esercizio della professione, contenendolo nell’ambito del perseguimento degli interessi pubblicistici
propri dell’istituzione nella quale il professionista è organicamente inquadrato”.
406
Cfr. Giacobbe, Professioni intellettuali, in Enc. Diritto, XXXVI, Milano, 1987, 1088; Santoro Passarelli,
Professioni intellettuali, in Noviss. Digesto Italiano, XIV, Torino, 1967, 23, secondo il quale “La
discrezionalità dell’attività professionale non ripugna, almeno in linea generale, al vincolo della
subordinazione, la quale va intesa in senso funzionale, come necessaria conseguenza dell’inserimento del
prestatore nell’organizzazione imprenditoriale. Naturalmente, in tali ipotesi, il rapporto sarà regolato dalle
201
18. Nè è sufficiente argomentare al riguardo che l’avvocato addetto
all’ufficio legale di un ente pubblico sia esposto a condizionamenti ed
interferenze minori rispetto a quelli che incombono sul dipendente di enti
privati al quale vengono attribuite analoghe funzioni, in ragione della natura
degli interessi perseguiti dall’ente e della posizione di autonomia garantita
all’ufficio legale rispetto alla struttura. Da un lato infatti l’esigenza di non far
coincidere l’avvocato con la parte, ai fini di assicurare la sua libertà di
preparare nella più totale indipendenza la difesa degli interessi dell’assistito,
non è garantita in misura maggiore dalla natura pubblica degli interessi
perseguiti dal datore di lavoro, dall’altro non sembra potersi escludere anche
per gli enti e le imprese private la creazione di un ufficio legale avente carattere
di separatezza e autonomia rispetto agli altri uffici e ai settori amministrativi, e
la esclusività, per tale ufficio e per coloro che vi sono addetti, dell’espletamento
di attività di difesa, rappresentanza e assistenza dell’ente.
Al riguardo, è stato rilevato che mentre in origine il legale interno di enti
o imprese private era inserito nella direzione amministrativa e del personale
dell’ente, attualmente per un numero crescente di imprese l’ufficio legale risulta
separato e indipendente e la funzione legale, pertanto, tende a rendersi
autonoma408.
19. Sulla base di quanto precede risulta dunque che la regola non sia
giustificata. Dall’altro canto, la stessa appare invece consentire che ai liberi
professionisti venga riservata, almeno per quanto concerne il servizio di
patrocinio, quella fascia di clienti costituita da enti e imprese private e, in tal
senso, restringe la concorrenza tra gli operatori dotati dei requisiti di
formazione e qualificazione necessari per l’offerta del patrocinio stesso.
20. La riserva produrrebbe i più rilevanti effetti, peraltro, soprattutto nel
caso di enti e imprese di maggiori dimensioni in quanto proprio tali clienti
appaiono con maggiore probabilità poter valutare conveniente
disposizioni relative al lavoro subordinato”. Cfr. anche Maviglia, Professioni e preparazioni alle
professioni, Milano, 1992, 144 e ivi ampi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza. In particolare, secondo
Cass. 30 agosto 1991 n. 9234, “l’esercizio dell’attività di avvocato e procuratore legale è riconducibile, in
astratto, tanto ad un rapporto di lavoro autonomo che ad un rapporto di lavoro subordinato (ancorché
caratterizzato, dato il contenuto squisitamente intellettuale dell’attività, da una subordinazione affievolita),
non essendo di ostacolo alla sua inquadrabilità nel secondo tipo di rapporto la disciplina in tema di
incompatibilità (....) dettata dall’art. 3 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 (ordinamento delle professioni di
avvocato e procuratore)”. Cfr. anche Maviglia, Professioni e preparazioni alle professioni, Milano, 1992,
144 e ivi ampi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza.
407
Cfr. in tal senso anche l’art. 6 della legge francese n. 90/1259 del 31 dicembre 1990, di riforma di alcune
professioni legali che, relativamente all’avvocato ha stabilito che lo stesso, nell’esercizio dei compiti
affidatigli, “beneficie de l’indipendance que comporte son serment et n’est soumis à un lien de
subordination à l’egard de son employeur que pour la determination de ses conditions de travail”.
408
Cfr. l’audizione dell’Associazione Italiana Giuristi d’Impresa (AIGI) del 27 settembre 1996.
202
l’internalizzazione del servizio in questione, conseguendo per tale via un
risparmio di costi.
In generale, poi, è emerso che, per le imprese, l’impossibilità di
internalizzare il servizio di patrocinio assume un carattere di particolare
stringenza specialmente nelle ipotesi in cui esso implica una trattazione
standardizzata di controversie frequentemente ricorrenti, come quelle relative
ad esempio al recupero dei crediti. In sintesi, il vincolo in esame appare in non
pochi casi impedire un adattamento pienamente soddisfacente dell’offerta alle
caratteristiche della domanda.
203
CAPITOLO NONO: LE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI
9.1 L’abrogazione del divieto imposto dalla legge 23 novembre 1939
n. 1815.
1. La fattispecie società di professionisti si riferisce, in senso stretto, alle
società aventi per oggetto l’esercizio in comune di una professione intellettuale.
Fino al recente intervento della legge n. 266 del 7 agosto 1997, il
principale ostacolo, dal punto di vista giuridico, all’esercizio in forma societaria
dell’attività professionale intellettuale era rappresentato, dalla legge 23
novembre 1939, n. 1815, la quale consentiva quale unica forma di esercizio in
comune dell’attività delle professioni protette il c.d. studio associato. Più
precisamente, la legge disponeva che le persone le quali, munite dei necessari
titoli di abilitazione professionale, si associano per l’esercizio delle professioni
cui sono abilitate, dovessero usare nella denominazione del loro ufficio e nei
rapporti con i terzi, esclusivamente la dizione “studio tecnico, legale,
commerciale, contabile, amministrativo o tributario” con l’indicazione del nome
e del titolo professionale di ciascun associato (art. 1).
La legge sanciva poi il divieto di costituire, esercitare o dirigere società
aventi lo scopo di dare ai propri consociati o a terzi prestazioni in materia
riguardante le professioni intellettuali protette (art. 2).
2. L’articolo 24 della legge n. 266 del 7 agosto 1997 ha abrogato
l’articolo 2 della legge 23 novembre 1939 n. 1815, ed ha delegato al Ministro
di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e
dell’artigianato, e per quanto di competenza, con il Ministro della sanità, la
fissazione, con proprio decreto, entro centoventi giorni, dei requisiti per
l’esercizio delle attività di cui all’articolo 1 della legge 23 novembre 1939 n.
1815. Pertanto, il legislatore, anziché emanare una legge di riforma organica
della materia, ha preferito abrogare il divieto posto dalla legge del 1939,
lasciando ad un atto di normazione secondaria - che andrà raccordato alla
disciplina codicistica in materia societaria ed in particolare al principio di
tipicità delle società ivi contenuto - il compito di predisporre soluzioni che
consentano ai professionisti di esercitare in comune la professione nel rispetto
delle peculiarità della propria attività e fornendo loro un ampio ventaglio di
possibilità tra cui scegliere la modalità che essi ritengono più congeniale.
L’intervenuta abrogazione rappresenta non solo la risposta alle istanze
provenienti dai professionisti, i quali da molto tempo auspicavano una riforma
in questa direzione, ma anche il recepimento normativo degli orientamenti
indicati dalla più recente giurisprudenza.
Tuttavia, seppure la rimozione di questo ostacolo, che vigeva
ingiustificatamente da oltre cinquant’anni, merita di essere salutata con favore,
occorre altresì sottolineare che si tratta soltanto di un primo, seppure importante
passo, verso la definizione di una disciplina i cui contenuti, che verranno
204
definiti - come visto - con un successivo decreto ministeriale, sono destinati ad
incidere in maniera significativa sull’evoluzione delle forme di esercizio della
professione.
E’ verosimile, quindi, che l’individuazione delle modalità attraverso le
quali sarà consentito l’esercizio dell’attività professionale in forma organizzata,
sarà preceduta da un acceso dibattito attraverso il quale si confronteranno le
motivazioni che hanno per molti anni sostenuto il divieto suddetto, con le
istanze che inducono a preferire una radicale innovazione.
Al fine di comprendere le diverse posizioni e di cogliere appieno le
occasioni offerte da tale riforma, appare opportuno delineare il quadro
legislativo e giurisprudenziale sul quale è intervenuta la legge n. 266 del 1997.
9.2 La ratio del divieto posto dalla legge del 1939
3. La ratio del divieto trovava le proprie origini nella natura giuridica del
rapporto di lavoro fra committente e professionista intellettuale, nel quale,
secondo quanto emerge dal Codice Civile, assume particolare rilievo
l’esecuzione personale dell’incarico (salvo il ricorso ammesso dall’art. 2232
c.c. all’opera di sostituti ed ausiliari, ma sempre sotto la direzione e
responsabilità del professionista incaricato)409.
L’esercizio in forma societaria avrebbe violato tale principio in quanto la
professione sarebbe stata esercitata “in comune” fra più professionisti e, quindi,
“impersonalmente”. Alla base di tale convinzione vi era il presupposto che nel
caso di assunzione di incarico da parte di una società, sia pure formata da
professionisti iscritti all’albo, la prestazione eseguita sarebbe giuridicamente
riferibile solo alla società, mentre la persona o le persone che in concreto
l’hanno eseguita si sottrarrebbero ad ogni individuale responsabilità.
La legge voleva quindi impedire sia lo svolgimento in concreto di tali
professioni da parte di soggetti non legittimati, sia l’elusione dell’art. 2231 c.c.,
secondo cui è nullo per difetto di iscrizione all’albo il contratto d’opera
intellettuale concluso dal professionista di fatto. In particolare il legislatore si
preoccupava che una denominazione diversa dalla qualificazione professionale
risultante dai titoli degli associati potesse indurre in equivoco i terzi, coprendo
una attività non svolta dai soggetti abilitati e, quindi, sfornita delle necessarie
garanzie tecniche e morali410.
409
C’è anche chi ha visto un ostacolo nell’art. 2233 comma 2, c.c., il quale stabilisce che il compenso del
professionista debba essere adeguato al decoro della professione oltre che all’importanza dell’opera: se un
cliente si rivolge ad una società di professionisti, non potendo il compenso essere determinato ai sensi
dell’art. 2233, comma 2, c.c. in quanto non si potrebbe pretendere un compenso che risulti adeguato al
decoro professionale di ciascun socio, ogni socio percepirebbe una frazione dell’unitario compenso ricevuto
dalla società, e, quindi una remunerazione determinata in modo diverso da quanto previsto per il
professionista intellettuale. Così Musolino, Esercizio delle professioni intellettuali, Padova, 1994.
410
La giurisprudenza, che per lungo tempo aveva visto nel divieto della legge del 1939 un ostacolo
insuperabile, negli ultimi anni ha manifestato degli orientamenti radicalmente diversi, che hanno certamente
contribuito ad aprire la strada all’attuale riforma.
205
4. Pertanto, le forme di collaborazione che potevano essere
giuridicamente realizzate tra professionisti comprendevano quella regolata dalla
legge del 1939, l’associazione, o ipotesi estranee alla fattispecie società tra
professionisti, quali la società di mezzi.
5. Occorre tuttavia aggiungere che già prima dell’intervento risolutivo
della legge n. 266 del 1997, il legislatore era via via intervenuto in alcuni settori
introducendo alcune eccezioni al generale divieto di costituzione delle società
di professionisti, quali la disciplina introdotta per le società di revisione, per le
società di intermediazione mobiliare e per i centri di assistenza fiscale, che
verranno considerate in seguito (sezione 9.4).
6. Come abbiamo già accennato, la legge 266/1997 si è limitata ad
abrogare il divieto posto dalla legge del 1939, delegando la definizione dei
requisiti ad un successivo decreto ministeriale, senza tuttavia stabilire i criteri a
cui quest’ultimo dovrà attenersi nel delineare le forme in cui sarà possibile
esercitare in comune la professione. Pertanto, al momento, l’unico istituto
giuridico che rappresenta un parametro di riferimento in materia è
l’associazione professionale di cui all’art. 1 della legge del 1939, nonché le
discipline adottate in regimi speciali.
9.3 L’associazione professionale
7. Premesso che la legge disciplina solo formalmente e in negativo
l’associazione professionale, nulla stabilendo in merito alle modalità di
Un primo passo è stato fatto dalla Corte di Cassazione (Sentenza del 31 luglio 1987 n. 6636) che ha
dato rilevanza all’esteriorizzazione del vincolo associativo, stabilendo che “allorché più professionisti si
associano per l’esercizio della professione, nell’ambito di tale rapporto ciascuno dei professionisti
nell’espletamento dell’incarico ricevuto insieme con i suoi colleghi, agisce oltre che per sé anche per gli altri
secondo il principio della rappresentanza reciproca, salvo esplicite limitazioni o previsioni in contrario.
Pertanto, per gli affari assunti congiuntamente, così come il cliente che ha ricevuto la prestazione dai
professionisti congiuntamente può corrispondere il compenso ad uno solo di essi con effetti liberatori nei
confronti degli altri, ciascuno dei professionisti è legittimato a chiedere l’intero compenso per l’opera
prestata.”
Successivamente, la giurisprudenza ha manifestato chiaramente di ritenere compatibile l’esercizio
della professione intellettuale con la struttura societaria. Al riguardo molto significativa è una sentenza
(App. Milano 27 maggio 1988) nella quale si afferma che “l’associazione tra professionisti di cui alla legge
n. 1815 del 1939, non è incompatibile con lo schema societario delineato dall’art. 2247 c.c. la cui disciplina
pertanto è applicabile in via analogica anche con riferimento alla liquidazione del socio uscente”.
Ad analoga conclusione è pervenuta la Corte di Cassazione (Sentenza del 16 aprile 1991 n. 4032),
secondo la quale non esiste alcun principio “inderogabile o imperativo” che faccia divieto di utilizzare la
disciplina legale di enti soggettivizzati, quali le società, per i rapporti interni tra i partecipanti
all’associazione. Infine, ad una piena identificazione dell’associazione professionale con la società semplice,
la giurisprudenza era pervenuta nella sentenza della Corte di appello di Milano del 19 aprile 1996, nella
quale ha qualificato come società semplice, soggetta alle relative norme, un’associazione professionale fra
professionisti protetti, nel caso di specie i notai.
206
svolgimento dell’attività, ad una definizione della sua natura giuridica è giunta
la giurisprudenza in via interpretativa e non senza contraddizioni.
8. La Corte di Cassazione ha ritenuto validi in base all’art. 1 della legge
del 1939 gli accordi conclusi da professionisti legittimati e soltanto da essi per
l’esercizio congiunto di professioni tutelate. Tale associazione non dà luogo ad
un centro di imputazione giuridico autonomo e distinto dai professionisti, ma
ognuno di essi rimane l’unico titolare e l’esclusivo responsabile dei rapporti in
essere con i clienti, oltre che il solo creditore del compenso, stabilisce
l’impostazione e la linea dello svolgimento dell’opera, dirige ed indirizza il
lavoro degli associati, i quali assumono la veste di sostituti o di ausiliari ai sensi
dell’art. 2232 c.c., ossia di collaboratori tecnici411.
Nell’associazione professionale, il contenuto del rapporto obbligatorio è
quindi rappresentato dalla prestazione di collaborazione tecnica nell’attività
professionale svolta dagli altri colleghi, contro la ripartizione delle spese
complessive e del totale degli onorari percepiti da ogni singolo associato. Il
professionista che si associa assume pertanto il ruolo di associante, quando
direttamente dal cliente gli è stato affidato un incarico, che egli svolge
avvalendosi di collaboratori tecnici, il cui lavoro dirige e indirizza, e di
associato quando funge da collaboratore tecnico di un proprio collega
incaricato.
9. Per quanto concerne la qualificazione del contratto in esame, la Corte
ha individuato la fattispecie prevista e ammessa dall’art. 1 della legge n.
1815/1939 come un contratto di associazione, ma un contratto di associazione
sui generis, autonomo e diverso da quello regolato dall’art. 2549 c.c..
Nel primo caso, infatti, l’associato partecipa, sia pure nella veste di
sostituto o di ausiliario, all’esercizio dell’attività professionale dell’associante
e, di riflesso alle spese e ai compensi, nel secondo caso invece la
partecipazione dell’associato riguarda soltanto il risultato economico
dell’impresa, o dell’affare, dell’associante e, allorché il suo apporto consista in
una prestazione di lavoro, l’esercizio dell’impresa, o dell’affare si accentra
esclusivamente nella persona dell’associante.
In sostanza, quindi, nel contratto di associazione secondo il modello
codicistico, manca la partecipazione da parte dell’associato all’attività
professionale, che invece caratterizza il rapporto associativo tra professionisti.
10. Si può quindi concludere che il contratto interprofessionale
associativo è atipico, dà luogo ad un vincolo meramente inter partes e non
esiste una soggettività giuridica del gruppo in quanto tale412.
411
412
Cfr. Cass. 12 marzo 1987 n. 2555.
Cfr G. Capozzi, Le associazioni tra notai, in Vita Not., 1985.
207
Pertanto, nell’associazione la professione protetta viene esercitata non in
comune, ma congiuntamente; l’intervento del professionista è coordinato ma
separato da quello del collega; e, infine, gli effetti delle prestazioni intellettuali
dispensate dagli associati non sono imputati unitariamente e giuridicamente
all’associazione.
9.4 Le società esistenti
a) Le società di mezzi
11. Si tratta di una società che ha come oggetto la mera realizzazione e
gestione dei mezzi strumentali (immobili, arredamenti, biblioteca, macchinari,
servizi ausiliari) per l’esercizio di una attività professionale protetta se tale
realizzazione e gestione rimane distinta e separata nettamente, anche per
l’aspetto contabile, dall’attività professionale.
In questo caso, tra la società e il professionista, interviene un contratto in
base al quale la società si obbliga a mettere a disposizione del professionista i
beni strumentali e i servizi accessori che consentono o facilitano (ma non
certamente esauriscono) l’attività professionale che deve essere svolta
personalmente anche se con la collaborazione di sostituti e ausiliari, i quali
rimangono sotto la direzione e responsabilità del professionista incaricato. Il
professionista da parte sua corrisponde alla società il pagamento di un
corrispettivo stabilito in misura fissa ovvero in proporzione dei suoi proventi
professionali413.
La società di mezzi può essere costituita da più professionisti per
l’esercizio in comune dei soli strumenti necessari alla loro attività o può essere
formata da soggetti che professionisti non sono. Si tratta in quest’ultimo caso
delle società fra capitalisti per l’esecuzione di prestazioni intellettuali altrui: qui
i professionisti non sono soci, ma dipendenti della società e l’attività esercitata
in comune dai soci è una attività di interposizione fra quanti offrono il proprio
lavoro intellettuale e quanti domandano servizi intellettuali.
b) Le società di engineering
12. Le società di engineering sono società di capitali (e, talvolta società
cooperative) che hanno come scopo la progettazione ed eventualmente la
costruzione e la manutenzione di opere ed impianti industriali o commerciali.
Questa società ha come obiettivo di riunire in un’unica struttura
societaria tutti i professionisti ed i tecnici (ingegneri, architetti, geologi,
urbanisti, esperti ambientali, ecc...) necessari per la realizzazione di opere e
impianti industriali e commerciali, dalla fase di fornitura di prestazioni di
progettazione sino al livello esecutivo, curando eventualmente anche la
manutenzione. In particolare per quanto riguarda l’attività di ingegneria
413
Cfr. Cass. 13 maggio 1992, n. 5656.
208
industriale, che è più ampia414, preparatoria ed interdisciplinare rispetto alla
tradizionale attività di progettazione di ingegneria civile, il ricorso al modello
societario consente al cliente di evitare l’instaurazione di una pluralità di
rapporti con i singoli professionisti e tecnici permettendo di realizzare notevoli
risparmi in termini di costi e di tempi.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza che ha ritenuto ammissibili
le società di engineering, queste ultime rispetto alle società professionali in
senso stretto, forniscono un servizio più ampio. In particolare, mentre nelle
società professionali in senso stretto l’organizzazione è strumentale rispetto
all’attività intellettuale, nelle società di engineering è l’attività intellettuale ad
apparire strumentale rispetto all’organizzazione. In altri termini, tali società
sono state ritenute estranee al divieto di cui alla legge del 1939 in quanto
svolgenti una attività ausiliaria e rientranti nel genere delle imprese di servizi415.
c) La società fra professionisti intellettuali non protetti
13. La Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibile l’esercizio in forma
societaria delle attività professionali non protette416. Per le professioni non
protette, quali l’agente di pubblicità, l’esperto di ricerche di mercato, l’esperto
di programmi di computer ecc..., principi come quelli dell’esecuzione personale
dell’incarico o della retribuzione adeguata al decoro della professione non sono
inderogabili. Infatti gli esercenti professioni intellettuali non protette non
debbono necessariamente regolare il loro rapporto con il cliente secondo lo
schema del contratto d’opera intellettuale, ma possono ritenersi liberi di
adottare altri schemi contrattuali e in particolare, le forme giuridiche del
contratto di appalto (art 1655 c.c.).
414
Le società di progettazione industriale hanno per oggetto lo studiare, progettare, costruire e vendere
impianti e parti di impianti e attrezzature per le industrie chimica, petrolifera, petrolchimica, termica e
nucleare, includendo: studio del progetto di base, realizzazione degli schemi di lavorazione, preparazione dei
disegni dei vari impianti e apparecchiature, forniture, acquisto degli stessi presso i vari fornitori, assistenza
alla costruzione di detti impianti e apparecchiature nelle varie officine cui essi sono stati commissionati,
montaggio e/o supervisione allo stesso, messa in marcia e collaudo degli impianti, il tutto per conto proprio o
di terzi.
415
Cfr. Cass. 30 gennaio 1985 n. 566; cfr. altresì Cons. Stato, 3 aprile 1990, n.314, in Società, 1990, 1046
secondo il quale "le società di ingegneria o di architettura non sono riconducibili ad associazioni anonime di
professionisti, ma al più ampio genere delle società di servizi, in quanto forniscono un opus, in rapporto al
quale le prestazioni intellettuali costituiscono soltanto una delle componenti della complessa attività
societaria e del risultato che viene promesso e reso al committente; pertanto, le società predette, in quanto
tali, non incorrono nel divieto di costituzione di cui agli artt. 1 e 2 della 1. n. 1815/1939".
416
Il principio è stato chiarito dalla Corte Costituzionale, con sentenza del 22 gennaio 1979 n. 17, la quale
ha stabilito che “la vigente disciplina giuridica degli studi di assistenza e consulenza si riferisce al solo
esercizio delle cosiddette professioni protette, ossia delle professioni intellettuali per cui la legge, a norma
dell’art. 2229 cc., richiede la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi, sulla base di titoli d’abilitazione
o autorizzazione e di altri requisiti legali, accertati di regola da ordini collegi o associazioni professionali,
sotto la vigilanza dello Stato.”
209
La prestazione d’opera dei soci è giuridicamente un conferimento di
servizi in società e si tratterà pertanto di una società che esercita una impresa di
servizi ai sensi dell’art. 2195 n.1 c.c.
9.5 Regimi speciali
14. Da una ricognizione delle leggi vigenti in materia di attività
professionali, si rileva che il legislatore nazionale, in talune peculiari
circostanze di fatto e con riferimento a settori specifici già di per sé
dettagliatamente regolamentati, era giunto ad ammettere (o talune volte a
richiedere tassativamente) lo svolgimento di attività di natura squisitamente
professionale in forma societaria.
Nell'ottica di una revisione della normativa esistente volta a riconoscere
in via generale la figura societaria per lo svolgimento delle professioni
intellettuali, pare opportuno dunque analizzare la legislazione già esistente su
società di tipo "professionale".
a) le società di revisione
15. Le Società di Revisione (SdR) sono state disciplinate con D.P.R. 31
marzo 1975, n. 136 e successive modificazioni, in attuazione della delega
contenuta nella legge 7 giugno 1974 n. 216, recante disposizioni relative al
mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli azionari. Il D.P.R. ha
aperto la porta ad un generale riconoscimento delle società tra professionisti, in
quanto l’oggetto delle SdR, astrattamente considerato, sarebbe sicuramente da
qualificare come esercizio di una attività intellettuale protetta, prestata a favore
delle società per azioni; e, tuttavia, esse sono legislativamente concepite come
società. Il D.P.R. permette infatti di costituire società cui partecipano
professionisti intellettuali limitatamente alla revisione contabile ed alla
certificazione dei bilanci delle società quotate in borsa. Tali attività sono state
quindi sottratte al “privilegio” delle professioni intellettuali e sottoposte ad una
diversa disciplina.
E' importante notare che le attività suddette sono riservate in via
esclusiva a tali società, non potendo essere svolte da singoli professionisti. Con
ciò, sembra volersi ammettere la maggior capacità organizzativa e di garanzia
per responsabilità professionale che la forma societaria offre rispetto al singolo
operatore.
16. Le società di revisione possono essere costituite tra dottori
commercialisti e ragionieri iscritti negli albi o nel ruolo dei revisori ufficiali dei
conti oppure tra soggetti ad essi equiparati, ai sensi e con le prescrizioni
dell’art. 8 n. 2, in quanto adottino la forma della società semplice o della
società in nome collettivo o in accomandita semplice ed in quanto la
maggioranza dei soci illimitatamente responsabili sia costituita da professionisti
appartenenti alle categorie sopra indicate. Se si intende utilizzare la forma della
210
società per azioni o della società a responsabilità limitata (con un capitale
minimo di 500 milioni) i soci non possono essere professionisti, ma bensì
istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale, istituiti di
credito a medio e lungo termine. La presenza dei professionisti si colloca qui al
livello della gestione. Gli amministratori devono essere sempre in maggioranza
dottori commercialisti, ragionieri o soggetti ad essi equiparati. Ciò significa che
le società di revisione possono essere costituite da professionisti o
prevalentemente da professionisti insieme a soggetti estranei alla professione,
se di persone; debbono essere costituite da altri soci, se di capitali. In questi
casi i professionisti partecipano non uti socii ma semplicemente quali
amministratori.
17. La disciplina legislativa si preoccupa di garantire l’indipendenza e la
responsabilità professionale e patrimoniale di coloro che esercitano l’attività,
estendendo l’ambito della responsabilità per i danni conseguenti da proprio
inadempimento o da fatti illeciti derivanti dalle operazioni compiute, oltre che
alla società, soggetto naturalmente responsabile, anche a chi ha sottoscritto la
certificazione o ai dipendenti che abbiano effettuato le operazioni di controllo
contabile (art. 12).
Le altre garanzie di qualità dell’attività svolta sono costituite dalla
previsione di specifiche ipotesi di incompatibilità da parte della società o dei
suoi soci, amministratori, sindaci o direttori generali, a tutela dell’indipendenza
nell’operare della società, e dall’istituzione presso la Consob di un albo
Speciale delle Società di Revisione, l'iscrizione al quale è condizione essenziale
per lo svolgimento stesso dell’attività ed è funzionale all’esercizio da parte
della stessa Consob della vigilanza sull’attività delle stesse società. La
disciplina legislativa prescrive inoltre che i professionisti che sono soci
illimitatamente responsabili diano la prova di essere in grado di rispondere per
le obbligazioni sociali con un patrimonio adeguato o mediante garanzia
finanziaria o assicurativa ritenuti idonei dalla Consob.
Altri aspetti che mirano ad assicurare il livello qualitativo dell’attività
della SdR sono costituiti dagli obblighi di nominatività delle azioni, e di
informazione alla Consob per i trasferimenti di azioni e le sostituzioni di organi
di gestione417.
b) le Società di Intermediazione Mobiliare
18. Le Società di Intermediazione Mobiliare (SIM) sono state introdotte
con la legge 2 gennaio 1991, n. 1 (disciplina dell’attività di intermediazione
mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari). Compiti
specifici di tali società - ad esse peraltro riservati in via esclusiva - riguardano
417
In caso di infrazione, sono previste la sospensione o la cancellazione dall’albo, oltre a sanzioni penali per
amministratori e dipendenti.
211
l'esercizio professionale nei confronti del pubblico delle attività di
intermediazione di valori mobiliari e delle attività ad esse connesse.
Anche in questo caso, la volontà del legislatore di riservare tali attività estremamente delicate per l'economia nazionale nel suo complesso, oltre che
per il singolo consumatore - ad organismi di natura societaria, sembra
confermare l'impostazione che individua nello strumento societario non solo
una migliore capacità organizzativa, ma anche una garanzia di trasparenza
gestionale, di maggior copertura delle responsabilità professionali e,
soprattutto, di solidità patrimoniale.
Le principali garanzie di qualità dell'attività svolta sono costituite
dall'istituzione di un apposito albo presso la Consob, che, in raccordo con la
Banca d'Italia, provvede al controllo sull'attività delle singole SIM; dalla
costituzione in forma di società di capitali con capitale minimo di 600 milioni di
lire, suddiviso in azioni con voto non limitato; nella particolare qualificazione
professionale dei soggetti facenti parte degli organi gestionali e di controllo418, e
dall'obbligo di comunicazione alla Consob delle eventuali modifiche degli
organigrammi; dalla previsione di apposite norme gestionali delle SIM, da
rispettare a pena di cancellazione dall'albo; dall'obbligo di avvalersi di soggetti
particolarmente qualificati per l'esercizio delle attività di negoziazione dei titoli
e di offerta dei servizi419; dal divieto di affidamento dell'esecuzione dell'incarico
a terzi, salva comunicazione al cliente; dall'obbligo di mantenere distinti i
patrimoni, affidati in gestione dai clienti, rispetto al patrimonio sociale420.
c) I Centri Autorizzati di Assistenza Fiscale
19. I Centri Autorizzati di Assistenza Fiscale (CAAF) sono stati istituiti
con la legge del 30 dicembre 1991 n. 413. Compiti specifici dei CAAF
concernono l'attività di assistenza e di difesa nei rapporti tributari e contributivi,
rimanendo ferma la possibilità di svolgere tali attività anche da parte degli
iscritti agli albi dei dottori commercialisti o dei ragionieri, o da parte dei
consulenti del lavoro e dei consulenti tributari.
Peculiarità di tali Centri è che possono essere costituiti da una o più
associazioni sindacali di categoria dei lavoratori dipendenti e dei pensionati
418
Possono essere nominati sindaci delle SIM (e delle società controllate e collegate al sensi della legge
287/90) solo professionisti iscritti negli albi dei ragionieri, dei periti commerciali, dottori commercialisti,
avvocati, nonché nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti.
419
L'offerta dei servizi della SIM al di fuori della sede societaria può essere affidata esclusivamente a
promotori di servizi finanziari, che possono operare per conto di una sola SIM, non possono operare porta a
porta, devono essere iscritti in un apposito albo tenuto dalla Consob, sono sottoposti a vigilanza da parte di
apposite commissioni regionali, e sono responsabili in solido con la SIM per gli eventuali danni arrecati a
terzi. La negoziazione dei valori mobiliari può essere effettuata esclusivamente da agenti di cambio, o da
dipendenti della società abilitati a seguito di apposito esame.
420
E' interessate notare come, tra le disposizioni per la prima applicazione della legge in esame, vi è la
previsione che la Consob possa negare l'iscrizione di SIM che possano comportare effetti restrittivi della
concorrenza a causa del numero di agenti di cambio che vi partecipano; vengono altresì vietate le intese tra
agenti di cambio che abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire o di condizionare la costituzione di
SIM o l'accesso al loro capitale da parte di altri soggetti.
212
rappresentate nel CNEL ovvero di imprenditori presenti nel CNEL o
riconosciute di rilevanza nazionale, o da organizzazioni aderenti alle suddette
associazioni.
I CAAF hanno natura privata, e sono costituiti nella forma delle società
di capitali con capitale minimo di 100 milioni. Possono essere nominati sindaci
solo professionisti iscritti negli albi dei dottori commercialisti e dei ragionieri;
alla direzione dei Centri è preposto un direttore tecnico responsabile, iscritto in
uno dei suddetti albi, e con determinate esperienze professionali nel corso della
carriera, che abbia la responsabilità (personale) dell'apposizione del visto di
conformità, ossia della rispondenza delle dichiarazioni alla legge. Vengono
inoltre previste congrue garanzie assicurative a carico dei Centri, così come dei
liberi professionisti che svolgano le attività in questione, per permettere una
tutela dei diritti di rivalsa da parte dell'utente in caso di responsabilità
professionale.
9.6 La posizione degli ordini e le proposte di revisione normativa
20. Un orientamento di ordine generale sull’esercizio della professione in
forma societaria è stato espresso nel corso dell’indagine conoscitiva dal
Comitato Unitario delle Professioni421 (CUP), il quale ha sottolineato che “i
professionisti sono da sempre favorevoli a nuove forme organizzative, anche
societarie e interprofessionali. Se correttamente impostate e rigorosamente
rispettose delle specificità di ciascuna professione, esse appaiono infatti
generalmente compatibili con i principi fondamentali delle professioni
intellettuali”. Tuttavia, “forme associative del tipo di società di capitali, ove
fossero riconosciute legislativamente, oltre a ridurre spesso il professionista a
dipendente, non libero di scegliere la prestazione migliore per il cliente,
potrebbero offrire una copertura a soggetti non idonei alla professione, o
espulsi o sospesi dagli albi o in posizione di incompatibilità verso la
committenza”422.
21. La posizione espressa dal CUP è stata poi ribadita dai rappresentanti
di vari ordini nel corso della presente indagine423.
L’esigenza di sviluppare forme organizzative complesse è apparsa
particolarmente sentita nell’ambito delle professioni tecniche, ossia di quelle
professioni nelle quali, per l’adempimento dell’incarico, l’aspetto tecnicoorganizzativo è prodromico ed essenziale rispetto all’elemento prestazionale
umano, come anche l’esigenza di apporti di capitali.
421
Si tratta di un’associazione volontaria tra la maggior parte dei Consigli nazionali delle professioni
protette, istituita allo scopo di coordinare le azioni di comune interesse.
422
Cfr. Comitato Unitario delle Professioni, Preambolo Comune, 11 maggio 1995.
423
Così geometri e architetti, nonché commercialisti (audizione del 10 maggio 1995), consulenti del lavoro
(audizione dell’8 giugno 1995), medici (audizione del 19 giugno 1995).
213
Per quanto riguarda gli avvocati, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura
Italiana ha sostenuto che “la forma organizzativa societaria corrisponde alle
esigenze dei professionisti intellettuali. Proponiamo al riguardo la costituzione
di società semplici tra avvocati iscritti agli albi con la previsione di norme ad
hoc che impediscano, ad esempio, l’entrata in società di soggetti non
qualificati”.424
22. La questione dell’esercizio in forma societaria delle professioni
intellettuali è stata oggetto di molteplici proposte in sede legislativa che,
tuttavia, non hanno mai trovato approvazione.425 Negli ultimi anni, peraltro,
l’interesse per l’argomento ha condotto alla presentazione di un disegno di
legge del 21 aprile 1994, integralmente riproposto nella XIII legislatura dal
Senatore Palumbo in data 21 maggio 1996, contenente una disciplina organica
della società fra professionisti426, nonché di un disegno di legge del 2 marzo
1995 e due proposte di legge del 18 aprile e 13 settembre 1994 riguardanti la
disciplina delle società di ingegneria.
23. Il disegno di legge del 21 maggio del 1996 si fonda su una generica
distinzione tra professioni umanistiche e professioni tecniche e prevede per le
prime l’introduzione di una “società tra professionisti” (Stp) che comprende
solo professionisti, con l’esclusione di soci esterni, e per le seconde la
possibilità invece di organizzarsi nelle forme di S.r.l., S.a.s, S.a.p.a., e Soc.
Coop. , con la partecipazione in misura minoritaria di soci esterni e con gli
opportuni adattamenti effettuati tramite richiami all’applicazione delle norme
disciplinanti la Stp. Le principali caratteristiche della società tra professionisti
delineata dal disegno di legge sono le seguenti: i soci devono essere iscritti
nell’albo, elenco o registro che li abilitano al compimento delle prestazioni da
eseguire e non possano essere soci della società di professionisti coloro che
svolgono l’attività professionale come dipendenti pubblici o privati (il divieto
non si applica ai docenti universitari e ai ricercatori); la struttura organizzativa
della società è modellata sulla forma delle società di capitali, ma è prevista una
notevole elasticità delle norme statutarie, al fine di adattare ciascuno statuto alle
esigenze della singola professione; il contratto viene concluso tra società e
cliente e ogni socio può svolgere la prestazione, in deroga alla disciplina di cui
all’art. 2232c.c.; le tariffe si applicano anche alle società tra professionisti,
tuttavia l’accordo con il cliente ha valore prevalente per la determinazione del
compenso e se la prestazione è eseguita da più soci si applica il compenso
stabilito per un solo professionista, salvo diverso accordo con il cliente; la
responsabilità civile derivante dall’attività svolta è a carico della società, in
solido con i soci che hanno eseguito la prestazione, salvo diversa disciplina
424
Cfr. audizione dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana del 12 luglio 1996.
La prima proposta fu presentata al Senato l’11 maggio 1973 dal senatore Viviani.
426
Il disegno di legge è stato assegnato alla Commissione Giustizia, ma non è ancora stato discusso.
425
214
statutaria per i rapporti interni, ma la società deve stipulare un contratto di
assicurazione per i danni per la responsabilità civile; infine la società non è
soggetta a fallimento.
24. Le soluzioni previste nei diversi progetti di legge in tema di società di
ingegneria presentano un elemento comune rappresentato dalla possibilità di
creare delle società di capitali che, in quanto tali, permettano un’organizzazione
interna in cui l’aspetto professionale rimane in secondo piano, rispetto alle
necessità di natura tecnologica e organizzativa.
Elementi determinanti sono individuabili nell’apertura ad apporti di
capitali esterni (seppure limitati in rapporto ai conferimenti dei soci
professionisti); nella garanzia di controllo dell’organo gestionale da parte dei
soci professionisti; nella possibilità di servirsi di personale dipendente nello
svolgimento dell’attività professionale, pur rimanendo la responsabilità in capo
al professionista incaricato; nell’assoggettabilità della società al fallimento; e
infine nella possibilità di creare delle società interprofessionali.
9.7 Profili comparatistici
25. In Europa le modalità di esercizio in comune della professione
variano molto da paese a paese e da professione a professione, ma quel che è
certo è che più è rigida e pervasiva la regolamentazione della professione e più
sono limitate le possibilità di tale esercizio. Nei principali paesi europei
esistono da tempo sistemi che prevedono forme organizzative di tipo societario:
in Inghilterra esistono le professional partnership, che presentano analogie con
la nostra società in nome collettivo e in Spagna esiste una figura generale di
società civile che consente la costituzione di società professionali427, fino ad
arrivare alla Germania e alla Francia, dove esistono le discipline più evolute
sulla materia.
427
Al riguardo l’art. 1678 del codigo civil prevede che l’esercizio di una professione o di un’arte rientri
nella forma della societad particular. Secondo la dottrina spagnola può aversi societad professional in senso
proprio quando si persegue lo scopo dell’esercizio professionale in comune mediante l’apporto dell’attività
professionale dei soci. L’ordinamento spagnolo nel campo delle professioni protette conosce una pluralità di
esempi che possono essere ricondotti nell’ambito delle società professionali in senso stretto. Nel campo delle
professioni liberali classiche è esemplificativo il caso dello Estatudo General de la Abogacia Espanola il cui
art. 36 prevede la costituzione di “despachos colectivos” che si ritiene costituiscano una società
professionale in senso stretto in quanto comprendono la collaborazione professionale dei soci e si
distinguono chiaramente da forme di collaborazione meno strutturate. Lo stesso dicasi a proposito
dell’Estatudo General de los procuratores de los Tribunales. Inoltre il codice deontologico medico prevede
la possibilità dell’esercizio in comune mediante la costituzione di una “associacion” alla quale si riconosce
natura societaria. Infine una norma di carattere generale sulle società professionali è rinvenibile in diritto
tributario. L’art. 52.1. B della legge Renta de las personas Fisicas del 1991 stabilisce infatti che sono
sottoposte al regime di trasparenza fiscale le società che svolgono una attività professionale, nel caso in cui
tutti i soci siano professionisti, persone fisiche, che direttamente o indirettamente sono vincolate allo
svolgimento di questa attività.
215
Il sistema tedesco
26. La possibilità di costituire società per l’esercizio di attività
professionali è stata introdotta recentemente in Germania, con una legge del 25
luglio 1994 entrata in vigore il 1° luglio 1995, “creazione delle società di
partenariato”. Il legislatore tedesco ha voluto fornire a coloro che svolgono una
professione intellettuale un’alternativa alle forme societarie già esistenti della
società di persone di diritto civile e della società di capitalisti, in considerazione
del fatto che la prima, essendo priva della capacità giuridica, non sembra
idonea alla creazione di strutture di grandi dimensioni e la seconda può non
rappresentare la struttura ideale per talune professioni in cui è particolarmente
importante il rapporto fiduciario tra il professionista e il cliente. Il partenariato
invece è una struttura su base personale concepita ad hoc per le specifiche
esigenze dei liberi professionisti.
Ne viene prevista l’applicazione sia alle attività professionali in senso
stretto (medici, dentisti, veterinari, avvocati, commercialisti, consulenti
tributari, architetti, ingegneri ecc..) che ad altre attività (giornalisti, fotografi,
interpreti, insegnanti, ecc..). Il partenariato gode della piena capacità giuridica:
può quindi essere titolare di diritti ed obblighi, possedere beni, stare in giudizio.
La citata legge prevede che la ragione sociale debba contenere almeno il
nome di un socio, la menzione ”partenariato”, e l’indicazione delle professioni
rappresentate. I soci, che possono essere solo persone fisiche che esercitano
una professione liberale, provvedono allo svolgimento dell’attività secondo le
regole proprie del settore.
Il partenariato è soggetto a registrazione in un apposito registro. Il
contratto di partenariato regola i rapporti tra i soci, i criteri di ripartizione degli
utili nonché le modalità di funzionamento, in particolare nei rapporti verso
l’esterno. E’ il partenariato che conclude i contratti con i clienti.
Per quanto concerne il regime di responsabilità si prevede che per gli
incarichi conferiti alla società, oltre a quest’ultima siano responsabili in solido
anche i professionisti illimitatamente. E’ possibile tuttavia stabilire
contrattualmente quale o quali dei soci saranno solidalmente responsabili per gli
errori commessi nell’esercizio della professione, con esclusione di tutti gli altri
soci, ma il socio designato dovrà essere colui che ha eseguito la prestazione o
che ne ha assunto la direzione o il controllo. In ogni caso è prevista la
stipulazione di una assicurazione per responsabilità professionale.
Il recesso, la morte e il fallimento pongono fine al rapporto sociale
limitatamente al socio interessato e la partecipazione non è trasmissibile in via
successoria, ma il contratto può prevedere diversamente. Inoltre, per la
cessione della quota salvo diversa disposizione contrattuale, occorre l’accordo
di tutti i soci. Infine, per tutto quanto non disciplinato dalla nuova legge si
rinvia alle disposizioni del codice civile applicabili alle società di persone.
216
Il modello francese
27. La normativa più interessante è quella prevista in Francia, dove la
legge n. 66/879 del 29 novembre 1966 ha introdotto la disciplina delle société
civile professionelle, ovvero di società civili, di persone il cui oggetto sociale è
costituito dall’esercizio in comune della professione dei soci. Poiché tali società
si adattavano a raggruppamenti di piccole dimensione e limitavano i mezzi
finanziari nell’esercizio della professione, in quanto escludevano la possibilità
di ammettere soci estranei alla professione che sottoscrivessero quote di
capitale, con la legge n. 90/1258 del 31 dicembre del 1990 l’esercizio
professionale collettivo è stato reso possibile anche in forma di società di
capitali, ovvero le sociétés d’exercice libéral.
La legge del 1990 non ha abrogato quella del 1966, pertanto è sempre
possibile la costituzione di una société civile professionelle.
28. Sia le sociétés d’exercice libéral che société civile professionelle
hanno personalità giuridica e sono considerate esse stesse membri della
professione; in questa veste pertanto esse sono sottoposte ai poteri degli ordini
professionali durante tutto il corso della loro vita428.
a) disciplina delle société civile professionelle
29. Per quanto concerne la composizione, una société civile
professionelle può costituirsi unicamente tra persone che abbiano i requisiti
richiesti dalla legge e dai regolamenti per esercitare la professione che
costituisce l’oggetto della società ed i nomi di tutti i soci, o di uno o più di essi
seguiti dalle parole “et autres” con le qualificazioni e i titoli professionali,
devono essere menzionati nella ragione sociale. Qualora uno dei soci non sia
più in possesso dei requisiti per esercitare la professione è costretto a lasciare la
società, la quale si scioglie di diritto nel caso in cui più nessuno dei soci abbia i
requisiti richiesti.
In quanto membro della professione è la société civile professionelle ad
avere diritto a riscuotere gli onorari, mentre i soci sono titolari solo del diritto
agli utili.
30. Per quanto riguarda le obbligazioni dei soci la legge francese ha
previsto sostanzialmente tre disposizioni che impongono l’esercizio esclusivo,
l’informazione reciproca e l’uguaglianza nella distribuzione dei voti.
Pertanto, ogni socio può far parte di una sola società e gli è precluso
l’esercizio della professione svolta nell’ambito della società a titolo individuale,
428
Per un quadro completo della disciplina francese si veda P. Lodolini, L’evoluzione del diritto francese in
tema di società di professionisti: dalle sociètès civiles professionelles alle sociétés d’exercice libéral, in
Riv. di Dir. Comm. n. 7-8, 1995, qui sintetizzato.
217
ma non l’esercizio della professione in forma dipendente o l’esercizio di una
libera professione diversa da quella svolta nell’ambito della società.
I decreti applicativi della legge hanno poi articolato la disciplina
dell’informazione interna tra soci, prevedendo l’obbligo a carico di ognuno di
essi di informare gli altri circa l’attività svolta. Tale obbligo rappresenta il
necessario presupposto del principio della responsabilità solidale ed è
vantaggioso anche per la clientela che può avvalersi delle valutazioni anche
degli altri professionisti.
Infine, salvo disposizioni contrarie contenute nei regolamenti o negli
statuti, ciascun socio dispone di un solo voto, a prescindere dal numero di parts
sociales detenute.
31. Per quanto concerne il capitale sociale la legge francese ha previsto
due tipi di conferimenti, l’uno in denaro, che segue le regole di diritto comune,
l’altro in beni. Tali conferimenti danno luogo all’attribuzione di parts sociales,
cioè di quote di capitale liberamente cedibili alle condizioni stabilite dalla
legge. Per quanto concerne i beni, la legge li distingue in beni materiali e
immateriali e prevede che debbano essere integralmente conferiti all’atto della
costituzione. Tra i beni immateriali figura anche “la clientela”, il cui
conferimento avviene sotto forma di presentazione, da parte del professionista
al committente, della société civile professionelle come proprio successore.
La legge ha previsto inoltre un altro tipo di conferimento, che tuttavia
non è incluso nel capitale sociale, gli apports en industrie, che si riferiscono
alla attività del socio (conoscenze tecniche, esperienze professionali
reputazione). Tali conferimenti, a differenza dei precedenti, danno diritto solo
all’attribuzione di parts, non cedibili, che comunque conferiscono la qualità di
socio e consentono di partecipare alla ripartizione degli utili.
32. Al fine di risolvere la problematica relativa alla responsabilità
personale del professionista nell’esercizio della sua attività, il legislatore
francese ha previsto che il socio sia responsabile in solido con la società. In
particolare, ogni professionista è responsabile con tutto il proprio patrimonio
degli atti compiuti, a cui si aggiunge la responsabilità solidale della società, con
la conseguenza che ogni socio sopporta i danni dell’attività degli altri. Tuttavia
deve essere tenuto presente che la legge impone altresì l’obbligo di stipulare
un’assicurazione professionale a carico alternativamente della società o dei
soci.
b) disciplina delle sociétés d’exercice libéral
33. Le sociétés d’exercice libéral sono vere e proprie società a
responsabilità limitata, società per azioni, o società in accomandita per azioni,
aventi ad oggetto l’esercizio in comune della professione, di cui possono essere
soci, seppure in misura minoritaria e con alcune limitazioni, anche persone
218
fisiche o giuridiche che non svolgano l’attività oggetto della società o che la
esercitino all’esterno della società.
Al riguardo la legge prevede che la maggioranza del capitale sociale e
dei voti debba essere detenuta da professionisti che esercitano la professione
all’interno della società. La minoranza del capitale può essere detenuta da
diverse categorie di soggetti, tra cui persone fisiche o giuridiche che esercitino
esternamente la professione oggetto della società oppure una professione
rientrante nello stesso gruppo429. La partecipazione di soci non professionisti, la
cui unica funzione è quella di finanziare la società mediante l’apporto di
capitali, è invece consentita solo nella misura massima di un quarto del capitale
sociale.
Il limite di un quarto è tuttavia superabile, anche se non può mai
oltrepassare la metà del capitale, per le società d’esercizio liberale in
accomandita per azioni, in virtù della diversa struttura delle stesse.
In ogni caso il legislatore ha stabilito una gerarchia tra i soci che
esercitano la professione e i soci finanziatori. I nomi dei primi infatti possono
essere inseriti nella denominazione sociale; ad essi inoltre è demandato
l’esercizio della professione che costituisce l’oggetto della società ed è
riservata la direzione, la responsabilità e il potere di decidere le questioni più
delicate, in particolare quelle relative alle condizioni di esercizio della
professione.
Per quanto infine concerne il regime di responsabilità, ciascuno dei soci
professionisti risponde illimitatamente degli atti della professione da lui
compiuti, con tutto il suo patrimonio, ma è chiamata a rispondere in solido
anche la società. La responsabilità per gli atti altrui, come anche quella per i
debiti derivanti dalla gestione della società, è invece limitata ai conferimenti
effettuati.
9.8 Conclusioni
34. L’abrogazione dell’articolo 2 della legge 23 novembre 1939 n. 1815
ha aperto finalmente la strada ad una riforma che i professionisti auspicavano
da tempo e verso la quale la stessa giurisprudenza si era recentemente orientata.
35. Come già da tempo sottolineava la dottrina430, l’organizzazione in
forma societaria dell’attività comporta una serie di innegabili vantaggi sia per il
consumatore che per il professionista. Dal lato dell’offerta, oltre alla
indiscutibile riduzione dei costi, l’organizzazione di gruppo permette di
migliorare i risultati economici conseguibili individualmente, in quanto consente
429
Si precisa tuttavia che il legislatore ha precluso la possibilità di avvalersi di capitali esterni per l’esercizio
in forma societaria delle professioni giuridiche.
430
Cfr tra gli altri P. Rescigno, Le società fra professionisti, Milano, 1985; G. Schiano di Pepe Le società di
professionisti, Milano, 1977.
219
di fornire alla clientela una più vasta gamma di servizi specializzati e di
eseguire l’incarico con una prontezza superiore rispetto al professionista
isolato. Inoltre, la società è in grado di fornire una più solida garanzia
patrimoniale al consumatore quando è chiamata in solido a rispondere con il
socio nel caso di errori nell’esercizio della professione.
36. Corrispondentemente, dal lato della domanda, risulta indiscutibile, tra
gli altri, il vantaggio per il consumatore derivante dalla possibilità, rivolgendosi
ad un unico committente, di avere a propria disposizione una gamma di servizi
in diversi settori, circostanza che determina una riduzione dei costi di
transazione necessari per l’acquisto di più servizi da diversi professionisti.
37. L’adozione di una disciplina organica, a partire dalle scelte che si
possono effettuare in sede di emanazione del decreto ministeriale, rappresenta
altresì l’occasione per adeguarsi all’evoluzione del mercato comunitario,
consentendo ai professionisti di poter meglio fronteggiare la concorrenza
internazionale indotta dalla progressiva eliminazione delle restrizioni alla libertà
di stabilimento e di prestazione dei servizi dei cittadini di uno stato membro nel
territorio di un altro Stato membro, in attuazione degli art. 52 e 59 del trattato
di Roma.
Si pensi ad esempio all’art. 26 della Direttiva CEE n. 92/50 in tema di
aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi431, che consente la
partecipazione alle gare di società tra professionisti, appartenenti ad altri paesi
comunitari, anche nel caso in cui la costituzione sia vietata nel Paese in cui
dovrà concludersi il contratto di appalto. Questa norma comporta che in casi di
appalti di servizi da parte di una pubblica amministrazione non possono essere
escluse società di professionisti appartenenti ad altri paesi comunitari, per
fronteggiare la concorrenza delle quali risulta quanto mai opportuno consentire
nelle forme più ampie la costituzione di società tra professionisti italiani432.
38. Per quanto concerne le perplessità e gli ostacoli tradizionalmente
avanzati in materia di compatibilità dell’attività professionale con
l’organizzazione in forma societaria, deve essere innanzitutto osservato che essi
appaiono essere stati sostanzialmente superati attraverso l’individuazione di
specifiche soluzioni nell’ambito dei regimi speciali istituiti dalla legge. Peraltro,
le legislazioni introdotte da altri paesi europei delineano diverse modalità con
cui la forma societaria può essere adottata e costituiscono pertanto un
imprescindibile punto di riferimento in questa fase di riforma, al fine di
prevedere un ventaglio di forme organizzative idoneo a rispondere alle esigenze
di diverse figure professionali, seppure nel rispetto delle peculiarità delle
attività dalle stesse esercitate. In particolare, una organica riforma della materia
431
432
In G.U.C.E. n. 209, del 24 luglio 1992.
Così P. Silvestro, Ancora sulle società di progettazione, in Riv. Dir. Comm. n. 7-8, 1995.
220
non può non tener conto dei modelli organizzativi largamente sperimentati in
altri Paesi, nei quali l’esigenza di fornire servizi avanzati anche sotto il profilo
dell’apporto di tecnologia, ha aperto la strada alla formazione di strutture
societarie di dimensione e patrimoni ragguardevoli.
39. Al riguardo alcune delle questioni che il regolamento attuativo si
troverà ad affrontare attengono alla composizione delle società e alle forme che
le società di professionisti potranno assumere. Sotto il primo profilo, al fine di
creare strutture in grado di offrire un ampia gamma di servizi professionali, le
future società dovrebbero poter essere costituite non solo tra professionisti
appartenenti a categorie diverse di professioni protette (le c.d. società
interprofessionali), ma anche tra professionisti protetti e non protetti (anche
provenienti dall’estero), i quali dovrebbero poter svolgere le attività per le quali
non è necessaria l’iscrizione all’albo.
Sotto il secondo profilo, non sembra giustificato precludere alle
professioni non tecniche l’esercizio della professione nella forma delle società
di capitali, più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni, sulla
base della considerazione che tali formule societarie mal si adatterebbero ai
caratteri delle professioni intellettuali. Tali specificità impongono semmai,
come ha fatto il legislatore francese, di prevedere alcune regole ad hoc in
materia di gestione della società, presenza di soci finanziatori, nonchè del
regime di responsabilità. Quest’ultimo profilo, come abbiamo visto, ha trovato
nella legge francese un particolare adattamento alle caratteristiche delle
professioni intellettuali, mantenendo la responsabilità in capo al professionista
che ha eseguito la prestazione, così come avviene nell’esercizio individuale
della professione, rendendola illimitata per gli atti professionali propri e limitata
al conferimento effettuato per gli atti altrui di esercizio della professione; e
prevedendo altresì una responsabilità in solido della società con il
professionista che consente un ampliamento delle possibilità di rivalsa per il
consumatore, garantite altresì dall’obbligo di una copertura assicurativa.
Deve osservarsi inoltre che lo schema normativo delle società di capitali
ha la necessaria elasticità per poter ricomprendere anche fattispecie particolari,
come quella dell’esercizio della professione intellettuale. E tali soluzioni non
sono sconosciute al nostro legislatore che le ha già sperimentate con riguardo
alle società di revisione, la cui costituzione è stata subordinata alla presenza di
soci con determinati requisiti. In ogni caso, quindi, gli adattamenti che si
renderebbero necessari non sarebbero così radicali da escludere l’ammissibilità
di una società di capitali tra professionisti.
221
PARTE SECONDA
LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI
ASPETTI SETTORIALI
50
CAPITOLO
TERZO
:
LA
REGOLAMENTAZIONE
DELLE
PROFESSIONI GIURIDICHE
1. In ciò che segue si analizzano le attività notarile e forense, secondo le
linee generali indicate nel capitolo precedente. In particolare, vengono
sinteticamente illustrate le condizioni di offerta e domanda dei servizi notarili e
dei servizi erogati dagli avvocati, mettendo in luce come l’attività svolta da
questi soggetti in favore dei clienti produca apprezzabili effetti esterni. In
secondo luogo, vengono esaminate le principali forme di regolamentazione
dell’attività notarile e di quella forense, e in particolare le norme riguardanti i
requisiti e la selezione per l’accesso all’attività, gli standard delle prestazioni, le
tariffe, nonchè alcune norme di auto-regolamentazione contenute nei codici
deontologici.
Infine, si confronta l’assetto regolamentativo di queste attività in Italia
con quello riscontrabile in altri Paesi.
3.1 I notai
principali riferimenti normativi
Legge 16 febbraio 1913, n. 89, recante “Ordinamento del notariato e
degli archivi notarili”; r.d. 10 settembre 1914 n. 1326, recante “Regolamento
per l’esecuzione della legge 16 febbraio 1913 n. 89, riguardante l’ordinamento
del notariato e degli archivi notarili”; legge 6 agosto 1926 n. 1365, recante
“Norme per il conferimento dei posti notarili”; r.d. 4 novembre 1926 n. 1953,
recante “Disposizioni sul conferimento dei posti di notaio”; legge 22 gennaio
1934 n. 64, recante “Norme complementari sull’ordinamento del notariato”;
r.d.l. 14 luglio 1937 n. 1666, recante “Modificazioni all’ordinamento del
notariato e degli archivi notarili”; legge 5 marzo 1973, n. 41, recante “Norme
per la determinazione degli onorari, dei diritti accessori, delle indennità e dei
criteri per il rimborso delle spese spettanti ai notai”; legge 18 maggio 1973 n.
239, recante “Nuove disposizioni in materia di assegnazione di posti nei
concorsi notarili”; legge 12 giugno 1973, n. 349, recante “Modificazioni alle
norme sui protesti delle cambiali e degli assegni bancari”; d.p.r. 3 giugno 1975,
n. 290, recante “Regolamento di attuazione delle legge 12 giugno 1973, n. 349,
concernente modificazioni alle norme sui protesti cambiari; d.m. 5 giugno 1987
n. 230, recante “Determinazione della tariffa degli onorari, dei diritti, delle
indennità e dei compensi spettanti ai notai”; legge 27 giugno 1991 n. 220,
recante “Modificazioni all’ordinamento della Cassa Nazionale del Notariato e
all’ordinamento del consiglio nazionale del notariato”; codice deontologico 24
febbraio 1994.
3.1.1 le attività notarili
i) tipologia e caratteristiche
51
2. La particolarità della figura del notaio deriva dal fatto che la funzione
tipica notarile ha natura pubblica, pur essendo il notaio un prestatore d’opera
intellettuale che esplica la sua attività professionale come consulente delle parti.
Il notaio è infatti un pubblico ufficiale competente a produrre
documenti forniti di un particolare valore giuridico e a curarne la
conservazione, nonchè talvolta la registrazione nei pubblici registri49,50. Tuttavia
egli affianca alla funzione di pubblico ufficiale certificatore, che documenta e
attesta la corrispondenza del contenuto dell’atto a quanto dichiarato in sua
presenza, un’attività di natura professionale che consiste nell’interpretare la
volontà delle parti51 e “adeguarla” al diritto52, nonchè nello svolgere nelle fasi
che precedono o seguono la stipulazione degli atti una serie di pratiche ad essi
connesse53.
All’aumentare della complessità e specificità dell’atto, tale attività di
interpretazione/adeguamento/consulenza alle parti potrà assumere un peso
crescente rispetto all’attività di certificazione.
3. Corrispondentemente, dal lato della domanda, le parti si rivolgono al
notaio per ottenere un servizio che si traduce nella produzione di un atto
conforme alla legge e alle loro volontà, con carattere di autenticità e certezza, e
che quindi consente di prevenire possibili future contestazioni. In alcune
circostanze, ciò implica che venga indirizzata al notaio una domanda di
semplice certificazione; in altre, invece, che venga richiesta un prestazione più
ampia, di complessità variabile, in rapporto a quella della ricerca della norma
giuridica la cui applicazione consente alle parti di conseguire nel modo migliore
l’interesse pratico che le ha motivate all’atto.
4. Per le prestazioni maggiormente complesse, pertanto, è difficile
ritenere che il cliente sia pienamente in grado di accertare la qualità del servizio
49Ai
sensi dell’art. 1 della legge notarile 16 febbraio 1913 n. 89, (di seguito L.N.) “i notari sono pubblici
ufficiali istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il
deposito, rilasciarne copie, i certificati o gli estratti”. Ai sensi degli articoli 2699 e 2700 c.c., il documento
redatto da un notaio secondo le richieste formalità assume la veste di atto pubblico facente piena prova, fino
a querela di falso, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il notaio attesta essere avvenuti in sua
presenza o da lui compiuti.
50 Altri pubblici ufficiali - che possono essere, a seconda dei casi, il cancelliere, il segretario comunale, il
funzionario che riceve la documentazione - redigono atti pubblici. Tuttavia questi soggetti hanno
competenza eccezionale e limitata all'ambito dell'autorizzazione ricevuta, mentre il notaio ha una
competenza generale.
51 Ai sensi dell’art 47, terzo comma, L.N., “Spetta al notaro soltanto d’indagare la volontà delle parti e
dirigere personalmente la compilazione integrale dell’atto”.
52 “Il notaio deve essere un giurista, non solo perchè deve esaminare una fattispecie concreta riconducendola
ad una fattispecie astratta, in modo da rappresentare nell’atto la vera natura del negozio che la parte intende
compiere,... (ma anche perchè), esaminando la fattispecie concreta in relazione all’atto da compiere, deve
valutare se l’atto redigendo è o potrebbe essere nullo e deve fare in modo che l’atto non sia neppure
annullabile, in modo da non danneggiare le parti da cui ha avuto l’incarico nè i terzi che potrebbero subire
danni..” Cfr E. Protettì, C. Di Zenzo, La Legge Notarile, Milano 1987.
53 Ad esempio, nei casi di atti pubblici di trasferimento immobiliare, il notaio procede previamente alle
cosiddette visure, per individuare esattamente il bene e accertare se esistano iscrizione o trascrizioni
pregiudiziali.
52
che potrà ricevere. Al tempo stesso, poichè prestazioni di qualità inadeguata
possono comportare la nullità o annullabilità degli atti, non vi è dubbio che esse
siano suscettibili di produrre danni anche ingenti alle parti coinvolte. In altri
termini, per alcune prestazioni notarili sussistono condizioni di significativa
asimmetria tra cliente e professionista che rendono possibile l’erogazione di
servizi qualitativamente insoddisfacenti con effetti anche molto negativi sul
benessere del cliente.
In tutti i casi, comunque, le prestazioni rese dal notaio ai propri clienti
possono avere effetti esterni per l’intera collettività: il controllo della
conformità degli atti all’ordinamento corrisponde ad un’attività di giustizia
preventiva che consente di limitare il contenzioso; l’attribuzione di pubblica
fede agli atti conferisce certezza all’attività giuridica della collettività; la
registrazione dei documenti e quindi la loro pubblica consultabilità e
conoscibilità consente l’ordinato svolgimento delle contrattazioni private e
riduce anch’essa il contenzioso.
5. L’ordinamento individua i casi che richiedono l’intervento del notaio,
prescrivendo l’obbligatorietà dell’atto pubblico. Esemplificando, devono essere
atti pubblici redatti da notaio quelli costitutivi di associazioni e fondazioni, di
società per azioni e a responsabilità limitata, le convenzioni matrimoniali, le
donazioni, il testamento pubblico. Possono essere fatti per atto di notaio svariati
altri negozi, tra i quali, ad esempio, per la frequenza con cui ricorrono, i
contratti costitutivi o traslativi di diritti reali immobiliari. Inoltre, il notaio
interviene anche con riferimento ai documenti redatti dalle parti la cui
sottoscrizione egli attesta essere avvenuta alla sua presenza: in tal caso attesta
che le firme sono autentiche.
Oltre ai suddetti compiti istituzionalmente spettanti al notaio, la legge
notarile attribuisce poi allo stesso alcune facoltà, che comportano attività
ulteriori. Queste sono, ad esempio, la presentazione di ricorsi di volontaria
giurisdizione, la formazione di inventari, il ricevimento di atti di notorietà.
Al notaio sono state poi attribuite nel corso del tempo da specifiche
norme un numero crescente di attività, e cioè, esemplificando, la
verbalizzazione delle assemblee straordinarie di società di capitali, le offerte
reali, la levata di protesti54.
ii) l’articolazione della domanda
6. Relativamente alla domanda di servizi notarili, la tabella che segue,
predisposta sulla base di dati Istat, a loro volta di fonte archivi notarili, ne mette
in luce l’evoluzione nel corso del periodo 1981-94, nonchè l’articolazione sotto
il profilo tipologico.
54
Al riguardo, va rilevato che, in alcuni casi, come per la levata dei protesti, la competenza è stata estesa ad
altri soggetti e cioè agli ufficiali giudiziari dalla legge n. 349/1973.
53
Emerge che nell’arco del periodo considerato il numero di atti notarili ha
registrato un incremento di circa il 17%. In particolare, tra i tipi di atti
distintamente indicati nella tabella, quelli relativi a società appaiono aver subito
un aumento particolarmente marcato, benchè essi comunque corrispondano ad
una quota abbastanza esigua del numero totale di atti (3% circa). E’
interessante notare poi che in più del 50% dei casi il ricorso al notaio è
motivato dalla vendita di un autoveicolo.
Tabella 1 - Domanda di servizi notarili per tipologia - anni 1981-94
Anni
Vendite
immobili
Mutui
Vendite
autoveicoli
Società
Altro
Totale
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
991725
954669
996158
989476
885713
940802
923162
1035938
936963
1130539
1077840
967934
961854
996653
180692
142097
181207
241511
251072
303873
437633
484042
427436
459948
450116
413917
404067
352480
5480863
5368750
5475257
5872038
5741399
5821808
6092420
6528266
6204568
6581974
6404424
6277745
6218343
5016201
150790
138791
145427
215633
232499
266798
302590
340054
307259
381945
369267
332636
311106
404345
2789842
3200621
3213040
3233974
3104066
3120167
3113539
3342028
2792487
3727346
4025504
3450018
3329919
4129576
9593912
9804928
10011089
10552632
10214749
10453448
10869344
11730328
10668713
12281752
12327151
11442250
11217289
10899255
Fonte: Istat, annuario statistico, anni vari.
7. Relativamente alla distribuzione geografica della domanda, la tabella
seguente, predisposta sulla base di dati riferiti ai 26 distretti di Corte d’Appello,
(che corrispondono all’articolazione dei consigli notarili), mette in luce che nei
primi sei di questi si concentra oltre il 60% delle prestazioni (si veda anche la
tabella a1 in appendice per una maggiore disaggregazione dei dati).
54
Tabella 2 - Distribuzione della domanda di servizi notarili per distretto di Corte
d’Appello - 1993
Corti d'Appello
Società
Vendite
immobili
Vendite
autoveicoli
Mutui
Altro
Totale
Milano
Torino
Roma
Bologna
Venezia
Firenze
Tot.maggiori
corti
Residue 20 corti
17,5
12,7
9,6
9,8
9,9
7,1
66,6
12,4
10,6
8,7
7,3
8,4
6,0
53,4
16,9
10,0
10,0
8,5
8,5
8,1
62,0
16,4
12,6
12,6
7,2
7,5
6,0
62,3
13,8
11,3
11,9
8,7
7
7,3
60
15,6
10,6
10,5
8,4
8
7,6
60,7
33,4
100,0
(311106)
46,7
100,0
(961854)
38,0
100,0
(6218343)
37,7
100,0
(404067)
TOTALE
40,0
39,3
100,0
100,0
(3329919) (11217289)
Fonte: Istat, annuario statistico, 1994.
8. Al complesso di tali informazioni giova infine coniugare quelle
desumibili da una recente analisi campionaria55 che consente di individuare
ulteriori caratteristiche della domanda di servizi notarili. Risulta innanzitutto
che al momento dell’indagine il 60% circa della popolazione italiana aveva
fatto ricorso al notaio e che in oltre la metà dei casi ciò era avvenuto più di una
volta negli ultimi cinque anni. Tra le diverse categorie di clientela, gli
imprenditori, i professionisti e i lavoratori in proprio appaiono ricorrere al
notaio con una frequenza maggiore a quella media della popolazione, e in un
numero non trascurabile di casi risultano rivolgersi normalmente a più notai.
L’indagine fornisce inoltre un’illustrazione per certi versi più disaggregata,
rispetto a quella desumibile dalle rilevazioni nazionali, dei motivi del ricorso al
notaio (Cfr. tabella 3). Emerge che gli atti di compravendita ne costituiscono la
ragione più frequente, seguiti dagli atti societari per gli imprenditori e dalle
successioni per la popolazione nel suo complesso. Significativo appare il fatto
che solo nel 6,3% dei casi i clienti si rivolgano al notaio per chiedere una mera
consulenza e che anche nel caso di imprenditori, liberi professionisti e
lavoratori autonomi, tale fenomeno, seppur leggermente più diffuso, assuma
una portata numericamente residuale.
55
Federnotai “L’attività notarile fra logica istituzionale e logica della domanda”, Quaderni di Federnotizie
n.9/1996, Milano.
55
Tabella 3 - Domanda di servizi notarili per tipologia e categoria di clientela (%)
Servizi notarili
imprend., profes., lav. autonomi
tot. popolazione
Compravendita
Atti societari
Mutui
Successioni
Donazioni
Convenzioni matrim.
Certificazioni
Consulenza
Altro
74,5
47,2
19,8
19,8
4,7
9,4
21,7
12,3
--
66,0
17,3
15,9
21,6
7,4
6,8
11,2
6,3
0,8
Fonte: Federnotai, op. cit., il totale non è uguale a 100 perchè erano possibili più risposte.
iii) la struttura dell’offerta
9. Dal lato dell’offerta, occorre rilevare che il numero di sedi notarili per
ciascun distretto di Corte d’Appello viene predefinito da un’apposita tabella,
determinata mediante decreto del Capo dello Stato, tenendo conto della
popolazione, della quantità degli affari, della estensione del territorio e dei
mezzi di comunicazione e procurando che, di regola, ad ogni posto notarile
corrispondano una popolazione di almeno 8000 abitanti e un determinato
reddito annuo minimo56. La tabella viene predisposta sentiti i consigli notarili e
le Corti d'Appello, e viene rivista di regola ogni dieci anni, sentiti i consigli
notarili.
10. L’evoluzione del numero delle sedi e la loro ripartizione tra i
principali distretti di Corte d’Appello, secondo quanto emerge dalle tre ultime
tabelle emanate, riferentesi agli anni 1976, 1986 e 1997 è illustrata dalla tabella
4 che riporta anche il numero di notai in esercizio al 31 maggio 1996 (si veda
anche tabella a2 in appendice per una maggiore disaggregazione dei dati).
La tabella mette in luce che nei 6 principali distretti di Corte d’Appello si
concentrano il 50% circa del numero complessivo di sedi esistenti sul territorio
nazionale, così come dei notai in esercizio.
Relativamente poi all’evoluzione del numero delle sedi nel tempo, risulta
che nel decennio 1976-1986 si è verificato un aumento del 5% circa, mentre nel
successivo decennio del 2,5% circa. Al riguardo, è utile comparare tali
incrementi con quelli verificatisi dal lato della domanda nei soli quinquenni
1981-86 e 1987-92, che ammontano rispettivamente al 9% e al 5% circa. Si
tratta di aumenti di entità quasi doppia rispetto a quelli registrati del numero
delle sedi nell’arco di periodi molto più ampi.
56
Cfr. al riguardo, l’art. 4 L.N.
56
Tabella 4 - Numero di notai e di sedi notarili per principali distretti di Corte
d’Appello
Corti d'Appello
sedi nel 1997
notai nel 1996
sedi nel 1986
sedi nel 1976
Milano
Torino
Roma
Bologna
Venezia
Firenze
Tot. maggiori corti
Residue 20 corti
Totale
617
498
571
437
364
360
2847 (53%)
2465
5312
551
350
535
393
316
325
2470 (53%)
2148
4618
573
519
563
414
338
343
2750(53%)
2434
5184
510
506
542
392
313
325
2588(53%)
2344
4932
Fonti: d.p.r. 14 gennaio 1976, n. 5, d.p.r. 4 agosto 1986, n. 651, il decreto del 1997 è in attesa di
registrazione; Annuario del Notariato Italiano, 1996.
Sul punto, giova precisare che la norma relativa alla predeterminazione
del numero delle sedi prevede che nessuna nuova sede può comunque essere
creata a meno che ad essa non corrisponda un bacino di almeno 8000 abitanti.
Si tratta pertanto della definizione di un numero massimo di sedi, che può
anche non coincidere con quello necessario ad assicurare una piena
corrispondenza tra offerta di servizi notarili ed evoluzione della domanda.
11. La tabella mette inoltre in evidenza che il numero delle sedi risulta
ovunque superiore a quello dei notai effettivamente in esercizio, poichè, come
risulterà chiaro in seguito, il numero di posti di notaio di volta in volta messi a
concorso è inferiore a quello delle sedi vacanti e inoltre il numero di notai che
risultano idonei al concorso è a sua volta di norma inferiore a quello dei posti
messi a concorso.
Ad ottobre 1997 i notai in esercizio erano 4579.
3.1.2 modalità di accesso all’attività notarile
12. Per accedere al notariato sono richiesti i seguenti requisiti:
cittadinanza italiana, laurea in giurisprudenza, pratica biennale presso lo studio
e sotto il controllo di un notaio che ne attesta, periodicamente, lo svolgimento,
superamento di un concorso57. Esiste inoltre un limite massimo di età per
l’ammissione al concorso, che fino al '95 era di 50 anni (alla data del relativo
bando), e che recentemente è stato ridotto a 40 anni58. Una volta superato il
57
Cfr. art. 5 L.N. e art. 1 della legge 6 agosto 1926 n. 1365. Inoltre, relativamente al concorso, giova
aggiungere che la legge 26 luglio 1995 n. 328, recante “Introduzione della prova di preselezione informatica
nel concorso notarile”, ha introdotto, come condizione per l’ammissione allo stesso, il superamento di una
prova di preselezione informatica dei candidati con assegnazione agli stessi di domande con risposte
multiple prefissate.
58 Cfr. art. 1, comma 2, della legge n. 328/1995. Al riguardo va ricordato che, ai sensi del comma 9 di tale
articolo, “per un periodo di 10 anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, resta in vigore, per
57
concorso, l'iscrizione del notaio nel ruolo dei notai esercenti è subordinata al
versamento di una cauzione e all'apertura dell'ufficio nel luogo assegnatogli59.
13. I concorsi ai quali partecipano gli aspiranti notai si riferiscono alle
sedi libere con riguardo alle quali non abbiano chiesto e ottenuto il
trasferimento notai già in esercizio. Il numero di posti messo a concorso, che è
determinato dal Ministro di Grazia e Giustizia tenuto conto del limite stabilito
dalla sopra menzionata tabella, può comunque essere inferiore a quello delle
sedi vacanti60. Tuttavia, a conclusione del concorso, il Ministro, con il decreto
di approvazione della graduatoria, ha facoltà, sentito il consiglio nazionale del
notariato, di aumentare fino alla misura massima del 12% il numero dei posti
messi a concorso, sempre nei limiti dei posti disponibili in seguito a concorsi
per trasferimento andati deserti, esistenti al momento della formazione della
graduatoria61.
14. La commissione esaminatrice, da nominarsi con decreto del Ministro
di Grazia e Giustizia, è composta: da un magistrato almeno consigliere di
Cassazione o equiparato che la presiede, da un consigliere di Corte d'Appello o
equiparato, da un professore in materie giuridiche e da due notai anche se
cessati dall'esercizio notarile62.
15. Quanto alla percentuale degli abilitati all'esercizio delle funzioni
notarili, si riportano di seguito i dati concernenti i risultati dei concorsi
realizzati negli ultimi anni:
gli iscritti nel registro dei praticanti anteriormente alla medesima data di entrata in vigore, il limite di età
di 50 anni per l’ammissione al concorso per la nomina a notaio”.
59 Cfr. rispettivamente artt. 18 e 24 L. N.
60 Cfr. al riguardo l’art. 4 della legge 22 gennaio 1934 n. 64, recante “Norme complementari
sull’ordinamento del notariato”, secondo il quale, per l’appunto, “Il Ministro di Grazia e Giustizia (...)
determina il numero dei posti da conferirsi che potrà essere anche minore a quello dei posti già vacanti o
che saranno per rendersi vacanti nel periodo di tempo occorrente per l’espletamento del concorso”.
61 Cfr. art. 1 della legge 18 maggio 1973 n. 239 recante “Nuove disposizioni in materia di assegnazione di
posti nei concorsi notarili”.
62 Oltre ai titolari, nello stesso numero e composizione, fanno parte della commissione alcuni membri
supplenti. Cfr. al riguardo artt. 13 e 14 r.d. 14 novembre 1926 n. 1953, recante “Disposizioni sul
conferimento dei posti di notaio”.
58
Tabella 5 - Esiti degli ultimi concorsi notarili
Concorso
Posti
Domande
Partecipanti
prove scritte
Ammessi
prove orali
Idonei
% Idonei/
Partecipanti
prove scritte
DM 19/9/85
DM 3/9/86
DM 26/11/87
DM 31/5/89
DM 31/1/91
DM 7/5/93
DM 28/3/96
90
150
150
150
220
220
260
3454
3842
4140
4091
4168
n.d.
5768
2231
2215
2296
2511
2993
3200
3605
84
140
141
110
223
n.d.
n.d.
83
140
141
108
197
314
n.d.
3,7
6,3
6,1
4,3
6,5
9,8
Fonte: consiglio nazionale del notariato.
16. Si noti che il numero degli idonei è notevolemente inferiore a quello
dei partecipanti agli esami, rispetto al quale rappresenta una percentuale mai
superiore al 10%. Si tratta, come risulterà chiaro in seguito confrontando la
tabella 5 con quelle dello stesso tipo riguardanti altre professioni e riportate nei
successivi capitoli, di una selezione la cui stringenza non è riscontrabile in
nessun altro settore. Risulta in ogni caso anomalo il dato relativo all’ultimo
concorso conclusosi, a seguito del quale il numero dei candidati dichiarati
idonei è risultato apprezzabilmente superiore a quello dei posti originariamente
messi a concorso. I 94 candidati idonei in esubero rispetto ai posti sono stati
poi nominati notai in applicazione di una disposizione ad hoc63.
3.1.3 gli standard qualitativi delle prestazioni notarili
17. Riprendendo quanto considerato nel secondo capitolo, (sez. 2.2.2),
circa la possibilità di regolamentare la qualità dei servizi professionali sia
attraverso la specificazione delle caratteristiche tecniche del “supporto
materiale” nel quale si concretizza il servizio, che dei comportamenti
nell’erogazione dello stesso, si osserva che all’attività notarile si applicano
entrambi i tipi di intervento.
In particolare, con riferimento alla regolamentazione dei comportamenti
occorre innanzitutto osservare che il notaio è obbligato, per legge, a prestare il
suo ministero ogni volta che ne è richiesto e a dirigere personalmente la
compilazione integrale dell’atto64, nonchè ad assistere personalmente allo studio
in tempi determinati, a tenere gli atti ricevuti o presso di lui depositati e i
63 Cfr.
art 2 della citata legge n. 328/1995, il quale stabilisce che “nei limiti dei posti disponibili in seguito a
concorsi per trasferimento andati deserti, sono nominati notai i candidati dichiarati idonei nel concorso per
esame indetto con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia del 7 maggio 1993, (...) purchè alla data di
entrata in vigore della presente legge siano ancora in possesso dei requisiti richiesti per partecipare ai
concorsi per la nomina a notaio”.
64 Cfr. rispettivamente artt. 27 e 47 L.N.: per l’inosservanza di tali disposizioni, la legge prevede la nullità
dell’atto rogato (art. 58, n.4, L.N.) e la sanzione disciplinare della sospensione da 6 mesi a 1 anno (art. 138,
comma 2, L.N.).
59
relativi registri e repertori65 e a presentare questi ultimi, biennalmente, al
consiglio Notarile per l’ispezione66.
18. Esiste poi una regolamentazione minuziosa dei requisiti formali
dell’atto pubblico, nonchè una disciplina, seppure più scarna,
dell’autenticazione delle scritture private. Con particolare riguardo all’atto
pubblico, l’ordinamento stabilisce numerosi e rigorosi requisiti - necessari
perchè l’atto possa rispondere alla propria funzione - tra i quali i principali sono
quelli concernenti l’identità delle parti, la presenza dei testimoni ove richiesta,
l’individuazione dell’oggetto, la data e la sottoscrizione, la menzione della
lettura e della redazione dell’atto da parte del notaio67. Qualora il notaio non
rispetti tali regole è stabilita, a seconda dei casi, la nullità dell’atto e/o una
sanzione disciplinare68.
3.1.4 le tariffe
19. La legge notarile stabilisce che il notaio ha diritto per ogni
operazione eseguita nell’esercizio della sua professione ad essere retribuito
dalle parti mediante onorario, (oltre al rimborso delle spese e ai diritti
accessori), e che i compensi spettanti ai notai sono determinati dalla tariffa69.
Originariamente la tariffa costituiva un allegato dell’ordinamento notarile e le
modificazioni ad essa apportate furono inizialmente introdotte con
provvedimento legislativo. Successivamente è stato attribuito dalla legge agli
organi professionali il potere di determinare la tariffa, prevedendo che la stessa
venga stabilita con deliberazione del consiglio nazionale del notariato e poi
approvata con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia70. Il decreto
ministeriale 6 giugno 1987, n. 230 costituisce il regolamento recante
l'approvazione dell'ultima delibera del consiglio nazionale del notariato al
riguardo.
20. E’ innanzitutto interessante osservare che la tariffa non si riferisce
alle prestazioni professionali che esulano dallo svolgimento della funzione
pubblica, cioè che non sono connesse alla redazione di un atto, (quali ad
esempio consulenze fiscali, commerciali o amministrative). Per tali prestazioni,
il sopracitato decreto ministeriale prevede che il compenso sia fissato a norma
65
Cfr. art. 26 L.N.: per l’inosservanza di queste norme, la legge prevede la sanzione disciplinare
dell’ammenda (art. 137 L.N.).
66 Cfr. art. 128, comma 1, L.N.: nell’ipotesi in cui contravvenga a tali doveri, il notaio è punito con la
sanzione disciplinare della sospensione, che dura finchè vi abbia ottemperato (art. 128, comma 2, L.N.).
67 Cfr. art. 51 L.N.
68 Cfr. art. 58 e 137 L.N.
69 Cfr. art 74 L.N.
70 Cfr. articolo unico della legge 5 marzo 1973, n. 41, recante “Norme per la determinazione degli onorari,
dei diritti accessori, delle indennità e dei criteri per il rimborso delle spese spettanti ai notai”.
60
dell’art. 2233 cod. civ.71, stabilendo tuttavia al riguardo che ciascun consiglio
notarile distrettuale “potrà determinare criteri di massima (...) anche con
riferimento ad altre tariffe professionali che regolano casi simili o materie
analoghe72.
21. Gli onorari spettanti al notaio per gli atti da lui ricevuti o autenticati
sono fissi nel caso di atti di valore indeterminabile e graduali quando invece il
valore possa essere determinato. In particolare, gli onorari graduali sono
determinati in modo che la loro incidenza decresce marcatamente al crescere
del valore dell’atto73.
22. In base all'art. 147 L.N., il notaio che, con riduzione degli onorari e
dei diritti accessori, faccia ai colleghi “illecita concorrenza”, è punito con la
censura o con la sospensione fino ad un anno, e nei casi più gravi con la
destituzione. Anche secondo l'art. 3 del codice deontologico, costituisce
fattispecie di illecita concorrenza la riduzione, non occasionale o persistente,
del compenso complessivamente dovuto.
In base all’art. 80 L.N. poi, salvo il caso di errore scusabile, il notaio che
ha riscosso per gli onorari una somma maggiore di quella dovutagli, incorre in
una ammenda uguale alla somma riscossa in più, salvo sempre il diritto per la
parte di chiedere la restituzione dell’indebito pagato.
3.1.5 forme di (auto)regolamentazione
23. Le forme di autoregolamentazione che vengono di seguito indicate,
differentemente da altre professioni, trovano generalmente il loro fondamento
espressamente nella legge.
La legge 27 giugno 1991 n. 220 ha attribuito al consiglio nazionale del
notariato il compito di elaborare “principi di deontologia professionale”. Su
questa base, è stato approvato il codice deontologico con delibera del 24
febbraio 1994. Al riguardo, il consiglio sottolinea che, attraverso tale
strumento, la categoria ha provveduto a formulare delle regole “poste non solo
a tutela del prestigio sociale della categoria e dello status dei suoi
appartenenti, ma anche a garanzia della qualità e correttezza del servizio che
il notariato svolge per la collettività”74. Di seguito vengono esaminati alcuni
71
L’art. 2233 del codice civile recita “Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere
determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione
professionale a cui il professionista appartiene”.
72Cfr. art 34 decreto ministeriale 6 giugno 1987, n. 230.
73 Variando dall’8% per atti di valore inferiore alle 500.000 allo 0,03% per atti compresi tra i 4 e i 5
miliardi.
74 Vale la pena di rilevare che nel 1995, in occasione del primo congresso nazionale della Federnotai, è
stato osservato che la deontologia, direttamente, riguarda non già la regolamentazione della qualità minima
del prodotto tipico notarile, ossia dell’atto notarile (stabilita come visto, dalle norme della legge che
disciplinano, in particolare, la forma degli atti), quanto invece la regolamentazione dei comportamenti, del
“come” il notaio arriva a redigere l’atto così come definito dall’ordinamento: “Le norme deontologiche,
61
aspetti dell’attività notarile disciplinati anche dalle norme deontologiche e
riguardanti, in particolare le limitazioni territoriali all’esercizio dell’attività, il
divieto di pubblicità e il potere di vigilanza e disciplinare dei Consigli.
i) le limitazioni territoriali
24. Come già osservato precedentemente, i notai hanno una competenza
territoriale limitata: essi devono per legge esercitare le proprie funzioni
nell'ambito territoriale corrispondente al distretto in cui si trova la sede notarile,
a pena di nullità dell’atto rogato75.
Al riguardo, il codice deontologico, dispone che il notaio non può tenere
aperti, nella sede assegnatagli, altri luoghi di attività diversi dallo studio che
non presentino rispetto ad esso i requisiti di limitata organizzazione e di netta
sussidiarietà propri del recapito.
25. La categoria motiva le limitazioni territoriali considerando che le
funzioni pubbliche svolte dal notaio richiedono la presenza e la reperibilità
dello stesso nelle singole aree geografiche. Tuttavia, dalla citata analisi
compiuta dalla Federnotai nel 1995, emerge che il 50% circa dei notai ritiene
che il suddetto vincolo sia eccessivamente oneroso per l’esercizio della
professione, restringendola in un ambito che appare contrastare con la mobilità
crescente assunta dai traffici negoziali.
ii) il divieto di pubblicità
26. La legge dispone che è vietato al notaio di fare concorrenza ai
colleghi servendosi dell'opera di procacciatori di clienti, di richiami, di
pubblicità o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al prestigio
della classe notarile e che il mancato rispetto di tale disposizione comporta
l'irrogazione di una sanzione disciplinare76.
Esiste poi una norma deontologica che vieta specificamente ogni forma
di pubblicità, sia diretta che a mezzo stampa, e di richiamo delle qualità
personali, dello studio professionale e dell'attività svolta, ivi comprese le
specializzazioni.
iii) l’esercizio del potere disciplinare
27. I procedimenti per l'applicazione delle sanzioni disciplinari sono
regolati dagli artt. 148 ss L.N.. Al riguardo, va rilevato che mentre per
l’applicazione delle sanzioni più lievi, cioè l'avvertimento e la censura, la
competenza spetta al Consiglio Notarile da cui dipende il notaio, le sanzioni più
gravi, e cioè l'ammenda, la sospensione e la destituzione - o tutte le sanzioni
pertanto, tendono a fissare ulteriori qualità dell’atto utili solo su un altro e diverso piano che è quello
comportamentale”.
75 Cfr. art. 58, n.4, L.N.
76 Cfr. art. 14 r.d.l. n. 1666/1937, “Modificazioni all’ordinamento del notariato e degli archivi notarili”.
62
ove il notaio sia membro del Consiglio Notarile - sono applicate direttamente
dal Tribunale civile mediante decreto77.
Con riferimento alla prima ipotesi, poi, si osserva che il provvedimento
del Consiglio Notarile può essere impugnato davanti al Tribunale Cvile dal
notaio o dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Civile nella cui
giurisdizione è la sede del consiglio, al quale viene inviata copia, per legge, del
suddetto provvedimento. Contro tale sentenza non è ammesso appello.
Nella seconda ipotesi, invece, la sentenza del tribunale è appellabile.
3.1.6 Spunti comparatistici
28. A livello comunitario, deve segnalarsi che nei principali ordinamenti
di civil law (Francia, Spagna, Germania) la figura del notaio presenta
caratteristiche simili a quella del notaio italiano. Anche in tali Paesi, le
peculiarità del notaio consistono in ciò che è una figura professionale
autonoma, che una parte rilevante dell’attività da esso svolta è riservata e
costituisce una funzione pubblica, pur avendo, per quanto concerne gli aspetti
economici, i caratteri della professione libera. In Germania, tuttavia, esistono
distinti tipi di notaio: in alcuni Lander, il notaio svolge esclusivamente l’attività
notarile, mentre in altri l’ufficio notarile risulta combinato con l’esercizio
dell’avvocatura.
Negli ordinamenti di common law, invece, il notaio non costituisce una
figura a sè stante, tant’è che gli avvocati svolgono le funzioni che in Italia sono
proprie dei notai: ad esempio, nel Regno Unito e in Irlanda, i solicitors
forniscono consulenze legali e assistenza nelle transazioni, nelle operazioni
concernenti il trasferimento di beni immobili e negli atti testamentari e
successori78.
Con riferimento ai Paesi anglossassoni, è interessante rilevare che i
solicitors non conferiscono agli atti che redigono alcun carattere di autenticità,
giacchè, per gli ordinamenti di tali Paesi, l’atto autentico, differentemente dai
Paesi dell’area latina, ha un’efficacia probatoria inferiore ad altri mezzi di
prova, quale ad esempio la testimonianza, essendo di conseguenza poco
utilizzato. Ed infatti, i soli professionisti che, in Inghilterra, attribuiscono
autenticità agli atti - quasi esclusivamente ad uso esterno - non svolgendo
77
Al riguardo, va rilevato che per le sanzioni minori la legge non fornisce un criterio idoneo ad identificare
una distinzione tra i fatti punibili con l’avvertimento e quelli punibili con la censura: dall’art. 147 L.N. si
deduce, tuttavia, che la censura in particolare può essere inflitta nei casi più lievi quando il notaio
compromette la sua dignità e il decoro o il prestigio della classe notarile. Al contrario le sanzioni maggiori
sono collegate a specifiche violazioni: così, come visto, l’inadempimento dell’obbligo di assistere
personalmente allo studio in tempi determinati e di tenere gli atti ricevuti o depositati e i relativi registri e
repertori è punito con l’ammenda (art. 137 L.N.); ancora, il rifiuto del ministero e la mancata presentazione
dei registri e repertori al consiglio per l’ispezione è sanzionato con la sospensione (artt. 128 e 138 L.N.).
L’interdizione, infine, è prevista a carico dei notai che, sospesi, continuino nell’esercizio ovvero che
dolosamente non abbiano conservato i repertori (art. 142 L.N.).
78 Cfr. al riguardo consiglio nazionale del notariato, Cenni informativi sui principali notariati europei,
1997; Varano, Notaio e Notariato, Diritto comparato e straniero, in Enc. Giuridica Treccani, 1990, 1.
63
peraltro altra attività, sono i cd notai di Londra, in numero assolutamente esiguo
rispetto ai solicitors.
In Svezia, poi, i notai sono impiegati municipali che svolgono funzioni
essenzialmente certificative.
Negli Stati Uniti, infine, il notary public non è nemmeno un giurista, ma
soltanto un operatore - spesso un commerciante - che ha una licenza per
esercitare e dispone di un sigillo: questi, principalmente, autentica le firme,
riconosce che gli atti da lui certificati contengono la volontà esatta delle parti,
riceve dichiarazioni giurate79.
29. L’accesso al notariato, in Francia, presuppone la laurea in diritto (o
un diploma ritenuto equivalente), il compimento di un periodo di tirocinio e il
superamento di un esame di idoneità, ovvero il conseguimento del diploma
superiore di notariato. Tali requisiti di accesso, tuttavia, possono essere
sostituiti dall’esercizio effettivo dell’attività per un periodo quadriennale ovvero
quinquennale.
In Germania, poi, ai fini dell’accesso è prevista una formazione
postuniversitaria, comune peraltro alle varie professioni giuridiche,
comprendente un tirocinio triennale e il superamento di due esami di Stato (il
Referendar e l’Assessor).
In Spagna, invece, il requisito richiesto dopo il conseguimento della
laurea in legge è soltanto il superamento di un concorso non essendo previsto
alcun tirocinio.
30. Quanto alle tariffe, si osserva che una regolamentazione risulta
stabilita sia in Francia che in Germania e in Spagna80.
Nel Regno Unito, invece, non risultano esistere tariffe81.
3.1.7 conclusioni
31. La tabella che segue indica le principali forme di regolamentazione
dell’attività notarile, sintetizzando quanto fino ad ora illustrato al riguardo.
Tabella 6 - Principali forme di regolamentazione dell’attività notarile
entrata
requisiti soggettivi
standard di qualità
minima del servizio
requisiti relativi agli atti
tariffe
fisse e inderogabili
altre forme di
(auto)regolamentazione
divieto di pubblicità
79
Federnotai, Quaderni di Federnotizie, Sistemi giuridici e professioni giuridiche nell’ambiente
internazionale - Stato e avvenire del notariato francese, 1989, 11 e ss;
80 In Francia, le tariffe sono regolate dall’Ordinanza 78-262 dell’8 marzo 1978 e possono essere fisse o
proporzionali, in relazione, in tale ultimo caso, al valore dichiarato del bene; in Germania, invece, la materia
tariffaria è regolata dalla legge relativa ai costi delle procedure. La funzione di certificazione è soggetta a
costi fissi ed obbligatori. In Spagna, infine, la tariffa è fissata con decreto reale 17 novembre 1989 n. 1426 ed
è fissa per i documenti non quantificabili (come, ad esempio, le procure, i testamenti, le convenzioni
matrimoniali), proporzionale per gli altri.
81 Cfr. consiglio nazionale del notariato, op. ult. cit.
64
a) cittadinanza
b) laurea in giurisprud.;
c) praticantato;
d) concorso
vincoli oggettivi
predeterminazione del
numero massimo di sedi
per distretto
a) formali
sanzioni in caso di
applicazione di prezzi
inferiori o superiori.
limiti territorriali
requisiti relativi ai
rapporti con la clientela:
a) obbligo di servizio;
b) obbligo di presenza;
Si tratta di un assetto caratterizzato da una pluralità di vincoli attinenti sia
all’accesso - determinazione di un numero massimo di sedi, selezione mediante
concorso la quale, come illustrato, risulta particolarmente rigida - che
all’esercizio della professione - standard delle prestazioni, tariffe, divieto di
pubblicità, limiti territoriali. Inoltre, l’ambito di esclusiva attribuito al notaio
risulta particolarmente vasto, ricomprendendo financo attività per le quali
appare opportuno interrogarsi se la riserva sia giustificata.
Si tratta di un sistema regolamentativo la cui ampiezza ed articolazione
non trova paragone in nessuna altra professione.
32. Relativamente alla determinazione delle sedi, può essere ragionevole
attendersi che, in ragione della funzione pubblica tipicamente svolta dal notaio,
l’Amministrazione sia interessata ad assicurarne una distribuzione omogenea e
sufficiente sul territorio nazionale. In ogni caso, tuttavia, una delle vie per
garantire tale esigenza potrebbe essere non già la fissazione di un numero
massimo di sedi, che risulta invece più strettamente funzionale a tutelare una
posizione di rendita ai professionisti, quanto ad esempio la determinazione di
un numero minimo di notai in esercizio. Conseguentemente, si osserva anche
che il concorso, quale sistema selettivo a posti, non appare il mezzo più
coerente rispetto alla necessità, stante la natura pubblica del servizio notarile, di
assicurare sul territorio nazionale, un numero minimo di operatori.
Peraltro, non appare verosimile che la rimozione del numero massimo
possa determinare un’insufficienza dell’offerta rispetto alla domanda.
Infatti, per tutte le altre professioni tale vincolo non esiste e, ciò
nondimeno, l’offerta, che in alcuni casi è addiruttura in esubero, si distribuisce
spontaneamente sull’intero territorio nazionale.
33. Il livello di selettività del concorso notarile risulta estremamente
elevato, essendo la percentuale degli idonei addirittura inferiore al 10%. Al
riguardo, appare opportuno chiedersi se tale livello risulti proporzionato
rispetto alle esigenze poste dall’esercizio della professione.
Da un lato infatti può ritenersi che la professione notarile non incide su
beni più rilevanti rispetto a quelli su cui incidono altre professioni, quale quella
di avvocato o di medico, il cui accesso tuttavia non è regolamentato in modo
altrettanto stringente. Dall’altro deve considerarsi che una selezione
particolarmente stringente appare senz’altro eccedente con riferimento alle
65
prestazioni professionali meno complesse, quali ad esempio quelle meramente
certificative.
34. Peraltro, dall’indagine è emerso che il numero di notai che risultano
idonei al concorso è di norma inferiore a quello dei posti messi a concorso e
quest’ultimo è a sua volta inferiore a quello delle sedi vacanti e dunque
disponibili. Al riguardo, si osserva che, assumendo che queste ultime
identifichino il numero necessario di notai in rapporto alla domanda, il
concorso, laddove restringe ulteriormente l’accesso, risulta produrre un livello
di offerta inadeguato.
35. Venendo poi a considerare il tema delle esclusive, si tratta di
verificare se l’ambito di esclusiva attualmente attribuito al notaio risulti
effettivamente coerente con l’esigenza di tutelare le finalità pubbliche connesse
all’esercizio delle funzioni notarili. Al riguardo, può considerarsi che il
mantenimento dell’esclusiva appare eccedente in tutte quelle situazioni in cui
l’entità e la probabilità di danni derivanti ai consumatori e alla collettività da
prestazioni inadeguate risulterebbero senz’altro meno rilevanti di quelle assunte
dai costi connessi.
Tra queste ipotesi, ad esempio, va messa in luce quella relativa alla
vendita di autoveicoli, che, come è stato in precedenza documentato, assume un
ampio rilievo nell’ambito dell’attività dei notai, quanto meno sotto il profilo
numerico, e consiste in primo luogo nella certificazione della firma e
dell’identità del venditore, accompagnata da una verifica che il contratto,
generalmente predisposto dalle agenzie di consulenza automobilistica, non sia
contra legem.
Peraltro, in alcuni Paesi, le funzioni che in Italia vengono svolte in
esclusiva dal notaio, ed in particolare quelle meramente certificative, non sono
esercitate neppure da un professionista.
36. Relativamente all’esercizio, vengono in particolare rilievo la
fissazione di tariffe minime inderogabili e i limiti territoriali.
Con riferimento al primo aspetto, si osserva che le tariffe non derogabili
verso il basso, nel mercato dei servizi notarili, producono un effetto
particolarmente dannoso sotto il profilo concorrenziale poichè contribuiscono
ad eliminare del tutto la concorrenza tra notai, già gravemente pregiudicata
dall’esistenza del numero chiuso di operatori, dai limiti territoriali e
dall’esclusiva loro attribuita.
La previsione di massimi e della loro inderogabilità, invece, potrebbe in
astratto costituire uno strumento idoneo a tutelare l’interesse dei consumatori,
in quanto volto a garantire la disponibilità a prezzi accessibili di un servizio che
in alcune circostanze essi devono obbligatoriamente acquistare, essendo il
notaio l’unico operatore legittimato a compiere determinate prestazioni.
66
37. Con riferimento al limite territoriale, infine, va rilevato che esso è
diretto a garantire a ciascun operatore un determinato volume di domanda e,
quindi, un reddito minimo. Tale limite viene generalmente giustificato
dall’esigenza di garantire la presenza nei singoli distretti di un numero
predefinito di operatori. Si osserva, tuttavia, che la rimozione del numero
massimo di sedi comporterebbe un incremento del numero degli operatori tale
da non rendere necessaria la previsione di un limite territoriale, dal momento
che l’offerta si adeguerebbe spontaneamente alle esigenze della domanda,
similmente a quanto avviene per altre professioni.
67
3.2 Gli avvocati
principali riferimenti normativi
r.d.L.L 27 novembre 1933 n. 1578, recante “Ordinamento delle
professioni di avvocato e procuratore”; legge 13 giugno 1942 n. 794, recante
“Onorari di avvocato e procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile”;
legge 9 febbraio 1982 n. 31 recante “Libera prestazione di servizi da parte degli
avvocati cittadini degli Stati membri delle Comunità Europee”; legge 24 luglio
1985 n. 406, recante “Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti alle
preture e degli esami per la professione di procuratore legale”; d.p.r. 10 aprile
1990 n. 101, recante “Regolamento relativo alla pratica forense per
l’ammissione all’esame di procuratore legale”; d.m. 5 ottobre 1994 n. 585,
recante “Tariffa degli onorari, diritti e indennità spettanti agli avvocati e ai
procuratori per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa e
tributaria”; legge 24 febbraio 1997 n. 27, recante “Soppressione dell’albo dei
procuratori legali e norme in materia di esercizio della professione forense”;
legge 15 maggio 1997 n. 127 recante “Misure urgenti per lo snellimento
dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”.
3.2.1 le attività forensi
i) tipologia e caratteristiche
38. Gli avvocati sono liberi professionisti esercenti la professione
forense. Essi svolgono l'attività di rappresentanza e di assistenza nei
procedimenti giurisdizionali civili, penali e amministrativi. Tale attività è
caratterizzata dal fatto di essere attribuita agli avvocati in via esclusiva e di
essere, di regola, obbligatoria82.
L’attività giudiziale dell’avvocato è quanto mai varia e le
esemplificazioni possibili - atti introduttivi, atti effettuati nelle successive fasi
processuali, quali ad esempio la richiesta di mezzi di prova, la proposizione di
istanze, la produzione di documenti, la formulazione di conclusioni - solo
parzialmente riescono ad indicare lo spazio entro cui, in pratica, opera il
difensore.
39. La legge considera l’attività forense come un ministero, una funzione
che gli avvocati sono chiamati ad esercitare nell’amministrazione della
giustizia83. Ancora, il codice penale considera i privati che esercitano la
82
Cfr. art. 82 c.p.c., secondo cui “Davanti ai pretori le parti non possono stare in giudizio se non con il
ministero di un difensore”(comma 2); “Davanti ai tribunali e alle Corti d’Appello le parti devono stare in
giudizio con il ministero di un procuratore legalmente esercente; e davanti alla Corte di Cassazione con il
ministero di un avvocato iscritto nell’apposito albo”(comma 3).
83 Cfr. art. 12, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, recante “Ordinamento delle professioni di avvocato e
procuratore” e il citato art. 82 c.p.c.. Ai sensi dell’art. 8, ultimo comma, di tale decreto, gli avvocati al
momento del giuramento assumono l’impegno di adempiere ai doveri inerenti alla professione per i fini della
giustizia.
68
professione forense, quando dell’opera di essi gli utenti siano per legge
obbligati a valersi, come persone che svolgono un servizio di pubblica
necessità84.
Ciò in considerazione del fatto che l’attività in questione, pur essendo
funzionale in via immediata alla realizzazione di scopi privatistici, attinenti alla
tutela degli interessi del cliente, ha una notevole rilevanza anche sotto il profilo
dell’interesse pubblico ad una corretta ed efficiente amministrazione della
giustizia. In altri termini, tale attività, oltre alla produzione di effetti per il
cliente, le cui ragioni vengono giudizialmente difese, determina effetti anche per
l’intera collettività.
40. Gli avvocati svolgono inoltre, non in esclusiva, le attività di
consulenza legale stragiudiziale e gli arbitrati, per le quali operano in
concorrenza sia con altri professionisti, non giuristi, che con soggetti diversi dai
professionisti e/o da persone fisiche, ad esempio, società di consulenza.
ii) l’articolazione della domanda
41. Relativamente alla domanda indirizzata agli avvocati per le attività
riservate di rappresentanza giudiziale, la seguente tabella ne riporta un possibile
indicatore nel periodo 1986-95, e cioè il numero dei procedimenti pendenti
civili in genere, penali e amministrativi.
84
Cfr. art. 359 c.p.. Ciò tuttavia non implica che il patrocinatore possa configurarsi come un pubblico
ufficiale. Al riguardo Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia del 21 giugno 1974, Reyners, in Racc. giur.
della Corte, 1974, 631 e in Foro It. 1974, IV, 281, secondo la quale appare escludersi la natura pubblicistica
dell’attività dell’avvocato nel suo complesso, non rientrando tale attività fra le eccezioni al diritto di
stabilimento di cui all’art. 55 del Trattato CEE previste per coloro che partecipino, sia pure eccezionalmente,
all’esercizio dei pubblici poteri. In particolare, nella sentenza si legge che “Le prestazioni professionali che
implicano contatti, anche regolari ed organici, con i tribunali, ovvero la partecipazione, sia pure
obbligatoria, al loro funzionamento, non costituiscono partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri. In
particolare, non possono venir considerate come partecipazione a tali poteri le attività più tipiche della
professione forense, quali la consulenza e l’assistenza giuridica, come pure la rappresentanza e la difesa
delle parti in giudizio, neppure quando il ministero o assistenza dell’avvocato è obbligatorio o costituisce
oggetto di un’esclusiva voluta dalla legge. In effetti, l’esercizio di tali attività lascia intatti la valutazione
dell’Autorità giudiziaria e il libero esercizio della funzione giurisdizionale” (par. 51/53).
69
Tabella 7 - Procedimenti pendenti per tipologia
Anni
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
Procedimenti civili di
cognizione
totale
Grado
I° grado
d’appello
1.581.612
1.638.073
1.814.303
1.921.712
2.225.496
2.372.141
2.532.055
2.772.428
2.872.393
3.274.416
155.932
166.444
183.499
203.855
229.058
245.680
268.132
273.600
277.910
287.948
Procedimenti
penali*
I° grado
Grado
d’appello
n.d.
89.492
144.165
180.752
252.528
359.820
n.d.
45.787
63.936
87.797
107.420
114.263
Procedimenti di
giustizia amministrativa
totale
Grado
I° grado
d’appello
299.373
330.444
362.687
396.245
432.971
471.141
522.793
587.184
669.173
726.324
15.877
17.606
19.933
21.502
20.285
19.735
20.951
22.805
26.957
29.387
Fonte: Istat, Annuario Statistico Italiano, anni vari.
* I dati concernenti i procedimenti penali in primo grado risultano dalla somma dei procedimenti innanzi
alle Preture, ai Tribunali e alle Corti d’Assise, quelli in secondo grado dalla somma dei procedimenti
innanzi alle Corti d’Appello e alle Corti d’Assise d’Appello. Inoltre, per ragioni di comparabilità, si
riportano solamente i dati disponibili riferiti al periodo successivo al 1989, anno di entrata in vigore del
nuovo codice di procedura penale.
La tabella mette in luce che nell’arco del periodo considerato, tutte le
tipologie di procedimento hanno registrato un marcato aumento numerico.
Al riguardo, occorre precisare che i dati si riferiscono allo stock di
procedimenti in corso e quindi la loro progressione può non corrispondere ad
un’analoga espansione della domanda di rappresentanza giudiziale. Tuttavia,
anche considerando l’evoluzione nello stesso periodo del numero dei soli nuovi
procedimenti, si inferisce un aumento considerevole dell’attività svolta dagli
avvocati85.
42. Tali informazioni relative all’andamento dell’attività di assistenza
giudiziale, possono essere utilmente integrate con i risultati di un’indagine
campionaria effettuata dal Censis nel 198986 che considera, tra l’altro, la
ripartizione per tipologia di clienti della domanda complessivamente indirizzata
agli avvocati, includendo pertanto anche quella di assistenza stragiudiziale. Tali
risultati sono sintetizzati nella tabella che segue, la quale indica la frequenza di
varie tipologie di prestazione.
85
Relativamente al numero medio di nuovi procedimenti civili nel periodo 1986/95, ad esempio, va rilevato
che esso è, per i procedimenti in primo grado, di 1.117.954 (con un aumento, pertanto, di circa 1/3) e, per i
procedimenti in grado d’appello, di 92.579 (ancora, oltre 1/3).
86 Cfr. Ipsoa, Professione Avvocato, Strategie Previdenziali ed Esercizio dell’Attività Forense, Milano
1990. L’indagine si è basata sulle risposte contenute in circa 4700 questionari compilati da altrettanti
avvocati iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza.
70
Tabella 8 - Ripartizione della domanda per tipologia di clientela*
enti privati
enti pubblici
singoli cittadini
altro
68.7%
35,8%
14,8%
28,5%
57,9%
75,1%
4,1%
1,8%
consulenza continuativa
consulenza saltuaria
*La somma delle frequenze non è pari a 100 poichè erano possibili più risposte.
La tabella mette in luce che nella maggior parte dei casi (75% circa)
l’avvocato risponde ad esigenze di consulenza saltuaria provenienti da singoli
cittadini. Tuttavia, una tipologia di prestazione quasi altrettanto frequente (68%
circa dei casi) è costituita dalla consulenza continuativa a favore di imprese.
iii) l’articolazione dell’offerta
43. Relativamente alla struttura dell’offerta, gli avvocati iscritti all’albo
erano alla fine del 1995 83.09087. Negli ultimi anni il numero dei professionisti
forensi appare essere significativamente aumentato, ammontando a circa 50.000
nel 199088. L’espansione dell’offerta risulta confermata anche dal confronto tra
gli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza degli avvocati e dei
Procuratori, negli anni 1988 e 1995 riportato nella tabella seguente89.
Tabella 9 - Iscritti alla Cassa Naz. Prev. Ass. per ripartizione geografica
Aree
Nord
di cui Lombardia
Centro
di cui Lazio
Sud
di cui Campania
Totale
1988
13.235
5149
8135
4803
12.978
3768
34.348
(38,5%)
(23,7%)
(37,8%)
100
1995
22362
8694
13356
7959
21410
6388
57128
(39,1%)
(23,4%)
(37,5%)
100
Fonte: Cassa Nazionale Previdenza Avvocati.
In particolare, la tabella mette in evidenza che nel periodo 1988-95 il
numero di professionisti iscritti alla Cassa è aumentato di oltre il 60%, in modo
sostanzialmente uniforme sul territorio nazionale. Sotto il profilo della
concentrazione dell’offerta, si rileva che nelle tre regioni Lombardia, Lazio e
Campania opera circa il 40% dei professionisti (per una maggiore
disaggregazione dei dati si veda anche tabella a3 in appendice).
87 Cfr. dati elaborati dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza
88Al riguardo, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura ha precisato che
degli avvocati e dei Procuratori.
“il numero degli iscritti, peraltro, sta
crescendo notevolmente: in media si iscrivono 10.000 nuovi soggetti all'anno agli albi dei procuratori e
avvocati; a partire dal 1990 siamo passati da 50.000 a circa 90.000 iscritti” (Cfr. audizione dell’organismo
del 12 luglio 1996).
89 Si noti che il numero di iscritti all’albo è significativamente maggiore di quello dei professionisti iscritti
alla Cassa. Ciò in ragione del fatto che, secondo le informazioni acquisite dalla Cassa, l’iscrizione alla
Cassa stessa non è conseguenza automatica dell’iscrizione all’albo, essendo tra l’altro subordinata al
superamento da parte del professionista di determinate soglie minime di reddito e di volume d’affari (pari
rispettivamente a 11.700.000 e 17.550.000 nel 1997).
71
3.2.2 modalità di accesso
44. Attualmente, i requisiti per accedere all’attività forense sono: la
laurea in giurisprudenza, lo svolgimento di un tirocinio biennale principalmente
presso lo studio e sotto il controllo di un avvocato, il superamento dell’esame di
abilitazione e l’iscrizione all’albo90.
E’ stata infatti recentemente rimossa la disposizione secondo la quale
l’attività di avvocato poteva essere svolta solo da chi fosse stato in precedenza
procuratore91.
45. Relativamente alle modalità di effettuazione del tirocinio, giova
osservare che al termine del primo anno di pratica, i praticanti iscritti nel
relativo registro, sono tenuti ad illustrare al consiglio dell’ordine, con apposita
relazione, le attività indicate nel libretto della pratica92. Al riguardo, va
segnalato che il consiglio dell’ordine può espletare gli opportuni accertamenti
sulle dichiarazioni del praticante e ha facoltà di invitarlo ad un colloquio per
eventuali ulteriori chiarimenti sul tirocinio espletato93.
Sono anche previsti dei corsi integrativi della pratica, non obbligatori,
tenuti dalle scuole di formazione istituite dai Consigli degli ordini94. Ad oggi
risulta che solo una minoranza di questi ultimi gestiscono scuole di formazione,
e comunque a livello sperimentale95.
Superato il primo anno di pratica, i praticanti possono essere ammessi,
per un periodo non superiore a 6 anni, a patrocinare di fronte alle preture del
distretto nel quale è compreso l’ordine che ha la tenuta del suddetto registro96.
Infine, al termine del tirocinio, i praticanti devono sostenere l'esame di
abilitazione presso la Corte d'Appello nel cui distretto il candidato è stato
iscritto per la pratica.
Non esistono limiti di età per l’iscrizione all’esame.
90
Cfr. art. 7 r.d.l. n. 1578/1933. Il periodo di pratica è stato elevato da un anno a due anni in base all’art. 2,
legge 24 luglio 1985 n. 406, recante “Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti alle preture e degli
esami per la professione di procuratore legale”.
91 L’art. 27, n. 2, del citato r.d.l. n. 1578/1933 stabiliva che il procuratore legale diventava avvocato dopo sei
anni di esercizio della professione decorrenti dall'iscrizione nell'albo ovvero dopo due anni in seguito al
superamento di un esame. Con legge 24 febbraio 1997 n. 27, recante “Soppressione dell’albo dei
procuratori legali e norme in materia di esercizio della professione forense”, è stata invece abolita la
distinzione tra il titolo di procuratore legale e quello di avvocato.
92 Cfr. art. 7, comma 1, d.p.r. 10 aprile 1990 n. 101, recante “Regolamento relativo alla pratica forense per
l’ammissione all’esame di procuratore legale”: le attività consistono nella partecipazione ad almeno 40
udienze (20 per semestre), gli atti processuali o quelli relativi ad attività stragiudiziali più rilevanti alla cui
predisposizione il praticante abbia partecipato, e ancora le questioni giuridiche di maggior interesse trattate.
93 Cfr. art. 7, comma 3, d.p.r. n. 101/1990, cit.
94 Cfr. art. 3, d.p.r. n. 101/1990.
95 Cfr. audizione del 12 luglio 1996 del citato Organismo.
96 Cfr. art. 8, comma 2 r.d.l. n. 1578/1933 come modificato dall’art. 1, legge n. 406/1985. Inoltre, ai sensi
della citata norma, i praticanti abilitati, sempre davanti alle medesime preture, ma in sede penale, “possono
essere nominati difensori d’ufficio, esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre impugnazione sia
come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero”.
72
46. La commissione esaminatrice, da nominarsi con decreto del Ministro
di Grazia e Giustizia, è composta da cinque membri titolari, dei quali: due
avvocati, iscritti da almeno otto anni al consiglio dell'ordine del distretto di
Corte d'Appello, due magistrati, con qualifica almeno di consiglieri di Corte
d'Appello e un professore ordinario o associato di materia giuridiche presso
l'università o un istituto superiore. Il Ministro di Grazia e Giustizia nomina, per
ogni commissione esaminatrice, il presidente e il vicepresidente tra i
componenti avvocati97.
47. La descritta regolamentazione in materia di accesso, tuttavia, sta
subendo rilevanti modifiche per effetto di alcuni recenti interventi legislativi,
caratterizzati da una portata decisamente innovativa. In particolare, la legge 15
maggio 1997 n. 127, cd legge Bassanini-bis, prevede l’istituzione di scuole
biennali di specializzazione per le professioni legali presso le università, sedi di
facoltà di giurisprudenza, finalizzate al rilascio di un diploma, il quale costituirà
un requisito alternativo al tirocinio ai fini dell’accesso98.
Il Governo, in attuazione della legge n. 127/1997, ha stabilito che tali
scuole provvedono alla formazione comune dei laureati in giurisprudenza
attraverso l’approfondimento teorico, integrato da esperienze pratiche,
finalizzato all’assunzione dell’impiego di magistrato o all’esercizio delle
professioni di avvocato e notaio99.
Tale decreto stabilisce, inoltre, il principio del numero chiuso degli
ammessi alle scuole. L’accesso alle stesse, poi, avviene mediante concorso per
titoli ed esame. Il rilascio del diploma di specializzazione, infine, è subordinato
alla certificazione della regolare frequenza dei corsi, al superamento delle
verifiche intermedie e delle prove finali di esame100.
97
Cfr. art. 22 r.d.l. n. 1578/1933. Qualora il numero dei candidati che abbiano presentato la domanda di
ammissione superi le 250 unità, le commissioni possono essere integrate, con decreto ministeriale, da un
numero di membri supplenti aventi i medesimi requisiti stabiliti per i membri effettivi tale da permettere,
unico restando il presidente, la suddivisione in sottocommissioni, costituite ciascuna di un numero di
componenti pari a quello della commissione originaria.
98 Cfr. art. 17, commi 113 e 114, della citata legge n. 127/1997: mentre il comma 113 prevede l’istituzione
delle suddette scuole con decreto legislativo, il comma 114, per quanto concerne in particolare l’accesso alle
professioni notarile e forense, stabilisce che“anche in deroga alle vigenti disposizioni relative all’accesso alle
professioni di notaio e di avvocato, il diploma di specializzazione - conseguibile al termine della frequenza
biennale della scuola - costituisce, nei termini che saranno definiti con decreto del Ministro di grazia e
giustizia di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, titolo valutabile
ai fini del compimento del relativo periodo di pratica”. Inoltre, ad un decreto dei suddetti Ministri è
demandata la definizione dei criteri organizzativi delle scuole, “anche prevedendo l’affidamento annuale
degli insegnamenti a contenuto professionale a magistrati, notai e avvocati”.
99 Cfr. art. 14, comma 2, del decreto legislativo in corso di formazione. Al riguardo, può osservarsi che, nel
percorso formativo, tali scuole, nella misura in cui vengano previste adeguate modalità organizzative e di
svolgimento dei corsi, e, dunque, sia assicurato un adeguato livello di preparazione specialistica ai
frequentanti, appaiono strumenti idonei al perseguimento dell’obiettivo di recuperare una maggiore
qualificazione dei futuri avvocati.
100 Cfr. art. 14, commi 4 e 5, del citato decreto legislativo in corso di formazione.
73
48. Espressione dell’esigenza di riforma della disciplina in materia di
accesso appare anche la recente presentazione alla Camera dei deputati di un
disegno di legge (D.d.l. n. 4115 “Disposizioni in materia di accesso alla
professione di avvocato)101 che introduce nuove norme riguardanti la pratica
forense e l’esame di abilitazione, dirette - secondo la relazione - ad una
riqualificazione della categoria attraverso una più rigorosa verifica della
professionalità dei futuri avvocati102. Al riguardo, va rilevato, tuttavia, che la
pluralità di interventi sulla stessa materia, quella dell’accesso, se da un lato
denota l’esigenza per alcuni versi improcastinabile - avvertita peraltro dalla
stessa categoria - di modificare l’attuale regolamentazione, per l’altro,
trattandosi di iniziative indipendenti sotto il profilo contenutistico, appare
richiedere un coordinamento tra normative.
49. Venendo alle norme contenute nel citato disegno di legge n. 4115,
con riferimento alla pratica, devono segnalarsi, da un lato, l’elevazione del
periodo a tre anni103, dall’altro, la possibilità per il praticante, dopo il primo
anno di pratica, di esercitare la professione in sostituzione delegata e sotto la
responsabilità dell'avvocato, ma solo davanti ai giudici monocratici104.
Relativamente all’esame di abilitazione, poi, le novità riguardano
essenzialmente la composizione della commissione esaminatrice e le modalità
di svolgimento. La commissione appare composta da cinque membri titolari e
cinque supplenti, dei quali, rispettivamente, ben tre avvocati, un magistrato e un
professore universitario ed è presieduta da un avvocato scelto tra i tre titolari105.
L’esame di abilitazione è indetto a Roma, in sede unica nazionale106 e i criteri di
valutazione dei candidati sono previamente determinati, in adunanza plenaria,
101
E’ il caso di sottolineare che non si tratta dell’unica proposta di riforma che riguarda la professione
forense. Al riguardo l’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana ha approvato in data 10 ottobre 1995
una proposta di legge quadro sulla professione di avvocato, dalla quale si possono desumere alcuni
importanti orientamenti:
a) la regolamentazione della forma di accesso attraverso un corso annuale di formazione, il superamento di
un primo esame, un successivo periodo di praticantato di due anni e, infine, l’esame di Stato;
b) l’imposizione del limite del quarantesimo anno di età quale requisito per l’iscrizione all’albo;
c) l’imposizione del divieto di assumere l’obbligazione di risultato;
d) un indirizzo favorevole nei confronti dell’esercizio in forma societaria della professione limitata alla sola
società semplice.
Tali proposte, il cui carattere restrittivo è superfluo sottolineare, non hanno finora trovato un accoglimento
in sede legislativa.
102 Il disegno di legge n. 4115 è stato presentato alla Camera dei Deputati il 4 settembre 1997 dal Ministro
di Grazia e Giustizia, di concerto con i Ministri delle Finanze e del Tesoro. L’emanazione di tali norme
appare dettata, secondo la relazione introduttiva al disegno di legge, dall’esigenza primaria di sottoporre ad
un immediato esame parlamentare nuove regole concernenti aspetti specifici dell’ordinamento professionale,
quali per l’appunto quelli connessi all’accesso. Manca invece per il momento “una riforma organica
dell’ordinamento forense, sebbene da tempo e da più parti sia stata sollecitata, a fronte di un assetto
normativo rimasto sostanzialmente invariato - quanto meno nelle sue linee fondamentali - dagli anni trenta”.
103 Cfr. art. 6, comma 1.
104 Cfr. art. 6, comma 3.
105 Cfr. art. 1, comma 2. Ove il numero dei candidati lo richieda la commissione può essere integrata da
sottocommissioni, per gruppi fino a 500 candidati. Ovviamente, i membri e i presidenti delle
sottocommissioni sono nominati con lo stesso criterio utilizzato per la formazione della commissione.
106 Cfr. art. 1, comma 1.
74
dalla commissione e dalle sottocommissioni107. L’esame, infine, non può essere
sostenuto da coloro che siano stati dichiarati non idonei in tre precedenti
prove108.
50. Il suddetto disegno di legge propone una regolamentazione in tema di
accesso alla professione che, nel suo complesso, appare incoerente con i
principi concorrenziali, tendendo ad una progressiva chiusura degli albi. Tale
normativa infatti appare innanzitutto caratterizzata:
a) da un aumento del grado di restrittività della selezione all’entrata (maggior
numero di anni di formazione; numero massimo di prove per accedere)109 che
renderebbe ancora più costoso e lungo l’inserimento dei tirocinanti nella vita
professionale senza peraltro garantire un miglioramento della qualità del
tirocinio e che oltretutto apparirebbe contraddittorio con la previsione
recentemente introdotta di un corso di specializzazione sostitutivo del tirocinio
di durata biennale;
b) da un maggiore coinvolgimento degli ordini forensi nell’esame di abilitazione
determinato dall’aumento del numero degli avvocati presenti nella commissione
(da due su cinque a tre su cinque), con la inevitabile assunzione da parte degli
stessi di un ruolo decisorio determinante nelle procedure di accesso
all’esercizio della professione, anzichè dei pubblici poteri;
c) dalla circostanza che concerne tutte le attività riservate di rappresentanza
giudiziale, e che relativamente a tali attività, un innalzamento del grado di
restrittività della selezione all’entrata potrebbe essere sproporzionato in
rapporto alle effettive esigenze di tutela dei consumatori in tutte quelle ipotesi
in cui si fa riferimento ad un servizio sostanzialmente standardizzato, come ad
esempio per la redazione dei decreti ingiuntivi.
51. Va poi rilevato che il disegno di legge prevede che l’esame venga
effettuato presso una sede d’esame unica e adottando criteri uniformi di
valutazione. Tali modalità di svolgimento appaiono poter essere idonee ad
accertare su base paritaria l’effettiva competenza dei candidati e a superare le
discrasie riscontrate nel corso di questa indagine negli esiti degli esami nei
diversi distretti.
52. Al riguardo, con specifico riferimento alla percentuale degli abilitati
all'esercizio della professione forense, i dati più recenti disponibili riferiti agli
107 Cfr. art. 1, comma 2.
108 Cfr. art. 2, comma 3.
109 Relativamente al tirocinio
e alla durata del medesimo, rimane da verificare se esistono specifici incentivi
che, garantendo un’appropriata trasmissione di competenza professionale, possano giustificare la suddetta
regolamentazione. Al riguardo deve osservarsi che non sono previsti obblighi specifici a carico degli
avvocati di accogliere i praticanti e soprattutto di impiegare a favore di questi ultimi lo sforzo necessario per
istruirli adeguatamente. Conseguentemente, è ragionevole ritenere che le conoscenze che il praticante
acquisirà nel corso del tirocinio sono prevalentemente quelle volte a soddisfare la fascia più bassa della
domanda, e, in quanto tali, acquisibili e utilizzabili in tempi meno lunghi.
75
anni 1994 e 1995, indicano che la percentuale media a livello nazionale di
vincitori sui partecipanti alle prove scritte è stata rispettivamente del 45 e 41%.
Si tratta di valori non troppo dissimili da quelli registrati in anni precedenti110,
che tuttavia rappresentano la composizione di tassi di ammissione fortemente
differenziati tra diverse sedi di esame come è messo in luce dalla tabella che
segue (vedi anche tabelle a4 e a5 in appendice).
Tabella 10 - Ripartizione delle sedi di esame per percentuali di abilitati
percentuale di abilitati
Corti d’Appello
1994: candidati 19214, abilitati 7845
minore del 33%
compresa tra 33 e 66%
oltre 66%
Cagliari, Perugia, Torino, Trieste, Brescia,
Venezia, Roma
Trento,
Genova,
Bologna,
Lecce,
Campobasso, Salerno, Firenze, L’Aquila,
Milano, Catania, Palermo, Bari, Messina
Ancona, Potenza, Caltanisetta, Catanzaro,
Reggio Calabria
1995: candidati 22084*, abilitati 5056*
minore del 33%
compreso tra 33 e 66%
oltre 66%
L’Aquila, Brescia, Perugia, Torino, Palermo,
Genova
Bologna, Ancona, Trento, Milano, Cagliari,
Lecce, Caltanisetta, Messina, Salerno, Trieste
Bari, Reggio Calabria
Fonte: Relazione per la seduta inaugurale del consiglio nazionale forense del 16 gennaio 1997.
*Per sette sedi d’esame i dati non sono disponibili.
La tabella, nella quale le sedi d’esame sono elencate in ordine crescente
di tassi di abilitazione, mostra che la variabilità degli stessi tra Corti d’Appello
presenta una certa persistenza nel tempo: la selezione dei candidati effettuata
presso sedi quali Torino, Bologna e Perugia appare persistentemente maggiore
di quella che si verifica altrove.
53. L’avvocato iscritto all’albo può accedere al patrocinio di fronte alle
giurisdizioni superiori soltanto dopo che siano trascorsi dodici anni di esercizio
della professione decorrenti dall'iscrizione nell'albo ovvero cinque anni da
questa data e in seguito al superamento di un apposito esame111.
3.2.3 gli standard qualitativi delle prestazioni forensi
54. L’attività giudiziale dell’avvocato, inserendosi, come visto,
nell’ambito dell’amministrazione della giustizia ed in particolare del processo,
che deve svolgersi secondo forme e tempi rigidamente predeterminati dalla
legge, risulta anch’essa, (come quella del notaio) disciplinata da regole definite.
110 Negli anni 1991 e 1992, cumulativamente i candidati sono stati circa 30.190 e gli abilitati 13.290, con
una percentuale di abilitati pertanto pari al 44%. Cfr. lettera del consiglio nazionale forense del 7 marzo
1995.
111 Cfr. art. 4 della citata legge n. 27/1997
76
La regolamentazione di tale attività, relativamente al profilo qualitativo,
riguarda sia le caratteristiche degli atti giudiziari, che i comportamenti nello
svolgimento dell’attività. Per quanto riguarda il primo aspetto, i codici e le leggi
che disciplinano i vari tipi di processo prevedono una serie di standard
qualitativi che si sostanziano essenzialmente nei requisiti formali degli atti
processuali tipici, regolati dalle relative norme processuali.
Nell’ipotesi di nullità di un atto imputabile al difensore, la legge prevede,
tra l’altro, la condanna, su istanza di parte, di quest’ultimo al risarcimento dei
danni causati dalla nullità112.
55. Rispetto ai comportamenti, le norme istitutive della professione
impongono ai professionisti l’obbligo di tenere, nello svolgimento dell’attività,
una condotta “specchiatissima e illibata”113 e quelle procedurali, ai difensori, un
generale dovere di tenere in giudizio un comportamento leale e probo, la cui
inosservanza deve essere segnalata dal giudice alle autorità che esercitano il
potere disciplinare su di essi114. L’avvocato, inoltre, non deve avere un
interesse proprio nella causa che patrocina115. Più specificamente poi,
relativamente ai rapporti con il cliente, il patrocinatore: non può rifiutare
l’incarico senza giusto motivo116; non può recedere dallo stesso senza giusta
causa e, anche nelle ipotesi in cui il recesso è possibile, esercitare tale diritto
recando un pregiudizio al cliente117; ha un obbligo di fedeltà verso il cliente118;
ha un obbligo di segretezza delle notizie di cui è a conoscenza per ragioni del
patrocinio prestato119.
56. A tali obblighi comportamentali, previsti da norme di legge, devono
aggiungersi quelli, in parte di analogo contenuto, risultanti dalle norme
contenute nel codice deontologico, approvato dal consiglio nazionale forense il
17 aprile 1997. Particolare rilevanza assumono i doveri di lealtà e
correttezza120, di fedeltà121, di indipendenza122, di competenza123 e di
aggiornamento professionale124.
112
113
114
Cfr. art. 162 c.p.c.
Cfr. art. 17, n. 3, r.d.l. n. 1578/1933.
Cfr. art. 88 c.p.c.: ad esempio, è appena il caso di segnalare che appare violare tale regola di condotta
l’avvocato che “crea” la lite.
115 Cfr. art. 2233, comma 3, c.c, secondo cui è vietato, sotto pena di nullità e di danni, il cd patto di quotalite, intercorso tra professionista e cliente, consistente in un accordo, antecedente alla conclusione del
procedimento, in base al quale il cliente si obbliga a riconoscere all'avvocato una parte del risultato ottenuto.
116 Cfr. art. 11 r.d.l. n. 1578/1933
117 Cfr. art. 2237, commi 1 e 3, c.c.
118 Secondo l’art. 380 c.p., ad esempio, “il patrocinatore...che, rendendosi infedele ai suoi doveri
professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi
all’Autorità Giudiziaria, è punito...”. E ancora, ai sensi dell’art. 381 cod. pen. “Il patrocinatore che, in un
procedimento dinnanzi all’Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente....il suo patrocinio o la sua
consulenza a favore di parti contrarie, è punito...”.
119 Cfr. art. 13 r.d.l. n. 1578/1933.
120 Cfr. art. 6 cod. deont.
77
3.2.4 le tariffe
57. Attualmente, anche per gli avvocati i criteri per la determinazione
degli onorari e delle indennità ad essi dovute per le prestazioni giudiziali e
stragiudiziali sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del consiglio
nazionale forense, la quale deve essere poi approvata con decreto del Ministro
di Grazia e Giustizia125. Per ogni atto o serie di atti sono fissati i limiti di un
massimo e di un minimo126.
In ambito giudiziale, relativamente al procedimento di determinazione e
liquidazione delle spese e degli onorari, va rilevato che l’avvocato deve
presentare al giudice la nota delle spese, delle proprie competenze e
dell’onorario127. Il giudice, dal canto suo, con la sentenza che chiude il processo
davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore
dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa128. La
liquidazione degli onorari a carico del soccombente è fatta dal giudice in base
alla tariffa129, entro i limiti del minimo e del massimo130, tenuto conto della
gravità e del numero delle questioni trattate.
Esiste poi l’onorario a carico del cliente che è sempre dovuto
all’avvocato indipendentemente dalle statuizioni dell’autorità giudiziaria131.
Nella prassi, tale onorario è spesso eccedente rispetto all’ammontare liquidato
dal giudice stesso a carico del soccombente dal momento che l’avvocato, nel
determinarlo, può tenere conto anche dei risultati del giudizio e dei vantaggi
121
Cfr. artt. 7 e 37 cod. deont.: va notato che tale dovere si estrinseca, fra l’altro, nell’astensione
dell’avvocato dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi del
proprio assistito, nonchè, più in generale, dal compiere atti contrari all’interesse di quest’ultimo.
122Cfr. art. 10 cod. deont.: l’avvocato ha il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la
propria libertà da pressioni e condizionamenti esterni.
123 Cfr. art. 12 cod. deont.: tale dovere vieta all’avvocato di accettare incarichi che sappia di non poter
svolgere con adeguata competenza.
124 Cfr. art. 13 cod. deont.
125 In particolare, Cfr. l’art. 1 della legge 3 agosto 1949, recante “Tariffe forensi in materia penale e
stragiudiziale e sanzioni disciplinari per il mancato pagamento dei contributi previsti dal decreto legislativo
luogotenenziale 23 novembre 1944 n. 382” per quanto riguarda l’iter formativo delle tariffe in materia
penale e stragiudiziale e l’art. 1 della legge 7 novembre 1957 n. 1051, recante “Determinazione degli
onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali in materia
civile” relativamente all’attività civile. Va altresì ricordato che le tariffe forensi, precedentemente, erano
contenute in tabelle allegate alla legge (Cfr. al riguardo, l’art. 1 della legge 13 giugno 1942 n. 794, recante
“Onorari di avvocato e procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile”).
126 Cfr. art. 58, comma 2, r.d.l. n. 1578/1933.
127 Cfr. art. 59, comma 2, r.d.l. n. 1578/1933.
128 Cfr. art. 91 cod.proc. civ. e art. 60, r.d.l. n. 1578/1933. Al riguardo deve osservarsi che la liquidazione a
carico del soccombente rientra nella competenza esclusiva e inderogabile del giudice della causa, tant’è che
quest’ultimo incorre nel vizio di omessa pronuncia se non provvede, dopo aver pronunciato condanna nelle
spese, a liquidarle (Cass. 12297/93, 107/82).
129 Cfr. art. 60, comma 1, r.d.l. n. 1578/1933 e Cass. 3989/93.
130 Cfr. art. 60, comma 4, r.d.l. n. 1578/1933. Tuttavia, nei casi di eccezionale importanza, in relazione alla
specialità delle controversie, quando il pregio intrinseco dell'opera lo giustifichi, il giudice può oltrepassare
il limite massimo. Quest'ultimo può, altresì, liquidare l'onorario in misura inferiore al minimo quando la
causa risulti di facile trattazione. In questi casi, la decisione del giudice deve essere motivata.
131 Cfr. art. 2, d.m. n. 585/1994.
78
anche non patrimoniali conseguiti132. Anche l’onorario a carico del cliente,
infine, può essere determinato secondo la tariffa133.
58. Il d.m. 5 ottobre 1994 n. 585 costituisce il regolamento recante
l'approvazione dell'ultima delibera del consiglio nazionale forense al riguardo134.
Relativamente ai minimi, va osservato che essi, di regola, sono
inderogabili135. Soltanto se, per particolari circostanze del caso, appaia una
manifesta sproporzione fra le prestazioni rese e l’onorario previsto dalle tabelle,
i minimi possono essere diminuiti, a condizione però che la parte esibisca il
parere del competente consiglio dell’ordine. I massimi, nelle stesse ipotesi,
possono essere aumentati anche di oltre il doppio, potendo arrivare nelle cause
di straordinaria importanza anche fino al quadruplo del livello stabilito136.
59. Secondo il consiglio nazionale forense, il patto, ex art. 2233 c. c.,
rimane la fonte primaria di determinazione del compenso, mentre la tariffa, oltre
ad essere applicata in via suppletiva, avrebbe in ogni caso una valore
meramente indicativo. Inoltre, detto consiglio rileva che la tariffa minima
obbligatoria, in Italia, è indispensabile considerato l’obbligo del giudice di
determinare e liquidare spese e onorari di causa a carico del soccombente
secondo il citato art. 91 c. p. c.137.
60. Il codice deontologico, dal canto suo, prevede per gli avvocati anche
la possibilità di concordare onorari forfettari in caso di prestazioni continuative
di consulenza ed assistenza, purchè non violino i minimi inderogabili di
legge138.
3.2.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
132
Cfr. art. 5, comma 3, dm. n. 545/1994. L’esistenza di detta eccedenza appare desumersi anche dall’art.
61, comma 2, r.d.l. n. 1578/1933, secondo cui l’onorario dell’avvocato nei confronti del proprio cliente “in
relazione alla specialità della controversia o al pregio o al risultato dell’opera prestata, può essere anche
maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese”. La giurisprudenza, dal canto suo,
ha stabilito che “la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalla liquidazione
contenuta nella sentenza di condanna del soccombente al pagamento delle spese e onorari di causa, per cui
solo la inequivoca rinuncia del legale al maggiore compenso può impedirgli di pretendere onorari maggiori e
diversi di quelli liquidati in sentenza” (Cass. n. 11448/1992); E ancora “l’avvocato può pretendere, nei
confronti del cliente, onorari diversi e maggiori di quelli liquidati in sentenza, quando le sue prestazioni
personali giustifichino tale pretesa” (Cass. n. 1479/1969).
133 Cfr. art. 61, comma 1, r.d.l. n. 1578/1933.
134 Risulta al proposito che gli aumenti previsti dalla nuova tariffa vanno dal 25% circa al 300% per alcune
voci e riguardano solo i minimi, al fine di eliminare la significativa differenza esistente in precedenza tra
minimo e massimo. L’art. 5, comma 3, del citato decreto, stabilisce il cd diritto d’urgenza “per l’incarico
conferito nell’imminenza dell’attività da compiere ovvero quando l’andamento del procedimento esiga,
comunque, il compimento di un atto imprevisto e urgente”.
135 Cfr. art. 24 della citata legge n. 794/1942, e successive modificazioni, sostituito dal vigente art. 4,
comma 1, d.m. 585/1994.
136 Cfr. art. 5, comma 3, d.m. 585/1994.
137 Cfr. memoria di tale consiglio depositata in occasione dell’audizione del 26 maggio 1995.
138 Cfr. art. 43, IV°, cod. deont.
79
i)il divieto di prestare l'attività in qualità di dipendente di enti o imprese
61. Alcune categorie di avvocati-dipendenti possono essere iscritti
nell’albo o in elenchi annessi ed esercitare, in alcuni casi limitatamente, la
professione o non esercitarla affatto.
Al proposito, bisogna distinguere le seguenti categorie: a) gli avvocati
dipendenti di enti pubblici possono essere iscritti nell’elenco speciale annesso
all’albo e possono esercitare limitatamente alle cause e agli affari cui sono
addetti139; b) i professori e gli assistenti universitari a tempo definito e i
professori degli istituti secondari possono essere iscritti nell'albo in virtù di
espressa deroga prevista dalla legge che ne esclude la incompatibilità e dunque
esercitare140; c) i professori universitari a tempo pieno sono iscritti in un altro
elenco speciale annesso all’albo, ma tale regime è incompatibile con lo
svolgimento della professione141.
62. Esiste poi una limitazione posta all'iscrizione all'albo o in elenchi
annessi- e quindi l'impossibilità di svolgere attività di rappresentanza giudiziale
- per soggetti i quali, pur abilitati all'esercizio della professione, rivestono la
qualifica di lavoratori dipendenti all'interno di enti o imprese private.
Sulle problematiche concernenti il divieto di prestare l'attività in qualità
di dipendente di enti o imprese, si rimanda a quanto esposto diffusamente nel
capitolo ottavo.
ii) circolazione in ambito comunitario e limitazioni territoriali
63. Gli avvocati godono del diritto di libera prestazione dei servizi e di
stabilimento all’interno dell’Unione Europea142. Il primo si riferisce
all’esercizio in modo temporaneo e occasionale dell’attività in un altro Stato
membro, mentre il diritto di stabilimento riguarda la possibilità di esercitare in
modo continuo e permanente in un Paese dell’Unione diverso da quello di
origine.
139
140
Cfr. art. 3, ultimo comma, lett. b), r.d.l. n. 1578/1933
Cfr. art. 3, ultimo comma, lett. a), r.d.l. n. 1578/1933 e art. 11, comma 4, lett. b), d.p.r. 11 luglio 1980 n.
382, recante “Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè
sperimentazione organizzativa e didattica”.
141 Cfr. art. 11, commi 5 e 6, d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, secondo cui “Il regime a tempo pieno è
incompatibile con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza esterna e con
l’assunzione di qualsiasi incarico retribuito (...) .I nominativi dei professori ordinari che hanno optato per
il tempo pieno vengono comunicati, a cura del rettore, all’ordine professionale al cui albo i professori
risultino iscritti al fine della loro inclusione in un elenco speciale”.
142 La professione di avvocato, infatti, non può ricomprendersi tra le attività che partecipano “...sia pure
occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri” ai sensi del citato articolo 55, comma 1, del Trattato CEE:
Cfr. Tizzano, La libera circolazione dei servizi nella CEE, in Professioni e servizi nella CEE, Padova, 1985,
50ss; L. Mercati, Esercizio delle attività di avvocato, procuratore, investigatore privato e broker nella CEE.
Al riguardo, la citata sentenza della Corte di Giustizia del 1974, caso Reyners, ha escluso la possibilità di
interpretare tale norma in modo estensivo, affermando che “in considerazione del carattere fondamentale,
nel sistema del Trattato, della libertà di stabilimento e della norma sul trattamento nazionale, le deroghe
consentite dall’art. 55, comma 1, non possono assumere una rilevanza che vada oltre il fine per cui questa
clausola eccezionale è stata inserita nel Trattato stesso” (par. 42/44).
80
64. Il diritto di libera prestazione di servizi in ambito ambito comunitario
è stato previsto per gli avvocati dalla direttiva del consiglio del 22 marzo 1977
n. 249, recepita nel nostro ordinamento con legge 9 febbraio 1982 n. 31.
Quest’ultima ammette i cittadini degli Stati membri in possesso di alcune
riconosciute qualifiche professionali ad esercitare l’attività di avvocato in sede
giudiziale e stragiudiziale a determinate condizioni e con carattere di
temporaneità143.
65. Più recentemente, per effetto del decreto legislativo 27 gennaio 1992
n. 115 (“Attuazione della Direttiva CEE n. 48/89, relativa ad un sistema
generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano
formazioni professionali di una durata minima di tre anni”) per gli avvocati
provenienti da un altro Stato membro è inoltre riconosciuto la possibilità di
esercitare in modo continuo e permanente la professione in Italia.
66. Come viene più diffusamente illustrato nel capitolo settimo della
presente indagine, il decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 115 è intervenuto a
disciplinare il riconoscimento in Italia dei titoli professionali e assimilati
rilasciati da uno Stato membro dell'Unione Europea e la relativa procedura di
riconoscimento. In particolare, il decreto prevede che quando siano rispettate
determinate condizioni non può essere negato l’accesso al professionista di un
altro Paese membro, ma al più possono essere applicate determinate misure
compensative o di adattamento. Queste ultime, nel caso della professione
forense, si sostanziano nel superamento di una prova attitudinale, consistente in
un esame volto ad accertare le conoscenze tecnico-professionali e
deontologiche e a valutare la capacità all'esercizio della professione144. In caso
di esito sfavorevole, la prova può essere ripetuta non prima di sei mesi.
143
In particolare, la legge n 31/1982 prevede all’art. 2, comma 2, che agli avvocati degli stati membri “non
è consentito stabilire nel territorio della Repubblica uno studio nè una sede principale o secondaria”. Al
riguardo, la Corte di Giustizia, chiamata dal consiglio nazionale forense italiano a pronunciarsi in via
pregiudiziale sulla compatibilità di tale disposizione con la disciplina stabilita dalla citata direttiva 77/249,
ha precisato, con sentenza del 30 novembre 1995, che la temporaneità della prestazione non esclude che
l’avvocato-prestatore di servizi in uno Stato membro diverso dal proprio possa dotarsi, nello Stato ospitante,
di una determinata infrastruttura (ivi compreso un ufficio o uno studio), qualora essa sia necessaria al
compimento dell’attività.
Passando poi a considerare alcune altre condizioni alle quali è subordinata la prestazione di servizi
da parte del professionista estero, merita ricordare l’osservanza delle vigenti norme legislative e
deontologiche ad eccezione di quelle riguardanti “il requisito della cittadinanza italiana, il possesso del
diploma di laurea in giurisprudenza, il superamento dell’esame di Stato, l’obbligo della residenza nel
territorio della Repubblica, l’iscrizione nell’albo e il giuramento” (art 4). Ancora, nell’esercizio dell’attività
relativa alla difesa nei giudizi civili, penali ed amministrativi, le prestazioni connesse con l’incarico debbono
essere svolte dall’avvocato di un altro Paese membro “di concerto con un avvocato iscritto all’albo ed
abilitato all’esercizio della professione dinanzi all’autorità adita” (art 6).
144 Anche nelle normative degli altri Paesi membri, il riconoscimento risulta subordinato prevalentemente al
superamento della prova attitudinale, e quindi alla conoscenza del diritto dello Stato ospitante: Cfr. al
riguardo, Cagnani, Attuazione della direttiva CEE n. 89/48 del 21/12/1988 nei Paesi della Comunità.
Situazione attuale e prospettive, in Avvocato in Europa, Atti del XXI Congresso Nazionale Giuridico
Forense, Milano, 1993, 27ss.
81
Quanto alla procedura per ottenere il riconoscimento, il richiedente deve
presentare una domanda di riconoscimento, corredata della necessaria
documentazione, sulla quale è competente a pronunciarsi il Ministro di Grazia e
Giustizia, ai sensi dell'art. 11 del citato decreto. Quindi, superata la prova
attitudinale, che, ai sensi dell’art. 15 del decreto, si svolge presso il consiglio
nazionale forense e viene da questo organo valutata, è emanato il decreto di
riconoscimento del titolo che attribuisce al beneficiario il diritto di accedere alla
professione e di esercitarla, “nel rispetto delle condizioni richieste dalla
normativa vigente ai cittadini italiani, diverse dal possesso della formazione e
delle qualifiche professionali” ai sensi dell'art. 13 del medesimo decreto.
67. Al riguardo, va comunque rilevato che, ad oggi, le richieste di
riconoscimento dei titoli da parte di avvocati stranieri per poter esercitare in
Italia costituiscono un fenomeno limitato145.
iii) il divieto di pubblicità
68. Circa la pubblicizzazione dell'attività dei professionisti forensi in
Italia, il divieto di pubblicità personale viene ricondotto ad alcune norme
deontologiche contenute nel r.d.l. n. 1578/1933 che impongono al
professionista la dignità e il decoro nell'adempimento delle funzioni (art. 12) e
lo sottopongono a procedimento disciplinare ove non abbia osservato i
menzionati obblighi di dignità e decoro nell'esercizio della professione (art. 38).
Non esiste, tuttavia, una norma di legge che vieti specificamente ai
professionisti di pubblicizzare l'attività svolta146.
69. A livello di codice deontologico, poi, viene previsto il divieto di
qualsiasi forma di pubblicità dell’attività professionale, ad eccezione delle
indicazioni, nella carta da lettera e negli elenchi, relative ai propri rami di
attività e, per gli assistiti e i colleghi, all’organizzazione dell’ufficio e
dell’attività147. Inoltre, nei rapporti con la stampa e con gli altri media,
l’avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare
dichiarazioni e interviste, sia per il rispetto dei doveri di discrezione e
riservatezza verso la parte assistita, sia per evitare atteggiamenti concorrenziali
verso i colleghi. In ogni caso, costituisce violazione della deontologia
“perseguire fini pubblicitari anche mediante contributi indiretti ad articoli di
stampa; enfatizzare le proprie prestazioni o i propri successi; spendere il nome
145
146
Cfr. audizione del consiglio nazionale forense del 26 maggio 1995.
Vale la pena di ricordare che anche per gli avvocati stranieri, che svolgano in Italia prestazioni
stragiudiziali, è previsto dall’art. 7 della citata legge n. 31/1982, attuativa della direttiva CEE 77/249, che
gli stessi “sono tenuti all’osservanza delle norme che garantiscono il corretto esercizio dell’attività
professionale e la dignità della professione, ivi comprese le norme riguardanti (...) il divieto di pubblicità”.
147 Cfr. art. 17.
82
dei clienti; offrire servizi professionali; intrattenere rapporti con gli organi di
informazione e di stampa al solo fine di pubblicità personale”148.
3.2.6 confronto internazionale
i) accesso
70. Nell’ambito dell’Unione Europea, l’iter formativo per accedere
all’esercizio della professione di avvocato varia anche sensibilmente149.
Relativamente alla formazione di base, in tutti gli stati membri è
necessaria una laurea in giurisprudenza - che ha una durata minima che varia da
3 anni (Inghilterra) a 5 anni (Belgio, Danimarca, Portogallo e Spagna) - ad
eccezione del Regno Unito e dell’Irlanda, dove non è obbligatorio conseguirla,
essendo previsti percorsi formativi di base alternativi, quali, ad esempio, altri
tipi di laurea o corsi di formazione professionale, di varia durata, che si
concludono con il superamento di esami sostenuti direttamente presso le
associazioni professionali. In ogni caso, anche in tali Paesi, risulta che la
maggior parte degli aspiranti avvocati consegue una laurea in giurisprudenza.
71. Passando alla formazione professionale, può distinguersi la
previsione di corsi teorico-pratici di formazione e quella di un praticantato in
senso stretto o stage. In alcuni Stati, le due forme sono effettuate
contestualmente e miscelate tra loro, come in Germania e in Olanda. E’
interessante segnalare che la formazione post-universitaria, mentre di regola
riguarda specificamente la professione forense, in Germania è comune a tutte le
professioni giuridiche (avvocato, notaio e giudice) e si conclude con un unico
esame di Stato, superato il quale coloro che intendono esercitare l’avvocatura
possono iscriversi all’ordine degli avvocati.
La Spagna è l’unico Stato membro che non prevede alcun tipo di
praticantato. In alcuni Stati, il praticante è retribuito dal proprio tutor (Francia,
Inghilterra) ovvero dalla propria regione (Bundesland) di appartenenza come
funzionario statale (Germania).
L’autorità che presiede all’organizzazione, allo svolgimento e al
controllo dei percorsi formativi professionali è, nella stragrande maggioranza
dei casi, l’ordine o associazione professionale.
72. Terminato il praticantato, la legislazione di alcuni Stati membri non
richiede alcun esame di abilitazione per iscriversi all’albo, come nel Regno
Unito, in Belgio, in Danimarca.
148
149
Cfr. art. 18.
Va subito rilevato che nel Regno Unito, esistono due diverse figure: il solicitor e il barrister (advocate in
Scozia). Il primo svolge prevalentemente attività stragiudiziale, incarica, su mandato del cliente, il barrister
dello svolgimento di attività giudiziale, preparando eventualmente il caso, nonchè le funzioni che in altri
Paesi spettano ai notai; il secondo, invece, svolge attività giudiziale e patrocina in via esclusiva davanti alle
giurisdizioni superiori.
83
ii) le tariffe
73. A livello comunitario, esiste senz’altro una maggiore libertà sotto il
profilo tariffario rispetto all’Italia. Nella tabella che segue vengono riportati i
regimi in proposito esistenti nei vari Paesi membri:
Tabella 11-Sistemi tariffari in Europa
Paesi
Tariffe
Tariffe
Concorrenza
Concorrenza
vincolanti
indicative
limitata
piena
Italia
X
Germania
X
Inghilterra
solicitor
X
barrister
X
Spagna
X
Belgio
X
Danimarca
X
Paesi Bassi
X
Francia
X
Lussemburgo
X
Portogallo
X
Fonte: Avvocato in Europa, Atti del XXI Congresso Nazionale Giuridico Forense, Milano,
1993.
Dalla tabella emerge che solo in Italia, in Germania e nel Regno Unito,
limitatamente all’attività del barrister, esiste una regolamentazione che prevede
tariffe vincolanti per le prestazioni rese dagli avvocati.
In particolare, in Germania le tariffe sono stabilite dalla legge ed è
vietato praticare prezzi al di sotto dei minimi, mentre le parti possono stabilire
compensi superiori mediante patto. Analogamente, nel Regno Unito i prezzi
delle prestazioni del barrister sono fissati dalla legge o da provvedimenti delle
Corti.
Esistono poi altri Paesi, Spagna e in Belgio, dove invece i Consigli degli
ordini possono stabilire tabelle di onorari che hanno carattere meramente
orientativo.
Per una terza categoria di Paesi, Olanda e Danimarca, si riscontra la
coesistenza del principio della libertà di determinazione del compenso con la
previsione di tariffe, essenzialmente da parte degli organismi professionali, per
talune prestazioni soltanto (situazione che viene giudicata come concorrenza
limitata nella tabella 11).
Infine in Francia e nel Regno Unito, limitatamente all’attività del
solicitors, non sono previste tariffe e il compenso viene stabilito liberamente
dalle parti150. In particolare, in Francia, nel 1984, la Commission de la
150 Cfr. per la Francia l’art. 10 della legge 13 dicembre 1971 n. 71-1130, secondo cui “Les honoraires de
consultation e de plaidoire sont fixès d’accord entre l’avocat et son client”, seppure con il divieto a pena di
nullità del relativo patto, risultante dal secondo comma di tale articolo, di fissare preventivamente l’onorario
in funzione del risultato ottenuto. In questo paese, esistono, poi, controlli successivi al raggiungimento
84
Concorrence e des prix ha considerato le tariffe adottate da alcuni organismi
professionali in violazione della libertà di concorrenza, vietandone
l’applicazione151.
iii) il divieto di pubblicità
74. A livello comunitario, le regole al riguardo esistenti derivano
generalmente dall’autoregolamentazione delle singole professioni. Va subito
rilevato che in numerosi Paesi membri è possibile pubblicizzare, seppure entro
determinati limiti e controlli, le attività forensi152.
La tabella che segue mette in luce l’estensione del ricorso alla pubblicità,
distinguendo i Paesi nei quali l’utilizzo di tale strumento è decisamente limitato
e non regolamentato (Italia, Spagna), e quelli in cui l’utilizzo è ammesso entro
limiti più ampi (specializzazioni, attività dominanti, altre indicazioni purchè
veritiere e non comparative) e regolamentato o autoregolamentato (Germania,
Belgio, Francia, Regno Unito, Danimarca, Svezia).
dell’accordo tra avvocato e cliente, effettuati dal presidente del consiglio dell’ordine, al quale le parti
possono chiedere una valutazione delle prestazioni eseguite e la conseguente fissazione dei criteri di
determinazione dell’onorario, ovvero dell’autorità giudiziaria, nel caso di contestazione del provvedimento
emesso dal suddetto presidente. Dalle suindicate attività di controllo sarebbe derivato, nel corso del tempo, il
consolidarsi di una serie di criteri cui gli avvocati possono attenersi, evitando in tal modo il pericolo di
essere soccombenti in caso di di contestazioni da parte dei clienti: Cfr. al riguardo Avvocato in Europa, Atti
del XXI Congresso Nazionale Giuridico Forense, Milano, 1993, 140. Sulla base di tale documentazione,
pertanto, sembrerebbe non esistere un potere del giudice francese di determinazione e liquidazione delle
spese e degli onorari processuali analogamente a quel che avviene invece in Italia.
151 Cfr. Avvocato in Europa, 140, cit.
152 I dati risultanti sul punto derivano, oltre che dalla menzionata pubblicazione Avvocato in Europa, Atti del
XXI Congresso Nazionale Giuridico Forense, anche dalle informazioni raccolte dal Professor Schiano di Pepe in qualità
di consulente dell’Autorità per la presente indagine.
85
Tabella 12-Utilizzo della pubblicità da parte degli avvocati in Europa
libertà di
Paesi
Divieto di
Specializzazioni
pubblicità
pubblicità
attività
dominanti
Italia
X
Germania
X
Inghilterra
solicitor
X
barrister
X
Spagna
X
Belgio
X
Danimarca
X
Svezia
X
Francia
X
Fonte: consiglio nazionale forense.
In Italia la pubblicità, nei fatti, è limitata all’esposizione dei titoli
accademici, mentre non risulta disciplinata l’indicazione delle specializzazioni e
delle attività prevalenti, ancorchè la categoria stessa, come visto, sia propensa
ad ammettere tali forme pubblicitarie. Il divieto, inoltre, è ricondotto alle sopra
menzionate norme di legge e deontologiche.
In Spagna, una norma del Codigo Deontològico de la Abogacìa
Espanola vieta qualsiasi forma di pubblicità e la violazione della stessa è
sanzionabile.
In Germania, invece, l’avvocato può informare i consumatori in merito
alle proprie specializzazioni (ossia alla particolare conoscenza di un settore),
qualifiche, incarichi e riconoscimenti ottenuti: non è tuttavia ammessa
l’indicazione del volume di affari e delle cause vinte, nè la diffusione dei nomi
dei clienti se non a condizioni che vi sia al riguardo il consenso degli stessi.
Possono invece essere indicati i nomi dei colleghi e collaboratori di studio. Al
riguardo, presso i Consigli dell’ordine è costituita un’apposita commissione per
verificare la competenza specifica dell’avvocato.
In Belgio, talune specializzazioni - quali il diritto comunitario,
amministrativo e societario - possono essere enunciate dopo un anno di pratica
o in base a pubblicazioni specifiche, purchè previamente controllate dagli
organismi professionali: al riguardo, può rilevarsi che presso questi ultimi è
tenuto un registro delle specializzazioni.
In Francia, un decreto applicativo della citata legge del ‘90 di riforma
della professione stabilisce in generale che la pubblicità è ammessa nella misura
in cui offre al pubblico una necessaria informazione. Specificando, la legge
dispone che tale pubblicità deve essere contenuta e contenere informazioni
esatte, in modo che essa non comporti pregiudizio al decoro della professione.
Il consiglio dell’ordine, sempre per legge, prepara un annuario/carta dei servizi
(in francese: plaquette type) per gli avvocati al fine di presentare agli utenti i
limiti entro cui la pubblicità stessa è autorizzata. Inoltre, gli avvocati possono
essere autorizzati, sempre a determinate condizioni, ad indicare i propri campi
86
di specializzazione. Coerentemente con tali regole, l’ordine degli avvocati di
Parigi ha stabilito, mediante regolamento, alcune norme sulla pubblicità in
generale. Inoltre, la giurisprudenza francese in proposito ha ammesso la
legittimità dell’indicazione da parte degli avvocati delle cd activitès
dominantes, ossia delle attività svolte in misura predominante rispetto ad altri
settori, le quali risultano anche dagli annuari pubblici conservati dai singoli
consigli.
Anche nel Regno Unito, dove il solicitor può farsi pubblicità, esistono
elenchi di specializzazioni presso gli organismi professionali. Il barrister,
invece, è soggetto a limiti rigorosi relativamente all’utilizzo dello strumento
pubblicitario.
Infine nei Paesi del Nord Europa la pubblicità è ammessa in tutte le
forme purchè vengano rispettate alcune condizioni generali e cioè,
sostanzialmente, che il messaggio sia veritiero, non contenga il nome dei clienti
e non consista in una pubblicità comparativa.
3.2.7 conclusioni
75. La tabella che segue sintetizza quanto precedentemente esposto con
riguardo alla regolamentazione dell’attività, riservata e non, svolta dagli
avvocati: entrambi i tipi di attività risultano caratterizzati dalle stesse forme di
selezione all’entrata e di regolamentazione dei prezzi, nonchè dal vincolo al
non utilizzo dello strumento pubblicitario; l’attività di assistenza giudiziale, poi,
è ulteriormente regolata sia sotto il profilo delle caratteristiche del servizio che
dello status dei soggetti ammessi ad esercitarla.
Tabella 13-Principali forme di regolamentazione dell’attività forense
entrata
requisiti soggettivi
a) laurea in giurisprud.;
c) praticantato;
d) esame di abilitazione
standard di qualità
minima del servizio di
assistenza giudiziale
requisiti relativi agli atti
a) formali
tariffe
minime e massime
derogabili
altre forme di
(auto)regolamentazione
divieto di pubblicità
divieto
di
esercizio
dell’attività di assistenza
giudiziale
per
i
dipendenti di enti o
imprese
requisiti
relativi
ai
rapporti con la clientela:
a) obbligo di lealtà e
probità;
b) obbligo di fedeltà;
c) terzietà.
76. Nel valutare l’adeguatezza di tale sistema regolamentativo, è utile
mantenere distinte le attività non riservate da quelle riservate, sottolineando che
esso appare per le une non necessario e per le altre comunque sproporzionato.
87
Sotto il primo profilo infatti, deve essere considerato che l’ambito di
riserva attribuito ad una categoria individua quelle attività la cui rilevanza
pubblica giustifica un attento controllo su coloro che le esercitano. Pertanto,
predisporre l’applicazione della medesima regolamentazione ad attività che il
legislatore ha escluso dalla riserva non è funzionale al perseguimento di alcun
interesse pubblico e può tradursi invece in uno svantaggio per coloro che
esercitano in qualità di avvocati attività che sono libere.
In particolare, si consideri che gli avvocati competono sia con altri
professionisti, differentemente regolamentati, che con operatori non soggetti ad
alcuna forma di regolamentazione, quali le società di consulenza o gli stessi
giuristi d’impresa e che tali soggetti appaiono beneficiare di una crescente
presenza sul mercato. Tali circostanze conducono a ritenere che la
regolamentazione dell’attività extra-giudiziale, e in particolare la
predisposizione di tariffari, non risulti necessaria al perseguimento di fini di
interesse pubblico e che, invece, possa tradursi per gli stessi avvocati in uno
svantaggio concorrenziale nei confronti di operatori maggiormente liberi di
adeguare le caratteristiche, anche di prezzo, dell’offerta a quelle della domanda.
Peraltro, in tutti i Paesi considerati, con l’unica eccezione della
Germania, non esistono tariffe vincolanti delle prestazioni extra-giudiziali: più
specificamente, nella maggior parte dei casi, il prezzo di tali servizi è lasciato
alla libera determinazione del mercato.
Nè, con l’eccezione della Spagna, in tali Paesi risulta vietato l’utilizzo
dello strumento pubblicitario.
77. Con riferimento all’attività di assistenza giudiziale, poi, la tabella
precedente mette in evidenza l’esistenza di una pluralità di strumenti di
regolamentazione utilizzati per assicurare il medesimo obiettivo, ovvero la
qualità del servizio, che rendono l’assetto regolamentativo sproporzionato
rispetto alla tutela degli interessi pubblici su cui incide la professione.
Deve infatti essere considerato che oltre ai requisiti all’accesso, in
considerazione degli effetti esterni della funzione di rappresentanza e assistenza
giudiziale svolta dagli avvocati, il legislatore ha fissato degli standard di qualità
minima del servizio accompagnandoli alla previsione di sanzioni in caso di
inosservanza. Ciò riduce il rischio per il consumatore dell’imperizia e dei
comportamenti opportunistici da parte del professionista e rende superflua
l’introduzione di ulteriori strumenti di regolamentazione, quali la fissazione di
tariffe omogenee o l’imposizione del divieto di farsi pubblicità.
78. A ciò si aggiunga che con specifico riferimento al concreto utilizzo
del principale tra tali strumenti, la selezione all’entrata, esistono elementi per
dubitare che le attuali modalità di accesso siano effettivamente idonee a
garantire la qualificazione dei professionisti. In particolare, poichè la disparità
degli esiti degli esami di abilitazione tra sedi non appare credibilmente poter
essere riferita a differenze di preparazione tra i candidati, è ragionevole
88
chiedersi in che misura l’attuale meccanismo di selezione tuteli in concreto
l’interesse dei consumatori a ricevere prestazioni professionali tecnicamente
adeguate. Pertanto, l’accoglimento in sede legislativa delle proposte contenute
nel disegno di legge n. 4115, concernenti la previsione della sede unica e di
criteri uniformi di valutazione dei candidati, potrebbe rappresentare la soluzione
idonea a favorire un accertamento paritario delle capacità professionali degli
operatori.
79. Nella medesima direzione si è peraltro posta la recente introduzione
delle scuole di specializzazione in luogo del tirocinio. La frequenza di una
scuola, infatti, quale requisito sostitutivo dell’attuale praticantato, da un lato
rappresenta un canale alternativo per acquisire una preparazione specifica
professionale, dall’altro appare più idonea a fornire effettivamente una
formazione pratica ai laureati rispetto al praticantato stesso, nel corso del quale
l’acquisizione di detta formazione è rimessa esclusivamente alla volontà del
titolare dello studio. In tal senso, il diploma potrebbe costituire, de iure
condendo, titolo direttamente abilitante all’esercizio della professione.
80. Con particolare riferimento alla fissazione di tariffe inderogabili, si
sostiene che essa trovi la propria ragion d’essere nel perseguimento delle
finalità pubbliche connesse all’esercizio della professione forense ovvero che
essa sia funzionale alla liquidazione giudiziale delle spese e onorari di causa a
carico del soccombente, il quale non deve essere trovarsi esposto al rischio del
pagamento di somme eccessivamente gravose.
Al riguardo, si osserva che, se la tariffa avesse effettivamente solo
quest’ambito applicativo, non sarebbe discutibile sia perchè diretta alla tutela
dell’interesse pubblico di tutela del consumatore-soccombente nel processo, sia
perchè avrebbe una portata estremamente limitata. Peraltro, nella liquidazione
effettuata dal giudice non opera il principio dell’inderogabilità, godendo lo
stesso di ampi margini di discrezionalità nella determinazione concreta delle
somme.
La restrittività della tariffa viene invece in rilievo nell’estensione della
stessa oltre tale ambito, ed in particolare quando investe più in generale i
compensi non stabiliti dal giudice, e dovuti dal cliente all’avvocato sia in
materia giudiziale che stragiudiziale.
Infine, va messo in luce che la fissazione di una tariffa, ove quest’ultima
fosse funzionale al perseguimento di interessi pubblici, non dovrebbe essere
lasciata alla prevalente, e dunque determinante, volontà dell’ordine, attribuendo
ai pubblici poteri una funzione di mero controllo di legittimità, quanto piuttosto,
più coerentemente, dovrebbe essere affidata innanzitutto al regolamentatore
pubblico.
89
appendice statistica
notai
Tabella a1-Domanda di servizi notarili per tipologia e distretto di Corte d’Appello 1993
Corti
società
vendite
vendite
mutui
altro
totale
d'Appello
immobili autoveicoli
Ancona
7528
23186
150384
9527
88288
278913
Bari
6312
32166
153017
11539
91758
294792
Bologna
30547
69726
527122
29287
288701
945383
Brescia
14408
38959
281271
15414
163688
513740
Cagliari
5883
26114
144111
12742
61157
250007
Caltanisetta
712
8859
24706
1608
13883
49768
Campobasso
759
7758
20008
921
13622
43068
Catania
5479
34454
149092
10555
78930
278510
Catanzaro
1917
24820
105733
4301
45982
182753
Firenze
22088
57154
505776
24305
243246
852569
Genova
10534
38377
184027
12634
133255
378827
L'Aquila
4371
20641
111773
7344
59776
203905
Lecce
3795
26678
111570
8247
63166
213456
Messina
1882
12364
44518
3562
30761
93087
Milano
54416
118157
1049503
66113
459823
1748012
Napoli
17128
42637
298763
14896
152294
525718
Palermo
5521
37857
152372
11634
89318
296702
Perugia
3872
13527
84167
4554
39427
145547
Potenza
1019
7027
40226
2126
22421
72819
Reggio Cal.
464
2764
22954
703
10701
37586
Roma
29856
82548
619528
51033
397334
1180299
Salerno
3520
7206
53356
2462
35293
101837
Torino
39529
100683
622513
50809
376529
1190063
Trento
4355
17574
110128
7918
59854
199829
Trieste
4527
22855
122351
9522
78754
238009
Venezia
30684
79763
529374
30311
231958
902090
totale
311106
953854
6218343
404067
3329919 11217289
Fonte: ISTAT, annuario statistico, 1994.
90
Tabella a2-Numero di notai e sedi notarili per distretto di Corte d’Appello
Corti d'Appello
sedi nel 1997
notai nel 1996
sedi nel 1986
sedi nel 1976
Ancona
132
113
126
124
Bari
200
181
197
188
Bologna
437
393
414
392
Brescia
238
207
221
203
Cagliari
106
78
104
99
Caltanisetta
44
40
46
46
Campobasso
27*
Catania
171
154
167
165
Catanzaro
95
111
142
139
Firenze
360
325
343
325
Genova
219
194
220
221
L'Aquila
111
101
121
118
Lecce
123
101
119
109
Messina
57
53
56
56
Milano
617
551
573
510
Napoli
314
317
334
390
Palermo
196
187
205
200
Perugia
72
61
68
62
Potenza
47
35
49
50
Reggio Calabria
43**
Roma
571
535
563
542
Salerno
72
64
70
Torino
498
350
519
506
Trento
80
56
76
68
Trieste
118
95
113
106
Venezia
364
316
338
313
totale
5312
4618
5184
4932
*Nel 1986, Napoli includeva l’attuale Distretto di Corte d’Appello di Campobasso.
**Nel 1986, Catanzaro includeva l’attuale Distretto di Corte d’Appello di R. Calabria.
Fonti: d.p.r. 14 gennaio 1976, n. 5, d.p.r. 4 agosto 1986, n. 651, il decreto del 1997 è in
attesa di registrazione; Annuario del Notariato Italiano, 1996
91
avvocati
Tabella a3-Iscritti alla Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza per regioni
Regioni
avvocati iscritti
avvocati iscritti
1988
1995
Valle D’Aosta
45
63
Piemonte
1.931
2.993
Lombardia
5.149
8.694
Liguria
1.396
2.205
Trentino
336
542
Veneto
1.686
3.112
Friuli Venezia Giulia
536
850
Emilia Romagna
2155
3.903
Toscana
2.163
3.353
Umbria
431
712
Marche
738
1.332
Lazio
4.803
7.959
Abruzzo
740
1342
Molise
164
310
Campania
3.768
6388
Puglia
2.884
4732
Basilicata
340
527
Calabria
1.094
2.001
Sicilia
3.324
4.982
Sardegna
664
1.128
TOTALE
34.348
57.128
Fonte: Ipsoa, op. cit.
92
Tabella a4-Avvocati abilitati per sedi di esame - sessione 1994
Corti
domande partecipanti
ammessi
idonei
d'Appello
prove scritte prove orali
% vincitori
/partecipanti
prove scritte
Ancona
558
507
358
346
68,2
Bari
1.193
1.188
738
736
61,9
Bologna
1.387
1.220
488
447
36,6
Brescia
452
373
111
105
28,1
Cagliari
468
441
63
62
14,0
Caltanisetta
143
134
106
105
78,0
Campobasso
253
240
99
99
41,2
Catania
678
643
384
349
54,2
Catanzaro
1.257
1.108
947
894
80,7
Firenze
1.047
856
414
372
43,4
Genova
694
545
204
196
36,0
L'Aquila
684
625
331
299
47,8
Lecce
1.084
929
368
359
38,6
Messina
270
258
162
160
62,0
Milano
1.868
1.554
880
775
49,9
Napoli
2.032
1.788
1.025
n.d.
n.d.
Palermo
663
612
375
364
59,5
Perugia
354
335
83
80
23,9
Potenza
244
222
159
153
68,9
R. Calabria
348
334
319
315
94,3
Roma
3.028
2.642
881
808
30,6
Salerno
641
577
254
244
42,3
Torino
817
732
180
176
24,0
Trento
204
187
87
65
34,7
Trieste
298
271
75
65
24,0
Venezia
1.073
893
366
271
30,3
totale
21.738
19.214
9.457
7845
45,0
Fonte: Relazione per la seduta inaugurale del consiglio nazionale forense del 16 gennaio
1997
93
Tabella a5-Avvocati abilitati per sedi di esame - sessione 1995
Corti
domande partecipanti
ammessi
idonei
d'Appello
prove scritte prove orali
% vincitori
/partecipanti
prove scritte
Ancona
453
407
149
139
34,1
Bari
1.240
1.175
906
886
75,4
Bologna
1.465
1.346
474
454
33,8
Brescia
560
519
136
125
24,1
Cagliari
633
605
265
262
43,3
Caltanisetta
147
137
68
65
47,4
Campobasso
263
245
n.d.
n.d.
n.d.
Catania
824
704
283
n.d.
n.d.
Catanzaro
1.863
1.673
1.581
n.d.
n.d.
Firenze
1.177
1.009
545
n.d.
n.d.
Genova
724
627
213
201
32,0
L'Aquila
883
749
171
161
21,5
Lecce
1.265
1.084
514
493
45,5
Messina
321
315
175
175
55,5
Milano
1.986
1.621
645
593
36,6
Napoli
2.729
2.458
n.d.
n.d.
n.d.
Palermo
755
702
231
215
30,6
Perugia
360
326
83
82
25,7
Potenza
317
305
228
n.d.
n.d.
R. Calabria
444
389
350
345
88,7
Roma
3.359
2.669
1.227
n.d.
n.d.
Salerno
736
644
364
362
56,2
Torino
974
892
266
236
26,4
Trento
180
165
69
59
35,8
Trieste
344
314
212
203
64,7
Venezia
1.161
1.004
392
in corso
n.d.
totale
25.163
22.084
3.422
5056
41,1
Fonte: Relazione per la seduta inaugurale del consiglio nazionale forense del 16 gennaio
1997.
94
CAPITOLO
QUARTO:
LA REGOLAMENTAZIONE
PROFESSIONI ECONOMICO CONTABILI
DELLE
1. Questo capitolo riguarda l’assetto regolamentativo delle attività svolte
da alcune figure professionali appartenenti all’area economico contabile: dottori
commercialisti, ragionieri e periti commerciali, (in seguito anche ragionieri),
consulenti del lavoro.
Come verrà più diffusamente illustrato in seguito, si tratta di
professionisti che svolgono attività di analoga natura, che consistono
essenzialmente nel controllo contabile delle imprese nonché nella consulenza in
materia commerciale, tributaria e del lavoro. In particolare, l’ambito di attività
dei dottori commercialisti e dei ragionieri, così come definito dai rispettivi
ordinamenti professionali, risulta sostanzialmente identico, mentre i consulenti
del lavoro si caratterizzano per una più marcata specializzazione nella gestione
dei rapporti di lavoro.
Conseguentemente, si è ritenuto opportuno organizzare l’illustrazione
che segue in diverse parti: la prima dedicata alle attività svolte dai dottori
commercialisti e dai ragionieri, la regolamentazione delle quali viene pertanto
analizzata in modo unitario, la seconda ai consulenti del lavoro e la terza
riguardante le principali conclusioni.
4.1 I Dottori Commercialisti e i Ragionieri
principali riferimenti normativi
Legge 28 dicembre 1952 n. 3060, “Delega al Governo della facoltà di
provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in
economia e commercio e di ragioniere”; d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1067, recante
“Ordinamento della professione di dottore commercialista”; d.p.r. 27 ottobre
1953 n. 1068, recante “Ordinamento della professione di ragioniere e perito
commerciale”; legge 8 dicembre 1956 n. 1378, recante “Esami di Stato di
abilitazione all’esercizio delle professioni”; codice deontologico dei ragionieri e
periti commerciali del 15 ottobre 1983; codice deontologico dei dottori
commercialisti del 10 febbraio 1987; legge 17 febbraio 1992 n. 206, recante
“Tirocinio professionale per i dottori commercialisti”; legge 12 febbraio 1992
n. 183, recante “Modifica dei requisiti per l'iscrizione all'albo ed elevazione del
periodo di pratica professionale per i ragionieri e periti commerciali”; d.m. 28
luglio 1992 n. 570, recante “Regolamento per l'adeguamento dei compensi
spettanti ai curatori fallimentari e la determinazione dei compensi nelle
procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata”; d.p.r. 10
ottobre 1994 n. 645, recante “Regolamento recante la disciplina degli onorari,
delle indennità e dei criteri di rimborso delle spese per le prestazioni
professionali dei dottori commercialisti”.
95
4.1.1 Le attività dei dottori commercialisti e dei ragionieri
i) tipologia e caratteristiche
2. Il dottore commercialista e il ragioniere hanno competenza tecnica
nelle materie commerciali, economiche, tributarie e di ragioneria153. In tale
ambito, le attività ordinariamente esercitate consistono nella tenuta e controllo
della contabilità delle imprese, nonché nella consulenza e assistenza tributaria.
A queste si affiancano altre attività quali gli arbitrati, la consulenza in materia
societaria, la consulenza e assistenza nella trattazione e stipulazione di contratti
e negozi, l’assistenza nelle procedure concorsuali.
3. Diversamente da quanto avviene per i servizi notarili e quelli forensi di
assistenza in giudizio, nel caso delle prestazioni rese dai dottori commercialisti
e dai ragionieri non esiste l’obbligo per il cliente di avvalersi del professionista,
come è del resto dimostrato dal fatto che frequentemente imprese (ma anche
singoli individui) autoproducono il servizio di contabilità e assistenza fiscale.
A ciò fanno eccezione i servizi resi dai commercialisti e dai ragionieri
nell’esercizio della funzione di sindaco. Tale attività, tuttavia, anche per gli
effetti esterni ad essa connessi, presenta un’autonoma regolamentazione, che
prevede tra l’altro l’iscrizione anche da parte dei commercialisti e dei ragionieri
al registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero di Grazia e
Giustizia154. Trattandosi pertanto di un’attività distintamente regolamentata, in
ciò che segue essa non verrà considerata.
ii) in particolare, l’inesistenza di esclusive
4. Le attività che formano l’oggetto della professione dei dottori
commercialisti e dei ragionieri non sono ad essi riservate. Ciò emerge dai
decreti delegati n. 1067 e 1068 del 1953 recanti gli ordinamenti delle due
professioni, i quali, all’articolo 1, dopo avere elencato le rispettive competenze,
precisano che tale elencazione “non pregiudica l'esercizio (...) di quanto può
formare oggetto dell'attività professionale di altre categorie di professionisti a
norma di leggi e regolamenti”. Pertanto, le attività svolte dai commercialisti e
dai ragionieri non sono certamente attribuite in via esclusiva nè a una delle due
categorie (com’è naturale data, per la maggior parte, l’identità di competenze
stabilita dagli ordinamenti), nè ad entrambe.
153
Cfr. art. 1, d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1067, recante “Ordinamento della professione di dottore
commercialista” e art. 1, d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1068, recante “Ordinamento della professione di
ragioniere e perito commerciale”. In particolare, ai sensi di tali articoli formano oggetto della professione di
dottore commercialista e di ragioniere, tra le altre, le seguenti attività: a) l'amministrazione e la liquidazione
di aziende, di patrimoni e di singoli beni; b) le perizie contabili e le consulenze tecniche; c) la revisione dei
bilanci e di ogni documento contabile delle imprese; d) i regolamenti e le liquidazioni di avarie marittime; e)
le funzioni di sindaco delle società commerciali.
154 Cfr. art. 21 del d.lgs 27 gennaio 1992 n. 88, recante “Attuazione della Direttiva CEE n. 253/84 relativa
all’abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei documenti contabili”.
96
L’inesistenza di un’esclusiva, peraltro, deriva dalla stessa legge delega,
la quale dispone quale criterio direttivo che “la determinazione del campo delle
attività professionali non deve importare attribuzioni di attività in via
esclusiva”155.
5. Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato che la libera esplicazione
di attività intellettuali, costituzionalmente garantita, può essere impedita o
limitata solo in presenza di una riserva, in via esclusiva, prevista espressamente
dalla legge. Detta riserva, relativamente alle attività rientranti nell’oggetto delle
professioni in esame, perlomeno secondo la legge, appare risultare
inesistente156.
6. Senonchè, si osserva che, nell’ambito delle professioni economicocontabili, una parte della giurisprudenza ha distinto tra attività riservate e non,
specialmente in base al criterio, peraltro discrezionale, della complessità
(rectius, del contenuto intellettuale) della prestazione. Tale distinzione appare
determinata dalla necessità di attribuire all’istituzione degli albi dei dottori
commercialisti e dei ragionieri una ragion d’essere, la quale, secondo tale
giurisprudenza, risulta consistere nella “nobilitazione di alcune tra quelle
mansioni, le più delicate e complesse, le quali appunto per la loro natura
richiedono - esse si - che per il loro espletamento si faccia necessariamente
parte di un albo professionale”157.
155
Cfr. art. 1, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre 1952 n. 3060, recante “Delega al governo della
facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio
e ragioniere”. E’ significativo al riguardo riportare il passo della relazione che accompagna tale legge,
relativamente alla ragione della suddetta disposizione, e cioè “Nelle varie facoltà universitarie, e talvolta
anche nelle scuole medie, si impartiscono insegnamenti su identiche discipline, sia pure con maggiore o
minore estensione. Consegue che i laureati in facoltà diverse o anche laureati e diplomati hanno acquisito,
nel corso degli studi necessari per conseguire i suddetti titoli, analoga preparazione tecnica a svolgere una
determinata attività professionale. Orbene, sarebbe non equo, oltre che non conforme agli ordinamenti
scolastici, nè rispondente all’esigenze della pratica, che attività professionali esplicabili da diverse categorie
di professionisti fossero attribuite ad una sola di esse”.
156 Cfr. anche Trib. di Pisa 18 giugno 1984, che, con riferimento alle attività di consulenza tributaria,
rientranti nell’oggetto delle professioni di dottore commercialista e ragioniere, osserva “Poiché trattasi di
materia riguardante la libera esplicazione di attività intellettuali, costituzionalmente garantita, è da ritenere
che la riserva debba essere dal legislatore chiaramente esplicitata, perché l’interesse pubblico ad un corretto
esercizio di attività che incidono sulla persona o sul patrimonio dei singoli deve essere, volta a volta,
riaffermato e ha normalmente come contraltare il divieto per lo stesso di esercitare in proprio dette attività;
basti pensare alla difesa davanti alla giurisdizione ordinaria, civile e penale, dove solo in casi eccezionali il
legislatore consente al privato l’autodifesa ed individua in linea generale il collaboratore tecnico necessario
nell’avvocato, e ciò in relazione alla complessità della procedura che rischia di costituire per il cittadino un
ostacolo insormontabile. E’ allora evidente che in un settore in cui al contribuente è consentito di compilare
direttamente libri e registri obbligatori a fini tributari, redigere e presentare le dichiarazioni dei redditi,
effettuare i correlativi versamenti fiscali (...) non possa parlarsi in linea astratta di una riserva, desumibile
dal complesso della normativa vigente, e si debba richiedere, per l’affermazione di tale riserva, una specifica
norma, allo stato insussistente”.
157 Cfr. Cass. 28 febbraio 1985 n. 6157; Cfr. anche Trib. Milano 16 maggio 1991; Pret. Verona 13
novembre 1991.
97
Deve segnalarsi, infine, che un’altra parte della giurisprudenza ritiene che
“la consulenza tributaria” in genere158 ovvero perfino competenze residuali
“costituite da attività di natura esecutiva che consentano di ritenere sussistente
un’autonoma e specifica professionalità”159 ovvero “le prestazioni poco
elevate o concretanti un’assistenza incompleta e marginale”160 spettino
unicamente al professionista iscritto all’albo. Al riguardo, è appena il caso di
sottolineare la restrittività di quest’ultimo orientamento, non apparendo
sussistere, relativamente a compiti elementari, specifici interessi di tutela degli
utenti.
7. La controversia relativa all’ambito della riserva è strettamente
connessa a quella sviluppatasi in giurisprudenza riguardante l’estensione della
libertà di esercizio dell’attività. Al riguardo si osserva che, mentre secondo una
parte della dottrina e della giurisprudenza, appaiono legittimati ad operare nel
mercato dei servizi economico-contabili anche soggetti non iscritti ad albi,
secondo un’altra, invece, la concorrenza deve ritenersi limitata ai professionisti
comunque protetti.
8. Relativamente al primo orientamento, un’autorevole dottrina fa
discendere dal fatto che le professioni contabili, sebbene protette, non
annoverano alcuna prestazione esclusiva, che ciò che, di norma, fa il dottore
commercialista o il ragioniere può liberamente farlo chiunque161.
L’autore rileva che, in concreto, della libertà di esercizio delle attività
svolte dai professionisti contabili iscritti ai relativi albi beneficiano non solo (o
non tanto) gli avvocati o i consulenti del lavoro - anch’essi appartenenti a
categorie regolamentate mediante iscrizione ad albo - ma tutt’altra specie di
professionisti: così avviene in particolare per le attività di consulenza aziendale,
nonchè per quelle di tenuta della contabilità e di elaborazione delle scritture
contabili.
9. Sul punto, anche la Corte Costituzionale, in una recente pronuncia162,
precisa, dopo aver osservato che nelle leggi recanti gli ordinamenti delle due
professioni economico-contabili non si rinviene alcuna disposizione attributiva
in via esclusiva di competenze, che l’espressione “a norma di leggi e
regolamenti” contenuta nell’art. 1 dei sopra citati d.p.r. non deve essere intesa
come facente “esclusivo riferimento a professioni regolamentate mediante
158
159
160
161
Cfr. CdS 17 maggio 1993 n. 358; Pret. Verona 22 giugno 1991; Pret. Pontedera 9 novembre 1983.
Cfr. CdS n. 358/1993, cit.
Cfr., con riferimento alle attività di consulenza del lavoro, Corte d’Appello di Trento 9 dicembre 1985.
Cfr. Galgano, Professioni intellettuali, impresa e società, in Contratto e impresa, 1991, 6 e, ivi, Cass. 27
giugno 1975 n. 2526, secondo la quale, con riguardo tuttavia a prestazioni ben determinate, “l’attività
concernente l’organizzazione aziendale, bilanci di previsione, rapporti sindacali e simili non è riservata ai
dottori commercialisti e pertanto il suo esercizio può essere validamente svolto anche da soggetti non iscritti
all’albo professionale”; Cass. 4 dicembre 1972 n. 3496; Trib. di Milano, 15 dicembre 1988; Corte d’Appello
di Brescia 29 gennaio 1982.
162 Cfr. sentenza 27 dicembre 1996 n. 418.
98
iscrizione ad albo, ma anche, (...) con riferimento agli spazi di libertà di
espressione di lavoro autonomo e di libero esercizio di attività intellettuale
autonoma non collegati a iscrizione in albi”.
10. E’ appena il caso di sottolineare che va salvaguardata l’esigenza che
i non iscritti ai quali sono consentite tutte o la gran parte delle attività svolte
abitualmente dagli iscritti siano comunque operatori competenti, seppure
differentemente qualificati. A tale riguardo, peraltro, la stessa Corte di
Cassazione, con riferimento ad alcune attività rientranti nell’oggetto della
professione di ragioniere, precisa che queste ultime, presupponendo comunque
una conoscenza tecnica di base, devono essere svolte da un tecnico, che può
essere un soggetto iscritto in un diverso albo professionale, cui il relativo
ordinamento, tuttavia, attribuisce competenza nelle attività de quibus, ovvero
un soggetto non necessariamente iscritto in un albo, quale, ad esempio, un
ragioniere non iscritto o un laureato in economia e commercio163.
11. In base al secondo degli orientamenti prospettati, invece, pur
riconoscendosi che le professioni contabili, ancorchè protette, risultano prive di
esclusive, sia un’interpretazione letterale che un’interpretazione estensiva delle
norme contenute nei decreti del ‘53 non sembrerebbero autorizzare la
conclusione della libertà assoluta di esercizio dell’attività “poiché il far salve le
competenze di altre categorie non equivale a liberalizzare a favore di chiunque,
non iscritto ad alcun albo, le attività de quibus”164. Gli autori precisano che le
norme avrebbero riguardo esclusivamente a quei professionisti protetti per i
quali il legislatore (vale a dire, le leggi o i regolamenti) prevede
specificatamente competenze comuni a quelle dei professionisti contabili.
12. Sulla base di quanto precede, e seguendo l’orientamento che appare
più coerente con i principi in materia di concorrenza, appare potersi concludere
che:
a) l’esercizio delle attività di assistenza e consulenza in materia contabile,
fiscale e, più in generale, commerciale ed economica è libero;
b) la tipologia delle categorie di soggetti che esercitano le attività de quibus è
varia. A tali categorie corrispondono diversi livelli di competenza tecnica.
13. Delineata in tal modo l’offerta dei servizi economico-contabili,
l’iscrizione all’albo, tutt’al più, servirebbe a sottoporre al controllo dell’ordine
l’esercizio dell’attività da parte di quei professionisti la cui capacità tecnica è
già stata accertata mediante l’esame di abilitazione, potendo garantire in tal
modo la persistenza, nel tempo, di un livello qualitativo minimo delle
163
164
Cfr. Cass. 28 febbraio 1985 n. 6157.
Cfr. Assini, Musolino, Esercizio delle professioni intellettuali: competenze ed abusi, Padova, 1994, 155.
99
prestazioni rese dagli iscritti. Ciò considerato, l’obbligatorietà dell’iscrizione
all’albo per gli abilitati appare quanto meno incongruente.
La differenziazione dei requisiti di accesso alle attività de quibus, inoltre,
appare idonea ad indirizzare verso gli operatori maggiormente qualificati la
domanda dei servizi più complessi.
ii) l’articolazione dell’offerta
14. Le tabelle che seguono riportano il numero totale a livello nazionale
degli iscritti agli albi dei ragionieri e dei dottori commercialisti, rispettivamente
alla fine del 1995 e del 1996, nonchè la consistenza dell’offerta nelle principali
regioni. Emerge che nei periodi considerati il numero complessivo di
professionisti delle due categorie ammontava rispettivamente a circa 75.000 e
80.000, di cui poco più della metà era costituita da dottori commercialisti. Le
tabelle mettono inoltre in luce che poco meno del 50% del numero totale di
professionisti era concentrato in sole quattro regioni, secondo una distribuzione
sostanzialmente simile per i ragionieri e i dottori commercialisti.
Tabella 1.1- Iscritti agli albi (ed elenchi) dei ragionieri e dei dottori commercialisti 1995
Regioni
ragionieri
dottori commercialisti
1995
1995
Lombardia
5.486 (15,6%)
6.878 (16,8%)
Lazio
3.858 (11,0%)
5.312 (13,0%)
Campania
3.516 (10,0%)
4.261 (10,4%)
Puglia
3.950 (11,2%)
3.565
(8,7%)
Altre regioni
18.211 (52,2%)
20.584 (50,7%)
Totale
35.021 (100)
40.600 (100)
Fonte: consiglio nazionale dottori commercialisti e consiglio nazionale dei ragionieri e periti
commerciali
100
Tabella 1.2- Iscritti agli albi (ed elenchi) dei ragionieri e dei dottori commercialisti 1996
Regioni
ragionieri
dottori commercialisti
1996
1996
Lombardia
5.735 (15,5%)
7.268 (16,6%)
Lazio
4.014 (10,8%)
5.679 (13,0%)
Campania
3.609
(9,7%)
4.799 (10,9%)
Puglia
4.093 (11,0%)
3.829
(8,7%)
Altre regioni
19.430 (53,0%)
22.103 (50,8%)
Totale
36.881 (100)
43.678 (100)
Fonte: consiglio nazionale dottori commercialisti e consiglio nazionale dei ragionieri e periti
commerciali
15. Sotto il profilo dell’evoluzione dell’offerta, i dati disponibili, riferiti
ai dottori commercialisti, mostrano un consistente aumento (oltre le 12.000
unità), tra il 1992 e il 1996.
16. Occorre infine aggiungere che oltre ai dottori commercialisti e ai
ragionieri, trattandosi, come visto, di attività non riservate, operano nel settore
in esame, altre categorie, tra le quali alcune comprendenti soggetti iscritti in
altri albi, quali gli avvocati, i consulenti del lavoro, ma anche non iscritti ad
alcun albo, come le società di consulenza e i cd "tributaristi". Con riguardo a
questi ultimi, va rilevato che molti sono iscritti in appositi ruoli di periti e di
esperti, sub-categoria tributi, istituiti dalla maggior parte delle Camere di
Commercio165166.
4.1.2 modalità di accesso
165 Relativamente agli iscritti in detti ruoli, deve notarsi che, allo stato, la categoria è destinata ad esaurirsi.
I ruoli vennero istituiti, per la materia dei tributi, al fine di consentire agli iscritti l'esercizio di attività
professionale in materia tributaria limitatamente ad attività di natura pratica e comunque residuale rispetto a
quelle proprie dei liberi professionisti (art. 2 del d.m. 29 dicembre 1979).
Il Consiglio di Stato, con sentenza del 14 maggio 1993 n. 353, ha stabilito che non rientra nella competenza
delle Camere di Commercio, per espresso divieto dell'art. 32 del r.d. 29 settembre 1934 n. 2011
(“Approvazione del testo unico delle leggi sui consigli provinciali dell’economia corporativa e sugli uffici
provinciali dell’economia corporativa”), il potere di istituire ruoli di periti ed esperti nella materia relativa ai
tributi, la quale, nei suoi aspetti di carattere libero professionale, è riservata agli iscritti ai relativi albi. Con la
citata sentenza n. 358/1993, il Consiglio di Stato ha conseguentemente statuito l’illegittimità di tali ruoli.
Successivamente, l'art. 69 della legge 29 ottobre 1993 n. 427, recante disposizioni varie in materia tributaria,
ha abilitato, a particolari condizioni, i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli dei periti e
degli esperti all'assistenza tecnica nel contenzioso tributario.
Tale disposizione, successiva alla decisione del Consiglio di Stato, è stata interpretata non come implicita
conferma della permanenza della predetta sub-categoria ma soltanto delle iscrizioni effettuate fino alla data
del 30 settembre 1993 (Cfr. circolare ministeriale del 15 novembre 1994 n. 3355).
166 Secondo un'indagine commissionata dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti nel 1992 al
Censis dal titolo: "La consulenza tributaria: analisi di un segmento ignoto dell'offerta”, gli iscritti nel ruolo
dei periti e degli esperti tributari iscritti presso le Camere di Commercio, o tributaristi, sono 6.170 unità, di
cui solo il 10% risultano iscritti anche ad albi professionali. La maggioranza (56,4%) proviene dagli istituti
tecnici commerciali e soltanto nel 22,8% dei casi è in possesso di una laurea.
101
17. Con riferimento alle modalità di accesso, sono richiesti:
a) per l’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti, laurea in economia e
commercio o in scienze economico-marittime, pratica triennale presso lo studio
e sotto il controllo di un dottore commercialista, superamento dell’esame di
Stato di abilitazione167;
b) per l’iscrizione all’albo dei ragionieri e periti commerciali, diploma di
ragioniere accompagnato da un diploma universitario, conseguito a seguito di
un corso di studi specialistici della durata di tre anni, oppure laurea in
giurisprudenza o in economia e commercio, pratica triennale presso un
ragioniere iscritto all'albo (la cui durata viene ridotta a due anni per coloro che
sono in possesso della laurea in giurisprudenza o in economia e commercio),
superamento dell’esame di Stato168.
18. Relativamente al tirocinio effettuato dagli aspiranti commercialisti, i
Consigli degli ordini accertano e promuovono la disponibilità degli iscritti ad
accogliere nei propri studi le persone che, in possesso dei prescritti requisiti,
intendano svolgere il tirocinio e forniscono le opportune indicazioni agli
aspiranti che ne facciano richiesta. Dal canto loro, i dottori commercialisti
iscritti all’albo sono tenuti, nei limiti delle loro possibilità, ad accogliere nel
proprio studio i praticanti, istruendoli e preparandoli all’esercizio della
professione169.
Anche tali praticanti, come quelli che aspirano a diventare avvocati, sono
iscritti in apposito registro e devono tenere un libretto da esibire
semestralmente al consiglio che vigila sullo svolgimento del tirocinio170.
La frequenza dello studio può essere sostituita, per un periodo superiore
a 6 mesi, dalla frequenza, preventivamente autorizzata dal titolare dello studio
stesso, di corsi esteri particolarmente qualificati (compresi in un elenco redatto
dal consiglio nazionale) e comportanti un esame finale di profitto ovvero dello
studio di un professionista estero iscritto presso un organismo professionale
corrispondente all’ordine dei dottori commercialisti (anche in questo caso
rientrante in un elenco redatto dal consiglio nazionale)171.
Sono anche previsti dei corsi integrativi della pratica, non obbligatori,
tenuti dalle scuole di formazione istituite dai Consigli degli ordini172.
167
La disciplina riguardante l'accesso alla professione di commercialista è stata modificata dalla legge 17
febbraio 1992 n. 206 e dal decreto attuativo del Ministro di Grazia e Giustizia che hanno rispettivamente
introdotto e regolamentato il tirocinio triennale. La disciplina previgente prevedeva che, ai fini dell’accesso,
fossero sufficienti i requisiti della laurea e dell’esame di Stato. Cfr. art. 31, lett. 4 e 5 decreto n. 1067/1953.
168 La disciplina riguardante l'accesso alla professione di ragioniere è stata modificata dall'art. 1, l. 12
febbraio 1992 n. 183, recante "Modifica dei requisiti per l'iscrizione all'albo ed elevazione del periodo di
pratica professionale per i ragionieri e periti commerciali”. La previgente disciplina stabiliva, quali requisiti
di accesso, il diploma di ragioniere, la pratica biennale e l’esame di abilitazione.
169 Cfr. art. 3, commi 1 e 2, d.m. n. 327/95.
170 Cfr. art. 8, d.m. n. 327/95.
171 Cfr. art. 6, commi 3 e 4, d.m. n. 327/95.
172 Cfr. art. 2, comma 1, d.m. n. 327/95. Al riguardo, risulta che, alla fine del ‘95, i Consigli di Roma e di
Milano avevano predisposto corsi formativi (Cfr. audizione del consiglio nazionale dei dottori
commercialisti del 10 maggio 1995).
102
Infine, al termine del tirocinio, i praticanti devono sostenere l'esame di
Stato di abilitazione.
Non esistono limiti di età per l’iscrizione all’esame.
Per quanto concerne, invece, il tirocinio dei ragionieri, la citata legge n.
183/92 attribuisce al consiglio nazionale il potere di disciplinare le modalità di
iscrizione, lo svolgimento della pratica e la tenuta dei relativi registri da parte
dei collegi173.
Il regolamento della pratica, deliberato dal suddetto consiglio nel giugno
1992, da un lato contiene norme simili a quelle disciplinanti il tirocinio dei
dottori commercialisti (relativamente all’iscrizione dei praticanti in apposito
registro e alla tenuta di un libretto da esibire, nel caso di specie, annualmente al
collegio), dall’altro stabilisce espressamente che la pratica deve dare una
preparazione teorico-pratica e che il professionista è obbligato a consentire al
praticante la frequenza parallela di corsi di preparazione o di altri corsi di
studio presso università174, nonchè prevede, per ciascun professionista, un limite
massimo di ammissione di praticanti nel proprio studio pari a due175.
19. Le commissioni degli esami dei dottori commercialisti e dei
ragionieri, da nominarsi con decreto rispettivamente del Ministro della Pubblica
Istruzione e del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e
Tecnologica, sono composte da cinque membri titolari, dei quali un presidente,
scelto fra i professori universitari e quattro membri da prescegliersi da terne di
persone designate dagli ordini professionali, appartenenti a varie categorie tra le
quali: professori universitari; magistrati di Corte d'Appello e di Cassazione;
dirigenti amministrativi di imprese industriali, bancarie, commerciali;
professionisti iscritti all'albo, con un certo numero di anni (15 per i
commercialisti e 10 per i ragionieri) di lodevole esercizio professionale.
20. Relativamente agli esiti degli esami di abilitazione, la percentuale, a
livello nazionale, degli abilitati all'esercizio della professione di commercialista
nel 1995 sarebbe stata di circa il 19%176. Con riferimento agli anni precedenti e
alle principali città, la percentuale degli abilitati è riportata nella tabella che
segue dalla quale emerge per un verso la variabilità delle percentuali tra le sedi
di esame e per l’altro un certo inasprimento della selezione nel tempo.
Tabella 2- Percentuali di abilitati per importanti sedi di esame anni 1985-1994
Roma
Milano
Napoli
Torino
1985
74,9
10,3
20,6
39,0
1986
28,9
8,6
30,8
53,2
1987
35,8
10,8
41,9
32,0
173
174
175
Cfr. art. 1, comma 4, legge n. 183/92.
Cfr. art. 4, commi 3 e 4 del citato regolamento.
Cfr. art. 5 del citato regolamento: al riguardo, il consiglio precisa che “l’adozione di un limite rigido è
stato adottato al fine di garantire la massima serietà della pratica”.
176 Cfr. Sole 24 Ore del 23/12/1996.
103
1988
43,5
12,4
46,2
1989
26,5
17,8
42,1
1990
21,0
14,9
46,9
1991
26,5
14,1
48,2
1992
23,9
12,4
45,9
1993
25,3
8,0
8,4
1994
24,1
6,1
19,7
Fonte: Università degli Studi di Roma, Milano, Napoli e Torino
40,0
33,0
30,0
31,3
22,5
22,8
20,0
21. Relativamente invece agli abilitati all'esercizio della professione di
ragioniere, le informazioni disponibili riguardano il triennio 1993-1995. I dati
concernenti il primo degli anni considerati sono relativi al complesso del
territorio nazionale e indicano una percentuale di poco superiore al 48%, e
corrispondente a un numero di abilitati pari a 3971 rispetto a 8159 candidati177.
Relativamente agli anni 1994 e 1995, invece, la tabella che segue indica le
percentuali degli abilitati nei principali collegi, mettendo in luce tassi di
ammissione sensibilmente differenziati tra diverse sedi di esame.
177
Cfr. risposta del consiglio nazionale dei ragionieri a lettera dell’Autorità di richiesta informazioni del 7
luglio 1995.
104
Tabella 3- Percentuali di abilitati per importanti sedi di esame anni 1994-1995
Collegi
1994
1995
Cagliari
30
51
Catania
33
47
Firenze
11
15
Genova
33
36
Milano
33
79
Napoli
25
25
Palermo
61
16
R. Calabria
82
70
Roma
50
53
Salerno
76
46
Savona
24
22
Torino
55
21
Trapani
50
86
Venezia
21
22
Vercelli
93
76
Fonte: consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali
4.1.3 gli standard qualitativi delle prestazioni dei dottori
commercialisti e dei ragionieri
22. La regolamentazione delle attività svolte dai dottori commercialisti,
relativamente al profilo qualitativo, riguarda prevalentemente i comportamenti
nell’esecuzione delle prestazioni professionali.
Al riguardo va rilevato che le norme istitutive della professione
impongono ai dottori commercialisti l’obbligo di tenere, nello svolgimento
dell’attività, una condotta professionalmente dignitosa e decorosa, prevedendo,
nell’ipotesi di inosservanza di tale precetto, una responsabilità disciplinare del
professionista178.
Queste regole di tenore generale appaiono integrate dalle disposizioni
contenute nel codice deontologico elaborato dal consiglio nazionale dei dottori
commercialisti con delibera del 10 febbraio 1987, le quali, tuttavia,
differentemente dalle norme di deontologia dei notai, non sono state adottate in
esecuzione di una legge o di altro atto avente forza di legge o regolamentare179.
Tuttavia, dette disposizioni devono ritenersi, secondo il consiglio stesso,
specificazioni della clausola generale di cui al citato art. 35 del d.p.r. n.
1067/1953180.
178
Cfr. art. 35, comma 1, d.p.r. n. 1067/1953, secondo cui “il dottore commercialista che si rende colpevole
di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al
decoro professionale, è sottoposto a procedimento disciplinare”. In particolare, l’applicazione della sanzione
della radiazione consegue, secondo l’art. 37 del citato decreto, alla circostanza che “il dottore commercialista
abbia, con la sua condotta, compromesso gravemente la propria reputazione e la dignità della professione”.
179 Il consiglio nazionale, nella premessa al codice, precisa espressamente che “il d.p.r. n. 1067/1953 non
contiene specifiche previsioni circa l’iter di emanazione di un codice deontologico e neppure vi è esplicito
riferimento ad esso e all’organo che può adottarlo”.
180 Nella premessa, si legge ancora che nell’ambito dei compiti attribuiti al consiglio dall’art. 25 del decreto
“di coordinamento e promozione dell’attività dei Consigli circoscrizionali per favorire le iniziative intese al
miglioramento e al perfezionamento professionale e di decisione sui ricorsi (...) in materia disciplinare (...),
105
23. Venendo al contenuto dei comportamenti richiesti dalla deontologia,
il codice pone una serie di obblighi diretti ad assicurare agli utenti la qualità
delle prestazioni. Appaiono particolarmente significative al riguardo le
previsioni secondo le quali il dottore commercialista deve: a) comportarsi
secondo buona fede, correttezza, lealtà e sincerità, nonchè rispettare la
riservatezza; b) curare il continuo aggiornamento professionale; c) risarcire gli
eventuali danni causati nell’esercizio della professione, stipulando un’adeguata
polizza assicurativa181. Nei rapporti con la clientela, poi, il professionista deve:
d) sconsigliare azioni infondate ed una inconsulta litigiosità, quindi favorire
soluzioni equilibrate e transazioni amichevoli; e) rifiutare l’incarico se non
possiede la specifica competenza necessaria per l’assolvimento del mandato
ovvero se impegni professionali o personali gli impediscano di svolgerlo con la
diligenza e lo scrupolo richiesti in relazione alle caratteristiche dello stesso; f)
informare il cliente del contenuto della prestazione e degli eventuali rischi ad
essa connessi; g) tutelare gli interessi del cliente, anteponendoli, ove
necessario, a quelli personali182.
24. Anche la regolamentazione delle attività svolte dai ragionieri,
relativamente al profilo qualitativo, riguarda prevalentemente i comportamenti
nell’esecuzione delle prestazioni professionali.
Al riguardo va rilevato che le norme istitutive della professione
impongono ai ragionieri l’obbligo di tenere, nello svolgimento dell’attività, una
condotta conforme alla dignità e al decoro professionale, prevedendo,
nell’ipotesi di inosservanza di tale precetto, una responsabilità disciplinare del
professionista iscritto. Detta regola è integrata dalle disposizioni contenute nel
codice deontologico adottato dal consiglio nazionale dei ragionieri e periti
commerciali con delibera del 15 ottobre 1983. In particolare, vanno menzionati
obblighi di terzietà, aggiornamento, segretezza.
il consiglio nazionale può additare (...) una serie di principi di comportamento la cui violazione configuri gli
abusi o le mancanze nell’esercizio della professione e i fatti non conformi alla dignità e al decoro
professionale, fattispecie condizionanti l’apertura, ex citato art. 35 d.p.r. n. 1067/1953, di qualsiasi
procedimento disciplinare”.
181 Sempre relativamente alla responsabilità, la legge 11 ottobre 1995 n. 423 recante "Norme in materia di
soprattasse e di pene pecuniarie per omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte", all'art. 1,
comma 1, prevede a carico del professionista la commutazione dell'atto di irrogazione delle sanzioni in caso
di omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte dovute dal contribuente, qualora tale condotta
illecita sia stata tenuta da dottori commercialisti, ragionieri e consulenti del lavoro, iscritti negli appositi
albi, in dipendenza del loro mandato professionale. Appare evidente che anche tale norma tende a
disincentivare le suddette condotte, promuovendo il miglioramento della qualità dell'offerta del servizio di
versamento delle imposte.
182 Nell’ambito della categoria, del resto, perlomeno da parte di alcuni, emerge l’esigenza di garantire un
livello qualitativo minimo delle prestazioni, tutelando in tal modo la domanda, predisponendo, ad esempio,
un adeguato sistema di certificazione della qualità: sono state indicate al riguardo, quali possibili soluzioni,
l’assoggettamento del professionista, ancorchè abilitato, ad un controllo periodico concernente per l’appunto
il livello qualitativo dei servizi offerti ovvero un sistema che consenta all'operatore di pubblicizzare il fatto di
essere sottoposto ad un controllo di qualità. Cfr. audizione dell’Unione Nazionale Giovani Dottori
Commercialisti del 17 novembre 1995.
106
4.1.4 le tariffe
25. I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità spettanti
ai dottori commercialisti e ai ragionieri sono stabiliti con decreto del Capo dello
Stato, su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia, di concerto con i Ministri
dell'Industria e Commercio e del Tesoro, sentito il consiglio nazionale183.
Il decreto del ‘53 si limita a precisare, poi, che i compensi devono essere
liquidati con riferimento alla durata, al valore e alla complessità delle
prestazioni e che deve anche tenersi conto della sede, dell’urgenza, delle
responsabilità assunte dal professionista e dei risultati conseguiti184. Non fa
invece alcun riferimento alla emanazione di tariffe minime e massime, nè
all’obbligatorietà delle stesse.
26. Il d.p.r. 10 ottobre 1994 n. 645 costituisce l’ultimo regolamento
recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri di rimborso delle
spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti.
Il d.p.r. n. 645/1994 prevede una tariffa minima e massima per le singole
prestazioni. Per la concreta determinazione dell'onorario, si deve far riferimento
alla natura, alle caratteristiche, alla durata e al valore della pratica. Si deve
inoltre tenere conto del risultato economico conseguito, nonchè dei vantaggi
anche non patrimoniali derivati al cliente185.
Viene disposto che gli onorari minimi sono vincolanti186. Al contrario,
l’obbligatorietà dei massimi non risulta espressamente sancita.
Tuttavia, ricorrendo determinate circostanze, sono possibili riduzioni
ovvero maggiorazioni particolari187.
27. Il consiglio nazionale dei dottori commercialisti, poi, ha messo in
luce che, in alternativa agli onorari fissati dalla tariffa, è frequente
l’applicazione di onorari preconcordati, a forfait, specialmente per le attività di
consulenza ordinaria caratterizzate da prestazioni continuative188. Anche nella
determinazione degli onorari preconcordati, tuttavia, si devono seguire i criteri
183
184
185
186
Cfr. artt. 47 d.p.r. n. 1067/1953 e d.p.r. n. 1068/1953.
Cfr. artt. 48 d.p.r. n. 1067/1953 e d.p.r. n. 1068/1953.
Cfr. art. 3, d.p.r. n. 645/1994.
Cfr. art. 7, comma 3, d.p.r. n. 645/1994 secondo il quale “Gli onorari minimi stabiliti nella presente
tariffa debbono avere sempre integrale applicazione, salvo che disposizioni della medesima o particolari
norme di legge speciali non dispongano espressamente in materia in modo diverso”.
187 Relativamente alle riduzioni, il dottore commercialista esercente la professione in un comune il cui
numero di abitanti sia inferiore a 200.000 può applicare agli onorari minimi una riduzione non superiore al
15% (art. 7, comma 1, d.p.r. n. 645/1994). Il dottore commercialista iscritto all'albo da meno di 5 anni può
applicare agli onorari minimi una riduzione non superiore al 30% (art. 7, comma 2, d.p.r. n. 645/1994). Con
riferimento alle maggiorazioni, invece, per le pratiche di eccezionale importanza, complessità o difficoltà, a
tutti gli onorari massimi può essere applicata una maggiorazione non superiore al 100% (art. 6, comma 1,
d.p.r. n. 645/1994). Per le prestazioni compiute in condizioni di disagio o di urgenza agli onorari massimi
può applicarsi una maggiorazione non superiore al 50% (art. 6, comma 2, d.p.r. n. 645/1994). Tali
maggiorazioni, infine, non sono cumulabili tra loro (art. 6, comma 3, d.p.r. n. 645/1994).
188 Cfr. audizione del suddetto consiglio del 10 maggio 1995.
107
di cui al citato art. 3, e quindi la natura, le caratteristiche, la durata, il valore
della pratica, nonchè il risultato economico conseguito e i vantaggi anche non
patrimoniali derivati al cliente, ed in particolare si deve tenere conto dei
minimi189.
Per le attività cosiddette straordinarie, invece, quali la rappresentanza nel
contenzioso tributario e la curatela fallimentare, non si applicano i compensi
forfettizzati quanto piuttosto le tariffe190.
28. Anche il codice deontologico dei commercialisti prevede che la
tariffa professionale e le altre norme in materia di compensi devono essere
osservate in maniera rigorosa essendo garanzia della qualità della prestazione e
del decoro professionale.
Dal punto di vista dell’osservanza delle norme in materia tariffaria,
risulta che nessun procedimento è stato promosso per mancato rispetto della
tariffa professionale191.
29. Oltre alla tariffa professionale, esistono altre norme che fissano i
compensi per le prestazioni quali quelle svolte dal consulente tecnico del
giudice ovvero dal curatore fallimentare, che pure possono essere offerte da
dottori commercialisti: dette norme recano le tabelle contenenti la misura degli
onorari fissi e variabili dei periti e dei consulenti tecnici per le operazioni
eseguite su disposizione dell'Autorità giudiziaria in materia civile e penale192.
Ancora, è previsto da apposito regolamento l'adeguamento dei compensi
spettanti ai curatori fallimentari e la determinazione dei compensi nelle
procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata193.
30. Il d.p.r. 6 marzo 1997 n. 100 costituisce l’ultimo regolamento recante
la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri di rimborso delle spese
per le prestazioni professionali dei ragionieri. Tale decreto non prevede alcuna
differenziazione dei compensi spettanti ai ragionieri rispetto a quelli fissati per i
dottori commercialisti194.
189
190
191
Cfr. art. 22, commi 1 e 2, d.p.r. n. 645/1994.
Cfr. audizione della menzionata Unione Nazionale del 17 novembre 1995.
Cfr. risposta del consiglio nazionale dei dottori commercialisti alla richiesta di informazioni
dell’Autorità, pervenuta in data 17 aprile 1995.
192 Cfr. d.p.r. 27 luglio 1988 n. 352, di adeguamento della legge 8 luglio 1980 n. 319, recante “Compensi
spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta
dell'Autorità giudiziaria”
193 Cfr. d.m. 28 luglio 1992 n. 570, recante per l’appunto “Regolamento l'adeguamento dei compensi
spettanti ai curatori fallimentari e la determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo
e di amministrazione controllata”.
194Cfr. le premesse al citato decreto, dalle quali si desume che il Consiglio di Stato, invece, nell’ambito
dell’iter formativo della tariffa, aveva osservato che gli onorari spettanti ai ragionieri avrebbero dovuto
essere ridotti di 1/10 rispetto a quelli fissati per i dottori commercialisti in considerazione della diversa
preparazione culturale delle due categorie. Tali osservazioni tuttavia non sono state accolte “alla luce degli
accadimenti successivi alla citata pronuncia (pubblicazione registro revisori contabili, equiparazione
esame di abilitazione, prossima unificazione delle professioni) che rendono quanto meno inopportuna la
differenziazione dei compensi in presenza di uguali prestazioni professionali”.
108
Pertanto anche il citato d.p.r. n. 100/97 prevede una tariffa minima e
massima per le singole prestazioni e, per la concreta determinazione
dell'onorario, si deve far riferimento, agli stessi criteri indicati nel d.p.r. n.
645/1994195.
4.1.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
i) circolazione in ambito comunitario e limitazioni territoriali
31. Anche ai dottori commercialisti e ai ragionieri si applica il decreto
legislativo 27 gennaio 1992 n. 115, emanato in attuazione della citata direttiva
CEE n. 89/48, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di
istruzione superiore che si riferiscono a formazioni professionali di una durata
minima di tre anni.
Relativamente alla professione di dottore commercialista, in particolare,
la circolazione in ambito comunitario non è frequente. Infatti, alla metà del ‘95,
risultava che solo tre professionisti di altri Paesi della Comunità avevano
chiesto l'iscrizione all'albo dei dottori commercialisti, subordinata anche in
questo caso al riconoscimento del titolo professionale conseguente al
superamento della prova attitudinale. Non sono disponibili dati in relazione al
fenomeno inverso196.
32. Relativamente all’ambito nazionale, il dottore commercialista e il
ragioniere iscritti in un albo possono esercitare la professione in tutto il
territorio dello Stato197.
ii) il divieto di pubblicità
33. Al dottore commercialista è vietata ogni forma di pubblicità diretta e
indiretta al proprio nome e alla propria attività198. Il consiglio nazionale al
riguardo si è dichiarato contrario all'utilizzo dello strumento pubblicitario
nell'esercizio della professione: in ogni caso, risulterebbe che di tale strumento
si avvalgano essenzialmente i non iscritti o gli espulsi dall'albo199.
Meno stringente appare invece il vincolo riguardante la pubblicità nel
caso dei ragionieri ai quali è consentito l'uso di comunicazioni limitate
195
Cfr. art. 9 cod. deont. Il codice deontologico dei ragionieri prevede, al par. 2.6, in tema di compensi, che
“il professionista ha diritto ad un compenso in relazione alla sua professionalità e alle responsabilità assunte.
Non può ricevere profitti diversi dall’onorario che gli spetta”.
196 Cfr. audizione del consiglio nazionale del 10 maggio 1995.
197 Cfr. art. 4 d.p.r. n. 1067/1953.
198 Cfr. art. 10 cod. deont.
199 Cfr. audizione del 10 maggio 1995.
109
esclusivamente nell'interesse del pubblico, ma in ogni caso la forma di tali
comunicazioni deve essere compatibile con la dignità della professione200.
4.2 I Consulenti del Lavoro
principali riferimenti normativi
Legge 23 novembre 1971 n. 1100, recante “Istituzione di un ente di
previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro”; legge 11 gennaio 1979 n.
12, recante “Ordinamento della professione di consulente del lavoro”; codice
deontologico dei consulenti del lavoro del 20 luglio 1990; legge 5 agosto 1991
n. 249, recante “Riforma dell’ente di previdenza e assistenza dei consulenti del
lavoro”; d.m. 15 luglio 1992 n. 430, recante “Regolamento di approvazione
delle deliberazioni in data 16/5/91 e 10/6/92 del consiglio nazionale dei
consulenti del lavoro concernenti la tariffa professionale della categoria”.
4.2.1 Le attività dei consulenti del lavoro
i) tipologia e caratteristiche
34. Anche i consulenti del lavoro operano nel settore economico
contabile, ma le attività dagli stessi svolte, differentemente dai dottori
commercialisti e dai ragionieri le cui competenze, come visto, sono quasi
interamente sovrapposte, consistono tipicamente in prestazioni rientranti
nell’area della consulenza alla piccola e media impresa relativamente alla
gestione dei rapporti di lavoro.
Infatti, essi svolgono prevalentemente tutti gli adempimenti in materia di
lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non
sono curati dal datore di lavoro, direttamente o a mezzo di propri dipendenti201.
Esemplificando, tali adempimenti riguardano la genesi, la definizione e
l’evoluzione dei rapporti di lavoro e la gestione di tutti gli aspetti contabili,
economici, assicurativi, previdenziali e sociali che essi comportano; l’assistenza
e rappresentanza delle aziende nelle vertenze extragiudiziali derivanti dai
rapporti di lavoro dipendente; l’assistenza e rappresentanza in sede di
contenzioso con gli istituti previdenziali, assicurativi e ispettivi del lavoro202.
35. Tali prestazioni, ancorchè tipiche della professione in esame, non
sono tuttavia riservate ai consulenti del lavoro, potendo essere offerte anche da
altri professionisti, quali gli avvocati, i dottori commercialisti e i ragionieri203.
200
Cfr. par. 2.7 cod. deont., secondo il quale “Non è consentito al professionista, per evitare il rischio di
indurre il pubblico in errore, di usare mezzi pubblicitari. Al professionista è consentito l’uso di
comunicazioni limitate ad informare il pubblico di un numero circoscritto di fatti, nell’interesse di
quest’ultimo. Comunque deve essere rispettato il principio che la forma di tali comunicazioni deve essere
compatibile con la dignità della professione”.
201 Cfr. art. 1, comma 1, legge 11 gennaio 1979 n. 12, recante “Professione di consulente del lavoro”.
202 Cfr. scheda informativa del consiglio nazionale sul profilo professionale del consulente del lavoro,
depositata in occasione dell’audizione dell’8 giugno 1995.
203 Cfr. art. 1, comma 1, l. n. 12/1979.
110
Inoltre, nelle ipotesi in cui la domanda sia costituita da imprese artigiane
e da altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, le suddette prestazioni
possono essere svolte da operatori ancora diversi e cioè dalle rispettive
associazioni di categoria che abbiano istituito al loro interno appositi servizi. E
tali servizi possono pure essere organizzati a mezzo di consulenti del lavoro,
anche se dipendenti delle predette associazioni204.
36. Naturalmente, poi, i consulenti del lavoro competono con gli
operatori del settore economico contabile, e quindi, ancora una volta, con i
dottori commercialisti e i ragionieri in particolare, per quanto riguarda la tenuta
delle scritture contabili, la consulenza fiscale e tributaria, nonchè contrattuale e
le funzioni di conciliazioni o di consulenza tecnica di parte o del giudice205.
37. Va rilevato, infine, che numerose altre attività, svolte dai consulenti
del lavoro a favore delle imprese, quali la ricerca e la selezione del personale,
la prevenzione e la sicurezza dei posti di lavoro, l'analisi dei costi, non
prescindono totalmente dall’ iscrizione ad albi professionali206.
ii) la domanda e l’offerta
38. La domanda è rappresentata da circa 900.000 aziende,
prevalentemente di piccole e medie dimensioni (con 7 milioni di dipendenti), le
quali chiedono assistenza innanzitutto in materia di legislazione sociale del
lavoro e secondariamente in materia contabile e tributaria.
Relativamente alla struttura dell’offerta, i consulenti del lavoro iscritti
agli albi alla metà del 1995 erano 16.950207.
4.2.2 modalità di accesso
39. Per accedere alla professione, sono richiesti i seguenti requisiti:
diploma di maturità di scuola secondaria superiore secondo indirizzi
riconducibili all’area delle scienze sociali ovvero laurea in giurisprudenza, in
scienze economiche e commerciali o in scienze politiche; pratica biennale ed
esame di abilitazione.
La pratica biennale deve svolgersi presso lo studio e sotto il controllo di
un consulente del lavoro o di un altro professionista iscritto agli albi dei dottori
204
205
206
Cfr. art. 1, comma 4, l. n. 12/1979
Cfr. risposta del consiglio nazionale a richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995.
Cfr. risposta del consiglio nazionale a richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995:
conseguentemente, è stato precisato che tali attività vengono nei fatti offerte da privati, sia singolarmente che
in forma associata, anche societaria (centri di elaborazione dati, società di ricerca e selezione).
207 Cfr. risposta del consiglio nazionale a richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995.
111
commercialisti, dei ragionieri o degli avvocati208. Il praticante è iscritto in un
registro speciale dei praticanti.
Le sessioni dell’esame di abilitazione sono annuali e si svolgono in ogni
regione secondo modalità e programmi stabiliti con decreto del Ministro del
Lavoro, di concerto con i Ministri di Grazia e Giustizia e della Pubblica
Istruzione209. Sono esonerati da tale esame, ai fini dell’iscrizione all’albo, gli ex
dipendenti del Ministero del Lavoro che abbiano prestato servizio, almeno per
15 anni, con mansioni di ispettori del lavoro210.
40. Le commissioni esaminatrici regionali sono composte: dal capo
dell'ispettorato regionale del lavoro competente per territorio, o da altro
funzionario da questi delegato, in qualità di presidente; da un professore
ordinario di materie giuridiche designato dal Ministero della Pubblica
Istruzione; da un direttore di una sede provinciale dell'INPS e da uno
dell'INAIL della regione interessata; da tre consulenti del lavoro designati dal
consiglio nazionale211.
41. Fin dall'inizio degli anni '80, inoltre, la categoria ha auspicato una
formazione mirata a livello universitario: sono nate così le Scuole Dirette a Fini
Speciali per consulenti del lavoro. Nell'anno accademico 1989/90 è stata
attivata, presso l'Università di Siena, una scuola triennale che ha rilasciato i
primi diplomi al termine dell'anno 1991/92. Dall'anno 1992/93 è operativa,
presso l'Università di Modena, una scuola recentemente trasformata in Diploma
Universitario per consulenti del lavoro. Infatti, il Consiglio Universitario
nazionale, in riferimento a quanto previsto dalla legge n. 341/90, ha deliberato
la istituzione, presso le facoltà di giurisprudenza, economia e commercio e
scienze politiche, del diploma universitario di consulente del lavoro, a seguito
di un corso di durata triennale. Tale corso prevede esami obbligatori sia nelle
materie giuridiche tributarie, del lavoro e commerciale, sia in quelle
economiche e sociologiche212.
42. Relativamente al 1993, la percentuale degli abilitati all'esercizio della
professione a livello nazionale è stata del 41,4%213.
4.2.3 gli standard qualitativi delle prestazioni dei consulenti del lavoro
208
Cfr. art. 3, l. n. 12/79 e art. 4, d.m. 3 agosto 1979, recante “Modalità sulla disciplina dei due anni di
praticantato necessari per l’ammissione all’esame di Stato per il conseguimento del certificato di abilitazione
all’esercizio della professione di consulente del lavoro”. Ai sensi dell’art. 4, comma 3, del citato decreto,
inoltre, “Il professionista non potrà ammettere contemporaneamente più di due praticanti presso il proprio
studio”.
209 Cfr. art. 3, commi 1 e 3, l- n. 12/79.
210 Cfr. art. 9, comma 2, l. n. 12/79.
211 Cfr. art. 3, comma 1, l. n. 12/1979.
212 Cfr. scheda informativa depositata nel corso dell'audizione del consiglio nazionale dei consulenti del
lavoro dell'8 giugno 1995.
213 Cfr. risposta del consiglio nazionale a richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995.
112
43. La regolamentazione delle attività svolte dai consulenti del lavoro,
relativamente al profilo qualitativo, riguarda i comportamenti nell’esecuzione
delle prestazioni professionali. Anche in questo caso, le norme istitutive della
professione impongono ad essi l’obbligo di tenere, nello svolgimento
dell’attività, una condotta professionalmente dignitosa e decorosa, prevedendo,
nell’ipotesi di inosservanza di tale precetto, una responsabilità disciplinare del
professionista214. Il codice deontologico, nel precisare il contenuto della
condotta, pone alcuni obblighi, assolutamente simili a quelli indicati per i
dottori commercialisti e i ragionieri e cioè: la lealtà e probità; la riservatezza;
l’aggiornamento; la terzietà.
4.2.4 le tariffe
44. Il procedimento di formazione della tariffa dei consulenti del lavoro
prevede che esse siano proposte dal consiglio nazionale, sentito il parere dei
Consigli Provinciali e adottate con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia,
sentito il parere del Ministero del Lavoro e del Consiglio di Stato215.
Il d.m. 15 luglio 1992 n. 430 costituisce l’ultimo regolamento recante la
disciplina della tariffa professionale dei consulenti del lavoro.
Il decreto stabilisce le tariffe minime e massime da adottare per le singole
voci relative all'attività professionale216. I minimi sono vincolanti per gli
iscritti217. Il rispetto dei minimi, poi, secondo il codice deontologico, è
garanzia della serietà e della chiarezza professionale nel rapporto con i clienti:
conseguentemente il consulente del lavoro deve attenervisi in maniera
rigorosa218. Nessun procedimento risulta promosso per mancato rispetto della
tariffa professionale219.
45. Il consulente del lavoro può poi assumere in regime di abbonamento
annuale gli adempimenti connessi all'incarico professionale220. Esistono dei
parametri di riferimento per la determinazione del compenso spettante al
professionista in regime di abbonamento. Il consulente del lavoro può percepire
una somma definita per ogni unità amministrata oppure percentualizzarla in
funzione dei salari che va a calcolare, in una misura che va dall'1,5% al 7%221.
4.2.5 altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
214
215
216
217
Cfr. art. 26 l. n. 12/79.
Cfr. art. 23 l. n. 12/79.
Cfr. art. 3, d.m. n. 430/1992.
Cfr. art. 5 d.m. n. 430/1992. L’obbligatorietà, peraltro, riguarda anche gli operatori di cui si avvalgono le
imprese artigiane e le altre piccole imprese considerate all’art. 1 della l. n. 12/1979.
218 Cfr.art. 17 cod. deont.
219 Cfr. risposta del consiglio nazionale alla richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995
220 Cfr. art. 17, d.m. n. 430/1992.
221 Cfr. audizione del consiglio nazionale dei consulenti del lavoro dell'8 giugno 1995.
113
i) il divieto di pubblicità
46. Al consulente del lavoro è vietata ogni forma di pubblicità, salvo
quella rivolta alla corretta informazione al pubblico del titolo professionale e
della specializzazione nonchè dell'ambito territoriale di esercizio, ed inoltre di
accettare o favorire forme di pubblicità svolte a suo favore da parte di
associazioni, enti, organizzazioni, aziende, sindacati o altro222.
4.3 Conclusioni
47. La tabella che segue mette in evidenza differenze e analogie tra le
forme di regolamentazione dell’attività svolta dai dottori commercialisti, dai
ragionieri e dai consulenti del lavoro.
In primo luogo, emerge che tutte le professioni considerate prevedono
obblighi del professionista nei confronti della clientela a garanzia della qualità
del servizio: in particolare, alle norme deontologiche fondamentali e generali
relative alla lealtà, sincerità e riservatezza nei confronti del cliente, si associa la
previsione di un obbligo di aggiornamento del professionista volta a garantire
l’adeguatezza tecnica delle prestazioni nel tempo.
In secondo luogo, si evidenziano quali aspetti regolamentativi comuni a
tutte le professioni la presenza di tariffe minime inderogabili e massime e il
divieto di pubblicità.
Diversità emergono invece con riguardo ai requisiti di accesso e in
particolare all’iter formativo richiesto per poter partecipare all’esame di
abilitazione che varia dal diploma di scuola media superiore accompagnato da
pratica biennale nel caso dei consulenti del lavoro, al diploma universitario
triennale più pratica triennale per i ragionieri, al diploma di laurea e alla pratica
triennale nel caso dei dottori commercialisti. In sintesi, emerge un sistema
caratterizzato da una certa graduazione dei requisiti di accesso, in cui i
consulenti del lavoro e i commercialisti si collocano agli estremi opposti.
Si osserva, al tempo stesso, una crescente similitudine nella
regolamentazione della professione di ragioniere e di dottore commercialista
essenzialmente per quanto concerne l’accesso (corso universitario, elevazione
del periodo di pratica) e le tariffe che potrebbe sfociare in futuro
nell’unificazione delle due professioni.
Tabella 4 - Principali forme di regolamentazione dell’attività svolta dai dottori
commercialisti, dai ragionieri e dai consulenti del lavoro
requisiti entrata
dottori commercialisti
a) laurea in economia e
commercio;
c) pratica triennale;
222
standard di qualità minima
tariffe
dei servizi economicocontabili
requisiti relativi ai rapporti minime e massime
con la clientela:
minime inderogabili
obbligo di lealtà, sincerità,
riservatezza
e
terzietà
altre forme di
(auto)regolamentazione
divieto di pubblicità
assicurazione*
forme di responsabilità
aggiornamento
Cfr. art. 12 cod. deont.
114
d) esame di abilitazione
e) iscrizione all’albo
rispetto all’incarico ricevuto;
obbligo di trasparenza circa
il
contenuto
della
prestazione
ragionieri
a) diploma di ragioniere;
b) diploma universitario .
triennale o laurea in
economia e commercio;
c) pratica bi-triennale;
d) esame di abilitazione
e) iscrizione alla’albo
consulenti del lavoro
a) diploma di maturità;
c) pratica biennale;
d) esame di abilitazione
e) iscrizione alla’albo
* si applica solamente ai dottori commercialisti
48. Nella valutazione concernente l’assetto regolamentativo risultante
dalla tabella, deve innanzitutto rilevarsi che le attività svolte dai professionisti
economico-contabili non costituiscono per legge attività riservate e vengono, in
concreto, esercitate da una pluralità di categorie professionali differentemente
qualificate.
Di conseguenza, l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo per gli abilitati
all’esercizio delle professioni in esame appare una misura non necessaria.
Questo, tuttavia, non significa che l’iscrizione ad un albo non possa
svolgere un’utile funzione, di natura essenzialmente segnaletica, a favore del
consumatore.
49. Ciò in particolare tenuto conto della differenziazione dei requisiti di
iscrizione ai diversi albi professionali. Quest’ultima corrisponde ad una
diversificazione dell’offerta che con tutta probabilità ben si adatta ad una certa
diversità delle preferenze della domanda circa le caratteristiche delle
prestazioni. Per questo motivo, tale differenziazione di requisiti, benché non
giustificata da effettive esigenze di tutela del consumatore, può nondimeno
svolgere una funzione di miglioramento dell’efficienza del mercato.
50. Quanto, poi, ai vincoli attinenti all’esercizio - standard delle
prestazioni, tariffe, divieto di pubblicità - si rileva che essi appaiono a fortiori
superflui, trattandosi di attività libere.
Anzi tali vincoli, ed in particolare, la predisposizione di tariffari e il
divieto di pubblicità, risultano senz’altro idonei a determinare uno svantaggio
concorrenziale per gli iscritti agli albi, trovandosi questi ultimi a competere con
una pluralità di operatori non regolamentati e quindi liberi sia nella fissazione
del prezzo che nell’utilizzo dello strumento pubblicitario.
115
CAPITOLO
QUINTO:
LA
REGOLAMENTAZIONE
DELLE
PROFESSIONI SANITARIE
1. Le professioni sanitarie ricomprendono nel loro ambito molteplici
profili professionali, tra i quali figurano i medici chirurghi e odontoiatri, i
farmacisti, i veterinari, le ostetriche, gli infermieri, i tecnici sanitari di radiologia
medica223. Nel presente capitolo si intendono analizzare le principali e più
significative professioni, ovvero medici e farmacisti. In particolare ci si propone
di esaminare le forme di regolamentazione di tali attività, con particolare
riguardo alle norme concernenti i requisiti e la selezione per l’accesso
all’esercizio delle stesse, agli standard delle prestazioni, alle tariffe, alle
limitazioni territoriali nonché alle disposizioni presenti nei codici deontologici.
5.1 I farmacisti
principali riferimenti normativi
R.d. 27 luglio 1934 n. 1265, legge 2 aprile 1968 n. 475, <Norme
concernenti il servizio farmaceutico>, DLCPS del 19 settembre 1946 n. 233,
d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221, d.p.r. 21 agosto 1971 n. 1275, <Regolamento per
l'esecuzione della legge 2 aprile 1968, n. 475>, legge n. 362 del 1991, <Norme
di riordino del settore farmaceutico>, DLGS 8 agosto 1991 n. 258.
5.1.1 l’attività farmaceutica
i) tipologia e caratteristiche
2. Farmacista è chi esercita professionalmente la farmacia, ovvero la
professione sanitaria che consiste nella preparazione dei medicamenti prescritti
nelle ricette mediche e nella vendita al pubblico delle sostanze medicinali,
nonché dei medicamenti composti e delle specialità medicinali messi in
commercio già preparati e condizionati secondo la formula stabilita dal
223
Con riferimento alle professioni sanitarie tradizionalmente definite “ausiliarie”, deve essere segnalata
l’approvazione il 1° ottobre 1997 da parte della XII Commissione permanente del Senato di un disegno di
legge, Disposizioni in materia di professioni sanitarie (n. 4216), nel quale, all’articolo 1, si stabilisce che
“con Decreto del Ministro della Sanità da emanare entro sei mesi, sono istituiti gli albi professionali per i
profili individuati dal Ministro della Sanità ai sensi dell’art. 6, comma 3 del decreto legislativo, e
successive modificazioni e integrazioni, nonchè i relativi ordini e Federazioni nazionali degli ordini (...).
Dalla data di entrata in vigore della presente legge i collegi provinciali degli infermieri professionali, degli
assistenti sanitari e delle vigilatrici d’infanzia, nonchè i collegi provinciali delle ostetriche ed i collegi
provinciali dei tecnici sanitari di radiologia medica assumono la denominazione, rispettivamente, di ordini
provinciali degli infermieri professionali, degli assistenti sanitari visitatori e delle vigilatrici d’infanzia, di
ordini provinciali delle ostetriche, di ordini provinciali dei tecnici sanitari di radiologia medica”. La
denominazione delle relative federazioni è conseguentemente modificata”. Inoltre, il comma 2 del
medesimo articolo stabilisce che “il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie
di cui al presente articolo è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili
professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione postbase nonchè degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni
mediche e nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.”
116
produttore224. Le attività di preparazione e vendita al pubblico di medicinali al
pubblico sono attribuite in via esclusiva ai farmacisti225.
3. In particolare, è possibile distinguere i farmaci la cui
commercializzazione è riservata ai farmacisti in due categorie: i medicinali
etici226 e i cosiddetti medicinali da banco o anche OTC227.
Oggi, con lo sviluppo della produzione in forma industriale, il ruolo
ricoperto dal farmacista nella preparazione e trasformazione dei medicinali è
divenuto marginale rispetto alla vendita di medicinali già confezionati228.
Tuttavia in alcuni ambiti l’attività del farmacista continua a richiedere il
possesso di cognizioni scientifiche e tecniche specializzate. Infatti alcune
sostanze medicinali richiedono delle conoscenze speciali non soltanto per la
loro preparazione o trasformazione, ma anche per la provvista, il
riconoscimento e la conservazione; inoltre, l’uso incontrollato di alcuni
medicinali può essere cagione di danni o di pericoli che rendono necessario
vietarne la detenzione alle persone non qualificate. Per la preparazione,
trasformazione e vendita di questi prodotti farmaceutici si può ritenere che
sussistano condizioni tali da richiedere la specifica professionalità del
farmacista. Tuttavia, lo stesso non appare potersi sostenere con riferimento alla
vendita dei prodotti da banco, per l’acquisto dei quali non è richiesta la ricetta
medica. Se si considera infatti che il consumo di tali farmaci è libero, che per
tali farmaci è consentita ovunque la pubblicità al consumo e che gli stessi,
potendo essere esposti sul banco del farmacista, comunicano direttamente con
il consumatore, si può ritenere per un verso che non sussistano profili di
pericolosità nell’uso di tali prodotti tali da suggerire la limitazione dei canali di
vendita, e per l’altro che la professionalità tipica del farmacista assume un ruolo
224 Dal termine farmacia inteso come professione sanitaria deve distinguersi la farmacia come azienda,
ovvero il complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa farmaceutica. Tuttavia, l’esercizio della
farmacia si collega normalmente con l’esercizio dell’impresa commerciale. Il farmacista che sia anche
titolare di una farmacia, infatti, deve esercitare tra i produttori di sostanze e di preparati medicinali e i
consumatori quell’attività d’intermediazione che è tipica del commerciante. In tal caso quindi il farmacista
assume la veste di imprenditore commerciale (art. 2195 cc.) .
225 L’art. 122 del RD 27 luglio 1934 stabilisce che “ la vendita al pubblico di medicinali a dose o forma di
medicamento non è permessa che ai farmacisti e deve essere effettuata nella farmacia sotto la responsabilità
del titolare della medesima. Sono considerati medicinali a dose o forma di medicamento, per gli effetti della
vendita al pubblico, anche i medicinali composti e specialità medicinali, messi in commercio già preparati e
condizionati secondo la formula stabilita dal produttore.”
226 I farmaci etici sono quei medicinali che richiedono obbligatoriamente la prescrizione medica in quanto
destinati ad un’azione terapeutica su situazioni patologiche di tipo non lieve e che per la relativa pericolosità
della propria composizione devono essere assunti sotto controllo medico. Il prodotto deve essere consegnato
al cliente da un professionista sanitario il quale ha il compito di controllare la regolarità formale e
sostanziale della ricetta.
227 I farmaci da banco (anche detti farmaci di automedicazione) sono specialità medicinali registrate,
destinate al trattamento di affezioni minori che incidono transitoriamente sullo stato di salute e che sono
facilmente identificabili dal paziente stesso. Si tratta di rimedi caratterizzati da un grado di pericolosità
molto basso e pertanto possono essere venduti senza presentazione di ricetta medica.
228 Le preparazioni galeniche, ovvero quelle preparate dal farmacista rappresentano circa l’1,5%
dell’attività di una farmacia.
117
marginale229, divenendo invece prevalente il ruolo di intermediazione tipico del
commerciante. Pertanto, l’esclusiva attribuita al farmacista per la vendita dei
medicinali da banco non sembra trovare lo stesso fondamento dell’esclusiva
attribuita per la vendita dei medicinali etici.
ii) domanda e offerta
4. Relativamente alla domanda, la tabella che segue evidenzia i consumi
dei prodotti commercializzati in farmacia negli ultimi anni. Si tratta non soltanto
di farmaci (etici e OTC) ma anche di prodotti parafarmaceutici, cosmetici e
dietetici per l’infanzia che sono venduti dalla farmacia in concorrenza con altre
tipologie di esercizi commerciali.
Tabella 1-Valore dei prodotti acquistati in farmacia (migliaia di miliardi).
anni
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
etici
17.079 18.623 20.130 19.675 17.827 17.750 18.900
OTC
1.795 1.933 2.150 2.285 3.142 3.590 3.738
altri*
3.387 3.764 3.963 3.854 3.988 3.862 3.910
Totale
22.261 24.320 26.243 25.814 24.957 25.202 26.548
Fonte: elaborazione su dati IMS.
*Tra gli altri prodotti venduti in farmacia figurano i parafarmaceutici, i cosmetici, gli
omeopatici e i dietetici per l’infanzia.
5. Limitando l’analisi ai dati relativi ai medicinali si osserva che tra
questi gli OTC hanno registrato un continuo incremento nel corso degli anni,
raggiungendo nel 1996 una quota di mercato di circa il 14%. (Per una maggiore
disaggregazione dei dati relativi alla domanda di farmaci si veda inoltre la
tabella a1 in appendice).
6. Dal lato dell’offerta, le farmacie attualmente esistenti sono circa
16.000230. Tuttavia i laureati in farmacia che hanno superato l’esame di
abilitazione sono circa 56.000. Di essi quindi 16.000 circa sono titolari di
farmacia, la maggior parte, 30.000 circa, lavorano presso le farmacie alle
dipendenze di altri farmacisti e i restanti prestano la propria opera in altre
attività231.
229 Se infatti il farmacista viene riconosciuto come una valida fonte di consiglio per il consumatore nella
scelta del prodotto di automedicazione, esistono tuttavia anche altri fattori determinanti quali l’esperienza
familiare o individuale; inoltre, il farmacista viene per lo più consultato su specifica richiesta del cliente e in
occasione del primo acquisto del prodotto. Pertanto, per quei consumatori già in possesso di tutte le
informazioni necessarie per l’impiego di questi prodotti, la consulenza del farmacista non è necessaria.
230 Le farmacie in Italia si dividono in private e comunali. Queste ultime rappresentano circa il 7% del
totale, superando il migliaio di esercizi.
231 L’iscrizione all’albo è obbligatoria per i farmacisti che esercitano la propria attività nelle farmacie
private (in qualità di titolare, gestore provvisorio, direttore responsabile, collaboratore), nelle farmacie di cui
siano titolari enti (in qualità di direttore o collaboratore), nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale in
qualità di farmacista dirigente, coadiutore o collaboratore di farmacia interna negli ospedali oppure negli
uffici e servizi farmaceutici delle USL; nella produzione di cosmetici, mangimi, fitofarmaci, antiparassitari e
presidi sanitari; e, infine nella Croce Rossa Italiana. Le altre attività, invece, tra cui la produzione di materie
118
7. In Italia si è assistito negli ultimi anni ad un aumento delle farmacie
esistenti, passate da 14.365 unità nel 1980 a 16.040 nel 1995. Pertanto, nel
1995 si riscontrava la presenza di una farmacia ogni 3.500 abitanti circa. Il
rapporto fra popolazione e numero di punti vendita può variare tra le regioni
italiane, ma entro limiti non particolarmente ampi, come conseguenza di un
sistema di regolamentazione strutturale del settore, di cui si dirà
successivamente al punto 16. (Per una disaggregazione regionale dei dati
relativi al numero di farmacie e alla loro densità per abitanti si veda la tabella
a2 in appendice.)
Deve tuttavia essere fin d’ora considerato che, in base ai parametri con
cui vengono determinati gli esercizi farmaceutici, i comuni che non superano i
7.500 abitanti non possono avere più di una farmacia232.
Appare, quindi, del tutto plausibile ritenere, anche considerando questo
solo aspetto, che il numero di esercizi presenti nella maggior parte dei comuni
italiani sia inadeguato a soddisfare le esigenze della domanda.
Tale considerazione risulta ulteriormente rafforzata quando si consideri
che nel giorno di chiusura per turno delle farmacie e nelle ore di chiusura
notturna il consumatore è costretto a recarsi in un comune limitrofo, o, in
alternativa, se la farmacia effettua servizio a “battenti chiusi” e “a chiamata”, è
costretto a riconoscere al farmacista un “diritto addizionale”233.
5.1.2 modalità di accesso all’attività
i) accesso al titolo di farmacista
8. Per conseguire il titolo di farmacista sono richiesti i seguenti requisiti:
laurea in farmacia o in chimica e tecnologie farmaceutiche, superamento di un
esame di abilitazione e iscrizione all’albo professionale.
9. L’esame di abilitazione, indetto con ordinanza del ministro
dell’Università e della ricerca scientifica, può essere sostenuto presso una
prime farmacologicamente attive; la produzione e il commercio di medicinali per uso veterinario; ecc... non
richiedono l’iscrizione all’albo.
232 E ciò implica che circa il 27% della popolazione ha a disposizione una sola farmacia nel proprio
comune di residenza. Dai dati ISTAT, relativi al censimento del 1991, risulta che il numero dei comuni fino
a 7.500 abitanti è 6.636, con una popolazione complessiva di 15.466.606, mentre il numero complessivo dei
comuni in Italia è 8.101, con una popolazione complessiva di 57.332.996.
233 Nella tariffa nazionale dei medicinali, approvata con DM del 18 agosto 1993 è infatti previsto che per le
dispensazioni effettuate nelle farmacie durante le ore notturne, dopo la chiusura serale delle farmacie spetta
al farmacista un diritto addizionale di L.7.500 e per le dispensazioni durante le ore di chiusura diurna di
L.3000. Tali diritti addizionali sono aumentati del 25% per le farmacie rurali sussidiate con arrotondamento
pari a L. 9.500 per la dispensazione notturna e per un importo pari a L. 4.000 per la dispensazione diurna.
119
qualsiasi sede universitaria indicata nell’ordinanza ministeriale. I laureati in
chimica e tecnologie farmaceutiche per accedervi devono aver effettuato un
tirocinio della durata di sei mesi, che invece non è richiesto ai laureati in
farmacia.
10. Le commissioni esaminatrici sono costituite con decreto del Ministro
della Pubblica Istruzione il quale presceglie i membri da terne designate dal
competente ordine professionale. Ogni commissione è composta dal Presidente
e da quattro membri appartenenti alle seguenti categorie: professori universitari,
direttori di ruolo di farmacie e ospedali, ufficiali superiori farmacisti delle Forze
armate in servizio permanente effettivo o in posizione ausiliaria, farmacisti
iscritti all’albo con non meno di quindici anni di lodevole servizio
professionale. Benché non siano disponibili dati precisi sul rapporto tra
candidati agli esami e abilitati, si può ritenere che il numero dei respinti sia
molto modesto. 234
ii) accesso al conferimento di un esercizio farmaceutico
11. Al conferimento di un esercizio farmaceutico si può pervenire per
concorso, per acquisto tra vivi o mortis causa235.
a) acquisizione per concorso
12. Il pubblico concorso rappresenta il normale strumento per ottenere il
conferimento di un esercizio farmaceutico resosi vacante (per decadenza o
rinuncia del titolare) nonché l'unico modo consentito per il conferimento delle
farmacie di nuova istituzione, cioè di quelle che non sono ancora state oggetto
d'autorizzazione all'apertura e all'esercizio.236
I requisiti richiesti per la partecipazione al concorso sono i seguenti:
cittadinanza in uno Stato membro della comunità; maggiore età; iscrizione
all'albo dei farmacisti; non aver compiuto i 60 anni di età.237
13. La composizione della commissione giudicatrice, i criteri per la
valutazione dei titoli e l'attribuzione dei punteggi, le prove di esame e le
234 Cfr audizione consiglio nazionale dell’ordine dei farmacisti del 4 luglio 1995.
235 La titolarità di una farmacia può essere inoltre conseguita provvisoriamente attraverso la gestione
provvisoria: l’art. 129 del RD 27 luglio 1934 n. 1265 consente ai comuni di dare la gestione provvisoria di
una farmacia ai farmacisti senza bandire un concorso, in caso di sospensione o di interruzione di un
esercizio farmaceutico, dipendenti da qualsiasi causa e dalle quali sia derivato o possa derivare nocumento
all’assistenza farmaceutica locale. Molti farmacisti sono riusciti ad ottenere la titolarità definitiva di una
farmacia avuta in gestione provvisoria attraverso leggi di sanatorie (Cfr ad esempio l’art. 14 della legge
362/1991).
236 Al riguardo, l'art. 4 della legge 362/1991 dispone che il conferimento delle sedi farmaceutiche vacanti o
di nuova istituzione che risultino disponibili per l'esercizio da parte dei privati abbia luogo mediante
concorso per titoli ed esami bandito annualmente dalle regioni e dalle province autonome di Trento e
Bolzano.
237 Cfr.art. 4 legge 8 novembre 1991 n. 362.
120
modalità di svolgimento del concorso sono fissati con Decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri238239.
I candidati che risultano vincitori del concorso, indicano, secondo
l’ordine di graduatoria, la sede farmaceutica prescelta ai fini dell’assegnazione.
b) acquisizione per trasferimento
14. Per le farmacie che non sono di nuova istituzione, l'autorizzazione
può essere conseguita anche mediante l'acquisto della farmacia per atto tra vivi
o mortis causa. In particolare, sotto il primo profilo, la legge consente il
trasferimento della titolarità della farmacia trascorsi tre anni dalla conseguita
titolarità.240 Il trasferimento può avere luogo a favore di farmacista che abbia
conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente concorso,
nonché a favore di farmacista, iscritto all'albo professionale che abbia almeno
due anni di pratica professionale, certificata dall'autorità sanitaria
competente.241
Il trasferimento delle farmacie è attualmente un fenomeno piuttosto
limitato, basti pensare che delle 16.000 farmacie esistenti, negli ultimi 3 anni
sono state oggetto di compravendita un numero non superiore a 500.
c) acquisizione a titolo di successione
15. Per quanto riguarda l’acquisto della farmacia mortis causa, la legge
stabilisce che l’avente causa, qualora sia il coniuge ovvero l'erede in linea retta
238 Cfr.art. 4 legge 8 novembre 1991 n. 362. In particolare la legge prevedeva che tale decreto dovesse
essere emanato entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Il regolamento di
attuazione tuttavia è stato adottato solo nel 1994 (DPCM 30 marzo 1994 n. 298). Tale regolamento ha
previsto procedure più snelle per l’assegnazione delle sedi, in quanto, ferma restando la valutazione dei
titoli, ha sostituito le precedenti prove di esame con una prova attitudinale basata su cento domande estratte
a sorte fra tremila predisposte ogni due anni dal Ministero della Sanità. Il Ministero peraltro, ha predisposto
tali domande solo nell’aprile del 1997, né le commissioni esaminatrici si sono avvalse della facoltà concessa
loro dallo stesso decreto di predisporre direttamente le domande per la prova attitudinale nel caso non vi
avesse provveduto il Ministero. Pertanto, dal 1991 sono stati espletati solo pochissimi concorsi con il criterio
in vigore prima della legge 362/91. Il DPCM 30 marzo 1994, n. 289 all’art. 10 prevedeva infatti che i
concorsi per l’assegnazione di sedi farmaceutiche già banditi al momento dell’entrata in vigore delle legge
362/1991 restassero disciplinati dalle disposizioni vigenti alla data di emanazione del bando.
239 La commissione esaminatrice nominata dalla Regione o dalla provincia autonoma è composta da: un
professore universitario ordinario o associato con un'anzianità di insegnamento di almeno cinque anni in una
delle materie oggetto di esame; due funzionari dirigenti o appartenenti alla carriera direttiva, dipendenti
dalla regione o dalla provincia autonoma dei quali almeno uno farmacista; due farmacisti, di cui uno titolare
di farmacia e uno esercente in farmacia aperta al pubblico, designati dall'ordine provinciale dei farmacisti.
Le funzioni di presidente sono esercitate dal professore universitario o da uno dei due funzionari regionali.
240 Cfr l’art. 12 della legge 2 aprile 1968 n. 475, come modificato dalla legge 362/1991. Il termine era in
precedenza fissato a cinque anni.
241 Il trasferimento della titolarità delle farmacie a tutti gli effetti di legge non è ritenuto valido se insieme
col diritto di esercizio della farmacia non venga trasferita anche l'azienda commerciale che vi è connessa,
pena la decadenza. Il trasferimento del diritto di esercizio della farmacia deve essere riconosciuto con
decreto del medico provinciale, come dispone l’art. 12 della legge 2 aprile 1968 n. 475, modificato dalla
legge 362/1991. Il comma successivo del medesimo articolo dispone inoltre che il farmacista che abbia
ceduto la propria farmacia non possa concorrere all’assegnazione di un altra farmacia se non siano trascorsi
dieci anni dall’atto di trasferimento.
121
entro il secondo grado e sia sprovvisto dei requisiti di idoneità, può mantenere
la gestione della farmacia fino al compimento del trentesimo anno di età,
ovvero, per dieci anni nel caso in cui entro un anno si iscriva ad una facoltà di
farmacia in qualità di studente presso un'università statale o abilitata a rilasciare
titoli aventi valore legale.242
La possibilità accordata, in caso di morte del titolare, al coniuge ovvero
all'erede in linea retta entro il secondo grado, che non abbiano i requisiti di
idoneità, di continuare l'esercizio della farmacia per un periodo anche lungo
solo iscrivendosi alla facoltà di farmacia attribuisce evidentemente agli eredi
una posizione di notevole vantaggio nella fase di accesso all’attività e
contribuisce a limitare il numero della farmacie disponibili per l'esercizio da
parte di chi abbia i requisiti. Giova inoltre precisare che alle norme sul punto si
affiancano anche altre disposizioni comunque volte a tutelare gli interessi
economici degli eredi. In particolare, la legge obbliga il farmacista autorizzato
all'esercizio di una farmacia che non sia di nuova istituzione a rilevare dal
precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni
attinenti all'esercizio farmaceutico, contenuti nella farmacia e nei locali annessi,
nonché a corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi l'indennità di
avviamento243. In ogni caso l'azienda farmaceutica può anche formare oggetto di
usufrutto o locazione a favore di chi abbia i requisiti per esercitare l'attività.
5.1.3 regolamentazione numerica degli esercizi
16. Come già anticipato, la distribuzione sul territorio delle farmacie è
regolamentata per legge. L'autorizzazione ad aprire una farmacia è rilasciata
con provvedimento definitivo dell'autorità sanitaria competente per territorio. 244
La vigente legislazione ha adottato il sistema della limitazione numerica
delle farmacie autorizzate all'esercizio in ciascun comune sulla base di criteri
demografici, geografici e di distanza.
Ai sensi della legge 362/1991, il numero delle autorizzazioni è stabilito in
modo che vi sia una farmacia ogni 5.000 abitanti nei comuni con popolazione
fino a 12.500 abitanti e una farmacia ogni 4.000 abitanti negli altri comuni. La
popolazione eccedente rispetto a tali parametri è computata, ai fini dell'apertura
di una farmacia, qualora sia pari ad almeno il 50 per cento dei parametri stessi.
Inoltre ogni nuovo esercizio di farmacia deve essere situato ad una distanza
dagli altri non inferiore a 200 metri e comunque in modo da soddisfare le
esigenze degli abitanti della zona. La distanza è misurata per la via pedonale
più breve tra soglia e soglia delle farmacie.245
242 Dal combinato disposto degli articoli 7, comma 9 e 10 della legge 362/1991 e 12, comma 12, della legge
475/1968.
243Art. 110 T.U sanitario.
244 Art. 1 della legge 8 novembre 1991 n. 362 che ha sostituito l’art. 1 della legge 2 aprile 1968 n. 475.
245 L'art 2 della legge 8 novembre 1991 n. 362 che ha modificato l’art. 104 del RD 27 luglio 1934 n. 1265,
prevede poi che le regioni e le province di Trento e Bolzano, quando particolari esigenze dell'assistenza
122
17. L’atto in cui è contenuta la determinazione degli esercizi farmaceutici
vacanti o di nuova istituzione da assegnare ai privati vincitori dei pubblici
concorsi è la pianta organica. Si tratta di un atto di contenuto programmatico
che, in conformità dei criteri stabiliti dalla legge, distribuisce gli esercizi
farmaceutici secondo la popolazione e ne determina la dislocazione territoriale.
La pianta organica delle farmacie, presente in ogni comune, deve infatti
indicare la popolazione del comune, il numero delle farmacie che il comune
deve avere, le sedi farmaceutiche, la circoscrizione della zona di ciascuna sede
farmaceutica e il numero delle farmacie esistenti. Ai sensi della legge 475/1968
e del DPR 1275/1971, la pianta organica è sottoposta a revisione ogni due anni,
in base ai dati relativi alla popolazione residente in ciascun comune nell'anno
precedente a quello in cui si procede a revisione246247.
18. Sull’assunzione della titolarità della metà delle farmacie che si
rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della
pianta organica esiste un diritto di prelazione accordato per legge ai comuni.248
Tale prelazione contribuisce certamente a restringere il numero delle
farmacie disponibili per l'esercizio da parte di operatori privati e appare del
tutto sproporzionata rispetto all’obiettivo di assicurare una distribuzione
razionale delle farmacie, il quale potrebbe essere conseguito attraverso
l’assunzione da parte dei comuni della titolarità delle sole farmacie che,
eventualmente, per le caratteristiche delle zone in cui sono situate, risultassero
scarsamente remunerative per i privati.
19. Più radicalmente, si può sin d’ora osservare che l’attuale normativa
vincolistica riguardante il rilascio delle autorizzazioni ad aprire una farmacia
appare non necessaria al perseguimento di fini di interesse generale, risultando
invece sicuramente funzionale alla salvaguardia dei redditi delle farmacie.
farmaceutica in rapporto alle condizioni topografiche e di viabilità lo richiedono, possono stabilire in deroga
al criterio della popolazione, sentiti l'unità sanitaria locale e l'ordine provinciale dei farmacisti, competenti
per territorio, un limite di distanza per il quale la farmacia di nuova istituzione disti almeno 3.000 metri
dalle farmacie esistenti anche se ubicate in comuni diversi. Tale disposizione si applica ai comuni con
popolazione fino a 12.500 abitanti e con il limite di una farmacia per comune.
246 Ai sensi dell'art. 5 della legge 362/1991 le regioni e le province di Trento e Bolzano, sentiti il comune e
l'unità sanitaria locale competente per territorio, in sede di revisione della pianta organica delle farmacie,
quando risultino intervenuti mutamenti nella distribuzione della popolazione del comune o nell'area
metropolitana di cui all'art. 17 legge 142/90 anche senza sostanziali variazioni del numero di abitanti,
provvedono alla nuova determinazione delle farmacie.
247 Per provvedere ai bisogni dell’assistenza farmaceutica nelle stazioni di cura, il prefetto, sentito il
consiglio provinciale di sanità, può autorizzare l’apertura, nelle stazioni stesse, di farmacie succursali,
limitatamente ad un periodo dell’anno. L’autorizzazione è conferita in seguito a concorso al quale possono
partecipare soltanto i titolari delle farmacie regolarmente in esercizio nel comune, sede della stazione o
luogo di cura. Qualora, però nel comune esista un’unica farmacia, è in facoltà del prefetto di concedere
l’autorizzazione, senza concorso, al titolare di detta farmacia, oppure di bandire un concorso fra i titolari
delle farmacie della provincia.
248 Così stabilisce l’art. 9 della legge 2 aprile 1968 n. 475, il quale prevede altresì che il comune può
gestire la farmacia nelle seguenti forme: a) in economia; b) a mezzo di azienda speciale; c) a mezzo di
consorzi tra comuni; d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che prestino
servizio presso farmacie di cui il comune ha la titolarità.
123
5.1.4 gli standard qualitativi delle prestazioni rese dai farmacisti
20. La regolamentazione dell’attività del farmacista, relativamente al
profilo qualitativo, è disciplinata sia dalla legge che dal codice deontologico249 e
riguarda sia l’esercizio farmaceutico che i comportamenti del farmacista
nell’esercizio dell’attività.
Per quanto riguarda le disposizioni normative vigenti, la legge stabilisce
che il titolare autorizzato di ciascuna farmacia è personalmente responsabile del
regolare esercizio della farmacia stessa e ha l’obbligo di mantenerlo
ininterrottamente secondo le norme stabilite dal prefetto di ogni provincia.250
21. Per l’esercizio della propria impresa il farmacista è obbligato a
costituire un azienda, deve cioè disporre di un capitale, costituire un fondo di
medicinali sufficiente per corrispondere alle richieste del pubblico, provvedersi
di un locale idoneo, attrezzarlo con la mobilia, gli apparecchi e gli utensili
necessari251252. Il titolare della farmacia deve inoltre curare che nella farmacia
si conservino e siano ostensibili al pubblico un esemplare della farmacopea
ufficiale ed uno della tariffa ufficiale dei medicinali, che sia conservata copia di
tutte le ricette e che i medicinali dei quali la farmacia è provvista non siano né
guasti, né imperfetti.
22. Per quanto riguarda i comportamenti del farmacista, il codice
deontologico impone al professionista di esercitare la propria attività con
dignità e decoro e di aggiornare costantemente le proprie conoscenze
scientifiche.253
Le infrazioni al codice deontologico sono valutate sotto il profilo
disciplinare dal consiglio direttivo dell’ordine.
5.1.5 le tariffe
249 L’ultima versione del Codice deontologico dei farmacisti è stata emanata dalla federazione ordini
farmacisti italiani nel maggio 1997.
250 Cfr art. 119 del RD 27 luglio 1934 n. 1265.
251 Art. 34 r.d. n. 1706.
252 L’autorizzazione all’apertura della farmacia viene data solo previo accertamento dell’idoneità del locale
degli arredi e delle provviste medicinali prescritte come obbligatorie dalla farmacopea ufficiale. Cfr. Art. 123
del RD 27 luglio 1934 n. 1265.
253 Inoltre il farmacista deve impartire ai tirocinanti le necessarie istruzioni tecniche e costituire un esempio
morale oltre che professionale; deve usare cortesia e disponibilità con i cittadini, prestare loro il soccorso
consentito dalla legge, e fornire le opportune delucidazioni e i consigli in maniera riservata circa i
medicinali, non può operare alcuna forma di pubblicità né incentivarne le prescrizioni di altri sanitari. Per
quanto concerne poi il rapporto con i colleghi, è considerata riprorevole e particolarmente censurabile
qualsiasi azione di sleale concorrenza tendente all’accaparramento della clientela ed in particolare il
mancato rispetto delle norme sugli orari e turni di servizio, di riposo e di ferie, il praticare sconti sui
medicinali, non riscuotere i tickets previsti, nonché l’utilizzo di mezzi tendenti ad esaltare il proprio operato
e/o a denigrare l’operato dei colleghi.
124
23. In Italia vige sui farmaci un sistema di prezzi amministrati. Infatti il
prezzo dei farmaci è imposto dalla pubblica autorità che determina altresì i
margini degli operatori (produttori, grossisti, farmacisti). La regolamentazione
riguarda quindi anche il margine di profitto del farmacista.254
24. L’art. 125 del TULS RD n. 1265/1934 dispone che la tariffa
nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali debba essere approvata con
decreto del ministero della sanità, sentito il parere della federazione nazionale
degli ordini dei farmacisti italiani. La tariffa si applica esclusivamente ai
medicinali preparati dal farmacista su presentazione di ricetta medica, ovvero
su richiesta del paziente ove la ricetta non sia necessaria. La tariffa contempla
importi unici ed è vincolante per tutti i farmacisti.
5.1.6 altre forme di regolamentazione
i) limitazioni territoriali
25. La farmacia deve essere aperta nella località indicata nel decreto di
autorizzazione. L’autorizzazione è valevole solo per detta sede.255
ii) limitazioni all’esercizio
26. La legge prevede che la titolarità debba coincidere con la proprietà
dell’esercizio. L’autorizzazione all’esercizio della farmacia è strettamente
personale, non può essere ceduta, né trasferita né cumulata con altre256.
27. In Italia una persona fisica può possedere al massimo una farmacia,
per cui è esclusa la possibilità di formare delle catene di farmacie257. Le
farmacie possono sfruttare i vantaggi derivanti dall’integrazione verticale a
monte entrando in qualità di soci nelle cooperative di distribuzione.
28. Per quanto riguarda le modalità di svolgimento dell’attività, gli orari
ed i turni delle farmacie sono determinati dal sindaco, in conformità alle norme
fissate dal prefetto, il quale deve preventivamente sentire l’ordine dei farmacisti
competente.258
254 Sui farmaci di produzione industriale al farmacista spetta un margine del 25,5% sul prezzo di vendita
per confezione (al netto di IVA), margine che scende al 22,5% per i farmaci rimborsati dal Servizio sanitario
nazionale (fanno eccezione le farmacie rurali sussidiate a cui è attribuito il 24%). Per le forniture da
industria a farmacia e per gli acquisti tramite cooperative di farmacie il margine sale al 33%. Anche per il
grossista vale il metodo a percentuale fissa: il 7,5% sul prezzo di vendita al pubblico (al netto di IVA).
255 Cfr. Art 109 Rd 27 luglio 1934 n. 1265.
256 Art. 112 TU sanitario.
257Art.112 TU sanitario.
258 Ai sensi del combinato disposto degli artt. 119 TULS e 29 RD n. 1706/1938. Analoghe norme sono
contenute in tutta la legislazione regionale in materia che, oltre a disporre che l’ordine venga sentito per
tutto quanto concerne gli orari ed i turni delle farmacie, prevede anche un potere propositivo dell’ordine per
la fissazione dei turni e delle ferie annuali.
125
29. Un ulteriore limite è stabilito dal codice deontologico che consente al
titolare o direttore di farmacia a particolari condizioni e per particolari soggetti,
di aderire ad iniziative generalizzate di consegna dei medicinali a domicilio,
solo con l’assenso dell’ordine di appartenenza.259 Da ciò è agevole desumere
che una farmacia non potrebbe intraprendere singolarmente l’iniziativa di
svolgere il servizio a domicilio.
iii) limiti all’organizzazione in forma societaria
30. La legge prevede che per le farmacie private260 l’organizzazione
dell’attività in forma societaria possa avvenire solo nelle forme della società di
persone e società cooperative a responsabilità limitata.261
31. Le società devono avere come oggetto esclusivo la gestione di una
farmacia e possono essere soci solo farmacisti iscritti all'albo della provincia in
cui la società ha sede, in possesso del requisito dell'idoneità.262 La direzione
della farmacia gestita dalla società è affidata ad uno dei soci che ne è
responsabile e ciascun farmacista può partecipare ad una sola società.
Al fine di evitare che l’accesso di società alla titolarità di farmacia abbia
intenti speculativi a scapito del contenuto professionale dell’esercizio di
farmacia il legislatore ha previsto che una società può essere titolare
dell'esercizio di una sola farmacia e ottenere la relativa autorizzazione purché la
farmacia sia ubicata nella provincia ove ha sede legale la società. Tale intento è
confermato dalla possibilità consentita a ciascun farmacista di partecipare ad
una sola società.263
iv) incompatibilità
259 Cfr. art. 14 del Codice deontologico.
260 Per quanto riguarda le farmacie comunali, la legge invece consente la gestione delle stesse a mezzo di
società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società,
prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità (Cfr. articolo 10, lettera d) della legge n.
362/91).
261 Tale possibilità è stata introdotta dalla legge n. 362/1991 il cui art. 7 stabilisce che “la titolarità
dell’esercizio della farmacia privata è riservata a persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, a
società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata che gestiscano farmacie anteriormente
alla data di entrata in vigore della presente legge”.
262 Lo statuto delle società che gestiscono farmacie ed ogni successiva variazione dello stesso, devono essere
comunicati, fra gli altri, alla federazione nazionale degli ordini dei farmacisti italiani e all'ordine dei
farmacisti della Provincia (articolo 8 della legge n. 362/1991).
263 Cfr art, 7, comma 6 della legge n. 362/1991.
126
32. La normativa in vigore vieta a chi esercita la farmacia di esercitare
altresì altra professione o arte sanitaria264. Inoltre il titolare di una farmacia ed il
direttore responsabile non possono ricoprire posti di ruolo nella
amministrazione dello Stato, compresi quelli di assistente e titolare di cattedra
universitaria, e di enti locali o comunque pubblici, né esercitare la professione
di propagandista di prodotti medicinali.265
33. La legge stabilisce incompatibilità più severe a cui sono soggetti i
soci di una società per la gestione di una farmacia, derivanti dall’intento del
legislatore di costringere il socio della società titolare di farmacia a dedicarsi a
tempo pieno alla gestione dell’esercizio. Al riguardo la partecipazione alle
società, salvo il caso di acquisizione a titolo di successione, è incompatibile: a)
con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, distribuzione,
intermediazione e informazione scientifica del farmaco; b) con la posizione di
titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia; c) con
qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato.266
34. Il regime di maggior severità con cui è trattato il socio rispetto alla
persona fisica titolare di farmacia appare tuttavia incongruo, in quanto i casi di
incompatibilità previsti per il socio non tengono conto del fatto che,
contrariamente a quanto avviene per il titolare persona fisica, non essendo a
questi deputata l’intera gestione dell’esercizio ben potrebbe attendervi a tempo
parziale e quindi cumulare tale attività con altre che non siano oggettivamente
incompatibili. La norma può costituire un ostacolo all’accesso alla società
soprattutto per i più giovani che non hanno i capitali per abbandonare altre
occupazioni ed investire in società di farmacia con l’aspettativa di trarne un
utile sufficiente.267
v) il divieto di pubblicità
35. La legge 5 febbraio 1992 n. 175 reca disposizioni in materia di
pubblicità sanitaria. In particolare la legge consente di effettuare pubblicità
attraverso inserzioni sugli elenchi telefonici, previa autorizzazione del
sindaco.268
264 L’art 102 del RD 27 luglio 1934, n. 1265 dispone che “il conseguimento di più lauree e diplomi dà
diritto all’esercizio cumulativo delle corrispondenti professioni o arti sanitarie, eccettuato l’esercizio della
farmacia che non può essere cumulato con quello di altre professioni o arti sanitarie.”
265 Cfr art. 13 della legge 475/68.
266 Cfr. art. 8 legge n. 362/1991.
267 Le disposizioni sulla incompatibilità fanno salvi i casi in cui l’acquisizione della partecipazione nella
società avvenga a titolo di successione oppure il caso in cui chi sia già socio di detta società acquisisca per
eredità la gestione provvisoria di altra farmacia. In tali casi, l’erede che verrà a trovarsi per successione in
una delle situazioni di incompatibilità elencate potrà giovarsi dei termini previsti al comma 9 dell’art. 7 per
sciogliere il nodo dell’incompatibilità rinunciando alla partecipazione oppure al ruolo con essa
incompatibile.
268 E’ previsto che le domande intese ad ottenere l’autorizzazione ad effettuare la pubblicità concernente
l’esercizio della professione sanitaria siano inoltrate tramite l’ordine professionale, il quale trasmette la
domanda al sindaco con il proprio nulla osta, previa verifica dell’osservanza delle disposizioni previste dalla
127
36. Alle disposizioni legislative in materia pubblicitaria vigenti per tutte
le professioni sanitarie, si aggiungono poi le norme deontologiche emanate
dall’ordine, contenute nel Regolamento della pubblicità approvato dal consiglio
nazionale della federazione nazionale degli ordini dei farmacisti, che ha lo
scopo di assicurare che la pubblicità venga realizzata come servizio per
l’informazione del pubblico.
Ai sensi del Regolamento è vietata la pubblicità riferita alla capacità
professionale del singolo farmacista espressa mediante qualsiasi mezzo269,
mentre è consentito di rendere noti al pubblico dati ed elementi conoscitivi
relativi ai servizi prestati, alle attività svolte, ai reparti presenti nella farmacia.270
Inoltre, in qualsiasi tipo di informazione diffusa tramite mass-media che
indirettamente possa avere effetti promozionali della farmacia e del farmacista è
vietata l’indicazione dell’indirizzo della farmacia o elementi che ne possano
permettere l’individuazione.271
37. Alcune norme deontologiche contenute nel Regolamento appaiono
superflue rispetto all’esigenza di evitare la sollecitazione della domanda di
farmaci. Tra queste ad esempio il divieto di effettuare una differenziazione
tipografica degli annunci e la circostanza che anche le informazioni riguardanti
esclusivamente la ragione sociale e l’indirizzo della farmacia devono essere
stessa legge. La medesima legge consente al Ministro della sanità e agli ordini professionali di richiedere ai
responsabili delle reti radiofoniche e televisive il testo integrale dei comunicati, interviste, programmi e
servizi concernenti argomenti medici o di interesse sanitario trasmessi dalle reti medesime, le quali sono
tenute a fornire quanto richiestogli. Agli ordini è data la possibilità di promuovere ispezioni presso gli studi
professionali.
269 In particolare, ai sensi dell’art. 1 del Regolamento è vietato ogni atto di propaganda volto alla
sollecitazione della domanda di medicinali con o senza obbligo di prescrizione medica o veterinaria,
compresi i medicinali per automedicazione al di fuori della pubblicità autorizzata dal Ministero della sanità.
E’ comunque vietato associare in comunicati commerciali ed in iniziative promozionali ai prodotti
farmaceutici ovunque pubblicizzati la ragione sociale e la ditta della farmacia, il nome del farmacista e
l’indirizzo della farmacia. E’ vietato ogni atto di propaganda o comunque promozionale volto
all’accaparramento della clientela.
270 L’art. 2 dispone che dette informazioni devono rigorosamente essere esenti da enfatizzazioni ottenute
mediante aggettivazioni, immagini, simboli, diciture e qualunque altro mezzo, avendo riguardo in
particolare alla esclusione di comparazioni e del vanto di risultati conseguibili. L’articolo 3 dispone poi che
gli annunci informativi di cui all’articolo 2 possono essere diffusi esclusivamente mediante alcuni mezzi di
comunicazione: le insegne; cartelli indicatori anche in forma di freccia direzionale (che possono essere
installati esclusivamente nell’ambito territoriale della sede farmaceutica di pertinenza prevista nella pianta
organica); annuari, elenchi telefonici ( nei quali l’inserzione può essere effettuata esclusivamente nel
comune di ubicazione della farmacia), pagine gialle, guide cittadine, guide sanitarie (nelle quali i testi
devono essere stampati escludendo qualsiasi differenziazione tipografica tra le diverse farmacie e possono
recare solo indicazioni relative al nome, alla ragione sociale all’indirizzo, al recapito telefonico e agli orari
di apertura della farmacia, né devono contenere riquadri o sottolineature, grafici, figure o simboli
particolari); carta da banco, buste, sacchetti portalibretti, contenitori in genere e calendari; sistemi
audiovisivi e informatici.
L’articolo 5 vieta poi l’esposizione di qualunque comunicazione relativa alla singola farmacia negli studi,
ambulatori medici e veterinari, cliniche e strutture sanitarie in genere nonché vieta tassativamente
l’esposizione nella farmacia di qualsiasi comunicazione relativa a studi, ambulatori medici e veterinari,
cliniche e strutture sanitarie in genere. La farmacia inoltre non può autorizzare né consentire la menzione
della propria ragione sociale in comunicati commerciali di aziende.
271 Cfr. articolo 4 del Regolamento.
128
circoscritte all’ambito territoriale di propria competenza. Tali norme sembrano
invece più strettamente connesse all’obiettivo di limitare la concorrenza tra
esercizi farmaceutici che potrebbe dispiegarsi non solo con riguardo alla qualità
del servizio ma anche con riferimento al settore dei prodotti parafarmaceutici.
vi) circolazione in ambito comunitario
38. Il Decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 258 ha dato attuazione alle
direttive CEE n. 85/432 e 85/433 in materia di formazione e diritto di
stabilimento dei farmacisti. In base a tale decreto per ottenere, mediante
l’iscrizione all’albo, l’autorizzazione all’esercizio della professione di
farmacista è necessario presentare una domanda, corredata dalla relativa
documentazione al Ministero della sanità, il quale, accertata la regolarità della
domanda e della documentazione, entro due mesi dal ricevimento, trasmette gli
atti al competente ordine provinciale dei farmacisti. Quest’ultimo entro un mese
completa la procedura per l’iscrizione.
I farmacisti iscritti ad un ordine provinciale italiano che si trasferiscono
in un altro paese membro delle comunità europee possono, a domanda,
conservare l’iscrizione all’ordine stesso.
5.1.7 confronto internazionale
39. Il sistema distributivo al dettaglio dei farmaci varia
considerevolmente nei Paesi dell’Unione Europea. In Belgio, Danimarca,
Francia, Spagna, Grecia, Italia, Portogallo e Lussemburgo il farmacista
mantiene il monopolio completo della distribuzione dei farmaci. Viceversa in
altri Paesi, quali Germania, Olanda e Regno Unito la vendita dei farmaci da
banco è autorizzata anche in altri esercizi. In particolare mentre in Germania il
monopolio non sussiste solo su un sottogruppo di farmaci da banco (erbe
medicinali, antisettici, lassativi, prodotti contro la tosse, ecc...), nel Regno
Unito le farmacie hanno il monopolio di vendita esclusivamente sui farmaci
etici e su un modesto gruppo di medicinali vendibili senza prescrizione.
40. Attualmente in Portogallo, Spagna, Francia e Belgio oltre che in
Italia, esistono delle norme che legano l’apertura di nuove farmacie al
verificarsi di determinate condizioni demografiche e/o di area geografiche,
mentre in altri Paesi, Regno Unito, Irlanda, Germania e Paesi Bassi, l’entrata e
la localizzazione delle farmacie è libera.
41. La tabella che segue mostra i diversi sistemi adottati in alcuni Paesi
europei, nonché il rapporto abitanti per farmacia in ognuno di essi.
129
Tabella 2 - Sistemi adottati per l’apertura delle farmacie in alcuni Paesi UE
Nazione
abitanti
per sistema
Monopolio su Spesa
farmacia
OTC
farmaceutica
pro-capite
(lire)
Paesi Bassi
10.113
libero
no
448.758
Regno Unito
4683
libero
no
335.293
Germania
3821
libero
no
616.221
Portogallo
3.990
vincolato
si
non disponibile
Italia
3.668
vincolato
si
341.870
Irlanda
2.835
libero
no
non disponibile
Spagna
2.141
vincolato
si
332.190
Francia
2.589
vincolato
si
716.614
Belgio
1.941
vincolato
si
573.526
Fonte: dati IMS, 1996
E’ interessante notare che l’Italia si caratterizza per un numero di abitanti
per farmacie sensibilmente superiore a quello rinvenibile in tutti gli altri Paesi a
regime vincolato, ad eccezione del Portogallo. Né al riguardo vale la
considerazione che nei Paesi con libertà di entrata, quali l’Olanda e il Regno
Unito, tale parametro è più sfavorevole che in Italia. Occorre infatti considerare
che in tali Paesi è possibile acquistare medicinali da banco anche presso altri
punti vendita di cui detto parametro non tiene conto. Dalla tabella emerge
inoltre che non esiste una relazione diretta tra il regime, monopolistico o libero,
adottato con riferimento agli OTC e il consumo di farmaci, dal momento che
alcuni dei Paesi dove si registra un maggior consumo di medicinali sono tra
quelli che impongono il monopolio, altri tra quelli a regime libero.
42. La tabella che segue confronta le diverse normative vigenti in Italia,
Francia, Germania e Regno Unito, con riguardo alla regolamentazione
strutturale dell’entrata, all’area di riserva e all’indivisibilità della titolarità
connessa alla proprietà della farmacia.
130
Tabella 3 - Sistemi normativi vigenti in Italia, Francia, Germania e Regno Unito
ITALIA
FRANCIA
GERMANIA
REGNO
UNITO
si
si
no
no
Pianta
organica
Proprietà
farmacie
Monopolio
vendita
farmaci
Farmacista, con Farmacista, con Farmacista, con
sola
sola una
una
sola una
farmacia
farmacia
farmacia
si
si
alcuni farmaci
da banco
Qualunque
persona fisica e
giuridica
no farmaci da
banco
43. In Francia, la pianta organica delle farmacie viene stabilita in
funzione del numero di abitanti. Tuttavia un regime derogatorio permette al
prefetto o al Ministero della sanità di autorizzare l’apertura di farmacie in
sovrannumero in funzione dei reali bisogni della popolazione.
Per quanto riguarda i prodotti, l’87% del fatturato delle farmacie francesi
è costituito dalla vendita di specialità medicinali, mentre il 13% è ottenuto dalla
vendita di prodotti parafarmaceutici. Con riguardo a questi ultimi la maggior
fonte di concorrenza è rappresentata da catene specializzate di punti vendita al
dettaglio. I supermercati non mostrano ancora molto interesse per la vendita del
parafarmaco.
44. La normativa in vigore in Germania consente la libera apertura di
nuove farmacie sul territorio. L’intervento statale è circoscritto alla concessione
di incentivi per l’apertura di farmacie in aree rurali a scarsa densità di
popolazione. Regole più rigide sono previste per la titolarità dei punti vendita: il
farmacista infatti deve essere proprietario della farmacia che gestisce
direttamente e il titolare non può possedere contemporaneamente più di una
farmacia.
In Germania le farmacie non detengono il monopolio assoluto della
vendita di medicinali da banco. La loro distribuzione finale è infatti
caratterizzata dalla presenza di drugstores che affiancano all’offerta di prodotti
parafarmaceutici quella di alcune tipologie di OTC. Nella linea completa di
prodotti farmaceutici presenti sul mercato tedesco, circa il 37-40% è
rappresentato da prodotti vendibili liberamente mentre il restante 60%
costituisce il monopolio della farmacia.
E’ interessante osservare che il fatturato delle farmacie tedesche è
rappresentato quasi esclusivamente da farmaci etici e da banco che
rappresentano oltre il 90% del valore e della quantità venduta. Lo scarso
fatturato realizzato su alcuni prodotti parafarmaceutici viene spiegato dalla forte
concorrenza esercitata dai supermercati e dagli altri punti vendita territoriali.
45. Nel Regno Unito non esistono limiti di alcun genere per l’apertura di
farmacie.
131
Contrariamente a quanto avviene nella maggior parte dei Paesi europei,
nel Regno Unito è sempre stato consentito alle società di capitali di divenire
proprietarie di una farmacia il che ha permesso la nascita di vere e proprie
catene di farmacie.
Infatti delle 12.000 farmacie esistenti, 3000 sono controllate dalle due
maggiori catene (Boots e Lloyds) 4000 fanno capo a piccole catene, 4.500 sono
indipendenti e circa 500 sono incluse in supermercati (in store). E’ una
caratteristica diffusa fra le catene di farmacie di una certa dimensione quella di
offrire al pubblico delle linee OTC con il proprio marchio e con prezzi inferiori
a quelle dei concorrenti più conosciuti. Non è quindi sorprendente il fatto che la
vendita di specialità etiche rimborsabili rappresenti solamente il 55% del
fatturato nelle catene di farmacie, contro il 70% delle farmacie indipendenti. In
generale comunque, per le farmacie inglesi la vendita di prodotti da banco ha un
peso assai rilevante rispetto ad ogni altro paese comunitario.
In Inghilterra infine i due distributori di maggiori dimensioni (AAH e
Unichem) si sono anche integrati a valle: gestiscono e concedono in franchising
oltre 200 farmacie ciascuno, in prevalenza a giovani farmacisti che non
dispongono di mezzi finanziari per diventare titolari. Una particolarità del
sistema britannico consiste nel fatto che anche i medici di base possono, in
determinate condizioni dispensare i farmaci etici alla popolazione.272 Il
fenomeno raggiunge proporzioni piuttosto significative se si pensa che nella
sola Inghilterra il 14% dei medici di base dispensa farmaci a circa tre milioni di
persone e che l’8% delle prescrizioni passa attraverso questo canale.
5.1.8 conclusioni
46. La tabella che segue sintetizza quanto precedentemente esposto con
riguardo alla regolamentazione dell’attività, riservata e non svolta dai
farmacisti.
272 Una norma del 1974 stabilisce che il paziente può rivolgersi al proprio medico di base per la
dispensazione dei farmaci nel caso in cui sussistano le seguenti condizioni: il paziente abita in una zona
rurale ad una distanza superiore ad un miglio (circa 1,6 chilometri) dalla più vicina farmacia ed incontri
oggettive difficoltà a raggiungerla ;il medico di base curante ha ottenuto il permesso di dispensare farmaci
all’interno della zona in cui il paziente risiede.
132
Tabella 4. -Principali forme di regolamentazione dell’attività del farmacista
entrata
standard di qualità
tariffe
altre forme di
minima del servizio
regolamentazione
requisiti relativi alla margini prefissati sui divieto di pubblicità
requisiti soggettivi
prezzi amministrati limiti territoriali
a) cittadinanza
farmacia
limiti all’esercizio
b) laurea in farmacia obbligo di fornirsi dei dei farmaci.
unica
e incompatibilità
o chimica e tecno- medicinali
e
di Tariffa
logie
attrezzare un locale in inderogabile per le
preparazioni galenifarmaceutiche
modo idoneo
che.
c) esame di abilitazione
d) concorso, acquisizione per trasferimento o a titolo di
successione
vincoli oggettivi
requisiti relativi ai
determinazione
del rapporti
con
la
numero delle sedi clientela
farmaceutiche
obbligo di esercizio
continuativo
della
farmacia e rispetto
degli orari e dei turni
47. La complessità del regime giuridico della farmacia nel nostro
ordinamento dipende dall’intersecarsi dei diversi profili esaminati, nonché dalla
natura stessa del servizio farmaceutico.
L’attività farmaceutica investe infatti aspetti di interesse pubblico, in
quanto la sua efficienza e la sua diffusione sono essenziali per la cura della
salute pubblica e costituiscono un elemento dell’assistenza sanitaria. D’altro
lato, l’esercizio scorretto dell’attività è suscettibile di creare gravi situazioni di
pericolo e di danno. Da ciò discende una stringente vigilanza amministrativa
sull’esercizio delle farmacie accompagnata da un particolare e limitativo regime
giuridico.
Tuttavia, la circostanza che il servizio farmaceutico sia un’attività
involgente interessi pubblici non influisce sulla sua natura di attività privata,
con profili professionali ed imprenditoriali connessi, esercitata da soggetti
privati, sotto vigilanza pubblica.
48. I molteplici strumenti di regolamentazione del settore meritano
alcune considerazioni riguardanti per un verso la loro effettiva necessità al fine
di tutelare l’interesse pubblico che riveste l’attività del farmacista, e per l’altro
la loro idoneità a determinare restrizioni concorrenziali.
Al riguardo occorre innanzitutto considerare l’ampiezza della riserva di
legge a favore dei farmacisti che include la vendita di medicinali da banco.
L’eliminazione del monopolio dei farmacisti su questa tipologia di
medicinali e la conseguente possibilità di acquistarli anche attraverso altri
canali quali la grande distribuzione sarebbe di tutto vantaggio per il
133
consumatore, che potrebbe avere un più facile accesso a questi prodotti nonché
concentrare i propri acquisti.
A favore di tale regime di riserva viene generalmente avanzata la
preoccupazione che la liberalizzazione delle vendite degli OTC possa
comportare una maggiore diffusione del consumo di farmaci, sia a causa della
riduzione inevitabile dei prezzi, sia a causa della maggior facilità di accesso.
Al riguardo va osservato che è innegabile che un prezzo inferiore riduca
le resistenze di ordine economico all’acquisto di un prodotto, soprattutto nel
caso di prezzi particolarmente elevati e di disponibilità del consumatore ad
espandere il consumo. Nel caso di specie non sembrano tuttavia verificarsi tali
condizioni, dal momento che il presupposto per l’assunzione di un farmaco è
sempre la presenza di un disturbo. Studi sui farmaci OTC condotti nei Paesi
dove i consumatori possono acquistare questi farmaci in canali diversi dalla
farmacia non hanno riscontrato un aumento del consumo di farmaci. Al riguardo
esemplificativa è la situazione olandese, ove la quota prevalente dei farmaci di
automedicazione è distribuita dai druggist ma al contempo non si registra un
livello elevato di ricorso ai medicinali (vedi al riguardo la tabella 2).
49. Contro la liberalizzazione dei farmaci OTC si argomenta inoltre che
potrebbe verificarsi una riduzione del margine complessivo del farmacista273 e
quindi una riduzione degli esercizi farmaceutici, con la conseguenza di privare
la società di un importante servizio professionale consistente nell’attività di
consiglio su questi prodotti, con ripercussioni negative anche sulla capillarità
della distribuzione dei farmaci etici.
Al riguardo va sottolineato che non è sufficiente l’esistenza di un
monopolio di vendita per assicurare che il farmacista fornisca effettivamente al
cliente quel servizio informativo e di garanzia per fornire il quale è necessario
acquisire una specifica professionalità, soprattutto in riferimento ai farmaci di
automedicazione. Al contrario, l’esistenza di canali alternativi alla farmacia per
i medicinali OTC può servire da stimolo affinché i farmacisti effettivamente
mettano a disposizione del cliente la propria professionalità in materia
farmacologica, rendendo un servizio che il cliente non trova negli altri punti
vendita e che quindi può rappresentare un elemento di forza e differenziazione
rispetto ad altre forme distributive. Inoltre, la preoccupazione che la
liberalizzazione dei prodotti OTC, possa dare luogo ad una riduzione del loro
numero deve ritenersi del tutto infondata. Le specialità di automedicazione
infatti rappresentano una quota molto limitata del fatturato delle farmacie e
sono solamente i farmaci di uso più comune e che non necessitano di un
complesso bagaglio informativo per un uso corretto ad essere appetibili per gli
altri canali di vendita e in particolare per la grande distribuzione. Non sembra
quindi verosimile che la perdita di fatturato delle farmacie sulle vendite dei
273 Se è vero infatti che la vendita dei farmaci OTC rappresenta una parte poco significativa rispetto alle
vendite di medicinali etici è pur vero che essa consente di ottenere un incasso immediato, in quanto non
rimborsabili da parte dello Stato, nonché un margine commerciale più elevato.
134
medicinali di automedicazione sia idonea a determinarne la chiusura e possa
quindi vanificare i vantaggi della liberalizzazione.
50. L’offerta di una combinazione prodotto-servizio particolarmente
vicina alle esigenze del cliente potrebbe invece rendere il farmacista un
interlocutore privilegiato sia per l’industria, la quale continuerebbe a prediligere
questo canale per alcuni farmaci che necessitano di un maggiore supporto
informativo nell’acquisto, sia per il consumatore che troverebbe naturale
ricorrere al farmacista quando avverte la necessità di una particolare
assistenza.274
Una simile prospettiva porterebbe alla valorizzazione del ruolo del
farmacista come consulente della salute, riducendo quella, oggi prevalente, di
intermediario commerciale, potendo inoltre condurre alla trasformazione delle
farmacie da semplice esercizio commerciale a struttura in grado di fornire al
cittadino una serie di servizi sanitari di facile esecuzione275, diretti soprattutto
all’attività di prevenzione, per i quali la professionalità del farmacista
diventerebbe insostituibile e prevalente rispetto a quella di imprenditore
commerciale. In definitiva l’ampiezza della riserva a favore del farmacista
appare sproporzionata rispetto all’obiettivo di tutelare la salute pubblica, e
invece risulta suscettibile di restringere ingiustificatamente la concorrenza tra
canali di vendita.
51. Un altro strumento attraverso il quale si intende tutelare l’interesse
pubblico, diretto in questo caso a garantire una razionale distribuzione delle
farmacie sul territorio nazionale, è rappresentato dalla determinazione di un
numero massimo di sedi farmaceutiche sul territorio nazionale. Tale obiettivo,
tuttavia, appare poter essere più coerentemente perseguito attraverso la
previsione di un numero minimo di farmacie esistenti sul territorio nazionale,
anziché con la previsione di un numero massimo di farmacie rapportato alla
popolazione. La trasformazione dell’attuale numero massimo di farmacie in
numero minimo, tutelerebbe l’interesse pubblico ad una efficiente distribuzione
senza impedire l’accesso ai potenziali nuovi entranti. Inoltre, in un siffatto
assetto regolamentativo i Comuni, anziché, come accade attualmente, sottrarre
con la prelazione esercizi farmaceutici alla attività privata, potrebbero
intervenire assicurando il servizio nelle zone rimaste scoperte a causa della
mancanza di un interesse da parte dei privati.
274 La conferma a questo ragionamento viene fornita dall’esempio inglese ove, pur essendo presenti altri
canali distributivi in concorrenza con la farmacia, le farmacie mantengono una consistente quota di mercato
e risultano essere il punto vendita privilegiato dal consumatore in occasione del primo acquisto del prodotto,
che è quello per il quale la competenza del farmacista è più necessaria per sopperire all’inesperienza del
consumatore.
275 Si tratta di tutte quelle prestazioni per le quali i cittadini tendono a rivolgersi ad essa (misurazione della
pressione, iniezioni, analisi, medicazioni, informazioni su centri di pronto soccorso e sul funzionamento del
servizio Sanitario nazionale, noleggio di apparecchiature sanitarie).
135
52. La limitazione dell'offerta di farmacie generata dalla normativa
vigente in presenza di un numero elevatissimo di potenziali entranti, determina
invece un evidente svantaggio per il consumatore, il quale, qualora fosse
consentita la libertà di entrata nel settore, potrebbe godere di una più ampia
possibilità di scelta di punti vendita, nonché probabilmente di un miglioramento
del servizio offerto, stimolato da una situazione più concorrenziale. D’altra
parte l’inadeguatezza dell’attuale sistema di determinazione del numero delle
farmacie a soddisfare le esigenze della domanda è dimostrata dal fatto che
attualmente un numero molto elevato di persone ha a propria disposizione un
unico esercizio nel comune di residenza e, pertanto, nel giorni e negli orari di
chiusura dello stesso incorre nel disagio di doversi recare in un comune
limitrofo.
53. La scarsità di esercizi farmaceutici disponibili rispetto alla domanda
dei potenziali entranti è determinata non solo dal razionamento delle
autorizzazioni all'apertura di una nuova farmacia, ma anche dalla disciplina dei
trasferimenti mortis causa. Tutto ciò determina un innalzamento del costo che
un nuovo entrante deve sopportare qualora desideri acquistare il diritto ad
esercitare la farmacia da un soggetto già operante sul mercato. Inoltre, un limite
di carattere oggettivo caratterizza la disciplina del trasferimento delle farmacie,
consistente nel consentire il trasferimento solo dopo che siano decorsi tre anni
dal conseguimento della titolarità.
In sostanza l'insieme di questi fattori contribuisce ad impedire che si crei
una maggiore offerta di esercizi farmaceutici sul mercato e che l'acquisizione
per trasferimento possa surrogare il pubblico concorso.
54. Infine, i numerosi limiti posti all’attività del farmacista, quali, il
divieto di pubblicità, i vincoli relativi agli orari e ai turni non sembrano in realtà
rappresentare gli strumenti più efficaci di tutela del consumatore. Sotto il primo
profilo, infatti, alcune norme non consentono al consumatore di avere accesso a
tutte le informazioni necessarie per effettuare una valutazione sulla convenienza
tra i diversi esercizi farmaceutici, che, come ricordiamo, commercializzano
molti prodotti e servizi che sono a prezzo libero; sotto il secondo profilo, si fa
presente che se gli orari e i turni fossero effettivamente diretti a garantire la
continuità di un servizio di interesse pubblico, quale è quello della vendita dei
medicinali, la loro obbligatorietà dovrebbe essere circoscritta ad orari e turni
minimi e non fissi. In verità, l’attuale sistema non consente al consumatore di
poter usufruire agevolmente del servizio in orari diversi da quelli stabiliti.
55. D’altra parte gli standard previsti dalla legge nonché i controlli
previsti sull’attività del farmacista sembrano rappresentare un insieme di misure
idonee a garantire prestazioni di livello adeguato nonché a tutelare l’interesse
della salute pubblica. L’applicazione di ulteriori misure non sembra apportare
benefici incrementali in termini di qualità ai consumatori, che, anzi, si vedono
136
privati dei vantaggi che deriverebbero loro dalla concorrenza tra farmacie e tra
farmacie e altri esercizi commerciali.
137
5.2 I medici
principali riferimenti normativi
Dlcps 13 settembre 1946, n. 233, d.p.r. 5 aprile 1950, n. 221, legge 24
luglio 1985, n. 409 <Organizzazione e competenze della federazione nazionale
e degli ordini delle professioni sanitarie>, legge 8 dicembre 1956, n. 1378
<Accesso alla professione di medico chirurgo> e decreto del Ministro della
Pubblica istruzione 9 settembre 1957 recante <Regolamento per l'accesso alla
professione di medico chirurgo> e decreto del Ministro della Pubblica
Istruzione recante <Regolamento per l'accesso alla professione degli
odontoiatri>, legge 24 luglio 1985, n. 409 <Istituzione della professione
sanitaria di odontoiatra>, legge 5 febbraio 1992, n. 175 <Norme in materia di
pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni
sanitarie>.
5.2.1 la professione medica
i) tipologie e caratteristiche
56. Il medico è un professionista abilitato ad esplicare assistenza
sanitaria in funzione di prevenzione, diagnosi e cura. I compiti professionali dei
medici si ricavano non tanto da una elencazione, che difetta, quanto da un
criterio finalistico, secondo cui al medico spetta formulare la diagnosi, la
prognosi, la terapia o curare la salvaguardia delle condizioni igieniche. Le
attività necessarie per raggiungere questi obiettivi contribuiscono a definire
l’ambito di competenza del medico. Il criterio finalistico concorre con quello
derivante dalla serie degli insegnamenti impartiti in ambito universitario per il
conseguimento della laurea necessaria all’esercizio dell’attività.
Vi sono settori di attività rispetto ai quali vi è una concorrente
competenza di altre professioni, quali ad esempio di biologi e chimici per
quanto concerne gli esami di laboratorio; di fisici, nell’utilizzo di sostanze
nucleari; di psicologi nell’esercizio della psicoterapia.
57. Per quanto riguarda la professione di odontoiatra, la legge dispone
che formano oggetto di tale professione le attività inerenti alla diagnosi ed alla
terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca,
delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione e alla riabilitazione
odontoiatriche.276
ii) domanda e offerta
276 Cfr art. 2 della legge 24 luglio 1985 n. 409.
138
58. Relativamente alla struttura dell’offerta, gli iscritti all'albo dei medici
chirurghi alla data del 31/12/1994 erano 308.440. Gli iscritti all'albo degli
odontoiatri alla stessa data erano 33.843.
I medici di medicina generale attivi nel 1995 erano 59.196; i medici
specialisti 188.837 e, infine i medici dipendenti 96.235.
59. La tabella che segue espone l’evoluzione del numero degli iscritti
all’ordine negli ultimi trent’anni, evidenziando come in tale periodo se ne sia
registrato un notevole incremento, di oltre il 200 per cento.
Tabella 1 - Evoluzione del numero degli iscritti all’ordine dei medici
Periodo
n. iscritti all’albo
al 31/12/1964
82.112
al 31/12/1974
114.244
al 31/12/1984
226.404
al 31/12/1994
308.440
Fonte: federazione nazionale degli ordini dei medici
chirurghi e degli odontoiatri.
60. L’offerta di medici sul territorio nazionale è molto elevata. In Italia,
nel 1994 il rapporto medici/popolazione era di un medico ogni 185 abitanti e di
un dentista ogni 1.800. La successiva tabella evidenzia l’evoluzione del
rapporto medici/popolazione verificatosi negli ultimi anni (per una
disaggregazione del rapporto abitanti/medici per regioni si veda la tabella b1 in
appendice):
Tabella 2 - Evoluzione del rapporto abitanti/medici in Italia
Anni
Popolazione/m
edici
1966
581
1970
561
1975
448
1980
318
1986
233
1990
198
1994
185
Fonte: federazione nazionale degli
ordini dei medici chirurghi
139
5.2.2 modalità di accesso alla professione di medico-chirurgo e di
odontoiatra
61. Per esercitare la professione di medico-chirurgo è necessario essere
laureati in medicina e chirurgia, avere compiuto il tirocinio di pratica
ospedaliera per la clinica medica, la clinica chirurgica e la clinica ostetricoginecologica, nonché aver superato l’esame di Stato per l'esercizio della
professione di medico-chirurgo ed essersi iscritti all’albo professionale degli
ordini provinciali dei medici chirurghi e odontoiatri. L’iscrizione all’albo è
obbligatoria anche per i dipendenti pubblici277.
Per l’assunzione della qualifica di specialista, il medico deve conseguire,
successivamente alla laurea, il diploma in una scuola di specializzazione
universitaria.
Il numero degli specialisti da formare è stabilito ogni tre anni con
Decreto del Ministro della Sanità in base alle esigenze sanitarie del paese,
tenuto conto delle capacità ricettive delle strutture universitarie. In relazione a
tale programmazione il Ministro dell’Università determina il numero dei posti
per ciascuna scuola278. Per l’ammissione alle scuole di specializzazione viene
stilata una graduatoria in base al superamento di un esame e alla valutazione dei
titoli.
62. Ugualmente gli odontoiatri possono esercitare la professione dopo
aver conseguito la laurea in odontoiatria, aver superato l’esame di abilitazione
ed essersi iscritti all’albo professionale degli ordini provinciali dei medici
chirurghi e odontoiatri. Al riguardo, esistono diverse proposte di legge in
Parlamento volte all’approvazione di una legge che istituisca un albo e un
ordine degli odontoiatri distinto da quello dei medici279.
63. Per quanto riguarda la professione di odontoiatra, in seguito alla
creazione di uno specifico corso di laurea280, è stato istituito accanto all’albo
dei medici chirurghi, all’interno di un unica federazione nazionale, l’albo degli
odontoiatri, al quale possono essere iscritti i laureati in odontoiatria, in possesso
della relativa abilitazione all’esercizio professionale, conseguita a seguito del
superamento di un apposito esame di Stato, i laureati in medicina e chirurgia
che siano in possesso della relativa abilitazione all’esercizio specializzati in
campo odontoiatrico ed i laureati in medicina e chirurgia in possesso della
relativa abilitazione all’esercizio non specializzati che si siano iscritti alla
facoltà entro l’anno accademico 1984-1985.
277 Decreto attuativo n. 761 della Riforma sanitaria del 1978.
278 Decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257.
279 Cfr. Nuovo testo unificato delle proposte di legge recanti disciplina della professione in odontoiatria (72427-1111-1362-1945) dell’11 giugno 1997.
280 Il corso di laurea in odontoiatria è stato istituito con legge 24 luglio 1985,n 409.
140
64. Gli esami per l’esercizio della professione medica hanno luogo ogni
anno in due sessioni indette con ordinanza del Ministro della pubblica
Istruzione e possono svolgersi nei capoluoghi di provincia e nelle città sedi di
università o istituti superiori che siano altresì sedi di ordini o collegi
professionali. Ai candidati è data facoltà di sostenere gli esami di Stato in una
qualsiasi delle sedi indicate nell’ordinanza281.
65. Le commissioni esaminatrici sono costituite con decreto del Ministro
della Pubblica Istruzione. Ogni commissione esaminatrice è composta di 8
membri ed è suddivisa in 3 sottocommissioni. Ogni sottocommissione è
presieduta da un professore. Gli otto membri sono prescelti da terne designate
dai competenti ordini professionali composte di docenti universitari e medici
provinciali ed ufficiali sanitari di comuni di prima categoria. Gli esami hanno
carattere specificatamente professionale.
66. Per gli esami di abilitazione all'esercizio della professione di
odontoiatra la commissione esaminatrice è composta dal presidente e da 5
membri ed è suddivisa in due sottocommissioni. Il presidente viene prescelto
tra i professori universitari di discipline odontostomatologiche. I membri sono
prescelti da terne designate dal competente ordine professionale e composte da
docenti universitari.
67. Per quanto concerne la percentuale degli abilitati all’esercizio della
professione medica, i dati più recenti disponibili, riferiti agli anni 1993-1994,
indicano che la percentuale media a livello nazionale di abilitati sui candidati
medici è molto elevata, ovvero circa il 97%. Per gli odontoiatri la percentuale
sale ancora anche fino al 100%. Pertanto, nonostante il settore interessato
coinvolga interessi particolarmente rilevanti, l’esame di abilitazione non appare
assolutamente costituire una barriera all’accesso all’esercizio della professione
di medico chirurgo e di odontoiatra (tabelle b2 e b3 in appendice).
5.2.3 Gli standard qualitativi delle prestazioni mediche
68. L’attività del medico si caratterizza per l’autonomia del
professionista nella scelta delle cure da prestare. Pertanto, la regolamentazione
dell’attività del medico, relativamente al profilo qualitativo, non riguarda le
prestazioni in sé ma i comportamenti che il professionista deve tenere nello
svolgimento della propria attività. Al riguardo la legge stabilisce che i sanitari
che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione,
o, comunque di atti disdicevoli al decoro professionale, sono sottoposti a
procedimento disciplinare da parte del consiglio dell’ordine o collegio della
281 Cfr DM 9 settembre 1957.
141
provincia nel cui albo sono iscritti282 e prevede altresì le sanzioni disciplinari cui
può essere assoggettato il professionista colpevole di tali fatti283.
69. Sulla base di tali norme il consiglio nazionale della federazione
nazionale degli ordini dei medici ha emanato un codice di deontologia
medica284, la cui inosservanza da parte dei medici iscritti all’albo comporta la
sottoposizione a procedimento disciplinare.
Il codice oltre a prescrivere generali doveri di correttezza, libertà e
indipendenza professionale, nonché comportamenti consoni al decoro e alla
dignità della professione, disciplina i comportamenti del medico in determinate
situazioni (assistenza ai morenti, trapianti, interruzione volontaria di
gravidanza, fecondazione assistita, sperimentazione), nonché i comportamenti
che deve adottare nei propri rapporti con il paziente, con i colleghi, con i terzi e
con gli enti pubblici e privati. In particolare al medico è imposto in qualunque
luogo o circostanza di prestare le cure di urgenza285, di mantenere il segreto
professionale, di tenersi continuamente aggiornato in relazione alle proprie
conoscenze mediche, di compiere personalmente le prestazioni mediche o di
rendere edotto il paziente della sua eventuale sostituzione. E’ vietata ogni
forma di appalto o subappalto della propria clientela, nonché la prestazione di
terapie segrete.
5.2.4 le tariffe delle prestazioni mediche
70. La legge stabilisce che la tariffa nazionale degli onorari per le
prestazioni medico-chirurgiche è approvata con decreto del Presidente della
Repubblica su proposta del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro del
Tesoro, sentito il parere del Consiglio di Stato, del Consiglio Superiore di
Sanità e della federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli
odontoiatri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri286.
La tariffa può essere sottoposta a revisione ogni due anni; deve essere
riveduta ogni 5 anni287.
Il parere espresso dalla federazione nazionale al Ministro della Sanità
sulla tariffa minima nazionale non è vincolante.
282 Cfr art. 38 del d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221.
283 L’art. 40 del d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221 prevede quali sanzioni disciplinari l’avvertimento, la censura, la
sospensione e la radiazione dall’albo.
284 L’ultima versione è stata approvata nel 1995.
285 Al di fuori dei casi di urgenza, di forza maggiore o di quelli previsti dalla legge il medico ha il diritto di
rifiutare le proprie prestazioni.
286 Cfr. legge 21 febbraio 1963 n. 244.
287 Il medico provinciale, sentiti il consiglio provinciale di sanità e l’ordine provinciale dei medici, può
apportare alle tariffe modifiche in aumento o in diminuzione non superiori al 30 per cento, quando ne
ravvisi la necessità in relazione a dimostrate esigenze di carattere locale. Contro il provvedimento del
medico provinciale è ammesso ricorso al Ministro per la Sanità nel termine di trenta giorni (art. 7 della
legge 244/1963.
142
71. La tariffa fissata è quella minima nazionale, è unica e vale sia per i
medici generici che per gli specialisti288.
Al riguardo la legge prevede che "l'onorario, che è fissato in relazione
all'importanza e delicatezza della prestazione ed è distinto, per il caso delle
visite medico-chirurgiche e ostetriche a seconda che si tratti di prima o
successive prestazioni, rappresenta il minimo compatibile con il decoro e la
dignità professionale"289. Pertanto, fatta salva la facoltà di effettuare prestazioni
a titolo gratuito, la legge vieta di esercitare la professione sanitaria ad onorari
inferiori a quelli stabiliti nella tariffa minima. Ugualmente sono vietati i
compensi forfettari. Il medico che non rispetta i minimi tariffari previsti dalla
legge è sottoposto a procedimento disciplinare290.
Attualmente la tariffa minima vigente è fissata con d.p.r. del 17 febbraio
1992.
72. Il codice deontologico dispone in materia tariffaria che il medico è
tenuto a far conoscere al paziente il proprio onorario che di norma va accettato
preventivamente e che i compensi per le prestazioni medico chirurgiche non
possono essere subordinati ai risultati delle prestazioni medesime. Il medico è
libero di prestare gratuitamente la propria opera, purché tale comportamento
non costituisca artificio per concorrenza sleale o illecito accaparramento della
clientela. Infine, ogni forma di dicotomia di compensi estranei alla prestazione
professionale, nei rapporti tra medici, strutture e istituzioni sanitarie è vietata,
con particolare riguardo ad ogni forma di appalto o di subappalto della
clientela.291
5.2.5 forme di regolamentazione
i) limiti territoriali
73. Non esistono limiti territoriali per l’esercizio della professione
medica e odontoiatrica.
ii) divieto di pubblicità
288 Gli onorari minimi dei medici specialisti, dei professori universitari e dei liberi docenti, primari
ospedalieri sono aumentati del 50% sull'ammontare dei compensi stabiliti nella tariffa. L’aumento non si
applica per il caso di intervento che per sua natura presupponga la specializzazione e sia
corrispondentemente compensato come prestazione specialistica (art. 3 della legge 21 febbraio 1963 n. 244).
Per gli interventi effettuati con carattere d'urgenza dalle ore 22 alle ore 7, gli onorari minimi sono
raddoppiati per le visite e aumentati della metà per le altre prestazioni (art. 4 della citata legge).
Le prestazioni terapeutiche eseguite nel corso delle visite sono retribuite a parte secondo la tariffa. Per le
prestazioni multiple, eseguite nella stessa seduta la tariffa si applica per intero per la prestazione più
importante, anche se non preveduta e resasi necessaria nel corso di un’operazione chirurgica: si applica con
la riduzione del 50% per le rimanenti (art. 6 della citata legge).
289 Cfr art. 2, secondo comma della legge n. 244/1963.
290 art. 10 della legge n. 244/1963.
291 Cfr. artt. 51 e 52 del Codice deontologico.
143
74. Per le professioni sanitarie la regolamentazione concernente la
pubblicità è disciplinata dalla legge292, che stabilisce le modalità attraverso le
quali è consentita.
L’art. 1 della legge 175/1992, dispone che la pubblicità concernente
l'esercizio delle professioni sanitarie e delle professioni sanitarie ausiliarie
regolamentate dalle leggi vigenti è consentita soltanto mediante targhe apposte
sull'edificio in cui si svolge l'attività professionale, nonché mediante inserzioni
sugli elenchi telefonici293. Le targhe e le inserzioni possono contenere solo il
nome, il cognome, l’indirizzo e il numero di telefono ed eventuale recapito del
professionista, l’orario delle visite o di apertura al pubblico, i titoli di studio,
accademici, i titoli di specializzazione senza abbreviazioni che possano indurre
in equivoco, le onorificenze concesse o riconosciute dallo Stato294.
75. Per la pubblicità a mezzo targhe ed inserzioni è necessaria
l'autorizzazione del sindaco che la rilascia previo nulla osta dell'ordine o del
collegio professionale dove è iscritto il richiedente295.
Al fine del rilascio dell’autorizzazione comunale il professionista deve
inoltrare domanda competente, corredata dalla relativa documentazione
inerente l’annuncio, all’ordine o al collegio professionale che la trasmette al
sindaco, con il proprio nulla osta, entro trenta giorni dalla data di presentazione.
A tal fine l’ordine o il collegio professionale deve verificare l'osservanza delle
disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 175/1992, nonché la rispondenza
delle caratteristiche estetiche della targa o dell'inserzione o delle insegne di cui
all'art. 4 della legge a quelle stabilite con apposito regolamento emanato dal
Ministro della Sanità296.
76. Gli esercenti le professioni sanitarie che effettuino pubblicità nelle
forme consentite senza autorizzazione del sindaco, sono sospesi dall'esercizio
della professione sanitaria per un periodo da due a sei mesi. Se la pubblicità
non autorizzata contiene indicazioni false la sospensione è da sei mesi ad un
anno. A quest'ultima sanzione sono soggetti gli esercenti le professioni sanitarie
292
La legge che attualmente disciplina la pubblicità nel settore sanitario è la n. 175 del 5 febbraio 1992.
Deve essere tuttavia segnalato che con il disegno di legge n. 4216 “disposizioni in materia di professioni
sanitarie” approvato il 1° ottobre 1997 dalla XII Commissione permanente del Senato, si intendono
apportare alcune modifiche all’articolo 1 della legge, volte a consentire anche la pubblicità sulla stampa
quotidiana e periodica, nonchè alcune modifiche agli articoli 3, 5 e 8 della legge volte a mitigare le sanzioni
in caso di violazione della legge.
293 Con il successivo DM 16 settembre 1994 n. 657, è stato emanato il regolamento concernente la
disciplina delle caratteristiche estetiche delle targhe, insegne e inserzioni per la pubblicità sanitaria.
294 L’uso della qualifica di specialista è consentito soltanto a coloro che abbiano conseguito il relativo
diploma ai sensi della normativa vigente. E’ vietato l’uso di titoli, compresi quelli di specializzazione
conseguiti all’estero, se non riconosciuti dallo Stato.
295 Quando l’attività a cui si riferisce l’annuncio sia svolta in provincia diversa da quella di iscrizione
all’albo professionale, il nulla osta è rilasciato dall’ordine o collegio professionale della provincia nella quale
viene diffuso l’annuncio stesso.
296 Cfr. art. 2 della legge 175/1992.
144
che effettuino pubblicità a qualsiasi titolo con mezzi e forme non disciplinati
dalla legge n. 175/1992297.
77. La pubblicità concernente le case di cura private ed i gabinetti ed
ambulatori mono o polispecialistici soggetti alle autorizzazioni di legge, è
consentita mediante targhe o insegne apposte sull'edificio in cui si svolge
l'attività professionale nonché con inserzioni sugli elenchi telefonici attraverso
giornali e periodici destinati esclusivamente agli esercenti le professioni
sanitarie, con facoltà di indicare le specifiche attività medico-chirurgiche e le
prescrizioni diagnostiche e terapeutiche effettivamente svolte, purché
accompagnate dall'indicazione del nome, cognome, e titoli professionali dei
responsabili di ciascuna branca specialistica. E' in ogni caso obbligatoria
l'indicazione del nome, cognome e titoli professionali del medico responsabile
della direzione sanitaria298.
78. Il codice deontologico stabilisce altresì che il medico deve evitare lo
sfruttamento pubblicitario di abilità e successi professionali a vantaggio
personale di gruppo o di scuola. I medici che svolgono attività pubblicistica
continuativa o occasionale attraverso giornali, emittenti radiotelevisive, ovvero
tengono conferenze a scopo di educazione, di prevenzione, di informazione e di
divulgazione sanitaria devono astenersi dal fare pubblicità e promozione in
merito alla propria attività ed evitare qualsiasi forma pubblicitaria personale o
in favore di singole istituzioni pubbliche o private, sia pure in maniera indiretta,
anche attraverso articoli scientifici. E’ infine vietato concedere il proprio
patrocinio e il proprio avallo a pubblicità per istituzioni e prodotti sanitari e
affini di esclusivo interesse promozionale e commerciale.
l’esercizio del potere disciplinare
79. All’ordine professionale è demandata la vigilanza sul corretto
esercizio della professione medica e odontoiatrica. La legge prevede che, al
fine di vigilare sul rispetto dei doveri inerenti alle rispettive professioni, gli
ordini e i collegi ove costituiti, hanno la facoltà di promuovere ispezioni presso
gli studi professionali degli iscritti ai rispettivi albi provinciali299.
La legge attribuisce all’ordine il potere disciplinare nei confronti dei
sanitari iscritti all’albo300.
80. I procedimenti per l’applicazione delle sanzioni disciplinari sono
regolati dagli artt. 38 ss del d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221.
Al riguardo la legge stabilisce che i sanitari che si rendano colpevoli di
abusi o mancanze nell’esercizio della professione, o, comunque di atti
297 Cfr. art. 3 della legge 175/1992.
298 Cfr. art. 4 della legge 175/1992.
299 Cfr art. 8, comma 2 della legge 175/1992.
300 l’art. 3, lettera f) del d.l.c.p.s. 13 settembre 1946 n. 233.
145
disdicevoli al decoro professionale, sono sottoposti a procedimento disciplinare
da parte del consiglio dell’ordine o collegio della provincia nel cui albo sono
iscritti. 301 La legge quindi non descrive compiutamente le azioni vietate ma
pone delle clausole generali il cui contenuto deve essere interpretato dalle
norme di etica professionale, l’enunciazione delle quali è rimessa all’autonomia
dell’ordine cui spetta anche l’interpretazione e l’applicazione delle stesse.
Pertanto il potere disciplinare dell’ordine si caratterizza per avere un notevole
grado di discrezionalità, atteso che resta ineludibile la possibilità che l’azione
disciplinare possa essere disposta anche per azioni o omissioni non specificate
nel codice ma comunque disdicevoli al decoro e al corretto esercizio della
professione.
Il procedimento disciplinare è promosso d’ufficio o su richiesta del
prefetto o del procuratore della Repubblica.302 L’azione disciplinare si prescrive
in cinque anni.
Le deliberazioni concernenti i procedimenti disciplinari sono di
competenza del consiglio303 e possono essere impugnate davanti alla
commissione centrale per gli esercenti le professioni, nonché in terza istanza
davanti alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
81. Le sanzioni disciplinari cui può essere assoggettato il professionista
colpevole di tali fatti sono l’avvertimento, che consiste nel diffidare il colpevole
a non ricadere nella mancanza commessa; la censura, che è una dichiarazione di
biasimo per la mancanza commessa; la sospensione dall’esercizio della
professione e la radiazione dall’albo.304
Quest’ultima, che rappresenta il provvedimento più grave, è pronunciata
contro l’iscritto che con la sua condotta abbia compromesso gravemente la sua
reputazione e la dignità della classe sanitaria.305
301 Cfr art. 38 del d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221.
302 Il procedimento disciplinare deve comunque essere iniziato a carico del professionista sottoposto a
procedimento penale, salvo la sua assoluzione per insussistenza del fatto o per non aver commesso quanto
addebitatogli.
303 Quando il consiglio ometta di iniziare il procedimento disciplinare su richiesta del prefetto o del
procuratore della repubblica ovvero nei procedimenti già iniziati trascuri di emettere le proprie decisioni ,
provvede il Prefetto, sentito il consiglio provinciale di sanità (art 48 del d.p.r. citato).
304 Importano di diritto la sospensione l’emissione di un mandato o di un ordine di cattura, l’applicazione
provvisoria di una pena accessoria o di una misura di sicurezza ai sensi degli artt. 140 e 206 del Codice
Penale, l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a tre anni, l’applicazione di una delle
misure di sicurezza detentive di cui all’art. 215, comma 2, n. 2 e 3 , l’applicazione di una delle misure di
sicurezza non detentive di cui all’art. 215, comma 3 n. 1,2,3,4.
Importano la radiazione di diritto all’albo la condanna per uno dei reati previsti dal Codice penale negli artt.
446, 548, 550 e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la reclusione non inferiore
nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni nonché l’interdizione dai pubblici uffici o dalla
professione di durata superiore a tre anni, il ricovero in un manicomio giudiziario nei casi di cui all’art. 222,
comma 2 del Codice Penale e l’applicazione della misura di sicurezza preventiva di cui all’art. 215 del
Codice Penale, comma 2, n 1.
305 Il sanitario radiato dall’albo può essere nuovamente iscritto purché siano trascorsi cinque anni dal
provvedimento di radiazione e, se questa derivo da condanna penale, sia intervenuta la riabilitazione. In ogni
caso deve risultare che il radiato, dopo la radiazione , ha tenuto una condotta irreprensibile (art. 50 del DPR
citato).
146
Nell’appendice statistica sono indicati il numero dei procedimenti
disciplinari negli anni 1992, 1993 e 1994.
5.2.6 altre forme di regolamentazione all’esercizio dell’attività
a) Incompatibilità
82. Non esiste nell’ordinamento professionale alcun divieto per i sanitari
impiegati nella pubblica amministrazione di esercitare la libera professione306.
83. Alcune incompatibilità sono previste dalle norme deontologiche. Al
riguardo il codice vieta al medico qualsiasi forma di accordo o di rapporto
diretto o indiretto con altre categorie sanitarie o di arti ausiliarie delle
professioni sanitarie che svolgano attività o effettuino iniziative di tipo
industriale o commerciale inerenti l’esercizio della professione.307
b) limiti all’esercizio in forma societaria
84. Per l’esercizio professionale in forma societaria valeva anche per i
medici il divieto d’ordine generale imposto per tutte le professioni c.d. protette
dalla legge del 23 gennaio 1939 n. 1825. 308
Tuttavia, venivano escluse dal divieto cliniche e case di cura, in ragione
del fatto che nelle stesse l'organizzazione "alberghiera" prevale di gran lunga
sull'attività professionale sanitaria e l'esercizio della professione è solo un
elemento di secondo piano dell'attività organizzata dall'impresa. 309
85. Inoltre, un implicito riconoscimento delle strutture societarie in
ambito professionale poteva desumersi dalle norme di cui all’art. 4, secondo
comma, della legge 412 del 30 dicembre 1991310, e dall’art. 8 del Decreto
306
Cfr art. 10 del Decreto Legislativo 13 settembre 1946 n. 233, il quale dispone che “i sanitari che siano
impiegati in una pubblica amministrazione ed ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia
vietato l’esercizio della libera professione, possono essere iscritti all’albo.”
307 Cfr. art 80 del Codice deontologico.
308 Cfr. Cassazione 29 gennaio 1973, n. 268 in Foro It. 1973, I, 3194; Cassazione 4 luglio 974, n. 1936 in
Foro It. 1974, I, 3050; Cassazione 8 ottobre 1975, n. 3193, in Foro It, 1976, I, 712; Cassazione 12 marzo
1987, n.2555, in Giur. Ital. 1989,I,1,393; Cassazione 7 gennaio 1993,n.79, in Giur. Ital.1993,I, 1,1927.
Così anche Corte d'Appello di Brescia, n. 323/90- AMDI/ Mezzena del 4 aprile 1990, Corte d'Appello di
Brescia n. 322/90- AMDI/ S. Giuseppina S.r.l. del 4 aprile 1990)
309 Tale principio deve ritenersi consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte che già nella
sentenza n. 5656/1992, aveva ritenuto lecito il contratto con il quale una società, previo versamento di un
determinato corrispettivo si era impegnata a fornire per un certo lasso di tempo al professionista i beni
strumentali ed i servizi utilizzati poi dal sanitario nell'esercizio della sua personale attività ribadendo così
che il rapporto professionale deve instaurarsi esclusivamente con il medico che fornisce al paziente la
relativa prestazione utilizzando strumenti messigli a disposizione da parte di terzi che quindi non
eserciterebbero in proprio alcuna attività protetta dalla legge n. 1815/1939.
310 L’art. 4, comma 2 della legge (Disposizioni in materia di finanza pubblica) dispone che “le convenzioni
possono essere stipulate anche con istituzioni sanitarie private gestite da persone fisiche e da società che
erogano prestazioni poliambulatoriali, di laboratorio generale e specialistico in materia di analisi chimicocliniche, di diagnostica per immagini, di medicina fisica e riabilitazione, di terapia radiante ambulatoriale,
di medicina nucleare in vivo e in vitro”.
La legge sembra voler far salvo il principio che la prestazione ha carattere personale e deve riferirsi al
singolo professionista, disponendo poi che “dette istituzioni sanitarie sono sottoposte al regime di
autorizzazione di cui all’art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e devono avere un direttore sanitario
147
Legislativo del 30 dicembre 1992 n. 502 (Riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 421/1992), come modificato dal
Decreto Legislativo del 7 dicembre 1993 n. 517 (Modificazioni al Decreto
legislativo 30 dicembre 1992 n. 502)311.
86. Il consiglio nazionale della federazione in un documento del 19/20
gennaio 1990, ha evidenziato un proprio orientamento al riguardo precisando
che "le prestazioni sanitarie possono essere erogate dal singolo professionista,
da associazioni tra professionisti, da società di capitali nelle vari forme di
società miste purché costituite da soli professionisti o a maggioranza di questi”.
Anche le norme deontologiche riconoscono la possibilità di utilizzare la
forma organizzativa societaria nello svolgimento dell’attività, ma rispettando
alcuni criteri. Il codice deontologico prevede infatti che gli accordi, i contratti e
le convenzioni allo svolgimento di attività professionale in forma associativa,
anche utilizzando strutture di società per la prestazione di servizi, debbano
essere sottoposti all’approvazione dell’ordine competente per territorio.312
87. Le norme deontologiche dispongono poi che il medico non deve
partecipare a imprese industriali, commerciali o di altra natura che ne
condizionino la dignità e indipendenza professionale. Il medico può tuttavia
utilizzare le strutture di società per la prestazione di servizi a mero supporto
della sua attività professionale. L’attività professionale può essere svolta in
forma associata. Il medico nell’ambito di ogni forma associativa o partecipativa
dell’esercizio della professione è e resta responsabile dei propri atti e delle
proprie prescrizioni.313
c) circolazione in ambito comunitario
88. La legge 22 maggio 1978, n. 217, modificata dalla legge 27 gennaio
1986, n. 19 e dal Decreto legislativo 2 maggio 1994 n. 353, ha disciplinato il
diritto di stabilimento da parte dei medici cittadini di Stati membri delle
Comunità europee. Ai cittadini degli Stati membri delle Comunità europee che
siano in possesso dei diplomi, dei certificati e dei titoli previsti dalla legge è
riconosciuto il titolo di medico e di medico specialista ed è consentito
l’esercizio della relativa attività professionale. Ai fini dell’esercizio dell’attività
di medico l’interessato deve presentare al Ministero della sanità la domanda
corredata dalla relativa documentazione. Il Ministero della sanità entro due
mesi dalla data di ricezione della domanda accerta la regolarità della stessa e
o tecnico, che risponde personalmente dell’organizzazione tecnica e funzionale dei servizi e del possesso
dei prescritti titoli professionali da parte del personale che vi opera”.
311 L’art.8, quinto comma del decreto legislativo dispone che l’unità sanitaria locale nell’assicurare ai
cittadini l’erogazione delle prestazioni specialistiche, “si avvale dei propri presidi, nonché delle aziende e
degli istituti ed enti di cui all’art. 4, delle istituzioni sanitarie pubbliche, ivi compresi gli ospedali militari, o
private, sulla base di criteri di integrazione con il servizio pubblico, e dei professionisti”.
312 Cfr art. 79 del Codice deontologico.
313 Cfr. art. 81 del Codice deontologico.
148
della documentazione e provvede alla sua trasmissione all’ordine professionale
corrispondente alla provincia indicata dall’interessato, il quale entro un mese
dalla data di ricezione della domanda adempie alla procedura per l’iscrizione
all’albo. Il cittadino di altri Stati membri delle Comunità che ha ottenuto
l’iscrizione ha gli stessi diritti ed è soggetto agli stessi obblighi e sanzioni
disciplinari previsti per i medici italiani.
89. La legge 24 luglio 1985, n. 409, modificata dal Decreto legislativo 2
maggio 1994, n. 353, ha disciplinato il diritto di stabilimento e la libera
prestazione dei servizi da parte dei dentisti cittadini di stati membri delle
Comunità Europee. Ai cittadini degli Stati membri delle Comunità europee che
esercitano una attività professionale nel campo della odontoiatria e che siano in
possesso dei diplomi, dei certificati e dei titoli previsti dalla legge è consentito
l’esercizio della relativa attività professionale.
Per ottenere l’autorizzazione all’esercizio della professione di
odontoiatra l’interessato deve presentare al Ministero della sanità la domanda
corredata dalla relativa documentazione. Il Ministero della Sanità entro tre mesi
dalla data di ricezione della domanda accerta la regolarità della stessa e della
documentazione e provvede alla sua trasmissione all’ordine professionale
corrispondente alla provincia indicata dall’interessato, il quale entro un mese
dalla data di ricezione della domanda completa la procedura per l’iscrizione
all’albo. Il cittadino di altri Stati membri delle Comunità che ha ottenuto
l’iscrizione ha gli stessi diritti ed è soggetto agli stessi obblighi e sanzioni
disciplinari previsti per gli odontoiatri italiani.
90. Gli odontoiatri cittadini italiani che si trasferiscono in uno dei Paesi
membri delle Comunità europee possono, a domanda, conservare l’iscrizione
all’ordine italiano di appartenenza.
d) le recenti novità legislative
91. Il 5 agosto 1997 è stato approvato dal governo un disegno di legge
delega concernente la riforma degli ordini dei medici chirurghi. Pertanto entro
dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge il governo è delegato ad
emanare, con uno o più decreti aventi forza di legge, le norme necessarie per
modificare la legislazione vigente.
I principi e i criteri direttivi a cui dovranno essere informati i decreti
legislativi introducono rilevanti novità in merito alle funzioni che la federazione
dell’ordine dei medici sarà chiamata a svolgere in futuro.
Tra le numerose innovazioni meritano di essere segnalate in questa sede
le disposizioni in materia di formazione e aggiornamento professionale, ed in
particolare: la norma che attribuisce agli ordini provinciali il compito di
“provvedere all’aggiornamento professionale e alla verifica periodica della
specificità professionale degli iscritti, anche mediante convenzione con le
149
università”314; la norma che attribuisce alle Federazioni regionali il compito “di
concorrere all’organizzazione del tirocinio di formazione complementare in
medicina generale”315; nonchè la norma che attribuisce alla federazione
nazionale il compito di “promuovere e favorire tutte le iniziative intese a
facilitare il progresso culturale degli iscritti e dare direttive per la verifica
professionale degli iscritti.”316
Deve essere osservato che prima di questo intervento legislativo
l’aggiornamento professionale era rimesso, come in tutte le altre professioni,
all’iniziativa e all’etica individuale.
Pertanto, le norme in parola che attribuiscono alla federazione e ai suoi
organi periferici specifiche funzioni non solo di promozione, ma anche di
verifica periodica della preparazione degli iscritti, appaiono di notevole
importanza soprattutto in considerazione del fatto che nelle attività
professionali, ed in particolare in quella medica, la materia oggetto della
professione subisce continue evoluzioni e lo standard di preparazione richiesto
per l’accesso può in breve tempo non essere più sufficiente se non
adeguatamente arricchito attraverso un continuo aggiornamento.
92. Tuttavia, il disegno di legge che con tali disposizioni sembra
ridisegnare il ruolo della federazione dell’ordine dei medici in modo più
rispondente alle effettive esigenze della professione, contiene anchealcune
disposizioni decisamente involutive.
In questa direzione si pone infatti l’attribuzione agli ordini provinciali del
compito di “promuovere iniziative per la repressione dell’esercizio e per il
rispetto delle normative vigenti in materia sanitaria, in particolare per quanto
attiene la pubblicità317”; nonchè l’attribuzione alla federazione nazionale del
compito di approvare le tariffe minime e massime degli onorari delle prestazioni
professionali, da rendere esecutive con decreto del Ministero della sanità ed
esprimere parere obbligatorio nella determinazione delle tariffe del servizio
sanitario nazionale”.
Quest’ultima disposizione, in particolare, è diretta a potenziare
notevolmente il ruolo della federazione dell’ordine dei medici nella
determinazione delle tariffe, capovolgendo la situazione finora vigente: la
federazione, che poteva esprimere solo un parere non vincolante al Ministero
della sanità in merito alle tariffe determinate da quest’ultimo, assumerebbe
invece essa stessa il compito di approvarle, relegando al Ministero un semplice
ruolo di esecuzione.
Va osservato che l’attribuzione alla categoria professionale di un ruolo
determinante nella definizione delle tariffe minime e massime non solo non è
funzionale al perseguimento di interessi pubblici connessi all’esercizio della
314Articolo 2, lettera d) n. 4 del disegno di legge.
315 Art. 2, lettera e) n. 2) del disegno di legge.
316 Art. 2, lettera f) n. 3) del disegno di legge.
317 Art. 2 lettera d). 7.
150
professione, ma vi si pone in assoluto contrasto. Appare infatti quanto mai
contraddittorio che la possibilità di fissare le tariffe massime, che in un settore
quale quello della salute potrebbero giustificarsi a tutela del consumatore nei
confronti di possibili comportamenti opportunistici adottati dai professionisti,
sia attribuita proprio a questi ultimi, anziché semmai al regolamentatore.
5.2.7 Profili comparatistici
93. La presenza in Italia del sovrannumero dei medici rispetto alla
popolazione utente è confermata anche dal confronto con i dati relativi agli altri
Paesi Europei: a fronte di 4,9 medici per mille abitanti nel nostro Paese, nel
Regno Unito sono solo 1,9, in Francia 2,5, in Belgio 3,3, in Danimarca 2,6, in
Germania 2,7, in Spagna 3,4, in Grecia 1,7, in Irlanda 1,5, in Portogallo 2,2 e,
infine, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi il 2,4 (Stima del Cnel, 1992).
94. In Germania l’iscrizione agli ordini, Kammer, (corporazioni di
diritto pubblico istituite a livello regionale) non è obbligatoria, benché, di fatto
il medico non iscritto non possa avere incarichi professionali pubblici. Le
Kammer svolgono funzioni soprattutto in materia di approvazione del codice
deontologico, di controllo sulla formazione specialistica e sul mantenimento del
livello professionale, ma non esercitano funzioni disciplinari che sono svolte
direttamente dallo Stato a mezzo di appositi tribunali professionali (composti da
un magistrato e da professionisti appartenenti alla categoria).
Inoltre, esiste un organismo nazionale di coordinamento che ha in
particolare un ruolo consultivo presso il governo e di rappresentatività della
professione medica, la Bundesaertzekammer, che definisce ogni anno gli
orientamenti programmatici e politici nei riguardi dei medici tedeschi.
95. In Francia, l’iscrizione è obbligatoria presso il consiglio
dipartimentale dell’ordine, che esercita in ambito dipartimentale e sotto il
controllo del consiglio nazionale, le attribuzioni generali dell’ordine, ovvero
principalmente la tenuta e la conservazione dell’albo. I membri del consiglio
dipartimentale dell’ordine vengono eletti dall’assemblea generale dei medici
iscritti all’albo. I membri dei consigli regionali sono eletti dai consigli
dipartimentali ed esercitano la competenza disciplinare in prima istanza.
L’ordine dei dentisti ha la stessa struttura di quello dei medici.
96. Nel Regno Unito, l’iscrizione non è obbligatoria. Il medico cittadino
del Regno Unito in possesso della laurea e dopo aver fatto un tirocinio della
durata di un anno ha diritto alla registrazione al General Medical Council, ma
tale iscrizione non è obbligatoria. Il General Medical Council è l’autorità
competente anche in materia di procedimenti disciplinari. Per quanto riguarda i
dentisti, non esiste un ordine ma un’associazione nazionale volontaria. Esiste
inoltre un’importante associazione la British Medical Association alla quale
151
aderisce circa il 75% dei medici e che si occupa prevalentemente di etica
medica.
97. La tabella che segue mette a confronto i sistemi della formazione
specialistica adottati dagli altri Paesi UE.
Ente che rilascia
il diploma
Numero
chiuso
Ministero Sanità
no
Arztekammer
no
si
si
si
professione
professione
Ministero sanità
Regno Unito
Board Health
Ministero sanità
ordine medici
Università
Joint Committee
si
Grecia
Irlanda
Ministero sanità
Royal College
si
si
Joint
Comm/Ministero
Ministero sanità
Joint
Comm/Ministero
Lussemburgo
Ministero/ordine
dei medici
Specialists
Committee
ordine dei medici
no
Belgio
Germania
Danimarca
Spagna
Francia
Paesi Bassi
si
Chi determina
il numero
chiuso
professione
si
Ministero
Portogallo
Fonte: federazione nazionale ordine dei medici e degli odontoiatri.
98. Per quanto riguarda la pubblicità, le norme variano da paese a paese.
Nella maggior parte dei Paesi, Austria, Francia, Gran Bretagna, Olanda,
Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Spagna, Danimarca e Svezia è permessa
limitatamente; è preclusa invece in Belgio. Le norme relative alla pubblicità
sono contenute nei Codici deontologici in Belgio, Francia, Irlanda,
Lussemburgo e Portogallo; sono invece contenute anche nella legge in Gran
Bretagna, Spagna e Svezia.
Deve essere sottolineato che rispetto all’Italia, dove la pubblicità è
ammessa solo sugli elenchi telefonici, negli altri Paesi è ammessa anche sui
giornali (Austria, Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo,
Spagna e Svezia) e in televisione (Spagna e Svezia).
La pubblicità indiretta attraverso articoli di giornali scritti dai medici, o
attraverso interviste televisive è consentita, purché in forma discreta, in Austria,
Francia, Gran Bretagna, Irlanda e Lussemburgo.
Anche con riferimento ai contenuti la nostra legge risulta più restrittiva
rispetto alle altre. Ad esempio in Danimarca è consentito dare informazioni
anche riguardo ai trattamenti e ai prezzi e in Gran Bretagna è consentita una
pubblicità che si limiti ai fatti, e, quindi riferita anche ai tassi di successo e ai
prezzi.
152
99. Per quanto riguarda l’esercizio in forma societaria della professione
medica, nel Regno Unito è consentito ai medici di esercitare la professione in
forma societaria, anche di tipo commerciale, per fornire consulenze cliniche,
diagnostiche e mediche. Nei loro rapporti reciproci i medici associati sono
obbligati a rispettare le norme di etica professionale e in particolare le direttive
del General Medical Council concernenti il carattere confidenziale delle
informazioni sui loro pazienti.
Le associazioni e le società per l’esercizio della professione medica sono
soggette alle norme di legge generali in vigore per le società civili.
In Spagna è possibile la costituzione di società con persone estranee alla
professione purché tali società abbiano per scopo di facilitare l’esercizio della
professione e non abbiano un fine lucrativo estraneo all’esercizio professionale.
L’esercizio in comune non elimina la responsabilità personale del medico e la
responsabilità del gruppo è solo sussidiaria. Gli accordi, secondo il codice
deontologico medico devono essere stipulati per iscritto e sottoposti al collegio
provinciale dei medici che valuta la compatibilità delle clausole con le norme
deontologiche.
In Francia e in Germania sono state emanate leggi ad hoc per tutte le
professioni che consentono quindi anche ai medici l’esercizio della medicina in
forma societaria di cui si dirà ampiamente nel capitolo 7.
5.2.8 conclusioni
100. La tabella che segue indica le principali forme di regolamentazione
dell’attività medica, sintetizzando quanto fino ad ora illustrato al riguardo.
Tabella 3 - Principali forme di regolamentazione dell’attività medica
entrata
standard di qualità
tariffe
altre forme di
minima del servizio
regolamentazione
requisiti soggettivi
Tariffa unica, minima divieto di pubblicità
a) laurea in medicina
e inderogabile
e chirurgia
b) tirocinio ospedaliero
c) esame di Stato
d) iscrizione all’albo
requisiti relativi ai
rapporti
con
la
clientela
a) obbligo di prestare
cure d’urgenza
b) segreto
professionale
c) obbligo di prestare
personalmente le cure
153
La professione medica incide su un interesse pubblico di fondamentale
importanza, quale è quello della tutela della salute pubblica. Pertanto, con
riferimento ai requisiti previsti nella fase di accesso alla professione, la
specifica preparazione richiesta al professionista conseguibile attraverso un
lungo corso di studi e un tirocinio pratico appare proporzionata all’obiettivo
che si intende perseguire e consona agli interessi connessi all’esercizio della
professione.
Appare invece di difficile comprensione il fatto che a fronte di un
percorso formativo oneroso sia poi scarsamente valorizzato, nella fase di
accesso, l’esame di Stato, che dovrebbe rappresentare lo strumento selettivo
più appropriato e importante per verificare il possesso dei requisiti minimi da
parte di coloro che devono esercitare la professione e, quindi, i risultati della
formazione. Nel corso dell’indagine è infatti emerso che nella professione
medica e odontoiatrica, l’esame di Stato non rappresenta un effettivo strumento
di verifica ma una pura formalità, come è attestato dalla circostanza che la
percentuale degli abilitati è prossima al cento per cento.
L’irrilevanza dell’esame di Stato appare stridente sia rispetto alla rigidità
con cui vengono regolamentati gli accessi in altre professioni, quali quella del
notaio e del farmacista che certamente non incidono su beni e valori di
maggiore importanza, sia alla rigidità con cui viene poi regolamentato
l’esercizio della professione medica, con la quale probabilmente si intendono
coprire eventuali inefficienze determinate dalla regolamentazione della fase di
accesso.
101. La regolamentazione della fase di esercizio della professione
medica appare caratterizzata dall’utilizzo di una pluralità di strumenti per
assicurare la qualità del servizio, alcuni dei quali appaiono non solo superflui,
ma persino inidonei al raggiungimento di tale obiettivo.
L’assetto regolamentativo è caratterizzato dalla previsione di norme
deontologiche e di legge con la quale vengono fissati moltissimi standard
qualitativi relativi sia alle prestazioni che ai comportamenti dei professionisti.
Tali standard e l’esercizio della funzione di controllo del rispetto degli
stessi da parte dell’ordine dovrebbero rappresentare delle forme di
regolamentazione sufficienti a garantire il corretto svolgimento dell’attività
professionale, in un ambito in cui il consumatore spesso non è in grado di
valutare l’adeguatezza della prestazione resa dal professionista.
Non appaiono invece idonei e necessari a tutelare il consumatore né
l’imposizione di un divieto così ampio di farsi pubblicità né l’imposizione di
tariffe minime inderogabili.
a) le tariffe
102. Come esplicitamente stabilito dalla legge la previsione di una tariffa
minima inderogabile appare diretta esclusivamente a tutelare il decoro e la
154
dignità professionale, ovvero l’interesse della categoria. Il tentativo di
giustificare l’inderogabilità del minimo tariffario con la tutela del consumatore
appare del tutto incoerente in considerazione del fatto che, nel caso di specie,
non è prevista una tariffa massima. Siffatta previsione si traduce, quindi, in uno
svantaggio per il consumatore che, in un settore particolarmente delicato, non
solo non è tutelato dalla previsione di una tariffa massima, ma non ha neanche
la possibilità di assicurarsi la prestazione a prezzi inferiori a quelli stabiliti dalla
legge.
Peraltro non è escluso che in questo settore, nel quale esiste un
sovrannumero di medici rispetto alle esigenze della popolazione, la possibilità
di determinare liberamente le tariffe possa modificare significativamente i
prevalenti comportamenti di prezzo.
b) la pubblicità
103. Le attuali norme sulla pubblicità in materia sanitaria sono
estremamente rigide e consentono in buona sostanza unicamente la pubblicità
sugli elenchi telefonici, scevra peraltro da qualsiasi indicazione utile al
consumatore in ordine alle esperienze acquisite dal medico e ai prezzi praticati.
E ciò proprio in un settore dove maggiore è l’asimmetria informativa a sfavore
del consumatore e dove l’elevato grado di specializzazione dei professionisti
renderebbe ancora più importante la diffusione di informazioni concernenti le
specifiche competenze ed esperienze da essi acquisite.
104. Al riguardo, se si comprendono le ragioni che in questo settore
impediscono di incentivare l’adozione di strumenti di sollecitazione della
domanda, deve altresì essere considerato che, nel caso di specie, la pubblicità
molto difficilmente può indurre il consumatore ad acquistare il servizio in
misura maggiore di quanto avrebbe fatto in assenza di pubblicità. Infatti il
presupposto per rivolgersi ad un medico è sempre la presenza di un disturbo o
di una malattia. La pubblicità interviene solo quando la situazione di bisogno si
è già verificata, e può rappresentare un utile strumento al fine di fornire al
consumatore un bagaglio informativo che lo agevoli nella scelta del medico a
cui rivolgersi.
105. Pertanto, la possibilità di effettuare una pubblicità informativa, che
si attenga esclusivamente alla rappresentazione veritiera dei fatti, potrebbe
sopperire in parte alla situazione di asimmetria informativa particolarmente
rilevante in cui versa il paziente nei confronti del medico curante e tradursi in
un vantaggio per il consumatore.
La possibilità di avere accesso ad una serie di informazioni relative ad
esempio ai prezzi, alle esperienze e ai successi conseguiti, metterebbe il
paziente in condizioni di poter fare una scelta maggiormente consapevole e
conveniente e ridurrebbe notevolmente i costi che lo stesso deve sostenere per
155
acquisire per altre vie le informazioni necessarie alla scelta del medico che
ritiene più adatto al suo caso.
156
appendice statistica
farmacisti
Tabella a1 - I consumi farmaceutici per regioni nell’anno 1994 espressi in percentuale.
Regioni
ripartizione % indice consumi
dei consumi
procapite
Piemonte
8,03
106,72
Valle d’Aosta
0,22
107,53
Lombardia
16,39
105,22
Trentino Alto Adige
1,69
106,65
Veneto
7,73
100,00
Friuli Venezia Giulia
2,18
104,56
Liguria
3,74
125,73
Emilia Romagna
7,77
114,53
Toscana
7,17
113,02
Umbria
1,50
107,92
Marche
2,71
104,56
Lazio
8,55
94,86
Abruzzo
2,23
98,34
Molise
0,45
77,82
Campania
8,48
86,94
Puglia
5,85
83,50
Basilicata
0,81
77,20
Calabria
3,17
87,33
Sicilia
8,36
96,29
Sardegna
2,70
94,01
Totale Italia
100,00
100,00
Fonte: Osservatorio Farmindustria, Indicatori farmaceutici, giugno 1995
157
Tabella a2 - Distribuzione regionale delle farmacie e rapporto abitanti/farmacie
nell’anno 1994.
Regioni
farmacie
abitanti/farma
cie
Piemonte/ Valle d’Aosta
1391
3181
Lombardia
2438
3651
Trentino Alto Adige
208
4344
Veneto
1178
3748
Friuli Venezia Giulia
353
3380
Liguria
550
3023
Emilia Romagna
1135
3458
Toscana
989
3567
Umbria
240
3413
Marche
468
3073
Lazio
1337
3878
Abruzzo e Molise
591
2699
Campania
1407
4057
Puglia
953
4266
Basilicata
194
3150
Calabria
703
2958
Sicilia
1375
3655
Sardegna
527
3145
Totale Italia
16.037
3.562
Fonte: Osservatorio Farmindustria, Indicatori farmaceutici, giugno 1995
158
Tabella b1 - Rapporto abitanti/medici nelle varie regioni d’Italia nel 1994.
Regioni
abitanti/medici
Piemonte
224
Valle d’Aosta
246
Lombardia
208
Trentino Alto Adige
244
Veneto
221
Friuli Venezia Giulia
211
Liguria
151
Emilia Romagna
168
Toscana
173
Umbria
164
Marche
200
Lazio
143
Abruzzo
168
Molise
188
Campania
180
Puglia
216
Basilicata
233
Calabria
165
Sicilia
172
Sardegna
181
Fonte: Fed. Naz. dell’ordine dei medici.
Tabella b2 - Candidati e abilitati agli esami di abilitazione* medici
candidati abilitati
%
II
3.121
3.033
97
SESS.
1993
I SESS. 1.489
1.453
97
1994
II
2.012
1.918
95
SESS.
1994
Fonte: Fed. Naz. dell’ordine dei medici.
*I dati si riferiscono alle seguenti Università: Cagliari, Pavia, Pisa, Bologna, Brescia,
l’Aquila, A. Gemelli, Siena, Verona, Ferrara, Parma, Messina, Bari, Catania, Trieste, Udine,
Modena, Reggio Calabria, Perugia, Genova, Padova e Firenze.
159
Tabella b3 - Candidati e abilitati agli esami di abilitazione*
odontoiatri
candidati abilitati
%
308
299
97
II
SESS.
1993
I SESS. 131
130
99
1994
276
276
100
II
SESS.
1994
Fonte: Fed. Naz. dell’ordine dei medici
* I dati si riferiscono alle seguenti facoltà: Cagliari, Pavia, Pisa, Bologna, l’Aquila, A.
Gemelli, Siena, Verona, Ferrara, Parma, Messina, Bari, Catania, Modena, Genova, Padova e
Firenze.
Tabella b4 - Procedimenti disciplinari medici, in funzione del tipo di violazione.*
ABUSI
TARIFFA
Procedimenti
64
1
1992
Procedimenti
153
2
1993
Procedimenti
149
4
1994
Fonte: Fed. Naz. dell’ordine dei medici
*Dati relativi ai seguenti ordini Provinciali: Livorno, Firenze, Parma, Avellino, Teramo,
Vercelli, Perugia, Mantova, Forlì, Crotone, Sondrio, Arezzo, Biella, Lecco, Trento, Sassari,
Pavia, Terni, Asti, Rieti, Bergamo, Cremona, Prato, Palermo, Novara, Enna, Grosseto,
Benevento, Campobasso, Siena, Lodi, Savona, Bari, Frosinone, Alessandria, Pordenone,
Udine, Bolzano, Ancona, Brindisi, Pesaro, Trieste, Belluno, Caltanissetta, Brescia, Cosenza.
Tabella b5 - Procedimenti disciplinari odontoiatri.
ABUSI
TARIFFA
Procedimenti 1992
20
1
Procedimenti 1993
64
3
Procedimenti 1994
51
3
Fonte: federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri
*Dati relativi ai seguenti ordini Provinciali: Livorno, Firenze, Parma, Avellino, Teramo,
Vercelli, Cremona, Perugia, Mantova, Forlì, Crotone, Sondrio, Arezzo, Biella, Trento,
Sassari, Pavia, Asti, Rieti, Bergamo, Palermo, Prato, Savona, Novara, Grosseto, Benevento,
Campobasso, Siena, Lodi, Bari, Frosinone, Alessandria, Pordenone, Udine, Bolzano,
Ancona, Brindisi, Pesaro, Trieste, Belluno, Brescia, Cosenza, Caltanissetta.
160
CAPITOLO
SESTO:
LA
REGOLAMENTAZIONE
DELLE
PROFESSIONI TECNICHE
1. Questo capitolo riguarda l’assetto regolamentativo delle attività svolte
dalle più importanti figure professionali appartenenti all’area tecnica, gli
ingegneri e gli architetti, nonchè le attività svolte dai geometri. Esistono
tuttavia, com’è noto, varie altre professioni protette che erogano prestazioni
tecniche e che frequentemente operano in concorrenza con ingegneri, architetti
e geometri. Pertanto, nell’ambito dei paragrafi riguardanti le competenze di
questi ultimi, vengono indicate le attività svolte anche da professionisti iscritti
in altri albi e, quando rileva, le attività svolte da operatori economici non
protetti.
Occorre inoltre osservare in via preliminare che la regolamentazione
pubblica degli ingegneri e degli architetti viene disciplinata in modo unitario da
una serie di norme comuni ad entrambe le professioni (si veda al riguardo la
sezione successiva riguardante i principali riferimenti normativi). Pertanto
l’illustrazione che segue considera congiuntamente - nella prima parte - gli
ingegneri e gli architetti e successivamente analizza - nella seconda parte - la
regolamentazione delle attività svolte dai geometri.
6.1 Gli ingegneri e gli architetti
principali riferimenti normativi
Legge 24 giugno 1923 n. 1395, “Tutela del titolo e dell’esercizio
professionale degli ingegneri e degli architetti”; r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537,
“Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto”; legge 2 marzo
1949, “Testo unico della tariffa degli onorari per le prestazioni professionali
dell’ingegnere e dell’architetto”; legge 4 marzo 1958 n. 143 “Norme sulla
tariffa degli ingegneri e degli architetti”; d.m. 11 giugno 1987 “Adeguamento
della tariffa per le prestazioni professionali degli ingegneri e degli architetti”.
6.1.1 Le attività degli ingegneri e degli architetti
i) tipologia e caratteristiche
2. Risulta di un certo interesse mettere in rilievo che, contrariamente a
molte delle altre figure professionali fin qui esaminate, quella dell’ingegnere
trova storicamente il proprio radicamento non solo in ambito liberoprofessionale, ma anche nell’impiego pubblico e presso imprese industriali.
A questa ampia e diversificata presenza corrisponde un altrettanto
variegato ventaglio di competenze che spaziano dalle attività in ambito edilizio
alla progettazione industriale ed infrastrutturale.
Ciò del resto risulta anche dalle norme istitutive delle professioni di
ingegnere e di architetto che individuano in linee generali l’oggetto e i limiti
161
delle stesse318. Relativamente, in particolare all’ambito edilizio, emerge che le
due figure hanno una competenza comune, benché all’architetto sembrerebbe
essere stata attribuita una riserva - connessa originariamente ad una formazione
specialistica dell’architetto stesso - nelle opere di edilizia civile che presentano
rilevante carattere artistico e nel restauro e nel ripristino degli edifici
“vincolati”.
Con riferimento a tale riserva, può tuttavia rilevarsi che la
specializzazione dell’architetto rispetto a quella dell’ingegnere civile in
particolare si è attenuata nel corso del tempo in ragione della simile formazione
di tali figure.
Deve inoltre mettersi in luce che tale riserva appare superata anche sulla
base di quanto prevede la Direttiva 85/384 CEE del consiglio del 10 giugno
1985, recante “Reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli
del settore dell’architettura e comportante misure destinate ad agevolare
l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi”,
la quale, nelle premesse, sottolinea che le attività pertinenti all’architettura sono
esercitate nella maggior parte degli stati membri da persone denominate
architetti, “senza però che tali persone detengano il monopolio nell’esercizio
di tali attività”, potendo le stesse “essere esercitate da altri professionisti e, in
particolare, da ingegneri che abbiano ricevuto una formazione specifica nel
settore delle costruzioni e dell’arte edilizia” (più diffusamente, per quanto
concerne i titoli professionali che legittimano all’esercizio delle attività in
esame, tra i quali figura per l’appunto la laurea in ingegneria civile, v. infra par.
28)319.
3. Va poi rilevato che la regolamentazione concernente l’oggetto delle
professioni di ingegnere e di architetto, e precisamente l’art. 53 del r.d.
2537/1925, nell’indicare l’ambito di attività di tali professioni, precisa che le
318
Al riguardo, va rilevato che, in attuazione dell’art. 7 della legge 24 giugno 1923 n. 1395, recante “Tutela
del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti”, l’art. 51 r.d. 23 ottobre 1925 n.
2537, recante “Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto”, prevede che “sono di spettanza
della professione di ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed
utilizzare i materiali direttamente o indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori
relativi alle vie e ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle
macchine e agli impianti industriali; nonchè in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le
operazioni di estimo”. Ai sensi dell’art. 52, comma 1, dello stesso decreto, poi, “formano oggetto tanto della
professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonchè i rilievi geometrici e
le operazioni di estimo ad esse relative”. Al riguardo, il comma 2 dello stesso articolo 52 precisa che, mentre
la parte tecnica di tali attività può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere, le opere di
edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico e il restauro e il ripristino degli edifici protetti ex
lege in quanto beni di interesse storico, artistico, archeologico sono di spettanza dell’architetto. L’art. 53,
infine, dispone espressamente che le suindicate disposizioni (artt. 51 e 52) valgono ai fini della
delimitazione delle due professioni.
319 Tale direttiva è stata recepita in Italia con decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 129, il quale, tuttavia,
all’art. 1, comma 2, dispone “Restano in vigore le disposizioni che regolano l’esercizio in Italia delle
attività di cui al primo comma (cioè di quelle rientranti nel settore dell’architettura) da parte di persone in
possesso di titolo professionale idoneo in base alle norme vigenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto”, mantenendo in tal modo ferma la citata riserva incoerentemente con l’orientamento comunitario.
162
disposizioni valevoli ai fini della delimitazione delle professioni di ingegnere e
di architetto “non pregiudicano quanto può formare oggetto dell’attività
professionale di determinate categorie di tecnici specializzati, nè le disposizioni
che saranno date con i regolamenti di cui all’ultimo comma dell’art. 7 della l.
24 giugno 1923 n. 1395”, riferentesi ai geometri e ai periti tecnici320.
4. La legislazione, a ben vedere, appare essere ispirata non già al
principio di riconoscere la facoltà di svolgere attività in via esclusiva, quanto
piuttosto di ammettere una competizione quanto meno inter-professionale321.
Ciò è confermato dal fatto che ad altre categorie di professionisti tecnici geometri, periti industriali, geologi e, più settorialmente, dottori agronomi, periti
agrari e agrotecnici - sono state attribuite dai rispettivi ordinamenti alcune
competenze analoghe a quelle degli ingegneri e degli architetti, seppure
limitate, in alcuni casi, all’esecuzione di prestazioni meno complesse.
Deve inoltre rilevarsi che, nell’offerta di determinate prestazioni, anche
operatori non protetti, essendo privi di un albo, quali i laureati in urbanistica,
sono in concorrenza con i professionisti protetti.
5. In particolare, con riguardo a questi ultimi, il Consiglio di Stato, in una
recente pronuncia, dopo aver osservato che non esiste alcuna riserva di
competenza degli ingegneri e architetti o di iscritti ad altri albi professionali
relativamente all’attività urbanistica e di pianificazione territoriale, precisa che
nè la prassi di affidare gli incarichi di progettazione ad ingegneri e architetti
“ancorchè costantemente seguita, nè la mancata istituzione di un apposito albo
degli urbanisti possono precludere l’affidamento degli incarichi di
pianificazione a soggetti che, come i laureati in urbanistica, dimostrino il
possesso di un elevato grado di istruzione specialistica in materia”322.
ii) alcune caratteristiche dell’offerta e della domanda
6. Per quanto concerne i soggetti legittimati ad operare nel settore, va
rilevato che l’offerta è costituita non solo da singoli professionisti323, ma
frequentemente assume forme organizzative di natura associativa, come è
320
Più precisamente, l’art. 7, cui l’art. 53 r.d. n. 2537/1925 rinvia, dopo aver stabilito la formazione di “albi
speciali per i periti agrimensori (geometri) e per altre categorie di periti tecnici”, prevede altresì che, con
apposito regolamento, “saranno emanate le norme (...) per la determinazione dell’oggetto e dei limiti
dell’esercizio professionale” di tali categorie.
321 Al riguardo, appare significativo che la relazione alla legge delega 28 dicembre 1952 n. 3060, recante
“Delega al governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente
in economia e commercio e ragioniere”, trae spunto proprio dagli ordinamenti dei professionisti tecnici per
ribadire tale principio, aggiungendo che “Non sarebbe neppure agevole stabilire confini precisi e costituire
quasi dei compartimenti-stagni fra attività attribuite alle varie professioni, creando in tal modo barriere
insormontabili che, in definitiva, si risolverebbero in un danno per gli stessi professionisti, dato che la realtà
dell’attività professionale non si presta, nella sua multiforme varietà, ad essere divisa in settori e dato che il
progresso e la cultura ampliano sempre di più il campo di attività delle professioni”.
322 Cfr. sentenza 9 ottobre 1996 n. 1087.
323Gli ingegneri iscritti all'albo alla fine del 1994 erano 110.015, di cui una parte consistente, tuttavia,
secondo i dati del consiglio nazionale degli Ingegneri, è dipendente da pubbliche amministrazioni o enti
privati. Alla stessa data i professionisti iscritti negli albi degli architetti ammontavano a 66.111.
163
dimostrato da una significativa presenza delle organizzazioni di ingegneria,
comprendenti studi professionali, associazioni e società di ingegneria,
nell’ambito delle quali i professionisti iscritti agli albi operano come soci
ovvero come dipendenti324. Dette organizzazioni, nel 1991 erano, secondo il
censimento ISTAT del 1991, 4.423, di cui 626 con almeno 6 addetti. Delle 626,
6 erano di grandi dimensioni, disponendo di oltre 500 addetti.
7. Per il crescente rilievo che queste modalità di esercizio dell’attività
professionale in forma imprenditoriale appaiono poter assumere nell’ambito del
settore in esame, è opportuno illustrarne in maggior dettaglio le caratteristiche,
sulla base dei dati disponibili. A tal fine, verrà fatto riferimento ad un’analisi
effettuata dall’OICE, (l’associazione delle organizzazioni di ingegneria e di
consulenza tecnico-economica), con riferimento ad informazioni riguardanti
circa 200 società di ingegneria325.
8. Emerge innanzitutto l’ampio spettro dei campi di attività in cui sono
presenti queste organizzazioni, che non si limitano all’ambito dell’ingegneria
civile, a cui tuttavia fa capo la gran parte del fatturato realizzato in Italia,
(22,6%), ma si estendono anche al settore petrolchimico e petrolifero (19,3%),
a quello elettrico (13,5%) e ai trasporti (12,5%).
Relativamente poi alla tipologia dei servizi offerti, le società di
ingegneria erogano sia servizi di progettazione, che varie altre prestazioni
connesse alla realizzazione di opere e impianti, fino ad arrivare alla gestione di
progetti chiavi in mano. Nel 1995, il valore dei contratti acquisiti in territorio
nazionale dalle società di ingegneria oggetto della rilevazione, è stato di circa
3374 miliardi, di cui circa 980 relativi a prestazioni di progettazione. Di questi
poi, 110 miliardi circa hanno riguardato l’edilizia.
9. Dal lato della domanda, e limitando l’analisi ai servizi di
progettazione, occorre osservare che essa risulta costituita in parte
preponderante da soggetti pubblici (organi dell’amministrazione dello Stato,
comuni, province, regioni, ospedali, ecc.), e viene espressa secondo modalità
che riflettono la specifica regolamentazione del settore, in particolare
324
In particolare, relativamente alle società di ingegneria, la legge quadro in materia di lavori pubblici 11
febbraio 1994 n. 109, all'art. 17, comma 5, nell'elencare i soggetti esterni ai quali un ente appaltante può
affidare un incarico di progettazione, comprende le società di ingegneria. L'ottavo comma dell'art. 17
stabilisce inoltre che i requisiti organizzativi, professionali e tecnici di tali società sono individuati da
apposito regolamento, peraltro non ancora emanato, fermo il principio che l'attività di progettazione e i
singoli progetti devono essere eseguiti da uno o più professionisti iscritti negli appositi albi,
nominativamente indicati e personalmente responsabili. Anche la normativa di recepimento della Direttiva
92/50 CEE prevede la possibilità per le persone giuridiche di svolgere le prestazioni in esame,
eventualmente indicando, nell’offerta di partecipazione, il nome e le qualificazioni professionali delle
persone che effettuano la prestazione del servizio: Cfr. in tal senso art. 12 del decreto n. 157/1995.
325 Cfr. OICE “Società italiane di ingegneria, Rilevazione annuale sul settore - Esercizio 1995”, Roma,
1996.
164
prevedendo strumenti di acquisizione dei servizi (avvisi, bandi di gara) che
implicano una scelta tra più operatori326.
10. Al riguardo, si osserva che, seppure sulla base di dati riferiti ad un
numero limitato di operatori, il 50% circa degli incarichi sarebbero affidati
mediante una gara327. Nel 1995 e nel 1996 il valore dei bandi di gara è stato
rispettivamente di 173 e 430 miliardi circa, corrispondenti a 656 gare nel 1995
e a 4113 nel 1996, mentre l’importo medio di ciascuna gara è sensibilmente
diminuito rispetto all’anno precedente (da 264 a 106 milioni).
In questo ambito il confronto concorrenziale tra società di ingegneria e
professionisti ha portato le prime ad aggiudicarsi il 42% delle gare nel 1995 e il
26% nel 1996. Tale calo è interpretabile alla luce della tendenza da parte di
società di ingegneria a competere principalmente per gare di importi
ragguardevoli, il numero delle quali è percentualmente diminuito nel 1996328.
11. La regolamentazione, inoltre, prevede modalità di esecuzione delle
gare che favoriscono una più ampia partecipazione dei soggetti legittimati e,
pertanto, una più aperta concorrenza tra imprese.
A tal fine viene disposta una adeguata pubblicizzazione dei bandi e degli
avvisi per l’affidamento degli incarichi, volta ad informare gli operatori in modo
ampio e tempestivo, consentendo loro una migliore programmazione
dell’attività329.
Norme specifiche prevedono, poi, un tempo congruo per la redazione e
l’invio delle domande di partecipazione330, nonchè, nella distribuzione degli
326
327
Cfr. art. 17 della citata legge Merloni e art. 6 del decreto n. 157/95.
Cfr. Indagine effettuata dall’Associazione Nazionale Cooperative di produzione e lavoro,
“Qualificazione e Sviluppo del Costruire”, Quaderno 27, Bologna, 1997, la quale si riferisce ad operatori
localizzati in Toscana ed Emilia Romagna.
328 Sul punto si osserva la tendenza a limitare la partecipazione delle società di ingegneria alle sole gare per
l’attribuzione di incarichi di importo pari o superiore a 200.000 ECU: Cfr. art. 5 del disegno di legge n.
2288, recante “Modifiche alla legge 11 febbraio 1994 n. 109, e successive modificazioni e integrazioni”. Con
riferimento a tale norma, l’Autorità ha già rilevato che detta limitazione “potrebbe ostacolare lo sviluppo
delle società di ingegneria, risultato questo che invece dovrebbe essere incentivato soprattutto per garantire
un significativo ampliamento delle professionalità per la progettazione dei lavori più complessi”
(segnalazione S/167 del 3 settembre 1997).
329 Cfr. al riguardo, art. 17, comma 12, della citata legge Merloni che, per gli incarichi rientranti
nell’ambito applicativo della legge stessa (i quali, come visto, in Italia, costituiscono la gran parte del
mercato), dispone che “per l’affidamento di incarichi di progettazione il cui importo stimato sia inferiore a
200.000 ECU, le stazioni appaltanti devono procedere in ogni caso a dare adeguata pubblicità agli stessi”.
La citata circolare ministeriale è intervenuta a precisare le forme di pubblicità che consistono, per i bandi di
minor valore, nella mera pubblicazione degli stessi nell’albo pretorio del Comune in cui ha sede la stazione
appaltante, mentre, per quelli economicamente più rilevanti, nella pubblicazione sul Bollettino Ufficiale
della Regione ovvero sulla Gazzetta Ufficiale e sui giornali a tiratura nazionale, nonchè nella comunicazione
agli ordini professionali interessati. Adeguate forme pubblicitarie sono anche previste, per le gare sopra
soglia, dall’art. 8 del citato decreto n. 157/1995.
330 Cfr. al riguardo le precisazioni contenute nella citata circolare ministeriale, secondo cui “i termini per
l’invio delle domande di partecipazione non possono essere inferiori a trenta giorni dalla data di
pubblicazione dell’avviso o del bando”. Termini minimi per la presentazione delle offerte sono pure previsti
per i bandi comunitari dagli artt. 9 ss. del decreto n. 157/1995.
165
incarichi, l’obbligo per l’amministrazione di tenere conto dell’opportunità di
facilitare l’accesso all’attività anche di giovani professionisti331.
La legge, infine, demanda alla fonte regolamentare l’individuazione dei
criteri per la valutazione delle offerte e la disciplina delle modalità concrete di
aggiudicazione che le amministrazioni appaltanti devono osservare332.
Al regolamento spetta anche la definizione dei limiti e delle modalità per
la stipulazione, a carico dei progettisti, di polizze assicurative per la copertura
dei rischi di tipo professionale333.
12. Il sistema regolamentativo, seppur descritto nelle sue linee generali,
nel prevedere garanzie circa la trasparenza delle condizioni di accesso e delle
modalità di partecipazione degli operatori alle procedure di fornitura dei servizi
appare poter favorire l’attuazione di una concorrenza effettiva tra le imprese nel
mercato in esame.
6.1.2 modalità di accesso
13. Con riferimento alle condizioni per l’esercizio della professione, è
preliminarmente interessante osservare che la legge n. 1395 del 1923, istitutiva
dell’ordine degli ingegneri e degli architetti, non richiedeva l’iscrizione all’albo
quale condizione necessaria per l’esercizio dell’attività. La legge infatti, dopo
aver previsto, all’art. 1, che il titolo di ingegnere e di architetto spettano
solamente a coloro che hanno conseguito i relativi diplomi negli istituti
autorizzati per legge a conferirli, e aver altresì previsto che sono iscritti all’albo
coloro i quali dispongono dei suddetti titoli, si limitava a disporre che le
pubbliche amministrazioni si avvalessero di norma di professionisti iscritti
all’albo334.
Nello stesso senso disponeva l’art. 5 del r.d. n. 2537/1925, laddove
prevedeva che per esercitare in tutto il territorio della Repubblica le professioni
di ingegnere e di architetto fosse sufficiente aver superato l’esame di Stato,
specificando poi che soltanto agli iscritti all’albo potessero però essere conferiti
dalla pubblica amministrazione gli incarichi di cui alla legge n. 1395 del 1923.
331
332
In tal senso, espressamente dispone la circolare ministeriale.
Cfr. al riguardo, art. 17, comma 11 della citata legge Merloni, secondo cui “il regolamento disciplina le
modalità di aggiudicazione che le stazioni appaltanti (...) devono rispettare, contemperando i principi
generali della trasparenza e del buon andamento con l’esigenza di garantire la proporzionalità tra le
modalità procedurali e il corrispettivo dell’incarico”. Per i bandi sopra soglia specifici criteri di
aggiudicazione risultano stabiliti dagli artt. 23 ss del decreto n. 157/1995.
333 Cfr. art. 17, comma 4.
334 In particolare, l’art. 4 della citata legge, disponeva che:
“Le perizie e gli altri incarichi relativi all’oggetto della professione di ingegnere e di architetto sono
dall’autorità giudiziaria conferiti agli iscritti all’albo.
Le pubbliche amministrazioni, quando debbano valersi dell’opera di ingegneri o architetti esercenti la
professione libera, affideranno gli incarichi ad iscritti all’albo.
Tuttavia, per ragioni di necessità o di utilità evidente, possono le perizie e gli incarichi di cui nei precedenti
commi essere affidati a persone di competenza tecnica, anche non iscritte all’albo, nei limiti e secondo le
norme che saranno stabiliti con regolamento.”
166
L’iscrizione all’albo è stata ritenuta condizione necessaria ai fini
dell’esercizio professionale, per effetto dell’entrata in vigore della legge 25
aprile 1938 n. 897, recante “Norme sull’obbligatorietà dell’iscrizione negli albi
professionali e sulle funzioni relative alla custodia degli albi”335.
14. Con riferimento alle vigenti modalità di accesso alla professione,
sono richiesti:
a) per l’iscrizione all’albo degli ingegneri, la laurea in ingegneria336 e il
superamento dell’esame di Stato di abilitazione. Non è previsto invece un
periodo di praticantato obbligatorio;
b) per l’iscrizione all’albo degli architetti, la laurea in architettura e il
superamento dell’esame di Stato di abilitazione. Anche in tale ipotesi, non è
previsto alcun tirocinio337.
15. Anche gli esami di Stato per l'abilitazione all'esercizio delle
professioni di ingegnere e architetto, come quelli di numerose altre professioni,
tra le quali, come si è visto quelle di dottore commercialista e di ragioniere,
sono disciplinati dalle norme della legge 8 dicembre 1956 n. 1378, recante
“Esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni” e dal d.m. 9
settembre 1957, recante “Approvazione del regolamento sugli esami di Stato di
abilitazione all’esercizio delle professioni”.
Al riguardo, va ricordato che tali esami hanno luogo ogni anno in due sessioni e
possono svolgersi nei capoluoghi di provincia e nelle città sedi di università che
siano altresì sedi di ordini professionali338.
Le commissioni degli esami degli ingegneri e degli architetti sono costituite con
Decreto del Ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica e
sono composte da cinque membri titolari, dei quali un presidente scelto tra
professori universitari e quattro membri da scegliersi da terne composte di
persone appartenenti alle seguenti categorie: professori universitari, liberi
docenti, funzionari tecnici con mansioni direttive in enti pubblici o
amministrazioni statali, professionisti iscritti all'albo con non meno di quindici
anni di lodevole esercizio professionale339.
16. Relativamente agli esiti degli esami di abilitazione, le percentuali, a
livello nazionale, degli abilitati all'esercizio delle professioni di ingegnere e di
architetto nel 1995 sono state rispettivamente di oltre l’89% e del 36%340.
335
In particolare, l’art. 1 della citata legge dispone: “Gli ingegneri, gli architetti, i chimici, i professionisti
in materia di economia e commercio, gli agronomi, i ragionieri, i geometri, i periti agrari e i periti
industriali non possono esercitare la professione se non sono iscritti negli albi professionali delle rispettive
categorie a termini delle disposizioni vigenti”.
336 Cfr. artt.1-3 l. 24 giugno 1923 n. 1395, e artt. 3,4 e 7 r.d. n.2537/1925.
337 Cfr. artt.1-3 l. n. 1395/1923 e artt. 3,4 e 7 r.d. n. 2537/1925.
338 Cfr. artt. 1 e 2 d.m. 9 settembre 1957.
339 Cfr. art. 8, lett. f) e g), d.m. 9 settembre 1957.
340 Cfr. Sole 24 Ore del 23/12/1996.
167
Con riferimento agli anni precedenti e alle principali città, la percentuale degli
abilitati degli ingegneri è riportata nella tabella che segue, dalla quale emerge
che soprattutto a Roma, Milano e Napoli, le sedi numericamente più importanti,
dette percentuali sono assai alte e quelle relative a Bologna, già significative,
sono andate aumentando negli ultimi anni.
Tabella 1 - Percentuali abilitati ingegneri per importanti sedi di esame anni 1984-1994
Roma
Milano
Napoli
Bologna
1984
78,6
87,2
96,5
1985
71,0
85,8
76,0
1986
71,5
90,6
88,7
1987
86,5
90,8
94,4
1988
79,4
88,7
95,4
1989
70,2
88,5
94,7
1990
83,6
87,9
97,3
1991
87,3
89,1
97,7
1992
92,2
80,9
98,7
1993
70,3
89,6
97,6
1994
93,0
90,2
98,0
Fonte: Università degli Studi di Roma, Milano, Napoli e Bologna
65,6
66,7
64,0
69,9
70,7
71,0
61,0
73,5
69,9
74,8
75,0
17. Sempre con riferimento agli anni 1984/1994 e alle principali città, le
percentuali degli idonei all’esercizio dell’attività di architetto è riportata nella
tabella che segue, dalla quale emerge che l’esame di abilitazione risulta
maggiormente selettivo di quello sostenuto dagli ingegneri.
168
Tabella 2 - Percentuali abilitati architetti per importanti sedi di esame anni 1984-1994
Roma
Milano
Napoli
Torino
1984
36,7
44,8
58,0
1985
46,7
53,7
77,2
1986
53,5
57,8
60,1
1987
36,0
41,5
80,5
1988
20,2
28,4
81,8
1989
66,1
52,3
98,6
1990
61,2
38,0
43,3
1991
44,1
24,4
78,8
1992
35,0
32,5
52,4
1993
44,4
21,0
75,5
1994
48,4
20,4
52,0
Fonte: Università degli Studi di Roma, Milano, Napoli e Torino
36,4
43,1
46,7
42,1
33,9
40,9
36,9
36,5
23,4
30,0
53,6
6.1.3 gli standard qualitativi delle prestazioni degli ingegneri e degli
architetti
18. Anche la regolamentazione delle attività svolte dagli ingegneri e dagli
architetti, relativamente al profilo qualitativo, riguarda prevalentemente i
comportamenti nell’esecuzione delle prestazioni professionali.
Al riguardo va rilevato che le norme istitutive delle professioni in esame
impongono genericamente agli ingegneri e agli architetti l’obbligo di astenersi
dal commettere abusi e mancanze nello svolgimento dell’attività, prevedendo,
nell’ipotesi di inosservanza di tale precetto, una responsabilità disciplinare del
professionista341. I codici deontologici dispongono inoltre che l’ingegnere e
l’architetto devono a) tenere una condotta corretta e leale, nonchè rispettosa del
segreto professionale; b) aggiornarsi costantemente; c) controllare la perfetta
osservanza delle norme che regolano i lavori cui partecipano; d) essere
pienamente responsabili della struttura utilizzata e del prodotto che ne deriva.
In entrambi i codici deontologici, infine, è previsto che l’inosservanza dei
suddetti obblighi di condotta comporta l’applicazione delle sanzioni disciplinari
previste dal regolamento n. 2537/1925.
Anche le organizzazioni di ingegneria aderenti all’OICE devono rispettare
obblighi di condotta, di contenuto analogo o simile, stabiliti dal codice
deontologico dell’associazione342.
6.1.4 le tariffe
341
342
Cfr. art. 43 r.d. n.2537/1925.
Va rilevato che l’OICE ha istituito un servizio di consulenza per gli associati sui sistemi di certificazione
della qualità per le attività di ingegneria previsti dalla normativa comunitaria UNI EN ISO 9001/2/3, che,
nel facilitare l’interpretazione e l’applicazione delle suddette norme, assicuri la qualità nella progettazione e
attività connesse per il settore in esame.
169
19. La misura e le modalità per la determinazione dei compensi spettanti
agli ingegneri e agli architetti erano in origine stabiliti dalla legge343.
Successivamente, sempre la legge ha disposto che le tariffe degli onorari e delle
indennità e i criteri per il rimborso delle spese fossero stabilite mediante
decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, di concerto con il Ministro per i
Lavori Pubblici, su proposta dei consigli nazionali riuniti degli ingegneri e degli
architetti, sentite, da parte dei consigli stessi, le organizzazioni sindacali a
carattere nazionale delle due categorie344.
20. Ancora norme di legge hanno previsto poi l'inderogabilità dei minimi
di tariffa ed inoltre che tale principio deve intendersi applicabile esclusivamente
ai rapporti intercorrenti tra privati345. L'inderogabilità non si applica agli onorari
a discrezione346.
Anche relativamente ai rapporti con le PP.AA., in ogni caso, la legge ha
disposto che per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato e agli altri enti
pubblici relativamente alla realizzazione di opere pubbliche o comunque di
interesse pubblico, il cui onere è in tutto o in parte a carico dello Stato e degli
altri enti pubblici, la riduzione dei minimi di tariffa non possa superare il
20%347.
21. I codici deontologici degli ingegneri e degli architetti prevedono poi
che i professionisti, nell’accettare l’incarico, rispettino le tariffe vigenti,
costituenti minimi inderogabili348. Il codice dell’OICE, invece, stabilisce che il
compenso sia convenuto con il committente e che non sia, in eccesso o in
difetto, sproporzionato alla reale portata e consistenza dell’incarico assunto349.
343
Cfr. al riguardo legge 2 marzo 1949 n. 143, recante “Approvazione della tariffa professionale degli
ingegneri e degli architetti”.
344 Cfr. al riguardo art. unico, comma 1, della legge 4 marzo 1958 n. 143, recante “Norme sulla tariffa degli
ingegneri e degli architetti”.
345 Cfr. al riguardo, rispettivamente, art. unico della legge 5 maggio 1976 n. 340, recante "Inderogabilità dei
minimi della tariffa professionale per gli ingegneri e gli architetti" e art. 6, comma 1, della legge 1 luglio
1977 n. 404, recante "Sull'inderogabilità dei minimi e altro". Gli onorari per prestazioni professionali,
tuttavia, ai sensi dell’art. 3 della citata legge n. 143/1949, sono normalmente valutati a percentuale o a
quantità. Il consiglio nazionale degli Architetti, poi, ha precisato che per prestazioni professionali particolari
i valori risultanti dalla tariffa sono considerati come massimi: ad esempio, con riguardo alle attività di
edilizia abitativa agevolata e sovvenzionata dallo Stato, all'edilizia penitenziaria, alla pianificazione
urbanistica nelle zone terremotate della Campania e della Basilicata (Cfr. risposta a richiesta di informazioni
dell’Autorità del 1 agosto 1995 e ivi relativi riferimenti normativi).
346 Cfr. citato art. unico della legge n. 340/1976: secondo l’art. 5 della citata legge n. 143/1949 gli onorari
sono stabiliti a discrezione, oltre che per le consulenze, anche per le prestazioni quali, ad esempio, ricerche
di settore, studi di piani regolatori, perizie, giudizi arbitrali.
347 Cfr. art. 4, comma 12bis, della legge finanziaria 26 aprile 1989 n. 155. Va anche segnalato che il citato
disegno di legge n. 2288, all’art. 5, con riferimento agli incarichi di progettazione richiesti dalle
amministrazioni, prevede un meccanismo di determinazione delle tariffe da parte del Ministero di Grazia e
Giustizia, cui perfino le amministrazioni sono vincolate, “parametrato sulle tariffe professionali in vigore,
ma da esso distinto, ancorchè con identico carattere inderogabile quanto ai minimi”: al riguardo, l’Autorità,
nella citata segnalazione S/167 del 3 settembre 1997, ha già avuto modo di auspicare la soppressione di tale
disposizione.
348 Cfr. al riguardo art 4.4 per gli ingegneri e art. 14 per gli architetti.
349 Cfr. artt. 3.4 e 7.2 cod. deont. OICE.
170
22. Con riferimento all’effettiva portata del principio dell’inderogabilità,
va rilevato che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5675 del 19 ottobre
1988, ha sancito che l'inderogabilità delle tariffe professionali stabilite per
ingegneri ed architetti dalle leggi n. 340/76 e 404/77 di per sè non comporta, in
mancanza di corrispondente ed espressa previsione di legge, la nullità, ai sensi
dell'art. 1418 c.c., del patto in deroga ai minimi predetti, il quale può risultare
anche per facta concludentia.
23. Dal punto di vista dell’osservanza delle norme in materia tariffaria,
infine, risulta che, dei 438 procedimenti disciplinari avviati nel triennio 1993/95
dai vari ordini degli architetti, 70 riguardano questioni connesse
all’applicazione della tariffa professionale350. Il consiglio nazionale degli
ingegneri, dal canto suo, ha precisato che nella prassi i minimi vengono
derogati351.
24. L’OICE, infine, segnala l’inadeguatezza dello strumento della tariffa
obbligatoria per i servizi in esame: al riguardo, viene rilevato innanzitutto che la
tariffa non appare tenere conto dei costi di produzione relativi ai singoli progetti
poichè, essendo di norma rapportata percentualmente al valore dell’opera,
comporta per alcuni di essi - quelli di basso importo per opere complesse compensi inaccettabilmente bassi, per altri - quelli di importi elevati per spese
infrastrutturali - prezzi eccessivamente alti.
In secondo luogo, viene sottolineato che la tariffa, anche nell’ipotesi in cui
venisse determinata tenendo conto dei costi delle singole prestazioni,
diventerebbe rapidamente obsoleta considerata l’evoluzione delle tecniche di
progettazione352.
6.1.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
i)il divieto di prestare l'attività in qualità di dipendente di enti o imprese
25. Relativamente al suindicato divieto (che viene più estesamente
trattato nell’ambito del capitolo ottavo), va rilevato che gli ingegneri e gli
architetti-dipendenti, differentemente dagli avvocati, di regola, possono essere
iscritti nell’albo ed esercitare la professione353. Tuttavia, per i soli dipendenti
pubblici, la legge prevede il divieto di esercitare la libera professione - e non
350Cfr.
risposta del consiglio nazionale degli Architetti del 1 agosto 1995 a richiesta di informazioni
dell’Autorità.
351 Cfr. audizione del suddetto consiglio del 30 marzo 1995: non sono disponibili dati concernenti
specificamente il numero dei procedimenti disciplinari per mancata osservanza delle tariffe.
352 Cfr. l’audizione dell’OICE del 5 maggio 1997.
353 Relativamente ai dipendenti pubblici in particolare l’art. 62 r.d. n. 2537/1925 stabilisce che “Gli
ingegneri e gli architetti che siano impiegati di una pubblica amministrazione dello Stato, delle province e
dei comuni, e che si trovino iscritti nell’albo degli ingegneri e degli architetti, sono soggetti alla disciplina
dell’ordine per quanto riguarda l’eventuale esercizio della libera professione” (comma 1). “Per l'esercizio
della professione è in ogni caso necessaria espressa autorizzazione dei capi gerarchici nei modi stabiliti dagli
ordinamenti dell'amministrazione da cui il funzionario dipende” (comma 3).
171
già il divieto di iscrizione all’albo - ove sussista incompatibilità preveduta da
leggi, regolamenti generali o speciali, ovvero da capitolati354.
Il consiglio nazionale degli ingegneri, relativamente agli iscrittidipendenti, ha precisato che tali professionisti svolgono la libera professione
occasionalmente o saltuariamente ovvero nell’ambito di società di ingegneria.
ii) circolazione in ambito comunitario e limitazioni territoriali
26. Anche agli ingegneri si applica il decreto legislativo 27 gennaio 1992
n. 115, emanato in attuazione della citata direttiva CEE n. 89/48, relativa ad un
sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che si
riferiscono a formazioni professionali di una durata minima di tre anni355.
27. La citata direttiva n. 89/48 CEE non comprende invece le attività del
settore dell'architettura che sono oggetto di una direttiva specifica del 10 giugno
1985, la 85/384, citata al par. 2. I titoli che, secondo la Direttiva in esame,
consentono l’accesso alle attività del settore dell’architettura sono, per l’Italia,
la laurea in architettura ovvero quella in ingegneria civile356. Il riconoscimento
dei titoli, inoltre, è subordinato alle seguenti condizioni: a) la formazione deve
riguardare principalmente l’architettura, sia negli aspetti teorici che pratici; b) la
durata della formazione di livello universitario deve essere almeno quadriennale
se a tempo pieno, ovvero di almeno 6 anni, di cui 3 a tempo pieno. Non sono
invece previste le cd misure compensative.
L’esercizio da parte di architetti stranieri delle attività in esame in Italia è
un fenomeno abbastanza diffuso. Infatti, alla metà del ‘95, risultava che il
numero dei professionisti comunitari iscritti in albi nazionali ammontava già ad
alcune centinaia ed era in aumento357.
28. Relativamente all’ambito nazionale, l’ingegnere e l’architetto iscritti
in un albo possono esercitare la professione in tutto il territorio dello Stato358.
iii) il divieto di pubblicità
354
355
Cfr. l’art. 62 citato, comma 2.
Il consiglio nazionale degli Ingegneri, sulla base di una ricerca effettuata dal consiglio stesso sullo stato
di recepimento della Direttiva 89/48 CEE nei vari Paesi membri, osserva che l’accesso alla professione
all’estero per i professionisti italiani, in alcuni Paesi UE, è più facile che per quelli stranieri in Italia: in
Francia, Belgio e Olanda, ad esempio, qualunque cittadino comunitario può stabilirsi ed esercitare
liberamente la professione di ingegnere con il solo limite di non fregiarsi dei titoli formativi locali, mentre in
Germania, non sono previste misure compensative ai fini del riconoscimento del titolo (Cfr. L’Ingegnere
Italiano n. 243, luglio 1993 e n. 247, gennaio 1994).
356Conseguentemente appare che gli ingegneri civili possono esercitare attività di architettura in qualunque
paese dell’UE, senza peraltro le limitazioni concernenti gli immobili storico-artistici poste invece,
all’interno, dall’ordinamento del ‘25, la cui vigenza, come visto precedentemente, risulta mantenuta dal
citato decreto n. 129.
357 Cfr. risposta del consiglio nazionale degli Architetti alla richiesta di informazioni dell’Autorità del 1
agosto 1995.
358 Cfr. art. 5 r.d. n. 2537/1925.
172
29. Relativamente al divieto di pubblicità, il consiglio nazionale degli
ingegneri asserisce che la possibilità per gli iscritti agli albi di pubblicizzare la
propria attività è limitata dagli obblighi che la legge impone loro e che si
sostanziano essenzialmente nelle norme, a contenuto ampio, che richiedono di
esercitare con decoro, probità e diligenza la professione, e di non commettere
abusi o mancanze. A livello deontologico, poi, il codice degli ingegneri
stabilisce che "l'ingegnere si deve astenere dal ricorrere a mezzi incompatibili
con la propria dignità per ottenere incarichi professionali come l'esaltazione
delle proprie qualità a denigrazione dell'altrui o fornendo vantaggi o
assicurazioni esterne al rapporto professionale"359. E le norme di attuazione del
codice deontologico inoltre considerano illecita concorrenza, tra l’altro “l'abuso
di mezzi pubblicitari sulla propria attività professionale di tipo reclamistico e
che possano ledere in vario modo la dignità della professione"360.
30. Per quanto concerne gli architetti, il consiglio nazionale precisa che
l'architetto può pubblicizzare la propria attività nei limiti di una semplice
informazione al pubblico. Ed infatti, anche il codice deontologico, nello
stabilire che "la pubblicità commerciale è contraria alla dignità professionale ed
è lesiva dell'immagine della categoria" prevede la pubblica diffusione delle
opere e dei progetti come atto di divulgazione culturale che però non deve mai
assumere forme concorrenziali o di carattere commerciale361.
6.1.6 Confronto internazionale
31. Secondo le informazioni derivanti da un’indagine svolta alla fine del
‘94 dall’OICE con la collaborazione delle corrispondenti associazioni degli altri
Paesi dell’UE362, la professione di ingegnere, nella maggior parte dei Paesi
membri dell’Unione, è regolamentata in modo meno stringente che in Italia e, in
alcuni casi, non è affatto regolamentata.
Innanzitutto, deve rilevarsi che in numerosi Paesi e cioè in Francia,
Inghilterra, Danimarca, Norvegia e Svezia tali professioni non appaiono essere
protette. Inoltre, anche in alcuni degli Stati membri nei quali detto titolo è
tutelato, non sono tuttavia previsti un esame post-laurea e l’iscrizione all’albo
quali requisiti necessari per esercitare la professione, come in Germania e in
Belgio. In Lussemburgo e in Spagna, infine, sono richiesti, rispettivamente, solo
l’iscrizione ovvero l’esame post-laurea.
Conseguentemente, in numerosi Stati membri, tra cui anche la Francia e
la Germania, non esistono enti ai quali spetti per legge la tenuta dell’albo degli
359 Cfr. art. 3.5 cod. deont.
360 Cfr art. 3.3 norme att.
361 Cfr. art. 34 cod. deont.
362Lo studio effettuato dall’OICE
nel dicembre 1994, peraltro, ha un oggetto più ampio, trattandosi di
un’indagine nei Paesi europei sulla legislazione per le società di ingegneria e sull’applicazione delle
Direttive 92/50 e 93/38.
173
abilitati363. In Inghilterra e in Belgio esistono organismi per la registrazione
degli ingegneri,ma l’appartenenza agli stessi non è un requisito per esercitare la
professione.
32. Venendo alle tariffe, deve osservarsi che in nessun paese membro
esistono ex lege tariffe minime inderogabili, ad eccezione dell’Italia, della
Grecia e del Portogallo. In Spagna esistono tariffe concordate tra gli enti
professionali e le Autorità governative e obbligatorie solo per alcune
prestazioni. In Francia, in Germania e in Olanda esistono tariffe meramente
indicative.
33. Relativamente alla possibilità di pubblicizzare l’attività professionale,
in Germania gli ingegneri che esercitano l’attività in forma di impresa possono
propagandare liberamente i servizi offerti, mentre gli ingegneri liberi
professionisti, in quanto appartenenti ad un’associazione di categoria, possono
soltanto informare il pubblico della forma e del contenuto delle loro attività.
6.2 I geometri
principali riferimenti normativi
Legge 24 giugno 1923 n. 1395, “Tutela del titolo e dell’esercizio professionale
degli ingegneri e degli architetti”; r.d. 11 febbraio 1929 n. 274, “Regolamento
per la professione di geometra”; legge 2 marzo 1949 n. 144, “Tariffa degli
onorari per le prestazioni professionali dei geometri”; legge 18 ottobre 1961 n.
1181, recante “Norme sulla tariffa per le prestazioni professionali dei
geometri”; legge 7 marzo 1985 n. 75, “Modifiche all’ordinamento professionale
dei geometri”.
6.2.1 Le attività dei geometri
i) tipologia e caratteristiche
34. La professione di geometra, come le altre categorie di periti tecnici,
risulta istituitadalla citata legge del 1923 n. 1395, la quale, come visto, ha
istituito anche le professioni di ingegnere e di architetto364.
I geometri svolgono prevalentemente operazioni cartografico-catastali e gli
estimi relativi, attività di misurazione e stima di fondi rustici, di aree urbane e di
modeste costruzioni civili, nonchè di progettazione, direzione e vigilanza di
363
364
In Germania, tuttavia, esistono associazioni di ingegneri.
Infatti, detta legge, all’art. 7, comma 2, stabilisce “Saranno pure formati (...) albi speciali per i periti
agrimensori (geometri) e per altre categorie dei periti tecnici”. Ed ancora, l’ultimo comma dello stesso
articolo 7 rinvia ad apposito regolamento l’emanazione delle norme per la formazione degli albi, la
costituzione, il funzionamento e le attribuzioni dei relativi collegi, nonchè la determinazione dell’oggetto e
dei limiti dell’esercizio professionale. Il r.d. 11 febbraio 1929 n. 274 reca, per l’appunto, il regolamento per
la professione di geometra.
174
costruzioni rurali di limitata importanza, comprese piccole costruzioni
accessorie in cemento armato, e di modeste costruzioni civili365.
35. Anche le attività che formano l’oggetto della professione di geometra
non sono riservate per legge ai geometri stessi366. Ciò emerge dalle norme
recanti l’ordinamento della professione, e precisamente dagli artt. 18, 19 e 20
del r.d. n. 274/1929, i quali definiscono le attività che devono considerarsi
comuni rispettivamente agli ingegneri civili, ai dottori in scienze agrarie e ai
periti agrari.
Al riguardo, tuttavia, la competenza dei geometri, relativamente ad
alcune attività, è limitata rispetto a quella attribuita alle suindicate figure
professionali367.
In altri casi, invece, le attività esercitabili dal geometra sono
assolutamente analoghe a quelle di altri operatori368.
ii) l’articolazione della domanda e dell’offerta
36. I geometri iscritti all'albo alla fine del 1996 erano 84.725. La tabella
che segue riporta il numero totale a livello nazionale degli iscritti agli albi dei
geometri, nonchè la consistenza dell’offerta nelle principali regioni (per una
maggiore disaggregazione dei dati si veda anche tabella a1 in appendice).
365
366
367
Cfr. art. 16, r.d. n. 274/1929.
Cfr. audizione dello stesso consiglio nazionale dei Geometri del 21 giugno 1995.
Ad esempio, per quel che concerne le costruzioni civili, la progettazione, direzione e sorveglianza delle
stesse spetta ai geometri solo ove si tratti di costruzioni modeste. L’incertezza da sempre esistente
relativamente al concetto di “modestia” della costruzione ha determinato, nel tempo, un notevole
contenzioso tra le categorie professionali interessate. Al fine di risolvere l’incertezza circa le competenze dei
geometri sono state presentate alcune proposte di legge (Cfr. di recente, Atto Camera n. 740 del 10/5 /96 e
Atto Senato n. 884 del 4/7/96 “Disciplina delle competenze professionali dei geometri nei settori delle
costruzioni, delle strutture e dell’urbanistica”), le quali, nel definire il concetto di modesta costruzione,
tengono conto dell’evoluzione del concetto stesso derivante dal notevole progresso delle conoscenze
scientifiche e tecniche e dei metodi costruttivi. La Corte Costituzionale (sentenza 27 aprile 1993 n. 199), al
proposito, osserva che “non può certo ritenersi scelta irragionevole quella di ragguagliare a presupposti
“flessibili” la determinazione di competenze che postulano cognizioni necessariamente variabili in
rapporto ai progressi tecnico-scientifici che la materia può subire nel tempo”.
Relativamente alla progettazione, direzione e vigilanza di costruzioni in cemento armato, poi,
devono rilevarsi orientamenti giurisprudenziali difformi. In particolare da un lato si ritiene attribuita ai
geometri la competenza solo per piccole opere accessorie di costruzioni rurali e di edifici per uso di
industrie agricole, di limitata importanza, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la
loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per l’incolumità delle persone, mentre per le
costruzioni civili, sia pure modeste, ogni competenza è riservata agli ingegneri e agli architetti iscritti
all’albo, (Cfr. in tal senso Cass. 28 luglio 1992 n. 9044, Cass. 5 agosto 1987 n. 6728). Dall’altro, invece,
viene attribuita ai geometri la competenza in esame anche per le modeste costruzioni civili senza alcuna
distinzione o esclusione in ordine al tipo di costruzione, alla sua struttura o alla tecnica costruttiva; (Cfr.
Cass. 2 febbraio 1993).
Ancora, in tema di delimitazione delle competenze, relativamente alla stima di aree e di fondi
rustici, nonchè dei danni prodotti a tali fondi dalla grandine o dagli incendi, ovvero alla stima per la
costituzione di servitù rurali, sono competenti sia i geometri che i dottori in scienze agrarie, ad eccezione dei
“casi di notevole importanza economica e per quelli che, per la complessità di elementi di valutazione,
richiedano le speciali cognizioni scientifiche e tecniche proprie dei dottori in scienze agrarie”.
368 Ad esempio, la progettazione e direzione di modeste costruzioni civili spettano tanto ai geometri quanto
ai periti edili.
175
Tabella 3 - Iscritti agli albi dei geometri - 1996
Regioni
geometri
1996
Lombardia
13.751
(16,2%)
Piemonte
7.586
(8,9%)
Veneto
7.110
(8,3%)
Em. Romagna
6.744
(7,9%)
Campania
6.643
(7,8%)
Altre Regioni
42.891
(50,9%)
Totale
84.725
100
Fonte: consiglio nazionale dei geometri
La tabella mette inoltre in luce che poco meno del 50% del numero totale
di professionisti era concentrato in sole cinque regioni, di cui le prime quattro al
Nord.
6.2.2 modalità di accesso e standard qualitativi delle prestazioni
37. Con riferimento alle modalità di accesso, sono richiesti:
1) il diploma di geometra, un periodo di praticantato e l’esame di Stato di
abilitazione369.
Relativamente al tirocinio, va rilevato che esso può essere svolto presso lo
studio tecnico di un geometra, di un architetto o di un ingegnere civile per un
biennio ovvero nella forma di attività tecnica subordinata anche al di fuori di
uno studio tecnico professionale per almeno un quinquennio370.
Per quanto concerne l’esame di Stato, infine, va osservato che tale esame è
disciplinato dalle norme della citata legge n. 1378/1956, come per le
professioni di ingegnere e di architetto371.
38. Le commissioni esaminatrici sono nominate con decreto del Ministro
della Pubblica Istruzione e sono composte dal Presidente e da quattro membri.
Il Presidente viene scelto nelle seguenti categorie: a) professori universitari di
ruolo ordinario o straordinario, b) professori associati o fuori ruolo, c) presidi di
ruolo ordinario degli istituti tecnici. Uno dei membri della commissione viene
scelto tra i professori di ruolo delle scuole secondarie superiori, docenti di
costruzioni o tecnologia delle costruzioni, di topografia o di economia ed
estimo, che abbiano effettivamente insegnato tali discipline per almeno dieci
anni negli istituti tecnici per geometri. Gli altri tre componenti della
commissione sono scelti tra geometri liberi professionisti iscritti all'albo
professionale da almeno quindici anni, nell'ambito di terne di nominativi
369
Cfr. artt. 1 e 2, comma 1, legge 7 marzo 1985 n. 75, recante “Modifiche all’ordinamento professionale
dei geometri”. Peraltro, anche altre categorie di professionisti tecnici, quali i periti industriali o gli
agrotecnici, sono caratterizzate da requisiti di accesso simili a quelli dei geometri.
370 Cfr. art. 2, comma 2, legge n. 75/85.
371 Cfr. art. 2, comma 2, legge n. 75/85.
176
segnalate dal consiglio nazionale dei Geometri in numero corrispondente ai
commissari da nominare372.
39. Relativamente agli esiti degli esami di abilitazione, dai risultati degli
stessi riguardanti gli anni 1992/1994, riportati nella tabella che segue, emerge
che le percentuali degli abilitati all'esercizio della professione di geometra negli
anni considerati sono state del 42,3%, del 41,7% e del 45,1% (Per una
maggiore disaggregazione dei dati relativi al 1994 v. tab. a2 in appendice, dalla
quale risulta una maggiore differenziazione tra sedi di esame).
Tabella 4- Risultati degli esami di abilitazione dei geometri
Abilitati
Candidati
Abilitati
Candidati
Abilitati
Candidati
di
di esame
di esame
di esame
di esame
esame
di esame
Stato 1994
Stato 1994
Stato 1993
Stato 1993
Stato 1992
Stato 1992
9 457
4 005
9 606
4 008
9.873
4.456
Fonte: consiglio nazionale dei geometri.
40. Con riferimento a tali percentuali, il consiglio nazionale ha rilevato
che il loro livello contenuto va valutato sulla base essenzialmente di due
elementi: e cioè una formazione di base spesso carente e un tirocinio altrettanto
inidoneo ad acquisire la necessaria esperienza professionale.
41. Con riferimento agli standard qualitativi, i codici deontologici adottati
dai vari collegi prevedono una serie di comportamenti volti ad assicurare un
livello qualitativo minimo dei servizi offerti. Oltre al generale dovere di
comportarsi con probità e dignità, rilevano in particolare gli obblighi di
perfezionamento della qualità delle proprie prestazioni professionali, di segreto,
di non porsi in conflitto di interesse con il cliente.
6.2.3 le tariffe
42. Anche la misura e le modalità per la determinazione dei compensi
spettanti ai geometri erano in origine stabiliti dalla legge373. Successivamente, il
legislatore, delegificando la materia, ha disposto che le tariffe sono determinate,
su proposta del consiglio nazionale dei geometri, con decreto del Ministro di
Grazia e Giustizia di concerto con il Ministro dei Lavori Pubblici, e con il
parere del Consiglio di Stato374.
I minimi sono inderogabili375. E tale inderogabilità risulta prevista anche dai vari
codici deontologici adottati dai collegi locali.
372
Cfr. art. 8 d.m. 15 marzo 1986, recante “Regolamento per gli esami di Stato per l’abilitazione
all’esercizio della libera professione di geometra”.
373 Cfr. al riguardo legge 2 marzo 1949 n. 144, recante “ Tariffa degli onorari per le prestazioni
professionali dei geometri”. Detta legge stabilisce, all’art. 3, l’obbligatorietà della tariffa, “salvo particolari
accordi riferentisi a prestazioni di carattere continuativo”.
374 Cfr. art. 1, legge 18 ottobre 1961 n. 1181, recante “Norme sulla tariffa per le prestazioni professionali dei
geometri”.
375 Cfr. art. 5 d.m. 25 marzo 1966, recante “Minimo tariffario”.
177
43. Dal 1961 al 1990 il consiglio nazionale fa presente di aver presentato
semplici adeguamenti economici dei valori tariffari in base agli indici ISTAT.
Nel 1990, invece, ha proposto al Ministero una tariffa interamente ristrutturata,
essendosi nel corso del tempo modificati i tipi e le modalità di svolgimento
delle prestazioni, e comprensiva anche di voci precedentemente non previste376.
La precedente tariffa infatti non prevedeva le voci connesse alla progettazione e
al controllo della sicurezza dei cantieri, per lo svolgimento delle quali è stata
creata una figura professionale ad hoc dalla legge n. 494/94. Tale attività può
essere svolta dai geometri, come da altri professionisti.
6.2.4 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
i) limitazioni territoriali
44. Relativamente all’ambito nazionale, il geometra iscritto in un albo
può esercitare la professione in tutto il territorio dello Stato. Tuttavia in base al
regolamento professionale, esiste una limitazione per le funzioni relative agli
istituti tavolari e catastali esistenti nei territori annessi alla Repubblica Italiana
con le leggi 26 settembre 1920, n. 1322 e 19 dicembre 1920, n. 1778. Le
suddette funzioni infatti possono essere svolte solo dai geometri che sono
iscritti in uno degli albi dei territori sopra indicati dopo almeno un anno
dall'iscrizione377.
ii) il divieto di pubblicità
45. Relativamente al divieto di pubblicità si rileva che lo stesso risulta
stabilito come obbligo deontologico da parte dei collegi che hanno adottato
codici deontologici. Alcuni codici, poi, stabiliscono il divieto di procurarsi
clientela mediante illecita pubblicità, non specificando tuttavia il contenuto di
tale illiceità, altri, più severamente, il divieto di qualsiasi forma di pubblicità.
Viceversa, l’OICE si limita a prevedere che le organizzazioni associate, per
procurarsi clientela, non pubblichino testi o annunci pubblicitari elogiativi per
sè stesse o denigratori per altre organizzazioni o consulenti378.
6.2.5 Spunti comparatistici
46. La professione di geometra, in Francia, è disciplinata dalla legge, la
quale prevede, tra l’altro, un Ordre des Geometres Experts, articolato in
376
L’iter formativo, tuttavia, si è interrotto in quanto il Consiglio di Stato, per un verso, ha sospeso
l’emissione del parere in relazione all’importo dei compensi a vacazione richiedendo ulteriori chiarimenti in
merito, per l’altro, ha ritenuto che la proposta presentata dal consiglio nazionale non fosse un semplice
aggiornamento quanto piuttosto contenesse un ampliamento delle competenze professionali. Il Ministero ha
accolto i rilievi del Consiglio di Stato, non approvando la tariffa (Cfr. audizione del consiglio nazionale dei
Geometri del 4 giugno 1997).
377 Cfr. art. 24 del r.d. n. 274/1929.
378 Cfr. art. 10.5 cod. deont. OICE.
178
consigli regionali e un consiglio superiore. Tali organismi hanno essenzialmente
funzioni organizzative e di controllo del comportamento degli iscritti, mentre
non hanno, come si vedrà, poteri in materia tariffaria.
Il perito geometra francese è un tecnico che svolge, in via esclusiva, i
lavori topografici379. L’accesso all’albo è subordinato al superamento di un
esame finale di una scuola per ingegneri-geometri, ad una prova di esame
preliminare del diploma di perito-geometra e al compimento di un periodo di
tirocinio.
Quanto ai compensi, la determinazione degli onorari è lasciata al libero
accordo delle parti380.
Interessante appare poi la norma che prevede per ogni perito-geometra
l’obbligo di una copertura assicurativa381.
6.3 Conclusioni
47. La tabella che segue mette in evidenza le forme di regolamentazione
dell’attività svolta dalle principali categorie professionali rientranti nell’area
tecnica.
In primo luogo, emerge che i profili regolamentativi comuni a tutte le
professioni sono costituiti dalle tariffe minime inderogabili e dal divieto di
pubblicità. Inoltre, a livello deontologico, viene individuato il contenuto di
alcuni obblighi di comportamento del professionista nei confronti della clientela
a garanzia della qualità del servizio, tra i quali rileva in particolare l’obbligo di
perfezionamento diretto ad assicurare prestazioni professionali tecnicamente
adeguate.
Con riguardo all’ambito delle esclusive, va osservato che, mentre le
competenze degli ingegneri e degli architetti appaiono delimitate, la ripartizione
delle attività comuni ai geometri e agli ingegneri, relative in particolare alla
progettazione e direzione delle costruzioni civili, non è stabilita univocamente,
considerata la genericità dei criteri definitori legislativi.
Relativamente ai requisiti di accesso, poi, emergono differenti modalità,
che variano dal diploma di scuola media superiore accompagnato dal
praticantato nel caso dei geometri (e di altre categorie di periti tecnici), al solo
diploma di laurea nel caso degli ingegneri e degli architetti. Anche per questa
area, come per quella economico-contabile, pertanto, emerge un sistema
definito da una certa graduazione dei requisiti di accesso, ai quali tuttavia
corrispondono competenze caratterizzate da un differente grado di complessità.
379
In particolare, l’art. 1.1 della legge n. 46-942 del 7 maggio 1946, istitutiva dell’ordine dei periti
geometri, prevede la realizzazione di “studi e lavori topografici che fissano i limiti dei beni fondiari e, a
questo titolo, rileva e redige i piani e i documenti topografici riguardanti la definizione dei diritti connessi
alla proprietà fondiaria (...)”.
380 L’art. 9 della citata legge stabilisce al riguardo “L’importo degli onorari è liberamente convenuto con i
loro clienti entro i limiti stabiliti, eventualmente, dallo Stato, ai sensi delle sue prerogative generali in
materia di prezzi”.
381 Cfr. art. 9.1. della citata legge.
179
Tabella 5 - Principali forme di regolamentazione dell’attività svolta dagli ingegneri,
architetti e geometri
requisiti entrata
ingegneri
a) laurea in ingegneria
b) esame di abilitazione
architetti
a) laurea in architettura
b) esame di abilitazione
standard di qualità minima
tariffe
altre forme di
dei servizi economico(auto)regolamentazione
contabili
requisiti relativi ai rapporti minime e, in alcuni divieto di pubblicità
con la clientela:
casi, massime
aggiornamento
obbligo
di
lealtà,
di minime inderogabili
riservatezza,
rispetto
all’incarico ricevuto;
divieto di conflitto
interessi con il cliente
di
.
geometri
a) diploma di geometra
b) pratica biennale o
quinquennale
c) esame di abilitazione
48. Con riguardo alla differenziazione della regolamentazione degli
accessi, possono svolgersi considerazioni non dissimili da quelle espresse con
riferimento al mercato delle prestazioni contabili. In particolare, appare
ipotizzabile che un assetto caratterizzato da una diversificazione dell’offerta
consenta un più efficiente adattamento della stessa a esigenze della domanda
senz’altro differenziate sotto il profilo del grado di complessità delle prestazioni
richieste.
49. Giova al riguardo sottolineare, tuttavia, che nell’ambito delle
professioni tecniche, probabilmente ancor più che in altri settori, il legislatore
appare essersi frequentemente orientato verso soluzioni che favoriscono la
concorrenza, quanto meno intercategoriale. Pertanto, non v’è ragione per
ritenere che, sulla base di questo principio, ed in particolare relativamente alle
attività il cui esercizio presuppone percorsi di studio aventi per oggetto materie
analoghe o simili, non possano essere reinterpretate situazioni attualmente
caratterizzate da ambiguità e incoerenze normative.
Peraltro, sotto un profilo sostanziale, l’esistenza di barriere
interprofessionali appare particolarmente artificiosa qualora si consideri, dal
lato dell’offerta, il crescente peso assunto dalle società di ingegneria, al cui
interno operano professionisti di varia formazione e specializzazione.
50. Con riferimento a queste ultime, è utile mettere in evidenza come
esse costituiscano l’esemplificazione di nuove forme di svolgimento
dell’attività professionale, in cui prevalgono non tanto la personalità della
prestazione, quanto piuttosto l’organizzazione del processo di erogazione del
servizio secondo criteri di “efficienza industriale”, che contemplano anche la
certificazione di qualità dello stesso.
180
51. Peraltro, che le società di ingegneria costituiscano soggetti portatori
di un nuovo modo di erogare servizi professionali maggiormente coerente con i
principi e le dinamiche di mercato, appare evidente qualora si consideri
l’insoddisfazione espressa dalle stesse circa la permanenza di una
regolamentazione tariffaria che viene percepita come inutilmente limitativa
dell’autonomia di impresa.
52. Al riguardo non può non considerarsi che, data anche la diffusione di
procedure ad evidenza pubblica secondo le quali si esprime gran parte della
domanda del settore, la vigente regolamentazione dell’esercizio dell’attività che
comprende non soltanto limitazioni tariffarie ma anche divieti all’utilizzo della
pubblicità, appare del tutto superflua.
181
appendice statistica
Geometri
Tabella a1. Geometri iscritti agli albi per regioni
PIEMONTE - VALLE D’AOSTA
di cui: Torino
LOMBARDIA
di cui: Milano
TRENTINO ALTO ADIGE
di cui: Trento
VENETO
di cui: Padova
FRIULI VENEZIA GIULIA
di cui: Udine
LIGURIA
di cui: Genova
EMILIA ROMAGNA
di cui: Bologna
MARCHE
di cui: Ancona
TOSCANA
di cui: Firenze
LAZIO
di cui: Roma
UMBRIA
di cui: Perugia
ABRUZZO
di cui: L’Aquila
MOLISE
di cui: Campobasso
CAMPANIA
di cui: Napoli
BASILICATA
di cui: Potenza
PUGLIA
di cui: Bari
CALABRIA
di cui: Cosenza
SICILIA
di cui: Catania
SARDEGNA
di cui: Sassari
8.005
2.882
13.751
3.566
1.472
872
7.110
1.469
2.068
1.090
2.731
1.184
6.744
1.258
2.523
693
6.568
1.705
5.710
3.391
1.932
1.504
2.213
592
772
534
6.643
2.285
1.608
1.254
4.387
1.293
2.313
896
5.403
1.185
2.772
1.163
TOTALE
Fonte: consiglio nazionale dei geometri
84.725
182
Tabella a2 - Percentuali geometri abilitati anno 1994
Città
Candidati
Abilitati
% abilitati
Torino
485
283
58,3
Alessandria
141
25
17,7
Asti
Cuneo
Vercelli
Casale Monferrato
23
12
52,1
Novara
192
72
37,5
Genova
211
105
49,7
Savona
103
39
37,8
La Spezia
81
28
34,5
Imperia
80
51
63,7
Milano
465
191
41
Bergamo
230
73
31,7
Varese
251
71
28,2
Como
197
49
24,8
Brescia
271
94
34,6
Cremona
106
40
37,7
Mantova
92
46
50
Pavia
143
41
28,6
Sondrio
Venezia
178
62
34,8
Verona
214
83
38,7
Vicenza
248
87
35
Treviso
214
68
31,7
Padova
253
79
31,2
Rovigo
66
36
54,5
Belluno
39
22
56,4
Bologna
165
64
38,7
Ferrara
Forlì
Parma
86
35
40,6
Piacenza
64
43
67,1
Reggio Emilia
115
29
25,2
Ravenna
84
36
42,8
Rimini
96
47
48,9
Trieste
27
9
33,3
Udine
110
77
70
Pordenone
Gorizia
Trento
131
35
26,7
Bolzano
69
50
72,4
Firenze
263
126
47,9
Lucca
228
43
18,8
Pistoia
Pisa
130
65
50
Grosseto
68
34
50
Arezzo
165
62
37,5
183
Massa Carrara
81
Prato
92
Siena
99
Perugia
213
Terni
66
Ancona
121
Macerata
38
Ascoli Piceno
56
Camerino
6
Pesaro
96
Roma
422
Latina
Frosinone
Rieti
66
Napoli
428
Caserta
128
Avellino
116
Benevento
Salerno
Potenza
158
Matera
52
Pescara
L’Aquila
Chieti
41
Bari
144
Brindisi
62
Foggia
73
Lecce
Taranto
106
Lucera
26
Campobasso
74
Isernia
27
Reggio Calabria
56
Catanzaro
Cosenza
Palermo
126
Messina
168
Ragusa
57
Siracusa
69
Enna
44
Caltanissetta
54
Trapani
87
Catania
Cagliari
253
Nuoro
93
Oristano
56
Sassari
Fonte: consiglio nazionale geometri
30
41
27
82
41
48
22
29
5
43
191
22
245
67
82
33
51
28
66
37
44
85
64
11
65
17
45
104
82
37
21
40
32
54
101
40
23
-
37
44.5
27.2
38.4
62.1
39.6
57.8
51.7
83.3
44.7
45.2
33.3
57.2
52.3
70.6
20.8
98
68.2
45.8
59.6
60.2
60.3
42.3
87.8
62.9
80.3
82.5
48.8
64.9
30.4
90.9
59.2
62
39.9
43
41
-
184
185
CAPITOLO DECIMO: CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
10.1 Premessa
1. I servizi professionali rivestono in ambito sociale ed economico un
indiscusso rilievo, che va ben oltre il pur ragguardevole contributo del settore al
prodotto interno lordo433, e che ha tradizionalmente motivato il particolare
riconoscimento attribuito alle attività professionali nell’ordinamento.
Esse sono state infatti oggetto di una normativa che, nel salvaguardarle,
le ha largamente sottratte alle regole della concorrenza e del mercato, per
assoggettarle a forme di regolamentazione (e autoregolamentazione), ritenute
più idonee a promuovere lo sviluppo del settore, a beneficio dei professionisti e
dell’intera collettività.
2. Questa particolare tutela del settore dei servizi professionali è in parte
riconducibile al riconoscimento della natura specialistica delle conoscenze
necessarie per lo svolgimento di tali attività, ma, in misura ancor maggiore,
deriva dalla circostanza che esse non di rado si ricollegano ad esigenze di
interesse primario sia del singolo che della collettività, quali ad esempio la
salute e il funzionamento della giustizia. Alcune attività professionali, poi,
rappresentano veicolo di diffusione di innovazione e di nuove tecnologie, e per
questa via contribuiscono al miglioramento della competitività del paese.
3. L’indagine, nel far suoi questi presupposti, si è posta l’obiettivo di
verificare fino a che punto la vigente regolamentazione del settore, in parte
risalente alla prima metà del secolo, risulti oggi effettivamente funzionale allo
sviluppo delle attività professionali, in considerazione anche dell’evoluzione del
contesto economico e normativo, in parte, peraltro, riconducibile a fenomeni di
carattere sovranazionale.
4. Negli ultimi decenni, nei paesi industrializzati, il settore dei servizi
professionali ha generalmente registrato significativi tassi di espansione e un
crescente grado di internazionalizzazione.
Tali osservazioni si riferiscono, in particolare, ai servizi professionali
rivolti alle imprese, i quali hanno sperimentato un aumento considerevole sia
della propria incidenza sul prodotto interno, che sull’occupazione complessiva
dell’economia434. L’Italia non fa eccezione alla tendenza espansiva del settore.
Nel contesto di una significativa crescita del settore terziario, spicca in
particolare l’espansione registrata dai servizi privati alle imprese, che
433Tale
contributo è stato stimato per il 1994 al 3,3% sulla base di dati di fonti: Istat, Inps-Archivio delle
Professioni e Anagrafe Tributaria.
434 Cfr. Ocse, Regulatory Reform Project, Draft Chapter on Professional Business Services, gennaio 1997.
222
comprendono anche le attività terziarie cosiddette avanzate, tra le quali
senz’altro si collocano i servizi professionali435.
Al riguardo, occorre sottolineare il cambiamento dei modi di fruizione
dei servizi, con particolare riguardo al ruolo assunto dall’informazione
nell’ambito dei processi industriali.
Non v’è dubbio infatti che per le imprese industriali costituisca un fattore
di crescente importanza e delicatezza l’accesso in tempi rapidi, in forma
integrata e a costi contenuti ad informazioni relative alle caratteristiche dei
mercati nei quali operano, necessarie per ottimizzare l’acquisizione degli input,
l’organizzazione dei processi produttivi, il posizionamento e la
commercializzazione dei prodotti. E’ evidente che in mercati via via più
complessi e integrati a livello sovranazionale, la conoscenza del contesto
ambientale costituisce per le imprese un cruciale fattore di concorrenza, la cui
portata è ulteriormente amplificata dalla diffusione delle nuove tecnologie
dell’informazione.
Ciò in parte contribuisce a spiegare l’espansione della domanda di servizi
professionali proveniente dalle imprese, ma soprattutto delinea alcuni
cambiamenti in essa intervenuti. Infatti, un numero crescente di imprese
indirizza alle categorie professionali una domanda di servizi che si caratterizza,
non soltanto per il grado di specializzazione delle conoscenze necessarie a
soddisfarla, ma anche per la tempestività e l’interdisciplinarietà di approccio
frequentemente richieste.
Simmetricamente, l’offerta di servizi professionali, nell’adeguarsi a
questo mutato contesto, si articola secondo differenti tipologie in rapporto ai
diversi segmenti di domanda. Così, nell’ambito della vasta shiera di
professionisti che esercitano in forma individuale l’attività, esistono coloro che
si rivolgono ad una clientela già consolidata o che mettono a frutto conoscenze
altamente specialistiche, le quali consentono loro di collocarsi in particolari
nicchie di mercato, così come altri soggetti che sono invece maggiormente
esposti alla variabilità della domanda. Infine esistono professionisti che si
orientano verso l’adozione di modalità di erogazione dei servizi più tipicamente
“industriali”, sia sotto il profilo dell’organizzazione dell’attività e del livello
dimensionale della stessa, che degli strumenti utilizzati per competere.
Una compressione artificiale della varietà degli assetti organizzativi e
dimensionali nell’erogazione dei servizi professionali significherebbe pertanto
ostacolare la ricerca delle modalità più idonee a soddisfare le esigenze della
domanda nonché della collocazione di mercato che meglio valorizza i vantaggi
concorrenziali dei professionisti, ricerca questa tipicamente connaturata alle
attività di natura imprenditoriale436.
435
Cfr. R. Monducci e S. Pisani, La terziarizzazione dell’economia italiana: una visione d’insieme,
Economia e Lavoro, 1994.
436 Cfr. capitolo primo della presente indagine per una trattazione della problematica relativa
all’assimilabilità dell’attività libero-professionale ad attività di impresa sotto il profilo giuridico, laddove si
chiarisce che l’assimilazione tra i due concetti risulta perfettamente coerente con la nozione di impresa
adottata in ambito comunitario e non si pone altresì in contrasto con i principi del nostro ordinamento.
223
5. Occorre poi considerare il crescente grado di internazionalizzazione
del settore negli ultimi anni, che, in particolare nel campo giuridico, contabile e
dell’ingegneria, si esprime attraverso un considerevole aumento nei paesi
industrializzati sia delle esportazioni che delle importazioni di servizi, benchè il
saldo commerciale assuma in alcuni casi, quali l’Italia, segno negativo437. La
posizione di importatore netto di servizi professionali del nostro paese non può
essere facilmente spiegata da una sua minore dotazione di risorse professionali,
e viene, invece, più plausibilmente, ricondotta alla maggiore restrittività che in
Italia caratterizza la regolamentazione del settore rispetto ad altri Paesi.438
6. Al riguardo, l’analisi comparata svolta nel corso dell’indagine ha
messo in luce che la regolamentazione adottata nel nostro Paese, nel suo
complesso, è particolarmente restrittiva rispetto a quella dei principali paesi
europei considerati, perlomeno relativamente alla previsione di tariffe
obbligatorie minime e al divieto di pubblicità.
Sotto il primo profilo, infatti, si rileva che in Italia la regolamentazione
e/o l’auto-regolamentazione della generalità delle professioni stabiliscono
tariffe minime inderogabili per gli iscritti agli albi. Ciò non risulta invece in altri
paesi, come ad esempio in Francia per gli avvocati e nel Regno Unito per i
solicitors, dove il compenso viene stabilito liberamente dalle parti439. In altri
casi, poi, le tariffe sono soltanto indicative come in Francia o in Germania per
gli ingegneri. Al riguardo, infine, non può non segnalarsi che, recentemente, in
Spagna è stata emanata una legge recante alcune importanti modifiche della
regolamentazione dell’attività dei professionisti limitativa della concorrenza: in
particolare, con riferimento alle tariffe - si legge nelle premesse - si elimina il
potere dei collegi professionali di fissare onorari minimi, pur potendo stabilire
parametri di onorari orientativi440.
Relativamente al secondo profilo, poi, si rileva che nella maggior parte
degli Stati membri non esistono vincoli stringenti all’utilizzo dello strumento
437
Cfr. OCSE, Atelier sur les services professionnels. La dimension economique des services
professionnels, ottobre 1995. Oltre all’Italia, la sola Germania, tra i paesi che rilevano in modo sistematico
dati di commercio estero sui servizi professionali, presentava nel 1991 un valore delle importazioni di tali
servizi superiore a quello delle esportazioni.
438 Cfr. OCSE op. cit. Più in generale tale analisi evidenzia che nei paesi caratterizzati da una maggiore
restrittività del regime regolamentare del settore dei servizi professionali, quest’ultimo presenta uno sviluppo
frenato, mentre, al contrario, assetti regolamentari meno rigidi conferiscono al paese che li adotta un
vantaggio comparato a livello internazionale nell’esportazione di servizi professionali.
439 In particolare, in Francia, nel 1984, la Commission de la Concurrence et des prix ha considerato le
tariffe adottate da alcuni organismi professionali in violazione della libertà di concorrenza, vietandone
l’applicazione.
440 Cfr. specialmente l’art. 5 della legge 14 aprile 1997 n. 7, “de medidas liberalizadoras en materia de
suelo y de Colegios profesionales”, secondo cui “El ejercicio de las profesiones colegiadas se realizarà en
règimen de libre competencia y estarà suyecto, en cuanto a la oferta de servicios y fijaciòn de su
remuneraciòn, a la ley sobre Defensa de la Competencia y a la ley sobre Competencia Desleal. Los dernos
aspectos del ejercicio profesional continuaràn rigièndose por la legislaciòn general y especifica sobre la
ordenaciòn sustantivo propia de cada profesiòn aplicable”.
224
pubblicitario da parte dei singoli professionisti anche per professioni
socialmente sensibili, quale quella medica.
Interessante, infine, è notare che nei principali paesi europei esistono da
tempo sistemi che prevedono forme organizzative di tipo societario per quanto
concerne l’esercizio dell’attività professionale, quali, ad esempio, le
professional partnership inglesi ovvero le cd società di partenariato in
Germania e le sociétés d’exercice libéral in Francia, che rappresentano le
discipline attualmente più evolute al riguardo.
In considerazione dell’evoluzione dei mercati verso la globalizzazione, le
maggiori restrizioni tuttora esistenti nel nostro paese rischiano quindi di tradursi
in un concreto svantaggio per i nostri professionisti rispetto ai colleghi stranieri.
7. In questo contesto, viene naturale osservare come, nel campo dei
servizi giuridici, ad esempio, si riscontri una crescente espansione anche nel
nostro paese di studi e società estere (principalmente anglosassoni) la cui
espansione in altri Paesi non è estranea alla solidità acquisita in mercati di
origine caratterizzati da un quadro regolamentativo che favorisce lo sviluppo
delle attività, consentendo ai professionisti flessibilità organizzative e di
mercato nel nostro Paese sconosciute.
Questo fenomeno non va sopravvalutato ma del pari non può essere
ignorato. Esso è il segnale che i mercati domestici dei servizi professionali
sempre meno possono prescindere dalla concorrenza come strumento per
strumento per rispondere a quella estera e, a lungo andare, gli strumenti di
protezione possono tramutarsi in ostacoli all’attività dei professionisti.
Sotto questo profilo, la pervasiva regolamentazione che caratterizza
l’accesso al mercato e l’esercizio dell’attività da parte dei professionisti protetti
presenta aspetti per certi versi paradossali. Troppo spesso essa viene favorita
ed auspicata proprio da coloro che più dovrebbero temerne gli effetti. Se il
confronto con altre figure professionali è destinato ad aumentare - e tutto lascia
intendere che questo scenario sia il più probabile - essi per primi dovrebbero
desiderare l’eliminazione dei vincoli e delle restrizioni che li penalizzano e li
svantaggiano.
Al riguardo, l’indagine ha messo in luce che benché presso alcune fasce
di professionisti questo convincimento abbia cominciato a farsi strada, esso
rimane ancora insufficientemente diffuso in rapporto alla rapidità dei
cambiamenti destinati a prodursi.
8. Una possibile e plausibile spiegazione del ritardo con cui molti dei
professionisti e degli ordini appaiono cogliere l’esigenza di una modifica del
contesto regolamentativo può rinvenirsi nella complessa e articolata storia degli
ordini alla quale si può qui soltanto accennare.
Tali organismi sono nati infatti come espressione di gruppi professionali
e si sono costituiti come enti esponenziali di tali gruppi e dei loro interessi e a
tutela delle relative attività professionali. Sin dal medioevo, esistevano arti o
225
corporazioni di medici, speziali (farmacisti), avvocati, giudici e notai, munite di
propri poteri per lo svolgimento di diverse funzioni a difesa del gruppo, che
comprendevano anche la regolazione e il controllo dei principali aspetti delle
relative attività: entrata, uscita, politiche di prodotto, prezzi, qualità minima.
Non v’è dubbio poi che fosse connaturata al funzionamento di tali
corporazioni la limitazione della concorrenza e che a tal fine venisse in primo
luogo impiegato il diritto di concedere licenze:
“In Italia, durante il Tre e il Quattrocento, le corporazioni e i collegi
professionali nella concessione delle licenze applicarono limitazioni e controlli
sempre più efficaci (...) I fautori delle restrizioni e dei controlli ne sostenevano
la necessità con lo scopo dichiarato di mantenere un alto livello di competenza
e di etica professionale; ma essi erano anche animati dal sentimento egoistico di
evitare la concorrenza. In effetti entrambe le motivazioni entravano in gioco e si
rafforzavano a vicenda, per quanto se si guarda alle clausole preferenziali che
favorivano l’ammissione di parenti (...) si è indotti a credere che il motivo
egoistico abbia ben presto acquisito un peso considerevole”441.
9. Gli ordini, quindi, sono nati storicamente come ordinamenti giuridici
privati in risposta ad esigenze di mercato e a difesa degli interessi del gruppo di
appartenenza e solo successivamente sono stati inglobati nell’ordinamento
generale e sussunti nella disciplina pubblicistica, attraverso la trasformazione
dei gruppi sociali in enti pubblici indipendenti e autonomi sotto la sorveglianza
dello Stato442.
Gli ordini presentano, quindi, un misto di statalismo e di autonomia frutto
della loro evoluzione storica che si esprime nel perseguimento di interessi del
proprio gruppo di appartenenza con poteri autoritativi discendenti dalla loro
entificazione pubblica, la quale ha lo scopo di conservare o attribuire tali poteri
per la tutela di interessi pubblici.
Lo Stato ha attribuito rilevanza agli interessi dei gruppi professionali
ritenendo che fossero funzionali anche al perseguimento di finalità di natura
generale. In altri termini, il legislatore ha ritenuto che riservare agli ordini
professionali la tutela del gruppo di appartenenza, la dignità della funzione
individualmente esercitata dai singoli, il prestigio di cui essa e i suoi operatori
devono essere circondati nel contesto sociale, avesse una ricaduta positiva
sull’affidamento dei terzi e sul corretto e adeguato svolgimento professionale di
attività che incidono su importanti beni e valori collettivi, alcuni dei quali sono
garantiti costituzionalmente (si pensi al diritto alla difesa in giudizio e al diritto
alla salute).
In estrema sintesi, dunque, l’evoluzione storica del settore lascia
trasparire come l’origine di tale regolamentazione pubblicistica sia da rinvenire
441 Cfr C.M. Cipolla, Le professioni nel lungo andare, in ID, Le tre rivoluzioni e altri saggi di storia
economica e sociale, Bologna 1989.
442 Cfr Piscione, Professioni (disciplina delle), in Enc. Dir., Milano 1987.
226
nel riconoscimento da parte dello Stato di una specificità delle professioni
intellettuali, come occupazioni orientate al servizio, e di una loro idoneità ad
incidere su interessi centrali per l’equilibrio della società.
10. In tal modo, tuttavia, alcune restrizioni concorrenziali ritenute dal
corpo professionale funzionali alla propria tutela sono state legittimate. Tali
restrizioni sono state direttamente previste dallo stesso legislatore, attraverso ad
esempio l’introduzione di tariffe obbligatorie e di barriere numeriche, e
indirettamente favorite nel loro accrescersi, attraverso la delega agli ordini ad
emanare norme deontologiche. Infatti l’indeterminatezza normativa dei compiti
spettanti agli ordini e la genericità delle formulazioni con cui il legislatore ha
dettato i principi i cui contenuti gli ordini stessi hanno poi definito
concretamente, hanno contribuito ad accrescere lo spazio di tutela degli
interessi privati nell’ambito della regolamentazione.
11. Ciò che preme mettere in rilievo è che nel corso di questo processo di
entificazione dei gruppi professionali e di incardinamento nel sistema
pubblicistico, agli interessi privati di cui erano portatori gli originari gruppi
professionali è stata attribuita rilevanza pubblica da parte dello Stato, di modo
che è divenuto sempre più difficile distinguere gli uni dagli altri.
A tale commistione hanno certamente contribuito, in primo luogo la
particolare connotazione attribuita agli ordini, di enti dotati di autogoverno e di
autoamministrazione, sia pure sottoposti alla vigilanza dello Stato: vigilanza,
tuttavia, proprio per la natura dell’ente, alquanto contenuta e senza alcuna
particolare ingerenza dello Stato nelle funzioni proprie dell’ente; in secondo
luogo, la connotazione di ente ad appartenenza necessaria o obbligatoria, nel
senso che l’esercizio della professione è subordinato all’inserimento del
professionista nel gruppo e alla sottoposizione alle sue regole, circostanza che
ha fatto coincidere la categoria con il corpo, ovvero l’ordine, ed ha attribuito a
tali enti il controllo della stessa; da ultimo, la natura delle funzioni attribuite a
tali organismi, comportanti una serie di poteri particolarmente penetranti e di
indubbia rilevanza esterna, i quali potevano essere utilizzati per la tutela di
interessi di natura privata.
Gli elementi cui si è ora accennato hanno consentito che in alcuni casi la
difesa da parte degli ordini di interessi meramente di categoria fosse legittimata
e vestita di rilevanza pubblica e hanno reso sempre più evanescenti i confini tra
i due tipi di interessi.
E’ indubbio che nel controllo dell’esercizio della professione si sia
pertanto venuto a determinare uno sbilanciamento tra lo Stato e gli ordini, e che
ciò abbia potuto favorire la difesa di posizioni di rendita acquisite dai
professionisti già presenti sul mercato.
227
In sostanza alcune prerogative statuali sono state via via assunte dagli
ordini443, che si sono trovati nella condizione di controllare se stessi nonchè di
dettare e applicare le regole del gioco cui partecipano i propri iscritti.
10.2 Regolamentazione delle professioni e mercato
12. Le considerazioni svolte nella precedente sezione, possono essere
così sintetizzate: a) la competizione internazionale, stimolata dai processi di
internazionalizzazione dei mercati e di diffusione di nuove tecnologie
dell’informazione, è destinata a produrre effetti sostanziali nei mercati dei
servizi professionali, conferendo agli stessi un ruolo di impresa particolarmente
propulsivo per il sistema economico; b) gli ordini sono, tuttavia, ancora
scarsamente convinti che sia necessario, proprio per tutelare gli iscritti,
eliminare i vincoli che caratterizzano l’offerta dei servizi dei professionisti
protetti; c) ciò può trovare spiegazione nella storia degli ordini che sono nati
per soddisfare esigenze private di tutela del gruppo professionale e, in
particolare, per rispondere ad un problema di concorrenza; d) l’evoluzione in
senso pubblicistico della disciplina delle professioni ha sostanzialmente
legittimato forme di limitazione della concorrenza, stabilendone la funzionalità
rispetto al perseguimento di esigenze di interesse generale; e) questa presunta
coincidenza tra interessi pubblici e privati è stata nel corso del tempo sottoposta
a un limitato scrutinio.
E’ evidente, pertanto, come un ripensamento complessivo e profondo
dell’istituzione “ordine” risulti oggi improcastinabile, soprattutto in
considerazione delle mutate condizioni dei mercati e della crescente importanza
attribuita ai principi della libertà di iniziativa economica e della concorrenza,
nella consapevolezza che il mancato rispetto delle regole concorrenziali, di
norma, limita l’efficiente svolgimento delle attività economiche.
13. I punti fermi cui è pervenuta l’indagine conoscitiva in relazione al
funzionamento dei mercati che vedono la presenza dei professionisti sono così
riassumibili:
- la regolamentazione dei servizi professionali, al pari di qualunque altra,
è appropriata se soddisfa esigenze di carattere generale e la sua introduzione
sana imperfezioni di mercato (asimmetrie informative ed esternalità) di
significativo rilievo, altrimenti suscettibili di produrre risultati iniqui ed
inefficienti;
- anche in presenza di riconosciute imperfezioni, la regolamentazione è
desiderabile solo se i costi ad essa connessi sono compensati da maggiori
benefici in termini di benessere del consumatore;
443
Si pensi ad esempio al ruolo ormai decisivo nella definizione delle tariffe assunto dagli ordini, essendo
perlopiù la funzione dello Stato confinata ad un controllo di legittimità.
228
- in particolare, la regolamentazione non deve spingersi al di là di quanto
è strettamente necessario al miglioramento dell’efficienza di mercato, o meglio,
deve essere dimostrato che non esistono strumenti alternativi per raggiungere
gli individuati obiettivi di interesse generale.
In sintesi, l’indagine ha sottoposto la disciplina delle libere professioni ad
una valutazione ispirata ai criteri di necessità e proporzionalità, commisurando
la stessa alle caratteristiche dei mercati nei quali viene applicata. Ha poco senso
infatti considerare il ruolo e le funzioni svolte dagli ordini nella amministrazione
e, in parte, nella definizione di tale disciplina al di fuori del mercato, poichè tali
organismi nascono e vengono successivamente riconosciuti dall’ordinamento
precisamente per dare risposta alle sfide che il mercato pone.
14. L’analisi condotta secondo queste linee ha messo in luce che nel
settore delle professioni protette: a) accanto a situazioni in cui senz’altro
ricorrono importanti fallimenti del mercato, ve ne sono altre nelle quali è
difficile individuare quali siano le imperfezioni cui si è inteso in passato porre
rimedio, o se le stesse assumano ancor oggi significativo rilievo; b) anche in
presenza di riconosciute imperfezioni, l’assetto regolamentativo risulta spesso
non ottimale, in quanto caratterizzato da una superflua pluralità di limitazioni
alla attività economica, suscettibili di ridurre l’efficienza complessiva del
mercato, a danno dei consumatori.
15. Con riguardo al primo aspetto, cioè alle imperfezioni dei mercati dei
servizi professionali, l’indagine ne ha esaminato la natura e le implicazioni,
considerando che una accentuata asimmetria informativa a sfavore del cliente
può esporlo a prestazioni di qualità inadeguata, le quali, data la delicatezza e il
rilievo degli interessi su cui incidono alcune attività professionali, sono
suscettibili di produrre effetti particolarmente dannosi.
Tuttavia, l’indagine ha altresì messo in luce che tale eventualità assume
una rilevanza solo per alcune aree professionali e nel loro ambito non è
generalizzata a tutti i segmenti di mercato.
Le asimmetrie informative, alle quali tanto peso viene tradizionalmente
dato per giustificare misure di (auto)regolamentazione limitative della
concorrenza riguardano, infatti, prevalentemente, la domanda espressa dai
consumatori individuali.
In numerosi ambiti professionali una parte consistente della domanda è
però generata da imprese, come è dimostrato: dalla maggiore frequenza con cui
si rivolgono al notaio società ed imprenditori rispetto ai singoli cittadini (tab. 3
cap. terzo); dal maggior peso assunto dalla consulenza giudiziale e
stragiudiziale, di tipo continuativo prestata dagli avvocati a favore di enti privati
e pubblici rispetto alla consulenza saltuaria resa ai singoli cittadini (tab. 8- cap.
terzo); dalla circostanza che il controllo delle scritture contabili delle imprese e
la consulenza in materia commerciale del lavoro costituisce la fonte più
importante dei professionisti operante nell’area economico-contabile.
229
Ora, questi soggetti esprimono per la maggior parte una domanda di tipo
continuativo che li mette in condizione di acquisire progressivamente
informazioni sulle caratteristiche dell’offerta, e inoltre, non infrequentemente
risultano dotati di competenze tecniche al proprio interno grazie alle quali
possono valutare sia la capacità dei professionisti che le caratteristiche delle
prestazioni dagli stessi erogate. Per questi motivi non sembra emergere un
assoluto ed ineliminabile problema di asimmetrie informative. A questi casi
giova poi aggiungere quelli, e riguardanti le professioni tecniche, in cui la
domanda è espressa secondo procedure ad evidenza pubblica. In tali
circostanze, indipendentemente dalla conoscenza del soggetto acquirente circa
le caratteristiche dei servizi, sono le stesse modalità di selezione dei
professionisti che favoriscono il confronto tra gli stessi e quindi l’acquisizione
di sufficienti informazioni al riguardo. Anche in questi casi i problemi di
asimmetria informativa sembrano ridursi apprezzabilmente.
16. Se, pertanto, una maggiore attenzione alle differenti caratteristiche di
diversi segmenti di domanda induce a concludere che in numerose situazioni,
misure restrittive della concorrenza non siano necessarie a garantire la qualità
delle prestazioni e possano anzi risultare suscettibili di ridurre l’efficienza del
mercato, a una conclusione non dissimile si perviene quando ci si soffermi sulle
caratteristiche dell’offerta nel settore professionale.
In primo luogo è possibile osservare che l’evoluzione dei mercati rende
in alcuni casi difficile identificare, sotto il profilo delle modalità di erogazione
del servizio e del rapporto con il cliente, nonchè della complessità delle
prestazioni, le caratteristiche distintive dell’attività dei professionisti protetti
rispetto ad altre figure di professionisti intellettuali. E, conseguentemente,
appare difficile sostenere che i mercati nei quali operano i primi siano sempre
afflitti da asimmetrie informative così gravi da richiedere forme di
regolamentazione altrove assenti.
Limitando poi il confronto all’ambito delle professioni protette,
emergono evidenti incongruenze laddove si consideri che per alcune attività la
regolamentazione appare particolarmente stringente e pervasiva senza che si
riescano a ravvisare delle motivazioni sostanziali che ne giustifichino la
differenza rispetto ad altre. Si pensi, ad esempio, alle professioni di notaio e
farmacista, che oltre a godere di esclusive, sono caratterizzate da modalità di
accesso più limitative, ovvero il concorso a numero chiuso, nonché da tariffe
fisse e limiti territoriali. In tali professioni non sembrano essere ravvisabili
interessi di natura più rilevante rispetto a quelli su cui incidono le professioni
forensi o quelle mediche.
17. Con riguardo alla proporzionalità dell’attuale assetto regolamentativo
rispetto alla necessità di colmare eventuali imperfezioni che ostacolano il
corretto funzionamento dei mercati, dall’analisi svolta nel corso dell’indagine
conoscitiva è emerso che gli strumenti di regolamentazione delle professioni
230
protette sono molteplici e suddivisibili sostanzialmente in due categorie, quelli
attinenti ai requisiti necessari per lo svolgimento delle professioni (tirocinio,
esame di abilitazione, concorso) e quelli relativi alle modalità di svolgimento
della professione (standard di qualità, tariffe, divieto di pubblicità, limiti
territoriali, incompatibilità).
Tuttavia, molti di questi strumenti mirano a raggiungere i medesimi
obiettivi. Di conseguenza o si ammette che ognuno di essi non è gestito in
modo da soddisfare pienamente l’esigenza per la quale è stato introdotto, o
altrimenti si deve concludere che non tutti gli strumenti predisposti sono
necessari ed esistono delle duplicazioni, dalle quali discende inevitabilmente un
aggravio e un superfluo appesantimento della regolamentazione a cui sono
sottoposti i professionisti.
Infine, l’analisi concreta ha messo in luce come non si possa prescindere
oltre che dalla natura delle prestazioni anche dalla loro differenziazione e
diversa complessità. In questo senso una regolamentazione applicata in modo
indifferenziato alla professione tout court, appare eccessivamente stringente
con riguardo ad alcune prestazioni standardizzate, con riferimento alle quali
l’esigenza di tutelare i consumatori da irrimediabili danni causati da prestazioni
professionali di qualità inadeguata risulta senz’altro trascurabile.
Per alcune prestazioni, il tipo di regolamentazione che controlla l’accesso
e l’esercizio alla professione appare del tutto sproporzionato. Ci si riferisce in
particolare alla certificazione di alcuni atti notarili che hanno un modesto rilievo
economico ed una scarsa complessità di redazione, oppure alla vendita dei
medicinali da banco da parte dei farmacisti.
18. E’ possibile pertanto che sotto la veste dell’interesse pubblico si
persegua la tutela di interessi privati meramente contingenti e di breve respiro
che si traducono in uno svantaggio per la collettività, non solo perché
determinano restrizioni concorrenziali di notevole portata, ma perché, anche in
una prospettiva di confronto internazionale, frenano lo sviluppo del settore.
Conseguentemente, risulta necessario ridefinire gli spazi e il ruolo degli ordini.
Al riguardo, rimandando ai punti successivi per una riconsiderazione
delle funzioni di tali organismi in rapporto ai singoli aspetti della vigente
disciplina delle libere professioni, si ritiene opportuno anticipare sin d’ora il
principio di carattere generale a cui tale riformulazione si ispira.
In sintesi, si ritiene che la selezione all’entrata di coloro che aspirano ad
esercitare l’attività è giustificata, qualora ricorrano importanti forme di
asimmetria informativa, per cui il cliente si trova nell’impossibilità di
apprezzare l’effettivo grado di competenza del professionista.
Ciò, tuttavia, conduce a ritenere che l’introduzione di ulteriori forme di
regolamentazione sia sostanzialmente superflua o comunque potrebbe essere
sussunta da una effettiva attività di monitoraggio della qualità delle prestazioni
da parte degli ordini.
231
Al riguardo, l’esemplificazione più evidente è offerta dal caso dei
professionisti che operano in regime di riserva. Vi possono essere buoni motivi
per affidare ad un gruppo particolare di operatori il monopolio dell’offerta in un
determinato mercato, anche se ciò può essere vero molto meno frequentemente
di quanto generalmente si ritenga e di quanto - come si è visto - la stessa legge
preveda. Non vi è però nessun buon motivo per limitare la concorrenza fra
coloro che possiedono i requisiti richiesti dalla riserva. Tale riserva ha lo scopo
di garantire l’utilizzatore che solo chi possiede determinati requisiti è abilitato
ad offrire le proprie prestazioni. Il suo fine ultimo, infatti, è precisamente quello
di garantire che esiste uno standard minimo di prestazione al di sotto del quale
non è possibile scendere e che vi sono buoni motivi per impedire che ciò
accada. Non è difficile immaginare, ad esempio, che nel campo medico le
finalità di tutela della salute possano richiedere una stringente ed accurata
selezione di coloro che sono ammessi a prestare queste funzioni e l’inibizione
dall’attività per coloro che sono sprovvisti di determinati requisiti. Tutto ciò è
pacifico: la riserva ha precisamente lo scopo di tutelare chi domanda quel
servizio. Realizzate tali esigenze, non si vede tuttavia perchè limitare la
concorrenza fra soggetti che possiedono i requisiti che la riserva richiede,
ovvero prevedere ulteriori restrizioni all’esercizio dell’attività.
10.3 Gli strumenti di regolamentazione
19. La ridefinizione del ruolo degli ordini investe in modo preminente la
struttura attuale della regolamentazione alla quale sono sottoposte le professioni
intellettuali. Da un lato in quanto, come si è già sottolineato gli ordini
partecipano in misura non trascurabile alle diverse fasi, di accesso e di esercizio
delle attività in cui si articola tale regolamentazione, dall’altro in quanto
quest’ultima rappresenta lo strumento attraverso il quale si determinano o si
favoriscono distorsioni concorrenziali nei mercati dei servizi professionali.
Meritano di essere menzionati due aspetti opinabile il primo, pregiudizievole il
secondo. Innanzitutto la nascita e l’evoluzione della disciplina delle professioni
protette riflette l’importanza attribuita dal legislatore agli interessi pubblici
connessi allo svolgimento di alcune attività professionali e un orientamento
secondo il quale il perseguimento di tali interessi è di norma incompatibile con
l’operare dei meccanismi di mercato. In secondo luogo, la regolamentazione è
stata il frutto spesso di una serie di compromessi tra Stato e ordini professionali
per raggiungere i quali si è a volte tralasciato di considerare come principio
prioritario l’efficienza del sistema.
In considerazione di questi elementi e con particolare riferimento ai
principi di necessità e proporzionalità prima evidenziati, nelle sezioni seguenti
si intendono analizzare ed esemplificare le principali restrizioni concorrenziali
determinate dagli strumenti di regolamentazione delle professioni protette.
232
I requisiti all’accesso
L’esame di Stato.
20. Il requisito fondamentale previsto per l’accesso a tutte le professioni
intellettuali è rappresentato dal superamento dell’esame di Stato, previsto
dall’art. 33 comma 5 della Costituzione.
L’esame dovrebbe essere diretto ad accertare, nell’interesse della
collettività e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di
preparazione attitudinale e capacità tecnica occorrenti per il retto esercizio della
professione e dovrebbe rappresentare la garanzia dell’esistenza dei requisiti
minimi per l’esercizio delle attività.
Data la natura degli interessi protetti, il controllo circa il possesso da
parte dell’aspirante professionista dei necessari requisiti dovrebbe essere
effettuato al di fuori di eventuali pressioni corporative da un organo
amministrativo imparziale (la Commissione esaminatrice).444
Il principio di imparzialità al quale deve essere informata la
composizione della Commissione esaminatrice, impone che nella formazione
della stessa il carattere esclusivamente tecnico del giudizio debba risultare
salvaguardato da ogni rischio di deviazione verso interessi di parte o comunque
diversi da quelli propri dell’esame.445In tal senso non può certo essere riservato
agli ordini un ruolo dominante nella fase di accertamento del possesso dei
requisiti del candidato. Ciò infatti equivale a sacrificare la terzietà di chi
contribuisce a stabilire il numero di coloro che sono ammessi ad entrare nel
mercato.446
E’ per tutti pacifico che l’esame di stato, affinché risulti funzionale alle
finalità per le quali è stato previsto, debba essere condotto secondo criteri
uniformi sul territorio nazionale e debba essere volto ad accertare l’effettiva
competenza dei candidati secondo un riconoscimento paritario di capacità
occorrenti per l’esercizio della medesima professione.
Tuttavia, al raggiungimento di tale obiettivo potrebbe ostare sia la
designazione da parte degli ordini del novero dei membri nell’ambito del quale
viene effettuata la scelta dei componenti, sia la presenza della maggioranza
degli stessi nelle commissioni. In tal modo i professionisti già operanti sul
444C.f.r. Corte di cassazione sentenza del 26/6/1990 n.
445 Sull’importanza del principio di imparzialità vedi
6431.
sentenza della Corte Costituzionale del 26 settembre
1990 n. 453. Inoltre, è di notevole interesse la sentenza della Corte Costituzionale 37271989, con la quale
sono state dichiarate costituzionalmente illegittime alcune norme della legge n.6/1989 che con riguardo
all’esame di abilitazione previsto per l’accesso alla professione di guida alpina, sottraevano poteri alle
Regioni per attribuirli prevalentemente al Collegio professionale. Da ciò si evince chiaramente che la
materia non è delegabile ad organi che sono portatori anche di altri interessi.
446 Di tendenza opposta rispetto a quanto qui auspicato appare invece il disegno di legge n. 4115
“Disposizioni in materia di accesso alla professione di avvocato”, presentato alla Camera dei deputati il 4
settembre 1997. Nel disegno di legge infatti si prevede che la Commissione sia composta da cinque membri
titolari e cinque supplenti, dei quali, rispettivamente, ben tre avvocati, un magistrato e un professore
universitario e sia presieduta da un avvocato scelto tra i tre titolari.
233
mercato hanno la possibilità di influenzare gli esiti del processo di selezione,
restringendo il numero di coloro che intendono accedere alla professione al di
là di quanto sarebbe giustificato su una mera base qualitativa.
Obbligatorietà del tirocinio.
21. Prodromico all’esame di Stato è il tirocinio, il cui interesse ai fini
dell’analisi qui svolta, è rappresentato dal fatto che nella maggior parte delle
professioni esso costituisce un passaggio obbligato per accedere all’esame di
abilitazione.
La finalità del tirocinio è riconducibile alla necessità di garantire l’acquisizione
di conoscenze (pratiche) relative alla professione che si intende esercitare, la
cui verifica è poi demandata all’esame di Stato.
Deve essere sottolineato il fatto che a fronte di questa funzione senz’altro
positiva, il tirocinio rappresenta comunque un costo per chi è obbligato a
sostenerlo, in quanto posticipa il periodo di entrata nel modo del lavoro. E’
difficile sostenere che ciò non abbia alcuna ripercussione sui prezzi dei servizi.
Tale circostanza dovrebbe incentivare una utilizzazione di questo strumento che
possa essere effettivamente proficua e che comporti il minor costo possibile per
chi è obbligato a svolgerlo e per chi dovrà acquistare i servizi resi dal futuro
professionista.
Al riguardo, deve essere sottolineato il fatto che la legge prevede
l’obbligatorietà del tirocinio senza tuttavia predisporre i mezzi per mettere tutti
i soggetti in condizione di potervi accedere facilmente. Nella maggior parte dei
casi non esistono infatti scuole di formazione sostitutive del tirocinio pratico, e,
pertanto, la formazione pratica è rimessa esclusivamente alla disponibilità dei
professionisti. Spesso, inoltre, il tirocinio non riesce a fornire una formazione
qualitativamente elevata poiché i professionisti hanno un incentivo a delegare ai
tirocinanti essenzialmente prestazioni semplici e standardizzate. Di
conseguenza, a fronte del costo imposto ai neoprofessionisti in termini di
allungamento del periodo di formazione, non sempre si riscontra un
corrispondente beneficio ed in definitiva lo strumento rischia di perdere gran
parte della sua efficacia.
Pertanto, al fine di utilizzare questo strumento nel modo più proficuo per
gli aspiranti professionisti e di renderlo accessibile a tutti, sarebbe quanto meno
auspicabile una maggiore diffusione di scuole di specializzazione quanto meno
integrative o anche alternative al tirocinio per assicurare a tutti i futuri
professionisti l’acquisizione dello standard formativo necessario per svolgere
l’attività. Inoltre, gli ordini potrebbero fornire un contributo essenziale
all’organizzazione e alla gestione delle scuole di specializzazione, mettendo a
disposizione di tali strutture e, quindi della formazione dei futuri professionisti,
il bagaglio di conoscenze ed esperienze professionali dei propri membri.
22. Peraltro, ad una riforma più incisiva si potrebbe pervenire estendendo
a tutte le professioni un sistema che è già largamente sperimentato per alcune di
234
esse. Giova osservare infatti che il tirocinio non è obbligatorio per talune
professioni, ovvero gli architetti e gli ingegneri (le professioni più “tecniche”),
dove lo stesso sembrerebbe dover rivestire maggiore importanza. Si può quindi
ragionevolmente presumere che la formazione universitaria, in tali casi, è
organizzata già in modo idoneo a fornire ai futuri professionisti la necessaria e
sufficiente preparazione pratica. Pertanto, una alternativa alle attuali modalità di
svolgimento del tirocinio potrebbe essere rappresentata da una riorganizzazione
della formazione universitaria che fornisca le conoscenze pratiche richieste
dall’esercizio della professione.
La realizzazione di questa ipotesi che comporterebbe la rimozione
dell’attuale vincolo del tirocinio obbligatorio garantirebbe a tutti la
preparazione necessaria per svolgere la professione e condurrebbe altresì ad
una maggiore omogeneità dei percorsi di formazione professionali.
23. In ogni caso la rivisitazione delle modalità di svolgimento del
tirocinio non può essere avulsa da una riconsiderazione del ruolo svolto
dall’esame di Stato. Infatti, la previsione di un periodo di tirocinio per poter
svolgere la professione non può e non deve essere ritenuta un mezzo idoneo a
sopperire alle carenze di selezione dell’esame di Stato, dal momento che
l’effettuazione di un periodo di praticantato non può in alcun modo
rappresentare una garanzia di acquisizione del minimum di conoscenze
necessarie per svolgere la professione.
Se si conviene sul fatto che l’esame di Stato deve rappresentare lo
strumento idoneo a certificare la conoscenza tecnico-pratica del futuro
professionista, i problemi connessi all’efficacia del tirocinio, come è oggi,
vengono meno.
Sembra quindi preferibile, dopo aver predisposto gli strumenti necessari
affinchè i candidati siano nelle condizioni di acquisire la necessaria
preparazione teorico-pratica, affidare unicamente all’esame di Stato
l’accertamento del possesso di tutte le conoscenze indispensabili per esercitare
la professione.
Il concorso.
24. Il concorso è, come l’esame di Stato, uno strumento diretto a
selezionare i soggetti in base alle capacità attitudinali e tecniche, che si applica
solo nei casi in cui il numero di professionisti ad esercitare è prestabilito. Tale
predefinizione del numero degli operatori viene generalmente giustificata con la
necessità di garantire una razionale distribuzione di servizi professionali
essenziali nel territorio nazionale. Tuttavia, dall’analisi degli effetti prodotti
dall’applicazione di questo strumento è emerso che da un lato esso non
rappresenta un mezzo in grado di soddisfare in pieno le esigenze della domanda
e, dall’altro che, a fronte delle distorsioni concorrenziali che è suscettibile di
determinare, le finalità pubbliche che lo giustificano potrebbero essere
conseguite con mezzi meno restrittivi della concorrenza.
235
Attualmente il concorso è previsto per accedere a due professioni, quella
di notaio e quella di farmacista.
In particolare, nel corso dell’indagine è emerso che, per quanto concerne i
notai, il numero di coloro che riescono a superare il concorso è inferiore al
numero dei posti messi a disposizione. Se si assume che questi ultimi
identificano il numero necessario di professionisti esercenti la professione in
rapporto alla domanda, il concorso, laddove restringe ulteriormente gli accessi,
risulta comprimere artificiosamente l’offerta.
Con riferimento ai farmacisti, è emerso, invece, che le lentezze
nell’organizzazione dei concorsi derivanti dalle modifiche relative alle modalità
di espletamento degli stessi, hanno fatto sì che dal 1991, nonostante vi fossero
un numero consistente di titolarità di farmacie disponibili, siano stati svolti
pochissimi concorsi. Anche in questo caso, quindi, il concorso ha determinato
una artificiosa restrizione dell’offerta.
Si consideri inoltre che per garantire un numero minimo di sedi nel
territorio nazionale, che è per l’appunto la finalità che intendono garantire i
concorsi, non appare necessario stabilire un numero di posti massimo. Al di là
quindi dell’adeguatezza del metodo utilizzato per definire il numero dei
professionisti ammessi ad operare, è difficile ritenere che l’esigenza di garantire
una omogenea e sufficiente erogazione dei servizi sul territorio nazionale possa
essere effettivamente soddisfatta attraverso l’imposizione di un limite massimo
di sedi. Non vi è dubbio che tale obiettivo potrebbe eventualmente essere
meglio perseguito attraverso la determinazione di un numero minimo.
25. Non si può inoltre non fare cenno alle distorsioni concorrenziali
determinate dalla limitazione del numerus clausus. Il concorso infatti
costituisce lo strumento selettivo più rigido previsto per accedere ad una
professione e mentre gli altri strumenti, tirocinio, esame di abilitazione sono in
linea di principio delle barriere “aperte”, ovvero superabili da chiunque risulti
idoneo in presenza di determinati requisiti e, quindi, da un numero
imprecisabile di soggetti, esso invece rappresenta una barriera “chiusa”, in
quanto il numero di coloro che possono esercitare l’attività è predeterminato e
corrisponde al numero dei posti messi a concorso. Ciò evidentemente limita lo
spontaneo adattamento dell’offerta alle caratteristiche della domanda,
restringendo la concorrenza e il libero gioco del mercato.
La limitazione alla concorrenza raggiunge il suo massimo grado anche
per il fatto che alla predeterminazione del numero delle sedi è in entrambe le
professioni associata la limitazione territoriale all’esercizio dell’attività.
Pertanto, coloro che già operano non subiscono la concorrenza dei nuovi
entranti ed ogni professionista ha già il proprio bacino di utenza su cui può
contare e che non può essere eroso dagli altri.
.
Obbligatorietà dell’iscrizione all’Albo.
236
26. Rispetto all’esame di Stato, che costituisce uno strumento di
accertamento dell’esistenza dei requisiti per esercitare una professione,
l’iscrizione all’Albo ha l’ulteriore finalità di sottoporre al controllo dell’ordine
l’attività svolta dal professionista. Tuttavia, l’obbligatorietà dell’iscrizione
attribuisce all’atto stesso anche la funzione di “autorizzazione” all’esercizio
dell’attività447.
27. Poichè l’accertamento delle capacità dei professionisti avviene con
l’esame di Stato, l’iscrizione dovrebbe essere obbligatoria solo laddove, oltre al
controllo relativo all’accesso, sia reputato necessario anche un controllo
sull’esercizio dell’attività. E’ comprensibile che chi intende esercitare
prestazioni esclusive sia obbligatoriamente assoggettato ad un controllo nello
svolgimento delle stesse. Meno comprensibile è l’imposizione di un siffatto
obbligo quando le medesime prestazioni possono essere svolte liberamente
anche da soggetti non iscritti all’Albo e non sottoposti ad alcun controllo, né
nella fase di accesso al mercato, né successivamente nello svolgimento
dell’attività. In realtà, tali professionisti dovrebbero essere liberi di svolgere la
propria professione senza dover appartenere necessariamente all’ordine, dal
momento che esistono numerosi altri soggetti i quali svolgono sul mercato
attività del medesimo contenuto senza essere assoggettati ad alcun controllo.
28. Il problema che quindi si pone è che in questo caso la funzione
dell’ordine non è riconducibile alla tutela dell’attività, i cui contenuti sono
liberi, ma alla tutela del titolo. A tale tutela si riconnette la funzione di
certificazione, ovvero di accreditamento di fronte al potenziale fruitore del
servizio, il quale sa che coloro che possono fregiarsi di quel titolo possiedono
determinati requisiti e appartengono ad un ordine che ne controlla l’esercizio
dell’attività. Tuttavia per svolgere tale funzione non sembra affatto necessario
prevedere come obbligatoria l’appartenenza all’ordine.
L’accertamento dei requisiti che consentono di fregiarsi di un titolo non è
infatti compito dell’ordine, ma dell’esame di Stato, e pertanto, il certificato che
attesta il superamento dello stesso rappresenta una sufficiente garanzia del
possesso di detti requisiti.
L’adesione successiva ad un sistema di certificazione dell’attività svolta
dovrebbe essere del tutto libera quando libero è il contenuto di quell’attività e
non dovrebbe, o meglio potrebbe, rappresentare una condizione di
legittimazione all’esercizio della stessa per chi ha superato l’esame di Stato. Se
infatti è verosimile che alcuni tra quelli che hanno conseguito il titolo
preferiscano avvalersi dell’appartenenza all’ordine per avere una maggiore
qualificazione agli occhi del consumatore, non si può escludere che altri non
447
L’iscrizione all’Albo rappresenta un atto dovuto. Al riguardo l’ordine non esercita un potere
discrezionale, giacché ha solo il compito di verificare se l’aspirante sia in possesso dei requisiti prescritti
dalla legge e, in caso affermativo ha l’obbligo di procedere all’iscrizione.
237
intendano sottoporre a successivi controlli la propria attività, dal momento che
essa viene esercitata anche da soggetti non vincolati ad un controllo.
In questi casi l’iscrizione all’ordine dovrebbe essere volontaria e non
obbligatoria.
Pertanto, imporre ad un soggetto, che ha conseguito un titolo
professionale, anche l’obbligatoria appartenenza all’ordine per poter esercitare
un’attività libera, rappresenta una ingiustificata restrizione concorrenziale,
quando non si sia in presenza di esclusive la cui attribuzione comporta la
necessità di un controllo oltre che sull’accesso anche sull’attività.
Restrizioni all’esercizio dell’attività
Le tariffe
29. Tra le restrizioni all’esercizio, la fissazione di tariffe inderogabili
minime o fisse, appare senz’altro meno facilmente riconducibile al
perseguimento dell’interesse generale a garantire elevati livelli qualitativi delle
prestazioni, e, invece, più direttamente finalizzata alla protezione delle
categorie interessate.
D’altra parte che si tratti di un interesse di natura privata si desume da un
lato dallo svantaggio che deriva per la collettività dalla fissazione di tariffe
uniformi per i professionisti che offrono le medesime prestazioni, dall’altro dal
fatto che nella definizione delle stesse assumono un ruolo preponderante
proprio le categorie interessate. Al riguardo infatti deve essere considerato che
per le professioni per le quali la legge prevede che le tariffe siano deliberate
dall’ordine (notai, avvocati), le stesse risultano sottratte a qualsiasi controllo di
merito dell’amministrazione vigilante. Anche per le altre professioni, tuttavia,
tale controllo non risulta in concreto particolarmente penetrante.
Circa il rilievo che l’applicazione delle tariffe assume, poi, nei diversi
contesti di mercato, si osserva che, benché svariate categorie abbiano affermato
che si tratta di valori meramente indicativi ne hanno al contempo generalmente
sostenuto l’importanza, soprattutto in funzione di protezione dei professionisti
più giovani. Questa chiave di lettura, tuttavia, non è sicuramente l’unica
possibile.
La fissazione di un livello di prezzi uniforme finisce infatti per impedire
che proprio i nuovi professionisti per costituirsi una clientela fissa, scardinino,
attraverso quel potente strumento di mutamento delle preferenze dei
consumatori che è il prezzo, la distribuzione di reddito fra i membri dell’ordine.
L’opposizione nei confronti della libertà di decidere a quale prezzo
vendere il servizio che si presta e, quindi, del cambiamento che essa è in grado
di generare - ed un importante cambiamento per un iscritto all’ordine è
senz’altro potenzialmente costituito dall’attività dei giovani colleghi - la
manifesteranno i professionisti più deboli, quelli che razionalmente
238
percepiscono l’immediato rischio di declino e scomparsa che la competizione
con i nuovi arrivati è in grado di determinare.
30. Con riferimento alla presunta tutela della qualità della prestazione
che giustificherebbe, secondo alcuni, la fissazione dei minimi tariffari, può
apparire superfluo ripetere, quanto più volte sostenuto, che tale affermazione è
priva di solido fondamento logico ed economico, dal momento che la fissazione
di un determinato prezzo non è sufficiente a garantire l’erogazione di un
prodotto con un determinato livello minimo di qualità.
A ciò si aggiunga che la qualità delle prestazioni dovrebbe essere
sufficientemente tutelata ex-ante dalle selezioni all’accesso ed ex-post dagli
standard qualitativi previsti sia dalla legge che dai codici deontologici con
riferimento alle caratteristiche dei prodotti e ai comportamenti dei
professionisti.
Deve poi essere considerato che ogni restrizione della concorrenza ha un
costo che deve essere sufficientemente compensato dai benefici per i quali si
giustifica l’introduzione della restrizione e nel caso della fissazione delle tariffe,
per i motivi sopra esplicitati, tali benefici non si riscontrano, soprattutto quando
ad essere definiti sono livelli minimi di prezzi.
L’obbligazione di risultato
31. La struttura delle tariffe, determinate in cifra fissa ed
indipendentemente dall’esito dell’attività svolta dal professionista, rappresenta
la caratteristica di un sistema nel quale l’obbligazione assunta dal professionista
viene di regola qualificata quale obbligazione di mezzi e non di risultato.
Peraltro, la possibilità di assumere una obbligazione di risultato, non è
del tutto estranea alle attività professionali, come dimostra il fatto che gli ultimi
orientamenti giurisprudenziali hanno spesso qualificato alcune obbligazioni
inerenti le professioni mediche e tecniche quali obbligazione di risultato.448
In una prospettiva di più ampio respiro, nell’ambito dell’attività del
professionista, l’assunzione del tipo di obbligazione, di mezzi o di risultato,
potrebbe essere valutata come l’utilizzazione di due impegni diversi, a cui, in
ragione della diversa responsabilità assunta, poter applicare prezzi diversi.
D’altra parte è un risultato non controverso della teoria economica che
un modo efficiente di risolvere i problemi generati da asimmetrie informative
derivanti dall’incapacità di valutare lo sforzo di chi eroga la prestazione
consiste nel disegnare dei contratti nei quali il corrispettivo a fronte della
prestazione dipende dal verificarsi di eventi futuri che saranno osservabili tanto
dal cliente che dal professionista. Questo enunciato non si discosta molto da
quanto il senso comune suggerisce. Il modo più convincente ed efficace per
448
C.f.r Sentenza della Corte di cassazione del 27 febbraio 1996 n. 1530; sentenza della Corte di cassazione
del 19 luglio 1993 n. 8033 sentenza della Corte di cassazione del 21 luglio 1989 n. 3476 sentenza della
Corte di cassazione del 28 gennaio 1995 n. 1040; Sentenza della Corte di cassazione del 25 novembre 1994
n. 10014.
239
comunicare al pubblico la qualità delle proprie prestazioni è quello di garantire
che un determinato risultato sarà raggiunto e che in caso contrario o non si
pagherà o si verrà in qualche misura indennizzati da chi quella promessa non è
stato in grado di mantenere. E’ certamente vero che questo strumento non
corregge tutte le asimmetrie esistenti, in particolare quelle che traggono origine
dalla circostanza che chi acquista è incapace di osservare ex-ante le
caratteristiche di chi quel servizio offre. Questi problemi, tuttavia trovano più
efficace soluzione attraverso forme di regolamentazione degli accessi.
Pertanto, apparirebbe auspicabile che i professionisti, nelle proprie
strategie competitive, considerassero l’assunzione della obbligazione di
risultato, non soltanto come un aggravante delle proprie responsabilità, da
evitare se possibile, ma come la possibilità di utilizzare uno strumento
alternativo nelle proprie strategie competitive.
Il divieto di pubblicità
32. Anche le attuali forme di divieto della pubblicità appaiono
difficilmente riconducibili alla tutela di un interesse di natura generale. Non può
essere infatti sufficiente al riguardo asserire che la pubblicità contribuirebbe a
svilire e mercificare le professioni e che potrebbe avvantaggiare i professionisti
dotati di maggiori risorse finanziarie piuttosto che i migliori. Né può essere
realisticamente invocata la considerazione che rimuovendo gli attuali divieti si
produrrebbe una artificiosa stimolazione della domanda particolarmente
dannosa in settori delicati quali quello sanitario.
Alcune di queste affermazioni trovano le proprie origini in una visione
passatista sia delle professioni intellettuali, sia dello strumento pubblicitario.
La convinzione che la pubblicità rappresenti uno strumento utilizzato
unicamente nella vendita di prodotti commerciali è oggi largamente superata
dall’impiego di tale mezzo per conseguire obiettivi diversi, ed in particolare per
comunicare ad un pubblico che sia il più vasto possibile informazioni che
altrimenti rimarrebbero patrimonio di pochi.
La pubblicità informativa, che già esiste ma in misura troppo limitata
nelle modalità e nei contenuti (quella negli elenchi telefonici e nelle pagine
gialle), costituirebbe un elemento di notevole importanza proprio per colmare
parte di quelle asimmetrie informative che non consentono al consumatore di
scegliere con maggiore cognizione di causa il servizio di cui necessita o di
giudicarne la qualità resa.
Se si immagina tale strumento coniugato alla possibilità di praticare
prezzi liberi e di condizionare il prezzo al risultato, si comprendono le
prospettive concorrenziali che si possono aprire per i professionisti e i vantaggi
che deriverebbero per i consumatori soprattutto in termini di risparmio di costi
nel reperire le informazioni necessarie. Più in particolare, il consumatore
avrebbe accesso facilmente, e non come avviene ora per vie informali o
conoscenze, alle informazioni riguardanti le caratteristiche dei professionisti
che operano sul mercato e le attività dove hanno maggiormente concentrato i
240
propri sforzi professionali, nonché i prezzi dagli stessi praticati per prestazioni
simili ed eventualmente le garanzie di successo che sono in grado di fornire.
Sostenere che l’introduzione della pubblicità andrebbe a scapito della
qualità, in quanto avvantaggerebbe i professionisti più dotati di risorse
finanziarie indipendentemente dalla loro effettiva abilità professionale, appare
opinabile. Deve infatti essere considerato che la pubblicità informativa è basata
su elementi di fatto, prezzi, caratteristiche, risultati, e che eventuali elementi
non rispondenti alla realtà potrebbero sempre essere sanzionati come forme di
pubblicità ingannevole. Inoltre, appare irrealistico immaginare che la pubblicità
possa da sola garantire la permanenza e l’espansione sul mercato a
professionisti che offrono servizi di qualità scadente. Infine, immaginare che
l’utilizzo della pubblicità da parte di operatori maggiormente dotati di risorse
finanziarie possa determinare l’espulsione dal mercato degli altri professionisti
implica una visione semplificata dell’assetto di mercato, secondo la quale lo
stesso potrebbe ospitare sostanzialmente una sola tipologia di operatori. Al
contrario, nel settore dei servizi professionali, più ancora che negli altri, risulta
verosimile immaginare una configurazione articolata dell’offerta, in cui i diversi
ambiti di specializzazione consentono la compresenza nel mercato di soggetti
con diverse caratteristiche dimensionali e organizzative.
Sostenere poi che la pubblicità produrrebbe una artificiosa stimolazione
della domanda dannosa in settori quali quello sanitario è del tutto infondato, dal
momento che si tratterebbe di una pubblicità a scopo informativo, ed è
contraddetto dalle esperienze di altri Paesi europei.
Per converso, appare evidente la logica restrittiva sottostante il divieto di
pubblicità quando si consideri che la pubblicità di carattere generale, quella che
torna a beneficio dell’intera categoria è generalmente ammessa poiché fa
aumentare la domanda aggregata per l’intera professione. Al contrario, la
pubblicità del singolo o di un ristretto gruppo di professionisti è suscettibile di
produrre effetti di redistribuzione della domanda di servizi all’interno della
professione, mettendo in discussione l’equilibrio all’interno della categoria
professionale.
Al riguardo si consideri che la possibilità di comunicare al pubblico i
vantaggi delle proprie offerte e i propri successi, verosimilmente consentirà
soprattutto ai giovani, più capaci e meritevoli, soprattutto se associati, che
ancora non godono di una vasta fama di affermarsi in tempi più rapidi. Ciò è
dimostrato dal fatto che sono proprio tali soggetti ad opporsi alle limitazioni
che restringono la possibilità di erodere quote di mercato a coloro che invece
già godono di posizioni consolidate. I nuovi professionisti sono quelli che
hanno meno da perdere dall’infrangere le regole consolidate. Essi, fintantoché
non raggiungeranno un reddito adeguato - e all’inizio dell’attività ciò è ben
difficile che accada - , saranno inevitabilmente tentati di acquisire clientela a
spesa degli altri.
241
Non stupisce pertanto che gli ordini per mantenere i propri equilibri
scoraggino qualunque strumento che determini una redistribuzione della
domanda e, quindi, dei redditi fra i professionisti.
L’esercizio in forma societaria
33. Tra gli altri vincoli all’esercizio dell’attività, per lungo tempo vi è
stato anche quello all’esercizio in comune della stessa, che era rappresentato
dal divieto posto dalla legge 23 novembre del 1939 n. 1815. Esso, tra l’altro
rendeva più difficile per i professionisti del nostro Paese fronteggiare la
concorrenza internazionale indotta dalla progressiva eliminazione delle
restrizioni alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi dei cittadini di
uno stato membro nel territorio di un altro Stato membro, in attuazione degli
art. 52 e 59 del trattato di Roma.
Tale vincolo, tuttavia, è stato recentemente rimosso dall’articolo 24 della
legge n. 266 del 7 agosto 1997 che ha abrogato l’articolo 2 della legge 23
novembre del 1939 n. 1815, ed ha delegato al Ministro di grazia e giustizia, di
concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, e per
quanto di competenza, con il Ministro della sanità, la fissazione, con proprio
decreto, entro cento venti giorni, dei requisiti per l’esercizio delle attività di cui
all’articolo 1 della legge 23 novembre del 1939 n. 1815.
34. L’intervenuta abrogazione, e, in prospettiva, l’emanazione del
regolamento attuativo, costituiscono la leva di cambiamento della forma di
esercizio delle attività professionali, in quanto, se opportunamente interpretate,
potranno consentire ai professionisti di scegliere tra le forme societarie
attualmente disponibili quella che ritengono più congeniale all’erogazione dei
propri servizi.
Al riguardo, è utile considerare che non appaiono esservi ragioni per
precludere ad alcune categorie l’esercizio della professione nella forma delle
società di capitali, più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni,
sulla base della considerazione che tali formule societarie mal si adatterebbero
ai caratteri delle professioni intellettuali. Se è indubbio che le professioni
intellettuali protette hanno delle specificità che devono essere salvaguardate,
esse impongono semmai, di prevedere, attraverso l’emanazione di una
disciplina organica della materia, alcune regole ad hoc che concilino la
peculiarità delle professioni con le nuove esigenze che si affacciano sul
mercato, in modo da consentire ai nostri professionisti di poter rispondere
adeguatamente alle sfide che saranno chiamati ad affrontare nel contesto
europeo.
In altri termini, sarebbe auspicabile che lo stimolo al cambiamento,
rappresentato dalla abrogazione del divieto di esercizio in forma societaria delle
attività professionali operato dall’articolo 24 della legge n. 266 del 7 agosto
1997, e dalla emanazione del regolamento attuativo, venisse consolidato da una
242
riforma sistematica della materia volta a raccordare le recenti innovazioni con
la disciplina codicistica delle società.
Le professioni non regolamentate
35. In Italia le forme di riconoscimento delle professioni intellettuali sono
sostanzialmente riconducibili alla disciplina prevista per le professioni protette.
Ciò dipende in una certa misura dal fatto che nel nostro Paese non sono stati
ancora elaborati sistemi alternativi di regolamentazione delle attività, sulla
scorta di quanto invece avviene in altri Paesi Europei e delle indicazioni
emergenti dalle Direttive comunitarie in materia. Infatti, le Direttive del
Consiglio 89/48 e 92/51 hanno operato un esplicito riconoscimento delle
attività professionali esercitate dai membri di un associazione o di un
organizzazione che rilasci ai propri membri un titolo di formazione, esiga da
parte loro il rispetto di regole di condotta professionale da essa prescritte e,
conferisca ai medesimi il diritto di un titolo professionale, assimilandole alle
attività c.d. regolamentate.
La carenza della predisposizione di sistemi siffatti che possano
rappresentare una alternativa alle attuali forme di riconoscimento delle
professioni protette fa sì che queste ultime rappresentino l’obiettivo al cui
raggiungimento ambiscono gran parte delle nuove professioni.
36. Giova osservare invece che l’esigenza di organizzare dei sistemi di
certificazione che rappresentino un marchio di qualità per il consumatore non
deve essere necessariamente soddisfatta attraverso l’istituzione di Albi o ordini
professionali. Da un lato infatti gli Albi e gli ordini non costituiscono lo
strumento necessario e indispensabile per conseguire tale obiettivo, e dall’altro
non si ravvisano ragioni di rilevanza pubblica che possano giustificare
l’introduzione di sistemi selettivi e limitativi sulla scorta di quanto avviene per
le professioni protette.
E’ comprensibile che, per tali professioni, si voglia creare un sistema di
certificazione di qualità idoneo a soddisfare il consumatore più esigente che
intende assicurarsi un servizio qualitativamente superiore.
In nessun caso si giustifica, tuttavia, l’adozione di una regolamentazione che
limiti sia la libertà di iniziativa economica privata dei soggetti che attualmente
operano in piena autonomia, sia la libertà di scelta del consumatore, il quale,
può preferire servizi di qualità meno elevata ma di prezzo più conveniente.
37. Si può allora ipotizzare per tali professioni un sistema di
certificazione di qualità, analogo a quello esistente in altri Paesi Europei, basato
sul riconoscimento di associazioni delle professioni non regolamentate.
Secondo tale modello i professionisti sono organizzati in associazioni la cui
finalità è di fornire una verifica costante della competenza del professionista e
243
di regolamentare le norme di comportamento. L’adozione di un sistema siffatto
concilierebbe le esigenze di coloro che aspirano ad appartenere ad una
categoria pubblicamente riconosciuta, senza precludere l’esercizio della
medesima attività da parte di coloro che non hanno le medesime aspirazioni e
garantirebbe al consumatore la possibilità di scegliere tra servizi di qualità
diverse e, verosimilmente anche di prezzi diversi.
10.4 Conclusioni
38. L’analisi compiuta mostra che il modo in cui l’istituzione ordine
professionale si incardina nell’istituzione mercato dipende strettamente dalle
modalità e dalle caratteristiche che questo assume.
Da qui la necessità di analizzare l’ordine in rapporto al mercato e non già
di procedere in direzione opposta, dando per scontato che una particolare
organizzazione, possa prescindere in tutto o in parte dal contesto in cui è
incardinata. Logica conseguenza di questo modo di procedere è l’analisi che si
è compiuta in questa indagine, ovvero il tentativo di interrogarsi sull’attualità di
alcune caratteristiche degli ordini in relazione al mercato e alla sua prevedibile
evoluzione. E’ compito del legislatore ora riscrivere i contorni dell’operatività
degli ordini, trovando con questi ultimi le forme più idonee a superare
l’intreccio poco virtuoso fra pubblico e privato che ancora oggi si riscontra. Per
quanto sia infatti innegabile che l’esercizio delle attività dei professionisti ha un
contenuto pubblico rilevante, ciò non giustifica quanto frequentemente si
sostiene, e cioè che le prestazioni professionali sarebbero largamente
indipendenti dalle dinamiche dei mercati nei quali esse vengono svolte.
39. Nello scenario che si prospetta è possibile ipotizzare che i segmenti
più ricchi della domanda verranno gradualmente conquistati da imprese estere,
ma localizzate in Italia, con cui i professionisti nazionali potrebbero incontrare
notevoli difficoltà a competere. Pertanto, l’entrata sul mercato di nuovi
operatori stranieri comporterà inevitabilmente un ridimensionamento della
porzione di mercato oggi disponibile per i professionisti nazionali ed una
concentrazione di questi ultimi su fasce diverse o comunque più limitate.
Questo percorso non è ineluttabile, ma dipende in larga misura dalla
capacità degli ordini di cogliere appieno le occasioni innovative e di riforma
che si presentano e di comprendere che per primi devono liberarsi di quegli
impedimenti regolamentari che ostacolano la loro capacità di competere in un
mercato aperto.
40. Nel ridisegnare gli ambiti in cui operano le funzioni attribuite agli
ordini, occorre:
a) rivisitare l’attribuzione delle attuali riserve alla luce dell’evoluzione
dei mercati e dei loro attuali assetti, nel convincimento che alcune di esse non
244
appaiono più appropriate e funzionali alle esigenze della domanda e rischiano
di apparire oggi come privilegi a favore delle categorie interessate. Utili
riflessioni al riguardo emergono dalla comparazione svolta nel corso
dell’indagine dei diversi, e più circoscritti, ambiti di riserva esistenti in altri
Paesi Europei.
b) eliminare quelle funzioni che non rivestono alcuna importanza ai fini
del corretto svolgimento della professione, quali la potestà tariffaria, in quanto
dirette esclusivamente al conseguimento di finalità anticoncorrenziali e non
necessarie, né proporzionate rispetto al conseguimento degli obiettivi di natura
pubblica.
c) valorizzare quelle funzioni svolte dagli ordini che rispondono alle
esigenze di affidamento dei terzi e di correttezza nello svolgimento delle
attività. La funzione attribuita agli ordini di emanare un corpo di norme
deontologiche, dovrebbe essere limitata agli aspetti propriamente etici o alla
eliminazione dei comportamenti suscettibili di determinare una sfiducia dei terzi
nella categoria e non piuttosto finalizzata all’imposizione di restrizioni
concorrenziali tra i professionisti.
d) rendere l’attività degli ordini sempre più funzionale al miglioramento
della qualità delle prestazioni, potenziando la funzione, oggi esercitata in modo
piuttosto limitato, di monitoraggio della rispondenza nel tempo delle capacità
professionali alle esigenze della domanda. Non vi è dubbio che un ordine
professionale che assuma su di sé le funzioni di certificare la qualità delle
prestazioni dei propri aderenti, che si attrezzi per fornire loro
quell’aggiornamento di tecniche e contenuti che consentono di migliorare il
livello qualitativo delle prestazioni, diventi un punto di riferimento
imprescindibile per coloro che esercitano una attività professionale. Pertanto, il
controllo più utile che l’ordine può effettuare sull’esercizio dell’attività e a
garanzia della qualità delle prestazione erogate dagli iscritti, è quello relativo
all’aggiornamento e alla formazione costante e continua dell’attività, nonché
alla verifica della permanenza di requisiti professionali al passo con gli sviluppi
della disciplina.
41. La revisione delle norme che disciplinano l’esercizio dell’attività
professionale porterà a dei risultati positivi se farà suo il principio che il
conseguimento delle finalità pubbliche non è affatto incompatibile con la
sottoposizione delle attività dei professionisti alle regole del mercato e della
concorrenza, ed anzi quest’ultima può solo contribuire a rendere più efficiente
il sistema. Peraltro, anche laddove la regolamentazione è necessaria essa va in
ogni caso collegata in modo diretto e chiaro con l’unico principio che la
giustifica, ovvero il raggiungimento di un maggiore benessere per la collettività.
245
PARTE SECONDA: LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI
PROFESSIONALI - ASPETTI SETTORIALI
3. La regolamentazione delle professioni giuridiche
3.1 I notai
3.1.1
3.1.2
3.1.3
3.1.4
3.1.5
3.1.6
3.1.7
3.2
Le attività notarili
Modalità di accesso all’attività notarile
Gli standard qualitativi delle prestazioni notarili
Le tariffe
Forme di (auto)regolamentazione
Spunti comparatistici
Conclusioni
Gli avvocati
3.2.1
3.2.2
3.2.3
3.2.4
3.2.5
3.2.6
3.2.7
Le attività forensi
Modalità di accesso
Gli standard qualitativi delle prestazioni forensi
Le tariffe
Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
Confronto internazionale
Conclusioni
4. La regolamentazione delle professioni economico contabili
4.1 I dottori commercialisti e i ragionieri
4.1.1 Le attività dei dottori commercialisti e dei ragionieri
4.1.2 Modalità di accesso
4.1.3 Gli standard qualitativi delle prestazioni dei dottori commercialisti e dei
ragionieri
4.1.4 Le tariffe
4.1.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
4.2
I consulenti del lavoro
4.2.1
4.2.2
4.2.3
4.2.4
4.2.5
4.3
Le attività dei consulenti del lavoro
Modalità di accesso
Gli standard qualitativi delle prestazioni dei consulenti del lavoro
Le tariffe
Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
Conclusioni
5. La regolamentazione delle professioni sanitarie
5.1 I farmacisti
5.1.1
5.1.2
5.1.3
5.1.4
5.1.5
5.1.6
L’attività farmaceutica
Modalità di accesso all’attività
Regolamentazione numerica degli esercizi
Gli standard qualitativi delle prestazioni dei farmacisti
Le tariffe
Altre forme di regolamentazione
2
5.1.7 Confronto internazionale
5.1.8 Conclusioni
5.2 I medici
5.2.1 La professione medica
5.2.2 Modalità di accesso alla professione di medico-chirurgo e di
odontoiatra
5.2.3 Gli standard qualitativi delle prestazioni mediche
5.2.4 Le tariffe delle prestazioni mediche
5.2.5 Forme di regolamentazione
5.2.6 Altre forme di regolamentazione all’esercizio dell’attività
5.2.7 Profili comparatistici
5.2.8 Conclusioni
6. La regolamentazione delle professioni tecniche
6.1 Gli ingegneri e gli architetti
6.1.1 Le attività degli ingegneri e degli architetti
6.1.2 Modalità di accesso
6.1.3 Gli standard qualitativi delle prestazioni degli ingegneri e degli
architetti
6.1.4 Le tariffe
6.1.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
6.1.6 Confronto internazionale
6.2 I geometri
6.2.1
6.2.2
6.2.3
6.2.4
6.2.5
6.3
Le attività dei geometri
Modalità di accesso e standard qualitativi delle prestazioni
Le tariffe
Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività
Spunti comparatistici
Conclusioni
PARTE TERZA: NUOVE CONFIGURAZIONI DELL’OFFERTA DEI SERVIZI
PROFESSIONALI - INTERESSI EMERGENTI E PROBLEMI APERTI
7. Le professioni non regolamentate
7.1 Sviluppo delle professioni non regolamentate
7.2
L’autoregolamentazione delle professioni non regolamentate
7.3
Forme di riconoscimento in ambito comunitario
7.4
Conclusioni
8. Attività libero-professionale e alle dipendenze
8.1 La regolamentazione
3
8.2
Necessità e proporzionalità delle diverse forme di incompatibilità
9. Le società tra professionisti
9.1 L’abrogazione del divieto imposto dalla legge 23 novembre 1939
n. 1815.
9.2
La ratio del divieto posto dalla legge del 1939
9.3
L’associazione professionale
9.4
Le società esistenti
9.5
Regimi speciali
9.6
La posizione degli Ordini e le proposte di revisione normativa
9.7
Profili comparatistici
9.8
Conclusioni
10. Considerazioni conclusive
10.1 Premessa
10.2 Regolamentazione delle professioni e mercato
10.3 Gli strumenti di regolamentazione
10.4 Conclusioni
ALLEGATI
A. - Avvio dell’indagine conoscitiva (IC15)
Provvedimento n. 2523 dell’ 1 dicembre 1994
B. -
Chiusura dell’indagine conoscitiva (IC15)
Provvedimento n. 5400 del 3 ottobre 1997
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