1 INDAGINE CONOSCITIVA NEL SETTORE DEGLI ORDINI E
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1 INDAGINE CONOSCITIVA NEL SETTORE DEGLI ORDINI E
INDAGINE CONOSCITIVA NEL SETTORE DEGLI ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI INDICE PARTE PRIMA: LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI ASPETTI GENERALI 1. Le professioni intellettuali protette - inquadramento giuridico 1.1 Le professioni e la legge a tutela della concorrenza 1.2 Le professioni protette 1.2.1 Definizione di professione protetta 1.2.2 Il rapporto Stato-professioni protette. Cenni alle origini storiche 1.3 Organizzazione delle professioni 1.3.1 La struttura degli ordini 1.3.2 Funzioni e poteri 1.4 I principali strumenti di regolamentazione 1.4.1 Le tariffe 1.4.2 Le esclusive di attività 2. La regolamentazione dei servizi professionali - analisi economica 2.1 Caratteristiche dei servizi professionali e motivazioni degli interventi di regolamentazione 2.1.1 Asimmetrie informative 2.1.2 Forme di selezione avversa 2.1.3 Effetti esterni ed efficienza 2.2 Forme di regolamentazione 2.2.1 Requisiti minimi di capitale umano 2.2.2 Standard relativi alla qualità della prestazione 2.2.3 I minimi tariffari 2.3 Autoregolamentazione: costi e benefici 2.4 Conclusioni 1 PARTE PRIMA LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI ASPETTI GENERALI 5 CAPITOLO PRIMO: LE PROFESSIONI PROTETTE-INQUADRAMENTO GIURIDICO INTELLETTUALI 1.1 Le professioni e la legge a tutela della concorrenza 1. L’applicazione alle libere professioni della normativa posta a tutela della concorrenza presuppone che l’esercizio della professione intellettuale sia assimilabile all’attività di “impresa”. 2. Contro siffatta assimilazione, e, più in generale, a favore della sottrazione delle attività professionali all'applicazione delle regole della concorrenza, viene tradizionalmente sostenuto che l'operare dei meccanismi di mercato nel settore delle professioni non garantirebbe la massimizzazione del benessere sociale, il cui perseguimento giustificherebbe invece l’introduzione di svariati strumenti di regolamentazione concernenti tra l’altro l’accesso alla professione, le tariffe, la pubblicità. 3. Viene inoltre ricordato che tale impostazione è stata recepita dal codice civile, che conferisce al professionista intellettuale protetto uno status diverso da quello dell'imprenditore, tenuto conto del fatto che il codice stesso disciplina le professioni intellettuali in un capo distinto e mediante norme peculiari (artt. 2229-2238 c.c.), e in particolare che, ai sensi dell'art. 2238 c.c.1, le attività professionali non sono legislativamente considerate quali attività imprenditoriali. Tale norma escluderebbe infatti che l'attività professionale costituisca impresa e, conseguentemente, che ad essa siano applicabili le norme sull'impresa, a meno che l'esercizio della professione rappresenti un elemento di un'attività organizzata in forma di impresa. 4. Giova innanzitutto osservare che l’assimilazione dell’attività svolta dai professionisti intellettuali all’attività di impresa rappresenta un principio ormai consolidato nel diritto comunitario della concorrenza. Al riguardo le ripetute iniziative intraprese dalla Comunità, a livello normativo e giurisprudenziale, ispirate al principio dell'applicabilità delle norme antitrust anche al settore delle libere professioni appaiono senz'altro costituire, in ambito nazionale, un imprescindibile punto di riferimento. 1 L’articolo stabilisce che “ se l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II. In ogni caso se l’esercente una professione intellettuale impiega sostituti e ausiliari, si applicano le disposizioni delle sezioni II, III, e IV del capo I del titolo II”. 6 5. Come è noto, tali iniziative trovano il loro presupposto nell'ampia nozione di impresa adottata a livello comunitario, secondo la quale, nel contesto del diritto della concorrenza, si qualifica come impresa qualsiasi entità che esercita un'attività economica a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento2. E’ dunque l’attività economica svolta a rilevare e ciò in relazione agli obiettivi che l’ordinamento comunitario persegue. Pertanto, ove si consideri che il diritto della concorrenza è diretto a regolare l’azione sul mercato di qualsiasi soggetto economico, in quanto esso è idoneo ad alterare il funzionamento del mercato, trova giustificazione un’interpretazione funzionale a tale obiettivo che conferisce rilevanza a tutte le entità che agiscono sul mercato, prescindendo dalla forma giuridica che rivestono. L’impresa assume, in tale ambito, carattere relativo e strumentale in ordine all’applicazione delle regole della concorrenza. La linea interpretativa seguita in sede comunitaria prescinde quindi da una precisa categorizzazione giuridico formale del concetto e privilegia l'aspetto funzionale dell'impresa dando rilevanza predominante, ai fini della qualificazione della fattispecie giuridica, all'esercizio dell'attività economica, ossia a quella attività consistente nell'offerta di beni e servizi. In altri termini, l’attività diventa economica e qualifica l’impresa quando è in grado di incidere sul mercato e dunque quando lo stesso mercato è configurabile. Tale concetto di impresa risulta senz'altro idoneo a comprendere anche le attività degli esercenti le professioni intellettuali, incluse quelle protette, in quanto si sostanziano nell'erogazione di servizi a fronte di un corrispettivo3. 6. Peraltro, l'equiparazione delle libere professioni al trade or commerce, con conseguente soggezione delle prime alle norme antitrust, era già stata affermata negli Stati Uniti4. Sicché può dirsi che la giurisprudenza comunitaria 2 Cfr. Corte Giust. 23 aprile 3Cfr. L. Di Via, L’impresa, 1991, Hofner, Elser/Macroton. in Diritto Privato Europeo, Padova, 1997, il quale sottolinea che il Parlamento europeo, come si deduce dalla XIX e XX Relazione sulla politica della concorrenza ha invitato la Commissione a promuovere la concorrenza nel settore delle libere professioni. Le prime decisioni formali della Commissione in questo senso riguardano gli spedizionieri doganali italiani (decisione del 30 giugno 1993, Consiglio Nazionale Spedizionieri Doganali) e gli agenti di brevetto spagnoli (decisione del 31 gennaio 1995, Coapi). Con riferimento a quest’ultimo caso, la Commissione, proprio in relazione ad una figura professionale, quella dei consulenti in proprietà industriale, prevista dalla legge spagnola, ha precisato che "Gli API (agentes de la propietad industrial) prestano i loro servizi in modo stabile e retribuito. Il fatto che essi costituiscano una libera professione regolamentata (.....), che le prestazioni abbiano carattere intellettuale, tecnico o specializzato e siano fornite su base personale e diretta non cambia nulla alla natura di attività economica". 4 In U.S. Supreme Court no. 74-70, June 16, 1975, Lewis Goldfarb et ux. v. Virginia State Bar, si afferma che la disposizione del § 1 dello Sherman Act non contiene eccezioni. In particolare, “lo Sherman Act è applicabile nei confronti di ogni persona impegnata negli affari la cui attività potrebbe restringere o monopolizzare gli scambi economici tra gli Stati. Nel mondo moderno non si può negare che l’attività di avvocato gioca un ruolo importante negli scambi economici e che le pratiche anticoncorrenziali tra avvocati possono costituire una restrizione al commercio”. 7 si è fatta portatrice, in questa materia, di un modo di sentire che tende a generalizzarsi nel mondo contemporaneo. 7. Va detto inoltre che alcuni Paesi membri dell’Unione stanno eliminando progressivamente i vincoli che la normativa poneva alla libera iniziativa economica in questo settore5. 8. Assume rilievo, a questo punto, il disposto di cui all'art. 1, comma 4, della legge n. 287/90, secondo il quale le norme di questa legge vanno interpretate in base ai principi dell'ordinamento delle comunità europee in materia di disciplina della concorrenza. Il che comporta che al concetto d'impresa non potrebbe esser dato, nell'interpretazione di detta legge, un significato diverso da quello accolto in ambito comunitario. Ne deriva che, quale che sia il concetto di impresa già vigente nel diritto interno e quale che sia in esso la condizione giuridica dei professionisti intellettuali protetti, questi ultimi vanno considerati quali imprese, agli specifici effetti della legge n. 287/19906. L’assimilazione della libera professione al concetto di impresa appare infatti consona con la ratio che sottende la legge n. 287/90, la quale essendo volta a garantire l’assetto concorrenziale del mercato concerne chiunque, a prescindere dal suo status giuridico, per il solo fatto di proporsi come fonte di soddisfacimento dei bisogni, vi operi attivamente e contribuisca alla definizione del suo equilibrio7. 5 Cfr. L. Di Via, cit., 278, il quale mette in luce che, nel Regno Unito, ad esempio, “già nel 1970 la Merger and Monopolies Commission (MMC) ha affermato che la fissazione collettiva delle tariffe degli onorari, i divieti di pubblicità, il divieto di esercitare la professione nella forma della società a responsabilità limitata, il divieto di associarsi con altri professionisti costituiscono pratiche suscettibili di essere contrarie all’interesse pubblico (The Monopolies Commission, A report on the general effect on the public interest of certain restrictive practices so far as they prevail in relation to the supply of professional service, London, October, 1970)”. Dopo questo intervento alcune professioni, a volte volontariamente altre sollecitate, hanno iniziato a modificare le loro pratiche. Tra le iniziative più recenti è utile inoltre ricordare l’emanazione, in Spagna della legge 14 aprile 1997 n. 7, recante alcune importanti modifiche della regolamentazione dell’attività dei professionisti, in particolare in tema di tariffe, volte a sottoporre tale attività alle norme a tutela della concorrenza. 6 Cfr. F. Galgano, G. Schiano di Pepe, Parere per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato intorno alle libere professioni intellettuali, 1996. 7 A queste conclusioni l’Autorità era già giunta in altre occasioni. In particolare la Federazione Italiana Vela è stata qualificata come impresa dal punto di vista economico e assoggettata alla legge n. 287/90, in virtù del fatto che la sua attività non consiste solo nell’esercizio di poteri regolamentari ma comporta anche l’assunzione di scelte economiche relative al reperimento e alla distribuzione dei finanziamenti (Provvedimento del 18 novembre 1992, Aici-Fiv). L’Autorità inoltre ha già assoggettato alle regole della concorrenza le professioni intellettuali, nel provvedimento del 14 dicembre 1994, Tariffe Amministratori di Condomini, nel quale sono stati considerati imprese gli amministratori di condomini, i quali esercitano un’attività svolta anche dai geometri. Al riguardo il TAR del Lazio, con decisione del 25 ottobre 1995, nel rigettare il ricorso proposto contro la citata decisione dell’Autorità, ha condiviso la definizione di impresa risultante dal diritto comunitario e riferita a tutti i soggetti che svolgono attività economica e che, quindi, siano attivi su un determinato mercato. 8 9. Atteso che l’assimilazione della professione intellettuale all’attività d’impresa appare perfettamente coerente con la nozione d’impresa adottata in ambito comunitario, è importante sottolineare altresì che l’adozione di una nozione funzionale di impresa non solo non si pone in contrasto con il nostro ordinamento, ma nemmeno rappresenta una novità nell’ambito dello stesso. Con riferimento alla nozione di impresa prevista dal nostro codice va considerato innanzitutto che il legislatore del ‘42 “nel dettare la disciplina dell’impresa non si è preoccupato di riconoscere e regolare l’entità economica come struttura giuridica autonomamente rilevante”, quanto “di individuare l’impresa nel suo profilo dinamico, come attività, al solo fine di risalire al soggetto che la svolge, così da poter determinare la disciplina (....) cui questi soggiace”8. Pertanto, anche in base al nostro ordinamento la ricostruzione della nozione d’impresa in termini unitari non è agevole, dal momento che la legislazione speciale non ha mancato di assumere spesso la nozione d’impresa in un’accezione differente o comunque in base ad elementi che non coincidono con quelli che concorrono a delineare la fattispecie codicistica9. Si tenga infatti presente che i requisiti posti dall’art. 2082 c.c. sono i requisiti rilevanti ai fini della nozione civilistica di imprenditore, ai fini cioè dell’applicazione delle norme di diritto privato che fanno riferimento all’impresa e all’imprenditore o a figure qualificate. Pertanto, “le nozioni giuridiche di impresa e di imprenditore elaborate in altri settori del diritto non coincidono puntualmente con quella fissata dall’art. 2082”10. Ciò è spiegato dal fatto che il legislatore, in funzione degli interessi che nelle singole circostanze appaiono meritevoli di protezione può dare una ricostruzione diversa di uno stesso fenomeno che, tuttavia, continua ad essere designato con espressioni fondamentalmente identiche. “Non esiste quindi la nozione di impresa, ma esistono in diritto le nozioni di impresa (civilistica, tributaria, comunitaria) dettate in funzione degli specifici assetti normativi regolati e degli specifici interessi cui si intende dare sistemazione”11. Con questo non si intende rinnegare la validità della 8 Cfr. G. Guizzi, Il concetto di impresa tra diritto comunitario, legge antitrust e codice civile, in Riv. Dir. Comm., n. 3-4, 1993, 287. 9 In questo senso si è espresso G.F. Campobasso, Diritto Commerciale: diritto dell’impresa, Torino 1986, 27 il quale per spiegare i rapporti tra la definizione di impresa e quelle emergenti dalle leggi speciali appunto sottolinea che “i requisiti posti dall’art. 2082 sono i requisiti rilevanti ai fini della nozione civilistica ... e dunque solo tendenzialmente coincidenti con quelli autonomamente fissati da altri settori dell’ordinamento” pervenendo dunque, alla luce di tali premesse alla conclusione che “non esiste una nozione giuridica d’impresa ...ma solo le nozioni giuridiche d’impresa”. 10 Così G.F. Campobasso, cit., 27. 11 Così G.F. Campobasso, cit., Torino, 27. Al riguardo non si è mancato di sottolineare come la necessità di far fronte alle nuove esigenze emergenti e di assicurarvi adeguata protezione abbia determinato il moltiplicarsi di leggi speciali che sempre più spesso si pongono non come “specificanti” ma piuttosto come leggi “decodificanti” che consentono legittimamente 9 definizione del codice come definizione tendenzialmente generale della realtà giuridica dell’impresa, ma riconoscere che gli elementi che la compongono non sempre hanno il medesimo grado di significatività quale presupposto per l’applicazione delle diverse discipline e prendere atto che le istanze che giustificano il ricorso ad una certa normativa possono essere meritevoli di tutela per la sola presenza di alcuno di questi elementi. In sostanza, nell’applicazione delle norme che concernono l’impresa appare necessario non limitarsi ad un accertamento della mera rispondenza formale della realtà concreta con la fattispecie astratta, ma procedere ad una interpretazione teleologica. 10. Al riguardo pertanto, occorre considerare il fatto che la finalità perseguita dalla legge n. 287/90 non si esaurisce nella tutela della concorrenza come aspetto della libertà di iniziativa economica del singolo individuo, ma riguarda la difesa di tale regime economico come il più idoneo a soddisfare esigenze della collettività. A tal fine, la normativa prende in considerazione normalmente atti provenienti da imprese nel significato codicistico del termine, ma può riguardare anche atti economicamente rilevanti che, pur non realizzati da imprese quali risultano dalla definizione codicistica del termine, presentano però eguale capacità di alterazione dell’equilibrio del mercato. In sostanza, si tratta di un processo di adattamento della fattispecie compiuto dall’interprete in considerazione delle finalità della legge che si intende applicare e che consente di pervenire ad una definizione del fenomeno che permette di dare un’adeguata protezione agli interessi che il legislatore ha ritenuto meritevoli di tutela12. Pertanto, poiché l’adozione di una nozione di impresa funzionale ad uno specifico interesse non è una novità nel nostro ordinamento giuridico, la nozione ampia di impresa adottata ai fini della tutela delle norme poste a tutela della concorrenza non si pone assolutamente in contrasto con lo stesso. 11. Infine, a prescindere dalle considerazioni fino ad ora svolte, va comunque osservato che l’assimilazione della professione intellettuale all’impresa non si pone necessariamente in contrasto con la generale nozione d’impresa dettata dal codice civile all’art. 208213, poiché quest’ultima è già di per sè idonea a comprendere l'attività dei professionisti intellettuali. La nozione di ricostruire la fenomenologia giuridica secondo una logica eterodossa rispetto a quella del Codice. Cfr. N.Irti, Leggi speciali (dal mono sistema al poli sistema), in Riv Dir. Civ. 1979, 141 ss.; L’età della decodificazione, Milano, 1979; e, da ultimo, La cultura del diritto civile, Torino, 1990. 12 Così G. Guizzi, cit. 13Secondo tale articolo "E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi". 10 di impresa in genere, desumibile da quella di imprenditore, risulta infatti estremamente ampia. Al riguardo, l’art. 2082 c.c., che apre il capo I- concernente l’impresa in generale- del titolo II, definisce l’imprenditore come colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. A ben vedere nell’esercizio della professione intellettuale sono presenti tutti i quattro requisiti in cui viene tradizionalmente scomposta la nozione civilistica per l’identificazione della figura dell’imprenditore e quindi, dell’impresa in genere: la professionalità, l’attività economica, l’organizzazione, il fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. L’esercizio di una attività intellettuale infatti può (ed anzi lo è normalmente) essere svolto con professionalità, con tale intendendosi l’esercizio abituale e non occasionale di una data attività; ha ad oggetto una attività economica, ovvero una attività condotta con metodo economico, secondo modalità cioè che consentano la copertura dei costi con i ricavi; è attività organizzata, come tale intendendosi l’attività di programmazione e di coordinamento della serie di atti in cui essa si sviluppa, ovvero l’impiego coordinato di fattori produttivi (capitale e lavoro) propri e/o altrui14; è infine attività produttiva di servizi, potendo le opere e le prestazioni intellettuali essere annoverate tra i beni e i servizi ed essendo irrilevante ai fini della qualificazione di una attività come produttiva la natura dei beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare. Il vasto concetto di impresa contenuto nell’art. 2082 c.c. prescinde quindi dallo status particolare del soggetto ed è suscettibile di ricomprendere anche l’esercizio delle professioni intellettuali, trattandosi di attività economiche esercitate professionalmente ed organizzate per la produzione e lo scambio di servizi. Pertanto, l'adattamento del diritto interno al diritto comunitario non comporta in questo caso una modificazione delle categorie ordinanti del sistema codicistico. 12. Nè per escludere professionisti intellettuali dal novero degli imprenditori possono essere addotte le norme di cui all’art. 2232 c.c. 14 L’organizzazione imprenditoriale può essere anche organizzazione di soli capitali e del proprio lavoro intellettuale e/o manuale. Parte della dottrina fa poi esplicito riferimento alla figura del piccolo imprenditore, delineata dall’art. 2083 cc. dove è considerato imprenditore colui che esercita un’attività organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, per affermare che è imprenditore anche chi si limita ad organizzare il proprio lavoro senza impiegare nè lavoro altrui nè capitali. In questo senso, W. Bigiavi, La piccola impresa, Milano, 1947, F. Galgano, Diritto commerciale I, Bologna, 1982, M. Bione, L’impresa ausiliaria, Padova, 1971 e P.G. Jaeger, La nozione d’impresa dal codice allo statuto, Milano 1985. 11 sull’esecuzione personale delle prestazioni del professionista o all’art. 2233 c.c. sulle caratteristiche forme e misure di compenso. Tali norme non attengono ai criteri di individuazione del soggetto rilevante per l’applicazione della disciplina, ma alla particolare disciplina prevista per un determinato soggetto. Non è infatti in base alla forma di remunerazione di cui all’art. 2233 c.c. che si stabilisce se un soggetto è professionista o imprenditore, bensì si applica la forma di remunerazione di cui all’art. 2233 c.c. a chi sia professionista intellettuale. 13. Da ultimo, c’è, ed è già stato ricordato, l’articolo 2238 c.c.. A ben guardare, tuttavia, tale norma si limita ad escludere implicitamente l’applicazione di una disciplina, quella dello statuto dell’imprenditore, ai professionisti intellettuali, ma da ciò non si può inferire necessariamente anche la negazione della qualificazione giuridica della fattispecie di imprenditore. Al riguardo, la norma al primo comma dispone che “se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II” (il richiamo dell’intero titolo II rende applicabili anche le disposizioni del capo III, relative all’imprenditore commerciale) e al secondo comma che “in ogni caso, se l’esercente una professione intellettuale impiega sostituti o ausiliari, si applicano le disposizioni delle sezioni II,III e IV del titolo II”, concernenti i rapporti di lavoro e il tirocinio (non è richiamata quindi la sezione I nella quale è compreso l’art. 2082 c.c. che definisce l’imprenditore). Da tale norma si è invece desunta altresì la negazione implicita della qualità di imprenditori ai liberi professionisti che diverrebbero imprenditori solo se e in quanto la professione intellettuale sia esplicata nell’ambito di altra attività di per sè qualificabile come impresa rispetto alla quale l’esercizio della professione si ponga quale semplice “elemento”(primo comma), mentre il professionista intellettuale che si limiti a svolgere la propria attività non diverrebbe mai imprenditore, neanche nell’ipotesi in cui si avvalga di una vasta schiera di collaboratori e di un complesso apparato di mezzi materiali dando vita ad una organizzazione complessa di capitale e lavoro (secondo comma). In questo secondo caso infatti si applicano al professionista le norme che disciplinano il lavoro nell’impresa ma non la restante disciplina dell’impresa. Sulla scia di quanto autorevolmente sostenuto da F. Galgano15, è ben possibile opporre a tale interpretazione la considerazione che, se da tale norma appare scontata un’esclusione implicita dell’applicazione della disciplina 15 Cfr. F. Galgano, G. Schiano di Pepe, cit. 12 dell’imprenditore ai professionisti intellettuali, non altrettanto scontata appare anche la negazione della loro qualità di imprenditori. Anzi, se i professionisti intellettuali non potessero comunque rientrare in tale fattispecie, in quanto carenti dei requisiti, non vi sarebbe alcuna necessità di negare implicitamente l’applicazione della disciplina dell’impresa all’esercizio della loro attività. La esenzione stabilita dall’art. 2238 c.c. ha senso proprio perché in sua assenza le caratteristiche della fattispecie avrebbero potuto comportare anche l’applicazione dello statuto dell’imprenditore ai professionisti intellettuali nell’esercizio della loro professione, circostanza che il legislatore ha voluto evitare attribuendo, in virtù di considerazioni di carattere storico e sociologico, ad un determinato ceto un particolare privilegio, consistente nell’immunità rispetto allo statuto dell’imprenditore e nella previsione di una disciplina ad hoc. Tale immunità deriverebbe dalla tradizione, che ha sempre differenziato l'esercente le professioni liberali dal commerciante, tenuto conto della condizione e della considerazione sociale dell'uno e dell'altro, nonché dalla volontà del legislatore di sottrarre i professionisti intellettuali all’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale16 17. 14. L’esenzione concessa ai professionisti intellettuali è del resto circoscritta al solo esercizio della professione intellettuale, proprio perché la disciplina ad hoc prevista per tale esercizio è considerata dal legislatore necessaria e sufficiente per tutelare gli interessi e i rapporti che esso mette in gioco. Quando invece l’oggetto dell’attività esercitata dal libero professionista va oltre le prestazioni intellettuali, la disciplina prevista per le professioni intellettuali è pur sempre necessaria con riguardo a tali prestazioni, ma non è più sufficiente con riguardo alle ulteriori attività che vengano esercitate. Questo tuttavia non significa che la prima attività non abbia le caratteristiche elencate nell’art. 2082 c.c. e che le abbia invece la seconda, bensì che la prima attività usufruisce di un privilegio ed è esentata dall’applicazione della disciplina relativa all’impresa e la seconda invece non ne è esentata. Al riguardo deve essere ulteriormente osservato che la norma prevede anche l’applicabilità delle disposizioni sull’impresa “se l’esercizio della 16 Sulla concessione di un privilegio concordano F. Farina, Esercizio di professione intellettuale ed organizzazione ad impresa, in Impresa e società. Scritti in memoria di A. Graziani, V, Napoli, 1968, V. Buonocore, Fallimento e Impresa, Napoli, 1969 e G.F. Campobasso, già citato. Nello stesso ordine di idee, T. Ascarelli, Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano 1962, F. Galgano Diritto commerciale, cit., e G. Cottino, Diritto commerciale, I, Padova, 1979. 17 A ciò si aggiunga che il legislatore dell’epoca avvertiva come particolarmente importante la necessità di sottrarre i professionisti a una disciplina dell’impresa incentrata su un particolare regime di responsabilità dell’imprenditore verso lo Stato per l’osservanza della disciplina corporativa della produzione, che oggi non ha più ragion d’essere. 13 professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa” e non “se l’attività del professionista è organizzato in forma di impresa”. Da ciò si può desumere che la norma non vuole affatto significare che in questa ipotesi la professione intellettuale si trasforma da non impresa a impresa, in quanto se così fosse la formula adottata avrebbe fatto propendere per una sostituzione tout court della disciplina dell’impresa a quella prevista per l’esercizio della professione intellettuale. L’attività del professionista intellettuale rimane invece pur sempre distinta e disciplinata dalle norme relative alle professioni intellettuali, e non viene sostituita dalla disciplina dell’impresa, ma affiancata ad essa. In altri termini l’attività professionale rimane pur sempre “esentata” dall’applicazione della disciplina sull’impresa e continua a beneficiare di per sè di una disciplina ad hoc, mentre la disciplina sull’impresa si rende in questo caso applicabile congiuntamente perché il professionista intellettuale svolge anche altre attività che non godono di tale beneficio18. 15. In conclusione, l’assoggettamento dei professionisti intellettuali alle norme poste a tutela della concorrenza in quanto esercitano un’attività che può essere qualificata impresa trova un sicuro fondamento nel diritto comunitario, al quale quelle norme si devono informare, e non è contraddetta dal codice civile. E tale conclusione non implica in nessun modo una scarsa considerazione delle peculiarità dei mercati dei servizi professionali, quanto piuttosto il riconoscimento che tali specificità, se pure hanno giustificato in passato l’esenzione del settore da alcune discipline, non costituiscono tuttavia fattori di automatica e generale sottrazione alle stesse regole della concorrenza. Peraltro, proprio le distintive caratteristiche dei servizi professionali inducono ad effettuare una accurata verifica in relazione agli interessi pubblici e privati che l’attuale regolamentazione delle professioni intellettuali si propone di tutelare ed in particolare inducono a valutare in che misura sia ancora giustificabile la tutela di tali interessi, soprattutto di quelli esclusivamente di categoria, verificando a qual punto e in quali casi la difesa degli stessi è suscettibile di determinare distorsioni concorrenziali e non consente di conseguire le finalità di interesse generale sottese alla legge n. 287/90. Tali valutazioni si impongono anche in considerazione della tendenza, da parte di un sempre maggior numero di professioni emergenti, ad acquisire una regolamentazione pubblicistica, sulla falsariga di quella stabilita per le professioni protette. 18 E’ il caso del farmacista, al quale vengono applicate sia le norme sulla professione intellettuale in quanto svolgente tale attività, sia quelle sulla disciplina dell’impresa, in quanto svolgente anche un’attività commerciale. 14 I criteri di natura generale per effettuare tale valutazione verranno esplicitati nel capitolo successivo, riguardante le caratteristiche dei servizi professionali e la possibile ratio degli strumenti di regolamentazione pubblica e di autoregolamentazione più frequentemente riscontrabili nel settore. Prima di analizzare tali aspetti, tuttavia, appare opportuno accennare brevemente all’evoluzione nel tempo del rapporto Stato-professioni, chiarendo in tal modo il processo attraverso il quale sono stati attribuiti poteri di autogoverno alle categorie professionali e si è giunti alla loro attuale regolamentazione. 1.2 Le professioni protette 1.2.1 Definizione di professione protetta 16. La presente indagine si riferisce in particolare alle professioni intellettuali il cui esercizio è subordinato all'iscrizione in albi o elenchi e all'appartenenza ad enti, denominati ordini o collegi professionali. Tali professioni vengono anche generalmente indicate con la locuzione "professioni protette" e sono disciplinate dal legislatore nell’ambito del capo II, tit. III, libro V del Codice Civile, intitolato alle “professioni intellettuali”, che si riferisce a quell’attività autonoma tradizionalmente qualificata con l’espressione “professione liberale”. L’oggetto della disciplina dettata dal citato complesso di norme è rappresentato da una attività umana qualificata per la presenza di due requisiti, la professionalità, intesa sotto il profilo della continuità del suo esercizio, e l’intellettualità, intesa come espressione della produzione intellettuale del soggetto che risulta preminente e determinante in tale attività19. La previsione normativa rispetto a tali attività è aperta, nel senso che l’iscrizione all’albo non è imposta per tutte le professioni intellettuali, ma solo per alcune attività espressamente previste dalla legge. 1.2.2 Il rapporto Stato-professioni protette. Cenni alle origini storiche 17. Nel sistema italiano lo Stato si è posto come agente di legittimazione delle professioni intellettuali attraverso le leggi di regolamentazione professionale emanate a partire dal 1874. Infatti solo quelle riconosciute per 19 Sotto questo profilo appare agevole definire le linee di differenziazione della prestazione di opera intellettuale dalla prestazione consistente nel compimento di un opera o di un servizio dietro corrispettivo (art. 2222 c.c.) per il fatto che nella prima ipotesi l’elemento qualificante dell’opera deve essere ricercato nella sua natura di creazione intellettuale; nella seconda invece tale elemento va individuato nel conseguimento di un risultato materiale. 15 legge e per le quali la legge indica i requisiti indispensabili all’esercizio (formazione, controllo dell’accesso, iscrizione all’albo) sono professioni considerate protette. Lo Stato inoltre ha esercitato i propri poteri per combattere l’abusivismo e per dare riconoscibilità sociale all’utilità e all’esclusività di quei professionisti provvisti delle credenziali richieste. Inoltre, nel corso tempo, lo Stato ha contribuito a creare una gerarchia delle libere professioni tramite processi selettivi e di esclusione che hanno valorizzato e privilegiato, a seconda del periodo storico, ora l’una ora l’altra professione, modificandone lo status e il rapporto con la società. Nel periodo postunitario la selezione privilegiò i professionisti del diritto che per quasi quarant’anni furono i soli ad avere una legge di inquadramento sul piano nazionale. Il fascismo dal canto suo, valorizzò i tecnici (ingegneri, architetti, commercialisti) affermando attraverso il loro riconoscimento giuridico la loro utilità sociale e valorizzando le loro credenziali attraverso la trasformazione delle scuole superiori in istituti universitari. 18. Si può inoltre osservare che il rapporto Stato-professioni è stato caratterizzato da un lato dal potere di selezione esercitato dallo Stato, dall’altro dalle pressioni da parte dei gruppi professionali al fine di ottenere riconoscimenti e privilegi legislativi idonei ad incrementare la rilevanza delle professioni nel tessuto sociale. Se infatti la decisione di emanare la prima normativa professionale, quella forense, partì dallo Stato, è pur vero che la maggior parte dei membri del Parlamento dell’epoca erano avvocati e che le successive leggi furono emanate sotto la pressione dei gruppi professionali. I notai riuscirono così nel 1913 ad ottenere l’obbligo della laurea e a garantirsi un controllo rigido dell’accesso e del mercato, gli ingegneri nel 1923 riuscirono con la loro azione a far varare la legge sulla difesa del titolo così come i medici si batterono tra Otto e Novecento per ottenere la tutela del titolo di studio e il monopolio della cura. I commercialisti, come già avevano fatto i medici prima di ottenere nel 1910 il proprio ordine, istituirono ufficiosamente i primi ordini professionali a livello provinciale nel 1911, ma solo nel 1929 la professione venne riconosciuta e disciplinata sotto il profilo giuridico. Il sistema italiano si è caratterizzato quindi non solo per una forte influenza dello Stato sulle professioni ma anche per una azione costante dei gruppi professionali di condizionamento e di contrattazione al fine di ottenere maggiori riconoscimenti legali e, quindi, sociali. In questo senso l’ordine, ossia quell’istituzione che caratterizza in modo peculiare il sistema delle moderne professioni italiane, ha mantenuto quella duplicità insita nel suo stesso nome, l’essere cioè corpo professionale e al tempo stesso ordinamento, punto di incontro tra due interessi, quelli pubblici e quelli privati del gruppo, i cui confini non sono però nettamente tracciati20. 20 Cfr. M. Malatesta, Professioni e professionisti, in Storia d’Italia, Torino, 1996. 16 19. Al riguardo è opportuno considerare anche che la regolamentazione legislativa delle professioni da parte dello Stato è stata la risposta ad esigenze provenienti dal mercato, essendo nata solo laddove la professione aveva una stretta connessione con il mercato. A ben vedere infatti esistono professioni che pur avendo un indubbio contenuto intellettuale e una rilevante utilità sociale, quali ad esempio i fisici e i matematici, non sono costituite in ordini. La ragione è ravvisabile nel fatto che la necessità di dare una regolamentazione alle professioni è sentita unicamente dove l’esercizio della professione esplica i suoi effetti su un mercato e dove esiste un rapporto tra professionista e cliente consistente nell’erogazione di un servizio a fronte di un corrispettivo. E la regolamentazione si prefigge per l’appunto di regolamentare tale rapporto nonché il mercato su cui esso incide. L’intreccio tra Stato e mercato è stato poi determinante per le professioni contemporanee perché lo Stato stesso è diventato altresì, via via che aumentavano i suoi spazi di intervento nell’economia e nella società, un agente di sviluppo oltre che di regolazione del mercato delle libere professioni. A tal fine sono risultati determinanti l’importanza della committenza pubblica per gli architetti e gli ingegneri, lo sviluppo dello stato sociale per i medici, e la crescita dell’apparato statale per le professioni giuridiche e per i commercialisti21. 1.3 Organizzazione delle professioni 1.3.1 La struttura degli ordini 20. Per ogni professione protetta è costituito un ente professionale, ovvero un ordine o collegio organizzato, al quale è affidata la disciplina della professione22. La distinzione tra ordine e collegio, posta dall'art. 1 del r.d.l. 24 gennaio 1924 n.103 ("Disposizioni per le classi professionali non regolate da precedenti disposizioni legislative"), fa riferimento al diverso livello di formazione scolastica richiesto ai membri per l'esercizio della corrispondente attività, nel senso che appartengono generalmente all'ordine coloro che 21 Per un più ampio quadro storico dell’evoluzione delle libere professioni, sulla scia di quanto esposto, si veda M. Malatesta, cit. 22 Vi sono alcuni casi in cui non si può invece parlare propriamente di disciplina dell'esercizio della professione. Ciò si verifica quando la legge non prevede la costituzione di un ente pubblico ma soltanto l'esistenza presso una pubblica amministrazione di un ruolo o di un albo previsti da leggi speciali per attività che non hanno carattere intellettuale. In tali casi l’iscrizione all’albo o al ruolo non vale a conferire lo status di professionisti intellettuali, in quanto a tali professioni manca il requisito dell’intellettualità e la funzione e l’efficacia del ruolo sono limitate al settore economico. Inoltre, per il caso di prestazione fornita da soggetto non iscritto al ruolo non può generalmente farsi riferimento all’art. 2231 c.c., a meno che questo non sia esplicitamente richiamato dalla legge speciale, come nel caso del mediatore. 17 svolgono professioni per le quali è necessario il possesso di una laurea o di un diploma presso università o istituti superiori e al collegio coloro che esercitano attività per le quali è sufficiente un diploma di scuole medie23. 21. L’ente professionale, cioè la figura entificata del gruppo professionale localmente organizzato, ma sistematicamente diffuso su tutto il territorio nazionale, rappresenta il massimo riconoscimento giuridico attribuito dallo Stato a determinate attività24. Agli ordini e ai collegi dei professionisti è infatti riservata la tutela del gruppo di appartenenza, della dignità della funzione individualmente esercitata dai singoli, del prestigio di cui essa e i suoi operatori devono essere circondati nel contesto sociale, dal quale dipende l’affidamento dei terzi e la garanzia di corretto e adeguato esercizio del ministero professionale implicante prestazioni che incidono su beni e su valori individuali e collettivi. A tal fine, l’ente professionale è dotato di particolare indipendenza e di potestà amministrative autonome ben definite nei confronti di coloro che obbligatoriamente vi appartengono. Gli ordini e i collegi hanno quindi nell’attuale legislazione pieno “autogoverno”, nel senso che coesistono autonomamente all’interno della struttura statale. Gli ordini o collegi vengono qualificati, dal punto di vista sistematico, come enti pubblici di tipo associativo, contrassegnati da una organizzazione di tipo assembleare, la quale importa che tutti i soggetti facenti parte del gruppo determinino una serie di decisioni fondamentali per la vita dell’ente. A tali enti, che agiscono sotto la vigilanza dell'amministrazione dello Stato, l'ordinamento statale, dopo aver stabilito i requisiti di accesso dei membri, attribuisce il compito di accertarne il possesso da parte di coloro che chiedono l'iscrizione, nonché il governo degli iscritti in regime di autarchia e il controllo dei loro comportamenti a garanzia degli interessi della categoria e del suo prestigio, nonché della collettività generale. Pertanto, l’entificazione del gruppo professionale, per effetto dell’interesse pubblico intimamente connesso all’esercizio della professione, implica la determinazione di una normativa di settore garantista dell’attività in sè considerata e obiettivamente limitativa della privata autonomia dei singoli. Su questa base l’organizzazione professionale appare costante nelle sue linee fondamentali per ogni professione, anche se la disciplina pubblicistica 23A tale principio fa eccezione, per esempio, il collegio dei notai, probabilmente per conservare un'antica denominazione, l'appartenenza al quale presuppone la laurea in giurisprudenza. 24 Cfr. C. Gessa, Ordini e Collegi professionali, in Enc. giuridica Treccani, Roma, 1990. 18 adottata per ognuna di esse muta a seconda del tipo di professione e della sua rilevanza sociale. 22. Gli enti professionali, dato che la partecipazione effettiva degli associati all’ente si determina unicamente a livello di piccoli gruppi, ovvero in ambito territoriale limitato, hanno generalmente una struttura federativa. Generalmente le leggi prevedono un ordine o collegio per ogni provincia. Tuttavia se il numero dei professionisti residenti è esiguo si può disporre che un ordine o collegio abbia per circoscrizione due o più provincie limitrofe, designandone la sede. Per alcuni ordini, come quelli forensi, la circoscrizione coincide con quella del tribunale, mentre altri sono organizzati su base regionale, come gli psicologi o, ancora, nell’ambito di un unico organo nazionale, come i geologi. Le organizzazioni locali vengono coordinate da un ente unico, che generalmente è costituito per ciascuna categoria dal rispettivo consiglio nazionale. 23. Gli ordini e i collegi professionali sono dotati di personalità giuridica e di organi collegiali. Essi sono l'Assemblea degli iscritti, convocata e presieduta dal presidente del consiglio dell'ordine o del collegio, alla quale spettano principalmente, oltre alla fondamentale funzione elettorale, l'approvazione dei bilanci e le decisioni programmatiche relative agli indirizzi generali dell'attività dell'ente. Il Consiglio è invece l'organo collegiale esterno rappresentativo di ciascun ordine o collegio, al quale sono attribuite le funzioni gestorie proprie dell'ente. Il Consiglio è costituito esclusivamente da componenti dell'ordine eletti dai colleghi. Ciascun Consiglio elegge nel proprio seno un Presidente, talvolta un Vicepresidente, un Segretario ed un Tesoriere. Il Consiglio nazionale è invece l'organo comune di tutti i relativi ordini o collegi locali, essendo costituito, a seconda dei casi, da un rappresentante di ciascuna organizzazione locale ovvero di tutte le organizzazioni che fanno capo al medesimo distretto. Generalmente gli ordini e collegi sono collocati sotto la vigilanza del Ministro di Grazia e Giustizia; per le professioni sanitarie sotto la vigilanza del Ministro per la Sanità e per i consulenti del lavoro del Ministro del Lavoro. Ove vengano ravvisate gravi irregolarità o i consigli non siano in grado di funzionare, possono essere sciolti e il ministro può nominare un commissario per un tempo determinato. 19 1.3.2 Funzioni e poteri 24. La dottrina di diritto amministrativo, tradizionalmente, considera gli ordini e i collegi come centri di potere amministrativo, ai quali lo Stato attribuisce la possibilità di perseguire, sulla base di scelte autonome ma non per questo esenti da controlli, obiettivi di interesse della comunità oltre che della consociazione. A questi obiettivi, di interesse generale, è riconosciuta particolare rilevanza, e da tale riconoscimento deriva per i suddetti enti la disponibilità di strumenti diversi da quelli di diritto comune e identici o affini a quelli tradizionalmente propri dello Stato25. Si pensi, ad esempio, ai poteri inerenti alla tenuta degli albi (iscrizioni, cancellazioni, revoche, revisioni) e alla disciplina degli iscritti. Detti poteri, conferiti direttamente dalla legge, devono ricondursi quindi alle ragioni che giustificano l'esistenza dei suddetti enti, attinenti innanzitutto alla tutela dell'affidamento della collettività destinataria dell'opera dei professionisti iscritti. Tali poteri, nel limitare l'autonomia degli iscritti, sono diretti a garantire che le prestazioni vengano svolte da soggetti muniti dell'abilitazione stabilita dalla legge e con competenza e moralità tali da non pregiudicare gli interessi e i valori pubblici su cui incidono. 25. Peraltro dai compiti che la legge demanda agli ordini e ai collegi per la tutela di interessi pubblici vanno tenuti distinti quelli che gli stessi svolgono nell'interesse della categoria professionale. Al riguardo, viene sottolineato che "la tenuta degli albi e i poteri disciplinari appartengono sicuramente al primo ordine di compiti, siccome diretti a tutelare l'interesse dell'intera collettività a che la professione intellettuale sia esercitata da soggetti dotati della necessaria abilitazione ed in possesso dei requisiti richiesti. Ma altrettanto non può dirsi per ciò che attiene a compiti volti a proteggere il decoro della professione, che sono compiti attinenti ad interessi superindividuali, ma pur sempre circoscritti all'interno della categoria professionale"26. 26. Sotto il profilo delle funzioni dirette a tutelare interessi collettivi, è necessario menzionare lo strumento principale attraverso il quale l’ordinamento realizza la sua finalità, cioè l’albo professionale che costituisce il fulcro dell’organizzazione. L’albo svolge una duplice funzione: da un lato sottopone il professionista alle norme deontologiche e alla vigilanza e al potere disciplinare dell’ordine (o 25 26 Cfr. per tutti A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1990. Cfr. F. Galgano, G. Schiano di Pepe, cit. 20 collegio), dall’altro costituisce una forma di pubblicità per coloro i quali necessitano dell’opera dei professionisti assicurando la tutela della pubblica fede. La tenuta o conservazione dell’albo è al centro della ragion d’essere dell’ente professionale, in quanto ogni determinazione adottata si riflette ed ha come atto terminale un provvedimento che lo riguarda. I procedimenti amministrativi che la legge riserva all’ente riflettono sempre il potere di decisione circa l’appartenenza del singolo al gruppo e vanno dall’iscrizione all’albo di soggetti che ne hanno i requisiti, alla radiazione dallo stesso di coloro che risultano successivamente indegni di continuare a farne parte, passando attraverso procedimenti intermedi dei singoli e della categoria di carattere sollecitatorio, istruttorio, sanzionatorio o più semplicemente certificativi. L'art. 2229 c.c.27 ha reso l'iscrizione all'albo un fatto di legittimazione per lo svolgimento della professione. Il diritto di esercitare la libera professione, auto-organizzandosi, è la più importante situazione giuridica attiva che deriva dall’iscrizione ma quest’ultima si configura anche come atto di ammissione col quale un soggetto entra a far parte di un gruppo sociale organizzato e ne assume il relativo status dal quale derivano diritti, obblighi, poteri e facoltà attinenti all’attività disciplinata dalla legge. Quando tale iscrizione manca non solo non vi è azione per il pagamento della retribuzione (art. 2231 c.c.), ma ricorre anche il reato di abusivo esercizio della professione (art. 348 c.p.). 27. Un altro potere di notevole importanza è rappresentato dal potere normativo. Le norme dell'ordine professionale assumono in parte valore di norme giuridiche anche nell'ordinamento statale, in parte rimangono invece interne al gruppo stesso. L'autonomia normativa pubblica così riconosciuta all'ente professionale implica quindi che le norme emanate dagli ordini professionali hanno, dinanzi agli organi costituiti nell'interno degli stessi, valore di vere e proprie norme giuridiche ed hanno effetto normativo esterno anche senza trasformarsi in normazione statale28. 27 L’articolo dispone che “la legge determina le professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”. 28 La normazione professionale risulta costituita dalle seguenti fonti gerarchicamente ordinate: 1) norme legislative costituzionali e ordinarie; 2) norme regolamentari dell'ordinamento generale e dell'ordine e del collegio, ciascuno nell'ambito della propria competenza, secondo la sfera di autonomia riconosciuta all'ente professionale; 3) regolamenti interni dell'ordine e del collegio; 4) consuetudini aventi effetto, come prodotto spontaneo della comunità, nel solo ambito di essa. 21 Il potere normativo è volto principalmente all’emanazione di norme di organizzazione e funzionamento degli organi dell'ente e di norme di natura deontologica, a tutela per l'appunto della correttezza professionale degli iscritti all’albo. 28. Alla violazione delle regole deontologiche, in gran parte, è ricollegato l'esercizio del potere disciplinare che può dar luogo a procedimenti disciplinari, amministrativi e contenziosi, e all'eventuale irrogazione delle relative sanzioni nei confronti dell'iscritto. Tali misure, nei casi più gravi di violazione delle norme deontologiche, possono comportare l'espulsione del singolo dal gruppo con la conseguente cancellazione dall'albo e l'inibitoria all'esercizio dell'attività. In tale ipotesi, come anche contro il rifiuto di iscrizione è ammesso, ai sensi dell'art. 2229, comma 3, c. c., ricorso in via giurisdizionale. Il potere disciplinare che presidia il rispetto e l'aderenza dei comportamenti individuali all'osservanza delle norme deontologiche non ha natura giurisdizionale ma si esercita attraverso un procedimento amministrativo contenzioso. Per il suo tramite gli ordini e i collegi professionali difendono il complesso dei valori connessi alla professione e tutelano gli interessi della categoria, assumendo oltre alla qualità di giudice interno anche quella di parte. Pertanto il potere disciplinare si esplica esclusivamente nei confronti dei soggetti appartenenti al gruppo e investe solo il comportamento del professionista inerente o influente sull'esercizio della professione. Il legislatore lascia la materia alla sfera di autonomia degli ordini e dei collegi. Infatti, le disposizioni legislative individuano le fattispecie legittimanti le sanzioni disciplinari con formulazioni molto ampie (compromissione della reputazione individuale e della dignità della classe di appartenenza, violazione del decoro...) spesso prive di dettagliate specificazioni, mentre assicurano garanzie procedimentali e il diritto di difesa dell'inquisito. L'individuazione della norma concretamente applicabile al caso di specie è quindi funzione riservata dalla legge alle strutture dell'ordinamento di settore, le quali conferiscono caso per caso con le loro pronunce rilevanza giuridica alle regole di comportamento, all'atto stesso di applicarle effettivamente rendendole vincolanti per tutti gli appartenenti. Talvolta il potere disciplinare può essere attivato in funzione della violazione di norme deontologiche stabilite dagli ordini a tutela di interessi della categoria che non hanno specifica attinenza con l’affidamento dei terzi e la garanzia di un corretto e adeguato esercizio del ministero professionale. Ciò si verifica quando l’esercizio della professione viene limitato al solo fine di evitare la concorrenza tra i professionisti, per salvaguardarne il decoro. In tal 22 caso non solo non si tutela un interesse generale, essendo il decoro della professione un mero interesse della categoria, ma si può impedire alla collettività di acquisire i servizi professionali alle condizioni di mercato più favorevoli. 29. Tra i poteri esercitati al fine di tutelare interessi privati deve menzionarsi il potere tariffario. La determinazione delle tariffe soltanto per alcune professioni è di competenza dei Consigli nazionali dei relativi ordini (avvocati, notai, commercialisti, ragionieri), come potere di stabilire con i propri regolamenti i criteri per la quantificazione degli onorari da approvarsi poi dal Ministero di Grazia e Giustizia, che svolge al riguardo un controllo di mera legittimità (avvocati e notai), o con un Decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro competente (ragionieri, commercialisti). Più ridotti sono i poteri che hanno al riguardo i consigli nazionali degli ingegneri, degli architetti e dei geometri, che si limitano ad una mera funzione propulsiva, ovvero propongono la tariffa e in cui l’approvazione del Ministro assume il carattere del controllo di merito. Vi sono poi professioni per le quali è previsto che i relativi consigli partecipino alla determinazione della tariffa in termini soltanto consultivi, come è stabilito per i medici. 30. I suddetti ordini e collegi svolgono, infine, una serie di funzioni di carattere consultivo, designativo, culturale, che costituiscono prestazioni a favore della categoria. Ad esempio, con riferimento al potere consultivo, detti enti danno pareri sulla liquidazione degli onorari, quando richiesti, risolvendo controversie tra professionisti e clienti. Ancora al fine di rappresentare gli interessi comuni degli appartenenti alla categoria, gli ordini e i collegi intervengono per designare i soggetti ai quali attribuire compiti di rappresentanza della professione all'esterno. 1.4 I principali strumenti di regolamentazione 31. Tra gli strumenti di regolamentazione delle professioni protette adottati dallo Stato, la cui necessità e proporzionalità rispetto alle esigenze di interesse pubblico verrà valutata nei capitoli seguenti, ve ne sono due, le tariffe e l’attribuzione di aree di esclusiva di attività, che meritano un breve inquadramento generale al fine di agevolare la comprensione di quanto illustrato al riguardo nella seconda parte dell’indagine. 23 1.4.1 Le tariffe 32. La tariffa professionale è la fonte normativa che fissa le modalità per la determinazione del compenso dovuto al libero professionista per la sua attività, attraverso l'indicazione di criteri generali o della misura in concreto da percepire per ogni singola prestazione. Tale fonte è dotata di efficacia diversa in relazione al soggetto che la emana e alla forma con cui è stata emanata29. La tariffa professionale è nata come atto interno dell’organo rappresentativo delle diverse categorie professionali che intendeva tutelare l’interesse della categoria professionale sia evitando una eventuale concorrenza fra i singoli appartenenti ad essa sia garantendo loro dignità, prestigio professionale ed indipendenza economica. 33. Un consolidato orientamento giurisprudenziale, ritenendo che la finalità dei minimi tariffari e soprattutto della loro inderogabilità consiste nella necessità di evitare l’accaparramento della clientela, allo scopo di tutelare il decoro e la dignità professionale, sottolinea che "tale finalità sicuramente trascende l'interesse delle parti del rapporto d'opera professionale, essendo essa riferibile all'interesse della categoria professionale, ma che altrettanto sicuramente non può considerarsi riferita ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività"30. 29 Oltre alla legge, che è adottata solamente come fonte di determinazione dei criteri generali e della procedura da seguire per l'emanazione della tariffa, le tariffe professionali sono fonti di varia natura: a) tariffa professionale fissata con Decreto del Presidente della Repubblica, quale quella determinata dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti; b) tariffa professionale emanata con Decreto Ministeriale su proposta dell'ordine professionale, in cui l'approvazione del ministro assume il carattere di un controllo di merito- tale natura hanno le tariffe professionali dei chimici, agronomi, periti agrari, ingegneri, architetti e geometri; c) tariffa professionale deliberata dall'ordine professionale ed emanata con Decreto Ministeriale in cui il Ministro con la sua firma attesta unicamente un controllo di legittimità, per cui l'atto risulta un regolamento dell'ordine professionale. E' l'ipotesi della tariffa dei notai e di quella degli avvocati e procuratori: quest'ultima è deliberata ogni biennio dal Consiglio nazionale forense e poi approvata dal Ministro di Grazia e Giustizia; d) tariffa professionale deliberata ed emanata dagli ordini professionali; tale tariffa risulta avere natura di regolamento amministrativo interno degli ordini professionali, avente finalità disciplinari, integrativo delle tariffe emanate nelle altre forme ed efficace solo qualora il suo contenuto non violi quello delle tariffe ad efficacia nazionale. Rispetto al contenuto le tariffe professionali si distinguono in tre tipi: 1) tariffe aventi efficacia nazionale che contengono i criteri per la valutazione delle attività professionali e la determinazione concreta del valore economico di singoli tipici atti professionali elencati sotto altrettante voci; 2) tariffe professionali elaborate dai consigli periferici, integrative di quelle nazionali, aventi efficacia nazionale o locale e che si riferiscono ad uno o ad alcuni particolari aspetti della professione; 3) tariffe con efficacia nazionale, c.d. adeguative, che aggiornano la misura del compenso secondo il mutare del valore della lira. 30 Cfr. Cass. 16 gennaio 1986 n. 224; Cass. 13 gennaio 1983 n. 260; Cass. 12 novembre 1982 n. 6034. 24 Il principio deriva da una precisa volontà del legislatore di porre in una situazione di privilegio e di salvaguardare l’attività del libero professionista e non il destinatario della prestazione. Ciò è confermato dal fatto che nella maggioranza dei casi l’inderogabilità viene riferita solo ai minimi fissati nella tariffa e non ai massimi. Di contro, se la finalità della tariffa fosse quella di tutelare l’interesse del consumatore, l’inderogabilità verrebbe stabilita con riferimento ai massimi, soprattutto con riguardo a quelle prestazioni per le quali vige l’obbligatorietà del cliente di fruire dell’opera del professionista in quanto il solo giuridicamente legittimato a compiere determinate attività. 34. L’inderogabilità delle tariffe non costituisce comunque un principio generale degli ordini professionali. Da tutta la legislazione vigente in materia, infatti, emerge la prevalenza dell’autonomia nella contrattazione privata. Con specifico riferimento all’art 2233 c.c., il quale al 1 comma dispone che il compenso del professionista "se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere delle associazione professionale a cui il professionista appartiene” e al secondo comma che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”, la giurisprudenza ha affermato che “il compenso spettante al professionista va determinato in base alla tariffa e adeguato all’importanza dell’opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto la citata norma pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso per prestazioni professionali, attribuendo rilevanza in primo luogo, alla convenzione che sia intervenuta tra le parti e poi, in ordine successivo, e solo in mancanza di convenzione, alle tariffe e agli usi, ed infine ove questi manchino, alla determinazione del giudice”31. 35. Atteso che la norma di cui all’art. 2233 c.c. sancisce in linea di principio la prevalenza della determinazione negoziale sulle tariffe, che è destinata ad operare solo in assenza di dirette pattuizioni tra le parti, l’unico limite al valore primario dell’accordo è per alcune categorie la previsione 31 Cfr. Cass. 16 gennaio 1986 n. 224, la quale ha affermato che la violazione del precetto di cui al 3° comma dell’art. 2 della legge 21 febbraio 1963 n. 244 che fa divieto di esercitare la professione sanitaria ad onorari inferiori a quelli stabiliti nella tariffa medesima, non importa la nullità ex art. 1418, 1 comma c.c., del patto in deroga al minimo tariffario. Infatti, la Cassazione ha sottolineato che in mancanza di esplicita previsione della nullità per contrasto con norma imperativa ai sensi della citata disposizione del Codice Civile, l’interprete deve vagliare se il precetto della norma violata sia dettato nell’interesse generale, e cioè se esso sia dotato di quel carattere di imperatività che vale a rendere nulli negozi o patti ad esso contrari. La Corte non ha ritenuto che l’interesse al decoro e alla dignità professionale potesse essere considerato un interesse generale. 25 legislativa che assegna valore inderogabile ai minimi di tale tariffa. Tale limitazione può avvenire, tuttavia, soltanto in virtù di un atto avente efficacia di legge formale e pari vigore normativo della disposizione del codice civile che stabilisce il principio della libera pattuizione e giammai in forza di atti di normazione secondaria (quali i regolamenti di esecuzione, o gli atti regolamentari soggetti ad approvazione ministeriale con cui vengono stabilite le tariffe di alcuni ordini professionali)32. 36. Alla luce di tali principi sono inderogabili nei confronti dei terzi soltanto le tariffe dei diritti e degli onorari degli avvocati in materia giudiziale civile, in quanto solo per tale categoria e solo per tali prestazioni la legge stabilisce espressamente l’inderogabilità e la conseguente nullità di ogni contraria convenzione33. Per altre professioni l’obbligatorietà della tariffa assume una rilevanza meramente interna alla categoria nel senso che comporta unicamente l’irrogazione di un provvedimento disciplinare a carico del professionista che non la osserva, ma non può esigere ossequio sul piano esterno, nei rapporti con il cliente, trattandosi di statuizioni sprovviste del vigore di norma primaria e pertanto inidonee a superare il principio emergente dall’art. 2233 c.c.. Da ultimo, secondo la Cassazione, il principio della inderogabilità dei minimi non vige nell'ipotesi di rinuncia totale o parziale alle competenze professionali quando trova ispirazione in considerazioni socialmente apprezzabili34. Si è così ritenuto che il principio dell'inderogabilità non soffre violazioni nel caso di rinuncia al compenso in qualsiasi forma realizzata (totale o parziale, preventiva o successiva) soltanto quando essa sia ispirata da motivi etici o sociali35. 1.4.2 Le esclusive di attività 32 Sulla legittimità di tale previsione si è espressa la Corte di Cassazione che ha dichiarato l'illegittimità del principio dell'inderogabilità fissato da una fonte secondaria che, come tale, non può derogare alla legge. Cfr. Cass. 13 gennaio 1979, n.271; Cass. 24 aprile 1981, n 2454; Cass. 3 luglio 1971 n. 2073; Cass. 28 luglio 1977 n.3359; Cass.15 ottobre 1975 n.3351; Cass. 29 ottobre 1975 n. 3660 e Cass. 4 gennaio 1977, n. 2. 33 Cfr. art. 24 della legge 13 giugno 1942 n. 794, che dopo aver disposto che “gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili” espressamente prevede che “ogni contraria pattuizione è nulla”. 34Cfr. Cass. 22 luglio 1967, n.1923. 35Per taluni, in ogni caso, l'inderogabilità dei minimi impedirebbe solo le rinunce preventive e non quelle successive: a prestazione avvenuta, infatti, dovrebbe valere il principio per cui ciascuno è libero di rinunciare anche parzialmente al proprio credito, non essendo possibile imporre coattivamente di esercitare un proprio diritto. Così C. Lega , in Temi, 1968, 158. 26 37. Tra le professioni protette ve ne sono alcune all'interno delle quali è possibile distinguere fra prestazioni esclusive o tipiche, riservate agli iscritti all'apposito albo, e prestazioni non esclusive o atipiche, che sono di solito eseguite da iscritti all'albo, ma che possono essere fornite da chiunque abbia il titolo professionale, anche se non iscritto nell'albo professionale. Infatti, le leggi istitutive delle singole professioni e dei relativi albi, che identificano l'oggetto della professione attraverso l'individuazione delle attività che gli iscritti possono svolgere, soltanto in alcuni casi prevedono esclusive a favore dei professionisti iscritti. La previsione esplicita, contenuta nella legge istitutiva della professione, di una riserva di competenza esclusiva per lo svolgimento di determinate attività vale ad attribuire un "monopolio" alla corrispondente categoria professionale per tali prestazioni. Al contrario, in difetto di specifica riserva, ponendosi sullo stesso piano l'iscritto e il non iscritto ad albi, nonché gli iscritti a differenti albi, non può essere esclusa una concorrente libera attività da parte di altri soggetti. 38. Possono quindi essere identificate tre categorie di professioni protette: quelle a favore delle quali la legge prevede una completa riserva di attività36; le professioni che comprendono prestazioni esclusive e non37; e infine le professioni le cui prestazioni non presentano mai il carattere dell'esclusività38. 39. Al riguardo, giova aggiungere che le prestazioni rese dagli esercenti professioni intellettuali protette - siano esse prestazioni esclusive oppure non esclusive - non possono formare oggetto se non del contratto d'opera intellettuale ed essere pertanto regolate dalla relativa, peculiare disciplina prevista dal codice civile (art. 2229 c.c. e ss.). In particolare, la prestazione deve essere eseguita personalmente, il compenso è determinato secondo il non mercantile criterio dell'importanza dell'opera e del decoro della professione, il rischio del lavoro incombe sul cliente. Per contro, altri soggetti in concorrenza con i professionisti intellettuali protetti non devono necessariamente regolare il loro rapporto con il cliente secondo lo schema del contratto d'opera intellettuale: essi possono godere di una maggiore libertà contrattuale, possono ritenersi liberi di adottare altri schemi contrattuali, non importa se implicanti 36Si tratta delle professioni sanitarie, ad esempio, che sono protette in ogni loro manifestazione, essendo le prestazioni sanitarie tutte prestazioni esclusive. 37E' il caso, ad esempio, della professione forense, essendo riservate agli iscritti agli albi degli avvocati e procuratori solo le attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio, mentre sono libere per chiunque le attività di rappresentanza e assistenza stragiudiziale, l'attività di consulenza legale, la rappresentanza, l'assistenza e la difesa delle parti nei giudizi arbitrali. 38Quale quella del dottore commercialista, come diffusamente rilevato nel capitolo quarto. 27 una spersonalizzazione della prestazione e una retribuzione determinata secondo criteri di mercato, liberi, in particolare, di assumere il rischio del lavoro e di conformare la propria obbligazione come obbligazione di risultato, ossia di scegliere le forme giuridiche del contratto di appalto39. Da ciò si può agevolmente desumere che la protezione stabilita dal legislatore a favore dei professionisti intellettuali protetti finisce - specialmente nei casi in cui le attività non sono loro attribuite in esclusiva o lo sono solo parzialmente - per nuocere agli stessi professionisti protetti nell'offerta delle relative prestazioni, nella misura in cui i vincoli posti all'esercizio dell'attività impediscono di competere su base paritaria con gli altri operatori che offrono liberamente le stesse prestazioni secondo modalità maggiormente efficienti. Peraltro, anche nelle ipotesi in cui esista una riserva assoluta di attività a favore dei professionisti protetti, e quindi gli stessi non debbano confrontarsi in una posizione di svantaggio con operatori non regolamentati, appare opportuno valutare, secondo le linee che verranno sviluppate nei capitoli successivi, se tali vincoli non siano comunque idonei a ridurre il livello di efficienza nello svolgimento della professione. 39 Cfr. F. Galgano, G. Schiano di Pepe, cit. 28 CAPITOLO SECONDO: LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI-ANALISI ECONOMICA 1. Questo capitolo dell’indagine si propone di delineare un quadro generale per l’analisi dei mercati dei servizi professionali e di esaminare gli interventi di regolamentazione di norma individuati per una strutturazione efficiente di tali mercati. Il quadro tracciato non offre il dettaglio delle singole attività professionali, anche se talvolta fa riferimento a contesti istituzionali specifici, privilegiando la trattazione di aspetti comuni a tutte le categorie professionali. Il capitolo è strutturato come segue: la prima sezione (2.1) è dedicata ad un'analisi positiva delle caratteristiche dei servizi professionali, e in particolare della loro natura parzialmente pubblica e della frequente presenza di asimmetrie informative nei rapporti tra professionisti e clienti. La seconda sezione (2.2) contiene una tassonomia delle principali forme di regolamentazione riscontrabili nel settore. La sezione successiva (2.3) analizza la forma di intervento più frequentemente adottata, l’autoregolamentazione, e le sue principali implicazioni in termini di benessere sociale. L’ultima sezione (2.4) delinea in sintesi le principali conclusioni. 2.1 Caratteristiche dei servizi professionali e motivazioni degli interventi di regolamentazione 2.1.1 Asimmetrie informative 2. Il rapporto tra professionista e cliente è frequentemente caratterizzato da una situazione di asimmetria informativa: ciò significa che se da un lato il primo conosce il valore delle proprie prestazioni, dall'altro lato il consumatore è incapace di valutarne appieno l'adeguatezza rispetto alle proprie esigenze. L'asimmetria informativa può operare ex-ante, quando il cliente non riesce nemmeno a identificare con precisione il tipo di prestazione che può condurre alla soluzione del problema che lo spinge a rivolgersi al professionista. Si tratta di una situazione strettamente connessa alla natura specialistica delle competenze professionali richieste, la quale, peraltro, implica anche la incapacità del consumatore di valutare la abilità del professionista a dare una risposta al suo problema. In alcuni casi poi, l'asimmetria informativa può operare anche ex-post, quando il cliente non è nemmeno in grado di valutare le caratteristiche della prestazione ottenuta e quindi la reale qualità del servizio ricevuto. Esistono tuttavia circostanze in cui il consumatore, pur non essendo in grado di valutare, sotto il profilo tecnico, l'operare del professionista, può realizzare una qualche forma di controllo ex-post, beneficiando nel giudicare il servizio ricevuto di precedenti esperienze di consumo, comparando cioè la 29 prestazione ottenuta con quelle ricevute in precedenti occasioni o da altri consumatori. 3. Quando l'asimmetria informativa grava sia nella fase di specificazione della domanda indirizzata al professionista, che successivamente nella valutazione della sua performance, i servizi professionali possono essere classificati tra i credence goods, il che implica che l'attività professionale può essere considerata come una forma di assistenza fiduciaria, sostanzialmente slegata da vincoli di obbligatorietà di risultato. Alternativamente, se esiste una qualche forma di verifica ex-post della prestazione basata su precedenti esperienze, i servizi professionali possono essere più propriamente classificati come experience goods. Per entrambe le situazioni non si può escludere la possibilità, in un libero mercato, che il cliente riceva, quanto meno nel breve periodo, prestazioni di qualità inadeguata o, in altri termini, subisca una selezione avversa tra diverse possibili prestazioni caratterizzate da differenti livelli qualitativi. Tuttavia, mentre nel caso di experience goods i problemi di selezione avversa tendono a svanire nel medio periodo poichè in un contesto di ripetute esperienze di consumo si rendono operativi meccanismi reputazionali, nel caso di credence goods, l'operare di meccanismi di mercato può permanentemente risultare insufficiente a produrre allocazioni efficienti. 4. E' utile precisare che, in ogni caso, problemi di selezione avversa si pongono soltanto quando ricorrano significative forme di asimmetria informativa. Non si verificano pertanto in presenza di servizi caratterizzati da un certo grado di standardizzazione, offerti a soggetti che li richiedono con una certa regolarità e in condizioni di dilazionabilità della domanda nel tempo. In tali circostanze, infatti, vengono meno per il consumatore le condizioni di incertezza ex-ante (nella specificazione delle proprie esigenze al professionista), ed ex-post, (nell'identificazione delle principali caratteristiche della prestazione ricevuta e nella loro valutazione). Informazioni sufficienti a valutare la qualità dei servizi diventano reperibili a costi accessibili, sia perché intrinsecamente meno complesse, che perché più diffusamente disponibili, e nel concreto, più agevolmente acquisibili in tempo utile. In tal caso, le prestazioni professionali possono essere configurate come search goods, cioè servizi per l'acquisizione dei quali il consumatore può avvalersi di informazioni ricercabili sul mercato. 5. In sintesi, pertanto, si possono distinguere tre diverse configurazioni di servizi professionali, così come schematizzato nella tabella seguente, in rapporto alla effettiva severità con cui si pone il problema della asimmetria informativa tra professionista e cliente e, di conseguenza, alle proprietà di efficienza delle allocazioni di mercato: 30 Tabella 1- classificazione dei servizi professionali in rapporto al grado di incertezza della domanda tipologia servizi incertezza ex ante incertezza ex post valutazione circa le proprietà di efficienza del mercato search goods experience goods credence goods nulla o scarsa può essere elevata elevata nulla o scarsa media elevata positiva positiva nel medio periodo negativa 2.1.2 Forme di selezione avversa 6. In rapporto al grado di incertezza che grava sul consumatore di servizi professionali, variano le forme di selezione avversa alle quali egli può essere esposto in un libero mercato. Quando l'incertezza è massima, riguardando le competenze dei professionisti e la identificazione da parte del cliente del servizio di cui abbisogna, nonché le caratteristiche delle prestazioni, in mancanza di adeguati correttivi, il consumatore potrebbe essere esposto sia all’imperizia di soggetti non adeguatamente qualificati, che a comportamenti deliberatamente “opportunistici" da parte di operatori, pur qualificati, che tuttavia sfruttano a proprio vantaggio l’impraticabilità di controlli efficaci da parte della domanda. 7. Con riguardo all’incertezza sulle competenze dei professionisti, si consideri l'ipotetico caso di un mercato di servizi professionali nel quale l'entrata non sia in alcun modo regolamentata e il consumatore abbia difficoltà a percepire le differenze qualitative esistenti tra gli operatori, i quali pertanto saranno tendenzialmente visti come perfetti sostituti. Ciò rende improbabile l’applicazione di prezzi differenziati, cioè l’adattamento della remunerazione dei diversi professionisti alle differenti “dotazioni di capitale umano” e porta ciascun professionista a fissare prezzi corrispondenti alle caratteristiche qualitative medie degli operatori sul mercato. E' evidente che in tal modo risultano disincentivati a permanere o entrare nel settore i soggetti più qualificati, che possono presumibilmente accedere ad alternative d'impiego capaci di rendere una remunerazione superiore a quella fissata secondo il criterio sopra indicato. La loro uscita dal mercato, tuttavia, determina una diminuzione della qualità media che, traducendosi in un abbassamento delle remunerazioni, fornisce un ulteriore incentivo per altri professionisti a ridurre la propria attività, secondo una progressione che conduce a situazioni di mercato inefficienti, caratterizzate dalla presenza di operatori inadeguatamente qualificati, o nel caso limite, al venir meno dello stesso mercato. 8. Oltre agli effetti sulle caratteristiche dei professionisti, i problemi di natura informativa che si sostanziano nella incapacità del cliente di specificare la prestazione di cui ha bisogno, lo espongono alla possibilità che, in assenza di adeguati correttivi, professionisti, pur in possesso della necessaria qualificazione, agiscano in modo cosiddetto "opportunistico", esercitando un 31 ingiustificato stimolo alla domanda, fornendo cioè suggerimenti ai consumatori per generare surrettiziamente una domanda di prestazioni non necessarie. 9. Infine, le asimmetrie informative ex-post, attinenti cioè all'incapacità del consumatore di valutare le caratteristiche della prestazione ricevuta, potrebbero consentire altre forme di comportamento opportunistico che ricadono essenzialmente nelle seguenti categorie: - semplice negligenza, cioè insufficiente attenzione nello svolgimento del servizio; - deliberata sottoproduzione del servizio, per risparmiare tempo e risorse. Nel primo caso, la prestazione verrebbe effettuata senza la dovuta diligenza, mentre nel secondo caso, essa verrebbe erogata solo in parte, sebbene il cliente ritenga che la prestazione sia stata completa. 2.1.3 Effetti esterni ed efficienza 10. Alcune categorie professionali producono servizi fondamentali di interesse pubblico, inerenti, ad esempio, la salute, l'amministrazione della giustizia, la trasparenza dei mercati. L'erogazione di tali servizi non esaurisce i propri effetti allocativi fra i soggetti direttamente coinvolti nelle transazioni ma genera anche "effetti esterni". L'attività dei medici, ad esempio, pur essendo svolta negli interessi del paziente che essi stanno curando, riguarda anche l'intera collettività, poiché concerne la salvaguardia di un bene quale la salute. Analogamente, gli avvocati non sono soltanto i difensori dei propri clienti, ma contribuiscono al funzionamento del sistema giudiziario. Ancora, i commercialisti/revisori contabili hanno obbligazioni nei confronti di potenziali azionisti dell'impresa di cui certificano il bilancio, e non soltanto nei confronti di quelli esistenti. In tali casi, gli interessi del cliente cui la prestazione viene fornita a ricevere un servizio di qualità adeguata e della collettività che subisce gli effetti esterni positivi di quella prestazione coincidono e contribuiscono entrambi a determinare il valore sociale della prestazione professionale, che supera pertanto il mero valore ad essa attribuibile da chi la riceve. Dati questi presupposti, è possibile argomentare che qualora la remunerazione del professionista fosse fissata secondo criteri di libero mercato, cioè in misura pari al valore privato (per il singolo cliente) delle prestazioni, l’offerta di servizi professionali risulterebbe inferiore a quella ottimale. Un’efficiente allocazione delle risorse richiederebbe invece un intervento di “correzione” dei meccanismi di mercato che consenta al corrispettivo professionale di eguagliare non già il solo beneficio ricevuto dal singolo acquirente di servizi, ma piuttosto il valore sociale della prestazione. 11. Tali considerazioni si intrecciano con quelle svolte ai punti precedenti in merito alle difficoltà per il consumatore di valutare la qualità dei servizi ed hanno implicazioni di rilievo per la eventuale ricerca di misure correttive dei meccanismi di mercato. Emerge in particolare la difficoltà di 32 quantificare il valore sociale delle prestazioni professionali e quindi di ipotizzare in questo settore interventi pubblici di regolamentazione analoghi a quelli suggeriti in altri mercati caratterizzati da esternalità positive, dove viene generalmente previsto di sussidiare opportunamente l’offerta affinché essa si espanda fino a raggiungere il livello ottimale per la collettività. 12. Occorre infine aggiungere che può esistere anche una seconda forma di esternalità, questa volta di segno negativo, nelle transazioni fra professionista e cliente, in presenza della quale la domanda di servizi professionali risulta maggiore di quella socialmente desiderabile. Ciò può avvenire quando apparati pubblici svolgono attività complementari a quelle professionali, il costo delle quali è finanziato dall'intera collettività attraverso prelievo fiscale non specifico. In tali circostanze, il consumo di servizi professionali può risultare sovradimensionato rispetto alle effettive necessità, poiché il consumatore, non sopportando il costo complessivo della prestazione che riceve, avrà meno incentivi a non accogliere eventuali indicazioni del professionista relative a prestazioni non necessarie. 2.2 Forme di regolamentazione 13. Le asimmetrie informative tra cliente e professionista che caratterizzano l’erogazione di alcuni servizi professionali e il conseguente rischio per il consumatore di fenomeni di selezione avversa, nonché gli effetti esterni di alcune prestazioni professionali, costituiscono i presupposti per interventi di regolamentazione, a tutela dei consumatori e dell’interesse pubblico. 14. Al riguardo, occorre preliminarmente osservare che il verificarsi di inefficienze del meccanismo di mercato non rende di per sè inevitabili interventi pubblici di regolamentazione. Quasi tutti i mercati nel loro operare generano inefficienze del tipo più diverso (a causa della presenza di esternalità e asimmetrie informative) a cui tuttavia non corrisponde una altrettanto estesa area di intervento pubblico. Ogni attività di regolamentazione infatti ha dei costi diretti (connessi al costo delle persone e delle strutture ad essa dedicate), dei costi indiretti (connessi alla necessità per i soggetti regolati di adempiere ai nuovi compiti da essa previsti) ed indotti (connessi alle modificazioni dei comportamenti di tutti i soggetti coinvolti nel funzionamento dei mercati). Interventi di regolamentazione sono pertanto desiderabili qualora si possa ragionevolmente ritenere che in loro assenza si verificherebbe una significativa perdita di benessere e che i costi che essi comportano non superano i benefici. 15. Quando ricorrono questi presupposti, la letteratura economica suggerisce l’impiego di due forme tipiche di intervento regolamentativo per 33 contenere i fenomeni di selezione avversa a danno del consumatore: la regolamentazione delle caratteristiche dei professionisti e della qualità delle prestazioni, che verranno illustrate rispettivamente ai successivi paragrafi 2.2.1 e 2.2.2. Giova osservare tuttavia che nel settore dei servizi professionali l’impiego di strumenti regolamentativi tradizionali si accompagna frequentemente a forme regolative atipiche, che si sostanziano nell’obbligo per il professionista di aderire a norme di condotta stabilite dall’ordine, la violazione delle quali può portare nei casi più gravi all’estromissione dal mercato. Tali norme, contenute nei codici deontologici, seppur non estranee al perseguimento dell’interesse individuale, mirano tuttavia a contenere alcuni comportamenti più chiaramente opportunistici potenzialmente attuati dai professionisti. Regolamentazione pubblica e codici di condotta vengono quindi considerati da alcuni come complementari poichè disegnerebbero un sistema che, da un lato sottrae le attività professionali ai meccanismi di mercato, attribuendo loro particolari benefici, dall’altro condiziona il mantenimento degli stessi alla adozione di comportamenti orientati al perseguimento degli interessi del cliente. Pertanto, nella sezione seguente dedicata all’illustrazione di specifici strumenti di regolamentazione, gli stessi verranno considerati sia per il loro impatto diretto sulla qualità dei servizi, che per la loro funzionalità rispetto all’obiettivo di motivare i professionisti all’assunzione di comportamenti deontologici. 2.2.1 Requisiti minimi di capitale umano 16. In presenza di asimmetrie informative, la tutela dei consumatori può richiedere l’introduzione di meccanismi che disciplinino l’accesso al mercato degli aspiranti professionisti, cioè forme di selezione che ne certifichino la preparazione e la capacità tecnica. La principale forma di selezione all'entrata è rappresentata dalla definizione per legge dei requisiti minimi di capitale umano - livello di istruzione, periodo di apprendistato, superamento di un esame di abilitazione necessari per lo svolgimento dell'attività professionale. Se si posseggono tutti i requisiti, lo Stato - o un autorità delegata - rilascia il titolo che autorizza all'esercizio dell'attività. Le ragioni dei requisiti minimi 17. Facendo seguito a quanto osservato al precedente punto 7, si può innanzitutto argomentare che la selezione all’entrata può fornire ai professionisti più qualificati un incentivo ad operare che altrimenti non avrebbero, consentendo così al consumatore di accedere a servizi di qualità superiore a quella altrimenti disponibile. 34 In secondo luogo, se si assume, piuttosto realisticamente, che il capitale umano e la qualità siano complementi, nel senso che l'investimento in capitale umano riduce i costi della produzione di servizi di alta qualità, di nuovo si arriva alla conclusione che la selezione di professionisti maggiormente qualificati costituisce un presupposto per l’aumento della qualità media delle prestazioni offerte sul mercato. Infine, considerando la questione dal lato della domanda, è anche possibile sostenere che la selezione all’entrata riduce l’onere per il consumatore di acquisizione delle informazioni necessarie a stimare la qualità dei servizi e per questa via rappresenta uno strumento per rendere più efficiente il processo di scelta. In sintesi, l’introduzione di requisiti minimi di capitale umano è suscettibile di: a) frenare l’eventuale uscita dal mercato dei professionisti più qualificati, b) diminuire il costo di offerta di miglioramenti della qualità, c) diminuire il costo di ricerca per il consumatore. Giova tuttavia aggiungere che il verificarsi di queste circostanze, pur rappresentando in alcuni casi un presupposto necessario per un aumento della qualità dei servizi, non costituisce una condizione sufficiente a tal fine: la selezione all’entrata può proteggere il consumatore dall’imperizia, ma non rappresenta di per sè una misura idonea a eliminare fenomeni di negligenza o di sotto (sovra) produzione del servizio. Gli effetti dell’introduzione di requisiti minimi 18. In ogni caso, occorre considerare che vi sono dei costi specifici di questa forma di regolamentazione (in aggiunta ai tradizionali costi amministrativi) che devono essere confrontati con i benefici in termini di miglioramento della qualità di cui sopra. Ci si riferisce in particolare all’aumento dei costi per la produzione di servizi di qualità inferiore. 19. Al riguardo, giova preliminarmente osservare che l’attività professionale nei diversi campi prevede l’erogazione di servizi di diversa complessità. Tuttavia è ragionevole sostenere che i requisiti di qualificazione necessari per accedere al mercato saranno fissati dal regolamentatore, in chiave di tutela del consumatore, avendo riguardo a prestazioni mediamente complesse. Ne deriva che la regolamentazione delle entrate fa aumentare i costi relativi alla produzione di servizi di qualità inferiore che potrebbero essere erogati anche da operatori meno qualificati di quelli selezionati. Una qualità inferiore potrebbe essere valutata positivamente da alcuni consumatori, che non richiedono necessariamente la prestazione di un professionista sovraqualificato. In sostanza, questa forma di regolamentazione ha certamente un effetto redistributivo, con un aumento del benessere dei consumatori che valutano molto la qualità e una riduzione del benessere di coloro che sarebbero soddisfatti anche in presenza di prestazioni di qualità inferiore. 35 20. Il segno dell’effetto complessivo dipende quindi dal grado di restrittività della selezione all’entrata in rapporto alle effettive esigenze di tutela dei consumatori. E’ evidente tuttavia che all’aumentare del livello di differenziazione dei servizi, cresce la difficoltà per il regolamentatore di fissare requisiti di entrata che effettivamente comportino un aumento del benessere collettivo. Tale difficoltà si acuisce poi in settori caratterizzati da una rapida evoluzione delle prestazioni, (ad esempio nel senso di una crescente standardizzazione di alcune di esse), a cui non fa seguito un altrettanto veloce adeguamento dei criteri di selezione o più in generale delle modalità di entrata sul mercato. 21. Occorre tuttavia aggiungere che i costi indotti dalla selezione dei neo-professionisti non sempre si esauriscono negli effetti negativi gravanti sui consumatori di servizi professionali poco complessi, o sui clienti che valutano meno la qualità dei servizi. Non può infatti essere trascurato che difficilmente la regolamentazione dell’entrata potrà essere così accurata da produrre un livello di offerta (ponderato per la qualità) calibrato sulla domanda in modo ottimale. Al contrario, è ragionevole supporre che le limitazioni all’accesso possano - in un certo numero di casi - comportare l’entrata di un numero di operatori inferiore a quello che in media i consumatori avrebbero comunque desiderato, anche tenendo conto delle esigenze qualitative. In tal caso i prezzi dei servizi sarebbero superiori a quelli che avrebbero garantito un’allocazione ottimale delle risorse. Pertanto, anche per questa via si potranno verificare sensibili perdite di benessere. 22. Ciò peraltro equivale a dire che la selezione all’entrata, in alcuni casi, può comportare una limitazione della concorrenza tra professionisti, laddove l’esiguità del numero di operatori ammessi ad esercitare rispetto alle esigenze della domanda conferisce agli stessi potere di mercato e si traduce nel conseguimento di guadagni superiori a quelli che altrimenti sarebbero stati raggiunti. Tale configurazione appare coerente con la visione secondo la quale le restrizioni all’entrata non costituirebbero solamente uno strumento direttamente volto a migliorare la qualità dei servizi, secondo le linee indicate al precedente punto 17, ma anche una misura consapevolmente introdotta dal regolamentatore per limitare la concorrenza tra professionisti al fine di aumentare il loro reddito, in tal modo “incentivandoli” ad assumere comportamenti deontologici. 23. Qualunque sia la finalità per la quale la regolamentazione all’entrata viene introdotta (sia quella di migliorare la qualità dei servizi direttamente, che di conseguire il medesimo risultato indirettamente incentivando i professionisti in tal senso), appare possibile sostenere che requisiti particolarmente restrittivi 36 nella selezione possono risultare controproducenti, soprattutto laddove i problemi di asimmetria informativa non sono marcati, come nei mercati in cui è ipotizzabile che il meccanismo reputazionale funzioni e sia efficace. In tal caso infatti i benefici derivanti da un effettivo miglioramento della qualità dei servizi ricevuti a seguito dell’introduzione di restrizioni all’entrata non appaiono tali da compensare le perdite connesse all’aumento dei prezzi, particolarmente per i consumatori meno esigenti. 24. In generale, pertanto, il livello delle restrizioni all’entrata va attentamente commisurato: - al grado di difficoltà nella valutazione sia ex-ante che ex-post della qualità della prestazione professionale, in rapporto anche ai costi di ricerca delle informazioni relative alla reputazione dei professionisti e al grado di dilazionabilità della domanda, - ai rischi derivanti da imperizia nell’erogazione delle prestazioni professionali. In altre parole, utilizzando la classificazione schematizzata nella tabella 1, l’introduzione di restrizioni all’entrata appare poter costituire una misura giustificata soltanto per i servizi professionali configurabili come credence goods. Quando invece ricorrono asimmetrie informative di modesta rilevanza (search goods) o comunque superabili nel medio periodo (experience goods), l’intervento pubblico sarebbe assai più desiderabile ove si limitasse a favorire la diffusione di corrette informazioni sul rapporto qualità/prezzo delle prestazioni offerte. 25. In pratica, ciò significa che l’erogazione di servizi per i quali non si verificano importanti forme di asimmetria informativa tra cliente e professionista non dovrebbe presupporre il superamento di un esame di abilitazione e l’obbligatoria iscrizione ad un ordine. Chiunque dovrebbe poter offrire tali servizi, benchè sia ragionevole ipotizzare che soltanto chi possiede determinati requisiti possa continuare a fregiarsi del titolo ufficiale. In tal caso, l’iscrizione ad un ordine assumerebbe il valore di una certificazione della qualità del professionista, e svolgerebbe una funzione segnaletica per quei consumatori che sono più disponibili a spendere per la qualità. Si può naturalmente immaginare un quadro differenziato in cui si ammette la possibilità di diversi livelli, più o meno elevati, di certificazione che generano una concorrenza intraprofessionale che si sviluppa sulle due coordinate qualità-prezzo, segmentando il mercato a seconda delle diverse esigenze del consumatore di servizi professionali. In altri termini, un allargamento della certificazione ad altre forme associative all’interno del mercato dei servizi professionali potrebbe avere l’effetto di sviluppare forme di concorrenza tra gruppi di professionisti che segnalano credibilmente la propria 37 qualità40. Tale processo potrebbe condurre a nuovi trade-off tra regolamentazione e concorrenza, che meglio soddisfano le esigenze di tutela dei consumatori attraverso un maggior ricorso ai meccanismi di mercato. I requisiti richiesti dalla regolamentazione 26. Rimangono a questo punto da svolgere alcune considerazioni di carattere generale sui requisiti attualmente richiesti a coloro che intendono esercitare professioni intellettuali protette, entrando a far parte dei relativi ordini. Tali requisiti riguardano la formazione scolastica, di norma l’effettuazione di un tirocinio e il superamento dell’esame di abilitazione. 27. Il tema dei curricola formativi necessari per raggiungere un livello minimo di conoscenze per le varie professioni non può essere trattato in modo sufficientemente dettagliato in questa sede. Tuttavia, è comunque utile proporre alcune considerazioni di carattere generale. In primo luogo, l’evoluzione di tutte le discipline è così rapida da non garantire che un’adeguata preparazione possa realizzarsi nella frequenza di un corso di studio all’inizio del percorso professionale, per quanto completo e impegnativo. In secondo luogo, la crescente domanda di specializzazione tende a restringere sensibilmente il campo di attività dei singoli professionisti ad un numero circoscritto di servizi all’interno della professione. Entrambe queste motivazioni portano a escludere che periodi iniziali di formazione scolastica particolarmente lunghi possano esaurire una volta per tutte le esigenze di apprendimento di gran parte delle professioni. Per questo motivo, iniziative volte ad aumentare gli anni previsti dai percorsi formativi obbligatori per i neoprofessionisti non necessariamente costituiscono una risposta efficace all’esigenza di innalzarne il livello di qualificazione; gran parte del capitale umano accumulato durante corsi universitari di più lunga durata non sarà di maggiore utilità ai neoprofessionisti rispetto alle conoscenze che essi potrebbero ottenere accumulando esperienza o frequentando corsi di specializzazione nelle aree ritenute di volta in volta maggiormente interessanti per la propria attività professionale. 40 Ciò, peraltro, appare coerente con l’orientamento comunitario così come espresso dalla direttiva 89/48/CEE del Consiglio, riguardante un iniziale sistema generale di riconoscimento per i diplomi conseguiti a seguito di periodi di formazione della durata minima di 3 anni e dalla direttiva 92/51/CEE del Consiglio, che ha integrato la precedente considerando anche i gradi di formazione inferiore, non previsti dal sistema generale iniziale. Entrambe le direttive prevedono che sia assimilata ad un’attività professionale regolamentata l’attività professionale esercitata dai membri di un’associazione od organizzazione che, oltre ad avere segnatamente lo scopo di promuovere e di mantenere un livello elevato nel settore professionale in questione, sia oggetto, per la realizzazione di tale obiettivo, di un riconoscimento specifico da parte di uno Stato membro e: - rilasci ai suoi membri un titolo di formazione, - esiga da parte loro il rispetto di regole di condotta professionale da essa prescritte e - conferisca ai medesimi il diritto di un titolo professionale." In pratica, le professioni regolamentate, ai sensi delle direttive 89/48 e 92/51, possono essere esercitate o da coloro che hanno seguito un certo percorso formativo direttamente riconosciuto dallo stato come requisito indispensabile per l'esercizio della professione, o da coloro che appartengono ad associazioni riconosciute dallo stato, alle quali è delegata la funzione di certificazione dei soggetti idonei allo svolgimento di una certa attività sulla base del possesso di predeterminate caratteristiche professionali. 38 28. Relativamente al periodo di praticantato da svolgere obbligatoriamente presso professionisti che hanno già maturato una certa anzianità, occorre osservare che la ratio sottostante a tale obbligatorietà appare del tutto condivisibile, in quanto è indubbia l'utilità di un periodo durante il quale l'aspirante professionista possa apprendere come mettere in pratica le proprie conoscenze. Naturalmente, tuttavia, tale misura comporta degli oneri per il consumatore, a causa dei maggiori prezzi richiesti da professionisti che devono recuperare in un numero più limitato di anni di esercizio professionale gli elevati costi opportunità sostenuti per avere accesso alla professione stessa. Nel concreto, poi, appare esistere un ampio margine di variabilità circa le modalità di svolgimento del tirocinio, al punto che tale istituto potrebbe rappresentare in alcuni casi un modesto contributo alla formazione del praticante. Del resto, dato l'elevato valore dello sforzo di un professionista già attivo, è abbastanza plausibile che all'attività di supervisione e guida del praticante non vengano sempre dedicate le risorse necessarie. Due le possibili conseguenze: in primo luogo, un aumento dei rischi di imperizia e la possibilità di danni per i clienti; in secondo luogo, poiché il professionista anticiperà tale possibilità e la conseguente perdita di reputazione per il proprio studio, attribuirà al praticante le incombenze tecnicamente meno complesse. In questo contesto, le uniche conoscenze aggiuntive che l'aspirante professionista acquisirebbe nel corso del tirocinio sarebbero quelle volte a soddisfare la fascia più bassa del mercato del servizio professionale. Un lungo tirocinio potrebbe quindi, in definitiva, tradursi in una misura del tutto sproporzionata rispetto al fine originario di migliorare la qualità delle prestazioni del neo-professionista. In sintesi, il praticantato, se non adeguatamente effettuato, rischia di comportare soprattutto un aumento dei costi dei servizi di qualità inferiore che potrebbero essere resi a prezzi più bassi e senza danni per i clienti da soggetti con minore pratica, se fosse per loro possibile accedere al mercato; ciò consentirebbe una maggiore differenziazione dei servizi all'interno della professione a tutto vantaggio dei consumatori. Sulla base di queste argomentazioni, se l'abolizione del praticantato può apparire una soluzione eccessivamente drastica in quanto esso può svolgere alcune funzioni positive, del tutto inopportune appaiono comunque le proposte di aumento degli anni di tirocinio, in assenza di specifici incentivi che garantiscano un’effettiva trasmissione di competenza professionale. 29. L'abilitazione all’esercizio delle professioni intellettuali protette implica il superamento di esami di Stato. Le prove sono finalizzate ad accertare l’organica preparazione di base del candidato e a saggiare la sua capacità tecnica in vista dell’adeguato svolgimento delle attività professionali. L’esame di abilitazione viene organizzato da organi dello Stato, ma vede un ampio 39 coinvolgimento degli ordini. Per la maggior parte delle professioni i programmi degli esami sono determinati dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, sentiti gli ordini professionali nazionali; le commissioni esaminatrici sono costituite con decreto del Ministro, prescegliendo i membri da terne di persone designate dai competenti ordini, e appartenenti a varie categorie, tra cui quella dei professionisti iscritti all’albo. Inoltre gli esami possono svolgersi nei capoluoghi di provincia e nelle città sedi di Università, che siano altresì sedi di ordini41. L’attribuzione agli ordini di un ruolo rilevante nell’organizzazione e svolgimento dell’esame di abilitazione riflette la scelta di privilegiare forme di autoregolamentazione delle professioni, di cui si dirà successivamente nella sezione 2.3. Il problema principale di questo meccanismo è il rischio concreto che gli ordini siano fortemente interessati a selezionare i neoprofessionisti per eccesso in termini di qualità e per difetto in termini di quantità al fine di stabilizzare i redditi professionali nel territorio rilevante. 2.2.2 Standard relativi alla qualità della prestazione 30. La regolamentazione della qualità dei servizi equivale all'introduzione di uno standard minimo, per cui non può essere fornito un servizio di qualità inferiore al livello fissato. Al riguardo, al fine di meglio precisare il concetto stesso di qualità del servizio, giova preliminarmente distinguere varie fasi del processo attraverso il quale il professionista arriva a rispondere alle esigenze del cliente. In particolare, giova distinguere l’attività relativa all’analisi del problema posto e alla identificazione della sua soluzione, da quella successiva, concernente la vera e propria prestazione tecnica, che si traduce nella produzione di pareri, perizie, progetti... Ora, la regolamentazione della qualità di quest’ultima attività presuppone un intervento autoritativo di specificazione delle caratteristiche tecniche delle prestazioni che, nel concreto, appare difficilmente ipotizzabile, anche in ragione della natura non standardizzata di numerosi servizi professionali. Risulta invece meno complesso configurare l’introduzione di regole nella fase antecedente alla vera e propria prestazione tecnica, concernenti la qualità dei rapporti tra professionista e cliente. Al riguardo, può essere utile osservare che tale tipo di intervento è adottato con crescente frequenza nel settore dei servizi pubblici, laddove viene 41 Cfr L. 8 dicembre 1956, n. 1378, Esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni, in G.U. 21 dicembre 1956, n. 321; D.M. 9 settembre 1957, Approvazione del regolamento sugli esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni, in G.U. 2 novembre 1957, n. 271; L. 9 maggio 1989, n. 168, Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica. Tali norme si applicano alle seguenti professioni: medico-chirurgo, veterinario, chimico, biologo, farmacista, psicologo, ingegnere, architetto, geometra, geologo, agronomo, perito agrario, perito forestale, perito industriale, dottore commercialista, ragioniere. 40 prescritto alle imprese di rispettare, nel rapporto con l’utente, standard riguardanti ad esempio i tempi di erogazione del servizio, la sua disponibilità sul territorio, la pubblicità e trasparenza delle condizioni contrattuali applicate. Anche nel settore delle professioni intellettuali protette non mancano esempi di regolamentazione pubblica in tal senso42. Tuttavia, la definizione di questi standard di comportamento appare più facilmente riconducibile a forme di autoregolamentazione. 31. Indipendentemente dal fatto che gli standard di qualità siano fissati all’esterno o all’interno della professione, quando il rispetto degli standard stessi richiede maggiori e/o più qualificate risorse, è ragionevole attendersi che al miglioramento della qualità media si associ un aumento del prezzo dei servizi. 32. Pertanto, dal momento che il benessere del consumatore si valuta sulle due coordinate qualità-prezzo, gli standard qualitativi minimi tendono tanto più a promuovere il benessere sociale: a) quanto maggiore è la reattività dei consumatori a variazioni della qualità media della prestazione; se i consumatori valutano molto positivamente un miglioramento della qualità media, l'introduzione di uno standard minimo è suscettibile di incrementare sensibilmente il loro benessere. (O, in altri termini, quanto più bassa è la valutazione dell’erogazione di una prestazione di bassa qualità; se prestazioni qualitativamente scadenti sono valutate molto negativamente, è naturale che una loro eliminazione comporti un significativo miglioramento di benessere); b) quanto più bassi sono i costi aggiuntivi connessi al miglioramento di qualità e quindi i conseguenti aumenti dei prezzi. Analogamente a quanto rilevato a proposito degli effetti della selezione all’accesso alla professione, anche nel caso della fissazione di standard di qualità minima dei servizi, è possibile argomentare che la regolamentazione produce effetti redistributivi, a favore dei consumatori più disponibili a spendere per la qualità e a scapito degli altri consumatori. Pertanto, l’effetto complessivo in termini di benessere non è noto a priori. 33. E' stato osservato in precedenza che può essere opportuna l'adozione di forme regolative volte ad attribuire dei benefici ai professionisti che possano stimolare prestazioni slegate dall'interesse individuale. Sotto questo profilo, l'imposizione di uno standard minimo sulla qualità del servizio non rappresenta una misura efficace, anche se può generare conseguenze positive sul benessere del consumatore, elevando la qualità media dei servizi. Ciò in quanto 42 Il notaio, ad esempio, “per assicurare il funzionamento regolare e continuo dell’ufficio, deve tenere nel comune assegnatogli studio aperto (...) e deve assistere personalmente allo studio nei giorni della settimana e con l’orario che saranno fissati dal presidente della Corte d’appello, previo parere del Consiglio notarile” art 26, legge 16 febbraio 1913, n. 89, Ordinamento del notariato e degli archivi notarili. 41 l’introduzione di standard non genera maggior profitto per i professionisti, e quindi non funge da incentivo ad adottare autonomamente comportamenti deontologici. In realtà, la specificazione delle caratteristiche qualitative del servizio che è naturalmente accompagnata da forme di controllo e dalla previsione di sanzioni nei casi di non osservanza degli standard - punta a ridurre l’offerta di prestazioni di bassa qualità mediante la riduzione dei margini di autonomia del professionista da un lato, e l’introduzione di disincentivi a tenere comportamenti opportunistici dall’altro. Tuttavia, se esistono imperfezioni nel meccanismo di controllo, non è escluso che alcuni professionisti beneficino comunque di guadagni altrimenti non conseguibili, senza però che ciò sia idoneo a generare incentivi ad operare secondo criteri estranei all'autointeresse. In sintesi, sembra ragionevole ritenere che l’introduzione di standard rischia, in assenza di un controllo efficace sul loro effettivo rispetto, di generare rendite senza eliminare i comportamenti opportunistici. 2.2.3 I minimi tariffari 34. Tra gli strumenti di regolamentazione dell'attività professionale è frequentemente utilizzata anche l'imposizione di una soglia minima delle tariffe che, viene sostenuto, servirebbe per limitare la degenerazione della qualità del servizio che tende ad essere decrescente con il prezzo. Per quanto illustrato in precedenza, tale argomentazione può assumere una certa validità se riferita a mercati nei quali il consumatore non sia effettivamente in grado di distinguere le differenze esistenti tra professionisti. In tali circostanze infatti, la fissazione di una soglia di prezzo (o di profittabilità minima dell’attività) potrebbe costituire una misura necessaria a incentivare sufficienti investimenti in capitale umano da parte dei futuri professionisti, nonchè la loro entrata e permanenza sul mercato. In altri termini, nei casi di credence goods, le tariffe potrebbero svolgere la funzione di impedire che i prezzi scendano ai livelli fissati da operatori inadeguatamente qualificati e pertanto disponibili ad accettare corrispettivi che risulterebbero non remunerativi per chi invece abbia sostenuto i necessari costi di formazione. Pertanto, le tariffe minime, analogamente alle restrizioni all’entrata, sarebbero funzionali alla sopravvivenza stessa del mercato, impedendo che i soggetti più qualificati si trovino, paradossalmente, in una situazione di svantaggio rispetto agli altri. 35. Tuttavia, al contrario della selezione all’entrata, le tariffe minime, pur potendo adeguatamente incentivare i professionisti più qualificati ad operare, non impediscono a soggetti che non possiedono i necessari requisiti di qualificazione di continuare ad offrire servizi di scarsa qualità. A tali soggetti, anzi, conferiscono una rendita particolarmente ingiustificata. L’introduzione di 42 prezzi minimi appare, pertanto, un intervento a tutela del consumatore certamente meno efficace delle restrizioni all’accesso. Peraltro, qualora già esistano forme di selezione all’entrata, come di fatto risulta per tutte le categorie professionali, la fissazione di prezzi minimi diventa superflua e contraria ad elementari criteri di efficenza regolamentativa, che sconsigliano l’impiego di più misure di regolamentazione per ottenere un solo, identico scopo. 36. Ad una conclusione dello stesso tenore si perviene anche qualora si ritenga che le tariffe minime possano tutelare il consumatore rispetto a comportamenti opportunistici, quali la sottoproduzione del servizio indotta dalla concorrenza tra soggetti consapevoli dell’incapacità del cliente di valutare appieno la completezza della prestazione ricevuta. In questo caso, si argomenta, la fissazione di tariffe minime impedirebbe che professionisti, pur qualificati, pratichino prezzi che sono di fatto incompatibili con l’offerta di un servizio di adeguata qualità. Occorre di nuovo considerare che, al contrario di altre forme di regolamentazione pubblica, quali la determinazione di standard qualitativi delle prestazioni, l’introduzione di tariffe minime non assicura in alcun modo che comportamenti opportunistici non siano comunque tenuti e risulta pertanto una forma di intervento certamente meno efficace di altre. 37. Infine, potrebbe essere esplicitamente sostenuto che le tariffe costituiscono lo strumento attraverso il quale viene assicurata una rendita ai professionisti, la quale li incentiva a tenere comportamenti deontologici, nel timore che infrazioni alle regole di comportamento comportino un’esplusione dal gruppo professionale e quindi la perdita della rendita stessa. Anche volendo adottare questo punto di vista, tuttavia, la fissazione dei prezzi costituisce una misura meno efficace di altre, quali le restrizioni all’accesso, che incidendo sulle determinanti strutturali del livello di prezzo, in particolare sul numero di operatori presenti sul mercato, sono suscettibili di produrre effetti più solidi e duraturi. 38. In sintesi, l’introduzione di tariffe minime, seppur idonea ad attenuare i fenomeni di selezione avversa, non ne assicura il superamento e appare comunque meno efficace di altre forme di regolamentazione, alle quali, peraltro, frequentemente si accompagna. D’altro canto, nei casi in cui ciò avviene, la fissazione di prezzi risulta del tutto ingiustificata e contraria ai principi di efficenza regolamentativa. Più in generale, inoltre la determinazione di tariffe minime appare non necessaria per tutte le prestazioni professionali che non siano caratterizzate da significative forme di asimmetria informativa. 43 39. A conclusione di questa sezione relativa agli strumenti di regolamentazione pubblica più frequentemente utilizzati nel settore dei servizi professionali, è possibile sintetizzare le considerazioni fino ad ora svolte attraverso l’impiego della tabella 2, che riguarda gli obiettivi dei diversi interventi di regolamentazione. Tabella 2 - obiettivi e strumenti di regolamentazione pubblica dei servizi professionali selezione alla entrata garantire l’esistenza del mercato ridurre i costi di miglioramenti della qualità ridurre i costi di ricerca per i consumatori eliminare i comportamenti opportunistici incentivare comportamenti deontologici standard di qualità delle prestazioni X X X minimi tariffari X X X X X La tabella mette in evidenza che la selezione all’entrata, in congiunzione con l’introduzione di standard di qualità delle prestazioni può consentire una piena tutela del consumatore sia rispetto a fenomeni di imperizia, che di negligenza o di sovra (sotto)produzione del servizio. La desiderabilità dell’adozione i tali strumenti dipende tuttavia dalla natura del servizio che si intende regolamentare, secondo le linee schematizzate nella tabella 3 seguente. Tabella 3 - desiderabilità di diverse forme di regolamentazione tipologia servizi selezione all’entrata standard di qualità minimi tariffari delle prestazioni search goods experience goods credence goods nulla o scarsa scarsa /media elevata nulla o scarsa scarsa/media elevata nulla o scarsa nulla o scarsa nulla o scarsa 2.3 Autoregolamentazione: costi e benefici 40. In ciò che segue si considerano i costi e benefici dell’autoregolamentazione, intesa come il coinvolgimento di membri delle categorie professionali nell'applicazione degli strumenti di regolamentazione pubblica sopra analizzati, nonché la delega ad esse di integrare detta regolamentazione attraverso l'introduzione di norme di comportamento, contenute in codici deontologici. contributo alla regolamentazione pubblica 41. La presenza di asimmetrie informative rende di fatto necessario lo svolgimento di alcune funzioni regolative da parte dei membri delle professioni. Il motivo principale della partecipazione delle professioni alla regolamentazione pubblica è da rinvenirsi nella maggiore abilità dei professionisti a valutare gli 44 standard di qualità della prestazione e i livelli di competenza minimi per l’esercizio della professione. I membri della professione possono avere accesso a costi inferiori a quell'informazione che è necessaria perché la regolamentazione sia efficace. 42. Anche nel caso in cui lo stato decidesse di intervenire direttamente nell'applicazione della regolamentazione, dovrebbe comunque fare ricorso ad esperti qualificati che nella maggioranza dei casi sarebbero membri della professione stessa. La fusione degli addetti alla regolamentazione e degli esperti in unico ruolo comporta quindi un notevole risparmio di risorse. 43. Un ulteriore argomento che viene spesso addotto a favore dell’autoregolamentazione è che i suoi costi inciderebbero soltanto all'interno della professione stessa e sui consumatori di quei servizi, e non sull'intera collettività come accadrebbe nel caso di una regolamentazione condotta da agenzie governative il cui finanziamento avviene attraverso la tassazione. Inoltre, dal momento che quelle voci di costo si sostengono completamente all'interno del mercato, gli addetti all'autoregolamentazione sarebbero incentivati a minimizzare i costi di applicazione delle regole e quelli che i privati subiscono in relazione a ciò. Le agenzie governative, nel breve periodo, potrebbero avere incentivi a ridurre i primi, ma non i secondi. 44. Benché i vantaggi, in termini di risparmio di costi, del coinvolgimento delle categorie professionali nella regolamentazione pubblica siano del tutto evidenti, risulta altrettanta chiara la possibilità che l’autoregolamentazione possa essere utilizzata al fine di restringere la concorrenza, limitando l’accesso a nuovi professionisti in misura maggiore di quanto sarebbe giustificato dalla sola esigenza di tutelare i consumatori. 45. Adottando criteri più o meno stringenti agli esami di abilitazione si può influenzare il numero degli ammessi alla professione e adeguare le entrate alle condizioni prevalenti di mercato, alleviando gli effetti negativi di un momento di congiuntura sfavorevole o prolungando gli effetti positivi di un’espansione della domanda. In particolare, nel primo caso, l’impatto negativo di una riduzione della domanda può essere contenuto restringendo l’entrata e lasciando che l’interazione fra le forze di mercato riporti i prezzi al livello desiderato. 46. Peraltro, le stesse considerazioni si applicano anche ai casi in cui gli ordini, oltre a svolgere un ruolo nella valutazione dei potenziali entranti, hanno la possibilità di influire sulla determinazione dei requisiti stessi di accesso alle professioni. Ciò può accadere in ragione del fatto che, come già osservato, chi già esercita è nelle migliori condizioni per valutare appieno il grado di preparazione 45 e le caratteristiche di capitale umano che sono necessarie per svolgere con competenza l’attività professionale. Inoltre, il coinvolgimento delle categorie professionali nella determinazione dei requisiti per l’accesso può consentire maggiore flessibilità in risposta a modificazioni del contesto economico, favorendo il superamento di regole inefficienti che tenderebbero a cristallizzarsi se rimesse totalmente alle decisioni pubbliche e promuovendo il passaggio verso regole che influiscono positivamente sullo sviluppo del mercato. Dall’altro lato, tuttavia, esiste il rischio che gli ordini influenzino in senso restrittivo la determinazione dei requisiti di accesso, non tanto al fine di assecondare un mutamento nelle preferenze dei consumatori circa le combinazioni di qualità e prezzo delle prestazioni, quanto piuttosto per stabilizzare i guadagni dei membri della categoria43. Inoltre viene sostenuto che non è affatto scontato che le categorie professionali tendano a rimuovere norme inefficienti, ma al contrario sembra prevedibile che esse vengano mantenute soprattutto nel caso in cui un loro mutamento finirebbe per causare perdite di capitale umano investito irreversibilmente o, in altri termini, per minare previsioni di rendita non sempre giustificata44. 47. Relativamente all’autoregolamentazione degli standard di qualità dei servizi, e in particolare alla funzione di controllo della qualità delle prestazioni assegnata agli ordini, valgono considerazioni analoghe. Da un lato, in ragione della complessità e non standardizzazione dell’attività professionale, soltanto chi esercita appare in grado di valutare l’effettiva adeguatezza delle prestazioni e in particolare la perizia e la diligenza impiegata dal professionista nonché l’assenza di fenomeni di sovra o sottoproduzione del servizio. Dall’altro lato tuttavia, non appare sussistere un forte incentivo all’interno degli ordini a svolgere in modo imparziale una funzione di vigilanza sull’aderenza dei comportamenti dei membri della professione a criteri slegati dall’autointeresse. Al riguardo, giova osservare che comportamenti non deontologici da parte di alcuni professionisti non giungono mai al punto da 43 Al riguardo, alcune analisi empiriche statunitensi hanno ad esempio messo in luce il ruolo di estremo rilievo che ha avuto l'ordine dei medici americani (AMA) nella definizione dei requisiti necessari per l'entrata, fino alla promulgazione di un atto legislativo che prevedeva che l'abilitazione fosse concessa in esclusiva ai medici provenienti dalla ristretta lista di scuole approvate dall'AMA stessa. Il risultato di questa restrizione all'entrata è stato una drastica riduzione delle scuole mediche e della densità di medici nella popolazione (Cfr. C.Curran, The American Experience with Self-Regulation in the Medical and Legal Professions, in M. Faure, Regulation of Professions, 1993). 44 A titolo esemplificativo, si pensi al consolidarsi all'interno degli statuti degli ordini professionali delle cosiddette clausole dei diritti acquisiti, che esentano i membri già in attività dalla presentazione dei requisiti contenuti nei nuovi standard per l'ottenimento dell'abilitazione all'esercizio. (Si veda ad esempio la recente normativa sull’accesso alla professione di ragioniere e perito commerciale, che richiede a differenza di quanto accadeva prima del 1992, il diploma universitario. La clausola dei diritti acquisiti vale in quanto la normativa non agisce retroattivamente). La giustificazione addotta alla mancata applicazione retroattiva della “nuova” regolamentazione è che i membri già attivi hanno maturato esperienza nel corso dell'attività, che equivarrebbe comunque ad un aumento del capitale umano. 46 compromettere l'ampiezza delle transazioni che costituiscono il mercato dei servizi professionali e quindi a far sorgere la necessità di un intervento “di autotutela” dell’ordine. Per altro verso, accordi fra i membri della professione per sovrastimare la qualità media delle prestazioni erogate consentono di evitare il ricorso ai provvedimenti disciplinari che sarebbero previsti per i casi di negligenza professionale e mantenere un più elevato prezzo medio delle prestazioni. 48. In conclusione, l'efficacia della autoregolamentazione può risultare compromessa se i professionisti incaricati della sua applicazione utilizzano a loro favore l'informazione privata di cui dispongono. Tale possibilità diventa tanto più concreta quanto più verosimile appare l'ipotesi che tali professionisti non siano disinteressati e che non sia loro estraneo l'obiettivo della tutela degli interessi della categoria che rappresentano. In tal caso, risultano affievoliti gli incentivi ad una efficace azione di contrasto dei comportamenti opportunistici che emergono all'interno della professione. i codici deontologici e il divieto di pubblicità 49. Una delle funzioni principali degli ordini professionali in un regime di autoregolamentazione è l'applicazione del codice deontologico; esso contiene generalmente una serie di norme relative alla condotta professionale e morale del professionista tra le quali è frequentemente compreso il divieto di pubblicità. In ciò che segue si considerano i costi e i benefici di questa specifica forma di autoregolamentazione45. 50. L'obiezione più frequentemente addotta da parte di membri delle categorie professionali alle proposte di liberalizzazione delle norme sulla pubblicità è che l'annullamento del divieto comporterebbe un decadimento morale della professione. La “mercificazione” dell’assistenza fornita dal professionista al cliente rappresenterebbe uno snaturamento dell'esercizio della professione, che deve essere svincolata dai criteri allocativi di mercato. Inoltre, la possibilità di effettuare investimenti pubblicitari finirebbe per favorire i professionisti con maggiori capacità finanziarie, determinando un’eccessiva concentrazione del mercato e traducendosi, in ultima analisi, in una riduzione del benessere dei consumatori. 51. Tali argomentazioni tuttavia contrastano con la considerazione che, data la presenza delle asimmetrie informative di cui sopra, il divieto alla 45 Al riguardo giova precisare che nel caso delle professioni sanitarie e di quelle sanitarie ausiliarie il divieto di pubblicità è previsto non solo dai codici deontologici, ma anche dalla legge 5 febbraio 1992, n. 175, in G.U. 29 febbraio 1992, n. 50, Norme in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie. Analogamente, per i notai, il divieto di pubblicità è disposto, oltre che dal codice deontologico, anche dall’art. 14 del RDL 14 luglio 1937, n. 1666, Modificazioni dell’ordinamento del notariato e degli archivi notarili. 47 pubblicità finisce per precludere un canale di trasmissione dell'informazione sulle caratteristiche delle prestazioni e sulla dispersione dei prezzi (eventualmente anche solo sopra i minimi tariffari) che sarebbe particolarmente utile per ridurre i costi di ricerca sostenuti dai consumatori, aumentando l’efficienza dei meccanismi di mercato e il benessere collettivo. 52. Alcuni studi di natura empirica sul settore dei servizi professionali hanno sottoposto a verifica sia l’ipotesi che il maggior ricorso alla pubblicità si traduca in un aumento del benessere, a seguito di risparmi di costi di ricerca per il consumatore, che l’ipotesi secondo la quale gli investimenti pubblicitari abbiano problematici effetti sulla struttura dei mercato. In particolare, sono stati analizzati gli effetti della liberalizzazione in termini di pubblicità avvenuta in alcuni segmenti del mercato dei servizi legali inglesi 46. Al riguardo, è stato constatato che all'aumentare della proporzione di imprese che ricorrevano all'investimento pubblicitario, diminuivano le tariffe prevalenti nel mercato. Inoltre, non sono emerse indicazioni che un indebolimento del divieto di diffondere pubblicità comporti sostanziali distorsioni allocative e relative perdite di benessere per i consumatori. Con riferimento all’ipotesi che la pubblicità modifichi la struttura di mercato, la verifica empirica ha in realtà riguardato principalmente settori industriali, caratterizzati inoltre da un elevato rapporto pubblicità/fatturato e/o da elevati livelli in valore assoluto di investimento pubblicitario per impresa, mentre è stata piuttosto limitata nel settore dei servizi professionali. In linea di massima, gli studi riguardanti i settori industriali confermano l'ipotesi che un massiccio investimento pubblicitario possa generare sostanziali effetti anticoncorrenziali. Tuttavia, tale risultato non appare confermato nel settore dei servizi professionali. In particolare, con riguardo al mercato dei servizi sanitari inglesi, si è riscontrato che sono soprattutto i giovani medici da poco entrati sul mercato ad investire in pubblicità 47(Folland, 1987). Ciò è spiegabile considerando che la pubblicità agirebbe da fattore di accelerazione della costituzione di capitale reputazionale, consentendo ai nuovi entranti di superare con maggiore velocità lo svantaggio che li separa dai professionisti affermati e aumentando così la concorrenza tra professionisti, a vantaggio del consumatore. Altri studi relativi al mercato delle prestazioni sanitarie confermano che il ricorso alla pubblicità è meno frequente da parte dei medici affermati 48 e che tuttavia i benefici derivanti dalla pubblicità sono maggiori per i medici con più esperienza. In altri termini, i professionisti in attività da lungo tempo ricorrono meno alla pubblicità, probabilmente anche nel timore che ciò possa essere interpretato come un segnale di scarsa qualità. Tuttavia, quando lo fanno 46 J.H. Love et al., Spatial Aspects of Deregulation in the Market for Legal Services, in regional Studies, 1992. 47 S.Folland, Advertising by Phisicians: Behavior and Attitudes, in Medical Care, 1987. 48 S.J.A.Rizzo e R.J. Zeckhauser, Advertising and Entry: the case of Phisician Services, in Journal of Political Economy, 1990. 48 migliorano la loro posizione di mercato di più di quanto accade ai nuovi entranti a seguito di analoghi investimenti. 53. In conclusione, la letteratura empirica sembra confermare l'opportunità di una liberalizzazione della pubblicità all'interno dei servizi professionali. L'investimento pubblicitario incide il più delle volte positivamente sul benessere del consumatore generando una riduzione delle tariffe medie. Peraltro, la stima degli effetti dell'investimento pubblicitario sulla struttura del mercato non genera predizioni univoche. Alcune recenti indagini relative al settore sanitario inglese sembrano tuattavia confermare che l'investimento pubblicitario favorisce nel breve periodo l’affermazione sul mercato dei neoprofessionisti. 2.4 Conclusioni 54. Sulla base delle considerazioni sopra svolte si possono trarre alcune conclusioni di natura generale con riguardo alla regolamentazione dei servizi professionali. Dato l'intrinseco vantaggio informativo di cui dispongono i membri delle professioni stesse e l'onerosità del reperimento di quell'informazione da parte di terzi, il decisore pubblico deve necessariamente delegare ai professionisti parte dell'attività regolativa. Di fatto ciò avviene, in quanto gli ordini professionali svolgono un ruolo attivo nell'applicazione di strumenti di regolamentazione pubblica e inoltre contribuiscono alla tutela del consumatore attraverso l’emanazione di norme di condotta che dovrebbero prevenire il verificarsi di comportamenti opportunistici da parte dei professionisti. Il costo di questa delega agli ordini è rappresentato dalla rendita di posizione che viene loro concessa. Essa può in parte essere vista come forma di incentivazione sub-ottimale alla produzione privata di servizi professionali, che permettono di realizzare esternalità positive aventi un valore sociale e inoltre come forma di incentivazione all’adesione alle regole di condotta previste dai codici deontologici. 55. Il sostenimento di questo costo da parte della collettività risulta giustificato: a) se la probabilità che il consumatore non sia da solo in grado di evitare selezioni avverse tra servizi di differente qualità è significativa; b) se il coinvolgimento degli ordini nell’applicazione degli strumenti di regolamentazione pubblica e il ruolo loro attribuito di integrarla con l’emanazione di norme di condotta nonchè di controllarne l’applicazione appare realmente suscettibile di produrre un miglioramento della qualità delle prestazioni. 49 56. Elementi di valutazione concreta di entrambi gli aspetti verranno forniti nei capitoli seguenti, dedicati all’esame delle caratteristiche economiche e dell’assetto regolamentativo degli specifici servizi professionali. 50 PARTE TERZA NUOVE CONFIGURAZIONI DELL’OFFERTA NEI SERVIZI PROFESSIONALI INTERESSI EMERGENTI E PROBLEMI APERTI 186 CAPITOLO SETTIMO: LE PROFESSIONI NON REGOLAMENTATE 7.1 Sviluppo delle professioni non regolamentate 1. Estendendo ora i confini dell’analisi fin qui condotta al più ampio e variegato panorama delle attività professionali in senso lato, giova innanzitutto osservare che le professioni possono essere distinte in funzione del grado di intensità del controllo che lo Stato ha ritenuto necessario apprestare sia sul tipo di formazione richiesta per esercitare le attività, sia sulle stesse attività che ne costituiscono l’oggetto. Al riguardo, nel nostro ordinamento, possono essere individuate un primo tipo di professioni, quelle protette, per l’esercizio delle quali è prevista l’iscrizione in albi e l’istituzione di un ordine al quale è delegata la funzione di controllo sull’esercizio dell’attività; un secondo tipo di professioni che sono riconosciute, ovvero disciplinate dalla legge, per le quali tuttavia si richiede solo l’iscrizione in albi o elenchi, senza che sia necessaria la costituzione di un ordine (ad esempio gli agenti di assicurazione e i periti assicurativi); infine, un terzo tipo di professione è dato dalle attività non regolamentate, ovvero non soggette ad una regolamentazione pubblicistica, ma presenti sul mercato del lavoro e rappresentate dalle relative associazioni. Il presente capitolo concerne prevalentemente quest’ultima categoria di professioni. 2. Nel corso degli anni 80’, si è assistito alla nascita di svariate attività professionali, come evoluzione o specificazione di professioni già esistenti, oppure come nuove attività sorte per rispondere a specifiche richieste di mercato. Il quadro di queste professioni è molto vasto, in quanto include anche attività che non sono propriamente “liberali”, nel senso di svolgersi senza vincoli di dipendenza, oppure “intellettuali”, nel senso di avere un contenuto prevalentemente legato all’ingegno. Il settore è stato recentemente oggetto di una ricognizione da parte del CNEL382 dalla quale emerge che nel 1995 circa 700.000 operatori esercitavano professioni non regolamentate nel settore dei servizi alle imprese383, in quello socio-sanitario384 e nel settore delle arti, delle scienze e delle tecniche385. 382 Cfr. CNEL, 2° Rapporto di monitoraggio sulle Associazioni rappresentative della Professioni non Regolamentate, 1996 383 Le principali professioni del settore sono rappresentate dagli esperti di marketing e in pubbliche relazioni, dai disegnatori, dai cambisti, dagli approvvigionatori, dai traduttori e interpreti, dai consulenti di direzione aziendale, dai periti liquidatori, dai tecnici degli scambi internazionali ecc... 384 Le principali professioni del settore sono rappresentate dai chinesiologi, dagli igienisti dentali, dagli osteopati, dai terapisti della riabilitazione, dagli ortottisti, dai podologi, dai massifisioterapisti, dagli ergonomi, dai pedagogisti e dai consulenti familiari. 385 Si tratta di un settore molto variegato che comprende, tra gli altri, stenotipisti, urbanisti, amministratori immobiliari, restauratori, enologi, fotografi e telecineoperatori. 187 Tabella 1. Stima della ripartizione del numero di operatori svolgenti attività non regolamentate in diverse aree settori n. operatori servizi all’impresa 293.650 attività socio-sanitarie 167.913 arti, scienze e tecniche 232.225 totale 693.788 Fonte: CNEL, cit.. 3. Naturalmente le caratteristiche delle prestazioni erogate dagli operatori variano sensibilmente a seconda dei settori interessati, anche in rapporto alle caratteristiche della domanda, la quale nel settore dei servizi alle imprese è rappresentata da soggetti pubblici e da aziende private, mentre nel settore socio sanitario è rappresentata soprattutto da persone fisiche. 4. Alcune attività oggetto delle professioni non regolamentate vengono svolte in concorrenza con quelle normalmente svolte da coloro che appartengono ad una professione protetta. Deve infatti essere considerato che le professioni protette hanno ad oggetto alcune attività in esclusiva, per le quali non esiste concorrenza con soggetti che non siano iscritti agli albi, ma anche molte attività libere, che possono essere svolte anche da soggetti non iscritti agli albi. Alcune di queste attività libere costituiscono attualmente l’oggetto di specifiche figure professionali non disciplinate dalla legge, che si trovano ad operare in concorrenza con i professionisti protetti. Un esempio in tal senso è dato dall’”urbanista”, figura professionale venutasi a creare con l’istituzione di una laurea in urbanistica386 che consente di acquisire e svolgere particolari competenze in materia di pianificazione territoriale, il quale esercita un’attività abitualmente svolta da ingegneri e architetti. Poiché infatti la pianificazione territoriale non è attività attribuita in esclusiva agli ingegneri e agli architetti, essa può essere legittimamente svolta anche da soggetti come gli urbanisti che sono qualificati nella materia anche se non devono superare un esame di Stato, nè sono iscritti ad un albo387. Analoghe considerazioni possono essere fatte nei riguardi dell’attività di consulenza tributaria che non costituendo attività riservata ai commercialisti e ai ragionieri può essere svolta anche da professionisti non iscritti agli albi, tra cui figurano i “tributaristi”. Pertanto, il delinearsi di queste nuove figure professionali ha contribuito a sviluppare la concorrenza in ambiti di attività tradizionalmente appannaggio delle professioni protette, nonché ha evidenziato che segmenti di clientela tradizionalmente soddisfatti da iscritti ad albi, sono disponibili ad indirizzare la 386 Istituita con D.P.R. 14 aprile 1970 n. 1009. Cfr. T.A.R. Liguria 14 luglio 1983 n. 253, T.A.R. Veneto 20 dicembre 1990 n. 100/91 e T.A.R. di Trento 28 ottobre 1991 n. 375. 387 188 propria domanda a soggetti che propongono combinazioni qualità-prezzo del servizio ritenute preferibili. 7.2 L’autoregolamentazione delle professioni non regolamentate a) il fenomeno dell’associazionismo 5. Con l’evoluzione e il proliferare di tali nuove professioni si è altresì assistito allo sviluppo di Associazioni di rappresentanza delle professioni emergenti, con compiti anche di autoregolamentazione delle attività. Queste associazioni, oltre alla tutela degli interessi dei propri iscritti, si sono poste l’obiettivo di ricercare forme di autocertificazione tese a valorizzare la professione e a fare acquisire visibilità alla stessa. Tra gli obiettivi che le associazioni si sono poste i principali sono rappresentati dall’acquisizione di un riconoscimento pubblico, dall’aggiornamento professionale e dalla garanzia della qualità dei servizi resi dagli associati. L’associazionismo rappresenta pertanto un canale di sostegno promozionale, culturale ed economico per un elevato numero di operatori, nonché la possibilità di riconoscersi in una strategia di sviluppo comune a tutta la categoria e di acquisire una identità collettiva. 6. Le associazioni professionali di cui si ha conoscenza sono 142388, delle quali due terzi si sono costituite in tempi abbastanza recenti, cioè dopo il 1980 e ben 42 negli ultimi cinque anni. 7. Come evidenziato dalla tabella che segue, mettendo a confronto i dati stimati sul numero di operatori presenti nei settori interessati con i dati sul numero degli iscritti alle varie associazioni, emerge che la rappresentatività di queste è piuttosto ridotta rispetto all’intero mercato, ad indicare, ad avviso del CNEL, la difficoltà delle associazioni di raggiungere alcune fasce di operatori e, in parte, lo scarso interesse alla adesione ad organismi di rappresentanza. Per altro verso, tuttavia, si riscontra, la presenza, in quasi tutti i settori presi in considerazione, all’interno delle associazioni, di iscritti ad albi riconosciuti. La circostanza appare degna di rilievo in quanto evidenzia che tali professioni emergenti svolgono una parte di attività in concorrenza con alcune professioni regolamentate. Tabella 2. Iscritti alle Associazioni delle professioni non regolamentate settori iscritti % operatori servizi all’impresa 15.253 35,2 293.550 attività socio-sanitarie 11.977 27,7 167.913 arti, scienze e tecniche 15.997 37,1 232.325 totale 43.227 100,0 693.788 Fonte: CNEL, cit.. 388 Si tratta di quelle associazioni che sono state censite dal CNEL. 189 a) accesso all’associazione 8. Il livello di qualificazione richiesto dalle associazioni è molto vario, ma per la gran parte dei settori, la licenza di scuola media superiore è il titolo necessario per l’ammissione. In alcuni casi è richiesto un diploma universitario o la laurea (specie nel settore dei servizi alle imprese e di comunicazione d’impresa) o la frequenza di scuole di specializzazione (specie nel settore socio-sanitario). Nei settori delle arti, scienze e tecniche a volte non è richiesto alcun titolo di studio. In alcuni settori e, segnatamente, le tecniche di comunicazione e dei servizi di impresa, assume importanza una formazione pratica. Il titolo di studio nella maggior parte dei casi non è sufficiente per essere ammessi all’Associazione, essendo richiesto anche un periodo di praticantato svolto o durante o dopo il percorso formativo. Inoltre, la maggioranza delle associazioni sottopone gli aspiranti soci anche ad una prova di ammissione. Infine, solo una minoranza (soprattutto nel settore socio-sanitario e nelle arti, scienze e tecniche) gestisce scuole professionali allo scopo di formare i professionisti. b) funzioni e deontologia 9. Una delle attività più importanti delle associazioni riguarda l’offerta ai propri iscritti di servizi diretti ad un miglioramento della qualità delle prestazioni e relativi prevalentemente all’aggiornamento (attraverso periodici, corsi periodici, convegni, congressi o seminari specifici) e alla formazione professionale. 10. La maggior parte delle associazioni indica ai propri iscritti alcuni criteri di comportamento contenuti in Codici etici. Relativamente alla natura di tali principi, fatta eccezione per quelli connessi alle peculiarità delle attività svolte, le regole più importanti sono sostanzialmente identiche e consistono nell’onestà, nel rispetto del segreto professionale, nell’aggiornamento della propria professionalità, nel rispetto delle regole interne dell’Associazione. Sono inoltre previsti controlli sul rispetto delle norme deontologiche, esercitati nelle forme più varie, da collegi regionali, interregionali e nazionali, da Consigli di garanti, da Commissioni deontologiche ecc.., e, nella maggior parte dei casi il contravvenire a tali principi comporta anche l’attivarsi di un sistema sanzionatorio (ammonizioni, richiami, diffide, la sospensione e nei casi più gravi all’espulsione). Scarsamente diffusa è invece la verifica in itinere delle capacità professionali degli iscritti, limitandosi il controllo ai requisiti nella fase di accesso. 190 7.3 Forme di riconoscimento in ambito comunitario 11. Le più recenti iniziative della Comunità europea in materia di professioni intellettuali sono contenute nella Direttiva 92/51/CEE del Consiglio, relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale, che integra la Direttiva 89/48/CEE del Consiglio, riguardante un iniziale sistema generale di riconoscimento per i diplomi conseguiti a seguito di periodi di formazione della durata minima di 3 anni. La Direttiva 92/51 considera anche i gradi di formazione inferiore, che non sono stati previsti dal sistema generale iniziale. Entrambe le direttive, applicabili sia ai lavoratori autonomi che subordinati, sono volte a favorire la libera circolazione delle persone e dei servizi in ambito comunitario, creando le condizioni affinché i cittadini degli Stati Membri possano esercitare una professione in uno Stato diverso da quello nel quale essi hanno acquisito le loro qualifiche professionali389. A tal fine le Direttive introducono il principio del riconoscimento reciproco delle condizioni di accesso alle quali gli Stati membri subordinano l’esercizio delle professioni, basato sul principio della fiducia reciproca che devono nutrire nelle rispettive formazioni professionali Stati che hanno un livello equivalente di sviluppo economico, sociale e culturale. Pertanto, viene previsto che un Paese membro ospitante non possa rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro l'accesso o l'esercizio ad una professione, se il richiedente possiede il diploma che nello Stato membro di origine è richiesto per accedere o esercitare tale professione. 12. Una prima osservazione deve essere fatta in merito alla circostanza che le Direttive non interferiscono affatto sui poteri dei diversi Stati membri di decidere se una professione o un’attività professionale debba essere regolamentata ed eventualmente secondo quali modalità. Il legislatore comunitario si è solo preoccupato che dalla diversa valutazione degli Stati in merito alla necessità di regolamentare un’attività, o dal modo in cui è regolamentata non derivasse un pregiudizio alla libertà di esercizio delle professioni in ambito europeo e, pertanto, nelle Direttive suddette si è cercato di tenere conto di tutte le molteplici situazioni in cui si può attuare una formazione professionale390. 389 La realizzazione del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi nel campo delle professioni liberali ha conosciuto tre fasi: una prima consistente nell’adozione di programmi generali al fine di sopprimere le restrizioni connesse alla nazionalità e alla residenza; un seconda, di attività legislativa, consistente nell’emanazione di direttive settoriali volte all’adozione di misure di coordinamento legislativo tra i diversi Stati membri; infine una terza, basata sul principio del riconoscimento reciproco. 390 Cfr V. Scordamaglia, La direttiva CEE sul riconoscimento dei diplomi, in Foro It. 1990, IV, 391. 191 13. Le situazioni contemplate dalle Direttive sono sostanzialmente due, ovvero quella in cui le professioni sono regolamentate in entrambi i Paesi, ma in modo diverso, e quella in cui la professione non è regolamentata in un Paese, ma lo è in quello nel quale il professionista intende esercitare la professione. Nel primo caso è necessario valutare le differenze tra la disciplina dell’attività nei due Paesi: qualora si tratti di differenze di poco conto, tali da poter essere superate dal professionista nel processo di adattamento in un altro Paese, lo Stato ospitante non potrà rifiutare l’accesso; qualora invece le differenze dovessero essere sostanziali, le Direttive forniscono dei meccanismi di adattamento per addivenire ad una compensazione. Nel secondo caso, invece, per beneficiare dell’ammissione alla professione regolamentata, il richiedente che proviene da un Paese nel quale quella professione non è disciplinata, deve fornire la prova di aver effettuato un corso di studi preparatorio, nonché di aver esercitato la professione nel proprio Paese per almeno due anni durante gli ultimi dieci. Pertanto, la nozione di professione non regolamentata ai sensi di queste Direttive non esclude, quale requisito per l’esercizio, il possesso di un titolo di studio, il quale individuerebbe un titolo di formazione rilasciato a seguito della frequenza di un corso di studi. 14. Relativamente alla nozione di attività professionale regolamentata, poi, merita sottolineare che l’Unione Europea, dopo aver considerato tale l’attività professionale per la quale l’accesso o l’esercizio sia subordinato direttamente o indirettamente mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative al possesso di un diploma (inteso nell’accezione di cui si è detto), ha assimilato ad una attività regolamentata “l’attività professionale esercitata dai membri di un’associazione od organizzazione che, oltre ad avere segnatamente lo scopo di promuovere e di mantenere un livello elevato nel settore professionale in questione, sia oggetto, per la realizzazione di tale obiettivo, di un riconoscimento specifico da parte di uno Stato membro e: rilasci ai suoi membri un titolo di formazione, - esiga da parte loro il rispetto di regole di condotta professionale da essa prescritte e - conferisca ai medesimi il diritto di un titolo professionale"391. Pertanto, il legislatore comunitario ha posto su un analogo piano i processi formativi direttamente regolati dallo Stato e i processi formativi delle associazioni riconosciute dallo Stato, alle quali è delegata la funzione di certificazione dei soggetti idonei allo svolgimento di una certa attività sulla base del possesso di predeterminate caratteristiche professionali. La circostanza appare come un vero e proprio riconoscimento dell’equivalenza sostanziale dei due diversi sistemi di certificazione. 391 Articolo 1, lettera d) della direttiva 89/48 e articolo 1, lettera f) della direttiva 92/51. 192 7.4 Conclusioni a) La tendenza alla regolamentazione pubblicistica delle professioni 15. La tendenza in atto nel nostro ordinamento è quella di un allargamento della disciplina legislativa ad un sempre maggior numero di professioni emergenti, in base ad una valutazione del legislatore che non sempre sembra avere riguardo alla rilevanza degli interessi su cui incide l’esercizio delle stesse. Talvolta il legislatore è giunto sino a disciplinare alcune di queste professioni nella stessa forma rigida e pervasiva prevista per le professioni protette, prevedendo un esame di Stato e l’istituzione di un ordine. E’ il caso della disciplina relativa alla professione di maestro di sci, e della professione di guida alpina392. 16. A questa tendenza alla professionalizzazione delle attività non è certamente estranea una richiesta in tal senso da parte delle professioni emergenti le quali frequentemente non ritengono sufficienti le forme di organizzazione e di rappresentanza già autonomamente adottate ed aspirano ad un riconoscimento che abbia un valore per tutta la collettività. Pertanto, quello che le professioni cercano di acquisire non è una regolamentazione che sostanzialmente già c’è, quanto una legittimazione pubblica di tale regolamentazione, una sorta di “marchio di qualità” socialmente riconosciuto. Tra le motivazioni principali sottese a tale richiesta figura certamente l’acquisizione di una maggiore visibilità sul piano economico e sociale e di un riconoscimento che svolga una funzione di garanzia agli occhi del consumatore. Inoltre, non si può tralasciare il fatto che spesso la richiesta di tali forme di tutela deriva dagli ostacoli posti nello svolgimento dell’attività da parte dei professionisti protetti, i quali difendono segmenti di mercato in precedenza interamente controllati, e da parte della pubblica amministrazione che spesso non conferisce gli incarichi se non agli iscritti agli albi393. Tuttavia, non si può negare altresì che alcune di queste professioni ambiscano anche ad acquisire un monopolio sulle attività svolte, attraverso le tradizionali forme di regolamentazione pubblica adottate per le professioni protette, con l’istituzione di albi o ordini che definiscano, limitino e riservino le attività ad una determinata categoria di soggetti. b) la possibilità di adottare sistemi di regolamentazione diversi dall’istituzione di Albi e Ordini 17. Con riguardo alla domanda di regolamentazione espressa dalle professioni emergenti che ambiscono ad ottenere l’istituzione di albi e di 392 Cfr. , rispettivamente, leggi 8 marzo 1991 n. 81 e 2 gennaio 1989 n. 6. Al riguardo, ad esempio, nonostante nessuna legge riservi l’attività di pianificazione territoriale agli iscritti agli albi notevoli difficoltà sono state incontrate dagli urbanisti nel ricevere gli incarichi di elaborazione dei piani urbanistici da parte degli enti territoriali. 393 193 ordini, deve essere sottolineato che, se può essere accettabile la richiesta di una certificazione che conferisce un marchio di qualità, non appaiono ricorrere i presupposti perché questo avvenga necessariamente con modalità selettive e limitative quali quelle già previste per le professioni protette. Deve infatti essere considerato che l’esercizio di una professione è, in linea di principio, libero e, pertanto, le limitazioni poste dal legislatore all’esercizio di tale attività dovrebbero assumere carattere eccezionale e trovare una giustificazione nella particolare rilevanza dell’attività svolta in connessione anche con l’elevata probabilità che la fornitura di un servizio scadente produca danni significativi al singolo consumatore e alla collettività. Solo in presenza di comprovate esigenze di tutela di interessi generali, il legislatore dovrebbe attribuire la riserva di attività a determinate categorie di soggetti, che possiedono i requisiti per assicurare uno standard minimo di prestazioni, ed esercitare un controllo sulle modalità di esercizio della professione. Tali esigenze di carattere generale che non appaiono sempre ricorrere talora persino nell’ambito delle professioni protette, risultano poi difficilmente riscontrabili per le professioni emergenti. Peraltro, seppure si possa comprendere e ipotizzare per le stesse un sistema di certificazione di qualità idoneo a fornire garanzie per il consumatore più esigente che intende assicurarsi un servizio qualitativamente elevato non si giustifica l’adozione di una regolamentazione che limiti sia la libertà di iniziativa economica privata dei soggetti che attualmente operano in piena autonomia, sia la libertà di scelta del consumatore, il quale, può preferire servizi di qualità meno elevata ma di prezzo più conveniente. 18. Si può allora ipotizzare per tali professioni un sistema di certificazione di qualità meno “impegnativo”, sulla scia di quanto avviene in altri Paesi Europei, basato sul riconoscimento di associazioni delle professioni non regolamentate e soprattutto sull’adesione volontaria dei soggetti394. Tale sistema ha trovato d’altra parte pieno riconoscimento anche in sede comunitaria con le Direttive 89/48 e 92/51, dalle quali emerge una nozione di professione regolamentata non necessariamente connessa all’istituzione di albi o ordini. Secondo tale modello i professionisti sono organizzati in associazioni alle quali fa capo, tra l’altro, la predisposizione di un sistema rigoroso di verifica della competenza del professionista, e dei suoi standard di comportamento. Pertanto, il professionista che lo desidera può iscriversi ad un’Associazione, acquisendo così una sorta di marchio di qualità. Il modello descritto si basa, dunque, sul riconoscimento di un certo titolo di studio che abilita alla 394 D’altra parte, nell’ambito delle professioni non regolamentate, esistono una serie di figure professionali, soprattutto nel settore socio-sanitario (fisioterapista, tecnico ortopedico, igienista dentale ecc..), per le quali seppure non è previsto un esame di Stato e non è stato costituito un ordine, l’accesso alla professione è consentito solo dopo il conseguimento di un diploma universitario abilitante. Pertanto, la mancanza di una disciplina pubblicistica non significa che chiunque, sprovvisto di un titolo di studio, possa esercitare queste attività. 194 professione e sul riconoscimento di associazioni che garantiscono la formazione dei propri iscritti e il rispetto, da parte degli stessi, di alcune regole deontologiche essenziali. Le associazioni professionali sono riconosciute dallo Stato in quanto hanno lo scopo di promuovere e mantenere una qualità dell'offerta adeguata nei settori di competenza. A tal fine, viene previsto che queste associazioni esercitino una funzione di autoregolamentazione della categoria, principalmente attraverso l'accertamento del possesso e mantenimento di predeterminati requisiti di competenza e professionalità da parte degli iscritti. Esse possono inoltre esigere da questi ultimi il rispetto di regole di condotta professionale, comunque finalizzate alla realizzazione dell'obiettivo di garantire la qualità delle prestazioni. L’adozione di un sistema siffatto concilierebbe le esigenze di coloro che aspirano ad appartenere ad una categoria pubblicamente riconosciuta, senza precludere l’esercizio della medesima attività da parte di coloro che non hanno le medesime aspirazioni e garantirebbe al consumatore la possibilità di scegliere tra servizi di qualità diverse e, verosimilmente anche di prezzi diversi. 195 CAPITOLO OTTAVO: ATTIVITÀ LIBERO-PROFESSIONALE E ALLE DIPENDENZE 1. Questo capitolo riguarda il tema dell’incompatibilità tra attività liberoprofessionale e attività alle dipendenze, la quale assume due vesti distinte: a) con riguardo a tutte le professioni, ad eccezione di quella medica, essa si sostanzia in un divieto di “cumulare” l’attività svolta alle dipendenze di un datore di lavoro con attività effettuate a favore di altri soggetti in regime libero professionale; b) con riguardo poi alla sola professione forense, si estende fino a precludere ai giuristi dipendenti di enti o imprese private lo svolgimento per il proprio datore di lavoro dell’attività di patrocinio. In ciò che segue, dopo aver brevemente sintetizzato la disciplina del divieto, si svolgono alcune considerazioni circa la necessità e proporzionalità dello stesso in rapporto al perseguimento dei fini di interesse pubblico ai quali viene generalmente finalizzato. 8.1 La regolamentazione 2. La tabella che segue illustra sinteticamente il quadro normativo di riferimento per le professioni esaminate nei capitoli precedenti395. Dalla stessa emerge che, relativamente alla generalità delle professioni, ad eccezione del patrocinio forense, non risulta esistente l’incompatibilità dell’esercizio della libera professione con l’impiego privato. Anche con riferimento all’incompatibilità tra libera professione e impiego pubblico, tuttavia, emerge che, per i professionisti dell’area tecnica e dell’area economico contabile, eccettuati i consulenti del lavoro, il divieto, ove esiste, discende dalla legislazione in materia di impiego pubblico. Per i medici, infine, non sussiste alcuna incompatibilità in senso proprio. 395 Segnatamente, cfr. per i notai art. 2 legge n. 89/1913; per gli avvocati, art. 3, commi 2, 3 e 4 r.d.l. n. 1578/1933; per i dottori commercialisti e i ragionieri, art. 3, comma 2, d.p.r. n. 1067/1953 e d.p.r. n. 1068/1953; per i consulenti del lavoro, art. 4, l. n. 12/1979; per gli ingegneri e gli architetti, art. 62 r.d. n. 2537/1925; per i geometri, art. 7, r.d. n. 274/1929 ed infine per i medici art. 5, d.p.r. n. 221/1950 e da ultimo art. 1, comma 10, legge n. 622/1996. 196 Tabella 1 - Incompatibilità tra libera professione e impiego pubblico e privato Principali professioni Notai Avvocati Dottori Comm. Ragionieri Consulenti lav. Ingegneri Architetti Geometri Medici Incompatibilità con l’impiego privato no si, per il patrocinio no no no no no no no Incompatibilità con l’impiego pubblico Norme dell’ordinamento della professione x x Norme dell’ordinamento dell’Ente di appartenenza x x x x x x 3. Deve poi mettersi in luce che, con riguardo alla sola professione forense, l’incompatibilità non si esaurisce nel divieto di “cumulo” ma preclude altresì agli abilitati dipendenti di enti o imprese private lo svolgimento del patrocinio a favore del proprio datore di lavoro. Gli abilitati dipendenti di enti pubblici, invece, iscritti in un elenco speciale, ed inseriti nell’ufficio legale dell’ente di appartenenza appositamente istituito, possono esercitare limitatamente alle cause e agli affari cui sono addetti. i) le recenti modifiche legislative 4. Nel descritto contesto normativo si inseriscono, ridimensionandolo, alcune importanti modifiche legislative. Di recente, infatti, è stato stabilito, relativamente ai soli dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che le disposizioni dei relativi ordinamenti che prevedono incompatibilità o cumulo di impieghi e quelle che vietano l’iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno396. Successivamente, è intervenuta una norma che ha previsto l’abrogazione delle disposizioni che vietano l’iscrizione ad albi e l’esercizio di attività professionali per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale, restando salve le altre disposizioni in materia di requisiti per l’iscrizione e per l’esercizio delle relative attività397. Tuttavia, tale norma, nel rimuovere l’incompatibilità tra libera professione e impiego pubblico part-time, limita per i dipendenti pubblici iscritti agli albi e che esercitano attività professionale le possibilità di esercizio dell’attività stessa agli incarichi professionali che non siano conferiti dalle amministrazioni pubbliche. Né tali dipendenti, nel caso in 396 Cfr. art. 1, comma 56, della legge n. 622/1996, recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”. 397 Cfr. art. 6, comma 2, legge 28 maggio 1997 n. 140, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 28 marzo 1997 n. 79, recante misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica”. 197 cui svolgano attività forense, possono assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione398. 5. Con riferimento a tali modifiche legislative, deve rilevarsi che è stata presentata una proposta di legge, volta ad impedire l’iscrizione dei dipendenti pubblici part-time agli albi degli avvocati399. Nella relazione, l’iniziativa in esame viene giustificata sottolineando che per gli avvocati, differentemente da altre professioni liberali, si pongono seri problemi per l’inviolabilità del diritto di difesa ove si considerino, ad esempio, le ipotesi in cui l’avvocato contemporaneamente sia anche cancelliere, ufficiale giudiziario, dipendente non militare degli uffici finanziari400. 6. Sulla base di quanto precede, rimane dunque ferma l’incompatibilità tra libera professione e impiego pubblico a tempo pieno, nonché tra libera professione e impiego privato per le professioni giuridiche. 8.2 Necessità e proporzionalità delle diverse forme di incompatibilità a) il divieto della coesistenza tra libera professione e attività alle dipendenze 7. Relativamente al primo dei due divieti illustrati, si osserva che l’incompatibilità di norma (ad eccezione degli avvocati) non sussiste rispetto all’impiego privato e, per quanto concerne quello pubblico, ove esista, viene di solito stabilita e regolata dalla disciplina relativa al rapporto di impiego pubblico. Ciò appare indicare che il divieto sia riconducibile essenzialmente all’esigenza, propria del datore di lavoro, di impedire o limitare comportamenti, tenuti dal dipendente, che siano in contrasto con gli obblighi derivanti dall’inserimento dello stesso nella struttura e nell’organizzazione dell’ente o che creino situazioni di conflitto con gli interessi dell’ente stesso, arrecando a quest’ultimo un pregiudizio, nonché alla necessità di assicurarsi la piena dedizione del dipendente all’attività istituzionale. Pertanto, appare evidente che il divieto, in tale ipotesi, non rappresenta uno strumento di regolamentazione dell’esercizio della professione, ma 398 Cfr. art. 6, comma 2, ultima parte, legge n. 140/1997. Cfr. Proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati il 25 febbraio 1997, recante “Norme in materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato” (Atto Camera n. 3274), che, all’art. 1, prevede “le disposizioni di cui all’art. 1, commi 56, 56bis e 57 della legge 23 dicembre 1996 n. 622 non si applicano all’iscrizione agli albi degli avvocati, per i quali restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio decreto legge 27 novembre 1933 n. 158 (....)”. 400 In particolare “si verrà a creare uno strano rapporto di interazione pubblico-privato, per cui il prestigio del difensore non sarà più basato sulla sua professionalità, ma sul suo potere nell’ambito dell’amministrazione, con creazione di una clientela al di fuori di una corretta concorrenza professionale ed una commistione di interessi privati in attività pubbliche (....). Il cittadino non potrà non rivolgersi all’avvocato che lavora negli uffici pubblici, peraltro potenziali controparti, e si troverà ad essere assistito da un difensore condizionato oggettivamente dalla sua posizione di pubblico dipendente divaricato da due concorrenziali interessi”. 399 198 piuttosto una misura eventualmente adottata dalle pubbliche amministrazioni al fine di garantire un’efficiente e corretto svolgimento dell’attività istituzionale401. 8. Diversamente appare potersi argomentare nell’ipotesi, quale quella degli avvocati, in cui il divieto “di cumulo” è previsto dalla relativa legge professionale. L’incompatibilità per gli avvocati è stabilita dalla legge forense a priori e per la generalità delle situazioni. 9. Si sostiene che tale divieto sarebbe motivato dall’esigenza di garantire l’efficienza, il prestigio e l’autonomia della classe forense, impedendo al libero professionista lo svolgimento di attività alle dipendenze che per loro natura verrebbero ad incidere negativamente su detti principi402. 10. Al riguardo, deve rilevarsi che l’esistenza di un impiego parallelamente all’esercizio di attività libero professionale, di per sè, non appare pregiudicare l’efficienza di quest’ultima, come dimostra del resto il fatto che tale divieto non è previsto per la generalità delle professioni. E’ ragionevole ipotizzare infatti che i professionisti forensi, non diversamente da tutti gli altri professionisti, siano autonomamente in grado di determinare efficientemente il proprio volume di attività. A ciò si aggiunga che qualora il professionista dovesse trovarsi in situazioni potenzialmente idonee a determinare conflitti di interessi, il pericolo di una compressione dell’autonomia della professione - e dunque di una violazione del diritto di difesa - rappresenterebbe un giusto motivo di rifiuto dell’incarico, come d’altra parte viene previsto dalle stesse norme deontologiche. Tutt’al più, solo per le specifiche ipotesi (cancelliere, ufficiale giudiziario, ecc.) nelle quali secondo la categoria appare potersi determinare un’effettiva commistione di interessi privati in attività pubbliche, potrebbero essere stabiliti specifici divieti di cumulo. Pertanto, la previsione di un divieto generalizzato appare senz’altro sproporzionata. 11. Nello stesso senso depongono le recenti modifiche legislative, le quali, nel prevedere per tutti i professionisti dipendenti pubblici part time compresi gli avvocati - la possibilità di svolgere anche attività liberoprofessionale, con il solo limite che gli incarichi professionali non siano conferiti dalle amministrazioni pubbliche, implicitamente confermano che l’efficienza e l’autonomia del professionista nell’esecuzione dell’attività libero 401 Quanto ai notai, va detto da subito che il divieto contenuto nella legge notarile appare diretto ad evitare il cumulo di funzioni pubbliche in capo ad un soggetto che già svolge funzioni delegategli dallo Stato. 402 Cfr.Cass. 29 marzo 1989 n. 1530. 199 professionale non è di per sè pregiudicata dall’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente. 12. Per altro verso, si sostiene che l’incompatibilità si giustificherebbe in quanto diretta ad assicurare la piena dedizione del professionista al lavoro che ha liberamente scelto, senza le inevitabili distrazioni di tempo, di energia e di capacità lavorativa, che il parallelo esercizio di una libera attività professionale certamente comporterebbe403. Al riguardo, è appena il caso di notare che l’efficienza e l’autonomia nello svolgimento dell’attività alle dipendenze, come accade per tutte le altre professioni, potrebbero essere salvaguardate da specifiche forme di incompatibilità introdotte dal datore di lavoro nei casi in cui tali esigenze effettivamente ricorrano. 13. In conclusione, la regola dell’incompatibilità assoluta, se, da un lato, non appare uno strumento proporzionato a salvaguardare l’autonomia della professione, dall’altro sicuramente limita la libertà di scelta del professionista circa le soluzioni lavorative ritenute più idonee ed in particolare l’accesso all’albo, restringendo in tal modo la concorrenza tra soggetti qualificati nell’offerta dei servizi rientranti nell’oggetto della professione. b) il divieto di esercizio di attività tipiche della professione in qualità di dipendente 14. Con riferimento alla seconda forma di incompatibilità considerata, riguardante i soli abilitati dipendenti di enti e imprese private, la categoria forense ha precisato che la regola vale come divieto, per il professionista che sia dipendente, di prestare il patrocinio persino a favore del proprio datore di lavoro, sottolineando, al riguardo, che per l'avvocato è essenziale mantenere una posizione di autonomia nei confronti del cliente, e che tale posizione risulta incompatibile con l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato404. 15. Con riguardo, poi, alla deroga prevista a favore dei soli avvocati di enti pubblici, questa, secondo il Consiglio Nazionale Forense, sarebbe giustificata in quanto l’attività degli impiegati pubblici beneficerebbe di alcune condizioni di autonomia e cioè: della formale ed apposita istituzione, presso l’ente pubblico, di un ufficio legale avente carattere di separatezza e autonomia 403 Cfr. Consiglio nazionale forense, delibera del 29 marzo 1979, in Rass. Forense, 1983, 5. Cfr. l’audizione dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura del 12 luglio 1996; S. Carbone e F. Munari, L’indagine conoscitiva dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli Ordini e Collegi professionali ed il suo possibile impatto sull’avvocatura, in Concorrenza e Mercato, 1995, 434, poi, precisano “Tale indipendenza non può, per definizione coesistere con rapporti di lavoro subordinato, che da un lato, (...) priverebbero l’avvocato della libertà di assumere determinate posizioni in giudizio e, a fortiori, della libertà di rappresentare o meno una parte relativamente ad una data controversia (...); dall’altro lato, finirebbero inevitabilmente coll’identificare l’avvocato con la parte, mettendo quindi in discussione quella necessaria differenziazione tra verità reale e verità processuale che è alla base di tutti gli ordinamenti giuridici evoluti”. 404 200 rispetto agli altri uffici e ai settori amministrativi, e della esclusività, per tale ufficio e per coloro che vi sono addetti, dell’espletamento di attività di difesa, rappresentanza e assistenza dell’ente405. 16. Relativamente all’impedimento all’esercizio del patrocinio forense alle dipendenze di enti o imprese private, si tratta pertanto di verificare quali effetti l’esistenza di tale vincolo di subordinazione comporta sull’autonomia del professionista dipendente nell’esercizio dell’attività di rappresentanza e difesa giudiziale del datore di lavoro. 17. Va innanzitutto messa in rilievo la circostanza che la limitazione in esame non riguarda la forma di lavoro dipendente pubblico, per il quale, anzi, è prevista espressamente una deroga. Tale circostanza indica che la subordinazione non influisce, negandola, sull’autonomia dell’avvocato nell’espletamento della attività di difesa, rappresentanza e assistenza dell’ente dal quale dipende. L’autonomia, intesa come discrezionalità tecnica del professionista, sebbene si esplichi pienamente nelle ipotesi in cui la prestazione sia svolta nella forma di lavoro autonomo, appare, senz’altro, poter sussistere anche nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. Infatti, il potere direttivo del datore di lavoro, correlativo alla subordinazione del professionista-lavoratore, riguarderebbe prevalentemente le modalità organizzative dell’attività piuttosto che quelle tecniche o, comunque, in relazione a queste ultime, subirebbe un affievolimento, considerata la qualificazione dell’attività come professione intellettuale406,407. 405 Cfr. Consiglio Nazionale Forense, delibera del 28 febbraio 1993, secondo la quale “la ricorrenza di entrambi i suddetti elementi vale infatti, se non ad escludere, certamente ad attenuare il rapporto di dipendenza dall’ente, conferendo alla posizione del professionista interessato quelle caratteristiche di autonomia, di indipendenza che sole giustificano la deroga al principio generale della incompatibilità della libera professione forense con il rapporto di lavoro subordinato”. Cfr., inoltre, nello stesso senso, le delibere del Consiglio del 10 gennaio 1989 e del 26 gennaio 1985. E’ appena il caso di ricordare - giacché il tema esula propriamente dall’oggetto della trattazione - che tale deroga ha dato luogo ad un imponente contenzioso, riguardante essenzialmente la presunta incostituzionalità della stessa, per violazione del principio di uguaglianza, rispetto agli avvocati dipendenti di enti privati: al riguardo, è stato tuttavia ritenuto che la previsione di tale eccezione non sarebbe incostituzionale in quanto la diversità di trattamento “trova giustificazione nella natura pubblica o privata delle strutture in cui essi si inseriscono come dipendenti e nelle peculiarità delle rispettive esigenze (Cass. SS.UU. n. 7939/1990, cit.); cfr. inoltre Cass. 12 gennaio 1987 n. 115, secondo la quale, in particolare, “L’inserimento di un dipendente in una struttura pubblica comporta che lo stesso debba necessariamente collaborare per le finalità di ordine generale perseguite dall’ente di appartenenza, e si spiega così la ragione per la quale agli avvocati e procuratori pubblici dipendenti sia stata riconosciuta la legittimazione ad esercitare l’attività professionale, ma in favore dell’ente di appartenenza soltanto, sicché l’iscrizione negli elenchi speciali consente e limita al tempo stesso l’esercizio della professione, contenendolo nell’ambito del perseguimento degli interessi pubblicistici propri dell’istituzione nella quale il professionista è organicamente inquadrato”. 406 Cfr. Giacobbe, Professioni intellettuali, in Enc. Diritto, XXXVI, Milano, 1987, 1088; Santoro Passarelli, Professioni intellettuali, in Noviss. Digesto Italiano, XIV, Torino, 1967, 23, secondo il quale “La discrezionalità dell’attività professionale non ripugna, almeno in linea generale, al vincolo della subordinazione, la quale va intesa in senso funzionale, come necessaria conseguenza dell’inserimento del prestatore nell’organizzazione imprenditoriale. Naturalmente, in tali ipotesi, il rapporto sarà regolato dalle 201 18. Nè è sufficiente argomentare al riguardo che l’avvocato addetto all’ufficio legale di un ente pubblico sia esposto a condizionamenti ed interferenze minori rispetto a quelli che incombono sul dipendente di enti privati al quale vengono attribuite analoghe funzioni, in ragione della natura degli interessi perseguiti dall’ente e della posizione di autonomia garantita all’ufficio legale rispetto alla struttura. Da un lato infatti l’esigenza di non far coincidere l’avvocato con la parte, ai fini di assicurare la sua libertà di preparare nella più totale indipendenza la difesa degli interessi dell’assistito, non è garantita in misura maggiore dalla natura pubblica degli interessi perseguiti dal datore di lavoro, dall’altro non sembra potersi escludere anche per gli enti e le imprese private la creazione di un ufficio legale avente carattere di separatezza e autonomia rispetto agli altri uffici e ai settori amministrativi, e la esclusività, per tale ufficio e per coloro che vi sono addetti, dell’espletamento di attività di difesa, rappresentanza e assistenza dell’ente. Al riguardo, è stato rilevato che mentre in origine il legale interno di enti o imprese private era inserito nella direzione amministrativa e del personale dell’ente, attualmente per un numero crescente di imprese l’ufficio legale risulta separato e indipendente e la funzione legale, pertanto, tende a rendersi autonoma408. 19. Sulla base di quanto precede risulta dunque che la regola non sia giustificata. Dall’altro canto, la stessa appare invece consentire che ai liberi professionisti venga riservata, almeno per quanto concerne il servizio di patrocinio, quella fascia di clienti costituita da enti e imprese private e, in tal senso, restringe la concorrenza tra gli operatori dotati dei requisiti di formazione e qualificazione necessari per l’offerta del patrocinio stesso. 20. La riserva produrrebbe i più rilevanti effetti, peraltro, soprattutto nel caso di enti e imprese di maggiori dimensioni in quanto proprio tali clienti appaiono con maggiore probabilità poter valutare conveniente disposizioni relative al lavoro subordinato”. Cfr. anche Maviglia, Professioni e preparazioni alle professioni, Milano, 1992, 144 e ivi ampi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza. In particolare, secondo Cass. 30 agosto 1991 n. 9234, “l’esercizio dell’attività di avvocato e procuratore legale è riconducibile, in astratto, tanto ad un rapporto di lavoro autonomo che ad un rapporto di lavoro subordinato (ancorché caratterizzato, dato il contenuto squisitamente intellettuale dell’attività, da una subordinazione affievolita), non essendo di ostacolo alla sua inquadrabilità nel secondo tipo di rapporto la disciplina in tema di incompatibilità (....) dettata dall’art. 3 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 (ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore)”. Cfr. anche Maviglia, Professioni e preparazioni alle professioni, Milano, 1992, 144 e ivi ampi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza. 407 Cfr. in tal senso anche l’art. 6 della legge francese n. 90/1259 del 31 dicembre 1990, di riforma di alcune professioni legali che, relativamente all’avvocato ha stabilito che lo stesso, nell’esercizio dei compiti affidatigli, “beneficie de l’indipendance que comporte son serment et n’est soumis à un lien de subordination à l’egard de son employeur que pour la determination de ses conditions de travail”. 408 Cfr. l’audizione dell’Associazione Italiana Giuristi d’Impresa (AIGI) del 27 settembre 1996. 202 l’internalizzazione del servizio in questione, conseguendo per tale via un risparmio di costi. In generale, poi, è emerso che, per le imprese, l’impossibilità di internalizzare il servizio di patrocinio assume un carattere di particolare stringenza specialmente nelle ipotesi in cui esso implica una trattazione standardizzata di controversie frequentemente ricorrenti, come quelle relative ad esempio al recupero dei crediti. In sintesi, il vincolo in esame appare in non pochi casi impedire un adattamento pienamente soddisfacente dell’offerta alle caratteristiche della domanda. 203 CAPITOLO NONO: LE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI 9.1 L’abrogazione del divieto imposto dalla legge 23 novembre 1939 n. 1815. 1. La fattispecie società di professionisti si riferisce, in senso stretto, alle società aventi per oggetto l’esercizio in comune di una professione intellettuale. Fino al recente intervento della legge n. 266 del 7 agosto 1997, il principale ostacolo, dal punto di vista giuridico, all’esercizio in forma societaria dell’attività professionale intellettuale era rappresentato, dalla legge 23 novembre 1939, n. 1815, la quale consentiva quale unica forma di esercizio in comune dell’attività delle professioni protette il c.d. studio associato. Più precisamente, la legge disponeva che le persone le quali, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, si associano per l’esercizio delle professioni cui sono abilitate, dovessero usare nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti con i terzi, esclusivamente la dizione “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario” con l’indicazione del nome e del titolo professionale di ciascun associato (art. 1). La legge sanciva poi il divieto di costituire, esercitare o dirigere società aventi lo scopo di dare ai propri consociati o a terzi prestazioni in materia riguardante le professioni intellettuali protette (art. 2). 2. L’articolo 24 della legge n. 266 del 7 agosto 1997 ha abrogato l’articolo 2 della legge 23 novembre 1939 n. 1815, ed ha delegato al Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, e per quanto di competenza, con il Ministro della sanità, la fissazione, con proprio decreto, entro centoventi giorni, dei requisiti per l’esercizio delle attività di cui all’articolo 1 della legge 23 novembre 1939 n. 1815. Pertanto, il legislatore, anziché emanare una legge di riforma organica della materia, ha preferito abrogare il divieto posto dalla legge del 1939, lasciando ad un atto di normazione secondaria - che andrà raccordato alla disciplina codicistica in materia societaria ed in particolare al principio di tipicità delle società ivi contenuto - il compito di predisporre soluzioni che consentano ai professionisti di esercitare in comune la professione nel rispetto delle peculiarità della propria attività e fornendo loro un ampio ventaglio di possibilità tra cui scegliere la modalità che essi ritengono più congeniale. L’intervenuta abrogazione rappresenta non solo la risposta alle istanze provenienti dai professionisti, i quali da molto tempo auspicavano una riforma in questa direzione, ma anche il recepimento normativo degli orientamenti indicati dalla più recente giurisprudenza. Tuttavia, seppure la rimozione di questo ostacolo, che vigeva ingiustificatamente da oltre cinquant’anni, merita di essere salutata con favore, occorre altresì sottolineare che si tratta soltanto di un primo, seppure importante passo, verso la definizione di una disciplina i cui contenuti, che verranno 204 definiti - come visto - con un successivo decreto ministeriale, sono destinati ad incidere in maniera significativa sull’evoluzione delle forme di esercizio della professione. E’ verosimile, quindi, che l’individuazione delle modalità attraverso le quali sarà consentito l’esercizio dell’attività professionale in forma organizzata, sarà preceduta da un acceso dibattito attraverso il quale si confronteranno le motivazioni che hanno per molti anni sostenuto il divieto suddetto, con le istanze che inducono a preferire una radicale innovazione. Al fine di comprendere le diverse posizioni e di cogliere appieno le occasioni offerte da tale riforma, appare opportuno delineare il quadro legislativo e giurisprudenziale sul quale è intervenuta la legge n. 266 del 1997. 9.2 La ratio del divieto posto dalla legge del 1939 3. La ratio del divieto trovava le proprie origini nella natura giuridica del rapporto di lavoro fra committente e professionista intellettuale, nel quale, secondo quanto emerge dal Codice Civile, assume particolare rilievo l’esecuzione personale dell’incarico (salvo il ricorso ammesso dall’art. 2232 c.c. all’opera di sostituti ed ausiliari, ma sempre sotto la direzione e responsabilità del professionista incaricato)409. L’esercizio in forma societaria avrebbe violato tale principio in quanto la professione sarebbe stata esercitata “in comune” fra più professionisti e, quindi, “impersonalmente”. Alla base di tale convinzione vi era il presupposto che nel caso di assunzione di incarico da parte di una società, sia pure formata da professionisti iscritti all’albo, la prestazione eseguita sarebbe giuridicamente riferibile solo alla società, mentre la persona o le persone che in concreto l’hanno eseguita si sottrarrebbero ad ogni individuale responsabilità. La legge voleva quindi impedire sia lo svolgimento in concreto di tali professioni da parte di soggetti non legittimati, sia l’elusione dell’art. 2231 c.c., secondo cui è nullo per difetto di iscrizione all’albo il contratto d’opera intellettuale concluso dal professionista di fatto. In particolare il legislatore si preoccupava che una denominazione diversa dalla qualificazione professionale risultante dai titoli degli associati potesse indurre in equivoco i terzi, coprendo una attività non svolta dai soggetti abilitati e, quindi, sfornita delle necessarie garanzie tecniche e morali410. 409 C’è anche chi ha visto un ostacolo nell’art. 2233 comma 2, c.c., il quale stabilisce che il compenso del professionista debba essere adeguato al decoro della professione oltre che all’importanza dell’opera: se un cliente si rivolge ad una società di professionisti, non potendo il compenso essere determinato ai sensi dell’art. 2233, comma 2, c.c. in quanto non si potrebbe pretendere un compenso che risulti adeguato al decoro professionale di ciascun socio, ogni socio percepirebbe una frazione dell’unitario compenso ricevuto dalla società, e, quindi una remunerazione determinata in modo diverso da quanto previsto per il professionista intellettuale. Così Musolino, Esercizio delle professioni intellettuali, Padova, 1994. 410 La giurisprudenza, che per lungo tempo aveva visto nel divieto della legge del 1939 un ostacolo insuperabile, negli ultimi anni ha manifestato degli orientamenti radicalmente diversi, che hanno certamente contribuito ad aprire la strada all’attuale riforma. 205 4. Pertanto, le forme di collaborazione che potevano essere giuridicamente realizzate tra professionisti comprendevano quella regolata dalla legge del 1939, l’associazione, o ipotesi estranee alla fattispecie società tra professionisti, quali la società di mezzi. 5. Occorre tuttavia aggiungere che già prima dell’intervento risolutivo della legge n. 266 del 1997, il legislatore era via via intervenuto in alcuni settori introducendo alcune eccezioni al generale divieto di costituzione delle società di professionisti, quali la disciplina introdotta per le società di revisione, per le società di intermediazione mobiliare e per i centri di assistenza fiscale, che verranno considerate in seguito (sezione 9.4). 6. Come abbiamo già accennato, la legge 266/1997 si è limitata ad abrogare il divieto posto dalla legge del 1939, delegando la definizione dei requisiti ad un successivo decreto ministeriale, senza tuttavia stabilire i criteri a cui quest’ultimo dovrà attenersi nel delineare le forme in cui sarà possibile esercitare in comune la professione. Pertanto, al momento, l’unico istituto giuridico che rappresenta un parametro di riferimento in materia è l’associazione professionale di cui all’art. 1 della legge del 1939, nonché le discipline adottate in regimi speciali. 9.3 L’associazione professionale 7. Premesso che la legge disciplina solo formalmente e in negativo l’associazione professionale, nulla stabilendo in merito alle modalità di Un primo passo è stato fatto dalla Corte di Cassazione (Sentenza del 31 luglio 1987 n. 6636) che ha dato rilevanza all’esteriorizzazione del vincolo associativo, stabilendo che “allorché più professionisti si associano per l’esercizio della professione, nell’ambito di tale rapporto ciascuno dei professionisti nell’espletamento dell’incarico ricevuto insieme con i suoi colleghi, agisce oltre che per sé anche per gli altri secondo il principio della rappresentanza reciproca, salvo esplicite limitazioni o previsioni in contrario. Pertanto, per gli affari assunti congiuntamente, così come il cliente che ha ricevuto la prestazione dai professionisti congiuntamente può corrispondere il compenso ad uno solo di essi con effetti liberatori nei confronti degli altri, ciascuno dei professionisti è legittimato a chiedere l’intero compenso per l’opera prestata.” Successivamente, la giurisprudenza ha manifestato chiaramente di ritenere compatibile l’esercizio della professione intellettuale con la struttura societaria. Al riguardo molto significativa è una sentenza (App. Milano 27 maggio 1988) nella quale si afferma che “l’associazione tra professionisti di cui alla legge n. 1815 del 1939, non è incompatibile con lo schema societario delineato dall’art. 2247 c.c. la cui disciplina pertanto è applicabile in via analogica anche con riferimento alla liquidazione del socio uscente”. Ad analoga conclusione è pervenuta la Corte di Cassazione (Sentenza del 16 aprile 1991 n. 4032), secondo la quale non esiste alcun principio “inderogabile o imperativo” che faccia divieto di utilizzare la disciplina legale di enti soggettivizzati, quali le società, per i rapporti interni tra i partecipanti all’associazione. Infine, ad una piena identificazione dell’associazione professionale con la società semplice, la giurisprudenza era pervenuta nella sentenza della Corte di appello di Milano del 19 aprile 1996, nella quale ha qualificato come società semplice, soggetta alle relative norme, un’associazione professionale fra professionisti protetti, nel caso di specie i notai. 206 svolgimento dell’attività, ad una definizione della sua natura giuridica è giunta la giurisprudenza in via interpretativa e non senza contraddizioni. 8. La Corte di Cassazione ha ritenuto validi in base all’art. 1 della legge del 1939 gli accordi conclusi da professionisti legittimati e soltanto da essi per l’esercizio congiunto di professioni tutelate. Tale associazione non dà luogo ad un centro di imputazione giuridico autonomo e distinto dai professionisti, ma ognuno di essi rimane l’unico titolare e l’esclusivo responsabile dei rapporti in essere con i clienti, oltre che il solo creditore del compenso, stabilisce l’impostazione e la linea dello svolgimento dell’opera, dirige ed indirizza il lavoro degli associati, i quali assumono la veste di sostituti o di ausiliari ai sensi dell’art. 2232 c.c., ossia di collaboratori tecnici411. Nell’associazione professionale, il contenuto del rapporto obbligatorio è quindi rappresentato dalla prestazione di collaborazione tecnica nell’attività professionale svolta dagli altri colleghi, contro la ripartizione delle spese complessive e del totale degli onorari percepiti da ogni singolo associato. Il professionista che si associa assume pertanto il ruolo di associante, quando direttamente dal cliente gli è stato affidato un incarico, che egli svolge avvalendosi di collaboratori tecnici, il cui lavoro dirige e indirizza, e di associato quando funge da collaboratore tecnico di un proprio collega incaricato. 9. Per quanto concerne la qualificazione del contratto in esame, la Corte ha individuato la fattispecie prevista e ammessa dall’art. 1 della legge n. 1815/1939 come un contratto di associazione, ma un contratto di associazione sui generis, autonomo e diverso da quello regolato dall’art. 2549 c.c.. Nel primo caso, infatti, l’associato partecipa, sia pure nella veste di sostituto o di ausiliario, all’esercizio dell’attività professionale dell’associante e, di riflesso alle spese e ai compensi, nel secondo caso invece la partecipazione dell’associato riguarda soltanto il risultato economico dell’impresa, o dell’affare, dell’associante e, allorché il suo apporto consista in una prestazione di lavoro, l’esercizio dell’impresa, o dell’affare si accentra esclusivamente nella persona dell’associante. In sostanza, quindi, nel contratto di associazione secondo il modello codicistico, manca la partecipazione da parte dell’associato all’attività professionale, che invece caratterizza il rapporto associativo tra professionisti. 10. Si può quindi concludere che il contratto interprofessionale associativo è atipico, dà luogo ad un vincolo meramente inter partes e non esiste una soggettività giuridica del gruppo in quanto tale412. 411 412 Cfr. Cass. 12 marzo 1987 n. 2555. Cfr G. Capozzi, Le associazioni tra notai, in Vita Not., 1985. 207 Pertanto, nell’associazione la professione protetta viene esercitata non in comune, ma congiuntamente; l’intervento del professionista è coordinato ma separato da quello del collega; e, infine, gli effetti delle prestazioni intellettuali dispensate dagli associati non sono imputati unitariamente e giuridicamente all’associazione. 9.4 Le società esistenti a) Le società di mezzi 11. Si tratta di una società che ha come oggetto la mera realizzazione e gestione dei mezzi strumentali (immobili, arredamenti, biblioteca, macchinari, servizi ausiliari) per l’esercizio di una attività professionale protetta se tale realizzazione e gestione rimane distinta e separata nettamente, anche per l’aspetto contabile, dall’attività professionale. In questo caso, tra la società e il professionista, interviene un contratto in base al quale la società si obbliga a mettere a disposizione del professionista i beni strumentali e i servizi accessori che consentono o facilitano (ma non certamente esauriscono) l’attività professionale che deve essere svolta personalmente anche se con la collaborazione di sostituti e ausiliari, i quali rimangono sotto la direzione e responsabilità del professionista incaricato. Il professionista da parte sua corrisponde alla società il pagamento di un corrispettivo stabilito in misura fissa ovvero in proporzione dei suoi proventi professionali413. La società di mezzi può essere costituita da più professionisti per l’esercizio in comune dei soli strumenti necessari alla loro attività o può essere formata da soggetti che professionisti non sono. Si tratta in quest’ultimo caso delle società fra capitalisti per l’esecuzione di prestazioni intellettuali altrui: qui i professionisti non sono soci, ma dipendenti della società e l’attività esercitata in comune dai soci è una attività di interposizione fra quanti offrono il proprio lavoro intellettuale e quanti domandano servizi intellettuali. b) Le società di engineering 12. Le società di engineering sono società di capitali (e, talvolta società cooperative) che hanno come scopo la progettazione ed eventualmente la costruzione e la manutenzione di opere ed impianti industriali o commerciali. Questa società ha come obiettivo di riunire in un’unica struttura societaria tutti i professionisti ed i tecnici (ingegneri, architetti, geologi, urbanisti, esperti ambientali, ecc...) necessari per la realizzazione di opere e impianti industriali e commerciali, dalla fase di fornitura di prestazioni di progettazione sino al livello esecutivo, curando eventualmente anche la manutenzione. In particolare per quanto riguarda l’attività di ingegneria 413 Cfr. Cass. 13 maggio 1992, n. 5656. 208 industriale, che è più ampia414, preparatoria ed interdisciplinare rispetto alla tradizionale attività di progettazione di ingegneria civile, il ricorso al modello societario consente al cliente di evitare l’instaurazione di una pluralità di rapporti con i singoli professionisti e tecnici permettendo di realizzare notevoli risparmi in termini di costi e di tempi. Secondo l’orientamento della giurisprudenza che ha ritenuto ammissibili le società di engineering, queste ultime rispetto alle società professionali in senso stretto, forniscono un servizio più ampio. In particolare, mentre nelle società professionali in senso stretto l’organizzazione è strumentale rispetto all’attività intellettuale, nelle società di engineering è l’attività intellettuale ad apparire strumentale rispetto all’organizzazione. In altri termini, tali società sono state ritenute estranee al divieto di cui alla legge del 1939 in quanto svolgenti una attività ausiliaria e rientranti nel genere delle imprese di servizi415. c) La società fra professionisti intellettuali non protetti 13. La Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibile l’esercizio in forma societaria delle attività professionali non protette416. Per le professioni non protette, quali l’agente di pubblicità, l’esperto di ricerche di mercato, l’esperto di programmi di computer ecc..., principi come quelli dell’esecuzione personale dell’incarico o della retribuzione adeguata al decoro della professione non sono inderogabili. Infatti gli esercenti professioni intellettuali non protette non debbono necessariamente regolare il loro rapporto con il cliente secondo lo schema del contratto d’opera intellettuale, ma possono ritenersi liberi di adottare altri schemi contrattuali e in particolare, le forme giuridiche del contratto di appalto (art 1655 c.c.). 414 Le società di progettazione industriale hanno per oggetto lo studiare, progettare, costruire e vendere impianti e parti di impianti e attrezzature per le industrie chimica, petrolifera, petrolchimica, termica e nucleare, includendo: studio del progetto di base, realizzazione degli schemi di lavorazione, preparazione dei disegni dei vari impianti e apparecchiature, forniture, acquisto degli stessi presso i vari fornitori, assistenza alla costruzione di detti impianti e apparecchiature nelle varie officine cui essi sono stati commissionati, montaggio e/o supervisione allo stesso, messa in marcia e collaudo degli impianti, il tutto per conto proprio o di terzi. 415 Cfr. Cass. 30 gennaio 1985 n. 566; cfr. altresì Cons. Stato, 3 aprile 1990, n.314, in Società, 1990, 1046 secondo il quale "le società di ingegneria o di architettura non sono riconducibili ad associazioni anonime di professionisti, ma al più ampio genere delle società di servizi, in quanto forniscono un opus, in rapporto al quale le prestazioni intellettuali costituiscono soltanto una delle componenti della complessa attività societaria e del risultato che viene promesso e reso al committente; pertanto, le società predette, in quanto tali, non incorrono nel divieto di costituzione di cui agli artt. 1 e 2 della 1. n. 1815/1939". 416 Il principio è stato chiarito dalla Corte Costituzionale, con sentenza del 22 gennaio 1979 n. 17, la quale ha stabilito che “la vigente disciplina giuridica degli studi di assistenza e consulenza si riferisce al solo esercizio delle cosiddette professioni protette, ossia delle professioni intellettuali per cui la legge, a norma dell’art. 2229 cc., richiede la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi, sulla base di titoli d’abilitazione o autorizzazione e di altri requisiti legali, accertati di regola da ordini collegi o associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato.” 209 La prestazione d’opera dei soci è giuridicamente un conferimento di servizi in società e si tratterà pertanto di una società che esercita una impresa di servizi ai sensi dell’art. 2195 n.1 c.c. 9.5 Regimi speciali 14. Da una ricognizione delle leggi vigenti in materia di attività professionali, si rileva che il legislatore nazionale, in talune peculiari circostanze di fatto e con riferimento a settori specifici già di per sé dettagliatamente regolamentati, era giunto ad ammettere (o talune volte a richiedere tassativamente) lo svolgimento di attività di natura squisitamente professionale in forma societaria. Nell'ottica di una revisione della normativa esistente volta a riconoscere in via generale la figura societaria per lo svolgimento delle professioni intellettuali, pare opportuno dunque analizzare la legislazione già esistente su società di tipo "professionale". a) le società di revisione 15. Le Società di Revisione (SdR) sono state disciplinate con D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136 e successive modificazioni, in attuazione della delega contenuta nella legge 7 giugno 1974 n. 216, recante disposizioni relative al mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli azionari. Il D.P.R. ha aperto la porta ad un generale riconoscimento delle società tra professionisti, in quanto l’oggetto delle SdR, astrattamente considerato, sarebbe sicuramente da qualificare come esercizio di una attività intellettuale protetta, prestata a favore delle società per azioni; e, tuttavia, esse sono legislativamente concepite come società. Il D.P.R. permette infatti di costituire società cui partecipano professionisti intellettuali limitatamente alla revisione contabile ed alla certificazione dei bilanci delle società quotate in borsa. Tali attività sono state quindi sottratte al “privilegio” delle professioni intellettuali e sottoposte ad una diversa disciplina. E' importante notare che le attività suddette sono riservate in via esclusiva a tali società, non potendo essere svolte da singoli professionisti. Con ciò, sembra volersi ammettere la maggior capacità organizzativa e di garanzia per responsabilità professionale che la forma societaria offre rispetto al singolo operatore. 16. Le società di revisione possono essere costituite tra dottori commercialisti e ragionieri iscritti negli albi o nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti oppure tra soggetti ad essi equiparati, ai sensi e con le prescrizioni dell’art. 8 n. 2, in quanto adottino la forma della società semplice o della società in nome collettivo o in accomandita semplice ed in quanto la maggioranza dei soci illimitatamente responsabili sia costituita da professionisti appartenenti alle categorie sopra indicate. Se si intende utilizzare la forma della 210 società per azioni o della società a responsabilità limitata (con un capitale minimo di 500 milioni) i soci non possono essere professionisti, ma bensì istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale, istituiti di credito a medio e lungo termine. La presenza dei professionisti si colloca qui al livello della gestione. Gli amministratori devono essere sempre in maggioranza dottori commercialisti, ragionieri o soggetti ad essi equiparati. Ciò significa che le società di revisione possono essere costituite da professionisti o prevalentemente da professionisti insieme a soggetti estranei alla professione, se di persone; debbono essere costituite da altri soci, se di capitali. In questi casi i professionisti partecipano non uti socii ma semplicemente quali amministratori. 17. La disciplina legislativa si preoccupa di garantire l’indipendenza e la responsabilità professionale e patrimoniale di coloro che esercitano l’attività, estendendo l’ambito della responsabilità per i danni conseguenti da proprio inadempimento o da fatti illeciti derivanti dalle operazioni compiute, oltre che alla società, soggetto naturalmente responsabile, anche a chi ha sottoscritto la certificazione o ai dipendenti che abbiano effettuato le operazioni di controllo contabile (art. 12). Le altre garanzie di qualità dell’attività svolta sono costituite dalla previsione di specifiche ipotesi di incompatibilità da parte della società o dei suoi soci, amministratori, sindaci o direttori generali, a tutela dell’indipendenza nell’operare della società, e dall’istituzione presso la Consob di un albo Speciale delle Società di Revisione, l'iscrizione al quale è condizione essenziale per lo svolgimento stesso dell’attività ed è funzionale all’esercizio da parte della stessa Consob della vigilanza sull’attività delle stesse società. La disciplina legislativa prescrive inoltre che i professionisti che sono soci illimitatamente responsabili diano la prova di essere in grado di rispondere per le obbligazioni sociali con un patrimonio adeguato o mediante garanzia finanziaria o assicurativa ritenuti idonei dalla Consob. Altri aspetti che mirano ad assicurare il livello qualitativo dell’attività della SdR sono costituiti dagli obblighi di nominatività delle azioni, e di informazione alla Consob per i trasferimenti di azioni e le sostituzioni di organi di gestione417. b) le Società di Intermediazione Mobiliare 18. Le Società di Intermediazione Mobiliare (SIM) sono state introdotte con la legge 2 gennaio 1991, n. 1 (disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari). Compiti specifici di tali società - ad esse peraltro riservati in via esclusiva - riguardano 417 In caso di infrazione, sono previste la sospensione o la cancellazione dall’albo, oltre a sanzioni penali per amministratori e dipendenti. 211 l'esercizio professionale nei confronti del pubblico delle attività di intermediazione di valori mobiliari e delle attività ad esse connesse. Anche in questo caso, la volontà del legislatore di riservare tali attività estremamente delicate per l'economia nazionale nel suo complesso, oltre che per il singolo consumatore - ad organismi di natura societaria, sembra confermare l'impostazione che individua nello strumento societario non solo una migliore capacità organizzativa, ma anche una garanzia di trasparenza gestionale, di maggior copertura delle responsabilità professionali e, soprattutto, di solidità patrimoniale. Le principali garanzie di qualità dell'attività svolta sono costituite dall'istituzione di un apposito albo presso la Consob, che, in raccordo con la Banca d'Italia, provvede al controllo sull'attività delle singole SIM; dalla costituzione in forma di società di capitali con capitale minimo di 600 milioni di lire, suddiviso in azioni con voto non limitato; nella particolare qualificazione professionale dei soggetti facenti parte degli organi gestionali e di controllo418, e dall'obbligo di comunicazione alla Consob delle eventuali modifiche degli organigrammi; dalla previsione di apposite norme gestionali delle SIM, da rispettare a pena di cancellazione dall'albo; dall'obbligo di avvalersi di soggetti particolarmente qualificati per l'esercizio delle attività di negoziazione dei titoli e di offerta dei servizi419; dal divieto di affidamento dell'esecuzione dell'incarico a terzi, salva comunicazione al cliente; dall'obbligo di mantenere distinti i patrimoni, affidati in gestione dai clienti, rispetto al patrimonio sociale420. c) I Centri Autorizzati di Assistenza Fiscale 19. I Centri Autorizzati di Assistenza Fiscale (CAAF) sono stati istituiti con la legge del 30 dicembre 1991 n. 413. Compiti specifici dei CAAF concernono l'attività di assistenza e di difesa nei rapporti tributari e contributivi, rimanendo ferma la possibilità di svolgere tali attività anche da parte degli iscritti agli albi dei dottori commercialisti o dei ragionieri, o da parte dei consulenti del lavoro e dei consulenti tributari. Peculiarità di tali Centri è che possono essere costituiti da una o più associazioni sindacali di categoria dei lavoratori dipendenti e dei pensionati 418 Possono essere nominati sindaci delle SIM (e delle società controllate e collegate al sensi della legge 287/90) solo professionisti iscritti negli albi dei ragionieri, dei periti commerciali, dottori commercialisti, avvocati, nonché nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti. 419 L'offerta dei servizi della SIM al di fuori della sede societaria può essere affidata esclusivamente a promotori di servizi finanziari, che possono operare per conto di una sola SIM, non possono operare porta a porta, devono essere iscritti in un apposito albo tenuto dalla Consob, sono sottoposti a vigilanza da parte di apposite commissioni regionali, e sono responsabili in solido con la SIM per gli eventuali danni arrecati a terzi. La negoziazione dei valori mobiliari può essere effettuata esclusivamente da agenti di cambio, o da dipendenti della società abilitati a seguito di apposito esame. 420 E' interessate notare come, tra le disposizioni per la prima applicazione della legge in esame, vi è la previsione che la Consob possa negare l'iscrizione di SIM che possano comportare effetti restrittivi della concorrenza a causa del numero di agenti di cambio che vi partecipano; vengono altresì vietate le intese tra agenti di cambio che abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire o di condizionare la costituzione di SIM o l'accesso al loro capitale da parte di altri soggetti. 212 rappresentate nel CNEL ovvero di imprenditori presenti nel CNEL o riconosciute di rilevanza nazionale, o da organizzazioni aderenti alle suddette associazioni. I CAAF hanno natura privata, e sono costituiti nella forma delle società di capitali con capitale minimo di 100 milioni. Possono essere nominati sindaci solo professionisti iscritti negli albi dei dottori commercialisti e dei ragionieri; alla direzione dei Centri è preposto un direttore tecnico responsabile, iscritto in uno dei suddetti albi, e con determinate esperienze professionali nel corso della carriera, che abbia la responsabilità (personale) dell'apposizione del visto di conformità, ossia della rispondenza delle dichiarazioni alla legge. Vengono inoltre previste congrue garanzie assicurative a carico dei Centri, così come dei liberi professionisti che svolgano le attività in questione, per permettere una tutela dei diritti di rivalsa da parte dell'utente in caso di responsabilità professionale. 9.6 La posizione degli ordini e le proposte di revisione normativa 20. Un orientamento di ordine generale sull’esercizio della professione in forma societaria è stato espresso nel corso dell’indagine conoscitiva dal Comitato Unitario delle Professioni421 (CUP), il quale ha sottolineato che “i professionisti sono da sempre favorevoli a nuove forme organizzative, anche societarie e interprofessionali. Se correttamente impostate e rigorosamente rispettose delle specificità di ciascuna professione, esse appaiono infatti generalmente compatibili con i principi fondamentali delle professioni intellettuali”. Tuttavia, “forme associative del tipo di società di capitali, ove fossero riconosciute legislativamente, oltre a ridurre spesso il professionista a dipendente, non libero di scegliere la prestazione migliore per il cliente, potrebbero offrire una copertura a soggetti non idonei alla professione, o espulsi o sospesi dagli albi o in posizione di incompatibilità verso la committenza”422. 21. La posizione espressa dal CUP è stata poi ribadita dai rappresentanti di vari ordini nel corso della presente indagine423. L’esigenza di sviluppare forme organizzative complesse è apparsa particolarmente sentita nell’ambito delle professioni tecniche, ossia di quelle professioni nelle quali, per l’adempimento dell’incarico, l’aspetto tecnicoorganizzativo è prodromico ed essenziale rispetto all’elemento prestazionale umano, come anche l’esigenza di apporti di capitali. 421 Si tratta di un’associazione volontaria tra la maggior parte dei Consigli nazionali delle professioni protette, istituita allo scopo di coordinare le azioni di comune interesse. 422 Cfr. Comitato Unitario delle Professioni, Preambolo Comune, 11 maggio 1995. 423 Così geometri e architetti, nonché commercialisti (audizione del 10 maggio 1995), consulenti del lavoro (audizione dell’8 giugno 1995), medici (audizione del 19 giugno 1995). 213 Per quanto riguarda gli avvocati, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana ha sostenuto che “la forma organizzativa societaria corrisponde alle esigenze dei professionisti intellettuali. Proponiamo al riguardo la costituzione di società semplici tra avvocati iscritti agli albi con la previsione di norme ad hoc che impediscano, ad esempio, l’entrata in società di soggetti non qualificati”.424 22. La questione dell’esercizio in forma societaria delle professioni intellettuali è stata oggetto di molteplici proposte in sede legislativa che, tuttavia, non hanno mai trovato approvazione.425 Negli ultimi anni, peraltro, l’interesse per l’argomento ha condotto alla presentazione di un disegno di legge del 21 aprile 1994, integralmente riproposto nella XIII legislatura dal Senatore Palumbo in data 21 maggio 1996, contenente una disciplina organica della società fra professionisti426, nonché di un disegno di legge del 2 marzo 1995 e due proposte di legge del 18 aprile e 13 settembre 1994 riguardanti la disciplina delle società di ingegneria. 23. Il disegno di legge del 21 maggio del 1996 si fonda su una generica distinzione tra professioni umanistiche e professioni tecniche e prevede per le prime l’introduzione di una “società tra professionisti” (Stp) che comprende solo professionisti, con l’esclusione di soci esterni, e per le seconde la possibilità invece di organizzarsi nelle forme di S.r.l., S.a.s, S.a.p.a., e Soc. Coop. , con la partecipazione in misura minoritaria di soci esterni e con gli opportuni adattamenti effettuati tramite richiami all’applicazione delle norme disciplinanti la Stp. Le principali caratteristiche della società tra professionisti delineata dal disegno di legge sono le seguenti: i soci devono essere iscritti nell’albo, elenco o registro che li abilitano al compimento delle prestazioni da eseguire e non possano essere soci della società di professionisti coloro che svolgono l’attività professionale come dipendenti pubblici o privati (il divieto non si applica ai docenti universitari e ai ricercatori); la struttura organizzativa della società è modellata sulla forma delle società di capitali, ma è prevista una notevole elasticità delle norme statutarie, al fine di adattare ciascuno statuto alle esigenze della singola professione; il contratto viene concluso tra società e cliente e ogni socio può svolgere la prestazione, in deroga alla disciplina di cui all’art. 2232c.c.; le tariffe si applicano anche alle società tra professionisti, tuttavia l’accordo con il cliente ha valore prevalente per la determinazione del compenso e se la prestazione è eseguita da più soci si applica il compenso stabilito per un solo professionista, salvo diverso accordo con il cliente; la responsabilità civile derivante dall’attività svolta è a carico della società, in solido con i soci che hanno eseguito la prestazione, salvo diversa disciplina 424 Cfr. audizione dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana del 12 luglio 1996. La prima proposta fu presentata al Senato l’11 maggio 1973 dal senatore Viviani. 426 Il disegno di legge è stato assegnato alla Commissione Giustizia, ma non è ancora stato discusso. 425 214 statutaria per i rapporti interni, ma la società deve stipulare un contratto di assicurazione per i danni per la responsabilità civile; infine la società non è soggetta a fallimento. 24. Le soluzioni previste nei diversi progetti di legge in tema di società di ingegneria presentano un elemento comune rappresentato dalla possibilità di creare delle società di capitali che, in quanto tali, permettano un’organizzazione interna in cui l’aspetto professionale rimane in secondo piano, rispetto alle necessità di natura tecnologica e organizzativa. Elementi determinanti sono individuabili nell’apertura ad apporti di capitali esterni (seppure limitati in rapporto ai conferimenti dei soci professionisti); nella garanzia di controllo dell’organo gestionale da parte dei soci professionisti; nella possibilità di servirsi di personale dipendente nello svolgimento dell’attività professionale, pur rimanendo la responsabilità in capo al professionista incaricato; nell’assoggettabilità della società al fallimento; e infine nella possibilità di creare delle società interprofessionali. 9.7 Profili comparatistici 25. In Europa le modalità di esercizio in comune della professione variano molto da paese a paese e da professione a professione, ma quel che è certo è che più è rigida e pervasiva la regolamentazione della professione e più sono limitate le possibilità di tale esercizio. Nei principali paesi europei esistono da tempo sistemi che prevedono forme organizzative di tipo societario: in Inghilterra esistono le professional partnership, che presentano analogie con la nostra società in nome collettivo e in Spagna esiste una figura generale di società civile che consente la costituzione di società professionali427, fino ad arrivare alla Germania e alla Francia, dove esistono le discipline più evolute sulla materia. 427 Al riguardo l’art. 1678 del codigo civil prevede che l’esercizio di una professione o di un’arte rientri nella forma della societad particular. Secondo la dottrina spagnola può aversi societad professional in senso proprio quando si persegue lo scopo dell’esercizio professionale in comune mediante l’apporto dell’attività professionale dei soci. L’ordinamento spagnolo nel campo delle professioni protette conosce una pluralità di esempi che possono essere ricondotti nell’ambito delle società professionali in senso stretto. Nel campo delle professioni liberali classiche è esemplificativo il caso dello Estatudo General de la Abogacia Espanola il cui art. 36 prevede la costituzione di “despachos colectivos” che si ritiene costituiscano una società professionale in senso stretto in quanto comprendono la collaborazione professionale dei soci e si distinguono chiaramente da forme di collaborazione meno strutturate. Lo stesso dicasi a proposito dell’Estatudo General de los procuratores de los Tribunales. Inoltre il codice deontologico medico prevede la possibilità dell’esercizio in comune mediante la costituzione di una “associacion” alla quale si riconosce natura societaria. Infine una norma di carattere generale sulle società professionali è rinvenibile in diritto tributario. L’art. 52.1. B della legge Renta de las personas Fisicas del 1991 stabilisce infatti che sono sottoposte al regime di trasparenza fiscale le società che svolgono una attività professionale, nel caso in cui tutti i soci siano professionisti, persone fisiche, che direttamente o indirettamente sono vincolate allo svolgimento di questa attività. 215 Il sistema tedesco 26. La possibilità di costituire società per l’esercizio di attività professionali è stata introdotta recentemente in Germania, con una legge del 25 luglio 1994 entrata in vigore il 1° luglio 1995, “creazione delle società di partenariato”. Il legislatore tedesco ha voluto fornire a coloro che svolgono una professione intellettuale un’alternativa alle forme societarie già esistenti della società di persone di diritto civile e della società di capitalisti, in considerazione del fatto che la prima, essendo priva della capacità giuridica, non sembra idonea alla creazione di strutture di grandi dimensioni e la seconda può non rappresentare la struttura ideale per talune professioni in cui è particolarmente importante il rapporto fiduciario tra il professionista e il cliente. Il partenariato invece è una struttura su base personale concepita ad hoc per le specifiche esigenze dei liberi professionisti. Ne viene prevista l’applicazione sia alle attività professionali in senso stretto (medici, dentisti, veterinari, avvocati, commercialisti, consulenti tributari, architetti, ingegneri ecc..) che ad altre attività (giornalisti, fotografi, interpreti, insegnanti, ecc..). Il partenariato gode della piena capacità giuridica: può quindi essere titolare di diritti ed obblighi, possedere beni, stare in giudizio. La citata legge prevede che la ragione sociale debba contenere almeno il nome di un socio, la menzione ”partenariato”, e l’indicazione delle professioni rappresentate. I soci, che possono essere solo persone fisiche che esercitano una professione liberale, provvedono allo svolgimento dell’attività secondo le regole proprie del settore. Il partenariato è soggetto a registrazione in un apposito registro. Il contratto di partenariato regola i rapporti tra i soci, i criteri di ripartizione degli utili nonché le modalità di funzionamento, in particolare nei rapporti verso l’esterno. E’ il partenariato che conclude i contratti con i clienti. Per quanto concerne il regime di responsabilità si prevede che per gli incarichi conferiti alla società, oltre a quest’ultima siano responsabili in solido anche i professionisti illimitatamente. E’ possibile tuttavia stabilire contrattualmente quale o quali dei soci saranno solidalmente responsabili per gli errori commessi nell’esercizio della professione, con esclusione di tutti gli altri soci, ma il socio designato dovrà essere colui che ha eseguito la prestazione o che ne ha assunto la direzione o il controllo. In ogni caso è prevista la stipulazione di una assicurazione per responsabilità professionale. Il recesso, la morte e il fallimento pongono fine al rapporto sociale limitatamente al socio interessato e la partecipazione non è trasmissibile in via successoria, ma il contratto può prevedere diversamente. Inoltre, per la cessione della quota salvo diversa disposizione contrattuale, occorre l’accordo di tutti i soci. Infine, per tutto quanto non disciplinato dalla nuova legge si rinvia alle disposizioni del codice civile applicabili alle società di persone. 216 Il modello francese 27. La normativa più interessante è quella prevista in Francia, dove la legge n. 66/879 del 29 novembre 1966 ha introdotto la disciplina delle société civile professionelle, ovvero di società civili, di persone il cui oggetto sociale è costituito dall’esercizio in comune della professione dei soci. Poiché tali società si adattavano a raggruppamenti di piccole dimensione e limitavano i mezzi finanziari nell’esercizio della professione, in quanto escludevano la possibilità di ammettere soci estranei alla professione che sottoscrivessero quote di capitale, con la legge n. 90/1258 del 31 dicembre del 1990 l’esercizio professionale collettivo è stato reso possibile anche in forma di società di capitali, ovvero le sociétés d’exercice libéral. La legge del 1990 non ha abrogato quella del 1966, pertanto è sempre possibile la costituzione di una société civile professionelle. 28. Sia le sociétés d’exercice libéral che société civile professionelle hanno personalità giuridica e sono considerate esse stesse membri della professione; in questa veste pertanto esse sono sottoposte ai poteri degli ordini professionali durante tutto il corso della loro vita428. a) disciplina delle société civile professionelle 29. Per quanto concerne la composizione, una société civile professionelle può costituirsi unicamente tra persone che abbiano i requisiti richiesti dalla legge e dai regolamenti per esercitare la professione che costituisce l’oggetto della società ed i nomi di tutti i soci, o di uno o più di essi seguiti dalle parole “et autres” con le qualificazioni e i titoli professionali, devono essere menzionati nella ragione sociale. Qualora uno dei soci non sia più in possesso dei requisiti per esercitare la professione è costretto a lasciare la società, la quale si scioglie di diritto nel caso in cui più nessuno dei soci abbia i requisiti richiesti. In quanto membro della professione è la société civile professionelle ad avere diritto a riscuotere gli onorari, mentre i soci sono titolari solo del diritto agli utili. 30. Per quanto riguarda le obbligazioni dei soci la legge francese ha previsto sostanzialmente tre disposizioni che impongono l’esercizio esclusivo, l’informazione reciproca e l’uguaglianza nella distribuzione dei voti. Pertanto, ogni socio può far parte di una sola società e gli è precluso l’esercizio della professione svolta nell’ambito della società a titolo individuale, 428 Per un quadro completo della disciplina francese si veda P. Lodolini, L’evoluzione del diritto francese in tema di società di professionisti: dalle sociètès civiles professionelles alle sociétés d’exercice libéral, in Riv. di Dir. Comm. n. 7-8, 1995, qui sintetizzato. 217 ma non l’esercizio della professione in forma dipendente o l’esercizio di una libera professione diversa da quella svolta nell’ambito della società. I decreti applicativi della legge hanno poi articolato la disciplina dell’informazione interna tra soci, prevedendo l’obbligo a carico di ognuno di essi di informare gli altri circa l’attività svolta. Tale obbligo rappresenta il necessario presupposto del principio della responsabilità solidale ed è vantaggioso anche per la clientela che può avvalersi delle valutazioni anche degli altri professionisti. Infine, salvo disposizioni contrarie contenute nei regolamenti o negli statuti, ciascun socio dispone di un solo voto, a prescindere dal numero di parts sociales detenute. 31. Per quanto concerne il capitale sociale la legge francese ha previsto due tipi di conferimenti, l’uno in denaro, che segue le regole di diritto comune, l’altro in beni. Tali conferimenti danno luogo all’attribuzione di parts sociales, cioè di quote di capitale liberamente cedibili alle condizioni stabilite dalla legge. Per quanto concerne i beni, la legge li distingue in beni materiali e immateriali e prevede che debbano essere integralmente conferiti all’atto della costituzione. Tra i beni immateriali figura anche “la clientela”, il cui conferimento avviene sotto forma di presentazione, da parte del professionista al committente, della société civile professionelle come proprio successore. La legge ha previsto inoltre un altro tipo di conferimento, che tuttavia non è incluso nel capitale sociale, gli apports en industrie, che si riferiscono alla attività del socio (conoscenze tecniche, esperienze professionali reputazione). Tali conferimenti, a differenza dei precedenti, danno diritto solo all’attribuzione di parts, non cedibili, che comunque conferiscono la qualità di socio e consentono di partecipare alla ripartizione degli utili. 32. Al fine di risolvere la problematica relativa alla responsabilità personale del professionista nell’esercizio della sua attività, il legislatore francese ha previsto che il socio sia responsabile in solido con la società. In particolare, ogni professionista è responsabile con tutto il proprio patrimonio degli atti compiuti, a cui si aggiunge la responsabilità solidale della società, con la conseguenza che ogni socio sopporta i danni dell’attività degli altri. Tuttavia deve essere tenuto presente che la legge impone altresì l’obbligo di stipulare un’assicurazione professionale a carico alternativamente della società o dei soci. b) disciplina delle sociétés d’exercice libéral 33. Le sociétés d’exercice libéral sono vere e proprie società a responsabilità limitata, società per azioni, o società in accomandita per azioni, aventi ad oggetto l’esercizio in comune della professione, di cui possono essere soci, seppure in misura minoritaria e con alcune limitazioni, anche persone 218 fisiche o giuridiche che non svolgano l’attività oggetto della società o che la esercitino all’esterno della società. Al riguardo la legge prevede che la maggioranza del capitale sociale e dei voti debba essere detenuta da professionisti che esercitano la professione all’interno della società. La minoranza del capitale può essere detenuta da diverse categorie di soggetti, tra cui persone fisiche o giuridiche che esercitino esternamente la professione oggetto della società oppure una professione rientrante nello stesso gruppo429. La partecipazione di soci non professionisti, la cui unica funzione è quella di finanziare la società mediante l’apporto di capitali, è invece consentita solo nella misura massima di un quarto del capitale sociale. Il limite di un quarto è tuttavia superabile, anche se non può mai oltrepassare la metà del capitale, per le società d’esercizio liberale in accomandita per azioni, in virtù della diversa struttura delle stesse. In ogni caso il legislatore ha stabilito una gerarchia tra i soci che esercitano la professione e i soci finanziatori. I nomi dei primi infatti possono essere inseriti nella denominazione sociale; ad essi inoltre è demandato l’esercizio della professione che costituisce l’oggetto della società ed è riservata la direzione, la responsabilità e il potere di decidere le questioni più delicate, in particolare quelle relative alle condizioni di esercizio della professione. Per quanto infine concerne il regime di responsabilità, ciascuno dei soci professionisti risponde illimitatamente degli atti della professione da lui compiuti, con tutto il suo patrimonio, ma è chiamata a rispondere in solido anche la società. La responsabilità per gli atti altrui, come anche quella per i debiti derivanti dalla gestione della società, è invece limitata ai conferimenti effettuati. 9.8 Conclusioni 34. L’abrogazione dell’articolo 2 della legge 23 novembre 1939 n. 1815 ha aperto finalmente la strada ad una riforma che i professionisti auspicavano da tempo e verso la quale la stessa giurisprudenza si era recentemente orientata. 35. Come già da tempo sottolineava la dottrina430, l’organizzazione in forma societaria dell’attività comporta una serie di innegabili vantaggi sia per il consumatore che per il professionista. Dal lato dell’offerta, oltre alla indiscutibile riduzione dei costi, l’organizzazione di gruppo permette di migliorare i risultati economici conseguibili individualmente, in quanto consente 429 Si precisa tuttavia che il legislatore ha precluso la possibilità di avvalersi di capitali esterni per l’esercizio in forma societaria delle professioni giuridiche. 430 Cfr tra gli altri P. Rescigno, Le società fra professionisti, Milano, 1985; G. Schiano di Pepe Le società di professionisti, Milano, 1977. 219 di fornire alla clientela una più vasta gamma di servizi specializzati e di eseguire l’incarico con una prontezza superiore rispetto al professionista isolato. Inoltre, la società è in grado di fornire una più solida garanzia patrimoniale al consumatore quando è chiamata in solido a rispondere con il socio nel caso di errori nell’esercizio della professione. 36. Corrispondentemente, dal lato della domanda, risulta indiscutibile, tra gli altri, il vantaggio per il consumatore derivante dalla possibilità, rivolgendosi ad un unico committente, di avere a propria disposizione una gamma di servizi in diversi settori, circostanza che determina una riduzione dei costi di transazione necessari per l’acquisto di più servizi da diversi professionisti. 37. L’adozione di una disciplina organica, a partire dalle scelte che si possono effettuare in sede di emanazione del decreto ministeriale, rappresenta altresì l’occasione per adeguarsi all’evoluzione del mercato comunitario, consentendo ai professionisti di poter meglio fronteggiare la concorrenza internazionale indotta dalla progressiva eliminazione delle restrizioni alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi dei cittadini di uno stato membro nel territorio di un altro Stato membro, in attuazione degli art. 52 e 59 del trattato di Roma. Si pensi ad esempio all’art. 26 della Direttiva CEE n. 92/50 in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi431, che consente la partecipazione alle gare di società tra professionisti, appartenenti ad altri paesi comunitari, anche nel caso in cui la costituzione sia vietata nel Paese in cui dovrà concludersi il contratto di appalto. Questa norma comporta che in casi di appalti di servizi da parte di una pubblica amministrazione non possono essere escluse società di professionisti appartenenti ad altri paesi comunitari, per fronteggiare la concorrenza delle quali risulta quanto mai opportuno consentire nelle forme più ampie la costituzione di società tra professionisti italiani432. 38. Per quanto concerne le perplessità e gli ostacoli tradizionalmente avanzati in materia di compatibilità dell’attività professionale con l’organizzazione in forma societaria, deve essere innanzitutto osservato che essi appaiono essere stati sostanzialmente superati attraverso l’individuazione di specifiche soluzioni nell’ambito dei regimi speciali istituiti dalla legge. Peraltro, le legislazioni introdotte da altri paesi europei delineano diverse modalità con cui la forma societaria può essere adottata e costituiscono pertanto un imprescindibile punto di riferimento in questa fase di riforma, al fine di prevedere un ventaglio di forme organizzative idoneo a rispondere alle esigenze di diverse figure professionali, seppure nel rispetto delle peculiarità delle attività dalle stesse esercitate. In particolare, una organica riforma della materia 431 432 In G.U.C.E. n. 209, del 24 luglio 1992. Così P. Silvestro, Ancora sulle società di progettazione, in Riv. Dir. Comm. n. 7-8, 1995. 220 non può non tener conto dei modelli organizzativi largamente sperimentati in altri Paesi, nei quali l’esigenza di fornire servizi avanzati anche sotto il profilo dell’apporto di tecnologia, ha aperto la strada alla formazione di strutture societarie di dimensione e patrimoni ragguardevoli. 39. Al riguardo alcune delle questioni che il regolamento attuativo si troverà ad affrontare attengono alla composizione delle società e alle forme che le società di professionisti potranno assumere. Sotto il primo profilo, al fine di creare strutture in grado di offrire un ampia gamma di servizi professionali, le future società dovrebbero poter essere costituite non solo tra professionisti appartenenti a categorie diverse di professioni protette (le c.d. società interprofessionali), ma anche tra professionisti protetti e non protetti (anche provenienti dall’estero), i quali dovrebbero poter svolgere le attività per le quali non è necessaria l’iscrizione all’albo. Sotto il secondo profilo, non sembra giustificato precludere alle professioni non tecniche l’esercizio della professione nella forma delle società di capitali, più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni, sulla base della considerazione che tali formule societarie mal si adatterebbero ai caratteri delle professioni intellettuali. Tali specificità impongono semmai, come ha fatto il legislatore francese, di prevedere alcune regole ad hoc in materia di gestione della società, presenza di soci finanziatori, nonchè del regime di responsabilità. Quest’ultimo profilo, come abbiamo visto, ha trovato nella legge francese un particolare adattamento alle caratteristiche delle professioni intellettuali, mantenendo la responsabilità in capo al professionista che ha eseguito la prestazione, così come avviene nell’esercizio individuale della professione, rendendola illimitata per gli atti professionali propri e limitata al conferimento effettuato per gli atti altrui di esercizio della professione; e prevedendo altresì una responsabilità in solido della società con il professionista che consente un ampliamento delle possibilità di rivalsa per il consumatore, garantite altresì dall’obbligo di una copertura assicurativa. Deve osservarsi inoltre che lo schema normativo delle società di capitali ha la necessaria elasticità per poter ricomprendere anche fattispecie particolari, come quella dell’esercizio della professione intellettuale. E tali soluzioni non sono sconosciute al nostro legislatore che le ha già sperimentate con riguardo alle società di revisione, la cui costituzione è stata subordinata alla presenza di soci con determinati requisiti. In ogni caso, quindi, gli adattamenti che si renderebbero necessari non sarebbero così radicali da escludere l’ammissibilità di una società di capitali tra professionisti. 221 PARTE SECONDA LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI ASPETTI SETTORIALI 50 CAPITOLO TERZO : LA REGOLAMENTAZIONE DELLE PROFESSIONI GIURIDICHE 1. In ciò che segue si analizzano le attività notarile e forense, secondo le linee generali indicate nel capitolo precedente. In particolare, vengono sinteticamente illustrate le condizioni di offerta e domanda dei servizi notarili e dei servizi erogati dagli avvocati, mettendo in luce come l’attività svolta da questi soggetti in favore dei clienti produca apprezzabili effetti esterni. In secondo luogo, vengono esaminate le principali forme di regolamentazione dell’attività notarile e di quella forense, e in particolare le norme riguardanti i requisiti e la selezione per l’accesso all’attività, gli standard delle prestazioni, le tariffe, nonchè alcune norme di auto-regolamentazione contenute nei codici deontologici. Infine, si confronta l’assetto regolamentativo di queste attività in Italia con quello riscontrabile in altri Paesi. 3.1 I notai principali riferimenti normativi Legge 16 febbraio 1913, n. 89, recante “Ordinamento del notariato e degli archivi notarili”; r.d. 10 settembre 1914 n. 1326, recante “Regolamento per l’esecuzione della legge 16 febbraio 1913 n. 89, riguardante l’ordinamento del notariato e degli archivi notarili”; legge 6 agosto 1926 n. 1365, recante “Norme per il conferimento dei posti notarili”; r.d. 4 novembre 1926 n. 1953, recante “Disposizioni sul conferimento dei posti di notaio”; legge 22 gennaio 1934 n. 64, recante “Norme complementari sull’ordinamento del notariato”; r.d.l. 14 luglio 1937 n. 1666, recante “Modificazioni all’ordinamento del notariato e degli archivi notarili”; legge 5 marzo 1973, n. 41, recante “Norme per la determinazione degli onorari, dei diritti accessori, delle indennità e dei criteri per il rimborso delle spese spettanti ai notai”; legge 18 maggio 1973 n. 239, recante “Nuove disposizioni in materia di assegnazione di posti nei concorsi notarili”; legge 12 giugno 1973, n. 349, recante “Modificazioni alle norme sui protesti delle cambiali e degli assegni bancari”; d.p.r. 3 giugno 1975, n. 290, recante “Regolamento di attuazione delle legge 12 giugno 1973, n. 349, concernente modificazioni alle norme sui protesti cambiari; d.m. 5 giugno 1987 n. 230, recante “Determinazione della tariffa degli onorari, dei diritti, delle indennità e dei compensi spettanti ai notai”; legge 27 giugno 1991 n. 220, recante “Modificazioni all’ordinamento della Cassa Nazionale del Notariato e all’ordinamento del consiglio nazionale del notariato”; codice deontologico 24 febbraio 1994. 3.1.1 le attività notarili i) tipologia e caratteristiche 51 2. La particolarità della figura del notaio deriva dal fatto che la funzione tipica notarile ha natura pubblica, pur essendo il notaio un prestatore d’opera intellettuale che esplica la sua attività professionale come consulente delle parti. Il notaio è infatti un pubblico ufficiale competente a produrre documenti forniti di un particolare valore giuridico e a curarne la conservazione, nonchè talvolta la registrazione nei pubblici registri49,50. Tuttavia egli affianca alla funzione di pubblico ufficiale certificatore, che documenta e attesta la corrispondenza del contenuto dell’atto a quanto dichiarato in sua presenza, un’attività di natura professionale che consiste nell’interpretare la volontà delle parti51 e “adeguarla” al diritto52, nonchè nello svolgere nelle fasi che precedono o seguono la stipulazione degli atti una serie di pratiche ad essi connesse53. All’aumentare della complessità e specificità dell’atto, tale attività di interpretazione/adeguamento/consulenza alle parti potrà assumere un peso crescente rispetto all’attività di certificazione. 3. Corrispondentemente, dal lato della domanda, le parti si rivolgono al notaio per ottenere un servizio che si traduce nella produzione di un atto conforme alla legge e alle loro volontà, con carattere di autenticità e certezza, e che quindi consente di prevenire possibili future contestazioni. In alcune circostanze, ciò implica che venga indirizzata al notaio una domanda di semplice certificazione; in altre, invece, che venga richiesta un prestazione più ampia, di complessità variabile, in rapporto a quella della ricerca della norma giuridica la cui applicazione consente alle parti di conseguire nel modo migliore l’interesse pratico che le ha motivate all’atto. 4. Per le prestazioni maggiormente complesse, pertanto, è difficile ritenere che il cliente sia pienamente in grado di accertare la qualità del servizio 49Ai sensi dell’art. 1 della legge notarile 16 febbraio 1913 n. 89, (di seguito L.N.) “i notari sono pubblici ufficiali istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne copie, i certificati o gli estratti”. Ai sensi degli articoli 2699 e 2700 c.c., il documento redatto da un notaio secondo le richieste formalità assume la veste di atto pubblico facente piena prova, fino a querela di falso, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il notaio attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. 50 Altri pubblici ufficiali - che possono essere, a seconda dei casi, il cancelliere, il segretario comunale, il funzionario che riceve la documentazione - redigono atti pubblici. Tuttavia questi soggetti hanno competenza eccezionale e limitata all'ambito dell'autorizzazione ricevuta, mentre il notaio ha una competenza generale. 51 Ai sensi dell’art 47, terzo comma, L.N., “Spetta al notaro soltanto d’indagare la volontà delle parti e dirigere personalmente la compilazione integrale dell’atto”. 52 “Il notaio deve essere un giurista, non solo perchè deve esaminare una fattispecie concreta riconducendola ad una fattispecie astratta, in modo da rappresentare nell’atto la vera natura del negozio che la parte intende compiere,... (ma anche perchè), esaminando la fattispecie concreta in relazione all’atto da compiere, deve valutare se l’atto redigendo è o potrebbe essere nullo e deve fare in modo che l’atto non sia neppure annullabile, in modo da non danneggiare le parti da cui ha avuto l’incarico nè i terzi che potrebbero subire danni..” Cfr E. Protettì, C. Di Zenzo, La Legge Notarile, Milano 1987. 53 Ad esempio, nei casi di atti pubblici di trasferimento immobiliare, il notaio procede previamente alle cosiddette visure, per individuare esattamente il bene e accertare se esistano iscrizione o trascrizioni pregiudiziali. 52 che potrà ricevere. Al tempo stesso, poichè prestazioni di qualità inadeguata possono comportare la nullità o annullabilità degli atti, non vi è dubbio che esse siano suscettibili di produrre danni anche ingenti alle parti coinvolte. In altri termini, per alcune prestazioni notarili sussistono condizioni di significativa asimmetria tra cliente e professionista che rendono possibile l’erogazione di servizi qualitativamente insoddisfacenti con effetti anche molto negativi sul benessere del cliente. In tutti i casi, comunque, le prestazioni rese dal notaio ai propri clienti possono avere effetti esterni per l’intera collettività: il controllo della conformità degli atti all’ordinamento corrisponde ad un’attività di giustizia preventiva che consente di limitare il contenzioso; l’attribuzione di pubblica fede agli atti conferisce certezza all’attività giuridica della collettività; la registrazione dei documenti e quindi la loro pubblica consultabilità e conoscibilità consente l’ordinato svolgimento delle contrattazioni private e riduce anch’essa il contenzioso. 5. L’ordinamento individua i casi che richiedono l’intervento del notaio, prescrivendo l’obbligatorietà dell’atto pubblico. Esemplificando, devono essere atti pubblici redatti da notaio quelli costitutivi di associazioni e fondazioni, di società per azioni e a responsabilità limitata, le convenzioni matrimoniali, le donazioni, il testamento pubblico. Possono essere fatti per atto di notaio svariati altri negozi, tra i quali, ad esempio, per la frequenza con cui ricorrono, i contratti costitutivi o traslativi di diritti reali immobiliari. Inoltre, il notaio interviene anche con riferimento ai documenti redatti dalle parti la cui sottoscrizione egli attesta essere avvenuta alla sua presenza: in tal caso attesta che le firme sono autentiche. Oltre ai suddetti compiti istituzionalmente spettanti al notaio, la legge notarile attribuisce poi allo stesso alcune facoltà, che comportano attività ulteriori. Queste sono, ad esempio, la presentazione di ricorsi di volontaria giurisdizione, la formazione di inventari, il ricevimento di atti di notorietà. Al notaio sono state poi attribuite nel corso del tempo da specifiche norme un numero crescente di attività, e cioè, esemplificando, la verbalizzazione delle assemblee straordinarie di società di capitali, le offerte reali, la levata di protesti54. ii) l’articolazione della domanda 6. Relativamente alla domanda di servizi notarili, la tabella che segue, predisposta sulla base di dati Istat, a loro volta di fonte archivi notarili, ne mette in luce l’evoluzione nel corso del periodo 1981-94, nonchè l’articolazione sotto il profilo tipologico. 54 Al riguardo, va rilevato che, in alcuni casi, come per la levata dei protesti, la competenza è stata estesa ad altri soggetti e cioè agli ufficiali giudiziari dalla legge n. 349/1973. 53 Emerge che nell’arco del periodo considerato il numero di atti notarili ha registrato un incremento di circa il 17%. In particolare, tra i tipi di atti distintamente indicati nella tabella, quelli relativi a società appaiono aver subito un aumento particolarmente marcato, benchè essi comunque corrispondano ad una quota abbastanza esigua del numero totale di atti (3% circa). E’ interessante notare poi che in più del 50% dei casi il ricorso al notaio è motivato dalla vendita di un autoveicolo. Tabella 1 - Domanda di servizi notarili per tipologia - anni 1981-94 Anni Vendite immobili Mutui Vendite autoveicoli Società Altro Totale 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 991725 954669 996158 989476 885713 940802 923162 1035938 936963 1130539 1077840 967934 961854 996653 180692 142097 181207 241511 251072 303873 437633 484042 427436 459948 450116 413917 404067 352480 5480863 5368750 5475257 5872038 5741399 5821808 6092420 6528266 6204568 6581974 6404424 6277745 6218343 5016201 150790 138791 145427 215633 232499 266798 302590 340054 307259 381945 369267 332636 311106 404345 2789842 3200621 3213040 3233974 3104066 3120167 3113539 3342028 2792487 3727346 4025504 3450018 3329919 4129576 9593912 9804928 10011089 10552632 10214749 10453448 10869344 11730328 10668713 12281752 12327151 11442250 11217289 10899255 Fonte: Istat, annuario statistico, anni vari. 7. Relativamente alla distribuzione geografica della domanda, la tabella seguente, predisposta sulla base di dati riferiti ai 26 distretti di Corte d’Appello, (che corrispondono all’articolazione dei consigli notarili), mette in luce che nei primi sei di questi si concentra oltre il 60% delle prestazioni (si veda anche la tabella a1 in appendice per una maggiore disaggregazione dei dati). 54 Tabella 2 - Distribuzione della domanda di servizi notarili per distretto di Corte d’Appello - 1993 Corti d'Appello Società Vendite immobili Vendite autoveicoli Mutui Altro Totale Milano Torino Roma Bologna Venezia Firenze Tot.maggiori corti Residue 20 corti 17,5 12,7 9,6 9,8 9,9 7,1 66,6 12,4 10,6 8,7 7,3 8,4 6,0 53,4 16,9 10,0 10,0 8,5 8,5 8,1 62,0 16,4 12,6 12,6 7,2 7,5 6,0 62,3 13,8 11,3 11,9 8,7 7 7,3 60 15,6 10,6 10,5 8,4 8 7,6 60,7 33,4 100,0 (311106) 46,7 100,0 (961854) 38,0 100,0 (6218343) 37,7 100,0 (404067) TOTALE 40,0 39,3 100,0 100,0 (3329919) (11217289) Fonte: Istat, annuario statistico, 1994. 8. Al complesso di tali informazioni giova infine coniugare quelle desumibili da una recente analisi campionaria55 che consente di individuare ulteriori caratteristiche della domanda di servizi notarili. Risulta innanzitutto che al momento dell’indagine il 60% circa della popolazione italiana aveva fatto ricorso al notaio e che in oltre la metà dei casi ciò era avvenuto più di una volta negli ultimi cinque anni. Tra le diverse categorie di clientela, gli imprenditori, i professionisti e i lavoratori in proprio appaiono ricorrere al notaio con una frequenza maggiore a quella media della popolazione, e in un numero non trascurabile di casi risultano rivolgersi normalmente a più notai. L’indagine fornisce inoltre un’illustrazione per certi versi più disaggregata, rispetto a quella desumibile dalle rilevazioni nazionali, dei motivi del ricorso al notaio (Cfr. tabella 3). Emerge che gli atti di compravendita ne costituiscono la ragione più frequente, seguiti dagli atti societari per gli imprenditori e dalle successioni per la popolazione nel suo complesso. Significativo appare il fatto che solo nel 6,3% dei casi i clienti si rivolgano al notaio per chiedere una mera consulenza e che anche nel caso di imprenditori, liberi professionisti e lavoratori autonomi, tale fenomeno, seppur leggermente più diffuso, assuma una portata numericamente residuale. 55 Federnotai “L’attività notarile fra logica istituzionale e logica della domanda”, Quaderni di Federnotizie n.9/1996, Milano. 55 Tabella 3 - Domanda di servizi notarili per tipologia e categoria di clientela (%) Servizi notarili imprend., profes., lav. autonomi tot. popolazione Compravendita Atti societari Mutui Successioni Donazioni Convenzioni matrim. Certificazioni Consulenza Altro 74,5 47,2 19,8 19,8 4,7 9,4 21,7 12,3 -- 66,0 17,3 15,9 21,6 7,4 6,8 11,2 6,3 0,8 Fonte: Federnotai, op. cit., il totale non è uguale a 100 perchè erano possibili più risposte. iii) la struttura dell’offerta 9. Dal lato dell’offerta, occorre rilevare che il numero di sedi notarili per ciascun distretto di Corte d’Appello viene predefinito da un’apposita tabella, determinata mediante decreto del Capo dello Stato, tenendo conto della popolazione, della quantità degli affari, della estensione del territorio e dei mezzi di comunicazione e procurando che, di regola, ad ogni posto notarile corrispondano una popolazione di almeno 8000 abitanti e un determinato reddito annuo minimo56. La tabella viene predisposta sentiti i consigli notarili e le Corti d'Appello, e viene rivista di regola ogni dieci anni, sentiti i consigli notarili. 10. L’evoluzione del numero delle sedi e la loro ripartizione tra i principali distretti di Corte d’Appello, secondo quanto emerge dalle tre ultime tabelle emanate, riferentesi agli anni 1976, 1986 e 1997 è illustrata dalla tabella 4 che riporta anche il numero di notai in esercizio al 31 maggio 1996 (si veda anche tabella a2 in appendice per una maggiore disaggregazione dei dati). La tabella mette in luce che nei 6 principali distretti di Corte d’Appello si concentrano il 50% circa del numero complessivo di sedi esistenti sul territorio nazionale, così come dei notai in esercizio. Relativamente poi all’evoluzione del numero delle sedi nel tempo, risulta che nel decennio 1976-1986 si è verificato un aumento del 5% circa, mentre nel successivo decennio del 2,5% circa. Al riguardo, è utile comparare tali incrementi con quelli verificatisi dal lato della domanda nei soli quinquenni 1981-86 e 1987-92, che ammontano rispettivamente al 9% e al 5% circa. Si tratta di aumenti di entità quasi doppia rispetto a quelli registrati del numero delle sedi nell’arco di periodi molto più ampi. 56 Cfr. al riguardo, l’art. 4 L.N. 56 Tabella 4 - Numero di notai e di sedi notarili per principali distretti di Corte d’Appello Corti d'Appello sedi nel 1997 notai nel 1996 sedi nel 1986 sedi nel 1976 Milano Torino Roma Bologna Venezia Firenze Tot. maggiori corti Residue 20 corti Totale 617 498 571 437 364 360 2847 (53%) 2465 5312 551 350 535 393 316 325 2470 (53%) 2148 4618 573 519 563 414 338 343 2750(53%) 2434 5184 510 506 542 392 313 325 2588(53%) 2344 4932 Fonti: d.p.r. 14 gennaio 1976, n. 5, d.p.r. 4 agosto 1986, n. 651, il decreto del 1997 è in attesa di registrazione; Annuario del Notariato Italiano, 1996. Sul punto, giova precisare che la norma relativa alla predeterminazione del numero delle sedi prevede che nessuna nuova sede può comunque essere creata a meno che ad essa non corrisponda un bacino di almeno 8000 abitanti. Si tratta pertanto della definizione di un numero massimo di sedi, che può anche non coincidere con quello necessario ad assicurare una piena corrispondenza tra offerta di servizi notarili ed evoluzione della domanda. 11. La tabella mette inoltre in evidenza che il numero delle sedi risulta ovunque superiore a quello dei notai effettivamente in esercizio, poichè, come risulterà chiaro in seguito, il numero di posti di notaio di volta in volta messi a concorso è inferiore a quello delle sedi vacanti e inoltre il numero di notai che risultano idonei al concorso è a sua volta di norma inferiore a quello dei posti messi a concorso. Ad ottobre 1997 i notai in esercizio erano 4579. 3.1.2 modalità di accesso all’attività notarile 12. Per accedere al notariato sono richiesti i seguenti requisiti: cittadinanza italiana, laurea in giurisprudenza, pratica biennale presso lo studio e sotto il controllo di un notaio che ne attesta, periodicamente, lo svolgimento, superamento di un concorso57. Esiste inoltre un limite massimo di età per l’ammissione al concorso, che fino al '95 era di 50 anni (alla data del relativo bando), e che recentemente è stato ridotto a 40 anni58. Una volta superato il 57 Cfr. art. 5 L.N. e art. 1 della legge 6 agosto 1926 n. 1365. Inoltre, relativamente al concorso, giova aggiungere che la legge 26 luglio 1995 n. 328, recante “Introduzione della prova di preselezione informatica nel concorso notarile”, ha introdotto, come condizione per l’ammissione allo stesso, il superamento di una prova di preselezione informatica dei candidati con assegnazione agli stessi di domande con risposte multiple prefissate. 58 Cfr. art. 1, comma 2, della legge n. 328/1995. Al riguardo va ricordato che, ai sensi del comma 9 di tale articolo, “per un periodo di 10 anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, resta in vigore, per 57 concorso, l'iscrizione del notaio nel ruolo dei notai esercenti è subordinata al versamento di una cauzione e all'apertura dell'ufficio nel luogo assegnatogli59. 13. I concorsi ai quali partecipano gli aspiranti notai si riferiscono alle sedi libere con riguardo alle quali non abbiano chiesto e ottenuto il trasferimento notai già in esercizio. Il numero di posti messo a concorso, che è determinato dal Ministro di Grazia e Giustizia tenuto conto del limite stabilito dalla sopra menzionata tabella, può comunque essere inferiore a quello delle sedi vacanti60. Tuttavia, a conclusione del concorso, il Ministro, con il decreto di approvazione della graduatoria, ha facoltà, sentito il consiglio nazionale del notariato, di aumentare fino alla misura massima del 12% il numero dei posti messi a concorso, sempre nei limiti dei posti disponibili in seguito a concorsi per trasferimento andati deserti, esistenti al momento della formazione della graduatoria61. 14. La commissione esaminatrice, da nominarsi con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, è composta: da un magistrato almeno consigliere di Cassazione o equiparato che la presiede, da un consigliere di Corte d'Appello o equiparato, da un professore in materie giuridiche e da due notai anche se cessati dall'esercizio notarile62. 15. Quanto alla percentuale degli abilitati all'esercizio delle funzioni notarili, si riportano di seguito i dati concernenti i risultati dei concorsi realizzati negli ultimi anni: gli iscritti nel registro dei praticanti anteriormente alla medesima data di entrata in vigore, il limite di età di 50 anni per l’ammissione al concorso per la nomina a notaio”. 59 Cfr. rispettivamente artt. 18 e 24 L. N. 60 Cfr. al riguardo l’art. 4 della legge 22 gennaio 1934 n. 64, recante “Norme complementari sull’ordinamento del notariato”, secondo il quale, per l’appunto, “Il Ministro di Grazia e Giustizia (...) determina il numero dei posti da conferirsi che potrà essere anche minore a quello dei posti già vacanti o che saranno per rendersi vacanti nel periodo di tempo occorrente per l’espletamento del concorso”. 61 Cfr. art. 1 della legge 18 maggio 1973 n. 239 recante “Nuove disposizioni in materia di assegnazione di posti nei concorsi notarili”. 62 Oltre ai titolari, nello stesso numero e composizione, fanno parte della commissione alcuni membri supplenti. Cfr. al riguardo artt. 13 e 14 r.d. 14 novembre 1926 n. 1953, recante “Disposizioni sul conferimento dei posti di notaio”. 58 Tabella 5 - Esiti degli ultimi concorsi notarili Concorso Posti Domande Partecipanti prove scritte Ammessi prove orali Idonei % Idonei/ Partecipanti prove scritte DM 19/9/85 DM 3/9/86 DM 26/11/87 DM 31/5/89 DM 31/1/91 DM 7/5/93 DM 28/3/96 90 150 150 150 220 220 260 3454 3842 4140 4091 4168 n.d. 5768 2231 2215 2296 2511 2993 3200 3605 84 140 141 110 223 n.d. n.d. 83 140 141 108 197 314 n.d. 3,7 6,3 6,1 4,3 6,5 9,8 Fonte: consiglio nazionale del notariato. 16. Si noti che il numero degli idonei è notevolemente inferiore a quello dei partecipanti agli esami, rispetto al quale rappresenta una percentuale mai superiore al 10%. Si tratta, come risulterà chiaro in seguito confrontando la tabella 5 con quelle dello stesso tipo riguardanti altre professioni e riportate nei successivi capitoli, di una selezione la cui stringenza non è riscontrabile in nessun altro settore. Risulta in ogni caso anomalo il dato relativo all’ultimo concorso conclusosi, a seguito del quale il numero dei candidati dichiarati idonei è risultato apprezzabilmente superiore a quello dei posti originariamente messi a concorso. I 94 candidati idonei in esubero rispetto ai posti sono stati poi nominati notai in applicazione di una disposizione ad hoc63. 3.1.3 gli standard qualitativi delle prestazioni notarili 17. Riprendendo quanto considerato nel secondo capitolo, (sez. 2.2.2), circa la possibilità di regolamentare la qualità dei servizi professionali sia attraverso la specificazione delle caratteristiche tecniche del “supporto materiale” nel quale si concretizza il servizio, che dei comportamenti nell’erogazione dello stesso, si osserva che all’attività notarile si applicano entrambi i tipi di intervento. In particolare, con riferimento alla regolamentazione dei comportamenti occorre innanzitutto osservare che il notaio è obbligato, per legge, a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto e a dirigere personalmente la compilazione integrale dell’atto64, nonchè ad assistere personalmente allo studio in tempi determinati, a tenere gli atti ricevuti o presso di lui depositati e i 63 Cfr. art 2 della citata legge n. 328/1995, il quale stabilisce che “nei limiti dei posti disponibili in seguito a concorsi per trasferimento andati deserti, sono nominati notai i candidati dichiarati idonei nel concorso per esame indetto con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia del 7 maggio 1993, (...) purchè alla data di entrata in vigore della presente legge siano ancora in possesso dei requisiti richiesti per partecipare ai concorsi per la nomina a notaio”. 64 Cfr. rispettivamente artt. 27 e 47 L.N.: per l’inosservanza di tali disposizioni, la legge prevede la nullità dell’atto rogato (art. 58, n.4, L.N.) e la sanzione disciplinare della sospensione da 6 mesi a 1 anno (art. 138, comma 2, L.N.). 59 relativi registri e repertori65 e a presentare questi ultimi, biennalmente, al consiglio Notarile per l’ispezione66. 18. Esiste poi una regolamentazione minuziosa dei requisiti formali dell’atto pubblico, nonchè una disciplina, seppure più scarna, dell’autenticazione delle scritture private. Con particolare riguardo all’atto pubblico, l’ordinamento stabilisce numerosi e rigorosi requisiti - necessari perchè l’atto possa rispondere alla propria funzione - tra i quali i principali sono quelli concernenti l’identità delle parti, la presenza dei testimoni ove richiesta, l’individuazione dell’oggetto, la data e la sottoscrizione, la menzione della lettura e della redazione dell’atto da parte del notaio67. Qualora il notaio non rispetti tali regole è stabilita, a seconda dei casi, la nullità dell’atto e/o una sanzione disciplinare68. 3.1.4 le tariffe 19. La legge notarile stabilisce che il notaio ha diritto per ogni operazione eseguita nell’esercizio della sua professione ad essere retribuito dalle parti mediante onorario, (oltre al rimborso delle spese e ai diritti accessori), e che i compensi spettanti ai notai sono determinati dalla tariffa69. Originariamente la tariffa costituiva un allegato dell’ordinamento notarile e le modificazioni ad essa apportate furono inizialmente introdotte con provvedimento legislativo. Successivamente è stato attribuito dalla legge agli organi professionali il potere di determinare la tariffa, prevedendo che la stessa venga stabilita con deliberazione del consiglio nazionale del notariato e poi approvata con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia70. Il decreto ministeriale 6 giugno 1987, n. 230 costituisce il regolamento recante l'approvazione dell'ultima delibera del consiglio nazionale del notariato al riguardo. 20. E’ innanzitutto interessante osservare che la tariffa non si riferisce alle prestazioni professionali che esulano dallo svolgimento della funzione pubblica, cioè che non sono connesse alla redazione di un atto, (quali ad esempio consulenze fiscali, commerciali o amministrative). Per tali prestazioni, il sopracitato decreto ministeriale prevede che il compenso sia fissato a norma 65 Cfr. art. 26 L.N.: per l’inosservanza di queste norme, la legge prevede la sanzione disciplinare dell’ammenda (art. 137 L.N.). 66 Cfr. art. 128, comma 1, L.N.: nell’ipotesi in cui contravvenga a tali doveri, il notaio è punito con la sanzione disciplinare della sospensione, che dura finchè vi abbia ottemperato (art. 128, comma 2, L.N.). 67 Cfr. art. 51 L.N. 68 Cfr. art. 58 e 137 L.N. 69 Cfr. art 74 L.N. 70 Cfr. articolo unico della legge 5 marzo 1973, n. 41, recante “Norme per la determinazione degli onorari, dei diritti accessori, delle indennità e dei criteri per il rimborso delle spese spettanti ai notai”. 60 dell’art. 2233 cod. civ.71, stabilendo tuttavia al riguardo che ciascun consiglio notarile distrettuale “potrà determinare criteri di massima (...) anche con riferimento ad altre tariffe professionali che regolano casi simili o materie analoghe72. 21. Gli onorari spettanti al notaio per gli atti da lui ricevuti o autenticati sono fissi nel caso di atti di valore indeterminabile e graduali quando invece il valore possa essere determinato. In particolare, gli onorari graduali sono determinati in modo che la loro incidenza decresce marcatamente al crescere del valore dell’atto73. 22. In base all'art. 147 L.N., il notaio che, con riduzione degli onorari e dei diritti accessori, faccia ai colleghi “illecita concorrenza”, è punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno, e nei casi più gravi con la destituzione. Anche secondo l'art. 3 del codice deontologico, costituisce fattispecie di illecita concorrenza la riduzione, non occasionale o persistente, del compenso complessivamente dovuto. In base all’art. 80 L.N. poi, salvo il caso di errore scusabile, il notaio che ha riscosso per gli onorari una somma maggiore di quella dovutagli, incorre in una ammenda uguale alla somma riscossa in più, salvo sempre il diritto per la parte di chiedere la restituzione dell’indebito pagato. 3.1.5 forme di (auto)regolamentazione 23. Le forme di autoregolamentazione che vengono di seguito indicate, differentemente da altre professioni, trovano generalmente il loro fondamento espressamente nella legge. La legge 27 giugno 1991 n. 220 ha attribuito al consiglio nazionale del notariato il compito di elaborare “principi di deontologia professionale”. Su questa base, è stato approvato il codice deontologico con delibera del 24 febbraio 1994. Al riguardo, il consiglio sottolinea che, attraverso tale strumento, la categoria ha provveduto a formulare delle regole “poste non solo a tutela del prestigio sociale della categoria e dello status dei suoi appartenenti, ma anche a garanzia della qualità e correttezza del servizio che il notariato svolge per la collettività”74. Di seguito vengono esaminati alcuni 71 L’art. 2233 del codice civile recita “Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene”. 72Cfr. art 34 decreto ministeriale 6 giugno 1987, n. 230. 73 Variando dall’8% per atti di valore inferiore alle 500.000 allo 0,03% per atti compresi tra i 4 e i 5 miliardi. 74 Vale la pena di rilevare che nel 1995, in occasione del primo congresso nazionale della Federnotai, è stato osservato che la deontologia, direttamente, riguarda non già la regolamentazione della qualità minima del prodotto tipico notarile, ossia dell’atto notarile (stabilita come visto, dalle norme della legge che disciplinano, in particolare, la forma degli atti), quanto invece la regolamentazione dei comportamenti, del “come” il notaio arriva a redigere l’atto così come definito dall’ordinamento: “Le norme deontologiche, 61 aspetti dell’attività notarile disciplinati anche dalle norme deontologiche e riguardanti, in particolare le limitazioni territoriali all’esercizio dell’attività, il divieto di pubblicità e il potere di vigilanza e disciplinare dei Consigli. i) le limitazioni territoriali 24. Come già osservato precedentemente, i notai hanno una competenza territoriale limitata: essi devono per legge esercitare le proprie funzioni nell'ambito territoriale corrispondente al distretto in cui si trova la sede notarile, a pena di nullità dell’atto rogato75. Al riguardo, il codice deontologico, dispone che il notaio non può tenere aperti, nella sede assegnatagli, altri luoghi di attività diversi dallo studio che non presentino rispetto ad esso i requisiti di limitata organizzazione e di netta sussidiarietà propri del recapito. 25. La categoria motiva le limitazioni territoriali considerando che le funzioni pubbliche svolte dal notaio richiedono la presenza e la reperibilità dello stesso nelle singole aree geografiche. Tuttavia, dalla citata analisi compiuta dalla Federnotai nel 1995, emerge che il 50% circa dei notai ritiene che il suddetto vincolo sia eccessivamente oneroso per l’esercizio della professione, restringendola in un ambito che appare contrastare con la mobilità crescente assunta dai traffici negoziali. ii) il divieto di pubblicità 26. La legge dispone che è vietato al notaio di fare concorrenza ai colleghi servendosi dell'opera di procacciatori di clienti, di richiami, di pubblicità o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al prestigio della classe notarile e che il mancato rispetto di tale disposizione comporta l'irrogazione di una sanzione disciplinare76. Esiste poi una norma deontologica che vieta specificamente ogni forma di pubblicità, sia diretta che a mezzo stampa, e di richiamo delle qualità personali, dello studio professionale e dell'attività svolta, ivi comprese le specializzazioni. iii) l’esercizio del potere disciplinare 27. I procedimenti per l'applicazione delle sanzioni disciplinari sono regolati dagli artt. 148 ss L.N.. Al riguardo, va rilevato che mentre per l’applicazione delle sanzioni più lievi, cioè l'avvertimento e la censura, la competenza spetta al Consiglio Notarile da cui dipende il notaio, le sanzioni più gravi, e cioè l'ammenda, la sospensione e la destituzione - o tutte le sanzioni pertanto, tendono a fissare ulteriori qualità dell’atto utili solo su un altro e diverso piano che è quello comportamentale”. 75 Cfr. art. 58, n.4, L.N. 76 Cfr. art. 14 r.d.l. n. 1666/1937, “Modificazioni all’ordinamento del notariato e degli archivi notarili”. 62 ove il notaio sia membro del Consiglio Notarile - sono applicate direttamente dal Tribunale civile mediante decreto77. Con riferimento alla prima ipotesi, poi, si osserva che il provvedimento del Consiglio Notarile può essere impugnato davanti al Tribunale Cvile dal notaio o dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Civile nella cui giurisdizione è la sede del consiglio, al quale viene inviata copia, per legge, del suddetto provvedimento. Contro tale sentenza non è ammesso appello. Nella seconda ipotesi, invece, la sentenza del tribunale è appellabile. 3.1.6 Spunti comparatistici 28. A livello comunitario, deve segnalarsi che nei principali ordinamenti di civil law (Francia, Spagna, Germania) la figura del notaio presenta caratteristiche simili a quella del notaio italiano. Anche in tali Paesi, le peculiarità del notaio consistono in ciò che è una figura professionale autonoma, che una parte rilevante dell’attività da esso svolta è riservata e costituisce una funzione pubblica, pur avendo, per quanto concerne gli aspetti economici, i caratteri della professione libera. In Germania, tuttavia, esistono distinti tipi di notaio: in alcuni Lander, il notaio svolge esclusivamente l’attività notarile, mentre in altri l’ufficio notarile risulta combinato con l’esercizio dell’avvocatura. Negli ordinamenti di common law, invece, il notaio non costituisce una figura a sè stante, tant’è che gli avvocati svolgono le funzioni che in Italia sono proprie dei notai: ad esempio, nel Regno Unito e in Irlanda, i solicitors forniscono consulenze legali e assistenza nelle transazioni, nelle operazioni concernenti il trasferimento di beni immobili e negli atti testamentari e successori78. Con riferimento ai Paesi anglossassoni, è interessante rilevare che i solicitors non conferiscono agli atti che redigono alcun carattere di autenticità, giacchè, per gli ordinamenti di tali Paesi, l’atto autentico, differentemente dai Paesi dell’area latina, ha un’efficacia probatoria inferiore ad altri mezzi di prova, quale ad esempio la testimonianza, essendo di conseguenza poco utilizzato. Ed infatti, i soli professionisti che, in Inghilterra, attribuiscono autenticità agli atti - quasi esclusivamente ad uso esterno - non svolgendo 77 Al riguardo, va rilevato che per le sanzioni minori la legge non fornisce un criterio idoneo ad identificare una distinzione tra i fatti punibili con l’avvertimento e quelli punibili con la censura: dall’art. 147 L.N. si deduce, tuttavia, che la censura in particolare può essere inflitta nei casi più lievi quando il notaio compromette la sua dignità e il decoro o il prestigio della classe notarile. Al contrario le sanzioni maggiori sono collegate a specifiche violazioni: così, come visto, l’inadempimento dell’obbligo di assistere personalmente allo studio in tempi determinati e di tenere gli atti ricevuti o depositati e i relativi registri e repertori è punito con l’ammenda (art. 137 L.N.); ancora, il rifiuto del ministero e la mancata presentazione dei registri e repertori al consiglio per l’ispezione è sanzionato con la sospensione (artt. 128 e 138 L.N.). L’interdizione, infine, è prevista a carico dei notai che, sospesi, continuino nell’esercizio ovvero che dolosamente non abbiano conservato i repertori (art. 142 L.N.). 78 Cfr. al riguardo consiglio nazionale del notariato, Cenni informativi sui principali notariati europei, 1997; Varano, Notaio e Notariato, Diritto comparato e straniero, in Enc. Giuridica Treccani, 1990, 1. 63 peraltro altra attività, sono i cd notai di Londra, in numero assolutamente esiguo rispetto ai solicitors. In Svezia, poi, i notai sono impiegati municipali che svolgono funzioni essenzialmente certificative. Negli Stati Uniti, infine, il notary public non è nemmeno un giurista, ma soltanto un operatore - spesso un commerciante - che ha una licenza per esercitare e dispone di un sigillo: questi, principalmente, autentica le firme, riconosce che gli atti da lui certificati contengono la volontà esatta delle parti, riceve dichiarazioni giurate79. 29. L’accesso al notariato, in Francia, presuppone la laurea in diritto (o un diploma ritenuto equivalente), il compimento di un periodo di tirocinio e il superamento di un esame di idoneità, ovvero il conseguimento del diploma superiore di notariato. Tali requisiti di accesso, tuttavia, possono essere sostituiti dall’esercizio effettivo dell’attività per un periodo quadriennale ovvero quinquennale. In Germania, poi, ai fini dell’accesso è prevista una formazione postuniversitaria, comune peraltro alle varie professioni giuridiche, comprendente un tirocinio triennale e il superamento di due esami di Stato (il Referendar e l’Assessor). In Spagna, invece, il requisito richiesto dopo il conseguimento della laurea in legge è soltanto il superamento di un concorso non essendo previsto alcun tirocinio. 30. Quanto alle tariffe, si osserva che una regolamentazione risulta stabilita sia in Francia che in Germania e in Spagna80. Nel Regno Unito, invece, non risultano esistere tariffe81. 3.1.7 conclusioni 31. La tabella che segue indica le principali forme di regolamentazione dell’attività notarile, sintetizzando quanto fino ad ora illustrato al riguardo. Tabella 6 - Principali forme di regolamentazione dell’attività notarile entrata requisiti soggettivi standard di qualità minima del servizio requisiti relativi agli atti tariffe fisse e inderogabili altre forme di (auto)regolamentazione divieto di pubblicità 79 Federnotai, Quaderni di Federnotizie, Sistemi giuridici e professioni giuridiche nell’ambiente internazionale - Stato e avvenire del notariato francese, 1989, 11 e ss; 80 In Francia, le tariffe sono regolate dall’Ordinanza 78-262 dell’8 marzo 1978 e possono essere fisse o proporzionali, in relazione, in tale ultimo caso, al valore dichiarato del bene; in Germania, invece, la materia tariffaria è regolata dalla legge relativa ai costi delle procedure. La funzione di certificazione è soggetta a costi fissi ed obbligatori. In Spagna, infine, la tariffa è fissata con decreto reale 17 novembre 1989 n. 1426 ed è fissa per i documenti non quantificabili (come, ad esempio, le procure, i testamenti, le convenzioni matrimoniali), proporzionale per gli altri. 81 Cfr. consiglio nazionale del notariato, op. ult. cit. 64 a) cittadinanza b) laurea in giurisprud.; c) praticantato; d) concorso vincoli oggettivi predeterminazione del numero massimo di sedi per distretto a) formali sanzioni in caso di applicazione di prezzi inferiori o superiori. limiti territorriali requisiti relativi ai rapporti con la clientela: a) obbligo di servizio; b) obbligo di presenza; Si tratta di un assetto caratterizzato da una pluralità di vincoli attinenti sia all’accesso - determinazione di un numero massimo di sedi, selezione mediante concorso la quale, come illustrato, risulta particolarmente rigida - che all’esercizio della professione - standard delle prestazioni, tariffe, divieto di pubblicità, limiti territoriali. Inoltre, l’ambito di esclusiva attribuito al notaio risulta particolarmente vasto, ricomprendendo financo attività per le quali appare opportuno interrogarsi se la riserva sia giustificata. Si tratta di un sistema regolamentativo la cui ampiezza ed articolazione non trova paragone in nessuna altra professione. 32. Relativamente alla determinazione delle sedi, può essere ragionevole attendersi che, in ragione della funzione pubblica tipicamente svolta dal notaio, l’Amministrazione sia interessata ad assicurarne una distribuzione omogenea e sufficiente sul territorio nazionale. In ogni caso, tuttavia, una delle vie per garantire tale esigenza potrebbe essere non già la fissazione di un numero massimo di sedi, che risulta invece più strettamente funzionale a tutelare una posizione di rendita ai professionisti, quanto ad esempio la determinazione di un numero minimo di notai in esercizio. Conseguentemente, si osserva anche che il concorso, quale sistema selettivo a posti, non appare il mezzo più coerente rispetto alla necessità, stante la natura pubblica del servizio notarile, di assicurare sul territorio nazionale, un numero minimo di operatori. Peraltro, non appare verosimile che la rimozione del numero massimo possa determinare un’insufficienza dell’offerta rispetto alla domanda. Infatti, per tutte le altre professioni tale vincolo non esiste e, ciò nondimeno, l’offerta, che in alcuni casi è addiruttura in esubero, si distribuisce spontaneamente sull’intero territorio nazionale. 33. Il livello di selettività del concorso notarile risulta estremamente elevato, essendo la percentuale degli idonei addirittura inferiore al 10%. Al riguardo, appare opportuno chiedersi se tale livello risulti proporzionato rispetto alle esigenze poste dall’esercizio della professione. Da un lato infatti può ritenersi che la professione notarile non incide su beni più rilevanti rispetto a quelli su cui incidono altre professioni, quale quella di avvocato o di medico, il cui accesso tuttavia non è regolamentato in modo altrettanto stringente. Dall’altro deve considerarsi che una selezione particolarmente stringente appare senz’altro eccedente con riferimento alle 65 prestazioni professionali meno complesse, quali ad esempio quelle meramente certificative. 34. Peraltro, dall’indagine è emerso che il numero di notai che risultano idonei al concorso è di norma inferiore a quello dei posti messi a concorso e quest’ultimo è a sua volta inferiore a quello delle sedi vacanti e dunque disponibili. Al riguardo, si osserva che, assumendo che queste ultime identifichino il numero necessario di notai in rapporto alla domanda, il concorso, laddove restringe ulteriormente l’accesso, risulta produrre un livello di offerta inadeguato. 35. Venendo poi a considerare il tema delle esclusive, si tratta di verificare se l’ambito di esclusiva attualmente attribuito al notaio risulti effettivamente coerente con l’esigenza di tutelare le finalità pubbliche connesse all’esercizio delle funzioni notarili. Al riguardo, può considerarsi che il mantenimento dell’esclusiva appare eccedente in tutte quelle situazioni in cui l’entità e la probabilità di danni derivanti ai consumatori e alla collettività da prestazioni inadeguate risulterebbero senz’altro meno rilevanti di quelle assunte dai costi connessi. Tra queste ipotesi, ad esempio, va messa in luce quella relativa alla vendita di autoveicoli, che, come è stato in precedenza documentato, assume un ampio rilievo nell’ambito dell’attività dei notai, quanto meno sotto il profilo numerico, e consiste in primo luogo nella certificazione della firma e dell’identità del venditore, accompagnata da una verifica che il contratto, generalmente predisposto dalle agenzie di consulenza automobilistica, non sia contra legem. Peraltro, in alcuni Paesi, le funzioni che in Italia vengono svolte in esclusiva dal notaio, ed in particolare quelle meramente certificative, non sono esercitate neppure da un professionista. 36. Relativamente all’esercizio, vengono in particolare rilievo la fissazione di tariffe minime inderogabili e i limiti territoriali. Con riferimento al primo aspetto, si osserva che le tariffe non derogabili verso il basso, nel mercato dei servizi notarili, producono un effetto particolarmente dannoso sotto il profilo concorrenziale poichè contribuiscono ad eliminare del tutto la concorrenza tra notai, già gravemente pregiudicata dall’esistenza del numero chiuso di operatori, dai limiti territoriali e dall’esclusiva loro attribuita. La previsione di massimi e della loro inderogabilità, invece, potrebbe in astratto costituire uno strumento idoneo a tutelare l’interesse dei consumatori, in quanto volto a garantire la disponibilità a prezzi accessibili di un servizio che in alcune circostanze essi devono obbligatoriamente acquistare, essendo il notaio l’unico operatore legittimato a compiere determinate prestazioni. 66 37. Con riferimento al limite territoriale, infine, va rilevato che esso è diretto a garantire a ciascun operatore un determinato volume di domanda e, quindi, un reddito minimo. Tale limite viene generalmente giustificato dall’esigenza di garantire la presenza nei singoli distretti di un numero predefinito di operatori. Si osserva, tuttavia, che la rimozione del numero massimo di sedi comporterebbe un incremento del numero degli operatori tale da non rendere necessaria la previsione di un limite territoriale, dal momento che l’offerta si adeguerebbe spontaneamente alle esigenze della domanda, similmente a quanto avviene per altre professioni. 67 3.2 Gli avvocati principali riferimenti normativi r.d.L.L 27 novembre 1933 n. 1578, recante “Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore”; legge 13 giugno 1942 n. 794, recante “Onorari di avvocato e procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile”; legge 9 febbraio 1982 n. 31 recante “Libera prestazione di servizi da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri delle Comunità Europee”; legge 24 luglio 1985 n. 406, recante “Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti alle preture e degli esami per la professione di procuratore legale”; d.p.r. 10 aprile 1990 n. 101, recante “Regolamento relativo alla pratica forense per l’ammissione all’esame di procuratore legale”; d.m. 5 ottobre 1994 n. 585, recante “Tariffa degli onorari, diritti e indennità spettanti agli avvocati e ai procuratori per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa e tributaria”; legge 24 febbraio 1997 n. 27, recante “Soppressione dell’albo dei procuratori legali e norme in materia di esercizio della professione forense”; legge 15 maggio 1997 n. 127 recante “Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”. 3.2.1 le attività forensi i) tipologia e caratteristiche 38. Gli avvocati sono liberi professionisti esercenti la professione forense. Essi svolgono l'attività di rappresentanza e di assistenza nei procedimenti giurisdizionali civili, penali e amministrativi. Tale attività è caratterizzata dal fatto di essere attribuita agli avvocati in via esclusiva e di essere, di regola, obbligatoria82. L’attività giudiziale dell’avvocato è quanto mai varia e le esemplificazioni possibili - atti introduttivi, atti effettuati nelle successive fasi processuali, quali ad esempio la richiesta di mezzi di prova, la proposizione di istanze, la produzione di documenti, la formulazione di conclusioni - solo parzialmente riescono ad indicare lo spazio entro cui, in pratica, opera il difensore. 39. La legge considera l’attività forense come un ministero, una funzione che gli avvocati sono chiamati ad esercitare nell’amministrazione della giustizia83. Ancora, il codice penale considera i privati che esercitano la 82 Cfr. art. 82 c.p.c., secondo cui “Davanti ai pretori le parti non possono stare in giudizio se non con il ministero di un difensore”(comma 2); “Davanti ai tribunali e alle Corti d’Appello le parti devono stare in giudizio con il ministero di un procuratore legalmente esercente; e davanti alla Corte di Cassazione con il ministero di un avvocato iscritto nell’apposito albo”(comma 3). 83 Cfr. art. 12, r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, recante “Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore” e il citato art. 82 c.p.c.. Ai sensi dell’art. 8, ultimo comma, di tale decreto, gli avvocati al momento del giuramento assumono l’impegno di adempiere ai doveri inerenti alla professione per i fini della giustizia. 68 professione forense, quando dell’opera di essi gli utenti siano per legge obbligati a valersi, come persone che svolgono un servizio di pubblica necessità84. Ciò in considerazione del fatto che l’attività in questione, pur essendo funzionale in via immediata alla realizzazione di scopi privatistici, attinenti alla tutela degli interessi del cliente, ha una notevole rilevanza anche sotto il profilo dell’interesse pubblico ad una corretta ed efficiente amministrazione della giustizia. In altri termini, tale attività, oltre alla produzione di effetti per il cliente, le cui ragioni vengono giudizialmente difese, determina effetti anche per l’intera collettività. 40. Gli avvocati svolgono inoltre, non in esclusiva, le attività di consulenza legale stragiudiziale e gli arbitrati, per le quali operano in concorrenza sia con altri professionisti, non giuristi, che con soggetti diversi dai professionisti e/o da persone fisiche, ad esempio, società di consulenza. ii) l’articolazione della domanda 41. Relativamente alla domanda indirizzata agli avvocati per le attività riservate di rappresentanza giudiziale, la seguente tabella ne riporta un possibile indicatore nel periodo 1986-95, e cioè il numero dei procedimenti pendenti civili in genere, penali e amministrativi. 84 Cfr. art. 359 c.p.. Ciò tuttavia non implica che il patrocinatore possa configurarsi come un pubblico ufficiale. Al riguardo Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia del 21 giugno 1974, Reyners, in Racc. giur. della Corte, 1974, 631 e in Foro It. 1974, IV, 281, secondo la quale appare escludersi la natura pubblicistica dell’attività dell’avvocato nel suo complesso, non rientrando tale attività fra le eccezioni al diritto di stabilimento di cui all’art. 55 del Trattato CEE previste per coloro che partecipino, sia pure eccezionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri. In particolare, nella sentenza si legge che “Le prestazioni professionali che implicano contatti, anche regolari ed organici, con i tribunali, ovvero la partecipazione, sia pure obbligatoria, al loro funzionamento, non costituiscono partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri. In particolare, non possono venir considerate come partecipazione a tali poteri le attività più tipiche della professione forense, quali la consulenza e l’assistenza giuridica, come pure la rappresentanza e la difesa delle parti in giudizio, neppure quando il ministero o assistenza dell’avvocato è obbligatorio o costituisce oggetto di un’esclusiva voluta dalla legge. In effetti, l’esercizio di tali attività lascia intatti la valutazione dell’Autorità giudiziaria e il libero esercizio della funzione giurisdizionale” (par. 51/53). 69 Tabella 7 - Procedimenti pendenti per tipologia Anni 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 Procedimenti civili di cognizione totale Grado I° grado d’appello 1.581.612 1.638.073 1.814.303 1.921.712 2.225.496 2.372.141 2.532.055 2.772.428 2.872.393 3.274.416 155.932 166.444 183.499 203.855 229.058 245.680 268.132 273.600 277.910 287.948 Procedimenti penali* I° grado Grado d’appello n.d. 89.492 144.165 180.752 252.528 359.820 n.d. 45.787 63.936 87.797 107.420 114.263 Procedimenti di giustizia amministrativa totale Grado I° grado d’appello 299.373 330.444 362.687 396.245 432.971 471.141 522.793 587.184 669.173 726.324 15.877 17.606 19.933 21.502 20.285 19.735 20.951 22.805 26.957 29.387 Fonte: Istat, Annuario Statistico Italiano, anni vari. * I dati concernenti i procedimenti penali in primo grado risultano dalla somma dei procedimenti innanzi alle Preture, ai Tribunali e alle Corti d’Assise, quelli in secondo grado dalla somma dei procedimenti innanzi alle Corti d’Appello e alle Corti d’Assise d’Appello. Inoltre, per ragioni di comparabilità, si riportano solamente i dati disponibili riferiti al periodo successivo al 1989, anno di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. La tabella mette in luce che nell’arco del periodo considerato, tutte le tipologie di procedimento hanno registrato un marcato aumento numerico. Al riguardo, occorre precisare che i dati si riferiscono allo stock di procedimenti in corso e quindi la loro progressione può non corrispondere ad un’analoga espansione della domanda di rappresentanza giudiziale. Tuttavia, anche considerando l’evoluzione nello stesso periodo del numero dei soli nuovi procedimenti, si inferisce un aumento considerevole dell’attività svolta dagli avvocati85. 42. Tali informazioni relative all’andamento dell’attività di assistenza giudiziale, possono essere utilmente integrate con i risultati di un’indagine campionaria effettuata dal Censis nel 198986 che considera, tra l’altro, la ripartizione per tipologia di clienti della domanda complessivamente indirizzata agli avvocati, includendo pertanto anche quella di assistenza stragiudiziale. Tali risultati sono sintetizzati nella tabella che segue, la quale indica la frequenza di varie tipologie di prestazione. 85 Relativamente al numero medio di nuovi procedimenti civili nel periodo 1986/95, ad esempio, va rilevato che esso è, per i procedimenti in primo grado, di 1.117.954 (con un aumento, pertanto, di circa 1/3) e, per i procedimenti in grado d’appello, di 92.579 (ancora, oltre 1/3). 86 Cfr. Ipsoa, Professione Avvocato, Strategie Previdenziali ed Esercizio dell’Attività Forense, Milano 1990. L’indagine si è basata sulle risposte contenute in circa 4700 questionari compilati da altrettanti avvocati iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza. 70 Tabella 8 - Ripartizione della domanda per tipologia di clientela* enti privati enti pubblici singoli cittadini altro 68.7% 35,8% 14,8% 28,5% 57,9% 75,1% 4,1% 1,8% consulenza continuativa consulenza saltuaria *La somma delle frequenze non è pari a 100 poichè erano possibili più risposte. La tabella mette in luce che nella maggior parte dei casi (75% circa) l’avvocato risponde ad esigenze di consulenza saltuaria provenienti da singoli cittadini. Tuttavia, una tipologia di prestazione quasi altrettanto frequente (68% circa dei casi) è costituita dalla consulenza continuativa a favore di imprese. iii) l’articolazione dell’offerta 43. Relativamente alla struttura dell’offerta, gli avvocati iscritti all’albo erano alla fine del 1995 83.09087. Negli ultimi anni il numero dei professionisti forensi appare essere significativamente aumentato, ammontando a circa 50.000 nel 199088. L’espansione dell’offerta risulta confermata anche dal confronto tra gli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza degli avvocati e dei Procuratori, negli anni 1988 e 1995 riportato nella tabella seguente89. Tabella 9 - Iscritti alla Cassa Naz. Prev. Ass. per ripartizione geografica Aree Nord di cui Lombardia Centro di cui Lazio Sud di cui Campania Totale 1988 13.235 5149 8135 4803 12.978 3768 34.348 (38,5%) (23,7%) (37,8%) 100 1995 22362 8694 13356 7959 21410 6388 57128 (39,1%) (23,4%) (37,5%) 100 Fonte: Cassa Nazionale Previdenza Avvocati. In particolare, la tabella mette in evidenza che nel periodo 1988-95 il numero di professionisti iscritti alla Cassa è aumentato di oltre il 60%, in modo sostanzialmente uniforme sul territorio nazionale. Sotto il profilo della concentrazione dell’offerta, si rileva che nelle tre regioni Lombardia, Lazio e Campania opera circa il 40% dei professionisti (per una maggiore disaggregazione dei dati si veda anche tabella a3 in appendice). 87 Cfr. dati elaborati dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza 88Al riguardo, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura ha precisato che degli avvocati e dei Procuratori. “il numero degli iscritti, peraltro, sta crescendo notevolmente: in media si iscrivono 10.000 nuovi soggetti all'anno agli albi dei procuratori e avvocati; a partire dal 1990 siamo passati da 50.000 a circa 90.000 iscritti” (Cfr. audizione dell’organismo del 12 luglio 1996). 89 Si noti che il numero di iscritti all’albo è significativamente maggiore di quello dei professionisti iscritti alla Cassa. Ciò in ragione del fatto che, secondo le informazioni acquisite dalla Cassa, l’iscrizione alla Cassa stessa non è conseguenza automatica dell’iscrizione all’albo, essendo tra l’altro subordinata al superamento da parte del professionista di determinate soglie minime di reddito e di volume d’affari (pari rispettivamente a 11.700.000 e 17.550.000 nel 1997). 71 3.2.2 modalità di accesso 44. Attualmente, i requisiti per accedere all’attività forense sono: la laurea in giurisprudenza, lo svolgimento di un tirocinio biennale principalmente presso lo studio e sotto il controllo di un avvocato, il superamento dell’esame di abilitazione e l’iscrizione all’albo90. E’ stata infatti recentemente rimossa la disposizione secondo la quale l’attività di avvocato poteva essere svolta solo da chi fosse stato in precedenza procuratore91. 45. Relativamente alle modalità di effettuazione del tirocinio, giova osservare che al termine del primo anno di pratica, i praticanti iscritti nel relativo registro, sono tenuti ad illustrare al consiglio dell’ordine, con apposita relazione, le attività indicate nel libretto della pratica92. Al riguardo, va segnalato che il consiglio dell’ordine può espletare gli opportuni accertamenti sulle dichiarazioni del praticante e ha facoltà di invitarlo ad un colloquio per eventuali ulteriori chiarimenti sul tirocinio espletato93. Sono anche previsti dei corsi integrativi della pratica, non obbligatori, tenuti dalle scuole di formazione istituite dai Consigli degli ordini94. Ad oggi risulta che solo una minoranza di questi ultimi gestiscono scuole di formazione, e comunque a livello sperimentale95. Superato il primo anno di pratica, i praticanti possono essere ammessi, per un periodo non superiore a 6 anni, a patrocinare di fronte alle preture del distretto nel quale è compreso l’ordine che ha la tenuta del suddetto registro96. Infine, al termine del tirocinio, i praticanti devono sostenere l'esame di abilitazione presso la Corte d'Appello nel cui distretto il candidato è stato iscritto per la pratica. Non esistono limiti di età per l’iscrizione all’esame. 90 Cfr. art. 7 r.d.l. n. 1578/1933. Il periodo di pratica è stato elevato da un anno a due anni in base all’art. 2, legge 24 luglio 1985 n. 406, recante “Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti alle preture e degli esami per la professione di procuratore legale”. 91 L’art. 27, n. 2, del citato r.d.l. n. 1578/1933 stabiliva che il procuratore legale diventava avvocato dopo sei anni di esercizio della professione decorrenti dall'iscrizione nell'albo ovvero dopo due anni in seguito al superamento di un esame. Con legge 24 febbraio 1997 n. 27, recante “Soppressione dell’albo dei procuratori legali e norme in materia di esercizio della professione forense”, è stata invece abolita la distinzione tra il titolo di procuratore legale e quello di avvocato. 92 Cfr. art. 7, comma 1, d.p.r. 10 aprile 1990 n. 101, recante “Regolamento relativo alla pratica forense per l’ammissione all’esame di procuratore legale”: le attività consistono nella partecipazione ad almeno 40 udienze (20 per semestre), gli atti processuali o quelli relativi ad attività stragiudiziali più rilevanti alla cui predisposizione il praticante abbia partecipato, e ancora le questioni giuridiche di maggior interesse trattate. 93 Cfr. art. 7, comma 3, d.p.r. n. 101/1990, cit. 94 Cfr. art. 3, d.p.r. n. 101/1990. 95 Cfr. audizione del 12 luglio 1996 del citato Organismo. 96 Cfr. art. 8, comma 2 r.d.l. n. 1578/1933 come modificato dall’art. 1, legge n. 406/1985. Inoltre, ai sensi della citata norma, i praticanti abilitati, sempre davanti alle medesime preture, ma in sede penale, “possono essere nominati difensori d’ufficio, esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre impugnazione sia come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero”. 72 46. La commissione esaminatrice, da nominarsi con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, è composta da cinque membri titolari, dei quali: due avvocati, iscritti da almeno otto anni al consiglio dell'ordine del distretto di Corte d'Appello, due magistrati, con qualifica almeno di consiglieri di Corte d'Appello e un professore ordinario o associato di materia giuridiche presso l'università o un istituto superiore. Il Ministro di Grazia e Giustizia nomina, per ogni commissione esaminatrice, il presidente e il vicepresidente tra i componenti avvocati97. 47. La descritta regolamentazione in materia di accesso, tuttavia, sta subendo rilevanti modifiche per effetto di alcuni recenti interventi legislativi, caratterizzati da una portata decisamente innovativa. In particolare, la legge 15 maggio 1997 n. 127, cd legge Bassanini-bis, prevede l’istituzione di scuole biennali di specializzazione per le professioni legali presso le università, sedi di facoltà di giurisprudenza, finalizzate al rilascio di un diploma, il quale costituirà un requisito alternativo al tirocinio ai fini dell’accesso98. Il Governo, in attuazione della legge n. 127/1997, ha stabilito che tali scuole provvedono alla formazione comune dei laureati in giurisprudenza attraverso l’approfondimento teorico, integrato da esperienze pratiche, finalizzato all’assunzione dell’impiego di magistrato o all’esercizio delle professioni di avvocato e notaio99. Tale decreto stabilisce, inoltre, il principio del numero chiuso degli ammessi alle scuole. L’accesso alle stesse, poi, avviene mediante concorso per titoli ed esame. Il rilascio del diploma di specializzazione, infine, è subordinato alla certificazione della regolare frequenza dei corsi, al superamento delle verifiche intermedie e delle prove finali di esame100. 97 Cfr. art. 22 r.d.l. n. 1578/1933. Qualora il numero dei candidati che abbiano presentato la domanda di ammissione superi le 250 unità, le commissioni possono essere integrate, con decreto ministeriale, da un numero di membri supplenti aventi i medesimi requisiti stabiliti per i membri effettivi tale da permettere, unico restando il presidente, la suddivisione in sottocommissioni, costituite ciascuna di un numero di componenti pari a quello della commissione originaria. 98 Cfr. art. 17, commi 113 e 114, della citata legge n. 127/1997: mentre il comma 113 prevede l’istituzione delle suddette scuole con decreto legislativo, il comma 114, per quanto concerne in particolare l’accesso alle professioni notarile e forense, stabilisce che“anche in deroga alle vigenti disposizioni relative all’accesso alle professioni di notaio e di avvocato, il diploma di specializzazione - conseguibile al termine della frequenza biennale della scuola - costituisce, nei termini che saranno definiti con decreto del Ministro di grazia e giustizia di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, titolo valutabile ai fini del compimento del relativo periodo di pratica”. Inoltre, ad un decreto dei suddetti Ministri è demandata la definizione dei criteri organizzativi delle scuole, “anche prevedendo l’affidamento annuale degli insegnamenti a contenuto professionale a magistrati, notai e avvocati”. 99 Cfr. art. 14, comma 2, del decreto legislativo in corso di formazione. Al riguardo, può osservarsi che, nel percorso formativo, tali scuole, nella misura in cui vengano previste adeguate modalità organizzative e di svolgimento dei corsi, e, dunque, sia assicurato un adeguato livello di preparazione specialistica ai frequentanti, appaiono strumenti idonei al perseguimento dell’obiettivo di recuperare una maggiore qualificazione dei futuri avvocati. 100 Cfr. art. 14, commi 4 e 5, del citato decreto legislativo in corso di formazione. 73 48. Espressione dell’esigenza di riforma della disciplina in materia di accesso appare anche la recente presentazione alla Camera dei deputati di un disegno di legge (D.d.l. n. 4115 “Disposizioni in materia di accesso alla professione di avvocato)101 che introduce nuove norme riguardanti la pratica forense e l’esame di abilitazione, dirette - secondo la relazione - ad una riqualificazione della categoria attraverso una più rigorosa verifica della professionalità dei futuri avvocati102. Al riguardo, va rilevato, tuttavia, che la pluralità di interventi sulla stessa materia, quella dell’accesso, se da un lato denota l’esigenza per alcuni versi improcastinabile - avvertita peraltro dalla stessa categoria - di modificare l’attuale regolamentazione, per l’altro, trattandosi di iniziative indipendenti sotto il profilo contenutistico, appare richiedere un coordinamento tra normative. 49. Venendo alle norme contenute nel citato disegno di legge n. 4115, con riferimento alla pratica, devono segnalarsi, da un lato, l’elevazione del periodo a tre anni103, dall’altro, la possibilità per il praticante, dopo il primo anno di pratica, di esercitare la professione in sostituzione delegata e sotto la responsabilità dell'avvocato, ma solo davanti ai giudici monocratici104. Relativamente all’esame di abilitazione, poi, le novità riguardano essenzialmente la composizione della commissione esaminatrice e le modalità di svolgimento. La commissione appare composta da cinque membri titolari e cinque supplenti, dei quali, rispettivamente, ben tre avvocati, un magistrato e un professore universitario ed è presieduta da un avvocato scelto tra i tre titolari105. L’esame di abilitazione è indetto a Roma, in sede unica nazionale106 e i criteri di valutazione dei candidati sono previamente determinati, in adunanza plenaria, 101 E’ il caso di sottolineare che non si tratta dell’unica proposta di riforma che riguarda la professione forense. Al riguardo l’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana ha approvato in data 10 ottobre 1995 una proposta di legge quadro sulla professione di avvocato, dalla quale si possono desumere alcuni importanti orientamenti: a) la regolamentazione della forma di accesso attraverso un corso annuale di formazione, il superamento di un primo esame, un successivo periodo di praticantato di due anni e, infine, l’esame di Stato; b) l’imposizione del limite del quarantesimo anno di età quale requisito per l’iscrizione all’albo; c) l’imposizione del divieto di assumere l’obbligazione di risultato; d) un indirizzo favorevole nei confronti dell’esercizio in forma societaria della professione limitata alla sola società semplice. Tali proposte, il cui carattere restrittivo è superfluo sottolineare, non hanno finora trovato un accoglimento in sede legislativa. 102 Il disegno di legge n. 4115 è stato presentato alla Camera dei Deputati il 4 settembre 1997 dal Ministro di Grazia e Giustizia, di concerto con i Ministri delle Finanze e del Tesoro. L’emanazione di tali norme appare dettata, secondo la relazione introduttiva al disegno di legge, dall’esigenza primaria di sottoporre ad un immediato esame parlamentare nuove regole concernenti aspetti specifici dell’ordinamento professionale, quali per l’appunto quelli connessi all’accesso. Manca invece per il momento “una riforma organica dell’ordinamento forense, sebbene da tempo e da più parti sia stata sollecitata, a fronte di un assetto normativo rimasto sostanzialmente invariato - quanto meno nelle sue linee fondamentali - dagli anni trenta”. 103 Cfr. art. 6, comma 1. 104 Cfr. art. 6, comma 3. 105 Cfr. art. 1, comma 2. Ove il numero dei candidati lo richieda la commissione può essere integrata da sottocommissioni, per gruppi fino a 500 candidati. Ovviamente, i membri e i presidenti delle sottocommissioni sono nominati con lo stesso criterio utilizzato per la formazione della commissione. 106 Cfr. art. 1, comma 1. 74 dalla commissione e dalle sottocommissioni107. L’esame, infine, non può essere sostenuto da coloro che siano stati dichiarati non idonei in tre precedenti prove108. 50. Il suddetto disegno di legge propone una regolamentazione in tema di accesso alla professione che, nel suo complesso, appare incoerente con i principi concorrenziali, tendendo ad una progressiva chiusura degli albi. Tale normativa infatti appare innanzitutto caratterizzata: a) da un aumento del grado di restrittività della selezione all’entrata (maggior numero di anni di formazione; numero massimo di prove per accedere)109 che renderebbe ancora più costoso e lungo l’inserimento dei tirocinanti nella vita professionale senza peraltro garantire un miglioramento della qualità del tirocinio e che oltretutto apparirebbe contraddittorio con la previsione recentemente introdotta di un corso di specializzazione sostitutivo del tirocinio di durata biennale; b) da un maggiore coinvolgimento degli ordini forensi nell’esame di abilitazione determinato dall’aumento del numero degli avvocati presenti nella commissione (da due su cinque a tre su cinque), con la inevitabile assunzione da parte degli stessi di un ruolo decisorio determinante nelle procedure di accesso all’esercizio della professione, anzichè dei pubblici poteri; c) dalla circostanza che concerne tutte le attività riservate di rappresentanza giudiziale, e che relativamente a tali attività, un innalzamento del grado di restrittività della selezione all’entrata potrebbe essere sproporzionato in rapporto alle effettive esigenze di tutela dei consumatori in tutte quelle ipotesi in cui si fa riferimento ad un servizio sostanzialmente standardizzato, come ad esempio per la redazione dei decreti ingiuntivi. 51. Va poi rilevato che il disegno di legge prevede che l’esame venga effettuato presso una sede d’esame unica e adottando criteri uniformi di valutazione. Tali modalità di svolgimento appaiono poter essere idonee ad accertare su base paritaria l’effettiva competenza dei candidati e a superare le discrasie riscontrate nel corso di questa indagine negli esiti degli esami nei diversi distretti. 52. Al riguardo, con specifico riferimento alla percentuale degli abilitati all'esercizio della professione forense, i dati più recenti disponibili riferiti agli 107 Cfr. art. 1, comma 2. 108 Cfr. art. 2, comma 3. 109 Relativamente al tirocinio e alla durata del medesimo, rimane da verificare se esistono specifici incentivi che, garantendo un’appropriata trasmissione di competenza professionale, possano giustificare la suddetta regolamentazione. Al riguardo deve osservarsi che non sono previsti obblighi specifici a carico degli avvocati di accogliere i praticanti e soprattutto di impiegare a favore di questi ultimi lo sforzo necessario per istruirli adeguatamente. Conseguentemente, è ragionevole ritenere che le conoscenze che il praticante acquisirà nel corso del tirocinio sono prevalentemente quelle volte a soddisfare la fascia più bassa della domanda, e, in quanto tali, acquisibili e utilizzabili in tempi meno lunghi. 75 anni 1994 e 1995, indicano che la percentuale media a livello nazionale di vincitori sui partecipanti alle prove scritte è stata rispettivamente del 45 e 41%. Si tratta di valori non troppo dissimili da quelli registrati in anni precedenti110, che tuttavia rappresentano la composizione di tassi di ammissione fortemente differenziati tra diverse sedi di esame come è messo in luce dalla tabella che segue (vedi anche tabelle a4 e a5 in appendice). Tabella 10 - Ripartizione delle sedi di esame per percentuali di abilitati percentuale di abilitati Corti d’Appello 1994: candidati 19214, abilitati 7845 minore del 33% compresa tra 33 e 66% oltre 66% Cagliari, Perugia, Torino, Trieste, Brescia, Venezia, Roma Trento, Genova, Bologna, Lecce, Campobasso, Salerno, Firenze, L’Aquila, Milano, Catania, Palermo, Bari, Messina Ancona, Potenza, Caltanisetta, Catanzaro, Reggio Calabria 1995: candidati 22084*, abilitati 5056* minore del 33% compreso tra 33 e 66% oltre 66% L’Aquila, Brescia, Perugia, Torino, Palermo, Genova Bologna, Ancona, Trento, Milano, Cagliari, Lecce, Caltanisetta, Messina, Salerno, Trieste Bari, Reggio Calabria Fonte: Relazione per la seduta inaugurale del consiglio nazionale forense del 16 gennaio 1997. *Per sette sedi d’esame i dati non sono disponibili. La tabella, nella quale le sedi d’esame sono elencate in ordine crescente di tassi di abilitazione, mostra che la variabilità degli stessi tra Corti d’Appello presenta una certa persistenza nel tempo: la selezione dei candidati effettuata presso sedi quali Torino, Bologna e Perugia appare persistentemente maggiore di quella che si verifica altrove. 53. L’avvocato iscritto all’albo può accedere al patrocinio di fronte alle giurisdizioni superiori soltanto dopo che siano trascorsi dodici anni di esercizio della professione decorrenti dall'iscrizione nell'albo ovvero cinque anni da questa data e in seguito al superamento di un apposito esame111. 3.2.3 gli standard qualitativi delle prestazioni forensi 54. L’attività giudiziale dell’avvocato, inserendosi, come visto, nell’ambito dell’amministrazione della giustizia ed in particolare del processo, che deve svolgersi secondo forme e tempi rigidamente predeterminati dalla legge, risulta anch’essa, (come quella del notaio) disciplinata da regole definite. 110 Negli anni 1991 e 1992, cumulativamente i candidati sono stati circa 30.190 e gli abilitati 13.290, con una percentuale di abilitati pertanto pari al 44%. Cfr. lettera del consiglio nazionale forense del 7 marzo 1995. 111 Cfr. art. 4 della citata legge n. 27/1997 76 La regolamentazione di tale attività, relativamente al profilo qualitativo, riguarda sia le caratteristiche degli atti giudiziari, che i comportamenti nello svolgimento dell’attività. Per quanto riguarda il primo aspetto, i codici e le leggi che disciplinano i vari tipi di processo prevedono una serie di standard qualitativi che si sostanziano essenzialmente nei requisiti formali degli atti processuali tipici, regolati dalle relative norme processuali. Nell’ipotesi di nullità di un atto imputabile al difensore, la legge prevede, tra l’altro, la condanna, su istanza di parte, di quest’ultimo al risarcimento dei danni causati dalla nullità112. 55. Rispetto ai comportamenti, le norme istitutive della professione impongono ai professionisti l’obbligo di tenere, nello svolgimento dell’attività, una condotta “specchiatissima e illibata”113 e quelle procedurali, ai difensori, un generale dovere di tenere in giudizio un comportamento leale e probo, la cui inosservanza deve essere segnalata dal giudice alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di essi114. L’avvocato, inoltre, non deve avere un interesse proprio nella causa che patrocina115. Più specificamente poi, relativamente ai rapporti con il cliente, il patrocinatore: non può rifiutare l’incarico senza giusto motivo116; non può recedere dallo stesso senza giusta causa e, anche nelle ipotesi in cui il recesso è possibile, esercitare tale diritto recando un pregiudizio al cliente117; ha un obbligo di fedeltà verso il cliente118; ha un obbligo di segretezza delle notizie di cui è a conoscenza per ragioni del patrocinio prestato119. 56. A tali obblighi comportamentali, previsti da norme di legge, devono aggiungersi quelli, in parte di analogo contenuto, risultanti dalle norme contenute nel codice deontologico, approvato dal consiglio nazionale forense il 17 aprile 1997. Particolare rilevanza assumono i doveri di lealtà e correttezza120, di fedeltà121, di indipendenza122, di competenza123 e di aggiornamento professionale124. 112 113 114 Cfr. art. 162 c.p.c. Cfr. art. 17, n. 3, r.d.l. n. 1578/1933. Cfr. art. 88 c.p.c.: ad esempio, è appena il caso di segnalare che appare violare tale regola di condotta l’avvocato che “crea” la lite. 115 Cfr. art. 2233, comma 3, c.c, secondo cui è vietato, sotto pena di nullità e di danni, il cd patto di quotalite, intercorso tra professionista e cliente, consistente in un accordo, antecedente alla conclusione del procedimento, in base al quale il cliente si obbliga a riconoscere all'avvocato una parte del risultato ottenuto. 116 Cfr. art. 11 r.d.l. n. 1578/1933 117 Cfr. art. 2237, commi 1 e 3, c.c. 118 Secondo l’art. 380 c.p., ad esempio, “il patrocinatore...che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità Giudiziaria, è punito...”. E ancora, ai sensi dell’art. 381 cod. pen. “Il patrocinatore che, in un procedimento dinnanzi all’Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente....il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito...”. 119 Cfr. art. 13 r.d.l. n. 1578/1933. 120 Cfr. art. 6 cod. deont. 77 3.2.4 le tariffe 57. Attualmente, anche per gli avvocati i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità ad essi dovute per le prestazioni giudiziali e stragiudiziali sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del consiglio nazionale forense, la quale deve essere poi approvata con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia125. Per ogni atto o serie di atti sono fissati i limiti di un massimo e di un minimo126. In ambito giudiziale, relativamente al procedimento di determinazione e liquidazione delle spese e degli onorari, va rilevato che l’avvocato deve presentare al giudice la nota delle spese, delle proprie competenze e dell’onorario127. Il giudice, dal canto suo, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa128. La liquidazione degli onorari a carico del soccombente è fatta dal giudice in base alla tariffa129, entro i limiti del minimo e del massimo130, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate. Esiste poi l’onorario a carico del cliente che è sempre dovuto all’avvocato indipendentemente dalle statuizioni dell’autorità giudiziaria131. Nella prassi, tale onorario è spesso eccedente rispetto all’ammontare liquidato dal giudice stesso a carico del soccombente dal momento che l’avvocato, nel determinarlo, può tenere conto anche dei risultati del giudizio e dei vantaggi 121 Cfr. artt. 7 e 37 cod. deont.: va notato che tale dovere si estrinseca, fra l’altro, nell’astensione dell’avvocato dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi del proprio assistito, nonchè, più in generale, dal compiere atti contrari all’interesse di quest’ultimo. 122Cfr. art. 10 cod. deont.: l’avvocato ha il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni e condizionamenti esterni. 123 Cfr. art. 12 cod. deont.: tale dovere vieta all’avvocato di accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza. 124 Cfr. art. 13 cod. deont. 125 In particolare, Cfr. l’art. 1 della legge 3 agosto 1949, recante “Tariffe forensi in materia penale e stragiudiziale e sanzioni disciplinari per il mancato pagamento dei contributi previsti dal decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944 n. 382” per quanto riguarda l’iter formativo delle tariffe in materia penale e stragiudiziale e l’art. 1 della legge 7 novembre 1957 n. 1051, recante “Determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile” relativamente all’attività civile. Va altresì ricordato che le tariffe forensi, precedentemente, erano contenute in tabelle allegate alla legge (Cfr. al riguardo, l’art. 1 della legge 13 giugno 1942 n. 794, recante “Onorari di avvocato e procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile”). 126 Cfr. art. 58, comma 2, r.d.l. n. 1578/1933. 127 Cfr. art. 59, comma 2, r.d.l. n. 1578/1933. 128 Cfr. art. 91 cod.proc. civ. e art. 60, r.d.l. n. 1578/1933. Al riguardo deve osservarsi che la liquidazione a carico del soccombente rientra nella competenza esclusiva e inderogabile del giudice della causa, tant’è che quest’ultimo incorre nel vizio di omessa pronuncia se non provvede, dopo aver pronunciato condanna nelle spese, a liquidarle (Cass. 12297/93, 107/82). 129 Cfr. art. 60, comma 1, r.d.l. n. 1578/1933 e Cass. 3989/93. 130 Cfr. art. 60, comma 4, r.d.l. n. 1578/1933. Tuttavia, nei casi di eccezionale importanza, in relazione alla specialità delle controversie, quando il pregio intrinseco dell'opera lo giustifichi, il giudice può oltrepassare il limite massimo. Quest'ultimo può, altresì, liquidare l'onorario in misura inferiore al minimo quando la causa risulti di facile trattazione. In questi casi, la decisione del giudice deve essere motivata. 131 Cfr. art. 2, d.m. n. 585/1994. 78 anche non patrimoniali conseguiti132. Anche l’onorario a carico del cliente, infine, può essere determinato secondo la tariffa133. 58. Il d.m. 5 ottobre 1994 n. 585 costituisce il regolamento recante l'approvazione dell'ultima delibera del consiglio nazionale forense al riguardo134. Relativamente ai minimi, va osservato che essi, di regola, sono inderogabili135. Soltanto se, per particolari circostanze del caso, appaia una manifesta sproporzione fra le prestazioni rese e l’onorario previsto dalle tabelle, i minimi possono essere diminuiti, a condizione però che la parte esibisca il parere del competente consiglio dell’ordine. I massimi, nelle stesse ipotesi, possono essere aumentati anche di oltre il doppio, potendo arrivare nelle cause di straordinaria importanza anche fino al quadruplo del livello stabilito136. 59. Secondo il consiglio nazionale forense, il patto, ex art. 2233 c. c., rimane la fonte primaria di determinazione del compenso, mentre la tariffa, oltre ad essere applicata in via suppletiva, avrebbe in ogni caso una valore meramente indicativo. Inoltre, detto consiglio rileva che la tariffa minima obbligatoria, in Italia, è indispensabile considerato l’obbligo del giudice di determinare e liquidare spese e onorari di causa a carico del soccombente secondo il citato art. 91 c. p. c.137. 60. Il codice deontologico, dal canto suo, prevede per gli avvocati anche la possibilità di concordare onorari forfettari in caso di prestazioni continuative di consulenza ed assistenza, purchè non violino i minimi inderogabili di legge138. 3.2.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività 132 Cfr. art. 5, comma 3, dm. n. 545/1994. L’esistenza di detta eccedenza appare desumersi anche dall’art. 61, comma 2, r.d.l. n. 1578/1933, secondo cui l’onorario dell’avvocato nei confronti del proprio cliente “in relazione alla specialità della controversia o al pregio o al risultato dell’opera prestata, può essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese”. La giurisprudenza, dal canto suo, ha stabilito che “la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalla liquidazione contenuta nella sentenza di condanna del soccombente al pagamento delle spese e onorari di causa, per cui solo la inequivoca rinuncia del legale al maggiore compenso può impedirgli di pretendere onorari maggiori e diversi di quelli liquidati in sentenza” (Cass. n. 11448/1992); E ancora “l’avvocato può pretendere, nei confronti del cliente, onorari diversi e maggiori di quelli liquidati in sentenza, quando le sue prestazioni personali giustifichino tale pretesa” (Cass. n. 1479/1969). 133 Cfr. art. 61, comma 1, r.d.l. n. 1578/1933. 134 Risulta al proposito che gli aumenti previsti dalla nuova tariffa vanno dal 25% circa al 300% per alcune voci e riguardano solo i minimi, al fine di eliminare la significativa differenza esistente in precedenza tra minimo e massimo. L’art. 5, comma 3, del citato decreto, stabilisce il cd diritto d’urgenza “per l’incarico conferito nell’imminenza dell’attività da compiere ovvero quando l’andamento del procedimento esiga, comunque, il compimento di un atto imprevisto e urgente”. 135 Cfr. art. 24 della citata legge n. 794/1942, e successive modificazioni, sostituito dal vigente art. 4, comma 1, d.m. 585/1994. 136 Cfr. art. 5, comma 3, d.m. 585/1994. 137 Cfr. memoria di tale consiglio depositata in occasione dell’audizione del 26 maggio 1995. 138 Cfr. art. 43, IV°, cod. deont. 79 i)il divieto di prestare l'attività in qualità di dipendente di enti o imprese 61. Alcune categorie di avvocati-dipendenti possono essere iscritti nell’albo o in elenchi annessi ed esercitare, in alcuni casi limitatamente, la professione o non esercitarla affatto. Al proposito, bisogna distinguere le seguenti categorie: a) gli avvocati dipendenti di enti pubblici possono essere iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo e possono esercitare limitatamente alle cause e agli affari cui sono addetti139; b) i professori e gli assistenti universitari a tempo definito e i professori degli istituti secondari possono essere iscritti nell'albo in virtù di espressa deroga prevista dalla legge che ne esclude la incompatibilità e dunque esercitare140; c) i professori universitari a tempo pieno sono iscritti in un altro elenco speciale annesso all’albo, ma tale regime è incompatibile con lo svolgimento della professione141. 62. Esiste poi una limitazione posta all'iscrizione all'albo o in elenchi annessi- e quindi l'impossibilità di svolgere attività di rappresentanza giudiziale - per soggetti i quali, pur abilitati all'esercizio della professione, rivestono la qualifica di lavoratori dipendenti all'interno di enti o imprese private. Sulle problematiche concernenti il divieto di prestare l'attività in qualità di dipendente di enti o imprese, si rimanda a quanto esposto diffusamente nel capitolo ottavo. ii) circolazione in ambito comunitario e limitazioni territoriali 63. Gli avvocati godono del diritto di libera prestazione dei servizi e di stabilimento all’interno dell’Unione Europea142. Il primo si riferisce all’esercizio in modo temporaneo e occasionale dell’attività in un altro Stato membro, mentre il diritto di stabilimento riguarda la possibilità di esercitare in modo continuo e permanente in un Paese dell’Unione diverso da quello di origine. 139 140 Cfr. art. 3, ultimo comma, lett. b), r.d.l. n. 1578/1933 Cfr. art. 3, ultimo comma, lett. a), r.d.l. n. 1578/1933 e art. 11, comma 4, lett. b), d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, recante “Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica”. 141 Cfr. art. 11, commi 5 e 6, d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, secondo cui “Il regime a tempo pieno è incompatibile con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza esterna e con l’assunzione di qualsiasi incarico retribuito (...) .I nominativi dei professori ordinari che hanno optato per il tempo pieno vengono comunicati, a cura del rettore, all’ordine professionale al cui albo i professori risultino iscritti al fine della loro inclusione in un elenco speciale”. 142 La professione di avvocato, infatti, non può ricomprendersi tra le attività che partecipano “...sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri” ai sensi del citato articolo 55, comma 1, del Trattato CEE: Cfr. Tizzano, La libera circolazione dei servizi nella CEE, in Professioni e servizi nella CEE, Padova, 1985, 50ss; L. Mercati, Esercizio delle attività di avvocato, procuratore, investigatore privato e broker nella CEE. Al riguardo, la citata sentenza della Corte di Giustizia del 1974, caso Reyners, ha escluso la possibilità di interpretare tale norma in modo estensivo, affermando che “in considerazione del carattere fondamentale, nel sistema del Trattato, della libertà di stabilimento e della norma sul trattamento nazionale, le deroghe consentite dall’art. 55, comma 1, non possono assumere una rilevanza che vada oltre il fine per cui questa clausola eccezionale è stata inserita nel Trattato stesso” (par. 42/44). 80 64. Il diritto di libera prestazione di servizi in ambito ambito comunitario è stato previsto per gli avvocati dalla direttiva del consiglio del 22 marzo 1977 n. 249, recepita nel nostro ordinamento con legge 9 febbraio 1982 n. 31. Quest’ultima ammette i cittadini degli Stati membri in possesso di alcune riconosciute qualifiche professionali ad esercitare l’attività di avvocato in sede giudiziale e stragiudiziale a determinate condizioni e con carattere di temporaneità143. 65. Più recentemente, per effetto del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 115 (“Attuazione della Direttiva CEE n. 48/89, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni”) per gli avvocati provenienti da un altro Stato membro è inoltre riconosciuto la possibilità di esercitare in modo continuo e permanente la professione in Italia. 66. Come viene più diffusamente illustrato nel capitolo settimo della presente indagine, il decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 115 è intervenuto a disciplinare il riconoscimento in Italia dei titoli professionali e assimilati rilasciati da uno Stato membro dell'Unione Europea e la relativa procedura di riconoscimento. In particolare, il decreto prevede che quando siano rispettate determinate condizioni non può essere negato l’accesso al professionista di un altro Paese membro, ma al più possono essere applicate determinate misure compensative o di adattamento. Queste ultime, nel caso della professione forense, si sostanziano nel superamento di una prova attitudinale, consistente in un esame volto ad accertare le conoscenze tecnico-professionali e deontologiche e a valutare la capacità all'esercizio della professione144. In caso di esito sfavorevole, la prova può essere ripetuta non prima di sei mesi. 143 In particolare, la legge n 31/1982 prevede all’art. 2, comma 2, che agli avvocati degli stati membri “non è consentito stabilire nel territorio della Repubblica uno studio nè una sede principale o secondaria”. Al riguardo, la Corte di Giustizia, chiamata dal consiglio nazionale forense italiano a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla compatibilità di tale disposizione con la disciplina stabilita dalla citata direttiva 77/249, ha precisato, con sentenza del 30 novembre 1995, che la temporaneità della prestazione non esclude che l’avvocato-prestatore di servizi in uno Stato membro diverso dal proprio possa dotarsi, nello Stato ospitante, di una determinata infrastruttura (ivi compreso un ufficio o uno studio), qualora essa sia necessaria al compimento dell’attività. Passando poi a considerare alcune altre condizioni alle quali è subordinata la prestazione di servizi da parte del professionista estero, merita ricordare l’osservanza delle vigenti norme legislative e deontologiche ad eccezione di quelle riguardanti “il requisito della cittadinanza italiana, il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza, il superamento dell’esame di Stato, l’obbligo della residenza nel territorio della Repubblica, l’iscrizione nell’albo e il giuramento” (art 4). Ancora, nell’esercizio dell’attività relativa alla difesa nei giudizi civili, penali ed amministrativi, le prestazioni connesse con l’incarico debbono essere svolte dall’avvocato di un altro Paese membro “di concerto con un avvocato iscritto all’albo ed abilitato all’esercizio della professione dinanzi all’autorità adita” (art 6). 144 Anche nelle normative degli altri Paesi membri, il riconoscimento risulta subordinato prevalentemente al superamento della prova attitudinale, e quindi alla conoscenza del diritto dello Stato ospitante: Cfr. al riguardo, Cagnani, Attuazione della direttiva CEE n. 89/48 del 21/12/1988 nei Paesi della Comunità. Situazione attuale e prospettive, in Avvocato in Europa, Atti del XXI Congresso Nazionale Giuridico Forense, Milano, 1993, 27ss. 81 Quanto alla procedura per ottenere il riconoscimento, il richiedente deve presentare una domanda di riconoscimento, corredata della necessaria documentazione, sulla quale è competente a pronunciarsi il Ministro di Grazia e Giustizia, ai sensi dell'art. 11 del citato decreto. Quindi, superata la prova attitudinale, che, ai sensi dell’art. 15 del decreto, si svolge presso il consiglio nazionale forense e viene da questo organo valutata, è emanato il decreto di riconoscimento del titolo che attribuisce al beneficiario il diritto di accedere alla professione e di esercitarla, “nel rispetto delle condizioni richieste dalla normativa vigente ai cittadini italiani, diverse dal possesso della formazione e delle qualifiche professionali” ai sensi dell'art. 13 del medesimo decreto. 67. Al riguardo, va comunque rilevato che, ad oggi, le richieste di riconoscimento dei titoli da parte di avvocati stranieri per poter esercitare in Italia costituiscono un fenomeno limitato145. iii) il divieto di pubblicità 68. Circa la pubblicizzazione dell'attività dei professionisti forensi in Italia, il divieto di pubblicità personale viene ricondotto ad alcune norme deontologiche contenute nel r.d.l. n. 1578/1933 che impongono al professionista la dignità e il decoro nell'adempimento delle funzioni (art. 12) e lo sottopongono a procedimento disciplinare ove non abbia osservato i menzionati obblighi di dignità e decoro nell'esercizio della professione (art. 38). Non esiste, tuttavia, una norma di legge che vieti specificamente ai professionisti di pubblicizzare l'attività svolta146. 69. A livello di codice deontologico, poi, viene previsto il divieto di qualsiasi forma di pubblicità dell’attività professionale, ad eccezione delle indicazioni, nella carta da lettera e negli elenchi, relative ai propri rami di attività e, per gli assistiti e i colleghi, all’organizzazione dell’ufficio e dell’attività147. Inoltre, nei rapporti con la stampa e con gli altri media, l’avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni e interviste, sia per il rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza verso la parte assistita, sia per evitare atteggiamenti concorrenziali verso i colleghi. In ogni caso, costituisce violazione della deontologia “perseguire fini pubblicitari anche mediante contributi indiretti ad articoli di stampa; enfatizzare le proprie prestazioni o i propri successi; spendere il nome 145 146 Cfr. audizione del consiglio nazionale forense del 26 maggio 1995. Vale la pena di ricordare che anche per gli avvocati stranieri, che svolgano in Italia prestazioni stragiudiziali, è previsto dall’art. 7 della citata legge n. 31/1982, attuativa della direttiva CEE 77/249, che gli stessi “sono tenuti all’osservanza delle norme che garantiscono il corretto esercizio dell’attività professionale e la dignità della professione, ivi comprese le norme riguardanti (...) il divieto di pubblicità”. 147 Cfr. art. 17. 82 dei clienti; offrire servizi professionali; intrattenere rapporti con gli organi di informazione e di stampa al solo fine di pubblicità personale”148. 3.2.6 confronto internazionale i) accesso 70. Nell’ambito dell’Unione Europea, l’iter formativo per accedere all’esercizio della professione di avvocato varia anche sensibilmente149. Relativamente alla formazione di base, in tutti gli stati membri è necessaria una laurea in giurisprudenza - che ha una durata minima che varia da 3 anni (Inghilterra) a 5 anni (Belgio, Danimarca, Portogallo e Spagna) - ad eccezione del Regno Unito e dell’Irlanda, dove non è obbligatorio conseguirla, essendo previsti percorsi formativi di base alternativi, quali, ad esempio, altri tipi di laurea o corsi di formazione professionale, di varia durata, che si concludono con il superamento di esami sostenuti direttamente presso le associazioni professionali. In ogni caso, anche in tali Paesi, risulta che la maggior parte degli aspiranti avvocati consegue una laurea in giurisprudenza. 71. Passando alla formazione professionale, può distinguersi la previsione di corsi teorico-pratici di formazione e quella di un praticantato in senso stretto o stage. In alcuni Stati, le due forme sono effettuate contestualmente e miscelate tra loro, come in Germania e in Olanda. E’ interessante segnalare che la formazione post-universitaria, mentre di regola riguarda specificamente la professione forense, in Germania è comune a tutte le professioni giuridiche (avvocato, notaio e giudice) e si conclude con un unico esame di Stato, superato il quale coloro che intendono esercitare l’avvocatura possono iscriversi all’ordine degli avvocati. La Spagna è l’unico Stato membro che non prevede alcun tipo di praticantato. In alcuni Stati, il praticante è retribuito dal proprio tutor (Francia, Inghilterra) ovvero dalla propria regione (Bundesland) di appartenenza come funzionario statale (Germania). L’autorità che presiede all’organizzazione, allo svolgimento e al controllo dei percorsi formativi professionali è, nella stragrande maggioranza dei casi, l’ordine o associazione professionale. 72. Terminato il praticantato, la legislazione di alcuni Stati membri non richiede alcun esame di abilitazione per iscriversi all’albo, come nel Regno Unito, in Belgio, in Danimarca. 148 149 Cfr. art. 18. Va subito rilevato che nel Regno Unito, esistono due diverse figure: il solicitor e il barrister (advocate in Scozia). Il primo svolge prevalentemente attività stragiudiziale, incarica, su mandato del cliente, il barrister dello svolgimento di attività giudiziale, preparando eventualmente il caso, nonchè le funzioni che in altri Paesi spettano ai notai; il secondo, invece, svolge attività giudiziale e patrocina in via esclusiva davanti alle giurisdizioni superiori. 83 ii) le tariffe 73. A livello comunitario, esiste senz’altro una maggiore libertà sotto il profilo tariffario rispetto all’Italia. Nella tabella che segue vengono riportati i regimi in proposito esistenti nei vari Paesi membri: Tabella 11-Sistemi tariffari in Europa Paesi Tariffe Tariffe Concorrenza Concorrenza vincolanti indicative limitata piena Italia X Germania X Inghilterra solicitor X barrister X Spagna X Belgio X Danimarca X Paesi Bassi X Francia X Lussemburgo X Portogallo X Fonte: Avvocato in Europa, Atti del XXI Congresso Nazionale Giuridico Forense, Milano, 1993. Dalla tabella emerge che solo in Italia, in Germania e nel Regno Unito, limitatamente all’attività del barrister, esiste una regolamentazione che prevede tariffe vincolanti per le prestazioni rese dagli avvocati. In particolare, in Germania le tariffe sono stabilite dalla legge ed è vietato praticare prezzi al di sotto dei minimi, mentre le parti possono stabilire compensi superiori mediante patto. Analogamente, nel Regno Unito i prezzi delle prestazioni del barrister sono fissati dalla legge o da provvedimenti delle Corti. Esistono poi altri Paesi, Spagna e in Belgio, dove invece i Consigli degli ordini possono stabilire tabelle di onorari che hanno carattere meramente orientativo. Per una terza categoria di Paesi, Olanda e Danimarca, si riscontra la coesistenza del principio della libertà di determinazione del compenso con la previsione di tariffe, essenzialmente da parte degli organismi professionali, per talune prestazioni soltanto (situazione che viene giudicata come concorrenza limitata nella tabella 11). Infine in Francia e nel Regno Unito, limitatamente all’attività del solicitors, non sono previste tariffe e il compenso viene stabilito liberamente dalle parti150. In particolare, in Francia, nel 1984, la Commission de la 150 Cfr. per la Francia l’art. 10 della legge 13 dicembre 1971 n. 71-1130, secondo cui “Les honoraires de consultation e de plaidoire sont fixès d’accord entre l’avocat et son client”, seppure con il divieto a pena di nullità del relativo patto, risultante dal secondo comma di tale articolo, di fissare preventivamente l’onorario in funzione del risultato ottenuto. In questo paese, esistono, poi, controlli successivi al raggiungimento 84 Concorrence e des prix ha considerato le tariffe adottate da alcuni organismi professionali in violazione della libertà di concorrenza, vietandone l’applicazione151. iii) il divieto di pubblicità 74. A livello comunitario, le regole al riguardo esistenti derivano generalmente dall’autoregolamentazione delle singole professioni. Va subito rilevato che in numerosi Paesi membri è possibile pubblicizzare, seppure entro determinati limiti e controlli, le attività forensi152. La tabella che segue mette in luce l’estensione del ricorso alla pubblicità, distinguendo i Paesi nei quali l’utilizzo di tale strumento è decisamente limitato e non regolamentato (Italia, Spagna), e quelli in cui l’utilizzo è ammesso entro limiti più ampi (specializzazioni, attività dominanti, altre indicazioni purchè veritiere e non comparative) e regolamentato o autoregolamentato (Germania, Belgio, Francia, Regno Unito, Danimarca, Svezia). dell’accordo tra avvocato e cliente, effettuati dal presidente del consiglio dell’ordine, al quale le parti possono chiedere una valutazione delle prestazioni eseguite e la conseguente fissazione dei criteri di determinazione dell’onorario, ovvero dell’autorità giudiziaria, nel caso di contestazione del provvedimento emesso dal suddetto presidente. Dalle suindicate attività di controllo sarebbe derivato, nel corso del tempo, il consolidarsi di una serie di criteri cui gli avvocati possono attenersi, evitando in tal modo il pericolo di essere soccombenti in caso di di contestazioni da parte dei clienti: Cfr. al riguardo Avvocato in Europa, Atti del XXI Congresso Nazionale Giuridico Forense, Milano, 1993, 140. Sulla base di tale documentazione, pertanto, sembrerebbe non esistere un potere del giudice francese di determinazione e liquidazione delle spese e degli onorari processuali analogamente a quel che avviene invece in Italia. 151 Cfr. Avvocato in Europa, 140, cit. 152 I dati risultanti sul punto derivano, oltre che dalla menzionata pubblicazione Avvocato in Europa, Atti del XXI Congresso Nazionale Giuridico Forense, anche dalle informazioni raccolte dal Professor Schiano di Pepe in qualità di consulente dell’Autorità per la presente indagine. 85 Tabella 12-Utilizzo della pubblicità da parte degli avvocati in Europa libertà di Paesi Divieto di Specializzazioni pubblicità pubblicità attività dominanti Italia X Germania X Inghilterra solicitor X barrister X Spagna X Belgio X Danimarca X Svezia X Francia X Fonte: consiglio nazionale forense. In Italia la pubblicità, nei fatti, è limitata all’esposizione dei titoli accademici, mentre non risulta disciplinata l’indicazione delle specializzazioni e delle attività prevalenti, ancorchè la categoria stessa, come visto, sia propensa ad ammettere tali forme pubblicitarie. Il divieto, inoltre, è ricondotto alle sopra menzionate norme di legge e deontologiche. In Spagna, una norma del Codigo Deontològico de la Abogacìa Espanola vieta qualsiasi forma di pubblicità e la violazione della stessa è sanzionabile. In Germania, invece, l’avvocato può informare i consumatori in merito alle proprie specializzazioni (ossia alla particolare conoscenza di un settore), qualifiche, incarichi e riconoscimenti ottenuti: non è tuttavia ammessa l’indicazione del volume di affari e delle cause vinte, nè la diffusione dei nomi dei clienti se non a condizioni che vi sia al riguardo il consenso degli stessi. Possono invece essere indicati i nomi dei colleghi e collaboratori di studio. Al riguardo, presso i Consigli dell’ordine è costituita un’apposita commissione per verificare la competenza specifica dell’avvocato. In Belgio, talune specializzazioni - quali il diritto comunitario, amministrativo e societario - possono essere enunciate dopo un anno di pratica o in base a pubblicazioni specifiche, purchè previamente controllate dagli organismi professionali: al riguardo, può rilevarsi che presso questi ultimi è tenuto un registro delle specializzazioni. In Francia, un decreto applicativo della citata legge del ‘90 di riforma della professione stabilisce in generale che la pubblicità è ammessa nella misura in cui offre al pubblico una necessaria informazione. Specificando, la legge dispone che tale pubblicità deve essere contenuta e contenere informazioni esatte, in modo che essa non comporti pregiudizio al decoro della professione. Il consiglio dell’ordine, sempre per legge, prepara un annuario/carta dei servizi (in francese: plaquette type) per gli avvocati al fine di presentare agli utenti i limiti entro cui la pubblicità stessa è autorizzata. Inoltre, gli avvocati possono essere autorizzati, sempre a determinate condizioni, ad indicare i propri campi 86 di specializzazione. Coerentemente con tali regole, l’ordine degli avvocati di Parigi ha stabilito, mediante regolamento, alcune norme sulla pubblicità in generale. Inoltre, la giurisprudenza francese in proposito ha ammesso la legittimità dell’indicazione da parte degli avvocati delle cd activitès dominantes, ossia delle attività svolte in misura predominante rispetto ad altri settori, le quali risultano anche dagli annuari pubblici conservati dai singoli consigli. Anche nel Regno Unito, dove il solicitor può farsi pubblicità, esistono elenchi di specializzazioni presso gli organismi professionali. Il barrister, invece, è soggetto a limiti rigorosi relativamente all’utilizzo dello strumento pubblicitario. Infine nei Paesi del Nord Europa la pubblicità è ammessa in tutte le forme purchè vengano rispettate alcune condizioni generali e cioè, sostanzialmente, che il messaggio sia veritiero, non contenga il nome dei clienti e non consista in una pubblicità comparativa. 3.2.7 conclusioni 75. La tabella che segue sintetizza quanto precedentemente esposto con riguardo alla regolamentazione dell’attività, riservata e non, svolta dagli avvocati: entrambi i tipi di attività risultano caratterizzati dalle stesse forme di selezione all’entrata e di regolamentazione dei prezzi, nonchè dal vincolo al non utilizzo dello strumento pubblicitario; l’attività di assistenza giudiziale, poi, è ulteriormente regolata sia sotto il profilo delle caratteristiche del servizio che dello status dei soggetti ammessi ad esercitarla. Tabella 13-Principali forme di regolamentazione dell’attività forense entrata requisiti soggettivi a) laurea in giurisprud.; c) praticantato; d) esame di abilitazione standard di qualità minima del servizio di assistenza giudiziale requisiti relativi agli atti a) formali tariffe minime e massime derogabili altre forme di (auto)regolamentazione divieto di pubblicità divieto di esercizio dell’attività di assistenza giudiziale per i dipendenti di enti o imprese requisiti relativi ai rapporti con la clientela: a) obbligo di lealtà e probità; b) obbligo di fedeltà; c) terzietà. 76. Nel valutare l’adeguatezza di tale sistema regolamentativo, è utile mantenere distinte le attività non riservate da quelle riservate, sottolineando che esso appare per le une non necessario e per le altre comunque sproporzionato. 87 Sotto il primo profilo infatti, deve essere considerato che l’ambito di riserva attribuito ad una categoria individua quelle attività la cui rilevanza pubblica giustifica un attento controllo su coloro che le esercitano. Pertanto, predisporre l’applicazione della medesima regolamentazione ad attività che il legislatore ha escluso dalla riserva non è funzionale al perseguimento di alcun interesse pubblico e può tradursi invece in uno svantaggio per coloro che esercitano in qualità di avvocati attività che sono libere. In particolare, si consideri che gli avvocati competono sia con altri professionisti, differentemente regolamentati, che con operatori non soggetti ad alcuna forma di regolamentazione, quali le società di consulenza o gli stessi giuristi d’impresa e che tali soggetti appaiono beneficiare di una crescente presenza sul mercato. Tali circostanze conducono a ritenere che la regolamentazione dell’attività extra-giudiziale, e in particolare la predisposizione di tariffari, non risulti necessaria al perseguimento di fini di interesse pubblico e che, invece, possa tradursi per gli stessi avvocati in uno svantaggio concorrenziale nei confronti di operatori maggiormente liberi di adeguare le caratteristiche, anche di prezzo, dell’offerta a quelle della domanda. Peraltro, in tutti i Paesi considerati, con l’unica eccezione della Germania, non esistono tariffe vincolanti delle prestazioni extra-giudiziali: più specificamente, nella maggior parte dei casi, il prezzo di tali servizi è lasciato alla libera determinazione del mercato. Nè, con l’eccezione della Spagna, in tali Paesi risulta vietato l’utilizzo dello strumento pubblicitario. 77. Con riferimento all’attività di assistenza giudiziale, poi, la tabella precedente mette in evidenza l’esistenza di una pluralità di strumenti di regolamentazione utilizzati per assicurare il medesimo obiettivo, ovvero la qualità del servizio, che rendono l’assetto regolamentativo sproporzionato rispetto alla tutela degli interessi pubblici su cui incide la professione. Deve infatti essere considerato che oltre ai requisiti all’accesso, in considerazione degli effetti esterni della funzione di rappresentanza e assistenza giudiziale svolta dagli avvocati, il legislatore ha fissato degli standard di qualità minima del servizio accompagnandoli alla previsione di sanzioni in caso di inosservanza. Ciò riduce il rischio per il consumatore dell’imperizia e dei comportamenti opportunistici da parte del professionista e rende superflua l’introduzione di ulteriori strumenti di regolamentazione, quali la fissazione di tariffe omogenee o l’imposizione del divieto di farsi pubblicità. 78. A ciò si aggiunga che con specifico riferimento al concreto utilizzo del principale tra tali strumenti, la selezione all’entrata, esistono elementi per dubitare che le attuali modalità di accesso siano effettivamente idonee a garantire la qualificazione dei professionisti. In particolare, poichè la disparità degli esiti degli esami di abilitazione tra sedi non appare credibilmente poter essere riferita a differenze di preparazione tra i candidati, è ragionevole 88 chiedersi in che misura l’attuale meccanismo di selezione tuteli in concreto l’interesse dei consumatori a ricevere prestazioni professionali tecnicamente adeguate. Pertanto, l’accoglimento in sede legislativa delle proposte contenute nel disegno di legge n. 4115, concernenti la previsione della sede unica e di criteri uniformi di valutazione dei candidati, potrebbe rappresentare la soluzione idonea a favorire un accertamento paritario delle capacità professionali degli operatori. 79. Nella medesima direzione si è peraltro posta la recente introduzione delle scuole di specializzazione in luogo del tirocinio. La frequenza di una scuola, infatti, quale requisito sostitutivo dell’attuale praticantato, da un lato rappresenta un canale alternativo per acquisire una preparazione specifica professionale, dall’altro appare più idonea a fornire effettivamente una formazione pratica ai laureati rispetto al praticantato stesso, nel corso del quale l’acquisizione di detta formazione è rimessa esclusivamente alla volontà del titolare dello studio. In tal senso, il diploma potrebbe costituire, de iure condendo, titolo direttamente abilitante all’esercizio della professione. 80. Con particolare riferimento alla fissazione di tariffe inderogabili, si sostiene che essa trovi la propria ragion d’essere nel perseguimento delle finalità pubbliche connesse all’esercizio della professione forense ovvero che essa sia funzionale alla liquidazione giudiziale delle spese e onorari di causa a carico del soccombente, il quale non deve essere trovarsi esposto al rischio del pagamento di somme eccessivamente gravose. Al riguardo, si osserva che, se la tariffa avesse effettivamente solo quest’ambito applicativo, non sarebbe discutibile sia perchè diretta alla tutela dell’interesse pubblico di tutela del consumatore-soccombente nel processo, sia perchè avrebbe una portata estremamente limitata. Peraltro, nella liquidazione effettuata dal giudice non opera il principio dell’inderogabilità, godendo lo stesso di ampi margini di discrezionalità nella determinazione concreta delle somme. La restrittività della tariffa viene invece in rilievo nell’estensione della stessa oltre tale ambito, ed in particolare quando investe più in generale i compensi non stabiliti dal giudice, e dovuti dal cliente all’avvocato sia in materia giudiziale che stragiudiziale. Infine, va messo in luce che la fissazione di una tariffa, ove quest’ultima fosse funzionale al perseguimento di interessi pubblici, non dovrebbe essere lasciata alla prevalente, e dunque determinante, volontà dell’ordine, attribuendo ai pubblici poteri una funzione di mero controllo di legittimità, quanto piuttosto, più coerentemente, dovrebbe essere affidata innanzitutto al regolamentatore pubblico. 89 appendice statistica notai Tabella a1-Domanda di servizi notarili per tipologia e distretto di Corte d’Appello 1993 Corti società vendite vendite mutui altro totale d'Appello immobili autoveicoli Ancona 7528 23186 150384 9527 88288 278913 Bari 6312 32166 153017 11539 91758 294792 Bologna 30547 69726 527122 29287 288701 945383 Brescia 14408 38959 281271 15414 163688 513740 Cagliari 5883 26114 144111 12742 61157 250007 Caltanisetta 712 8859 24706 1608 13883 49768 Campobasso 759 7758 20008 921 13622 43068 Catania 5479 34454 149092 10555 78930 278510 Catanzaro 1917 24820 105733 4301 45982 182753 Firenze 22088 57154 505776 24305 243246 852569 Genova 10534 38377 184027 12634 133255 378827 L'Aquila 4371 20641 111773 7344 59776 203905 Lecce 3795 26678 111570 8247 63166 213456 Messina 1882 12364 44518 3562 30761 93087 Milano 54416 118157 1049503 66113 459823 1748012 Napoli 17128 42637 298763 14896 152294 525718 Palermo 5521 37857 152372 11634 89318 296702 Perugia 3872 13527 84167 4554 39427 145547 Potenza 1019 7027 40226 2126 22421 72819 Reggio Cal. 464 2764 22954 703 10701 37586 Roma 29856 82548 619528 51033 397334 1180299 Salerno 3520 7206 53356 2462 35293 101837 Torino 39529 100683 622513 50809 376529 1190063 Trento 4355 17574 110128 7918 59854 199829 Trieste 4527 22855 122351 9522 78754 238009 Venezia 30684 79763 529374 30311 231958 902090 totale 311106 953854 6218343 404067 3329919 11217289 Fonte: ISTAT, annuario statistico, 1994. 90 Tabella a2-Numero di notai e sedi notarili per distretto di Corte d’Appello Corti d'Appello sedi nel 1997 notai nel 1996 sedi nel 1986 sedi nel 1976 Ancona 132 113 126 124 Bari 200 181 197 188 Bologna 437 393 414 392 Brescia 238 207 221 203 Cagliari 106 78 104 99 Caltanisetta 44 40 46 46 Campobasso 27* Catania 171 154 167 165 Catanzaro 95 111 142 139 Firenze 360 325 343 325 Genova 219 194 220 221 L'Aquila 111 101 121 118 Lecce 123 101 119 109 Messina 57 53 56 56 Milano 617 551 573 510 Napoli 314 317 334 390 Palermo 196 187 205 200 Perugia 72 61 68 62 Potenza 47 35 49 50 Reggio Calabria 43** Roma 571 535 563 542 Salerno 72 64 70 Torino 498 350 519 506 Trento 80 56 76 68 Trieste 118 95 113 106 Venezia 364 316 338 313 totale 5312 4618 5184 4932 *Nel 1986, Napoli includeva l’attuale Distretto di Corte d’Appello di Campobasso. **Nel 1986, Catanzaro includeva l’attuale Distretto di Corte d’Appello di R. Calabria. Fonti: d.p.r. 14 gennaio 1976, n. 5, d.p.r. 4 agosto 1986, n. 651, il decreto del 1997 è in attesa di registrazione; Annuario del Notariato Italiano, 1996 91 avvocati Tabella a3-Iscritti alla Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza per regioni Regioni avvocati iscritti avvocati iscritti 1988 1995 Valle D’Aosta 45 63 Piemonte 1.931 2.993 Lombardia 5.149 8.694 Liguria 1.396 2.205 Trentino 336 542 Veneto 1.686 3.112 Friuli Venezia Giulia 536 850 Emilia Romagna 2155 3.903 Toscana 2.163 3.353 Umbria 431 712 Marche 738 1.332 Lazio 4.803 7.959 Abruzzo 740 1342 Molise 164 310 Campania 3.768 6388 Puglia 2.884 4732 Basilicata 340 527 Calabria 1.094 2.001 Sicilia 3.324 4.982 Sardegna 664 1.128 TOTALE 34.348 57.128 Fonte: Ipsoa, op. cit. 92 Tabella a4-Avvocati abilitati per sedi di esame - sessione 1994 Corti domande partecipanti ammessi idonei d'Appello prove scritte prove orali % vincitori /partecipanti prove scritte Ancona 558 507 358 346 68,2 Bari 1.193 1.188 738 736 61,9 Bologna 1.387 1.220 488 447 36,6 Brescia 452 373 111 105 28,1 Cagliari 468 441 63 62 14,0 Caltanisetta 143 134 106 105 78,0 Campobasso 253 240 99 99 41,2 Catania 678 643 384 349 54,2 Catanzaro 1.257 1.108 947 894 80,7 Firenze 1.047 856 414 372 43,4 Genova 694 545 204 196 36,0 L'Aquila 684 625 331 299 47,8 Lecce 1.084 929 368 359 38,6 Messina 270 258 162 160 62,0 Milano 1.868 1.554 880 775 49,9 Napoli 2.032 1.788 1.025 n.d. n.d. Palermo 663 612 375 364 59,5 Perugia 354 335 83 80 23,9 Potenza 244 222 159 153 68,9 R. Calabria 348 334 319 315 94,3 Roma 3.028 2.642 881 808 30,6 Salerno 641 577 254 244 42,3 Torino 817 732 180 176 24,0 Trento 204 187 87 65 34,7 Trieste 298 271 75 65 24,0 Venezia 1.073 893 366 271 30,3 totale 21.738 19.214 9.457 7845 45,0 Fonte: Relazione per la seduta inaugurale del consiglio nazionale forense del 16 gennaio 1997 93 Tabella a5-Avvocati abilitati per sedi di esame - sessione 1995 Corti domande partecipanti ammessi idonei d'Appello prove scritte prove orali % vincitori /partecipanti prove scritte Ancona 453 407 149 139 34,1 Bari 1.240 1.175 906 886 75,4 Bologna 1.465 1.346 474 454 33,8 Brescia 560 519 136 125 24,1 Cagliari 633 605 265 262 43,3 Caltanisetta 147 137 68 65 47,4 Campobasso 263 245 n.d. n.d. n.d. Catania 824 704 283 n.d. n.d. Catanzaro 1.863 1.673 1.581 n.d. n.d. Firenze 1.177 1.009 545 n.d. n.d. Genova 724 627 213 201 32,0 L'Aquila 883 749 171 161 21,5 Lecce 1.265 1.084 514 493 45,5 Messina 321 315 175 175 55,5 Milano 1.986 1.621 645 593 36,6 Napoli 2.729 2.458 n.d. n.d. n.d. Palermo 755 702 231 215 30,6 Perugia 360 326 83 82 25,7 Potenza 317 305 228 n.d. n.d. R. Calabria 444 389 350 345 88,7 Roma 3.359 2.669 1.227 n.d. n.d. Salerno 736 644 364 362 56,2 Torino 974 892 266 236 26,4 Trento 180 165 69 59 35,8 Trieste 344 314 212 203 64,7 Venezia 1.161 1.004 392 in corso n.d. totale 25.163 22.084 3.422 5056 41,1 Fonte: Relazione per la seduta inaugurale del consiglio nazionale forense del 16 gennaio 1997. 94 CAPITOLO QUARTO: LA REGOLAMENTAZIONE PROFESSIONI ECONOMICO CONTABILI DELLE 1. Questo capitolo riguarda l’assetto regolamentativo delle attività svolte da alcune figure professionali appartenenti all’area economico contabile: dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali, (in seguito anche ragionieri), consulenti del lavoro. Come verrà più diffusamente illustrato in seguito, si tratta di professionisti che svolgono attività di analoga natura, che consistono essenzialmente nel controllo contabile delle imprese nonché nella consulenza in materia commerciale, tributaria e del lavoro. In particolare, l’ambito di attività dei dottori commercialisti e dei ragionieri, così come definito dai rispettivi ordinamenti professionali, risulta sostanzialmente identico, mentre i consulenti del lavoro si caratterizzano per una più marcata specializzazione nella gestione dei rapporti di lavoro. Conseguentemente, si è ritenuto opportuno organizzare l’illustrazione che segue in diverse parti: la prima dedicata alle attività svolte dai dottori commercialisti e dai ragionieri, la regolamentazione delle quali viene pertanto analizzata in modo unitario, la seconda ai consulenti del lavoro e la terza riguardante le principali conclusioni. 4.1 I Dottori Commercialisti e i Ragionieri principali riferimenti normativi Legge 28 dicembre 1952 n. 3060, “Delega al Governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e di ragioniere”; d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1067, recante “Ordinamento della professione di dottore commercialista”; d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1068, recante “Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale”; legge 8 dicembre 1956 n. 1378, recante “Esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni”; codice deontologico dei ragionieri e periti commerciali del 15 ottobre 1983; codice deontologico dei dottori commercialisti del 10 febbraio 1987; legge 17 febbraio 1992 n. 206, recante “Tirocinio professionale per i dottori commercialisti”; legge 12 febbraio 1992 n. 183, recante “Modifica dei requisiti per l'iscrizione all'albo ed elevazione del periodo di pratica professionale per i ragionieri e periti commerciali”; d.m. 28 luglio 1992 n. 570, recante “Regolamento per l'adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e la determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata”; d.p.r. 10 ottobre 1994 n. 645, recante “Regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri di rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti”. 95 4.1.1 Le attività dei dottori commercialisti e dei ragionieri i) tipologia e caratteristiche 2. Il dottore commercialista e il ragioniere hanno competenza tecnica nelle materie commerciali, economiche, tributarie e di ragioneria153. In tale ambito, le attività ordinariamente esercitate consistono nella tenuta e controllo della contabilità delle imprese, nonché nella consulenza e assistenza tributaria. A queste si affiancano altre attività quali gli arbitrati, la consulenza in materia societaria, la consulenza e assistenza nella trattazione e stipulazione di contratti e negozi, l’assistenza nelle procedure concorsuali. 3. Diversamente da quanto avviene per i servizi notarili e quelli forensi di assistenza in giudizio, nel caso delle prestazioni rese dai dottori commercialisti e dai ragionieri non esiste l’obbligo per il cliente di avvalersi del professionista, come è del resto dimostrato dal fatto che frequentemente imprese (ma anche singoli individui) autoproducono il servizio di contabilità e assistenza fiscale. A ciò fanno eccezione i servizi resi dai commercialisti e dai ragionieri nell’esercizio della funzione di sindaco. Tale attività, tuttavia, anche per gli effetti esterni ad essa connessi, presenta un’autonoma regolamentazione, che prevede tra l’altro l’iscrizione anche da parte dei commercialisti e dei ragionieri al registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero di Grazia e Giustizia154. Trattandosi pertanto di un’attività distintamente regolamentata, in ciò che segue essa non verrà considerata. ii) in particolare, l’inesistenza di esclusive 4. Le attività che formano l’oggetto della professione dei dottori commercialisti e dei ragionieri non sono ad essi riservate. Ciò emerge dai decreti delegati n. 1067 e 1068 del 1953 recanti gli ordinamenti delle due professioni, i quali, all’articolo 1, dopo avere elencato le rispettive competenze, precisano che tale elencazione “non pregiudica l'esercizio (...) di quanto può formare oggetto dell'attività professionale di altre categorie di professionisti a norma di leggi e regolamenti”. Pertanto, le attività svolte dai commercialisti e dai ragionieri non sono certamente attribuite in via esclusiva nè a una delle due categorie (com’è naturale data, per la maggior parte, l’identità di competenze stabilita dagli ordinamenti), nè ad entrambe. 153 Cfr. art. 1, d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1067, recante “Ordinamento della professione di dottore commercialista” e art. 1, d.p.r. 27 ottobre 1953 n. 1068, recante “Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale”. In particolare, ai sensi di tali articoli formano oggetto della professione di dottore commercialista e di ragioniere, tra le altre, le seguenti attività: a) l'amministrazione e la liquidazione di aziende, di patrimoni e di singoli beni; b) le perizie contabili e le consulenze tecniche; c) la revisione dei bilanci e di ogni documento contabile delle imprese; d) i regolamenti e le liquidazioni di avarie marittime; e) le funzioni di sindaco delle società commerciali. 154 Cfr. art. 21 del d.lgs 27 gennaio 1992 n. 88, recante “Attuazione della Direttiva CEE n. 253/84 relativa all’abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei documenti contabili”. 96 L’inesistenza di un’esclusiva, peraltro, deriva dalla stessa legge delega, la quale dispone quale criterio direttivo che “la determinazione del campo delle attività professionali non deve importare attribuzioni di attività in via esclusiva”155. 5. Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato che la libera esplicazione di attività intellettuali, costituzionalmente garantita, può essere impedita o limitata solo in presenza di una riserva, in via esclusiva, prevista espressamente dalla legge. Detta riserva, relativamente alle attività rientranti nell’oggetto delle professioni in esame, perlomeno secondo la legge, appare risultare inesistente156. 6. Senonchè, si osserva che, nell’ambito delle professioni economicocontabili, una parte della giurisprudenza ha distinto tra attività riservate e non, specialmente in base al criterio, peraltro discrezionale, della complessità (rectius, del contenuto intellettuale) della prestazione. Tale distinzione appare determinata dalla necessità di attribuire all’istituzione degli albi dei dottori commercialisti e dei ragionieri una ragion d’essere, la quale, secondo tale giurisprudenza, risulta consistere nella “nobilitazione di alcune tra quelle mansioni, le più delicate e complesse, le quali appunto per la loro natura richiedono - esse si - che per il loro espletamento si faccia necessariamente parte di un albo professionale”157. 155 Cfr. art. 1, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre 1952 n. 3060, recante “Delega al governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e ragioniere”. E’ significativo al riguardo riportare il passo della relazione che accompagna tale legge, relativamente alla ragione della suddetta disposizione, e cioè “Nelle varie facoltà universitarie, e talvolta anche nelle scuole medie, si impartiscono insegnamenti su identiche discipline, sia pure con maggiore o minore estensione. Consegue che i laureati in facoltà diverse o anche laureati e diplomati hanno acquisito, nel corso degli studi necessari per conseguire i suddetti titoli, analoga preparazione tecnica a svolgere una determinata attività professionale. Orbene, sarebbe non equo, oltre che non conforme agli ordinamenti scolastici, nè rispondente all’esigenze della pratica, che attività professionali esplicabili da diverse categorie di professionisti fossero attribuite ad una sola di esse”. 156 Cfr. anche Trib. di Pisa 18 giugno 1984, che, con riferimento alle attività di consulenza tributaria, rientranti nell’oggetto delle professioni di dottore commercialista e ragioniere, osserva “Poiché trattasi di materia riguardante la libera esplicazione di attività intellettuali, costituzionalmente garantita, è da ritenere che la riserva debba essere dal legislatore chiaramente esplicitata, perché l’interesse pubblico ad un corretto esercizio di attività che incidono sulla persona o sul patrimonio dei singoli deve essere, volta a volta, riaffermato e ha normalmente come contraltare il divieto per lo stesso di esercitare in proprio dette attività; basti pensare alla difesa davanti alla giurisdizione ordinaria, civile e penale, dove solo in casi eccezionali il legislatore consente al privato l’autodifesa ed individua in linea generale il collaboratore tecnico necessario nell’avvocato, e ciò in relazione alla complessità della procedura che rischia di costituire per il cittadino un ostacolo insormontabile. E’ allora evidente che in un settore in cui al contribuente è consentito di compilare direttamente libri e registri obbligatori a fini tributari, redigere e presentare le dichiarazioni dei redditi, effettuare i correlativi versamenti fiscali (...) non possa parlarsi in linea astratta di una riserva, desumibile dal complesso della normativa vigente, e si debba richiedere, per l’affermazione di tale riserva, una specifica norma, allo stato insussistente”. 157 Cfr. Cass. 28 febbraio 1985 n. 6157; Cfr. anche Trib. Milano 16 maggio 1991; Pret. Verona 13 novembre 1991. 97 Deve segnalarsi, infine, che un’altra parte della giurisprudenza ritiene che “la consulenza tributaria” in genere158 ovvero perfino competenze residuali “costituite da attività di natura esecutiva che consentano di ritenere sussistente un’autonoma e specifica professionalità”159 ovvero “le prestazioni poco elevate o concretanti un’assistenza incompleta e marginale”160 spettino unicamente al professionista iscritto all’albo. Al riguardo, è appena il caso di sottolineare la restrittività di quest’ultimo orientamento, non apparendo sussistere, relativamente a compiti elementari, specifici interessi di tutela degli utenti. 7. La controversia relativa all’ambito della riserva è strettamente connessa a quella sviluppatasi in giurisprudenza riguardante l’estensione della libertà di esercizio dell’attività. Al riguardo si osserva che, mentre secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, appaiono legittimati ad operare nel mercato dei servizi economico-contabili anche soggetti non iscritti ad albi, secondo un’altra, invece, la concorrenza deve ritenersi limitata ai professionisti comunque protetti. 8. Relativamente al primo orientamento, un’autorevole dottrina fa discendere dal fatto che le professioni contabili, sebbene protette, non annoverano alcuna prestazione esclusiva, che ciò che, di norma, fa il dottore commercialista o il ragioniere può liberamente farlo chiunque161. L’autore rileva che, in concreto, della libertà di esercizio delle attività svolte dai professionisti contabili iscritti ai relativi albi beneficiano non solo (o non tanto) gli avvocati o i consulenti del lavoro - anch’essi appartenenti a categorie regolamentate mediante iscrizione ad albo - ma tutt’altra specie di professionisti: così avviene in particolare per le attività di consulenza aziendale, nonchè per quelle di tenuta della contabilità e di elaborazione delle scritture contabili. 9. Sul punto, anche la Corte Costituzionale, in una recente pronuncia162, precisa, dopo aver osservato che nelle leggi recanti gli ordinamenti delle due professioni economico-contabili non si rinviene alcuna disposizione attributiva in via esclusiva di competenze, che l’espressione “a norma di leggi e regolamenti” contenuta nell’art. 1 dei sopra citati d.p.r. non deve essere intesa come facente “esclusivo riferimento a professioni regolamentate mediante 158 159 160 161 Cfr. CdS 17 maggio 1993 n. 358; Pret. Verona 22 giugno 1991; Pret. Pontedera 9 novembre 1983. Cfr. CdS n. 358/1993, cit. Cfr., con riferimento alle attività di consulenza del lavoro, Corte d’Appello di Trento 9 dicembre 1985. Cfr. Galgano, Professioni intellettuali, impresa e società, in Contratto e impresa, 1991, 6 e, ivi, Cass. 27 giugno 1975 n. 2526, secondo la quale, con riguardo tuttavia a prestazioni ben determinate, “l’attività concernente l’organizzazione aziendale, bilanci di previsione, rapporti sindacali e simili non è riservata ai dottori commercialisti e pertanto il suo esercizio può essere validamente svolto anche da soggetti non iscritti all’albo professionale”; Cass. 4 dicembre 1972 n. 3496; Trib. di Milano, 15 dicembre 1988; Corte d’Appello di Brescia 29 gennaio 1982. 162 Cfr. sentenza 27 dicembre 1996 n. 418. 98 iscrizione ad albo, ma anche, (...) con riferimento agli spazi di libertà di espressione di lavoro autonomo e di libero esercizio di attività intellettuale autonoma non collegati a iscrizione in albi”. 10. E’ appena il caso di sottolineare che va salvaguardata l’esigenza che i non iscritti ai quali sono consentite tutte o la gran parte delle attività svolte abitualmente dagli iscritti siano comunque operatori competenti, seppure differentemente qualificati. A tale riguardo, peraltro, la stessa Corte di Cassazione, con riferimento ad alcune attività rientranti nell’oggetto della professione di ragioniere, precisa che queste ultime, presupponendo comunque una conoscenza tecnica di base, devono essere svolte da un tecnico, che può essere un soggetto iscritto in un diverso albo professionale, cui il relativo ordinamento, tuttavia, attribuisce competenza nelle attività de quibus, ovvero un soggetto non necessariamente iscritto in un albo, quale, ad esempio, un ragioniere non iscritto o un laureato in economia e commercio163. 11. In base al secondo degli orientamenti prospettati, invece, pur riconoscendosi che le professioni contabili, ancorchè protette, risultano prive di esclusive, sia un’interpretazione letterale che un’interpretazione estensiva delle norme contenute nei decreti del ‘53 non sembrerebbero autorizzare la conclusione della libertà assoluta di esercizio dell’attività “poiché il far salve le competenze di altre categorie non equivale a liberalizzare a favore di chiunque, non iscritto ad alcun albo, le attività de quibus”164. Gli autori precisano che le norme avrebbero riguardo esclusivamente a quei professionisti protetti per i quali il legislatore (vale a dire, le leggi o i regolamenti) prevede specificatamente competenze comuni a quelle dei professionisti contabili. 12. Sulla base di quanto precede, e seguendo l’orientamento che appare più coerente con i principi in materia di concorrenza, appare potersi concludere che: a) l’esercizio delle attività di assistenza e consulenza in materia contabile, fiscale e, più in generale, commerciale ed economica è libero; b) la tipologia delle categorie di soggetti che esercitano le attività de quibus è varia. A tali categorie corrispondono diversi livelli di competenza tecnica. 13. Delineata in tal modo l’offerta dei servizi economico-contabili, l’iscrizione all’albo, tutt’al più, servirebbe a sottoporre al controllo dell’ordine l’esercizio dell’attività da parte di quei professionisti la cui capacità tecnica è già stata accertata mediante l’esame di abilitazione, potendo garantire in tal modo la persistenza, nel tempo, di un livello qualitativo minimo delle 163 164 Cfr. Cass. 28 febbraio 1985 n. 6157. Cfr. Assini, Musolino, Esercizio delle professioni intellettuali: competenze ed abusi, Padova, 1994, 155. 99 prestazioni rese dagli iscritti. Ciò considerato, l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo per gli abilitati appare quanto meno incongruente. La differenziazione dei requisiti di accesso alle attività de quibus, inoltre, appare idonea ad indirizzare verso gli operatori maggiormente qualificati la domanda dei servizi più complessi. ii) l’articolazione dell’offerta 14. Le tabelle che seguono riportano il numero totale a livello nazionale degli iscritti agli albi dei ragionieri e dei dottori commercialisti, rispettivamente alla fine del 1995 e del 1996, nonchè la consistenza dell’offerta nelle principali regioni. Emerge che nei periodi considerati il numero complessivo di professionisti delle due categorie ammontava rispettivamente a circa 75.000 e 80.000, di cui poco più della metà era costituita da dottori commercialisti. Le tabelle mettono inoltre in luce che poco meno del 50% del numero totale di professionisti era concentrato in sole quattro regioni, secondo una distribuzione sostanzialmente simile per i ragionieri e i dottori commercialisti. Tabella 1.1- Iscritti agli albi (ed elenchi) dei ragionieri e dei dottori commercialisti 1995 Regioni ragionieri dottori commercialisti 1995 1995 Lombardia 5.486 (15,6%) 6.878 (16,8%) Lazio 3.858 (11,0%) 5.312 (13,0%) Campania 3.516 (10,0%) 4.261 (10,4%) Puglia 3.950 (11,2%) 3.565 (8,7%) Altre regioni 18.211 (52,2%) 20.584 (50,7%) Totale 35.021 (100) 40.600 (100) Fonte: consiglio nazionale dottori commercialisti e consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali 100 Tabella 1.2- Iscritti agli albi (ed elenchi) dei ragionieri e dei dottori commercialisti 1996 Regioni ragionieri dottori commercialisti 1996 1996 Lombardia 5.735 (15,5%) 7.268 (16,6%) Lazio 4.014 (10,8%) 5.679 (13,0%) Campania 3.609 (9,7%) 4.799 (10,9%) Puglia 4.093 (11,0%) 3.829 (8,7%) Altre regioni 19.430 (53,0%) 22.103 (50,8%) Totale 36.881 (100) 43.678 (100) Fonte: consiglio nazionale dottori commercialisti e consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali 15. Sotto il profilo dell’evoluzione dell’offerta, i dati disponibili, riferiti ai dottori commercialisti, mostrano un consistente aumento (oltre le 12.000 unità), tra il 1992 e il 1996. 16. Occorre infine aggiungere che oltre ai dottori commercialisti e ai ragionieri, trattandosi, come visto, di attività non riservate, operano nel settore in esame, altre categorie, tra le quali alcune comprendenti soggetti iscritti in altri albi, quali gli avvocati, i consulenti del lavoro, ma anche non iscritti ad alcun albo, come le società di consulenza e i cd "tributaristi". Con riguardo a questi ultimi, va rilevato che molti sono iscritti in appositi ruoli di periti e di esperti, sub-categoria tributi, istituiti dalla maggior parte delle Camere di Commercio165166. 4.1.2 modalità di accesso 165 Relativamente agli iscritti in detti ruoli, deve notarsi che, allo stato, la categoria è destinata ad esaurirsi. I ruoli vennero istituiti, per la materia dei tributi, al fine di consentire agli iscritti l'esercizio di attività professionale in materia tributaria limitatamente ad attività di natura pratica e comunque residuale rispetto a quelle proprie dei liberi professionisti (art. 2 del d.m. 29 dicembre 1979). Il Consiglio di Stato, con sentenza del 14 maggio 1993 n. 353, ha stabilito che non rientra nella competenza delle Camere di Commercio, per espresso divieto dell'art. 32 del r.d. 29 settembre 1934 n. 2011 (“Approvazione del testo unico delle leggi sui consigli provinciali dell’economia corporativa e sugli uffici provinciali dell’economia corporativa”), il potere di istituire ruoli di periti ed esperti nella materia relativa ai tributi, la quale, nei suoi aspetti di carattere libero professionale, è riservata agli iscritti ai relativi albi. Con la citata sentenza n. 358/1993, il Consiglio di Stato ha conseguentemente statuito l’illegittimità di tali ruoli. Successivamente, l'art. 69 della legge 29 ottobre 1993 n. 427, recante disposizioni varie in materia tributaria, ha abilitato, a particolari condizioni, i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli dei periti e degli esperti all'assistenza tecnica nel contenzioso tributario. Tale disposizione, successiva alla decisione del Consiglio di Stato, è stata interpretata non come implicita conferma della permanenza della predetta sub-categoria ma soltanto delle iscrizioni effettuate fino alla data del 30 settembre 1993 (Cfr. circolare ministeriale del 15 novembre 1994 n. 3355). 166 Secondo un'indagine commissionata dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti nel 1992 al Censis dal titolo: "La consulenza tributaria: analisi di un segmento ignoto dell'offerta”, gli iscritti nel ruolo dei periti e degli esperti tributari iscritti presso le Camere di Commercio, o tributaristi, sono 6.170 unità, di cui solo il 10% risultano iscritti anche ad albi professionali. La maggioranza (56,4%) proviene dagli istituti tecnici commerciali e soltanto nel 22,8% dei casi è in possesso di una laurea. 101 17. Con riferimento alle modalità di accesso, sono richiesti: a) per l’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti, laurea in economia e commercio o in scienze economico-marittime, pratica triennale presso lo studio e sotto il controllo di un dottore commercialista, superamento dell’esame di Stato di abilitazione167; b) per l’iscrizione all’albo dei ragionieri e periti commerciali, diploma di ragioniere accompagnato da un diploma universitario, conseguito a seguito di un corso di studi specialistici della durata di tre anni, oppure laurea in giurisprudenza o in economia e commercio, pratica triennale presso un ragioniere iscritto all'albo (la cui durata viene ridotta a due anni per coloro che sono in possesso della laurea in giurisprudenza o in economia e commercio), superamento dell’esame di Stato168. 18. Relativamente al tirocinio effettuato dagli aspiranti commercialisti, i Consigli degli ordini accertano e promuovono la disponibilità degli iscritti ad accogliere nei propri studi le persone che, in possesso dei prescritti requisiti, intendano svolgere il tirocinio e forniscono le opportune indicazioni agli aspiranti che ne facciano richiesta. Dal canto loro, i dottori commercialisti iscritti all’albo sono tenuti, nei limiti delle loro possibilità, ad accogliere nel proprio studio i praticanti, istruendoli e preparandoli all’esercizio della professione169. Anche tali praticanti, come quelli che aspirano a diventare avvocati, sono iscritti in apposito registro e devono tenere un libretto da esibire semestralmente al consiglio che vigila sullo svolgimento del tirocinio170. La frequenza dello studio può essere sostituita, per un periodo superiore a 6 mesi, dalla frequenza, preventivamente autorizzata dal titolare dello studio stesso, di corsi esteri particolarmente qualificati (compresi in un elenco redatto dal consiglio nazionale) e comportanti un esame finale di profitto ovvero dello studio di un professionista estero iscritto presso un organismo professionale corrispondente all’ordine dei dottori commercialisti (anche in questo caso rientrante in un elenco redatto dal consiglio nazionale)171. Sono anche previsti dei corsi integrativi della pratica, non obbligatori, tenuti dalle scuole di formazione istituite dai Consigli degli ordini172. 167 La disciplina riguardante l'accesso alla professione di commercialista è stata modificata dalla legge 17 febbraio 1992 n. 206 e dal decreto attuativo del Ministro di Grazia e Giustizia che hanno rispettivamente introdotto e regolamentato il tirocinio triennale. La disciplina previgente prevedeva che, ai fini dell’accesso, fossero sufficienti i requisiti della laurea e dell’esame di Stato. Cfr. art. 31, lett. 4 e 5 decreto n. 1067/1953. 168 La disciplina riguardante l'accesso alla professione di ragioniere è stata modificata dall'art. 1, l. 12 febbraio 1992 n. 183, recante "Modifica dei requisiti per l'iscrizione all'albo ed elevazione del periodo di pratica professionale per i ragionieri e periti commerciali”. La previgente disciplina stabiliva, quali requisiti di accesso, il diploma di ragioniere, la pratica biennale e l’esame di abilitazione. 169 Cfr. art. 3, commi 1 e 2, d.m. n. 327/95. 170 Cfr. art. 8, d.m. n. 327/95. 171 Cfr. art. 6, commi 3 e 4, d.m. n. 327/95. 172 Cfr. art. 2, comma 1, d.m. n. 327/95. Al riguardo, risulta che, alla fine del ‘95, i Consigli di Roma e di Milano avevano predisposto corsi formativi (Cfr. audizione del consiglio nazionale dei dottori commercialisti del 10 maggio 1995). 102 Infine, al termine del tirocinio, i praticanti devono sostenere l'esame di Stato di abilitazione. Non esistono limiti di età per l’iscrizione all’esame. Per quanto concerne, invece, il tirocinio dei ragionieri, la citata legge n. 183/92 attribuisce al consiglio nazionale il potere di disciplinare le modalità di iscrizione, lo svolgimento della pratica e la tenuta dei relativi registri da parte dei collegi173. Il regolamento della pratica, deliberato dal suddetto consiglio nel giugno 1992, da un lato contiene norme simili a quelle disciplinanti il tirocinio dei dottori commercialisti (relativamente all’iscrizione dei praticanti in apposito registro e alla tenuta di un libretto da esibire, nel caso di specie, annualmente al collegio), dall’altro stabilisce espressamente che la pratica deve dare una preparazione teorico-pratica e che il professionista è obbligato a consentire al praticante la frequenza parallela di corsi di preparazione o di altri corsi di studio presso università174, nonchè prevede, per ciascun professionista, un limite massimo di ammissione di praticanti nel proprio studio pari a due175. 19. Le commissioni degli esami dei dottori commercialisti e dei ragionieri, da nominarsi con decreto rispettivamente del Ministro della Pubblica Istruzione e del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, sono composte da cinque membri titolari, dei quali un presidente, scelto fra i professori universitari e quattro membri da prescegliersi da terne di persone designate dagli ordini professionali, appartenenti a varie categorie tra le quali: professori universitari; magistrati di Corte d'Appello e di Cassazione; dirigenti amministrativi di imprese industriali, bancarie, commerciali; professionisti iscritti all'albo, con un certo numero di anni (15 per i commercialisti e 10 per i ragionieri) di lodevole esercizio professionale. 20. Relativamente agli esiti degli esami di abilitazione, la percentuale, a livello nazionale, degli abilitati all'esercizio della professione di commercialista nel 1995 sarebbe stata di circa il 19%176. Con riferimento agli anni precedenti e alle principali città, la percentuale degli abilitati è riportata nella tabella che segue dalla quale emerge per un verso la variabilità delle percentuali tra le sedi di esame e per l’altro un certo inasprimento della selezione nel tempo. Tabella 2- Percentuali di abilitati per importanti sedi di esame anni 1985-1994 Roma Milano Napoli Torino 1985 74,9 10,3 20,6 39,0 1986 28,9 8,6 30,8 53,2 1987 35,8 10,8 41,9 32,0 173 174 175 Cfr. art. 1, comma 4, legge n. 183/92. Cfr. art. 4, commi 3 e 4 del citato regolamento. Cfr. art. 5 del citato regolamento: al riguardo, il consiglio precisa che “l’adozione di un limite rigido è stato adottato al fine di garantire la massima serietà della pratica”. 176 Cfr. Sole 24 Ore del 23/12/1996. 103 1988 43,5 12,4 46,2 1989 26,5 17,8 42,1 1990 21,0 14,9 46,9 1991 26,5 14,1 48,2 1992 23,9 12,4 45,9 1993 25,3 8,0 8,4 1994 24,1 6,1 19,7 Fonte: Università degli Studi di Roma, Milano, Napoli e Torino 40,0 33,0 30,0 31,3 22,5 22,8 20,0 21. Relativamente invece agli abilitati all'esercizio della professione di ragioniere, le informazioni disponibili riguardano il triennio 1993-1995. I dati concernenti il primo degli anni considerati sono relativi al complesso del territorio nazionale e indicano una percentuale di poco superiore al 48%, e corrispondente a un numero di abilitati pari a 3971 rispetto a 8159 candidati177. Relativamente agli anni 1994 e 1995, invece, la tabella che segue indica le percentuali degli abilitati nei principali collegi, mettendo in luce tassi di ammissione sensibilmente differenziati tra diverse sedi di esame. 177 Cfr. risposta del consiglio nazionale dei ragionieri a lettera dell’Autorità di richiesta informazioni del 7 luglio 1995. 104 Tabella 3- Percentuali di abilitati per importanti sedi di esame anni 1994-1995 Collegi 1994 1995 Cagliari 30 51 Catania 33 47 Firenze 11 15 Genova 33 36 Milano 33 79 Napoli 25 25 Palermo 61 16 R. Calabria 82 70 Roma 50 53 Salerno 76 46 Savona 24 22 Torino 55 21 Trapani 50 86 Venezia 21 22 Vercelli 93 76 Fonte: consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali 4.1.3 gli standard qualitativi delle prestazioni dei dottori commercialisti e dei ragionieri 22. La regolamentazione delle attività svolte dai dottori commercialisti, relativamente al profilo qualitativo, riguarda prevalentemente i comportamenti nell’esecuzione delle prestazioni professionali. Al riguardo va rilevato che le norme istitutive della professione impongono ai dottori commercialisti l’obbligo di tenere, nello svolgimento dell’attività, una condotta professionalmente dignitosa e decorosa, prevedendo, nell’ipotesi di inosservanza di tale precetto, una responsabilità disciplinare del professionista178. Queste regole di tenore generale appaiono integrate dalle disposizioni contenute nel codice deontologico elaborato dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti con delibera del 10 febbraio 1987, le quali, tuttavia, differentemente dalle norme di deontologia dei notai, non sono state adottate in esecuzione di una legge o di altro atto avente forza di legge o regolamentare179. Tuttavia, dette disposizioni devono ritenersi, secondo il consiglio stesso, specificazioni della clausola generale di cui al citato art. 35 del d.p.r. n. 1067/1953180. 178 Cfr. art. 35, comma 1, d.p.r. n. 1067/1953, secondo cui “il dottore commercialista che si rende colpevole di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale, è sottoposto a procedimento disciplinare”. In particolare, l’applicazione della sanzione della radiazione consegue, secondo l’art. 37 del citato decreto, alla circostanza che “il dottore commercialista abbia, con la sua condotta, compromesso gravemente la propria reputazione e la dignità della professione”. 179 Il consiglio nazionale, nella premessa al codice, precisa espressamente che “il d.p.r. n. 1067/1953 non contiene specifiche previsioni circa l’iter di emanazione di un codice deontologico e neppure vi è esplicito riferimento ad esso e all’organo che può adottarlo”. 180 Nella premessa, si legge ancora che nell’ambito dei compiti attribuiti al consiglio dall’art. 25 del decreto “di coordinamento e promozione dell’attività dei Consigli circoscrizionali per favorire le iniziative intese al miglioramento e al perfezionamento professionale e di decisione sui ricorsi (...) in materia disciplinare (...), 105 23. Venendo al contenuto dei comportamenti richiesti dalla deontologia, il codice pone una serie di obblighi diretti ad assicurare agli utenti la qualità delle prestazioni. Appaiono particolarmente significative al riguardo le previsioni secondo le quali il dottore commercialista deve: a) comportarsi secondo buona fede, correttezza, lealtà e sincerità, nonchè rispettare la riservatezza; b) curare il continuo aggiornamento professionale; c) risarcire gli eventuali danni causati nell’esercizio della professione, stipulando un’adeguata polizza assicurativa181. Nei rapporti con la clientela, poi, il professionista deve: d) sconsigliare azioni infondate ed una inconsulta litigiosità, quindi favorire soluzioni equilibrate e transazioni amichevoli; e) rifiutare l’incarico se non possiede la specifica competenza necessaria per l’assolvimento del mandato ovvero se impegni professionali o personali gli impediscano di svolgerlo con la diligenza e lo scrupolo richiesti in relazione alle caratteristiche dello stesso; f) informare il cliente del contenuto della prestazione e degli eventuali rischi ad essa connessi; g) tutelare gli interessi del cliente, anteponendoli, ove necessario, a quelli personali182. 24. Anche la regolamentazione delle attività svolte dai ragionieri, relativamente al profilo qualitativo, riguarda prevalentemente i comportamenti nell’esecuzione delle prestazioni professionali. Al riguardo va rilevato che le norme istitutive della professione impongono ai ragionieri l’obbligo di tenere, nello svolgimento dell’attività, una condotta conforme alla dignità e al decoro professionale, prevedendo, nell’ipotesi di inosservanza di tale precetto, una responsabilità disciplinare del professionista iscritto. Detta regola è integrata dalle disposizioni contenute nel codice deontologico adottato dal consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali con delibera del 15 ottobre 1983. In particolare, vanno menzionati obblighi di terzietà, aggiornamento, segretezza. il consiglio nazionale può additare (...) una serie di principi di comportamento la cui violazione configuri gli abusi o le mancanze nell’esercizio della professione e i fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale, fattispecie condizionanti l’apertura, ex citato art. 35 d.p.r. n. 1067/1953, di qualsiasi procedimento disciplinare”. 181 Sempre relativamente alla responsabilità, la legge 11 ottobre 1995 n. 423 recante "Norme in materia di soprattasse e di pene pecuniarie per omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte", all'art. 1, comma 1, prevede a carico del professionista la commutazione dell'atto di irrogazione delle sanzioni in caso di omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte dovute dal contribuente, qualora tale condotta illecita sia stata tenuta da dottori commercialisti, ragionieri e consulenti del lavoro, iscritti negli appositi albi, in dipendenza del loro mandato professionale. Appare evidente che anche tale norma tende a disincentivare le suddette condotte, promuovendo il miglioramento della qualità dell'offerta del servizio di versamento delle imposte. 182 Nell’ambito della categoria, del resto, perlomeno da parte di alcuni, emerge l’esigenza di garantire un livello qualitativo minimo delle prestazioni, tutelando in tal modo la domanda, predisponendo, ad esempio, un adeguato sistema di certificazione della qualità: sono state indicate al riguardo, quali possibili soluzioni, l’assoggettamento del professionista, ancorchè abilitato, ad un controllo periodico concernente per l’appunto il livello qualitativo dei servizi offerti ovvero un sistema che consenta all'operatore di pubblicizzare il fatto di essere sottoposto ad un controllo di qualità. Cfr. audizione dell’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti del 17 novembre 1995. 106 4.1.4 le tariffe 25. I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità spettanti ai dottori commercialisti e ai ragionieri sono stabiliti con decreto del Capo dello Stato, su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia, di concerto con i Ministri dell'Industria e Commercio e del Tesoro, sentito il consiglio nazionale183. Il decreto del ‘53 si limita a precisare, poi, che i compensi devono essere liquidati con riferimento alla durata, al valore e alla complessità delle prestazioni e che deve anche tenersi conto della sede, dell’urgenza, delle responsabilità assunte dal professionista e dei risultati conseguiti184. Non fa invece alcun riferimento alla emanazione di tariffe minime e massime, nè all’obbligatorietà delle stesse. 26. Il d.p.r. 10 ottobre 1994 n. 645 costituisce l’ultimo regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri di rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti. Il d.p.r. n. 645/1994 prevede una tariffa minima e massima per le singole prestazioni. Per la concreta determinazione dell'onorario, si deve far riferimento alla natura, alle caratteristiche, alla durata e al valore della pratica. Si deve inoltre tenere conto del risultato economico conseguito, nonchè dei vantaggi anche non patrimoniali derivati al cliente185. Viene disposto che gli onorari minimi sono vincolanti186. Al contrario, l’obbligatorietà dei massimi non risulta espressamente sancita. Tuttavia, ricorrendo determinate circostanze, sono possibili riduzioni ovvero maggiorazioni particolari187. 27. Il consiglio nazionale dei dottori commercialisti, poi, ha messo in luce che, in alternativa agli onorari fissati dalla tariffa, è frequente l’applicazione di onorari preconcordati, a forfait, specialmente per le attività di consulenza ordinaria caratterizzate da prestazioni continuative188. Anche nella determinazione degli onorari preconcordati, tuttavia, si devono seguire i criteri 183 184 185 186 Cfr. artt. 47 d.p.r. n. 1067/1953 e d.p.r. n. 1068/1953. Cfr. artt. 48 d.p.r. n. 1067/1953 e d.p.r. n. 1068/1953. Cfr. art. 3, d.p.r. n. 645/1994. Cfr. art. 7, comma 3, d.p.r. n. 645/1994 secondo il quale “Gli onorari minimi stabiliti nella presente tariffa debbono avere sempre integrale applicazione, salvo che disposizioni della medesima o particolari norme di legge speciali non dispongano espressamente in materia in modo diverso”. 187 Relativamente alle riduzioni, il dottore commercialista esercente la professione in un comune il cui numero di abitanti sia inferiore a 200.000 può applicare agli onorari minimi una riduzione non superiore al 15% (art. 7, comma 1, d.p.r. n. 645/1994). Il dottore commercialista iscritto all'albo da meno di 5 anni può applicare agli onorari minimi una riduzione non superiore al 30% (art. 7, comma 2, d.p.r. n. 645/1994). Con riferimento alle maggiorazioni, invece, per le pratiche di eccezionale importanza, complessità o difficoltà, a tutti gli onorari massimi può essere applicata una maggiorazione non superiore al 100% (art. 6, comma 1, d.p.r. n. 645/1994). Per le prestazioni compiute in condizioni di disagio o di urgenza agli onorari massimi può applicarsi una maggiorazione non superiore al 50% (art. 6, comma 2, d.p.r. n. 645/1994). Tali maggiorazioni, infine, non sono cumulabili tra loro (art. 6, comma 3, d.p.r. n. 645/1994). 188 Cfr. audizione del suddetto consiglio del 10 maggio 1995. 107 di cui al citato art. 3, e quindi la natura, le caratteristiche, la durata, il valore della pratica, nonchè il risultato economico conseguito e i vantaggi anche non patrimoniali derivati al cliente, ed in particolare si deve tenere conto dei minimi189. Per le attività cosiddette straordinarie, invece, quali la rappresentanza nel contenzioso tributario e la curatela fallimentare, non si applicano i compensi forfettizzati quanto piuttosto le tariffe190. 28. Anche il codice deontologico dei commercialisti prevede che la tariffa professionale e le altre norme in materia di compensi devono essere osservate in maniera rigorosa essendo garanzia della qualità della prestazione e del decoro professionale. Dal punto di vista dell’osservanza delle norme in materia tariffaria, risulta che nessun procedimento è stato promosso per mancato rispetto della tariffa professionale191. 29. Oltre alla tariffa professionale, esistono altre norme che fissano i compensi per le prestazioni quali quelle svolte dal consulente tecnico del giudice ovvero dal curatore fallimentare, che pure possono essere offerte da dottori commercialisti: dette norme recano le tabelle contenenti la misura degli onorari fissi e variabili dei periti e dei consulenti tecnici per le operazioni eseguite su disposizione dell'Autorità giudiziaria in materia civile e penale192. Ancora, è previsto da apposito regolamento l'adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e la determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata193. 30. Il d.p.r. 6 marzo 1997 n. 100 costituisce l’ultimo regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri di rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei ragionieri. Tale decreto non prevede alcuna differenziazione dei compensi spettanti ai ragionieri rispetto a quelli fissati per i dottori commercialisti194. 189 190 191 Cfr. art. 22, commi 1 e 2, d.p.r. n. 645/1994. Cfr. audizione della menzionata Unione Nazionale del 17 novembre 1995. Cfr. risposta del consiglio nazionale dei dottori commercialisti alla richiesta di informazioni dell’Autorità, pervenuta in data 17 aprile 1995. 192 Cfr. d.p.r. 27 luglio 1988 n. 352, di adeguamento della legge 8 luglio 1980 n. 319, recante “Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'Autorità giudiziaria” 193 Cfr. d.m. 28 luglio 1992 n. 570, recante per l’appunto “Regolamento l'adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e la determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata”. 194Cfr. le premesse al citato decreto, dalle quali si desume che il Consiglio di Stato, invece, nell’ambito dell’iter formativo della tariffa, aveva osservato che gli onorari spettanti ai ragionieri avrebbero dovuto essere ridotti di 1/10 rispetto a quelli fissati per i dottori commercialisti in considerazione della diversa preparazione culturale delle due categorie. Tali osservazioni tuttavia non sono state accolte “alla luce degli accadimenti successivi alla citata pronuncia (pubblicazione registro revisori contabili, equiparazione esame di abilitazione, prossima unificazione delle professioni) che rendono quanto meno inopportuna la differenziazione dei compensi in presenza di uguali prestazioni professionali”. 108 Pertanto anche il citato d.p.r. n. 100/97 prevede una tariffa minima e massima per le singole prestazioni e, per la concreta determinazione dell'onorario, si deve far riferimento, agli stessi criteri indicati nel d.p.r. n. 645/1994195. 4.1.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività i) circolazione in ambito comunitario e limitazioni territoriali 31. Anche ai dottori commercialisti e ai ragionieri si applica il decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 115, emanato in attuazione della citata direttiva CEE n. 89/48, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che si riferiscono a formazioni professionali di una durata minima di tre anni. Relativamente alla professione di dottore commercialista, in particolare, la circolazione in ambito comunitario non è frequente. Infatti, alla metà del ‘95, risultava che solo tre professionisti di altri Paesi della Comunità avevano chiesto l'iscrizione all'albo dei dottori commercialisti, subordinata anche in questo caso al riconoscimento del titolo professionale conseguente al superamento della prova attitudinale. Non sono disponibili dati in relazione al fenomeno inverso196. 32. Relativamente all’ambito nazionale, il dottore commercialista e il ragioniere iscritti in un albo possono esercitare la professione in tutto il territorio dello Stato197. ii) il divieto di pubblicità 33. Al dottore commercialista è vietata ogni forma di pubblicità diretta e indiretta al proprio nome e alla propria attività198. Il consiglio nazionale al riguardo si è dichiarato contrario all'utilizzo dello strumento pubblicitario nell'esercizio della professione: in ogni caso, risulterebbe che di tale strumento si avvalgano essenzialmente i non iscritti o gli espulsi dall'albo199. Meno stringente appare invece il vincolo riguardante la pubblicità nel caso dei ragionieri ai quali è consentito l'uso di comunicazioni limitate 195 Cfr. art. 9 cod. deont. Il codice deontologico dei ragionieri prevede, al par. 2.6, in tema di compensi, che “il professionista ha diritto ad un compenso in relazione alla sua professionalità e alle responsabilità assunte. Non può ricevere profitti diversi dall’onorario che gli spetta”. 196 Cfr. audizione del consiglio nazionale del 10 maggio 1995. 197 Cfr. art. 4 d.p.r. n. 1067/1953. 198 Cfr. art. 10 cod. deont. 199 Cfr. audizione del 10 maggio 1995. 109 esclusivamente nell'interesse del pubblico, ma in ogni caso la forma di tali comunicazioni deve essere compatibile con la dignità della professione200. 4.2 I Consulenti del Lavoro principali riferimenti normativi Legge 23 novembre 1971 n. 1100, recante “Istituzione di un ente di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro”; legge 11 gennaio 1979 n. 12, recante “Ordinamento della professione di consulente del lavoro”; codice deontologico dei consulenti del lavoro del 20 luglio 1990; legge 5 agosto 1991 n. 249, recante “Riforma dell’ente di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro”; d.m. 15 luglio 1992 n. 430, recante “Regolamento di approvazione delle deliberazioni in data 16/5/91 e 10/6/92 del consiglio nazionale dei consulenti del lavoro concernenti la tariffa professionale della categoria”. 4.2.1 Le attività dei consulenti del lavoro i) tipologia e caratteristiche 34. Anche i consulenti del lavoro operano nel settore economico contabile, ma le attività dagli stessi svolte, differentemente dai dottori commercialisti e dai ragionieri le cui competenze, come visto, sono quasi interamente sovrapposte, consistono tipicamente in prestazioni rientranti nell’area della consulenza alla piccola e media impresa relativamente alla gestione dei rapporti di lavoro. Infatti, essi svolgono prevalentemente tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente o a mezzo di propri dipendenti201. Esemplificando, tali adempimenti riguardano la genesi, la definizione e l’evoluzione dei rapporti di lavoro e la gestione di tutti gli aspetti contabili, economici, assicurativi, previdenziali e sociali che essi comportano; l’assistenza e rappresentanza delle aziende nelle vertenze extragiudiziali derivanti dai rapporti di lavoro dipendente; l’assistenza e rappresentanza in sede di contenzioso con gli istituti previdenziali, assicurativi e ispettivi del lavoro202. 35. Tali prestazioni, ancorchè tipiche della professione in esame, non sono tuttavia riservate ai consulenti del lavoro, potendo essere offerte anche da altri professionisti, quali gli avvocati, i dottori commercialisti e i ragionieri203. 200 Cfr. par. 2.7 cod. deont., secondo il quale “Non è consentito al professionista, per evitare il rischio di indurre il pubblico in errore, di usare mezzi pubblicitari. Al professionista è consentito l’uso di comunicazioni limitate ad informare il pubblico di un numero circoscritto di fatti, nell’interesse di quest’ultimo. Comunque deve essere rispettato il principio che la forma di tali comunicazioni deve essere compatibile con la dignità della professione”. 201 Cfr. art. 1, comma 1, legge 11 gennaio 1979 n. 12, recante “Professione di consulente del lavoro”. 202 Cfr. scheda informativa del consiglio nazionale sul profilo professionale del consulente del lavoro, depositata in occasione dell’audizione dell’8 giugno 1995. 203 Cfr. art. 1, comma 1, l. n. 12/1979. 110 Inoltre, nelle ipotesi in cui la domanda sia costituita da imprese artigiane e da altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, le suddette prestazioni possono essere svolte da operatori ancora diversi e cioè dalle rispettive associazioni di categoria che abbiano istituito al loro interno appositi servizi. E tali servizi possono pure essere organizzati a mezzo di consulenti del lavoro, anche se dipendenti delle predette associazioni204. 36. Naturalmente, poi, i consulenti del lavoro competono con gli operatori del settore economico contabile, e quindi, ancora una volta, con i dottori commercialisti e i ragionieri in particolare, per quanto riguarda la tenuta delle scritture contabili, la consulenza fiscale e tributaria, nonchè contrattuale e le funzioni di conciliazioni o di consulenza tecnica di parte o del giudice205. 37. Va rilevato, infine, che numerose altre attività, svolte dai consulenti del lavoro a favore delle imprese, quali la ricerca e la selezione del personale, la prevenzione e la sicurezza dei posti di lavoro, l'analisi dei costi, non prescindono totalmente dall’ iscrizione ad albi professionali206. ii) la domanda e l’offerta 38. La domanda è rappresentata da circa 900.000 aziende, prevalentemente di piccole e medie dimensioni (con 7 milioni di dipendenti), le quali chiedono assistenza innanzitutto in materia di legislazione sociale del lavoro e secondariamente in materia contabile e tributaria. Relativamente alla struttura dell’offerta, i consulenti del lavoro iscritti agli albi alla metà del 1995 erano 16.950207. 4.2.2 modalità di accesso 39. Per accedere alla professione, sono richiesti i seguenti requisiti: diploma di maturità di scuola secondaria superiore secondo indirizzi riconducibili all’area delle scienze sociali ovvero laurea in giurisprudenza, in scienze economiche e commerciali o in scienze politiche; pratica biennale ed esame di abilitazione. La pratica biennale deve svolgersi presso lo studio e sotto il controllo di un consulente del lavoro o di un altro professionista iscritto agli albi dei dottori 204 205 206 Cfr. art. 1, comma 4, l. n. 12/1979 Cfr. risposta del consiglio nazionale a richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995. Cfr. risposta del consiglio nazionale a richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995: conseguentemente, è stato precisato che tali attività vengono nei fatti offerte da privati, sia singolarmente che in forma associata, anche societaria (centri di elaborazione dati, società di ricerca e selezione). 207 Cfr. risposta del consiglio nazionale a richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995. 111 commercialisti, dei ragionieri o degli avvocati208. Il praticante è iscritto in un registro speciale dei praticanti. Le sessioni dell’esame di abilitazione sono annuali e si svolgono in ogni regione secondo modalità e programmi stabiliti con decreto del Ministro del Lavoro, di concerto con i Ministri di Grazia e Giustizia e della Pubblica Istruzione209. Sono esonerati da tale esame, ai fini dell’iscrizione all’albo, gli ex dipendenti del Ministero del Lavoro che abbiano prestato servizio, almeno per 15 anni, con mansioni di ispettori del lavoro210. 40. Le commissioni esaminatrici regionali sono composte: dal capo dell'ispettorato regionale del lavoro competente per territorio, o da altro funzionario da questi delegato, in qualità di presidente; da un professore ordinario di materie giuridiche designato dal Ministero della Pubblica Istruzione; da un direttore di una sede provinciale dell'INPS e da uno dell'INAIL della regione interessata; da tre consulenti del lavoro designati dal consiglio nazionale211. 41. Fin dall'inizio degli anni '80, inoltre, la categoria ha auspicato una formazione mirata a livello universitario: sono nate così le Scuole Dirette a Fini Speciali per consulenti del lavoro. Nell'anno accademico 1989/90 è stata attivata, presso l'Università di Siena, una scuola triennale che ha rilasciato i primi diplomi al termine dell'anno 1991/92. Dall'anno 1992/93 è operativa, presso l'Università di Modena, una scuola recentemente trasformata in Diploma Universitario per consulenti del lavoro. Infatti, il Consiglio Universitario nazionale, in riferimento a quanto previsto dalla legge n. 341/90, ha deliberato la istituzione, presso le facoltà di giurisprudenza, economia e commercio e scienze politiche, del diploma universitario di consulente del lavoro, a seguito di un corso di durata triennale. Tale corso prevede esami obbligatori sia nelle materie giuridiche tributarie, del lavoro e commerciale, sia in quelle economiche e sociologiche212. 42. Relativamente al 1993, la percentuale degli abilitati all'esercizio della professione a livello nazionale è stata del 41,4%213. 4.2.3 gli standard qualitativi delle prestazioni dei consulenti del lavoro 208 Cfr. art. 3, l. n. 12/79 e art. 4, d.m. 3 agosto 1979, recante “Modalità sulla disciplina dei due anni di praticantato necessari per l’ammissione all’esame di Stato per il conseguimento del certificato di abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro”. Ai sensi dell’art. 4, comma 3, del citato decreto, inoltre, “Il professionista non potrà ammettere contemporaneamente più di due praticanti presso il proprio studio”. 209 Cfr. art. 3, commi 1 e 3, l- n. 12/79. 210 Cfr. art. 9, comma 2, l. n. 12/79. 211 Cfr. art. 3, comma 1, l. n. 12/1979. 212 Cfr. scheda informativa depositata nel corso dell'audizione del consiglio nazionale dei consulenti del lavoro dell'8 giugno 1995. 213 Cfr. risposta del consiglio nazionale a richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995. 112 43. La regolamentazione delle attività svolte dai consulenti del lavoro, relativamente al profilo qualitativo, riguarda i comportamenti nell’esecuzione delle prestazioni professionali. Anche in questo caso, le norme istitutive della professione impongono ad essi l’obbligo di tenere, nello svolgimento dell’attività, una condotta professionalmente dignitosa e decorosa, prevedendo, nell’ipotesi di inosservanza di tale precetto, una responsabilità disciplinare del professionista214. Il codice deontologico, nel precisare il contenuto della condotta, pone alcuni obblighi, assolutamente simili a quelli indicati per i dottori commercialisti e i ragionieri e cioè: la lealtà e probità; la riservatezza; l’aggiornamento; la terzietà. 4.2.4 le tariffe 44. Il procedimento di formazione della tariffa dei consulenti del lavoro prevede che esse siano proposte dal consiglio nazionale, sentito il parere dei Consigli Provinciali e adottate con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, sentito il parere del Ministero del Lavoro e del Consiglio di Stato215. Il d.m. 15 luglio 1992 n. 430 costituisce l’ultimo regolamento recante la disciplina della tariffa professionale dei consulenti del lavoro. Il decreto stabilisce le tariffe minime e massime da adottare per le singole voci relative all'attività professionale216. I minimi sono vincolanti per gli iscritti217. Il rispetto dei minimi, poi, secondo il codice deontologico, è garanzia della serietà e della chiarezza professionale nel rapporto con i clienti: conseguentemente il consulente del lavoro deve attenervisi in maniera rigorosa218. Nessun procedimento risulta promosso per mancato rispetto della tariffa professionale219. 45. Il consulente del lavoro può poi assumere in regime di abbonamento annuale gli adempimenti connessi all'incarico professionale220. Esistono dei parametri di riferimento per la determinazione del compenso spettante al professionista in regime di abbonamento. Il consulente del lavoro può percepire una somma definita per ogni unità amministrata oppure percentualizzarla in funzione dei salari che va a calcolare, in una misura che va dall'1,5% al 7%221. 4.2.5 altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività 214 215 216 217 Cfr. art. 26 l. n. 12/79. Cfr. art. 23 l. n. 12/79. Cfr. art. 3, d.m. n. 430/1992. Cfr. art. 5 d.m. n. 430/1992. L’obbligatorietà, peraltro, riguarda anche gli operatori di cui si avvalgono le imprese artigiane e le altre piccole imprese considerate all’art. 1 della l. n. 12/1979. 218 Cfr.art. 17 cod. deont. 219 Cfr. risposta del consiglio nazionale alla richiesta di informazioni pervenuta in data 19 aprile 1995 220 Cfr. art. 17, d.m. n. 430/1992. 221 Cfr. audizione del consiglio nazionale dei consulenti del lavoro dell'8 giugno 1995. 113 i) il divieto di pubblicità 46. Al consulente del lavoro è vietata ogni forma di pubblicità, salvo quella rivolta alla corretta informazione al pubblico del titolo professionale e della specializzazione nonchè dell'ambito territoriale di esercizio, ed inoltre di accettare o favorire forme di pubblicità svolte a suo favore da parte di associazioni, enti, organizzazioni, aziende, sindacati o altro222. 4.3 Conclusioni 47. La tabella che segue mette in evidenza differenze e analogie tra le forme di regolamentazione dell’attività svolta dai dottori commercialisti, dai ragionieri e dai consulenti del lavoro. In primo luogo, emerge che tutte le professioni considerate prevedono obblighi del professionista nei confronti della clientela a garanzia della qualità del servizio: in particolare, alle norme deontologiche fondamentali e generali relative alla lealtà, sincerità e riservatezza nei confronti del cliente, si associa la previsione di un obbligo di aggiornamento del professionista volta a garantire l’adeguatezza tecnica delle prestazioni nel tempo. In secondo luogo, si evidenziano quali aspetti regolamentativi comuni a tutte le professioni la presenza di tariffe minime inderogabili e massime e il divieto di pubblicità. Diversità emergono invece con riguardo ai requisiti di accesso e in particolare all’iter formativo richiesto per poter partecipare all’esame di abilitazione che varia dal diploma di scuola media superiore accompagnato da pratica biennale nel caso dei consulenti del lavoro, al diploma universitario triennale più pratica triennale per i ragionieri, al diploma di laurea e alla pratica triennale nel caso dei dottori commercialisti. In sintesi, emerge un sistema caratterizzato da una certa graduazione dei requisiti di accesso, in cui i consulenti del lavoro e i commercialisti si collocano agli estremi opposti. Si osserva, al tempo stesso, una crescente similitudine nella regolamentazione della professione di ragioniere e di dottore commercialista essenzialmente per quanto concerne l’accesso (corso universitario, elevazione del periodo di pratica) e le tariffe che potrebbe sfociare in futuro nell’unificazione delle due professioni. Tabella 4 - Principali forme di regolamentazione dell’attività svolta dai dottori commercialisti, dai ragionieri e dai consulenti del lavoro requisiti entrata dottori commercialisti a) laurea in economia e commercio; c) pratica triennale; 222 standard di qualità minima tariffe dei servizi economicocontabili requisiti relativi ai rapporti minime e massime con la clientela: minime inderogabili obbligo di lealtà, sincerità, riservatezza e terzietà altre forme di (auto)regolamentazione divieto di pubblicità assicurazione* forme di responsabilità aggiornamento Cfr. art. 12 cod. deont. 114 d) esame di abilitazione e) iscrizione all’albo rispetto all’incarico ricevuto; obbligo di trasparenza circa il contenuto della prestazione ragionieri a) diploma di ragioniere; b) diploma universitario . triennale o laurea in economia e commercio; c) pratica bi-triennale; d) esame di abilitazione e) iscrizione alla’albo consulenti del lavoro a) diploma di maturità; c) pratica biennale; d) esame di abilitazione e) iscrizione alla’albo * si applica solamente ai dottori commercialisti 48. Nella valutazione concernente l’assetto regolamentativo risultante dalla tabella, deve innanzitutto rilevarsi che le attività svolte dai professionisti economico-contabili non costituiscono per legge attività riservate e vengono, in concreto, esercitate da una pluralità di categorie professionali differentemente qualificate. Di conseguenza, l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo per gli abilitati all’esercizio delle professioni in esame appare una misura non necessaria. Questo, tuttavia, non significa che l’iscrizione ad un albo non possa svolgere un’utile funzione, di natura essenzialmente segnaletica, a favore del consumatore. 49. Ciò in particolare tenuto conto della differenziazione dei requisiti di iscrizione ai diversi albi professionali. Quest’ultima corrisponde ad una diversificazione dell’offerta che con tutta probabilità ben si adatta ad una certa diversità delle preferenze della domanda circa le caratteristiche delle prestazioni. Per questo motivo, tale differenziazione di requisiti, benché non giustificata da effettive esigenze di tutela del consumatore, può nondimeno svolgere una funzione di miglioramento dell’efficienza del mercato. 50. Quanto, poi, ai vincoli attinenti all’esercizio - standard delle prestazioni, tariffe, divieto di pubblicità - si rileva che essi appaiono a fortiori superflui, trattandosi di attività libere. Anzi tali vincoli, ed in particolare, la predisposizione di tariffari e il divieto di pubblicità, risultano senz’altro idonei a determinare uno svantaggio concorrenziale per gli iscritti agli albi, trovandosi questi ultimi a competere con una pluralità di operatori non regolamentati e quindi liberi sia nella fissazione del prezzo che nell’utilizzo dello strumento pubblicitario. 115 CAPITOLO QUINTO: LA REGOLAMENTAZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE 1. Le professioni sanitarie ricomprendono nel loro ambito molteplici profili professionali, tra i quali figurano i medici chirurghi e odontoiatri, i farmacisti, i veterinari, le ostetriche, gli infermieri, i tecnici sanitari di radiologia medica223. Nel presente capitolo si intendono analizzare le principali e più significative professioni, ovvero medici e farmacisti. In particolare ci si propone di esaminare le forme di regolamentazione di tali attività, con particolare riguardo alle norme concernenti i requisiti e la selezione per l’accesso all’esercizio delle stesse, agli standard delle prestazioni, alle tariffe, alle limitazioni territoriali nonché alle disposizioni presenti nei codici deontologici. 5.1 I farmacisti principali riferimenti normativi R.d. 27 luglio 1934 n. 1265, legge 2 aprile 1968 n. 475, <Norme concernenti il servizio farmaceutico>, DLCPS del 19 settembre 1946 n. 233, d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221, d.p.r. 21 agosto 1971 n. 1275, <Regolamento per l'esecuzione della legge 2 aprile 1968, n. 475>, legge n. 362 del 1991, <Norme di riordino del settore farmaceutico>, DLGS 8 agosto 1991 n. 258. 5.1.1 l’attività farmaceutica i) tipologia e caratteristiche 2. Farmacista è chi esercita professionalmente la farmacia, ovvero la professione sanitaria che consiste nella preparazione dei medicamenti prescritti nelle ricette mediche e nella vendita al pubblico delle sostanze medicinali, nonché dei medicamenti composti e delle specialità medicinali messi in commercio già preparati e condizionati secondo la formula stabilita dal 223 Con riferimento alle professioni sanitarie tradizionalmente definite “ausiliarie”, deve essere segnalata l’approvazione il 1° ottobre 1997 da parte della XII Commissione permanente del Senato di un disegno di legge, Disposizioni in materia di professioni sanitarie (n. 4216), nel quale, all’articolo 1, si stabilisce che “con Decreto del Ministro della Sanità da emanare entro sei mesi, sono istituiti gli albi professionali per i profili individuati dal Ministro della Sanità ai sensi dell’art. 6, comma 3 del decreto legislativo, e successive modificazioni e integrazioni, nonchè i relativi ordini e Federazioni nazionali degli ordini (...). Dalla data di entrata in vigore della presente legge i collegi provinciali degli infermieri professionali, degli assistenti sanitari e delle vigilatrici d’infanzia, nonchè i collegi provinciali delle ostetriche ed i collegi provinciali dei tecnici sanitari di radiologia medica assumono la denominazione, rispettivamente, di ordini provinciali degli infermieri professionali, degli assistenti sanitari visitatori e delle vigilatrici d’infanzia, di ordini provinciali delle ostetriche, di ordini provinciali dei tecnici sanitari di radiologia medica”. La denominazione delle relative federazioni è conseguentemente modificata”. Inoltre, il comma 2 del medesimo articolo stabilisce che “il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui al presente articolo è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione postbase nonchè degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.” 116 produttore224. Le attività di preparazione e vendita al pubblico di medicinali al pubblico sono attribuite in via esclusiva ai farmacisti225. 3. In particolare, è possibile distinguere i farmaci la cui commercializzazione è riservata ai farmacisti in due categorie: i medicinali etici226 e i cosiddetti medicinali da banco o anche OTC227. Oggi, con lo sviluppo della produzione in forma industriale, il ruolo ricoperto dal farmacista nella preparazione e trasformazione dei medicinali è divenuto marginale rispetto alla vendita di medicinali già confezionati228. Tuttavia in alcuni ambiti l’attività del farmacista continua a richiedere il possesso di cognizioni scientifiche e tecniche specializzate. Infatti alcune sostanze medicinali richiedono delle conoscenze speciali non soltanto per la loro preparazione o trasformazione, ma anche per la provvista, il riconoscimento e la conservazione; inoltre, l’uso incontrollato di alcuni medicinali può essere cagione di danni o di pericoli che rendono necessario vietarne la detenzione alle persone non qualificate. Per la preparazione, trasformazione e vendita di questi prodotti farmaceutici si può ritenere che sussistano condizioni tali da richiedere la specifica professionalità del farmacista. Tuttavia, lo stesso non appare potersi sostenere con riferimento alla vendita dei prodotti da banco, per l’acquisto dei quali non è richiesta la ricetta medica. Se si considera infatti che il consumo di tali farmaci è libero, che per tali farmaci è consentita ovunque la pubblicità al consumo e che gli stessi, potendo essere esposti sul banco del farmacista, comunicano direttamente con il consumatore, si può ritenere per un verso che non sussistano profili di pericolosità nell’uso di tali prodotti tali da suggerire la limitazione dei canali di vendita, e per l’altro che la professionalità tipica del farmacista assume un ruolo 224 Dal termine farmacia inteso come professione sanitaria deve distinguersi la farmacia come azienda, ovvero il complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa farmaceutica. Tuttavia, l’esercizio della farmacia si collega normalmente con l’esercizio dell’impresa commerciale. Il farmacista che sia anche titolare di una farmacia, infatti, deve esercitare tra i produttori di sostanze e di preparati medicinali e i consumatori quell’attività d’intermediazione che è tipica del commerciante. In tal caso quindi il farmacista assume la veste di imprenditore commerciale (art. 2195 cc.) . 225 L’art. 122 del RD 27 luglio 1934 stabilisce che “ la vendita al pubblico di medicinali a dose o forma di medicamento non è permessa che ai farmacisti e deve essere effettuata nella farmacia sotto la responsabilità del titolare della medesima. Sono considerati medicinali a dose o forma di medicamento, per gli effetti della vendita al pubblico, anche i medicinali composti e specialità medicinali, messi in commercio già preparati e condizionati secondo la formula stabilita dal produttore.” 226 I farmaci etici sono quei medicinali che richiedono obbligatoriamente la prescrizione medica in quanto destinati ad un’azione terapeutica su situazioni patologiche di tipo non lieve e che per la relativa pericolosità della propria composizione devono essere assunti sotto controllo medico. Il prodotto deve essere consegnato al cliente da un professionista sanitario il quale ha il compito di controllare la regolarità formale e sostanziale della ricetta. 227 I farmaci da banco (anche detti farmaci di automedicazione) sono specialità medicinali registrate, destinate al trattamento di affezioni minori che incidono transitoriamente sullo stato di salute e che sono facilmente identificabili dal paziente stesso. Si tratta di rimedi caratterizzati da un grado di pericolosità molto basso e pertanto possono essere venduti senza presentazione di ricetta medica. 228 Le preparazioni galeniche, ovvero quelle preparate dal farmacista rappresentano circa l’1,5% dell’attività di una farmacia. 117 marginale229, divenendo invece prevalente il ruolo di intermediazione tipico del commerciante. Pertanto, l’esclusiva attribuita al farmacista per la vendita dei medicinali da banco non sembra trovare lo stesso fondamento dell’esclusiva attribuita per la vendita dei medicinali etici. ii) domanda e offerta 4. Relativamente alla domanda, la tabella che segue evidenzia i consumi dei prodotti commercializzati in farmacia negli ultimi anni. Si tratta non soltanto di farmaci (etici e OTC) ma anche di prodotti parafarmaceutici, cosmetici e dietetici per l’infanzia che sono venduti dalla farmacia in concorrenza con altre tipologie di esercizi commerciali. Tabella 1-Valore dei prodotti acquistati in farmacia (migliaia di miliardi). anni 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 etici 17.079 18.623 20.130 19.675 17.827 17.750 18.900 OTC 1.795 1.933 2.150 2.285 3.142 3.590 3.738 altri* 3.387 3.764 3.963 3.854 3.988 3.862 3.910 Totale 22.261 24.320 26.243 25.814 24.957 25.202 26.548 Fonte: elaborazione su dati IMS. *Tra gli altri prodotti venduti in farmacia figurano i parafarmaceutici, i cosmetici, gli omeopatici e i dietetici per l’infanzia. 5. Limitando l’analisi ai dati relativi ai medicinali si osserva che tra questi gli OTC hanno registrato un continuo incremento nel corso degli anni, raggiungendo nel 1996 una quota di mercato di circa il 14%. (Per una maggiore disaggregazione dei dati relativi alla domanda di farmaci si veda inoltre la tabella a1 in appendice). 6. Dal lato dell’offerta, le farmacie attualmente esistenti sono circa 16.000230. Tuttavia i laureati in farmacia che hanno superato l’esame di abilitazione sono circa 56.000. Di essi quindi 16.000 circa sono titolari di farmacia, la maggior parte, 30.000 circa, lavorano presso le farmacie alle dipendenze di altri farmacisti e i restanti prestano la propria opera in altre attività231. 229 Se infatti il farmacista viene riconosciuto come una valida fonte di consiglio per il consumatore nella scelta del prodotto di automedicazione, esistono tuttavia anche altri fattori determinanti quali l’esperienza familiare o individuale; inoltre, il farmacista viene per lo più consultato su specifica richiesta del cliente e in occasione del primo acquisto del prodotto. Pertanto, per quei consumatori già in possesso di tutte le informazioni necessarie per l’impiego di questi prodotti, la consulenza del farmacista non è necessaria. 230 Le farmacie in Italia si dividono in private e comunali. Queste ultime rappresentano circa il 7% del totale, superando il migliaio di esercizi. 231 L’iscrizione all’albo è obbligatoria per i farmacisti che esercitano la propria attività nelle farmacie private (in qualità di titolare, gestore provvisorio, direttore responsabile, collaboratore), nelle farmacie di cui siano titolari enti (in qualità di direttore o collaboratore), nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale in qualità di farmacista dirigente, coadiutore o collaboratore di farmacia interna negli ospedali oppure negli uffici e servizi farmaceutici delle USL; nella produzione di cosmetici, mangimi, fitofarmaci, antiparassitari e presidi sanitari; e, infine nella Croce Rossa Italiana. Le altre attività, invece, tra cui la produzione di materie 118 7. In Italia si è assistito negli ultimi anni ad un aumento delle farmacie esistenti, passate da 14.365 unità nel 1980 a 16.040 nel 1995. Pertanto, nel 1995 si riscontrava la presenza di una farmacia ogni 3.500 abitanti circa. Il rapporto fra popolazione e numero di punti vendita può variare tra le regioni italiane, ma entro limiti non particolarmente ampi, come conseguenza di un sistema di regolamentazione strutturale del settore, di cui si dirà successivamente al punto 16. (Per una disaggregazione regionale dei dati relativi al numero di farmacie e alla loro densità per abitanti si veda la tabella a2 in appendice.) Deve tuttavia essere fin d’ora considerato che, in base ai parametri con cui vengono determinati gli esercizi farmaceutici, i comuni che non superano i 7.500 abitanti non possono avere più di una farmacia232. Appare, quindi, del tutto plausibile ritenere, anche considerando questo solo aspetto, che il numero di esercizi presenti nella maggior parte dei comuni italiani sia inadeguato a soddisfare le esigenze della domanda. Tale considerazione risulta ulteriormente rafforzata quando si consideri che nel giorno di chiusura per turno delle farmacie e nelle ore di chiusura notturna il consumatore è costretto a recarsi in un comune limitrofo, o, in alternativa, se la farmacia effettua servizio a “battenti chiusi” e “a chiamata”, è costretto a riconoscere al farmacista un “diritto addizionale”233. 5.1.2 modalità di accesso all’attività i) accesso al titolo di farmacista 8. Per conseguire il titolo di farmacista sono richiesti i seguenti requisiti: laurea in farmacia o in chimica e tecnologie farmaceutiche, superamento di un esame di abilitazione e iscrizione all’albo professionale. 9. L’esame di abilitazione, indetto con ordinanza del ministro dell’Università e della ricerca scientifica, può essere sostenuto presso una prime farmacologicamente attive; la produzione e il commercio di medicinali per uso veterinario; ecc... non richiedono l’iscrizione all’albo. 232 E ciò implica che circa il 27% della popolazione ha a disposizione una sola farmacia nel proprio comune di residenza. Dai dati ISTAT, relativi al censimento del 1991, risulta che il numero dei comuni fino a 7.500 abitanti è 6.636, con una popolazione complessiva di 15.466.606, mentre il numero complessivo dei comuni in Italia è 8.101, con una popolazione complessiva di 57.332.996. 233 Nella tariffa nazionale dei medicinali, approvata con DM del 18 agosto 1993 è infatti previsto che per le dispensazioni effettuate nelle farmacie durante le ore notturne, dopo la chiusura serale delle farmacie spetta al farmacista un diritto addizionale di L.7.500 e per le dispensazioni durante le ore di chiusura diurna di L.3000. Tali diritti addizionali sono aumentati del 25% per le farmacie rurali sussidiate con arrotondamento pari a L. 9.500 per la dispensazione notturna e per un importo pari a L. 4.000 per la dispensazione diurna. 119 qualsiasi sede universitaria indicata nell’ordinanza ministeriale. I laureati in chimica e tecnologie farmaceutiche per accedervi devono aver effettuato un tirocinio della durata di sei mesi, che invece non è richiesto ai laureati in farmacia. 10. Le commissioni esaminatrici sono costituite con decreto del Ministro della Pubblica Istruzione il quale presceglie i membri da terne designate dal competente ordine professionale. Ogni commissione è composta dal Presidente e da quattro membri appartenenti alle seguenti categorie: professori universitari, direttori di ruolo di farmacie e ospedali, ufficiali superiori farmacisti delle Forze armate in servizio permanente effettivo o in posizione ausiliaria, farmacisti iscritti all’albo con non meno di quindici anni di lodevole servizio professionale. Benché non siano disponibili dati precisi sul rapporto tra candidati agli esami e abilitati, si può ritenere che il numero dei respinti sia molto modesto. 234 ii) accesso al conferimento di un esercizio farmaceutico 11. Al conferimento di un esercizio farmaceutico si può pervenire per concorso, per acquisto tra vivi o mortis causa235. a) acquisizione per concorso 12. Il pubblico concorso rappresenta il normale strumento per ottenere il conferimento di un esercizio farmaceutico resosi vacante (per decadenza o rinuncia del titolare) nonché l'unico modo consentito per il conferimento delle farmacie di nuova istituzione, cioè di quelle che non sono ancora state oggetto d'autorizzazione all'apertura e all'esercizio.236 I requisiti richiesti per la partecipazione al concorso sono i seguenti: cittadinanza in uno Stato membro della comunità; maggiore età; iscrizione all'albo dei farmacisti; non aver compiuto i 60 anni di età.237 13. La composizione della commissione giudicatrice, i criteri per la valutazione dei titoli e l'attribuzione dei punteggi, le prove di esame e le 234 Cfr audizione consiglio nazionale dell’ordine dei farmacisti del 4 luglio 1995. 235 La titolarità di una farmacia può essere inoltre conseguita provvisoriamente attraverso la gestione provvisoria: l’art. 129 del RD 27 luglio 1934 n. 1265 consente ai comuni di dare la gestione provvisoria di una farmacia ai farmacisti senza bandire un concorso, in caso di sospensione o di interruzione di un esercizio farmaceutico, dipendenti da qualsiasi causa e dalle quali sia derivato o possa derivare nocumento all’assistenza farmaceutica locale. Molti farmacisti sono riusciti ad ottenere la titolarità definitiva di una farmacia avuta in gestione provvisoria attraverso leggi di sanatorie (Cfr ad esempio l’art. 14 della legge 362/1991). 236 Al riguardo, l'art. 4 della legge 362/1991 dispone che il conferimento delle sedi farmaceutiche vacanti o di nuova istituzione che risultino disponibili per l'esercizio da parte dei privati abbia luogo mediante concorso per titoli ed esami bandito annualmente dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano. 237 Cfr.art. 4 legge 8 novembre 1991 n. 362. 120 modalità di svolgimento del concorso sono fissati con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri238239. I candidati che risultano vincitori del concorso, indicano, secondo l’ordine di graduatoria, la sede farmaceutica prescelta ai fini dell’assegnazione. b) acquisizione per trasferimento 14. Per le farmacie che non sono di nuova istituzione, l'autorizzazione può essere conseguita anche mediante l'acquisto della farmacia per atto tra vivi o mortis causa. In particolare, sotto il primo profilo, la legge consente il trasferimento della titolarità della farmacia trascorsi tre anni dalla conseguita titolarità.240 Il trasferimento può avere luogo a favore di farmacista che abbia conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente concorso, nonché a favore di farmacista, iscritto all'albo professionale che abbia almeno due anni di pratica professionale, certificata dall'autorità sanitaria competente.241 Il trasferimento delle farmacie è attualmente un fenomeno piuttosto limitato, basti pensare che delle 16.000 farmacie esistenti, negli ultimi 3 anni sono state oggetto di compravendita un numero non superiore a 500. c) acquisizione a titolo di successione 15. Per quanto riguarda l’acquisto della farmacia mortis causa, la legge stabilisce che l’avente causa, qualora sia il coniuge ovvero l'erede in linea retta 238 Cfr.art. 4 legge 8 novembre 1991 n. 362. In particolare la legge prevedeva che tale decreto dovesse essere emanato entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Il regolamento di attuazione tuttavia è stato adottato solo nel 1994 (DPCM 30 marzo 1994 n. 298). Tale regolamento ha previsto procedure più snelle per l’assegnazione delle sedi, in quanto, ferma restando la valutazione dei titoli, ha sostituito le precedenti prove di esame con una prova attitudinale basata su cento domande estratte a sorte fra tremila predisposte ogni due anni dal Ministero della Sanità. Il Ministero peraltro, ha predisposto tali domande solo nell’aprile del 1997, né le commissioni esaminatrici si sono avvalse della facoltà concessa loro dallo stesso decreto di predisporre direttamente le domande per la prova attitudinale nel caso non vi avesse provveduto il Ministero. Pertanto, dal 1991 sono stati espletati solo pochissimi concorsi con il criterio in vigore prima della legge 362/91. Il DPCM 30 marzo 1994, n. 289 all’art. 10 prevedeva infatti che i concorsi per l’assegnazione di sedi farmaceutiche già banditi al momento dell’entrata in vigore delle legge 362/1991 restassero disciplinati dalle disposizioni vigenti alla data di emanazione del bando. 239 La commissione esaminatrice nominata dalla Regione o dalla provincia autonoma è composta da: un professore universitario ordinario o associato con un'anzianità di insegnamento di almeno cinque anni in una delle materie oggetto di esame; due funzionari dirigenti o appartenenti alla carriera direttiva, dipendenti dalla regione o dalla provincia autonoma dei quali almeno uno farmacista; due farmacisti, di cui uno titolare di farmacia e uno esercente in farmacia aperta al pubblico, designati dall'ordine provinciale dei farmacisti. Le funzioni di presidente sono esercitate dal professore universitario o da uno dei due funzionari regionali. 240 Cfr l’art. 12 della legge 2 aprile 1968 n. 475, come modificato dalla legge 362/1991. Il termine era in precedenza fissato a cinque anni. 241 Il trasferimento della titolarità delle farmacie a tutti gli effetti di legge non è ritenuto valido se insieme col diritto di esercizio della farmacia non venga trasferita anche l'azienda commerciale che vi è connessa, pena la decadenza. Il trasferimento del diritto di esercizio della farmacia deve essere riconosciuto con decreto del medico provinciale, come dispone l’art. 12 della legge 2 aprile 1968 n. 475, modificato dalla legge 362/1991. Il comma successivo del medesimo articolo dispone inoltre che il farmacista che abbia ceduto la propria farmacia non possa concorrere all’assegnazione di un altra farmacia se non siano trascorsi dieci anni dall’atto di trasferimento. 121 entro il secondo grado e sia sprovvisto dei requisiti di idoneità, può mantenere la gestione della farmacia fino al compimento del trentesimo anno di età, ovvero, per dieci anni nel caso in cui entro un anno si iscriva ad una facoltà di farmacia in qualità di studente presso un'università statale o abilitata a rilasciare titoli aventi valore legale.242 La possibilità accordata, in caso di morte del titolare, al coniuge ovvero all'erede in linea retta entro il secondo grado, che non abbiano i requisiti di idoneità, di continuare l'esercizio della farmacia per un periodo anche lungo solo iscrivendosi alla facoltà di farmacia attribuisce evidentemente agli eredi una posizione di notevole vantaggio nella fase di accesso all’attività e contribuisce a limitare il numero della farmacie disponibili per l'esercizio da parte di chi abbia i requisiti. Giova inoltre precisare che alle norme sul punto si affiancano anche altre disposizioni comunque volte a tutelare gli interessi economici degli eredi. In particolare, la legge obbliga il farmacista autorizzato all'esercizio di una farmacia che non sia di nuova istituzione a rilevare dal precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico, contenuti nella farmacia e nei locali annessi, nonché a corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi l'indennità di avviamento243. In ogni caso l'azienda farmaceutica può anche formare oggetto di usufrutto o locazione a favore di chi abbia i requisiti per esercitare l'attività. 5.1.3 regolamentazione numerica degli esercizi 16. Come già anticipato, la distribuzione sul territorio delle farmacie è regolamentata per legge. L'autorizzazione ad aprire una farmacia è rilasciata con provvedimento definitivo dell'autorità sanitaria competente per territorio. 244 La vigente legislazione ha adottato il sistema della limitazione numerica delle farmacie autorizzate all'esercizio in ciascun comune sulla base di criteri demografici, geografici e di distanza. Ai sensi della legge 362/1991, il numero delle autorizzazioni è stabilito in modo che vi sia una farmacia ogni 5.000 abitanti nei comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti e una farmacia ogni 4.000 abitanti negli altri comuni. La popolazione eccedente rispetto a tali parametri è computata, ai fini dell'apertura di una farmacia, qualora sia pari ad almeno il 50 per cento dei parametri stessi. Inoltre ogni nuovo esercizio di farmacia deve essere situato ad una distanza dagli altri non inferiore a 200 metri e comunque in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona. La distanza è misurata per la via pedonale più breve tra soglia e soglia delle farmacie.245 242 Dal combinato disposto degli articoli 7, comma 9 e 10 della legge 362/1991 e 12, comma 12, della legge 475/1968. 243Art. 110 T.U sanitario. 244 Art. 1 della legge 8 novembre 1991 n. 362 che ha sostituito l’art. 1 della legge 2 aprile 1968 n. 475. 245 L'art 2 della legge 8 novembre 1991 n. 362 che ha modificato l’art. 104 del RD 27 luglio 1934 n. 1265, prevede poi che le regioni e le province di Trento e Bolzano, quando particolari esigenze dell'assistenza 122 17. L’atto in cui è contenuta la determinazione degli esercizi farmaceutici vacanti o di nuova istituzione da assegnare ai privati vincitori dei pubblici concorsi è la pianta organica. Si tratta di un atto di contenuto programmatico che, in conformità dei criteri stabiliti dalla legge, distribuisce gli esercizi farmaceutici secondo la popolazione e ne determina la dislocazione territoriale. La pianta organica delle farmacie, presente in ogni comune, deve infatti indicare la popolazione del comune, il numero delle farmacie che il comune deve avere, le sedi farmaceutiche, la circoscrizione della zona di ciascuna sede farmaceutica e il numero delle farmacie esistenti. Ai sensi della legge 475/1968 e del DPR 1275/1971, la pianta organica è sottoposta a revisione ogni due anni, in base ai dati relativi alla popolazione residente in ciascun comune nell'anno precedente a quello in cui si procede a revisione246247. 18. Sull’assunzione della titolarità della metà delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica esiste un diritto di prelazione accordato per legge ai comuni.248 Tale prelazione contribuisce certamente a restringere il numero delle farmacie disponibili per l'esercizio da parte di operatori privati e appare del tutto sproporzionata rispetto all’obiettivo di assicurare una distribuzione razionale delle farmacie, il quale potrebbe essere conseguito attraverso l’assunzione da parte dei comuni della titolarità delle sole farmacie che, eventualmente, per le caratteristiche delle zone in cui sono situate, risultassero scarsamente remunerative per i privati. 19. Più radicalmente, si può sin d’ora osservare che l’attuale normativa vincolistica riguardante il rilascio delle autorizzazioni ad aprire una farmacia appare non necessaria al perseguimento di fini di interesse generale, risultando invece sicuramente funzionale alla salvaguardia dei redditi delle farmacie. farmaceutica in rapporto alle condizioni topografiche e di viabilità lo richiedono, possono stabilire in deroga al criterio della popolazione, sentiti l'unità sanitaria locale e l'ordine provinciale dei farmacisti, competenti per territorio, un limite di distanza per il quale la farmacia di nuova istituzione disti almeno 3.000 metri dalle farmacie esistenti anche se ubicate in comuni diversi. Tale disposizione si applica ai comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti e con il limite di una farmacia per comune. 246 Ai sensi dell'art. 5 della legge 362/1991 le regioni e le province di Trento e Bolzano, sentiti il comune e l'unità sanitaria locale competente per territorio, in sede di revisione della pianta organica delle farmacie, quando risultino intervenuti mutamenti nella distribuzione della popolazione del comune o nell'area metropolitana di cui all'art. 17 legge 142/90 anche senza sostanziali variazioni del numero di abitanti, provvedono alla nuova determinazione delle farmacie. 247 Per provvedere ai bisogni dell’assistenza farmaceutica nelle stazioni di cura, il prefetto, sentito il consiglio provinciale di sanità, può autorizzare l’apertura, nelle stazioni stesse, di farmacie succursali, limitatamente ad un periodo dell’anno. L’autorizzazione è conferita in seguito a concorso al quale possono partecipare soltanto i titolari delle farmacie regolarmente in esercizio nel comune, sede della stazione o luogo di cura. Qualora, però nel comune esista un’unica farmacia, è in facoltà del prefetto di concedere l’autorizzazione, senza concorso, al titolare di detta farmacia, oppure di bandire un concorso fra i titolari delle farmacie della provincia. 248 Così stabilisce l’art. 9 della legge 2 aprile 1968 n. 475, il quale prevede altresì che il comune può gestire la farmacia nelle seguenti forme: a) in economia; b) a mezzo di azienda speciale; c) a mezzo di consorzi tra comuni; d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che prestino servizio presso farmacie di cui il comune ha la titolarità. 123 5.1.4 gli standard qualitativi delle prestazioni rese dai farmacisti 20. La regolamentazione dell’attività del farmacista, relativamente al profilo qualitativo, è disciplinata sia dalla legge che dal codice deontologico249 e riguarda sia l’esercizio farmaceutico che i comportamenti del farmacista nell’esercizio dell’attività. Per quanto riguarda le disposizioni normative vigenti, la legge stabilisce che il titolare autorizzato di ciascuna farmacia è personalmente responsabile del regolare esercizio della farmacia stessa e ha l’obbligo di mantenerlo ininterrottamente secondo le norme stabilite dal prefetto di ogni provincia.250 21. Per l’esercizio della propria impresa il farmacista è obbligato a costituire un azienda, deve cioè disporre di un capitale, costituire un fondo di medicinali sufficiente per corrispondere alle richieste del pubblico, provvedersi di un locale idoneo, attrezzarlo con la mobilia, gli apparecchi e gli utensili necessari251252. Il titolare della farmacia deve inoltre curare che nella farmacia si conservino e siano ostensibili al pubblico un esemplare della farmacopea ufficiale ed uno della tariffa ufficiale dei medicinali, che sia conservata copia di tutte le ricette e che i medicinali dei quali la farmacia è provvista non siano né guasti, né imperfetti. 22. Per quanto riguarda i comportamenti del farmacista, il codice deontologico impone al professionista di esercitare la propria attività con dignità e decoro e di aggiornare costantemente le proprie conoscenze scientifiche.253 Le infrazioni al codice deontologico sono valutate sotto il profilo disciplinare dal consiglio direttivo dell’ordine. 5.1.5 le tariffe 249 L’ultima versione del Codice deontologico dei farmacisti è stata emanata dalla federazione ordini farmacisti italiani nel maggio 1997. 250 Cfr art. 119 del RD 27 luglio 1934 n. 1265. 251 Art. 34 r.d. n. 1706. 252 L’autorizzazione all’apertura della farmacia viene data solo previo accertamento dell’idoneità del locale degli arredi e delle provviste medicinali prescritte come obbligatorie dalla farmacopea ufficiale. Cfr. Art. 123 del RD 27 luglio 1934 n. 1265. 253 Inoltre il farmacista deve impartire ai tirocinanti le necessarie istruzioni tecniche e costituire un esempio morale oltre che professionale; deve usare cortesia e disponibilità con i cittadini, prestare loro il soccorso consentito dalla legge, e fornire le opportune delucidazioni e i consigli in maniera riservata circa i medicinali, non può operare alcuna forma di pubblicità né incentivarne le prescrizioni di altri sanitari. Per quanto concerne poi il rapporto con i colleghi, è considerata riprorevole e particolarmente censurabile qualsiasi azione di sleale concorrenza tendente all’accaparramento della clientela ed in particolare il mancato rispetto delle norme sugli orari e turni di servizio, di riposo e di ferie, il praticare sconti sui medicinali, non riscuotere i tickets previsti, nonché l’utilizzo di mezzi tendenti ad esaltare il proprio operato e/o a denigrare l’operato dei colleghi. 124 23. In Italia vige sui farmaci un sistema di prezzi amministrati. Infatti il prezzo dei farmaci è imposto dalla pubblica autorità che determina altresì i margini degli operatori (produttori, grossisti, farmacisti). La regolamentazione riguarda quindi anche il margine di profitto del farmacista.254 24. L’art. 125 del TULS RD n. 1265/1934 dispone che la tariffa nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali debba essere approvata con decreto del ministero della sanità, sentito il parere della federazione nazionale degli ordini dei farmacisti italiani. La tariffa si applica esclusivamente ai medicinali preparati dal farmacista su presentazione di ricetta medica, ovvero su richiesta del paziente ove la ricetta non sia necessaria. La tariffa contempla importi unici ed è vincolante per tutti i farmacisti. 5.1.6 altre forme di regolamentazione i) limitazioni territoriali 25. La farmacia deve essere aperta nella località indicata nel decreto di autorizzazione. L’autorizzazione è valevole solo per detta sede.255 ii) limitazioni all’esercizio 26. La legge prevede che la titolarità debba coincidere con la proprietà dell’esercizio. L’autorizzazione all’esercizio della farmacia è strettamente personale, non può essere ceduta, né trasferita né cumulata con altre256. 27. In Italia una persona fisica può possedere al massimo una farmacia, per cui è esclusa la possibilità di formare delle catene di farmacie257. Le farmacie possono sfruttare i vantaggi derivanti dall’integrazione verticale a monte entrando in qualità di soci nelle cooperative di distribuzione. 28. Per quanto riguarda le modalità di svolgimento dell’attività, gli orari ed i turni delle farmacie sono determinati dal sindaco, in conformità alle norme fissate dal prefetto, il quale deve preventivamente sentire l’ordine dei farmacisti competente.258 254 Sui farmaci di produzione industriale al farmacista spetta un margine del 25,5% sul prezzo di vendita per confezione (al netto di IVA), margine che scende al 22,5% per i farmaci rimborsati dal Servizio sanitario nazionale (fanno eccezione le farmacie rurali sussidiate a cui è attribuito il 24%). Per le forniture da industria a farmacia e per gli acquisti tramite cooperative di farmacie il margine sale al 33%. Anche per il grossista vale il metodo a percentuale fissa: il 7,5% sul prezzo di vendita al pubblico (al netto di IVA). 255 Cfr. Art 109 Rd 27 luglio 1934 n. 1265. 256 Art. 112 TU sanitario. 257Art.112 TU sanitario. 258 Ai sensi del combinato disposto degli artt. 119 TULS e 29 RD n. 1706/1938. Analoghe norme sono contenute in tutta la legislazione regionale in materia che, oltre a disporre che l’ordine venga sentito per tutto quanto concerne gli orari ed i turni delle farmacie, prevede anche un potere propositivo dell’ordine per la fissazione dei turni e delle ferie annuali. 125 29. Un ulteriore limite è stabilito dal codice deontologico che consente al titolare o direttore di farmacia a particolari condizioni e per particolari soggetti, di aderire ad iniziative generalizzate di consegna dei medicinali a domicilio, solo con l’assenso dell’ordine di appartenenza.259 Da ciò è agevole desumere che una farmacia non potrebbe intraprendere singolarmente l’iniziativa di svolgere il servizio a domicilio. iii) limiti all’organizzazione in forma societaria 30. La legge prevede che per le farmacie private260 l’organizzazione dell’attività in forma societaria possa avvenire solo nelle forme della società di persone e società cooperative a responsabilità limitata.261 31. Le società devono avere come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia e possono essere soci solo farmacisti iscritti all'albo della provincia in cui la società ha sede, in possesso del requisito dell'idoneità.262 La direzione della farmacia gestita dalla società è affidata ad uno dei soci che ne è responsabile e ciascun farmacista può partecipare ad una sola società. Al fine di evitare che l’accesso di società alla titolarità di farmacia abbia intenti speculativi a scapito del contenuto professionale dell’esercizio di farmacia il legislatore ha previsto che una società può essere titolare dell'esercizio di una sola farmacia e ottenere la relativa autorizzazione purché la farmacia sia ubicata nella provincia ove ha sede legale la società. Tale intento è confermato dalla possibilità consentita a ciascun farmacista di partecipare ad una sola società.263 iv) incompatibilità 259 Cfr. art. 14 del Codice deontologico. 260 Per quanto riguarda le farmacie comunali, la legge invece consente la gestione delle stesse a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità (Cfr. articolo 10, lettera d) della legge n. 362/91). 261 Tale possibilità è stata introdotta dalla legge n. 362/1991 il cui art. 7 stabilisce che “la titolarità dell’esercizio della farmacia privata è riservata a persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, a società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata che gestiscano farmacie anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”. 262 Lo statuto delle società che gestiscono farmacie ed ogni successiva variazione dello stesso, devono essere comunicati, fra gli altri, alla federazione nazionale degli ordini dei farmacisti italiani e all'ordine dei farmacisti della Provincia (articolo 8 della legge n. 362/1991). 263 Cfr art, 7, comma 6 della legge n. 362/1991. 126 32. La normativa in vigore vieta a chi esercita la farmacia di esercitare altresì altra professione o arte sanitaria264. Inoltre il titolare di una farmacia ed il direttore responsabile non possono ricoprire posti di ruolo nella amministrazione dello Stato, compresi quelli di assistente e titolare di cattedra universitaria, e di enti locali o comunque pubblici, né esercitare la professione di propagandista di prodotti medicinali.265 33. La legge stabilisce incompatibilità più severe a cui sono soggetti i soci di una società per la gestione di una farmacia, derivanti dall’intento del legislatore di costringere il socio della società titolare di farmacia a dedicarsi a tempo pieno alla gestione dell’esercizio. Al riguardo la partecipazione alle società, salvo il caso di acquisizione a titolo di successione, è incompatibile: a) con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco; b) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia; c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato.266 34. Il regime di maggior severità con cui è trattato il socio rispetto alla persona fisica titolare di farmacia appare tuttavia incongruo, in quanto i casi di incompatibilità previsti per il socio non tengono conto del fatto che, contrariamente a quanto avviene per il titolare persona fisica, non essendo a questi deputata l’intera gestione dell’esercizio ben potrebbe attendervi a tempo parziale e quindi cumulare tale attività con altre che non siano oggettivamente incompatibili. La norma può costituire un ostacolo all’accesso alla società soprattutto per i più giovani che non hanno i capitali per abbandonare altre occupazioni ed investire in società di farmacia con l’aspettativa di trarne un utile sufficiente.267 v) il divieto di pubblicità 35. La legge 5 febbraio 1992 n. 175 reca disposizioni in materia di pubblicità sanitaria. In particolare la legge consente di effettuare pubblicità attraverso inserzioni sugli elenchi telefonici, previa autorizzazione del sindaco.268 264 L’art 102 del RD 27 luglio 1934, n. 1265 dispone che “il conseguimento di più lauree e diplomi dà diritto all’esercizio cumulativo delle corrispondenti professioni o arti sanitarie, eccettuato l’esercizio della farmacia che non può essere cumulato con quello di altre professioni o arti sanitarie.” 265 Cfr art. 13 della legge 475/68. 266 Cfr. art. 8 legge n. 362/1991. 267 Le disposizioni sulla incompatibilità fanno salvi i casi in cui l’acquisizione della partecipazione nella società avvenga a titolo di successione oppure il caso in cui chi sia già socio di detta società acquisisca per eredità la gestione provvisoria di altra farmacia. In tali casi, l’erede che verrà a trovarsi per successione in una delle situazioni di incompatibilità elencate potrà giovarsi dei termini previsti al comma 9 dell’art. 7 per sciogliere il nodo dell’incompatibilità rinunciando alla partecipazione oppure al ruolo con essa incompatibile. 268 E’ previsto che le domande intese ad ottenere l’autorizzazione ad effettuare la pubblicità concernente l’esercizio della professione sanitaria siano inoltrate tramite l’ordine professionale, il quale trasmette la domanda al sindaco con il proprio nulla osta, previa verifica dell’osservanza delle disposizioni previste dalla 127 36. Alle disposizioni legislative in materia pubblicitaria vigenti per tutte le professioni sanitarie, si aggiungono poi le norme deontologiche emanate dall’ordine, contenute nel Regolamento della pubblicità approvato dal consiglio nazionale della federazione nazionale degli ordini dei farmacisti, che ha lo scopo di assicurare che la pubblicità venga realizzata come servizio per l’informazione del pubblico. Ai sensi del Regolamento è vietata la pubblicità riferita alla capacità professionale del singolo farmacista espressa mediante qualsiasi mezzo269, mentre è consentito di rendere noti al pubblico dati ed elementi conoscitivi relativi ai servizi prestati, alle attività svolte, ai reparti presenti nella farmacia.270 Inoltre, in qualsiasi tipo di informazione diffusa tramite mass-media che indirettamente possa avere effetti promozionali della farmacia e del farmacista è vietata l’indicazione dell’indirizzo della farmacia o elementi che ne possano permettere l’individuazione.271 37. Alcune norme deontologiche contenute nel Regolamento appaiono superflue rispetto all’esigenza di evitare la sollecitazione della domanda di farmaci. Tra queste ad esempio il divieto di effettuare una differenziazione tipografica degli annunci e la circostanza che anche le informazioni riguardanti esclusivamente la ragione sociale e l’indirizzo della farmacia devono essere stessa legge. La medesima legge consente al Ministro della sanità e agli ordini professionali di richiedere ai responsabili delle reti radiofoniche e televisive il testo integrale dei comunicati, interviste, programmi e servizi concernenti argomenti medici o di interesse sanitario trasmessi dalle reti medesime, le quali sono tenute a fornire quanto richiestogli. Agli ordini è data la possibilità di promuovere ispezioni presso gli studi professionali. 269 In particolare, ai sensi dell’art. 1 del Regolamento è vietato ogni atto di propaganda volto alla sollecitazione della domanda di medicinali con o senza obbligo di prescrizione medica o veterinaria, compresi i medicinali per automedicazione al di fuori della pubblicità autorizzata dal Ministero della sanità. E’ comunque vietato associare in comunicati commerciali ed in iniziative promozionali ai prodotti farmaceutici ovunque pubblicizzati la ragione sociale e la ditta della farmacia, il nome del farmacista e l’indirizzo della farmacia. E’ vietato ogni atto di propaganda o comunque promozionale volto all’accaparramento della clientela. 270 L’art. 2 dispone che dette informazioni devono rigorosamente essere esenti da enfatizzazioni ottenute mediante aggettivazioni, immagini, simboli, diciture e qualunque altro mezzo, avendo riguardo in particolare alla esclusione di comparazioni e del vanto di risultati conseguibili. L’articolo 3 dispone poi che gli annunci informativi di cui all’articolo 2 possono essere diffusi esclusivamente mediante alcuni mezzi di comunicazione: le insegne; cartelli indicatori anche in forma di freccia direzionale (che possono essere installati esclusivamente nell’ambito territoriale della sede farmaceutica di pertinenza prevista nella pianta organica); annuari, elenchi telefonici ( nei quali l’inserzione può essere effettuata esclusivamente nel comune di ubicazione della farmacia), pagine gialle, guide cittadine, guide sanitarie (nelle quali i testi devono essere stampati escludendo qualsiasi differenziazione tipografica tra le diverse farmacie e possono recare solo indicazioni relative al nome, alla ragione sociale all’indirizzo, al recapito telefonico e agli orari di apertura della farmacia, né devono contenere riquadri o sottolineature, grafici, figure o simboli particolari); carta da banco, buste, sacchetti portalibretti, contenitori in genere e calendari; sistemi audiovisivi e informatici. L’articolo 5 vieta poi l’esposizione di qualunque comunicazione relativa alla singola farmacia negli studi, ambulatori medici e veterinari, cliniche e strutture sanitarie in genere nonché vieta tassativamente l’esposizione nella farmacia di qualsiasi comunicazione relativa a studi, ambulatori medici e veterinari, cliniche e strutture sanitarie in genere. La farmacia inoltre non può autorizzare né consentire la menzione della propria ragione sociale in comunicati commerciali di aziende. 271 Cfr. articolo 4 del Regolamento. 128 circoscritte all’ambito territoriale di propria competenza. Tali norme sembrano invece più strettamente connesse all’obiettivo di limitare la concorrenza tra esercizi farmaceutici che potrebbe dispiegarsi non solo con riguardo alla qualità del servizio ma anche con riferimento al settore dei prodotti parafarmaceutici. vi) circolazione in ambito comunitario 38. Il Decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 258 ha dato attuazione alle direttive CEE n. 85/432 e 85/433 in materia di formazione e diritto di stabilimento dei farmacisti. In base a tale decreto per ottenere, mediante l’iscrizione all’albo, l’autorizzazione all’esercizio della professione di farmacista è necessario presentare una domanda, corredata dalla relativa documentazione al Ministero della sanità, il quale, accertata la regolarità della domanda e della documentazione, entro due mesi dal ricevimento, trasmette gli atti al competente ordine provinciale dei farmacisti. Quest’ultimo entro un mese completa la procedura per l’iscrizione. I farmacisti iscritti ad un ordine provinciale italiano che si trasferiscono in un altro paese membro delle comunità europee possono, a domanda, conservare l’iscrizione all’ordine stesso. 5.1.7 confronto internazionale 39. Il sistema distributivo al dettaglio dei farmaci varia considerevolmente nei Paesi dell’Unione Europea. In Belgio, Danimarca, Francia, Spagna, Grecia, Italia, Portogallo e Lussemburgo il farmacista mantiene il monopolio completo della distribuzione dei farmaci. Viceversa in altri Paesi, quali Germania, Olanda e Regno Unito la vendita dei farmaci da banco è autorizzata anche in altri esercizi. In particolare mentre in Germania il monopolio non sussiste solo su un sottogruppo di farmaci da banco (erbe medicinali, antisettici, lassativi, prodotti contro la tosse, ecc...), nel Regno Unito le farmacie hanno il monopolio di vendita esclusivamente sui farmaci etici e su un modesto gruppo di medicinali vendibili senza prescrizione. 40. Attualmente in Portogallo, Spagna, Francia e Belgio oltre che in Italia, esistono delle norme che legano l’apertura di nuove farmacie al verificarsi di determinate condizioni demografiche e/o di area geografiche, mentre in altri Paesi, Regno Unito, Irlanda, Germania e Paesi Bassi, l’entrata e la localizzazione delle farmacie è libera. 41. La tabella che segue mostra i diversi sistemi adottati in alcuni Paesi europei, nonché il rapporto abitanti per farmacia in ognuno di essi. 129 Tabella 2 - Sistemi adottati per l’apertura delle farmacie in alcuni Paesi UE Nazione abitanti per sistema Monopolio su Spesa farmacia OTC farmaceutica pro-capite (lire) Paesi Bassi 10.113 libero no 448.758 Regno Unito 4683 libero no 335.293 Germania 3821 libero no 616.221 Portogallo 3.990 vincolato si non disponibile Italia 3.668 vincolato si 341.870 Irlanda 2.835 libero no non disponibile Spagna 2.141 vincolato si 332.190 Francia 2.589 vincolato si 716.614 Belgio 1.941 vincolato si 573.526 Fonte: dati IMS, 1996 E’ interessante notare che l’Italia si caratterizza per un numero di abitanti per farmacie sensibilmente superiore a quello rinvenibile in tutti gli altri Paesi a regime vincolato, ad eccezione del Portogallo. Né al riguardo vale la considerazione che nei Paesi con libertà di entrata, quali l’Olanda e il Regno Unito, tale parametro è più sfavorevole che in Italia. Occorre infatti considerare che in tali Paesi è possibile acquistare medicinali da banco anche presso altri punti vendita di cui detto parametro non tiene conto. Dalla tabella emerge inoltre che non esiste una relazione diretta tra il regime, monopolistico o libero, adottato con riferimento agli OTC e il consumo di farmaci, dal momento che alcuni dei Paesi dove si registra un maggior consumo di medicinali sono tra quelli che impongono il monopolio, altri tra quelli a regime libero. 42. La tabella che segue confronta le diverse normative vigenti in Italia, Francia, Germania e Regno Unito, con riguardo alla regolamentazione strutturale dell’entrata, all’area di riserva e all’indivisibilità della titolarità connessa alla proprietà della farmacia. 130 Tabella 3 - Sistemi normativi vigenti in Italia, Francia, Germania e Regno Unito ITALIA FRANCIA GERMANIA REGNO UNITO si si no no Pianta organica Proprietà farmacie Monopolio vendita farmaci Farmacista, con Farmacista, con Farmacista, con sola sola una una sola una farmacia farmacia farmacia si si alcuni farmaci da banco Qualunque persona fisica e giuridica no farmaci da banco 43. In Francia, la pianta organica delle farmacie viene stabilita in funzione del numero di abitanti. Tuttavia un regime derogatorio permette al prefetto o al Ministero della sanità di autorizzare l’apertura di farmacie in sovrannumero in funzione dei reali bisogni della popolazione. Per quanto riguarda i prodotti, l’87% del fatturato delle farmacie francesi è costituito dalla vendita di specialità medicinali, mentre il 13% è ottenuto dalla vendita di prodotti parafarmaceutici. Con riguardo a questi ultimi la maggior fonte di concorrenza è rappresentata da catene specializzate di punti vendita al dettaglio. I supermercati non mostrano ancora molto interesse per la vendita del parafarmaco. 44. La normativa in vigore in Germania consente la libera apertura di nuove farmacie sul territorio. L’intervento statale è circoscritto alla concessione di incentivi per l’apertura di farmacie in aree rurali a scarsa densità di popolazione. Regole più rigide sono previste per la titolarità dei punti vendita: il farmacista infatti deve essere proprietario della farmacia che gestisce direttamente e il titolare non può possedere contemporaneamente più di una farmacia. In Germania le farmacie non detengono il monopolio assoluto della vendita di medicinali da banco. La loro distribuzione finale è infatti caratterizzata dalla presenza di drugstores che affiancano all’offerta di prodotti parafarmaceutici quella di alcune tipologie di OTC. Nella linea completa di prodotti farmaceutici presenti sul mercato tedesco, circa il 37-40% è rappresentato da prodotti vendibili liberamente mentre il restante 60% costituisce il monopolio della farmacia. E’ interessante osservare che il fatturato delle farmacie tedesche è rappresentato quasi esclusivamente da farmaci etici e da banco che rappresentano oltre il 90% del valore e della quantità venduta. Lo scarso fatturato realizzato su alcuni prodotti parafarmaceutici viene spiegato dalla forte concorrenza esercitata dai supermercati e dagli altri punti vendita territoriali. 45. Nel Regno Unito non esistono limiti di alcun genere per l’apertura di farmacie. 131 Contrariamente a quanto avviene nella maggior parte dei Paesi europei, nel Regno Unito è sempre stato consentito alle società di capitali di divenire proprietarie di una farmacia il che ha permesso la nascita di vere e proprie catene di farmacie. Infatti delle 12.000 farmacie esistenti, 3000 sono controllate dalle due maggiori catene (Boots e Lloyds) 4000 fanno capo a piccole catene, 4.500 sono indipendenti e circa 500 sono incluse in supermercati (in store). E’ una caratteristica diffusa fra le catene di farmacie di una certa dimensione quella di offrire al pubblico delle linee OTC con il proprio marchio e con prezzi inferiori a quelle dei concorrenti più conosciuti. Non è quindi sorprendente il fatto che la vendita di specialità etiche rimborsabili rappresenti solamente il 55% del fatturato nelle catene di farmacie, contro il 70% delle farmacie indipendenti. In generale comunque, per le farmacie inglesi la vendita di prodotti da banco ha un peso assai rilevante rispetto ad ogni altro paese comunitario. In Inghilterra infine i due distributori di maggiori dimensioni (AAH e Unichem) si sono anche integrati a valle: gestiscono e concedono in franchising oltre 200 farmacie ciascuno, in prevalenza a giovani farmacisti che non dispongono di mezzi finanziari per diventare titolari. Una particolarità del sistema britannico consiste nel fatto che anche i medici di base possono, in determinate condizioni dispensare i farmaci etici alla popolazione.272 Il fenomeno raggiunge proporzioni piuttosto significative se si pensa che nella sola Inghilterra il 14% dei medici di base dispensa farmaci a circa tre milioni di persone e che l’8% delle prescrizioni passa attraverso questo canale. 5.1.8 conclusioni 46. La tabella che segue sintetizza quanto precedentemente esposto con riguardo alla regolamentazione dell’attività, riservata e non svolta dai farmacisti. 272 Una norma del 1974 stabilisce che il paziente può rivolgersi al proprio medico di base per la dispensazione dei farmaci nel caso in cui sussistano le seguenti condizioni: il paziente abita in una zona rurale ad una distanza superiore ad un miglio (circa 1,6 chilometri) dalla più vicina farmacia ed incontri oggettive difficoltà a raggiungerla ;il medico di base curante ha ottenuto il permesso di dispensare farmaci all’interno della zona in cui il paziente risiede. 132 Tabella 4. -Principali forme di regolamentazione dell’attività del farmacista entrata standard di qualità tariffe altre forme di minima del servizio regolamentazione requisiti relativi alla margini prefissati sui divieto di pubblicità requisiti soggettivi prezzi amministrati limiti territoriali a) cittadinanza farmacia limiti all’esercizio b) laurea in farmacia obbligo di fornirsi dei dei farmaci. unica e incompatibilità o chimica e tecno- medicinali e di Tariffa logie attrezzare un locale in inderogabile per le preparazioni galenifarmaceutiche modo idoneo che. c) esame di abilitazione d) concorso, acquisizione per trasferimento o a titolo di successione vincoli oggettivi requisiti relativi ai determinazione del rapporti con la numero delle sedi clientela farmaceutiche obbligo di esercizio continuativo della farmacia e rispetto degli orari e dei turni 47. La complessità del regime giuridico della farmacia nel nostro ordinamento dipende dall’intersecarsi dei diversi profili esaminati, nonché dalla natura stessa del servizio farmaceutico. L’attività farmaceutica investe infatti aspetti di interesse pubblico, in quanto la sua efficienza e la sua diffusione sono essenziali per la cura della salute pubblica e costituiscono un elemento dell’assistenza sanitaria. D’altro lato, l’esercizio scorretto dell’attività è suscettibile di creare gravi situazioni di pericolo e di danno. Da ciò discende una stringente vigilanza amministrativa sull’esercizio delle farmacie accompagnata da un particolare e limitativo regime giuridico. Tuttavia, la circostanza che il servizio farmaceutico sia un’attività involgente interessi pubblici non influisce sulla sua natura di attività privata, con profili professionali ed imprenditoriali connessi, esercitata da soggetti privati, sotto vigilanza pubblica. 48. I molteplici strumenti di regolamentazione del settore meritano alcune considerazioni riguardanti per un verso la loro effettiva necessità al fine di tutelare l’interesse pubblico che riveste l’attività del farmacista, e per l’altro la loro idoneità a determinare restrizioni concorrenziali. Al riguardo occorre innanzitutto considerare l’ampiezza della riserva di legge a favore dei farmacisti che include la vendita di medicinali da banco. L’eliminazione del monopolio dei farmacisti su questa tipologia di medicinali e la conseguente possibilità di acquistarli anche attraverso altri canali quali la grande distribuzione sarebbe di tutto vantaggio per il 133 consumatore, che potrebbe avere un più facile accesso a questi prodotti nonché concentrare i propri acquisti. A favore di tale regime di riserva viene generalmente avanzata la preoccupazione che la liberalizzazione delle vendite degli OTC possa comportare una maggiore diffusione del consumo di farmaci, sia a causa della riduzione inevitabile dei prezzi, sia a causa della maggior facilità di accesso. Al riguardo va osservato che è innegabile che un prezzo inferiore riduca le resistenze di ordine economico all’acquisto di un prodotto, soprattutto nel caso di prezzi particolarmente elevati e di disponibilità del consumatore ad espandere il consumo. Nel caso di specie non sembrano tuttavia verificarsi tali condizioni, dal momento che il presupposto per l’assunzione di un farmaco è sempre la presenza di un disturbo. Studi sui farmaci OTC condotti nei Paesi dove i consumatori possono acquistare questi farmaci in canali diversi dalla farmacia non hanno riscontrato un aumento del consumo di farmaci. Al riguardo esemplificativa è la situazione olandese, ove la quota prevalente dei farmaci di automedicazione è distribuita dai druggist ma al contempo non si registra un livello elevato di ricorso ai medicinali (vedi al riguardo la tabella 2). 49. Contro la liberalizzazione dei farmaci OTC si argomenta inoltre che potrebbe verificarsi una riduzione del margine complessivo del farmacista273 e quindi una riduzione degli esercizi farmaceutici, con la conseguenza di privare la società di un importante servizio professionale consistente nell’attività di consiglio su questi prodotti, con ripercussioni negative anche sulla capillarità della distribuzione dei farmaci etici. Al riguardo va sottolineato che non è sufficiente l’esistenza di un monopolio di vendita per assicurare che il farmacista fornisca effettivamente al cliente quel servizio informativo e di garanzia per fornire il quale è necessario acquisire una specifica professionalità, soprattutto in riferimento ai farmaci di automedicazione. Al contrario, l’esistenza di canali alternativi alla farmacia per i medicinali OTC può servire da stimolo affinché i farmacisti effettivamente mettano a disposizione del cliente la propria professionalità in materia farmacologica, rendendo un servizio che il cliente non trova negli altri punti vendita e che quindi può rappresentare un elemento di forza e differenziazione rispetto ad altre forme distributive. Inoltre, la preoccupazione che la liberalizzazione dei prodotti OTC, possa dare luogo ad una riduzione del loro numero deve ritenersi del tutto infondata. Le specialità di automedicazione infatti rappresentano una quota molto limitata del fatturato delle farmacie e sono solamente i farmaci di uso più comune e che non necessitano di un complesso bagaglio informativo per un uso corretto ad essere appetibili per gli altri canali di vendita e in particolare per la grande distribuzione. Non sembra quindi verosimile che la perdita di fatturato delle farmacie sulle vendite dei 273 Se è vero infatti che la vendita dei farmaci OTC rappresenta una parte poco significativa rispetto alle vendite di medicinali etici è pur vero che essa consente di ottenere un incasso immediato, in quanto non rimborsabili da parte dello Stato, nonché un margine commerciale più elevato. 134 medicinali di automedicazione sia idonea a determinarne la chiusura e possa quindi vanificare i vantaggi della liberalizzazione. 50. L’offerta di una combinazione prodotto-servizio particolarmente vicina alle esigenze del cliente potrebbe invece rendere il farmacista un interlocutore privilegiato sia per l’industria, la quale continuerebbe a prediligere questo canale per alcuni farmaci che necessitano di un maggiore supporto informativo nell’acquisto, sia per il consumatore che troverebbe naturale ricorrere al farmacista quando avverte la necessità di una particolare assistenza.274 Una simile prospettiva porterebbe alla valorizzazione del ruolo del farmacista come consulente della salute, riducendo quella, oggi prevalente, di intermediario commerciale, potendo inoltre condurre alla trasformazione delle farmacie da semplice esercizio commerciale a struttura in grado di fornire al cittadino una serie di servizi sanitari di facile esecuzione275, diretti soprattutto all’attività di prevenzione, per i quali la professionalità del farmacista diventerebbe insostituibile e prevalente rispetto a quella di imprenditore commerciale. In definitiva l’ampiezza della riserva a favore del farmacista appare sproporzionata rispetto all’obiettivo di tutelare la salute pubblica, e invece risulta suscettibile di restringere ingiustificatamente la concorrenza tra canali di vendita. 51. Un altro strumento attraverso il quale si intende tutelare l’interesse pubblico, diretto in questo caso a garantire una razionale distribuzione delle farmacie sul territorio nazionale, è rappresentato dalla determinazione di un numero massimo di sedi farmaceutiche sul territorio nazionale. Tale obiettivo, tuttavia, appare poter essere più coerentemente perseguito attraverso la previsione di un numero minimo di farmacie esistenti sul territorio nazionale, anziché con la previsione di un numero massimo di farmacie rapportato alla popolazione. La trasformazione dell’attuale numero massimo di farmacie in numero minimo, tutelerebbe l’interesse pubblico ad una efficiente distribuzione senza impedire l’accesso ai potenziali nuovi entranti. Inoltre, in un siffatto assetto regolamentativo i Comuni, anziché, come accade attualmente, sottrarre con la prelazione esercizi farmaceutici alla attività privata, potrebbero intervenire assicurando il servizio nelle zone rimaste scoperte a causa della mancanza di un interesse da parte dei privati. 274 La conferma a questo ragionamento viene fornita dall’esempio inglese ove, pur essendo presenti altri canali distributivi in concorrenza con la farmacia, le farmacie mantengono una consistente quota di mercato e risultano essere il punto vendita privilegiato dal consumatore in occasione del primo acquisto del prodotto, che è quello per il quale la competenza del farmacista è più necessaria per sopperire all’inesperienza del consumatore. 275 Si tratta di tutte quelle prestazioni per le quali i cittadini tendono a rivolgersi ad essa (misurazione della pressione, iniezioni, analisi, medicazioni, informazioni su centri di pronto soccorso e sul funzionamento del servizio Sanitario nazionale, noleggio di apparecchiature sanitarie). 135 52. La limitazione dell'offerta di farmacie generata dalla normativa vigente in presenza di un numero elevatissimo di potenziali entranti, determina invece un evidente svantaggio per il consumatore, il quale, qualora fosse consentita la libertà di entrata nel settore, potrebbe godere di una più ampia possibilità di scelta di punti vendita, nonché probabilmente di un miglioramento del servizio offerto, stimolato da una situazione più concorrenziale. D’altra parte l’inadeguatezza dell’attuale sistema di determinazione del numero delle farmacie a soddisfare le esigenze della domanda è dimostrata dal fatto che attualmente un numero molto elevato di persone ha a propria disposizione un unico esercizio nel comune di residenza e, pertanto, nel giorni e negli orari di chiusura dello stesso incorre nel disagio di doversi recare in un comune limitrofo. 53. La scarsità di esercizi farmaceutici disponibili rispetto alla domanda dei potenziali entranti è determinata non solo dal razionamento delle autorizzazioni all'apertura di una nuova farmacia, ma anche dalla disciplina dei trasferimenti mortis causa. Tutto ciò determina un innalzamento del costo che un nuovo entrante deve sopportare qualora desideri acquistare il diritto ad esercitare la farmacia da un soggetto già operante sul mercato. Inoltre, un limite di carattere oggettivo caratterizza la disciplina del trasferimento delle farmacie, consistente nel consentire il trasferimento solo dopo che siano decorsi tre anni dal conseguimento della titolarità. In sostanza l'insieme di questi fattori contribuisce ad impedire che si crei una maggiore offerta di esercizi farmaceutici sul mercato e che l'acquisizione per trasferimento possa surrogare il pubblico concorso. 54. Infine, i numerosi limiti posti all’attività del farmacista, quali, il divieto di pubblicità, i vincoli relativi agli orari e ai turni non sembrano in realtà rappresentare gli strumenti più efficaci di tutela del consumatore. Sotto il primo profilo, infatti, alcune norme non consentono al consumatore di avere accesso a tutte le informazioni necessarie per effettuare una valutazione sulla convenienza tra i diversi esercizi farmaceutici, che, come ricordiamo, commercializzano molti prodotti e servizi che sono a prezzo libero; sotto il secondo profilo, si fa presente che se gli orari e i turni fossero effettivamente diretti a garantire la continuità di un servizio di interesse pubblico, quale è quello della vendita dei medicinali, la loro obbligatorietà dovrebbe essere circoscritta ad orari e turni minimi e non fissi. In verità, l’attuale sistema non consente al consumatore di poter usufruire agevolmente del servizio in orari diversi da quelli stabiliti. 55. D’altra parte gli standard previsti dalla legge nonché i controlli previsti sull’attività del farmacista sembrano rappresentare un insieme di misure idonee a garantire prestazioni di livello adeguato nonché a tutelare l’interesse della salute pubblica. L’applicazione di ulteriori misure non sembra apportare benefici incrementali in termini di qualità ai consumatori, che, anzi, si vedono 136 privati dei vantaggi che deriverebbero loro dalla concorrenza tra farmacie e tra farmacie e altri esercizi commerciali. 137 5.2 I medici principali riferimenti normativi Dlcps 13 settembre 1946, n. 233, d.p.r. 5 aprile 1950, n. 221, legge 24 luglio 1985, n. 409 <Organizzazione e competenze della federazione nazionale e degli ordini delle professioni sanitarie>, legge 8 dicembre 1956, n. 1378 <Accesso alla professione di medico chirurgo> e decreto del Ministro della Pubblica istruzione 9 settembre 1957 recante <Regolamento per l'accesso alla professione di medico chirurgo> e decreto del Ministro della Pubblica Istruzione recante <Regolamento per l'accesso alla professione degli odontoiatri>, legge 24 luglio 1985, n. 409 <Istituzione della professione sanitaria di odontoiatra>, legge 5 febbraio 1992, n. 175 <Norme in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie>. 5.2.1 la professione medica i) tipologie e caratteristiche 56. Il medico è un professionista abilitato ad esplicare assistenza sanitaria in funzione di prevenzione, diagnosi e cura. I compiti professionali dei medici si ricavano non tanto da una elencazione, che difetta, quanto da un criterio finalistico, secondo cui al medico spetta formulare la diagnosi, la prognosi, la terapia o curare la salvaguardia delle condizioni igieniche. Le attività necessarie per raggiungere questi obiettivi contribuiscono a definire l’ambito di competenza del medico. Il criterio finalistico concorre con quello derivante dalla serie degli insegnamenti impartiti in ambito universitario per il conseguimento della laurea necessaria all’esercizio dell’attività. Vi sono settori di attività rispetto ai quali vi è una concorrente competenza di altre professioni, quali ad esempio di biologi e chimici per quanto concerne gli esami di laboratorio; di fisici, nell’utilizzo di sostanze nucleari; di psicologi nell’esercizio della psicoterapia. 57. Per quanto riguarda la professione di odontoiatra, la legge dispone che formano oggetto di tale professione le attività inerenti alla diagnosi ed alla terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione e alla riabilitazione odontoiatriche.276 ii) domanda e offerta 276 Cfr art. 2 della legge 24 luglio 1985 n. 409. 138 58. Relativamente alla struttura dell’offerta, gli iscritti all'albo dei medici chirurghi alla data del 31/12/1994 erano 308.440. Gli iscritti all'albo degli odontoiatri alla stessa data erano 33.843. I medici di medicina generale attivi nel 1995 erano 59.196; i medici specialisti 188.837 e, infine i medici dipendenti 96.235. 59. La tabella che segue espone l’evoluzione del numero degli iscritti all’ordine negli ultimi trent’anni, evidenziando come in tale periodo se ne sia registrato un notevole incremento, di oltre il 200 per cento. Tabella 1 - Evoluzione del numero degli iscritti all’ordine dei medici Periodo n. iscritti all’albo al 31/12/1964 82.112 al 31/12/1974 114.244 al 31/12/1984 226.404 al 31/12/1994 308.440 Fonte: federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. 60. L’offerta di medici sul territorio nazionale è molto elevata. In Italia, nel 1994 il rapporto medici/popolazione era di un medico ogni 185 abitanti e di un dentista ogni 1.800. La successiva tabella evidenzia l’evoluzione del rapporto medici/popolazione verificatosi negli ultimi anni (per una disaggregazione del rapporto abitanti/medici per regioni si veda la tabella b1 in appendice): Tabella 2 - Evoluzione del rapporto abitanti/medici in Italia Anni Popolazione/m edici 1966 581 1970 561 1975 448 1980 318 1986 233 1990 198 1994 185 Fonte: federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi 139 5.2.2 modalità di accesso alla professione di medico-chirurgo e di odontoiatra 61. Per esercitare la professione di medico-chirurgo è necessario essere laureati in medicina e chirurgia, avere compiuto il tirocinio di pratica ospedaliera per la clinica medica, la clinica chirurgica e la clinica ostetricoginecologica, nonché aver superato l’esame di Stato per l'esercizio della professione di medico-chirurgo ed essersi iscritti all’albo professionale degli ordini provinciali dei medici chirurghi e odontoiatri. L’iscrizione all’albo è obbligatoria anche per i dipendenti pubblici277. Per l’assunzione della qualifica di specialista, il medico deve conseguire, successivamente alla laurea, il diploma in una scuola di specializzazione universitaria. Il numero degli specialisti da formare è stabilito ogni tre anni con Decreto del Ministro della Sanità in base alle esigenze sanitarie del paese, tenuto conto delle capacità ricettive delle strutture universitarie. In relazione a tale programmazione il Ministro dell’Università determina il numero dei posti per ciascuna scuola278. Per l’ammissione alle scuole di specializzazione viene stilata una graduatoria in base al superamento di un esame e alla valutazione dei titoli. 62. Ugualmente gli odontoiatri possono esercitare la professione dopo aver conseguito la laurea in odontoiatria, aver superato l’esame di abilitazione ed essersi iscritti all’albo professionale degli ordini provinciali dei medici chirurghi e odontoiatri. Al riguardo, esistono diverse proposte di legge in Parlamento volte all’approvazione di una legge che istituisca un albo e un ordine degli odontoiatri distinto da quello dei medici279. 63. Per quanto riguarda la professione di odontoiatra, in seguito alla creazione di uno specifico corso di laurea280, è stato istituito accanto all’albo dei medici chirurghi, all’interno di un unica federazione nazionale, l’albo degli odontoiatri, al quale possono essere iscritti i laureati in odontoiatria, in possesso della relativa abilitazione all’esercizio professionale, conseguita a seguito del superamento di un apposito esame di Stato, i laureati in medicina e chirurgia che siano in possesso della relativa abilitazione all’esercizio specializzati in campo odontoiatrico ed i laureati in medicina e chirurgia in possesso della relativa abilitazione all’esercizio non specializzati che si siano iscritti alla facoltà entro l’anno accademico 1984-1985. 277 Decreto attuativo n. 761 della Riforma sanitaria del 1978. 278 Decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257. 279 Cfr. Nuovo testo unificato delle proposte di legge recanti disciplina della professione in odontoiatria (72427-1111-1362-1945) dell’11 giugno 1997. 280 Il corso di laurea in odontoiatria è stato istituito con legge 24 luglio 1985,n 409. 140 64. Gli esami per l’esercizio della professione medica hanno luogo ogni anno in due sessioni indette con ordinanza del Ministro della pubblica Istruzione e possono svolgersi nei capoluoghi di provincia e nelle città sedi di università o istituti superiori che siano altresì sedi di ordini o collegi professionali. Ai candidati è data facoltà di sostenere gli esami di Stato in una qualsiasi delle sedi indicate nell’ordinanza281. 65. Le commissioni esaminatrici sono costituite con decreto del Ministro della Pubblica Istruzione. Ogni commissione esaminatrice è composta di 8 membri ed è suddivisa in 3 sottocommissioni. Ogni sottocommissione è presieduta da un professore. Gli otto membri sono prescelti da terne designate dai competenti ordini professionali composte di docenti universitari e medici provinciali ed ufficiali sanitari di comuni di prima categoria. Gli esami hanno carattere specificatamente professionale. 66. Per gli esami di abilitazione all'esercizio della professione di odontoiatra la commissione esaminatrice è composta dal presidente e da 5 membri ed è suddivisa in due sottocommissioni. Il presidente viene prescelto tra i professori universitari di discipline odontostomatologiche. I membri sono prescelti da terne designate dal competente ordine professionale e composte da docenti universitari. 67. Per quanto concerne la percentuale degli abilitati all’esercizio della professione medica, i dati più recenti disponibili, riferiti agli anni 1993-1994, indicano che la percentuale media a livello nazionale di abilitati sui candidati medici è molto elevata, ovvero circa il 97%. Per gli odontoiatri la percentuale sale ancora anche fino al 100%. Pertanto, nonostante il settore interessato coinvolga interessi particolarmente rilevanti, l’esame di abilitazione non appare assolutamente costituire una barriera all’accesso all’esercizio della professione di medico chirurgo e di odontoiatra (tabelle b2 e b3 in appendice). 5.2.3 Gli standard qualitativi delle prestazioni mediche 68. L’attività del medico si caratterizza per l’autonomia del professionista nella scelta delle cure da prestare. Pertanto, la regolamentazione dell’attività del medico, relativamente al profilo qualitativo, non riguarda le prestazioni in sé ma i comportamenti che il professionista deve tenere nello svolgimento della propria attività. Al riguardo la legge stabilisce che i sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione, o, comunque di atti disdicevoli al decoro professionale, sono sottoposti a procedimento disciplinare da parte del consiglio dell’ordine o collegio della 281 Cfr DM 9 settembre 1957. 141 provincia nel cui albo sono iscritti282 e prevede altresì le sanzioni disciplinari cui può essere assoggettato il professionista colpevole di tali fatti283. 69. Sulla base di tali norme il consiglio nazionale della federazione nazionale degli ordini dei medici ha emanato un codice di deontologia medica284, la cui inosservanza da parte dei medici iscritti all’albo comporta la sottoposizione a procedimento disciplinare. Il codice oltre a prescrivere generali doveri di correttezza, libertà e indipendenza professionale, nonché comportamenti consoni al decoro e alla dignità della professione, disciplina i comportamenti del medico in determinate situazioni (assistenza ai morenti, trapianti, interruzione volontaria di gravidanza, fecondazione assistita, sperimentazione), nonché i comportamenti che deve adottare nei propri rapporti con il paziente, con i colleghi, con i terzi e con gli enti pubblici e privati. In particolare al medico è imposto in qualunque luogo o circostanza di prestare le cure di urgenza285, di mantenere il segreto professionale, di tenersi continuamente aggiornato in relazione alle proprie conoscenze mediche, di compiere personalmente le prestazioni mediche o di rendere edotto il paziente della sua eventuale sostituzione. E’ vietata ogni forma di appalto o subappalto della propria clientela, nonché la prestazione di terapie segrete. 5.2.4 le tariffe delle prestazioni mediche 70. La legge stabilisce che la tariffa nazionale degli onorari per le prestazioni medico-chirurgiche è approvata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro del Tesoro, sentito il parere del Consiglio di Stato, del Consiglio Superiore di Sanità e della federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri286. La tariffa può essere sottoposta a revisione ogni due anni; deve essere riveduta ogni 5 anni287. Il parere espresso dalla federazione nazionale al Ministro della Sanità sulla tariffa minima nazionale non è vincolante. 282 Cfr art. 38 del d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221. 283 L’art. 40 del d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221 prevede quali sanzioni disciplinari l’avvertimento, la censura, la sospensione e la radiazione dall’albo. 284 L’ultima versione è stata approvata nel 1995. 285 Al di fuori dei casi di urgenza, di forza maggiore o di quelli previsti dalla legge il medico ha il diritto di rifiutare le proprie prestazioni. 286 Cfr. legge 21 febbraio 1963 n. 244. 287 Il medico provinciale, sentiti il consiglio provinciale di sanità e l’ordine provinciale dei medici, può apportare alle tariffe modifiche in aumento o in diminuzione non superiori al 30 per cento, quando ne ravvisi la necessità in relazione a dimostrate esigenze di carattere locale. Contro il provvedimento del medico provinciale è ammesso ricorso al Ministro per la Sanità nel termine di trenta giorni (art. 7 della legge 244/1963. 142 71. La tariffa fissata è quella minima nazionale, è unica e vale sia per i medici generici che per gli specialisti288. Al riguardo la legge prevede che "l'onorario, che è fissato in relazione all'importanza e delicatezza della prestazione ed è distinto, per il caso delle visite medico-chirurgiche e ostetriche a seconda che si tratti di prima o successive prestazioni, rappresenta il minimo compatibile con il decoro e la dignità professionale"289. Pertanto, fatta salva la facoltà di effettuare prestazioni a titolo gratuito, la legge vieta di esercitare la professione sanitaria ad onorari inferiori a quelli stabiliti nella tariffa minima. Ugualmente sono vietati i compensi forfettari. Il medico che non rispetta i minimi tariffari previsti dalla legge è sottoposto a procedimento disciplinare290. Attualmente la tariffa minima vigente è fissata con d.p.r. del 17 febbraio 1992. 72. Il codice deontologico dispone in materia tariffaria che il medico è tenuto a far conoscere al paziente il proprio onorario che di norma va accettato preventivamente e che i compensi per le prestazioni medico chirurgiche non possono essere subordinati ai risultati delle prestazioni medesime. Il medico è libero di prestare gratuitamente la propria opera, purché tale comportamento non costituisca artificio per concorrenza sleale o illecito accaparramento della clientela. Infine, ogni forma di dicotomia di compensi estranei alla prestazione professionale, nei rapporti tra medici, strutture e istituzioni sanitarie è vietata, con particolare riguardo ad ogni forma di appalto o di subappalto della clientela.291 5.2.5 forme di regolamentazione i) limiti territoriali 73. Non esistono limiti territoriali per l’esercizio della professione medica e odontoiatrica. ii) divieto di pubblicità 288 Gli onorari minimi dei medici specialisti, dei professori universitari e dei liberi docenti, primari ospedalieri sono aumentati del 50% sull'ammontare dei compensi stabiliti nella tariffa. L’aumento non si applica per il caso di intervento che per sua natura presupponga la specializzazione e sia corrispondentemente compensato come prestazione specialistica (art. 3 della legge 21 febbraio 1963 n. 244). Per gli interventi effettuati con carattere d'urgenza dalle ore 22 alle ore 7, gli onorari minimi sono raddoppiati per le visite e aumentati della metà per le altre prestazioni (art. 4 della citata legge). Le prestazioni terapeutiche eseguite nel corso delle visite sono retribuite a parte secondo la tariffa. Per le prestazioni multiple, eseguite nella stessa seduta la tariffa si applica per intero per la prestazione più importante, anche se non preveduta e resasi necessaria nel corso di un’operazione chirurgica: si applica con la riduzione del 50% per le rimanenti (art. 6 della citata legge). 289 Cfr art. 2, secondo comma della legge n. 244/1963. 290 art. 10 della legge n. 244/1963. 291 Cfr. artt. 51 e 52 del Codice deontologico. 143 74. Per le professioni sanitarie la regolamentazione concernente la pubblicità è disciplinata dalla legge292, che stabilisce le modalità attraverso le quali è consentita. L’art. 1 della legge 175/1992, dispone che la pubblicità concernente l'esercizio delle professioni sanitarie e delle professioni sanitarie ausiliarie regolamentate dalle leggi vigenti è consentita soltanto mediante targhe apposte sull'edificio in cui si svolge l'attività professionale, nonché mediante inserzioni sugli elenchi telefonici293. Le targhe e le inserzioni possono contenere solo il nome, il cognome, l’indirizzo e il numero di telefono ed eventuale recapito del professionista, l’orario delle visite o di apertura al pubblico, i titoli di studio, accademici, i titoli di specializzazione senza abbreviazioni che possano indurre in equivoco, le onorificenze concesse o riconosciute dallo Stato294. 75. Per la pubblicità a mezzo targhe ed inserzioni è necessaria l'autorizzazione del sindaco che la rilascia previo nulla osta dell'ordine o del collegio professionale dove è iscritto il richiedente295. Al fine del rilascio dell’autorizzazione comunale il professionista deve inoltrare domanda competente, corredata dalla relativa documentazione inerente l’annuncio, all’ordine o al collegio professionale che la trasmette al sindaco, con il proprio nulla osta, entro trenta giorni dalla data di presentazione. A tal fine l’ordine o il collegio professionale deve verificare l'osservanza delle disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 175/1992, nonché la rispondenza delle caratteristiche estetiche della targa o dell'inserzione o delle insegne di cui all'art. 4 della legge a quelle stabilite con apposito regolamento emanato dal Ministro della Sanità296. 76. Gli esercenti le professioni sanitarie che effettuino pubblicità nelle forme consentite senza autorizzazione del sindaco, sono sospesi dall'esercizio della professione sanitaria per un periodo da due a sei mesi. Se la pubblicità non autorizzata contiene indicazioni false la sospensione è da sei mesi ad un anno. A quest'ultima sanzione sono soggetti gli esercenti le professioni sanitarie 292 La legge che attualmente disciplina la pubblicità nel settore sanitario è la n. 175 del 5 febbraio 1992. Deve essere tuttavia segnalato che con il disegno di legge n. 4216 “disposizioni in materia di professioni sanitarie” approvato il 1° ottobre 1997 dalla XII Commissione permanente del Senato, si intendono apportare alcune modifiche all’articolo 1 della legge, volte a consentire anche la pubblicità sulla stampa quotidiana e periodica, nonchè alcune modifiche agli articoli 3, 5 e 8 della legge volte a mitigare le sanzioni in caso di violazione della legge. 293 Con il successivo DM 16 settembre 1994 n. 657, è stato emanato il regolamento concernente la disciplina delle caratteristiche estetiche delle targhe, insegne e inserzioni per la pubblicità sanitaria. 294 L’uso della qualifica di specialista è consentito soltanto a coloro che abbiano conseguito il relativo diploma ai sensi della normativa vigente. E’ vietato l’uso di titoli, compresi quelli di specializzazione conseguiti all’estero, se non riconosciuti dallo Stato. 295 Quando l’attività a cui si riferisce l’annuncio sia svolta in provincia diversa da quella di iscrizione all’albo professionale, il nulla osta è rilasciato dall’ordine o collegio professionale della provincia nella quale viene diffuso l’annuncio stesso. 296 Cfr. art. 2 della legge 175/1992. 144 che effettuino pubblicità a qualsiasi titolo con mezzi e forme non disciplinati dalla legge n. 175/1992297. 77. La pubblicità concernente le case di cura private ed i gabinetti ed ambulatori mono o polispecialistici soggetti alle autorizzazioni di legge, è consentita mediante targhe o insegne apposte sull'edificio in cui si svolge l'attività professionale nonché con inserzioni sugli elenchi telefonici attraverso giornali e periodici destinati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie, con facoltà di indicare le specifiche attività medico-chirurgiche e le prescrizioni diagnostiche e terapeutiche effettivamente svolte, purché accompagnate dall'indicazione del nome, cognome, e titoli professionali dei responsabili di ciascuna branca specialistica. E' in ogni caso obbligatoria l'indicazione del nome, cognome e titoli professionali del medico responsabile della direzione sanitaria298. 78. Il codice deontologico stabilisce altresì che il medico deve evitare lo sfruttamento pubblicitario di abilità e successi professionali a vantaggio personale di gruppo o di scuola. I medici che svolgono attività pubblicistica continuativa o occasionale attraverso giornali, emittenti radiotelevisive, ovvero tengono conferenze a scopo di educazione, di prevenzione, di informazione e di divulgazione sanitaria devono astenersi dal fare pubblicità e promozione in merito alla propria attività ed evitare qualsiasi forma pubblicitaria personale o in favore di singole istituzioni pubbliche o private, sia pure in maniera indiretta, anche attraverso articoli scientifici. E’ infine vietato concedere il proprio patrocinio e il proprio avallo a pubblicità per istituzioni e prodotti sanitari e affini di esclusivo interesse promozionale e commerciale. l’esercizio del potere disciplinare 79. All’ordine professionale è demandata la vigilanza sul corretto esercizio della professione medica e odontoiatrica. La legge prevede che, al fine di vigilare sul rispetto dei doveri inerenti alle rispettive professioni, gli ordini e i collegi ove costituiti, hanno la facoltà di promuovere ispezioni presso gli studi professionali degli iscritti ai rispettivi albi provinciali299. La legge attribuisce all’ordine il potere disciplinare nei confronti dei sanitari iscritti all’albo300. 80. I procedimenti per l’applicazione delle sanzioni disciplinari sono regolati dagli artt. 38 ss del d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221. Al riguardo la legge stabilisce che i sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione, o, comunque di atti 297 Cfr. art. 3 della legge 175/1992. 298 Cfr. art. 4 della legge 175/1992. 299 Cfr art. 8, comma 2 della legge 175/1992. 300 l’art. 3, lettera f) del d.l.c.p.s. 13 settembre 1946 n. 233. 145 disdicevoli al decoro professionale, sono sottoposti a procedimento disciplinare da parte del consiglio dell’ordine o collegio della provincia nel cui albo sono iscritti. 301 La legge quindi non descrive compiutamente le azioni vietate ma pone delle clausole generali il cui contenuto deve essere interpretato dalle norme di etica professionale, l’enunciazione delle quali è rimessa all’autonomia dell’ordine cui spetta anche l’interpretazione e l’applicazione delle stesse. Pertanto il potere disciplinare dell’ordine si caratterizza per avere un notevole grado di discrezionalità, atteso che resta ineludibile la possibilità che l’azione disciplinare possa essere disposta anche per azioni o omissioni non specificate nel codice ma comunque disdicevoli al decoro e al corretto esercizio della professione. Il procedimento disciplinare è promosso d’ufficio o su richiesta del prefetto o del procuratore della Repubblica.302 L’azione disciplinare si prescrive in cinque anni. Le deliberazioni concernenti i procedimenti disciplinari sono di competenza del consiglio303 e possono essere impugnate davanti alla commissione centrale per gli esercenti le professioni, nonché in terza istanza davanti alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite. 81. Le sanzioni disciplinari cui può essere assoggettato il professionista colpevole di tali fatti sono l’avvertimento, che consiste nel diffidare il colpevole a non ricadere nella mancanza commessa; la censura, che è una dichiarazione di biasimo per la mancanza commessa; la sospensione dall’esercizio della professione e la radiazione dall’albo.304 Quest’ultima, che rappresenta il provvedimento più grave, è pronunciata contro l’iscritto che con la sua condotta abbia compromesso gravemente la sua reputazione e la dignità della classe sanitaria.305 301 Cfr art. 38 del d.p.r. 5 aprile 1950 n. 221. 302 Il procedimento disciplinare deve comunque essere iniziato a carico del professionista sottoposto a procedimento penale, salvo la sua assoluzione per insussistenza del fatto o per non aver commesso quanto addebitatogli. 303 Quando il consiglio ometta di iniziare il procedimento disciplinare su richiesta del prefetto o del procuratore della repubblica ovvero nei procedimenti già iniziati trascuri di emettere le proprie decisioni , provvede il Prefetto, sentito il consiglio provinciale di sanità (art 48 del d.p.r. citato). 304 Importano di diritto la sospensione l’emissione di un mandato o di un ordine di cattura, l’applicazione provvisoria di una pena accessoria o di una misura di sicurezza ai sensi degli artt. 140 e 206 del Codice Penale, l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a tre anni, l’applicazione di una delle misure di sicurezza detentive di cui all’art. 215, comma 2, n. 2 e 3 , l’applicazione di una delle misure di sicurezza non detentive di cui all’art. 215, comma 3 n. 1,2,3,4. Importano la radiazione di diritto all’albo la condanna per uno dei reati previsti dal Codice penale negli artt. 446, 548, 550 e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni nonché l’interdizione dai pubblici uffici o dalla professione di durata superiore a tre anni, il ricovero in un manicomio giudiziario nei casi di cui all’art. 222, comma 2 del Codice Penale e l’applicazione della misura di sicurezza preventiva di cui all’art. 215 del Codice Penale, comma 2, n 1. 305 Il sanitario radiato dall’albo può essere nuovamente iscritto purché siano trascorsi cinque anni dal provvedimento di radiazione e, se questa derivo da condanna penale, sia intervenuta la riabilitazione. In ogni caso deve risultare che il radiato, dopo la radiazione , ha tenuto una condotta irreprensibile (art. 50 del DPR citato). 146 Nell’appendice statistica sono indicati il numero dei procedimenti disciplinari negli anni 1992, 1993 e 1994. 5.2.6 altre forme di regolamentazione all’esercizio dell’attività a) Incompatibilità 82. Non esiste nell’ordinamento professionale alcun divieto per i sanitari impiegati nella pubblica amministrazione di esercitare la libera professione306. 83. Alcune incompatibilità sono previste dalle norme deontologiche. Al riguardo il codice vieta al medico qualsiasi forma di accordo o di rapporto diretto o indiretto con altre categorie sanitarie o di arti ausiliarie delle professioni sanitarie che svolgano attività o effettuino iniziative di tipo industriale o commerciale inerenti l’esercizio della professione.307 b) limiti all’esercizio in forma societaria 84. Per l’esercizio professionale in forma societaria valeva anche per i medici il divieto d’ordine generale imposto per tutte le professioni c.d. protette dalla legge del 23 gennaio 1939 n. 1825. 308 Tuttavia, venivano escluse dal divieto cliniche e case di cura, in ragione del fatto che nelle stesse l'organizzazione "alberghiera" prevale di gran lunga sull'attività professionale sanitaria e l'esercizio della professione è solo un elemento di secondo piano dell'attività organizzata dall'impresa. 309 85. Inoltre, un implicito riconoscimento delle strutture societarie in ambito professionale poteva desumersi dalle norme di cui all’art. 4, secondo comma, della legge 412 del 30 dicembre 1991310, e dall’art. 8 del Decreto 306 Cfr art. 10 del Decreto Legislativo 13 settembre 1946 n. 233, il quale dispone che “i sanitari che siano impiegati in una pubblica amministrazione ed ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia vietato l’esercizio della libera professione, possono essere iscritti all’albo.” 307 Cfr. art 80 del Codice deontologico. 308 Cfr. Cassazione 29 gennaio 1973, n. 268 in Foro It. 1973, I, 3194; Cassazione 4 luglio 974, n. 1936 in Foro It. 1974, I, 3050; Cassazione 8 ottobre 1975, n. 3193, in Foro It, 1976, I, 712; Cassazione 12 marzo 1987, n.2555, in Giur. Ital. 1989,I,1,393; Cassazione 7 gennaio 1993,n.79, in Giur. Ital.1993,I, 1,1927. Così anche Corte d'Appello di Brescia, n. 323/90- AMDI/ Mezzena del 4 aprile 1990, Corte d'Appello di Brescia n. 322/90- AMDI/ S. Giuseppina S.r.l. del 4 aprile 1990) 309 Tale principio deve ritenersi consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte che già nella sentenza n. 5656/1992, aveva ritenuto lecito il contratto con il quale una società, previo versamento di un determinato corrispettivo si era impegnata a fornire per un certo lasso di tempo al professionista i beni strumentali ed i servizi utilizzati poi dal sanitario nell'esercizio della sua personale attività ribadendo così che il rapporto professionale deve instaurarsi esclusivamente con il medico che fornisce al paziente la relativa prestazione utilizzando strumenti messigli a disposizione da parte di terzi che quindi non eserciterebbero in proprio alcuna attività protetta dalla legge n. 1815/1939. 310 L’art. 4, comma 2 della legge (Disposizioni in materia di finanza pubblica) dispone che “le convenzioni possono essere stipulate anche con istituzioni sanitarie private gestite da persone fisiche e da società che erogano prestazioni poliambulatoriali, di laboratorio generale e specialistico in materia di analisi chimicocliniche, di diagnostica per immagini, di medicina fisica e riabilitazione, di terapia radiante ambulatoriale, di medicina nucleare in vivo e in vitro”. La legge sembra voler far salvo il principio che la prestazione ha carattere personale e deve riferirsi al singolo professionista, disponendo poi che “dette istituzioni sanitarie sono sottoposte al regime di autorizzazione di cui all’art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e devono avere un direttore sanitario 147 Legislativo del 30 dicembre 1992 n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 421/1992), come modificato dal Decreto Legislativo del 7 dicembre 1993 n. 517 (Modificazioni al Decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502)311. 86. Il consiglio nazionale della federazione in un documento del 19/20 gennaio 1990, ha evidenziato un proprio orientamento al riguardo precisando che "le prestazioni sanitarie possono essere erogate dal singolo professionista, da associazioni tra professionisti, da società di capitali nelle vari forme di società miste purché costituite da soli professionisti o a maggioranza di questi”. Anche le norme deontologiche riconoscono la possibilità di utilizzare la forma organizzativa societaria nello svolgimento dell’attività, ma rispettando alcuni criteri. Il codice deontologico prevede infatti che gli accordi, i contratti e le convenzioni allo svolgimento di attività professionale in forma associativa, anche utilizzando strutture di società per la prestazione di servizi, debbano essere sottoposti all’approvazione dell’ordine competente per territorio.312 87. Le norme deontologiche dispongono poi che il medico non deve partecipare a imprese industriali, commerciali o di altra natura che ne condizionino la dignità e indipendenza professionale. Il medico può tuttavia utilizzare le strutture di società per la prestazione di servizi a mero supporto della sua attività professionale. L’attività professionale può essere svolta in forma associata. Il medico nell’ambito di ogni forma associativa o partecipativa dell’esercizio della professione è e resta responsabile dei propri atti e delle proprie prescrizioni.313 c) circolazione in ambito comunitario 88. La legge 22 maggio 1978, n. 217, modificata dalla legge 27 gennaio 1986, n. 19 e dal Decreto legislativo 2 maggio 1994 n. 353, ha disciplinato il diritto di stabilimento da parte dei medici cittadini di Stati membri delle Comunità europee. Ai cittadini degli Stati membri delle Comunità europee che siano in possesso dei diplomi, dei certificati e dei titoli previsti dalla legge è riconosciuto il titolo di medico e di medico specialista ed è consentito l’esercizio della relativa attività professionale. Ai fini dell’esercizio dell’attività di medico l’interessato deve presentare al Ministero della sanità la domanda corredata dalla relativa documentazione. Il Ministero della sanità entro due mesi dalla data di ricezione della domanda accerta la regolarità della stessa e o tecnico, che risponde personalmente dell’organizzazione tecnica e funzionale dei servizi e del possesso dei prescritti titoli professionali da parte del personale che vi opera”. 311 L’art.8, quinto comma del decreto legislativo dispone che l’unità sanitaria locale nell’assicurare ai cittadini l’erogazione delle prestazioni specialistiche, “si avvale dei propri presidi, nonché delle aziende e degli istituti ed enti di cui all’art. 4, delle istituzioni sanitarie pubbliche, ivi compresi gli ospedali militari, o private, sulla base di criteri di integrazione con il servizio pubblico, e dei professionisti”. 312 Cfr art. 79 del Codice deontologico. 313 Cfr. art. 81 del Codice deontologico. 148 della documentazione e provvede alla sua trasmissione all’ordine professionale corrispondente alla provincia indicata dall’interessato, il quale entro un mese dalla data di ricezione della domanda adempie alla procedura per l’iscrizione all’albo. Il cittadino di altri Stati membri delle Comunità che ha ottenuto l’iscrizione ha gli stessi diritti ed è soggetto agli stessi obblighi e sanzioni disciplinari previsti per i medici italiani. 89. La legge 24 luglio 1985, n. 409, modificata dal Decreto legislativo 2 maggio 1994, n. 353, ha disciplinato il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi da parte dei dentisti cittadini di stati membri delle Comunità Europee. Ai cittadini degli Stati membri delle Comunità europee che esercitano una attività professionale nel campo della odontoiatria e che siano in possesso dei diplomi, dei certificati e dei titoli previsti dalla legge è consentito l’esercizio della relativa attività professionale. Per ottenere l’autorizzazione all’esercizio della professione di odontoiatra l’interessato deve presentare al Ministero della sanità la domanda corredata dalla relativa documentazione. Il Ministero della Sanità entro tre mesi dalla data di ricezione della domanda accerta la regolarità della stessa e della documentazione e provvede alla sua trasmissione all’ordine professionale corrispondente alla provincia indicata dall’interessato, il quale entro un mese dalla data di ricezione della domanda completa la procedura per l’iscrizione all’albo. Il cittadino di altri Stati membri delle Comunità che ha ottenuto l’iscrizione ha gli stessi diritti ed è soggetto agli stessi obblighi e sanzioni disciplinari previsti per gli odontoiatri italiani. 90. Gli odontoiatri cittadini italiani che si trasferiscono in uno dei Paesi membri delle Comunità europee possono, a domanda, conservare l’iscrizione all’ordine italiano di appartenenza. d) le recenti novità legislative 91. Il 5 agosto 1997 è stato approvato dal governo un disegno di legge delega concernente la riforma degli ordini dei medici chirurghi. Pertanto entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge il governo è delegato ad emanare, con uno o più decreti aventi forza di legge, le norme necessarie per modificare la legislazione vigente. I principi e i criteri direttivi a cui dovranno essere informati i decreti legislativi introducono rilevanti novità in merito alle funzioni che la federazione dell’ordine dei medici sarà chiamata a svolgere in futuro. Tra le numerose innovazioni meritano di essere segnalate in questa sede le disposizioni in materia di formazione e aggiornamento professionale, ed in particolare: la norma che attribuisce agli ordini provinciali il compito di “provvedere all’aggiornamento professionale e alla verifica periodica della specificità professionale degli iscritti, anche mediante convenzione con le 149 università”314; la norma che attribuisce alle Federazioni regionali il compito “di concorrere all’organizzazione del tirocinio di formazione complementare in medicina generale”315; nonchè la norma che attribuisce alla federazione nazionale il compito di “promuovere e favorire tutte le iniziative intese a facilitare il progresso culturale degli iscritti e dare direttive per la verifica professionale degli iscritti.”316 Deve essere osservato che prima di questo intervento legislativo l’aggiornamento professionale era rimesso, come in tutte le altre professioni, all’iniziativa e all’etica individuale. Pertanto, le norme in parola che attribuiscono alla federazione e ai suoi organi periferici specifiche funzioni non solo di promozione, ma anche di verifica periodica della preparazione degli iscritti, appaiono di notevole importanza soprattutto in considerazione del fatto che nelle attività professionali, ed in particolare in quella medica, la materia oggetto della professione subisce continue evoluzioni e lo standard di preparazione richiesto per l’accesso può in breve tempo non essere più sufficiente se non adeguatamente arricchito attraverso un continuo aggiornamento. 92. Tuttavia, il disegno di legge che con tali disposizioni sembra ridisegnare il ruolo della federazione dell’ordine dei medici in modo più rispondente alle effettive esigenze della professione, contiene anchealcune disposizioni decisamente involutive. In questa direzione si pone infatti l’attribuzione agli ordini provinciali del compito di “promuovere iniziative per la repressione dell’esercizio e per il rispetto delle normative vigenti in materia sanitaria, in particolare per quanto attiene la pubblicità317”; nonchè l’attribuzione alla federazione nazionale del compito di approvare le tariffe minime e massime degli onorari delle prestazioni professionali, da rendere esecutive con decreto del Ministero della sanità ed esprimere parere obbligatorio nella determinazione delle tariffe del servizio sanitario nazionale”. Quest’ultima disposizione, in particolare, è diretta a potenziare notevolmente il ruolo della federazione dell’ordine dei medici nella determinazione delle tariffe, capovolgendo la situazione finora vigente: la federazione, che poteva esprimere solo un parere non vincolante al Ministero della sanità in merito alle tariffe determinate da quest’ultimo, assumerebbe invece essa stessa il compito di approvarle, relegando al Ministero un semplice ruolo di esecuzione. Va osservato che l’attribuzione alla categoria professionale di un ruolo determinante nella definizione delle tariffe minime e massime non solo non è funzionale al perseguimento di interessi pubblici connessi all’esercizio della 314Articolo 2, lettera d) n. 4 del disegno di legge. 315 Art. 2, lettera e) n. 2) del disegno di legge. 316 Art. 2, lettera f) n. 3) del disegno di legge. 317 Art. 2 lettera d). 7. 150 professione, ma vi si pone in assoluto contrasto. Appare infatti quanto mai contraddittorio che la possibilità di fissare le tariffe massime, che in un settore quale quello della salute potrebbero giustificarsi a tutela del consumatore nei confronti di possibili comportamenti opportunistici adottati dai professionisti, sia attribuita proprio a questi ultimi, anziché semmai al regolamentatore. 5.2.7 Profili comparatistici 93. La presenza in Italia del sovrannumero dei medici rispetto alla popolazione utente è confermata anche dal confronto con i dati relativi agli altri Paesi Europei: a fronte di 4,9 medici per mille abitanti nel nostro Paese, nel Regno Unito sono solo 1,9, in Francia 2,5, in Belgio 3,3, in Danimarca 2,6, in Germania 2,7, in Spagna 3,4, in Grecia 1,7, in Irlanda 1,5, in Portogallo 2,2 e, infine, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi il 2,4 (Stima del Cnel, 1992). 94. In Germania l’iscrizione agli ordini, Kammer, (corporazioni di diritto pubblico istituite a livello regionale) non è obbligatoria, benché, di fatto il medico non iscritto non possa avere incarichi professionali pubblici. Le Kammer svolgono funzioni soprattutto in materia di approvazione del codice deontologico, di controllo sulla formazione specialistica e sul mantenimento del livello professionale, ma non esercitano funzioni disciplinari che sono svolte direttamente dallo Stato a mezzo di appositi tribunali professionali (composti da un magistrato e da professionisti appartenenti alla categoria). Inoltre, esiste un organismo nazionale di coordinamento che ha in particolare un ruolo consultivo presso il governo e di rappresentatività della professione medica, la Bundesaertzekammer, che definisce ogni anno gli orientamenti programmatici e politici nei riguardi dei medici tedeschi. 95. In Francia, l’iscrizione è obbligatoria presso il consiglio dipartimentale dell’ordine, che esercita in ambito dipartimentale e sotto il controllo del consiglio nazionale, le attribuzioni generali dell’ordine, ovvero principalmente la tenuta e la conservazione dell’albo. I membri del consiglio dipartimentale dell’ordine vengono eletti dall’assemblea generale dei medici iscritti all’albo. I membri dei consigli regionali sono eletti dai consigli dipartimentali ed esercitano la competenza disciplinare in prima istanza. L’ordine dei dentisti ha la stessa struttura di quello dei medici. 96. Nel Regno Unito, l’iscrizione non è obbligatoria. Il medico cittadino del Regno Unito in possesso della laurea e dopo aver fatto un tirocinio della durata di un anno ha diritto alla registrazione al General Medical Council, ma tale iscrizione non è obbligatoria. Il General Medical Council è l’autorità competente anche in materia di procedimenti disciplinari. Per quanto riguarda i dentisti, non esiste un ordine ma un’associazione nazionale volontaria. Esiste inoltre un’importante associazione la British Medical Association alla quale 151 aderisce circa il 75% dei medici e che si occupa prevalentemente di etica medica. 97. La tabella che segue mette a confronto i sistemi della formazione specialistica adottati dagli altri Paesi UE. Ente che rilascia il diploma Numero chiuso Ministero Sanità no Arztekammer no si si si professione professione Ministero sanità Regno Unito Board Health Ministero sanità ordine medici Università Joint Committee si Grecia Irlanda Ministero sanità Royal College si si Joint Comm/Ministero Ministero sanità Joint Comm/Ministero Lussemburgo Ministero/ordine dei medici Specialists Committee ordine dei medici no Belgio Germania Danimarca Spagna Francia Paesi Bassi si Chi determina il numero chiuso professione si Ministero Portogallo Fonte: federazione nazionale ordine dei medici e degli odontoiatri. 98. Per quanto riguarda la pubblicità, le norme variano da paese a paese. Nella maggior parte dei Paesi, Austria, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Spagna, Danimarca e Svezia è permessa limitatamente; è preclusa invece in Belgio. Le norme relative alla pubblicità sono contenute nei Codici deontologici in Belgio, Francia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo; sono invece contenute anche nella legge in Gran Bretagna, Spagna e Svezia. Deve essere sottolineato che rispetto all’Italia, dove la pubblicità è ammessa solo sugli elenchi telefonici, negli altri Paesi è ammessa anche sui giornali (Austria, Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Spagna e Svezia) e in televisione (Spagna e Svezia). La pubblicità indiretta attraverso articoli di giornali scritti dai medici, o attraverso interviste televisive è consentita, purché in forma discreta, in Austria, Francia, Gran Bretagna, Irlanda e Lussemburgo. Anche con riferimento ai contenuti la nostra legge risulta più restrittiva rispetto alle altre. Ad esempio in Danimarca è consentito dare informazioni anche riguardo ai trattamenti e ai prezzi e in Gran Bretagna è consentita una pubblicità che si limiti ai fatti, e, quindi riferita anche ai tassi di successo e ai prezzi. 152 99. Per quanto riguarda l’esercizio in forma societaria della professione medica, nel Regno Unito è consentito ai medici di esercitare la professione in forma societaria, anche di tipo commerciale, per fornire consulenze cliniche, diagnostiche e mediche. Nei loro rapporti reciproci i medici associati sono obbligati a rispettare le norme di etica professionale e in particolare le direttive del General Medical Council concernenti il carattere confidenziale delle informazioni sui loro pazienti. Le associazioni e le società per l’esercizio della professione medica sono soggette alle norme di legge generali in vigore per le società civili. In Spagna è possibile la costituzione di società con persone estranee alla professione purché tali società abbiano per scopo di facilitare l’esercizio della professione e non abbiano un fine lucrativo estraneo all’esercizio professionale. L’esercizio in comune non elimina la responsabilità personale del medico e la responsabilità del gruppo è solo sussidiaria. Gli accordi, secondo il codice deontologico medico devono essere stipulati per iscritto e sottoposti al collegio provinciale dei medici che valuta la compatibilità delle clausole con le norme deontologiche. In Francia e in Germania sono state emanate leggi ad hoc per tutte le professioni che consentono quindi anche ai medici l’esercizio della medicina in forma societaria di cui si dirà ampiamente nel capitolo 7. 5.2.8 conclusioni 100. La tabella che segue indica le principali forme di regolamentazione dell’attività medica, sintetizzando quanto fino ad ora illustrato al riguardo. Tabella 3 - Principali forme di regolamentazione dell’attività medica entrata standard di qualità tariffe altre forme di minima del servizio regolamentazione requisiti soggettivi Tariffa unica, minima divieto di pubblicità a) laurea in medicina e inderogabile e chirurgia b) tirocinio ospedaliero c) esame di Stato d) iscrizione all’albo requisiti relativi ai rapporti con la clientela a) obbligo di prestare cure d’urgenza b) segreto professionale c) obbligo di prestare personalmente le cure 153 La professione medica incide su un interesse pubblico di fondamentale importanza, quale è quello della tutela della salute pubblica. Pertanto, con riferimento ai requisiti previsti nella fase di accesso alla professione, la specifica preparazione richiesta al professionista conseguibile attraverso un lungo corso di studi e un tirocinio pratico appare proporzionata all’obiettivo che si intende perseguire e consona agli interessi connessi all’esercizio della professione. Appare invece di difficile comprensione il fatto che a fronte di un percorso formativo oneroso sia poi scarsamente valorizzato, nella fase di accesso, l’esame di Stato, che dovrebbe rappresentare lo strumento selettivo più appropriato e importante per verificare il possesso dei requisiti minimi da parte di coloro che devono esercitare la professione e, quindi, i risultati della formazione. Nel corso dell’indagine è infatti emerso che nella professione medica e odontoiatrica, l’esame di Stato non rappresenta un effettivo strumento di verifica ma una pura formalità, come è attestato dalla circostanza che la percentuale degli abilitati è prossima al cento per cento. L’irrilevanza dell’esame di Stato appare stridente sia rispetto alla rigidità con cui vengono regolamentati gli accessi in altre professioni, quali quella del notaio e del farmacista che certamente non incidono su beni e valori di maggiore importanza, sia alla rigidità con cui viene poi regolamentato l’esercizio della professione medica, con la quale probabilmente si intendono coprire eventuali inefficienze determinate dalla regolamentazione della fase di accesso. 101. La regolamentazione della fase di esercizio della professione medica appare caratterizzata dall’utilizzo di una pluralità di strumenti per assicurare la qualità del servizio, alcuni dei quali appaiono non solo superflui, ma persino inidonei al raggiungimento di tale obiettivo. L’assetto regolamentativo è caratterizzato dalla previsione di norme deontologiche e di legge con la quale vengono fissati moltissimi standard qualitativi relativi sia alle prestazioni che ai comportamenti dei professionisti. Tali standard e l’esercizio della funzione di controllo del rispetto degli stessi da parte dell’ordine dovrebbero rappresentare delle forme di regolamentazione sufficienti a garantire il corretto svolgimento dell’attività professionale, in un ambito in cui il consumatore spesso non è in grado di valutare l’adeguatezza della prestazione resa dal professionista. Non appaiono invece idonei e necessari a tutelare il consumatore né l’imposizione di un divieto così ampio di farsi pubblicità né l’imposizione di tariffe minime inderogabili. a) le tariffe 102. Come esplicitamente stabilito dalla legge la previsione di una tariffa minima inderogabile appare diretta esclusivamente a tutelare il decoro e la 154 dignità professionale, ovvero l’interesse della categoria. Il tentativo di giustificare l’inderogabilità del minimo tariffario con la tutela del consumatore appare del tutto incoerente in considerazione del fatto che, nel caso di specie, non è prevista una tariffa massima. Siffatta previsione si traduce, quindi, in uno svantaggio per il consumatore che, in un settore particolarmente delicato, non solo non è tutelato dalla previsione di una tariffa massima, ma non ha neanche la possibilità di assicurarsi la prestazione a prezzi inferiori a quelli stabiliti dalla legge. Peraltro non è escluso che in questo settore, nel quale esiste un sovrannumero di medici rispetto alle esigenze della popolazione, la possibilità di determinare liberamente le tariffe possa modificare significativamente i prevalenti comportamenti di prezzo. b) la pubblicità 103. Le attuali norme sulla pubblicità in materia sanitaria sono estremamente rigide e consentono in buona sostanza unicamente la pubblicità sugli elenchi telefonici, scevra peraltro da qualsiasi indicazione utile al consumatore in ordine alle esperienze acquisite dal medico e ai prezzi praticati. E ciò proprio in un settore dove maggiore è l’asimmetria informativa a sfavore del consumatore e dove l’elevato grado di specializzazione dei professionisti renderebbe ancora più importante la diffusione di informazioni concernenti le specifiche competenze ed esperienze da essi acquisite. 104. Al riguardo, se si comprendono le ragioni che in questo settore impediscono di incentivare l’adozione di strumenti di sollecitazione della domanda, deve altresì essere considerato che, nel caso di specie, la pubblicità molto difficilmente può indurre il consumatore ad acquistare il servizio in misura maggiore di quanto avrebbe fatto in assenza di pubblicità. Infatti il presupposto per rivolgersi ad un medico è sempre la presenza di un disturbo o di una malattia. La pubblicità interviene solo quando la situazione di bisogno si è già verificata, e può rappresentare un utile strumento al fine di fornire al consumatore un bagaglio informativo che lo agevoli nella scelta del medico a cui rivolgersi. 105. Pertanto, la possibilità di effettuare una pubblicità informativa, che si attenga esclusivamente alla rappresentazione veritiera dei fatti, potrebbe sopperire in parte alla situazione di asimmetria informativa particolarmente rilevante in cui versa il paziente nei confronti del medico curante e tradursi in un vantaggio per il consumatore. La possibilità di avere accesso ad una serie di informazioni relative ad esempio ai prezzi, alle esperienze e ai successi conseguiti, metterebbe il paziente in condizioni di poter fare una scelta maggiormente consapevole e conveniente e ridurrebbe notevolmente i costi che lo stesso deve sostenere per 155 acquisire per altre vie le informazioni necessarie alla scelta del medico che ritiene più adatto al suo caso. 156 appendice statistica farmacisti Tabella a1 - I consumi farmaceutici per regioni nell’anno 1994 espressi in percentuale. Regioni ripartizione % indice consumi dei consumi procapite Piemonte 8,03 106,72 Valle d’Aosta 0,22 107,53 Lombardia 16,39 105,22 Trentino Alto Adige 1,69 106,65 Veneto 7,73 100,00 Friuli Venezia Giulia 2,18 104,56 Liguria 3,74 125,73 Emilia Romagna 7,77 114,53 Toscana 7,17 113,02 Umbria 1,50 107,92 Marche 2,71 104,56 Lazio 8,55 94,86 Abruzzo 2,23 98,34 Molise 0,45 77,82 Campania 8,48 86,94 Puglia 5,85 83,50 Basilicata 0,81 77,20 Calabria 3,17 87,33 Sicilia 8,36 96,29 Sardegna 2,70 94,01 Totale Italia 100,00 100,00 Fonte: Osservatorio Farmindustria, Indicatori farmaceutici, giugno 1995 157 Tabella a2 - Distribuzione regionale delle farmacie e rapporto abitanti/farmacie nell’anno 1994. Regioni farmacie abitanti/farma cie Piemonte/ Valle d’Aosta 1391 3181 Lombardia 2438 3651 Trentino Alto Adige 208 4344 Veneto 1178 3748 Friuli Venezia Giulia 353 3380 Liguria 550 3023 Emilia Romagna 1135 3458 Toscana 989 3567 Umbria 240 3413 Marche 468 3073 Lazio 1337 3878 Abruzzo e Molise 591 2699 Campania 1407 4057 Puglia 953 4266 Basilicata 194 3150 Calabria 703 2958 Sicilia 1375 3655 Sardegna 527 3145 Totale Italia 16.037 3.562 Fonte: Osservatorio Farmindustria, Indicatori farmaceutici, giugno 1995 158 Tabella b1 - Rapporto abitanti/medici nelle varie regioni d’Italia nel 1994. Regioni abitanti/medici Piemonte 224 Valle d’Aosta 246 Lombardia 208 Trentino Alto Adige 244 Veneto 221 Friuli Venezia Giulia 211 Liguria 151 Emilia Romagna 168 Toscana 173 Umbria 164 Marche 200 Lazio 143 Abruzzo 168 Molise 188 Campania 180 Puglia 216 Basilicata 233 Calabria 165 Sicilia 172 Sardegna 181 Fonte: Fed. Naz. dell’ordine dei medici. Tabella b2 - Candidati e abilitati agli esami di abilitazione* medici candidati abilitati % II 3.121 3.033 97 SESS. 1993 I SESS. 1.489 1.453 97 1994 II 2.012 1.918 95 SESS. 1994 Fonte: Fed. Naz. dell’ordine dei medici. *I dati si riferiscono alle seguenti Università: Cagliari, Pavia, Pisa, Bologna, Brescia, l’Aquila, A. Gemelli, Siena, Verona, Ferrara, Parma, Messina, Bari, Catania, Trieste, Udine, Modena, Reggio Calabria, Perugia, Genova, Padova e Firenze. 159 Tabella b3 - Candidati e abilitati agli esami di abilitazione* odontoiatri candidati abilitati % 308 299 97 II SESS. 1993 I SESS. 131 130 99 1994 276 276 100 II SESS. 1994 Fonte: Fed. Naz. dell’ordine dei medici * I dati si riferiscono alle seguenti facoltà: Cagliari, Pavia, Pisa, Bologna, l’Aquila, A. Gemelli, Siena, Verona, Ferrara, Parma, Messina, Bari, Catania, Modena, Genova, Padova e Firenze. Tabella b4 - Procedimenti disciplinari medici, in funzione del tipo di violazione.* ABUSI TARIFFA Procedimenti 64 1 1992 Procedimenti 153 2 1993 Procedimenti 149 4 1994 Fonte: Fed. Naz. dell’ordine dei medici *Dati relativi ai seguenti ordini Provinciali: Livorno, Firenze, Parma, Avellino, Teramo, Vercelli, Perugia, Mantova, Forlì, Crotone, Sondrio, Arezzo, Biella, Lecco, Trento, Sassari, Pavia, Terni, Asti, Rieti, Bergamo, Cremona, Prato, Palermo, Novara, Enna, Grosseto, Benevento, Campobasso, Siena, Lodi, Savona, Bari, Frosinone, Alessandria, Pordenone, Udine, Bolzano, Ancona, Brindisi, Pesaro, Trieste, Belluno, Caltanissetta, Brescia, Cosenza. Tabella b5 - Procedimenti disciplinari odontoiatri. ABUSI TARIFFA Procedimenti 1992 20 1 Procedimenti 1993 64 3 Procedimenti 1994 51 3 Fonte: federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri *Dati relativi ai seguenti ordini Provinciali: Livorno, Firenze, Parma, Avellino, Teramo, Vercelli, Cremona, Perugia, Mantova, Forlì, Crotone, Sondrio, Arezzo, Biella, Trento, Sassari, Pavia, Asti, Rieti, Bergamo, Palermo, Prato, Savona, Novara, Grosseto, Benevento, Campobasso, Siena, Lodi, Bari, Frosinone, Alessandria, Pordenone, Udine, Bolzano, Ancona, Brindisi, Pesaro, Trieste, Belluno, Brescia, Cosenza, Caltanissetta. 160 CAPITOLO SESTO: LA REGOLAMENTAZIONE DELLE PROFESSIONI TECNICHE 1. Questo capitolo riguarda l’assetto regolamentativo delle attività svolte dalle più importanti figure professionali appartenenti all’area tecnica, gli ingegneri e gli architetti, nonchè le attività svolte dai geometri. Esistono tuttavia, com’è noto, varie altre professioni protette che erogano prestazioni tecniche e che frequentemente operano in concorrenza con ingegneri, architetti e geometri. Pertanto, nell’ambito dei paragrafi riguardanti le competenze di questi ultimi, vengono indicate le attività svolte anche da professionisti iscritti in altri albi e, quando rileva, le attività svolte da operatori economici non protetti. Occorre inoltre osservare in via preliminare che la regolamentazione pubblica degli ingegneri e degli architetti viene disciplinata in modo unitario da una serie di norme comuni ad entrambe le professioni (si veda al riguardo la sezione successiva riguardante i principali riferimenti normativi). Pertanto l’illustrazione che segue considera congiuntamente - nella prima parte - gli ingegneri e gli architetti e successivamente analizza - nella seconda parte - la regolamentazione delle attività svolte dai geometri. 6.1 Gli ingegneri e gli architetti principali riferimenti normativi Legge 24 giugno 1923 n. 1395, “Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti”; r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537, “Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto”; legge 2 marzo 1949, “Testo unico della tariffa degli onorari per le prestazioni professionali dell’ingegnere e dell’architetto”; legge 4 marzo 1958 n. 143 “Norme sulla tariffa degli ingegneri e degli architetti”; d.m. 11 giugno 1987 “Adeguamento della tariffa per le prestazioni professionali degli ingegneri e degli architetti”. 6.1.1 Le attività degli ingegneri e degli architetti i) tipologia e caratteristiche 2. Risulta di un certo interesse mettere in rilievo che, contrariamente a molte delle altre figure professionali fin qui esaminate, quella dell’ingegnere trova storicamente il proprio radicamento non solo in ambito liberoprofessionale, ma anche nell’impiego pubblico e presso imprese industriali. A questa ampia e diversificata presenza corrisponde un altrettanto variegato ventaglio di competenze che spaziano dalle attività in ambito edilizio alla progettazione industriale ed infrastrutturale. Ciò del resto risulta anche dalle norme istitutive delle professioni di ingegnere e di architetto che individuano in linee generali l’oggetto e i limiti 161 delle stesse318. Relativamente, in particolare all’ambito edilizio, emerge che le due figure hanno una competenza comune, benché all’architetto sembrerebbe essere stata attribuita una riserva - connessa originariamente ad una formazione specialistica dell’architetto stesso - nelle opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico e nel restauro e nel ripristino degli edifici “vincolati”. Con riferimento a tale riserva, può tuttavia rilevarsi che la specializzazione dell’architetto rispetto a quella dell’ingegnere civile in particolare si è attenuata nel corso del tempo in ragione della simile formazione di tali figure. Deve inoltre mettersi in luce che tale riserva appare superata anche sulla base di quanto prevede la Direttiva 85/384 CEE del consiglio del 10 giugno 1985, recante “Reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli del settore dell’architettura e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi”, la quale, nelle premesse, sottolinea che le attività pertinenti all’architettura sono esercitate nella maggior parte degli stati membri da persone denominate architetti, “senza però che tali persone detengano il monopolio nell’esercizio di tali attività”, potendo le stesse “essere esercitate da altri professionisti e, in particolare, da ingegneri che abbiano ricevuto una formazione specifica nel settore delle costruzioni e dell’arte edilizia” (più diffusamente, per quanto concerne i titoli professionali che legittimano all’esercizio delle attività in esame, tra i quali figura per l’appunto la laurea in ingegneria civile, v. infra par. 28)319. 3. Va poi rilevato che la regolamentazione concernente l’oggetto delle professioni di ingegnere e di architetto, e precisamente l’art. 53 del r.d. 2537/1925, nell’indicare l’ambito di attività di tali professioni, precisa che le 318 Al riguardo, va rilevato che, in attuazione dell’art. 7 della legge 24 giugno 1923 n. 1395, recante “Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti”, l’art. 51 r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537, recante “Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto”, prevede che “sono di spettanza della professione di ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente o indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie e ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine e agli impianti industriali; nonchè in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo”. Ai sensi dell’art. 52, comma 1, dello stesso decreto, poi, “formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonchè i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative”. Al riguardo, il comma 2 dello stesso articolo 52 precisa che, mentre la parte tecnica di tali attività può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere, le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico e il restauro e il ripristino degli edifici protetti ex lege in quanto beni di interesse storico, artistico, archeologico sono di spettanza dell’architetto. L’art. 53, infine, dispone espressamente che le suindicate disposizioni (artt. 51 e 52) valgono ai fini della delimitazione delle due professioni. 319 Tale direttiva è stata recepita in Italia con decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 129, il quale, tuttavia, all’art. 1, comma 2, dispone “Restano in vigore le disposizioni che regolano l’esercizio in Italia delle attività di cui al primo comma (cioè di quelle rientranti nel settore dell’architettura) da parte di persone in possesso di titolo professionale idoneo in base alle norme vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”, mantenendo in tal modo ferma la citata riserva incoerentemente con l’orientamento comunitario. 162 disposizioni valevoli ai fini della delimitazione delle professioni di ingegnere e di architetto “non pregiudicano quanto può formare oggetto dell’attività professionale di determinate categorie di tecnici specializzati, nè le disposizioni che saranno date con i regolamenti di cui all’ultimo comma dell’art. 7 della l. 24 giugno 1923 n. 1395”, riferentesi ai geometri e ai periti tecnici320. 4. La legislazione, a ben vedere, appare essere ispirata non già al principio di riconoscere la facoltà di svolgere attività in via esclusiva, quanto piuttosto di ammettere una competizione quanto meno inter-professionale321. Ciò è confermato dal fatto che ad altre categorie di professionisti tecnici geometri, periti industriali, geologi e, più settorialmente, dottori agronomi, periti agrari e agrotecnici - sono state attribuite dai rispettivi ordinamenti alcune competenze analoghe a quelle degli ingegneri e degli architetti, seppure limitate, in alcuni casi, all’esecuzione di prestazioni meno complesse. Deve inoltre rilevarsi che, nell’offerta di determinate prestazioni, anche operatori non protetti, essendo privi di un albo, quali i laureati in urbanistica, sono in concorrenza con i professionisti protetti. 5. In particolare, con riguardo a questi ultimi, il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia, dopo aver osservato che non esiste alcuna riserva di competenza degli ingegneri e architetti o di iscritti ad altri albi professionali relativamente all’attività urbanistica e di pianificazione territoriale, precisa che nè la prassi di affidare gli incarichi di progettazione ad ingegneri e architetti “ancorchè costantemente seguita, nè la mancata istituzione di un apposito albo degli urbanisti possono precludere l’affidamento degli incarichi di pianificazione a soggetti che, come i laureati in urbanistica, dimostrino il possesso di un elevato grado di istruzione specialistica in materia”322. ii) alcune caratteristiche dell’offerta e della domanda 6. Per quanto concerne i soggetti legittimati ad operare nel settore, va rilevato che l’offerta è costituita non solo da singoli professionisti323, ma frequentemente assume forme organizzative di natura associativa, come è 320 Più precisamente, l’art. 7, cui l’art. 53 r.d. n. 2537/1925 rinvia, dopo aver stabilito la formazione di “albi speciali per i periti agrimensori (geometri) e per altre categorie di periti tecnici”, prevede altresì che, con apposito regolamento, “saranno emanate le norme (...) per la determinazione dell’oggetto e dei limiti dell’esercizio professionale” di tali categorie. 321 Al riguardo, appare significativo che la relazione alla legge delega 28 dicembre 1952 n. 3060, recante “Delega al governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e ragioniere”, trae spunto proprio dagli ordinamenti dei professionisti tecnici per ribadire tale principio, aggiungendo che “Non sarebbe neppure agevole stabilire confini precisi e costituire quasi dei compartimenti-stagni fra attività attribuite alle varie professioni, creando in tal modo barriere insormontabili che, in definitiva, si risolverebbero in un danno per gli stessi professionisti, dato che la realtà dell’attività professionale non si presta, nella sua multiforme varietà, ad essere divisa in settori e dato che il progresso e la cultura ampliano sempre di più il campo di attività delle professioni”. 322 Cfr. sentenza 9 ottobre 1996 n. 1087. 323Gli ingegneri iscritti all'albo alla fine del 1994 erano 110.015, di cui una parte consistente, tuttavia, secondo i dati del consiglio nazionale degli Ingegneri, è dipendente da pubbliche amministrazioni o enti privati. Alla stessa data i professionisti iscritti negli albi degli architetti ammontavano a 66.111. 163 dimostrato da una significativa presenza delle organizzazioni di ingegneria, comprendenti studi professionali, associazioni e società di ingegneria, nell’ambito delle quali i professionisti iscritti agli albi operano come soci ovvero come dipendenti324. Dette organizzazioni, nel 1991 erano, secondo il censimento ISTAT del 1991, 4.423, di cui 626 con almeno 6 addetti. Delle 626, 6 erano di grandi dimensioni, disponendo di oltre 500 addetti. 7. Per il crescente rilievo che queste modalità di esercizio dell’attività professionale in forma imprenditoriale appaiono poter assumere nell’ambito del settore in esame, è opportuno illustrarne in maggior dettaglio le caratteristiche, sulla base dei dati disponibili. A tal fine, verrà fatto riferimento ad un’analisi effettuata dall’OICE, (l’associazione delle organizzazioni di ingegneria e di consulenza tecnico-economica), con riferimento ad informazioni riguardanti circa 200 società di ingegneria325. 8. Emerge innanzitutto l’ampio spettro dei campi di attività in cui sono presenti queste organizzazioni, che non si limitano all’ambito dell’ingegneria civile, a cui tuttavia fa capo la gran parte del fatturato realizzato in Italia, (22,6%), ma si estendono anche al settore petrolchimico e petrolifero (19,3%), a quello elettrico (13,5%) e ai trasporti (12,5%). Relativamente poi alla tipologia dei servizi offerti, le società di ingegneria erogano sia servizi di progettazione, che varie altre prestazioni connesse alla realizzazione di opere e impianti, fino ad arrivare alla gestione di progetti chiavi in mano. Nel 1995, il valore dei contratti acquisiti in territorio nazionale dalle società di ingegneria oggetto della rilevazione, è stato di circa 3374 miliardi, di cui circa 980 relativi a prestazioni di progettazione. Di questi poi, 110 miliardi circa hanno riguardato l’edilizia. 9. Dal lato della domanda, e limitando l’analisi ai servizi di progettazione, occorre osservare che essa risulta costituita in parte preponderante da soggetti pubblici (organi dell’amministrazione dello Stato, comuni, province, regioni, ospedali, ecc.), e viene espressa secondo modalità che riflettono la specifica regolamentazione del settore, in particolare 324 In particolare, relativamente alle società di ingegneria, la legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994 n. 109, all'art. 17, comma 5, nell'elencare i soggetti esterni ai quali un ente appaltante può affidare un incarico di progettazione, comprende le società di ingegneria. L'ottavo comma dell'art. 17 stabilisce inoltre che i requisiti organizzativi, professionali e tecnici di tali società sono individuati da apposito regolamento, peraltro non ancora emanato, fermo il principio che l'attività di progettazione e i singoli progetti devono essere eseguiti da uno o più professionisti iscritti negli appositi albi, nominativamente indicati e personalmente responsabili. Anche la normativa di recepimento della Direttiva 92/50 CEE prevede la possibilità per le persone giuridiche di svolgere le prestazioni in esame, eventualmente indicando, nell’offerta di partecipazione, il nome e le qualificazioni professionali delle persone che effettuano la prestazione del servizio: Cfr. in tal senso art. 12 del decreto n. 157/1995. 325 Cfr. OICE “Società italiane di ingegneria, Rilevazione annuale sul settore - Esercizio 1995”, Roma, 1996. 164 prevedendo strumenti di acquisizione dei servizi (avvisi, bandi di gara) che implicano una scelta tra più operatori326. 10. Al riguardo, si osserva che, seppure sulla base di dati riferiti ad un numero limitato di operatori, il 50% circa degli incarichi sarebbero affidati mediante una gara327. Nel 1995 e nel 1996 il valore dei bandi di gara è stato rispettivamente di 173 e 430 miliardi circa, corrispondenti a 656 gare nel 1995 e a 4113 nel 1996, mentre l’importo medio di ciascuna gara è sensibilmente diminuito rispetto all’anno precedente (da 264 a 106 milioni). In questo ambito il confronto concorrenziale tra società di ingegneria e professionisti ha portato le prime ad aggiudicarsi il 42% delle gare nel 1995 e il 26% nel 1996. Tale calo è interpretabile alla luce della tendenza da parte di società di ingegneria a competere principalmente per gare di importi ragguardevoli, il numero delle quali è percentualmente diminuito nel 1996328. 11. La regolamentazione, inoltre, prevede modalità di esecuzione delle gare che favoriscono una più ampia partecipazione dei soggetti legittimati e, pertanto, una più aperta concorrenza tra imprese. A tal fine viene disposta una adeguata pubblicizzazione dei bandi e degli avvisi per l’affidamento degli incarichi, volta ad informare gli operatori in modo ampio e tempestivo, consentendo loro una migliore programmazione dell’attività329. Norme specifiche prevedono, poi, un tempo congruo per la redazione e l’invio delle domande di partecipazione330, nonchè, nella distribuzione degli 326 327 Cfr. art. 17 della citata legge Merloni e art. 6 del decreto n. 157/95. Cfr. Indagine effettuata dall’Associazione Nazionale Cooperative di produzione e lavoro, “Qualificazione e Sviluppo del Costruire”, Quaderno 27, Bologna, 1997, la quale si riferisce ad operatori localizzati in Toscana ed Emilia Romagna. 328 Sul punto si osserva la tendenza a limitare la partecipazione delle società di ingegneria alle sole gare per l’attribuzione di incarichi di importo pari o superiore a 200.000 ECU: Cfr. art. 5 del disegno di legge n. 2288, recante “Modifiche alla legge 11 febbraio 1994 n. 109, e successive modificazioni e integrazioni”. Con riferimento a tale norma, l’Autorità ha già rilevato che detta limitazione “potrebbe ostacolare lo sviluppo delle società di ingegneria, risultato questo che invece dovrebbe essere incentivato soprattutto per garantire un significativo ampliamento delle professionalità per la progettazione dei lavori più complessi” (segnalazione S/167 del 3 settembre 1997). 329 Cfr. al riguardo, art. 17, comma 12, della citata legge Merloni che, per gli incarichi rientranti nell’ambito applicativo della legge stessa (i quali, come visto, in Italia, costituiscono la gran parte del mercato), dispone che “per l’affidamento di incarichi di progettazione il cui importo stimato sia inferiore a 200.000 ECU, le stazioni appaltanti devono procedere in ogni caso a dare adeguata pubblicità agli stessi”. La citata circolare ministeriale è intervenuta a precisare le forme di pubblicità che consistono, per i bandi di minor valore, nella mera pubblicazione degli stessi nell’albo pretorio del Comune in cui ha sede la stazione appaltante, mentre, per quelli economicamente più rilevanti, nella pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione ovvero sulla Gazzetta Ufficiale e sui giornali a tiratura nazionale, nonchè nella comunicazione agli ordini professionali interessati. Adeguate forme pubblicitarie sono anche previste, per le gare sopra soglia, dall’art. 8 del citato decreto n. 157/1995. 330 Cfr. al riguardo le precisazioni contenute nella citata circolare ministeriale, secondo cui “i termini per l’invio delle domande di partecipazione non possono essere inferiori a trenta giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso o del bando”. Termini minimi per la presentazione delle offerte sono pure previsti per i bandi comunitari dagli artt. 9 ss. del decreto n. 157/1995. 165 incarichi, l’obbligo per l’amministrazione di tenere conto dell’opportunità di facilitare l’accesso all’attività anche di giovani professionisti331. La legge, infine, demanda alla fonte regolamentare l’individuazione dei criteri per la valutazione delle offerte e la disciplina delle modalità concrete di aggiudicazione che le amministrazioni appaltanti devono osservare332. Al regolamento spetta anche la definizione dei limiti e delle modalità per la stipulazione, a carico dei progettisti, di polizze assicurative per la copertura dei rischi di tipo professionale333. 12. Il sistema regolamentativo, seppur descritto nelle sue linee generali, nel prevedere garanzie circa la trasparenza delle condizioni di accesso e delle modalità di partecipazione degli operatori alle procedure di fornitura dei servizi appare poter favorire l’attuazione di una concorrenza effettiva tra le imprese nel mercato in esame. 6.1.2 modalità di accesso 13. Con riferimento alle condizioni per l’esercizio della professione, è preliminarmente interessante osservare che la legge n. 1395 del 1923, istitutiva dell’ordine degli ingegneri e degli architetti, non richiedeva l’iscrizione all’albo quale condizione necessaria per l’esercizio dell’attività. La legge infatti, dopo aver previsto, all’art. 1, che il titolo di ingegnere e di architetto spettano solamente a coloro che hanno conseguito i relativi diplomi negli istituti autorizzati per legge a conferirli, e aver altresì previsto che sono iscritti all’albo coloro i quali dispongono dei suddetti titoli, si limitava a disporre che le pubbliche amministrazioni si avvalessero di norma di professionisti iscritti all’albo334. Nello stesso senso disponeva l’art. 5 del r.d. n. 2537/1925, laddove prevedeva che per esercitare in tutto il territorio della Repubblica le professioni di ingegnere e di architetto fosse sufficiente aver superato l’esame di Stato, specificando poi che soltanto agli iscritti all’albo potessero però essere conferiti dalla pubblica amministrazione gli incarichi di cui alla legge n. 1395 del 1923. 331 332 In tal senso, espressamente dispone la circolare ministeriale. Cfr. al riguardo, art. 17, comma 11 della citata legge Merloni, secondo cui “il regolamento disciplina le modalità di aggiudicazione che le stazioni appaltanti (...) devono rispettare, contemperando i principi generali della trasparenza e del buon andamento con l’esigenza di garantire la proporzionalità tra le modalità procedurali e il corrispettivo dell’incarico”. Per i bandi sopra soglia specifici criteri di aggiudicazione risultano stabiliti dagli artt. 23 ss del decreto n. 157/1995. 333 Cfr. art. 17, comma 4. 334 In particolare, l’art. 4 della citata legge, disponeva che: “Le perizie e gli altri incarichi relativi all’oggetto della professione di ingegnere e di architetto sono dall’autorità giudiziaria conferiti agli iscritti all’albo. Le pubbliche amministrazioni, quando debbano valersi dell’opera di ingegneri o architetti esercenti la professione libera, affideranno gli incarichi ad iscritti all’albo. Tuttavia, per ragioni di necessità o di utilità evidente, possono le perizie e gli incarichi di cui nei precedenti commi essere affidati a persone di competenza tecnica, anche non iscritte all’albo, nei limiti e secondo le norme che saranno stabiliti con regolamento.” 166 L’iscrizione all’albo è stata ritenuta condizione necessaria ai fini dell’esercizio professionale, per effetto dell’entrata in vigore della legge 25 aprile 1938 n. 897, recante “Norme sull’obbligatorietà dell’iscrizione negli albi professionali e sulle funzioni relative alla custodia degli albi”335. 14. Con riferimento alle vigenti modalità di accesso alla professione, sono richiesti: a) per l’iscrizione all’albo degli ingegneri, la laurea in ingegneria336 e il superamento dell’esame di Stato di abilitazione. Non è previsto invece un periodo di praticantato obbligatorio; b) per l’iscrizione all’albo degli architetti, la laurea in architettura e il superamento dell’esame di Stato di abilitazione. Anche in tale ipotesi, non è previsto alcun tirocinio337. 15. Anche gli esami di Stato per l'abilitazione all'esercizio delle professioni di ingegnere e architetto, come quelli di numerose altre professioni, tra le quali, come si è visto quelle di dottore commercialista e di ragioniere, sono disciplinati dalle norme della legge 8 dicembre 1956 n. 1378, recante “Esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni” e dal d.m. 9 settembre 1957, recante “Approvazione del regolamento sugli esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni”. Al riguardo, va ricordato che tali esami hanno luogo ogni anno in due sessioni e possono svolgersi nei capoluoghi di provincia e nelle città sedi di università che siano altresì sedi di ordini professionali338. Le commissioni degli esami degli ingegneri e degli architetti sono costituite con Decreto del Ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica e sono composte da cinque membri titolari, dei quali un presidente scelto tra professori universitari e quattro membri da scegliersi da terne composte di persone appartenenti alle seguenti categorie: professori universitari, liberi docenti, funzionari tecnici con mansioni direttive in enti pubblici o amministrazioni statali, professionisti iscritti all'albo con non meno di quindici anni di lodevole esercizio professionale339. 16. Relativamente agli esiti degli esami di abilitazione, le percentuali, a livello nazionale, degli abilitati all'esercizio delle professioni di ingegnere e di architetto nel 1995 sono state rispettivamente di oltre l’89% e del 36%340. 335 In particolare, l’art. 1 della citata legge dispone: “Gli ingegneri, gli architetti, i chimici, i professionisti in materia di economia e commercio, gli agronomi, i ragionieri, i geometri, i periti agrari e i periti industriali non possono esercitare la professione se non sono iscritti negli albi professionali delle rispettive categorie a termini delle disposizioni vigenti”. 336 Cfr. artt.1-3 l. 24 giugno 1923 n. 1395, e artt. 3,4 e 7 r.d. n.2537/1925. 337 Cfr. artt.1-3 l. n. 1395/1923 e artt. 3,4 e 7 r.d. n. 2537/1925. 338 Cfr. artt. 1 e 2 d.m. 9 settembre 1957. 339 Cfr. art. 8, lett. f) e g), d.m. 9 settembre 1957. 340 Cfr. Sole 24 Ore del 23/12/1996. 167 Con riferimento agli anni precedenti e alle principali città, la percentuale degli abilitati degli ingegneri è riportata nella tabella che segue, dalla quale emerge che soprattutto a Roma, Milano e Napoli, le sedi numericamente più importanti, dette percentuali sono assai alte e quelle relative a Bologna, già significative, sono andate aumentando negli ultimi anni. Tabella 1 - Percentuali abilitati ingegneri per importanti sedi di esame anni 1984-1994 Roma Milano Napoli Bologna 1984 78,6 87,2 96,5 1985 71,0 85,8 76,0 1986 71,5 90,6 88,7 1987 86,5 90,8 94,4 1988 79,4 88,7 95,4 1989 70,2 88,5 94,7 1990 83,6 87,9 97,3 1991 87,3 89,1 97,7 1992 92,2 80,9 98,7 1993 70,3 89,6 97,6 1994 93,0 90,2 98,0 Fonte: Università degli Studi di Roma, Milano, Napoli e Bologna 65,6 66,7 64,0 69,9 70,7 71,0 61,0 73,5 69,9 74,8 75,0 17. Sempre con riferimento agli anni 1984/1994 e alle principali città, le percentuali degli idonei all’esercizio dell’attività di architetto è riportata nella tabella che segue, dalla quale emerge che l’esame di abilitazione risulta maggiormente selettivo di quello sostenuto dagli ingegneri. 168 Tabella 2 - Percentuali abilitati architetti per importanti sedi di esame anni 1984-1994 Roma Milano Napoli Torino 1984 36,7 44,8 58,0 1985 46,7 53,7 77,2 1986 53,5 57,8 60,1 1987 36,0 41,5 80,5 1988 20,2 28,4 81,8 1989 66,1 52,3 98,6 1990 61,2 38,0 43,3 1991 44,1 24,4 78,8 1992 35,0 32,5 52,4 1993 44,4 21,0 75,5 1994 48,4 20,4 52,0 Fonte: Università degli Studi di Roma, Milano, Napoli e Torino 36,4 43,1 46,7 42,1 33,9 40,9 36,9 36,5 23,4 30,0 53,6 6.1.3 gli standard qualitativi delle prestazioni degli ingegneri e degli architetti 18. Anche la regolamentazione delle attività svolte dagli ingegneri e dagli architetti, relativamente al profilo qualitativo, riguarda prevalentemente i comportamenti nell’esecuzione delle prestazioni professionali. Al riguardo va rilevato che le norme istitutive delle professioni in esame impongono genericamente agli ingegneri e agli architetti l’obbligo di astenersi dal commettere abusi e mancanze nello svolgimento dell’attività, prevedendo, nell’ipotesi di inosservanza di tale precetto, una responsabilità disciplinare del professionista341. I codici deontologici dispongono inoltre che l’ingegnere e l’architetto devono a) tenere una condotta corretta e leale, nonchè rispettosa del segreto professionale; b) aggiornarsi costantemente; c) controllare la perfetta osservanza delle norme che regolano i lavori cui partecipano; d) essere pienamente responsabili della struttura utilizzata e del prodotto che ne deriva. In entrambi i codici deontologici, infine, è previsto che l’inosservanza dei suddetti obblighi di condotta comporta l’applicazione delle sanzioni disciplinari previste dal regolamento n. 2537/1925. Anche le organizzazioni di ingegneria aderenti all’OICE devono rispettare obblighi di condotta, di contenuto analogo o simile, stabiliti dal codice deontologico dell’associazione342. 6.1.4 le tariffe 341 342 Cfr. art. 43 r.d. n.2537/1925. Va rilevato che l’OICE ha istituito un servizio di consulenza per gli associati sui sistemi di certificazione della qualità per le attività di ingegneria previsti dalla normativa comunitaria UNI EN ISO 9001/2/3, che, nel facilitare l’interpretazione e l’applicazione delle suddette norme, assicuri la qualità nella progettazione e attività connesse per il settore in esame. 169 19. La misura e le modalità per la determinazione dei compensi spettanti agli ingegneri e agli architetti erano in origine stabiliti dalla legge343. Successivamente, sempre la legge ha disposto che le tariffe degli onorari e delle indennità e i criteri per il rimborso delle spese fossero stabilite mediante decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, di concerto con il Ministro per i Lavori Pubblici, su proposta dei consigli nazionali riuniti degli ingegneri e degli architetti, sentite, da parte dei consigli stessi, le organizzazioni sindacali a carattere nazionale delle due categorie344. 20. Ancora norme di legge hanno previsto poi l'inderogabilità dei minimi di tariffa ed inoltre che tale principio deve intendersi applicabile esclusivamente ai rapporti intercorrenti tra privati345. L'inderogabilità non si applica agli onorari a discrezione346. Anche relativamente ai rapporti con le PP.AA., in ogni caso, la legge ha disposto che per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato e agli altri enti pubblici relativamente alla realizzazione di opere pubbliche o comunque di interesse pubblico, il cui onere è in tutto o in parte a carico dello Stato e degli altri enti pubblici, la riduzione dei minimi di tariffa non possa superare il 20%347. 21. I codici deontologici degli ingegneri e degli architetti prevedono poi che i professionisti, nell’accettare l’incarico, rispettino le tariffe vigenti, costituenti minimi inderogabili348. Il codice dell’OICE, invece, stabilisce che il compenso sia convenuto con il committente e che non sia, in eccesso o in difetto, sproporzionato alla reale portata e consistenza dell’incarico assunto349. 343 Cfr. al riguardo legge 2 marzo 1949 n. 143, recante “Approvazione della tariffa professionale degli ingegneri e degli architetti”. 344 Cfr. al riguardo art. unico, comma 1, della legge 4 marzo 1958 n. 143, recante “Norme sulla tariffa degli ingegneri e degli architetti”. 345 Cfr. al riguardo, rispettivamente, art. unico della legge 5 maggio 1976 n. 340, recante "Inderogabilità dei minimi della tariffa professionale per gli ingegneri e gli architetti" e art. 6, comma 1, della legge 1 luglio 1977 n. 404, recante "Sull'inderogabilità dei minimi e altro". Gli onorari per prestazioni professionali, tuttavia, ai sensi dell’art. 3 della citata legge n. 143/1949, sono normalmente valutati a percentuale o a quantità. Il consiglio nazionale degli Architetti, poi, ha precisato che per prestazioni professionali particolari i valori risultanti dalla tariffa sono considerati come massimi: ad esempio, con riguardo alle attività di edilizia abitativa agevolata e sovvenzionata dallo Stato, all'edilizia penitenziaria, alla pianificazione urbanistica nelle zone terremotate della Campania e della Basilicata (Cfr. risposta a richiesta di informazioni dell’Autorità del 1 agosto 1995 e ivi relativi riferimenti normativi). 346 Cfr. citato art. unico della legge n. 340/1976: secondo l’art. 5 della citata legge n. 143/1949 gli onorari sono stabiliti a discrezione, oltre che per le consulenze, anche per le prestazioni quali, ad esempio, ricerche di settore, studi di piani regolatori, perizie, giudizi arbitrali. 347 Cfr. art. 4, comma 12bis, della legge finanziaria 26 aprile 1989 n. 155. Va anche segnalato che il citato disegno di legge n. 2288, all’art. 5, con riferimento agli incarichi di progettazione richiesti dalle amministrazioni, prevede un meccanismo di determinazione delle tariffe da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, cui perfino le amministrazioni sono vincolate, “parametrato sulle tariffe professionali in vigore, ma da esso distinto, ancorchè con identico carattere inderogabile quanto ai minimi”: al riguardo, l’Autorità, nella citata segnalazione S/167 del 3 settembre 1997, ha già avuto modo di auspicare la soppressione di tale disposizione. 348 Cfr. al riguardo art 4.4 per gli ingegneri e art. 14 per gli architetti. 349 Cfr. artt. 3.4 e 7.2 cod. deont. OICE. 170 22. Con riferimento all’effettiva portata del principio dell’inderogabilità, va rilevato che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5675 del 19 ottobre 1988, ha sancito che l'inderogabilità delle tariffe professionali stabilite per ingegneri ed architetti dalle leggi n. 340/76 e 404/77 di per sè non comporta, in mancanza di corrispondente ed espressa previsione di legge, la nullità, ai sensi dell'art. 1418 c.c., del patto in deroga ai minimi predetti, il quale può risultare anche per facta concludentia. 23. Dal punto di vista dell’osservanza delle norme in materia tariffaria, infine, risulta che, dei 438 procedimenti disciplinari avviati nel triennio 1993/95 dai vari ordini degli architetti, 70 riguardano questioni connesse all’applicazione della tariffa professionale350. Il consiglio nazionale degli ingegneri, dal canto suo, ha precisato che nella prassi i minimi vengono derogati351. 24. L’OICE, infine, segnala l’inadeguatezza dello strumento della tariffa obbligatoria per i servizi in esame: al riguardo, viene rilevato innanzitutto che la tariffa non appare tenere conto dei costi di produzione relativi ai singoli progetti poichè, essendo di norma rapportata percentualmente al valore dell’opera, comporta per alcuni di essi - quelli di basso importo per opere complesse compensi inaccettabilmente bassi, per altri - quelli di importi elevati per spese infrastrutturali - prezzi eccessivamente alti. In secondo luogo, viene sottolineato che la tariffa, anche nell’ipotesi in cui venisse determinata tenendo conto dei costi delle singole prestazioni, diventerebbe rapidamente obsoleta considerata l’evoluzione delle tecniche di progettazione352. 6.1.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività i)il divieto di prestare l'attività in qualità di dipendente di enti o imprese 25. Relativamente al suindicato divieto (che viene più estesamente trattato nell’ambito del capitolo ottavo), va rilevato che gli ingegneri e gli architetti-dipendenti, differentemente dagli avvocati, di regola, possono essere iscritti nell’albo ed esercitare la professione353. Tuttavia, per i soli dipendenti pubblici, la legge prevede il divieto di esercitare la libera professione - e non 350Cfr. risposta del consiglio nazionale degli Architetti del 1 agosto 1995 a richiesta di informazioni dell’Autorità. 351 Cfr. audizione del suddetto consiglio del 30 marzo 1995: non sono disponibili dati concernenti specificamente il numero dei procedimenti disciplinari per mancata osservanza delle tariffe. 352 Cfr. l’audizione dell’OICE del 5 maggio 1997. 353 Relativamente ai dipendenti pubblici in particolare l’art. 62 r.d. n. 2537/1925 stabilisce che “Gli ingegneri e gli architetti che siano impiegati di una pubblica amministrazione dello Stato, delle province e dei comuni, e che si trovino iscritti nell’albo degli ingegneri e degli architetti, sono soggetti alla disciplina dell’ordine per quanto riguarda l’eventuale esercizio della libera professione” (comma 1). “Per l'esercizio della professione è in ogni caso necessaria espressa autorizzazione dei capi gerarchici nei modi stabiliti dagli ordinamenti dell'amministrazione da cui il funzionario dipende” (comma 3). 171 già il divieto di iscrizione all’albo - ove sussista incompatibilità preveduta da leggi, regolamenti generali o speciali, ovvero da capitolati354. Il consiglio nazionale degli ingegneri, relativamente agli iscrittidipendenti, ha precisato che tali professionisti svolgono la libera professione occasionalmente o saltuariamente ovvero nell’ambito di società di ingegneria. ii) circolazione in ambito comunitario e limitazioni territoriali 26. Anche agli ingegneri si applica il decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 115, emanato in attuazione della citata direttiva CEE n. 89/48, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che si riferiscono a formazioni professionali di una durata minima di tre anni355. 27. La citata direttiva n. 89/48 CEE non comprende invece le attività del settore dell'architettura che sono oggetto di una direttiva specifica del 10 giugno 1985, la 85/384, citata al par. 2. I titoli che, secondo la Direttiva in esame, consentono l’accesso alle attività del settore dell’architettura sono, per l’Italia, la laurea in architettura ovvero quella in ingegneria civile356. Il riconoscimento dei titoli, inoltre, è subordinato alle seguenti condizioni: a) la formazione deve riguardare principalmente l’architettura, sia negli aspetti teorici che pratici; b) la durata della formazione di livello universitario deve essere almeno quadriennale se a tempo pieno, ovvero di almeno 6 anni, di cui 3 a tempo pieno. Non sono invece previste le cd misure compensative. L’esercizio da parte di architetti stranieri delle attività in esame in Italia è un fenomeno abbastanza diffuso. Infatti, alla metà del ‘95, risultava che il numero dei professionisti comunitari iscritti in albi nazionali ammontava già ad alcune centinaia ed era in aumento357. 28. Relativamente all’ambito nazionale, l’ingegnere e l’architetto iscritti in un albo possono esercitare la professione in tutto il territorio dello Stato358. iii) il divieto di pubblicità 354 355 Cfr. l’art. 62 citato, comma 2. Il consiglio nazionale degli Ingegneri, sulla base di una ricerca effettuata dal consiglio stesso sullo stato di recepimento della Direttiva 89/48 CEE nei vari Paesi membri, osserva che l’accesso alla professione all’estero per i professionisti italiani, in alcuni Paesi UE, è più facile che per quelli stranieri in Italia: in Francia, Belgio e Olanda, ad esempio, qualunque cittadino comunitario può stabilirsi ed esercitare liberamente la professione di ingegnere con il solo limite di non fregiarsi dei titoli formativi locali, mentre in Germania, non sono previste misure compensative ai fini del riconoscimento del titolo (Cfr. L’Ingegnere Italiano n. 243, luglio 1993 e n. 247, gennaio 1994). 356Conseguentemente appare che gli ingegneri civili possono esercitare attività di architettura in qualunque paese dell’UE, senza peraltro le limitazioni concernenti gli immobili storico-artistici poste invece, all’interno, dall’ordinamento del ‘25, la cui vigenza, come visto precedentemente, risulta mantenuta dal citato decreto n. 129. 357 Cfr. risposta del consiglio nazionale degli Architetti alla richiesta di informazioni dell’Autorità del 1 agosto 1995. 358 Cfr. art. 5 r.d. n. 2537/1925. 172 29. Relativamente al divieto di pubblicità, il consiglio nazionale degli ingegneri asserisce che la possibilità per gli iscritti agli albi di pubblicizzare la propria attività è limitata dagli obblighi che la legge impone loro e che si sostanziano essenzialmente nelle norme, a contenuto ampio, che richiedono di esercitare con decoro, probità e diligenza la professione, e di non commettere abusi o mancanze. A livello deontologico, poi, il codice degli ingegneri stabilisce che "l'ingegnere si deve astenere dal ricorrere a mezzi incompatibili con la propria dignità per ottenere incarichi professionali come l'esaltazione delle proprie qualità a denigrazione dell'altrui o fornendo vantaggi o assicurazioni esterne al rapporto professionale"359. E le norme di attuazione del codice deontologico inoltre considerano illecita concorrenza, tra l’altro “l'abuso di mezzi pubblicitari sulla propria attività professionale di tipo reclamistico e che possano ledere in vario modo la dignità della professione"360. 30. Per quanto concerne gli architetti, il consiglio nazionale precisa che l'architetto può pubblicizzare la propria attività nei limiti di una semplice informazione al pubblico. Ed infatti, anche il codice deontologico, nello stabilire che "la pubblicità commerciale è contraria alla dignità professionale ed è lesiva dell'immagine della categoria" prevede la pubblica diffusione delle opere e dei progetti come atto di divulgazione culturale che però non deve mai assumere forme concorrenziali o di carattere commerciale361. 6.1.6 Confronto internazionale 31. Secondo le informazioni derivanti da un’indagine svolta alla fine del ‘94 dall’OICE con la collaborazione delle corrispondenti associazioni degli altri Paesi dell’UE362, la professione di ingegnere, nella maggior parte dei Paesi membri dell’Unione, è regolamentata in modo meno stringente che in Italia e, in alcuni casi, non è affatto regolamentata. Innanzitutto, deve rilevarsi che in numerosi Paesi e cioè in Francia, Inghilterra, Danimarca, Norvegia e Svezia tali professioni non appaiono essere protette. Inoltre, anche in alcuni degli Stati membri nei quali detto titolo è tutelato, non sono tuttavia previsti un esame post-laurea e l’iscrizione all’albo quali requisiti necessari per esercitare la professione, come in Germania e in Belgio. In Lussemburgo e in Spagna, infine, sono richiesti, rispettivamente, solo l’iscrizione ovvero l’esame post-laurea. Conseguentemente, in numerosi Stati membri, tra cui anche la Francia e la Germania, non esistono enti ai quali spetti per legge la tenuta dell’albo degli 359 Cfr. art. 3.5 cod. deont. 360 Cfr art. 3.3 norme att. 361 Cfr. art. 34 cod. deont. 362Lo studio effettuato dall’OICE nel dicembre 1994, peraltro, ha un oggetto più ampio, trattandosi di un’indagine nei Paesi europei sulla legislazione per le società di ingegneria e sull’applicazione delle Direttive 92/50 e 93/38. 173 abilitati363. In Inghilterra e in Belgio esistono organismi per la registrazione degli ingegneri,ma l’appartenenza agli stessi non è un requisito per esercitare la professione. 32. Venendo alle tariffe, deve osservarsi che in nessun paese membro esistono ex lege tariffe minime inderogabili, ad eccezione dell’Italia, della Grecia e del Portogallo. In Spagna esistono tariffe concordate tra gli enti professionali e le Autorità governative e obbligatorie solo per alcune prestazioni. In Francia, in Germania e in Olanda esistono tariffe meramente indicative. 33. Relativamente alla possibilità di pubblicizzare l’attività professionale, in Germania gli ingegneri che esercitano l’attività in forma di impresa possono propagandare liberamente i servizi offerti, mentre gli ingegneri liberi professionisti, in quanto appartenenti ad un’associazione di categoria, possono soltanto informare il pubblico della forma e del contenuto delle loro attività. 6.2 I geometri principali riferimenti normativi Legge 24 giugno 1923 n. 1395, “Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti”; r.d. 11 febbraio 1929 n. 274, “Regolamento per la professione di geometra”; legge 2 marzo 1949 n. 144, “Tariffa degli onorari per le prestazioni professionali dei geometri”; legge 18 ottobre 1961 n. 1181, recante “Norme sulla tariffa per le prestazioni professionali dei geometri”; legge 7 marzo 1985 n. 75, “Modifiche all’ordinamento professionale dei geometri”. 6.2.1 Le attività dei geometri i) tipologia e caratteristiche 34. La professione di geometra, come le altre categorie di periti tecnici, risulta istituitadalla citata legge del 1923 n. 1395, la quale, come visto, ha istituito anche le professioni di ingegnere e di architetto364. I geometri svolgono prevalentemente operazioni cartografico-catastali e gli estimi relativi, attività di misurazione e stima di fondi rustici, di aree urbane e di modeste costruzioni civili, nonchè di progettazione, direzione e vigilanza di 363 364 In Germania, tuttavia, esistono associazioni di ingegneri. Infatti, detta legge, all’art. 7, comma 2, stabilisce “Saranno pure formati (...) albi speciali per i periti agrimensori (geometri) e per altre categorie dei periti tecnici”. Ed ancora, l’ultimo comma dello stesso articolo 7 rinvia ad apposito regolamento l’emanazione delle norme per la formazione degli albi, la costituzione, il funzionamento e le attribuzioni dei relativi collegi, nonchè la determinazione dell’oggetto e dei limiti dell’esercizio professionale. Il r.d. 11 febbraio 1929 n. 274 reca, per l’appunto, il regolamento per la professione di geometra. 174 costruzioni rurali di limitata importanza, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, e di modeste costruzioni civili365. 35. Anche le attività che formano l’oggetto della professione di geometra non sono riservate per legge ai geometri stessi366. Ciò emerge dalle norme recanti l’ordinamento della professione, e precisamente dagli artt. 18, 19 e 20 del r.d. n. 274/1929, i quali definiscono le attività che devono considerarsi comuni rispettivamente agli ingegneri civili, ai dottori in scienze agrarie e ai periti agrari. Al riguardo, tuttavia, la competenza dei geometri, relativamente ad alcune attività, è limitata rispetto a quella attribuita alle suindicate figure professionali367. In altri casi, invece, le attività esercitabili dal geometra sono assolutamente analoghe a quelle di altri operatori368. ii) l’articolazione della domanda e dell’offerta 36. I geometri iscritti all'albo alla fine del 1996 erano 84.725. La tabella che segue riporta il numero totale a livello nazionale degli iscritti agli albi dei geometri, nonchè la consistenza dell’offerta nelle principali regioni (per una maggiore disaggregazione dei dati si veda anche tabella a1 in appendice). 365 366 367 Cfr. art. 16, r.d. n. 274/1929. Cfr. audizione dello stesso consiglio nazionale dei Geometri del 21 giugno 1995. Ad esempio, per quel che concerne le costruzioni civili, la progettazione, direzione e sorveglianza delle stesse spetta ai geometri solo ove si tratti di costruzioni modeste. L’incertezza da sempre esistente relativamente al concetto di “modestia” della costruzione ha determinato, nel tempo, un notevole contenzioso tra le categorie professionali interessate. Al fine di risolvere l’incertezza circa le competenze dei geometri sono state presentate alcune proposte di legge (Cfr. di recente, Atto Camera n. 740 del 10/5 /96 e Atto Senato n. 884 del 4/7/96 “Disciplina delle competenze professionali dei geometri nei settori delle costruzioni, delle strutture e dell’urbanistica”), le quali, nel definire il concetto di modesta costruzione, tengono conto dell’evoluzione del concetto stesso derivante dal notevole progresso delle conoscenze scientifiche e tecniche e dei metodi costruttivi. La Corte Costituzionale (sentenza 27 aprile 1993 n. 199), al proposito, osserva che “non può certo ritenersi scelta irragionevole quella di ragguagliare a presupposti “flessibili” la determinazione di competenze che postulano cognizioni necessariamente variabili in rapporto ai progressi tecnico-scientifici che la materia può subire nel tempo”. Relativamente alla progettazione, direzione e vigilanza di costruzioni in cemento armato, poi, devono rilevarsi orientamenti giurisprudenziali difformi. In particolare da un lato si ritiene attribuita ai geometri la competenza solo per piccole opere accessorie di costruzioni rurali e di edifici per uso di industrie agricole, di limitata importanza, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per l’incolumità delle persone, mentre per le costruzioni civili, sia pure modeste, ogni competenza è riservata agli ingegneri e agli architetti iscritti all’albo, (Cfr. in tal senso Cass. 28 luglio 1992 n. 9044, Cass. 5 agosto 1987 n. 6728). Dall’altro, invece, viene attribuita ai geometri la competenza in esame anche per le modeste costruzioni civili senza alcuna distinzione o esclusione in ordine al tipo di costruzione, alla sua struttura o alla tecnica costruttiva; (Cfr. Cass. 2 febbraio 1993). Ancora, in tema di delimitazione delle competenze, relativamente alla stima di aree e di fondi rustici, nonchè dei danni prodotti a tali fondi dalla grandine o dagli incendi, ovvero alla stima per la costituzione di servitù rurali, sono competenti sia i geometri che i dottori in scienze agrarie, ad eccezione dei “casi di notevole importanza economica e per quelli che, per la complessità di elementi di valutazione, richiedano le speciali cognizioni scientifiche e tecniche proprie dei dottori in scienze agrarie”. 368 Ad esempio, la progettazione e direzione di modeste costruzioni civili spettano tanto ai geometri quanto ai periti edili. 175 Tabella 3 - Iscritti agli albi dei geometri - 1996 Regioni geometri 1996 Lombardia 13.751 (16,2%) Piemonte 7.586 (8,9%) Veneto 7.110 (8,3%) Em. Romagna 6.744 (7,9%) Campania 6.643 (7,8%) Altre Regioni 42.891 (50,9%) Totale 84.725 100 Fonte: consiglio nazionale dei geometri La tabella mette inoltre in luce che poco meno del 50% del numero totale di professionisti era concentrato in sole cinque regioni, di cui le prime quattro al Nord. 6.2.2 modalità di accesso e standard qualitativi delle prestazioni 37. Con riferimento alle modalità di accesso, sono richiesti: 1) il diploma di geometra, un periodo di praticantato e l’esame di Stato di abilitazione369. Relativamente al tirocinio, va rilevato che esso può essere svolto presso lo studio tecnico di un geometra, di un architetto o di un ingegnere civile per un biennio ovvero nella forma di attività tecnica subordinata anche al di fuori di uno studio tecnico professionale per almeno un quinquennio370. Per quanto concerne l’esame di Stato, infine, va osservato che tale esame è disciplinato dalle norme della citata legge n. 1378/1956, come per le professioni di ingegnere e di architetto371. 38. Le commissioni esaminatrici sono nominate con decreto del Ministro della Pubblica Istruzione e sono composte dal Presidente e da quattro membri. Il Presidente viene scelto nelle seguenti categorie: a) professori universitari di ruolo ordinario o straordinario, b) professori associati o fuori ruolo, c) presidi di ruolo ordinario degli istituti tecnici. Uno dei membri della commissione viene scelto tra i professori di ruolo delle scuole secondarie superiori, docenti di costruzioni o tecnologia delle costruzioni, di topografia o di economia ed estimo, che abbiano effettivamente insegnato tali discipline per almeno dieci anni negli istituti tecnici per geometri. Gli altri tre componenti della commissione sono scelti tra geometri liberi professionisti iscritti all'albo professionale da almeno quindici anni, nell'ambito di terne di nominativi 369 Cfr. artt. 1 e 2, comma 1, legge 7 marzo 1985 n. 75, recante “Modifiche all’ordinamento professionale dei geometri”. Peraltro, anche altre categorie di professionisti tecnici, quali i periti industriali o gli agrotecnici, sono caratterizzate da requisiti di accesso simili a quelli dei geometri. 370 Cfr. art. 2, comma 2, legge n. 75/85. 371 Cfr. art. 2, comma 2, legge n. 75/85. 176 segnalate dal consiglio nazionale dei Geometri in numero corrispondente ai commissari da nominare372. 39. Relativamente agli esiti degli esami di abilitazione, dai risultati degli stessi riguardanti gli anni 1992/1994, riportati nella tabella che segue, emerge che le percentuali degli abilitati all'esercizio della professione di geometra negli anni considerati sono state del 42,3%, del 41,7% e del 45,1% (Per una maggiore disaggregazione dei dati relativi al 1994 v. tab. a2 in appendice, dalla quale risulta una maggiore differenziazione tra sedi di esame). Tabella 4- Risultati degli esami di abilitazione dei geometri Abilitati Candidati Abilitati Candidati Abilitati Candidati di di esame di esame di esame di esame esame di esame Stato 1994 Stato 1994 Stato 1993 Stato 1993 Stato 1992 Stato 1992 9 457 4 005 9 606 4 008 9.873 4.456 Fonte: consiglio nazionale dei geometri. 40. Con riferimento a tali percentuali, il consiglio nazionale ha rilevato che il loro livello contenuto va valutato sulla base essenzialmente di due elementi: e cioè una formazione di base spesso carente e un tirocinio altrettanto inidoneo ad acquisire la necessaria esperienza professionale. 41. Con riferimento agli standard qualitativi, i codici deontologici adottati dai vari collegi prevedono una serie di comportamenti volti ad assicurare un livello qualitativo minimo dei servizi offerti. Oltre al generale dovere di comportarsi con probità e dignità, rilevano in particolare gli obblighi di perfezionamento della qualità delle proprie prestazioni professionali, di segreto, di non porsi in conflitto di interesse con il cliente. 6.2.3 le tariffe 42. Anche la misura e le modalità per la determinazione dei compensi spettanti ai geometri erano in origine stabiliti dalla legge373. Successivamente, il legislatore, delegificando la materia, ha disposto che le tariffe sono determinate, su proposta del consiglio nazionale dei geometri, con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia di concerto con il Ministro dei Lavori Pubblici, e con il parere del Consiglio di Stato374. I minimi sono inderogabili375. E tale inderogabilità risulta prevista anche dai vari codici deontologici adottati dai collegi locali. 372 Cfr. art. 8 d.m. 15 marzo 1986, recante “Regolamento per gli esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra”. 373 Cfr. al riguardo legge 2 marzo 1949 n. 144, recante “ Tariffa degli onorari per le prestazioni professionali dei geometri”. Detta legge stabilisce, all’art. 3, l’obbligatorietà della tariffa, “salvo particolari accordi riferentisi a prestazioni di carattere continuativo”. 374 Cfr. art. 1, legge 18 ottobre 1961 n. 1181, recante “Norme sulla tariffa per le prestazioni professionali dei geometri”. 375 Cfr. art. 5 d.m. 25 marzo 1966, recante “Minimo tariffario”. 177 43. Dal 1961 al 1990 il consiglio nazionale fa presente di aver presentato semplici adeguamenti economici dei valori tariffari in base agli indici ISTAT. Nel 1990, invece, ha proposto al Ministero una tariffa interamente ristrutturata, essendosi nel corso del tempo modificati i tipi e le modalità di svolgimento delle prestazioni, e comprensiva anche di voci precedentemente non previste376. La precedente tariffa infatti non prevedeva le voci connesse alla progettazione e al controllo della sicurezza dei cantieri, per lo svolgimento delle quali è stata creata una figura professionale ad hoc dalla legge n. 494/94. Tale attività può essere svolta dai geometri, come da altri professionisti. 6.2.4 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività i) limitazioni territoriali 44. Relativamente all’ambito nazionale, il geometra iscritto in un albo può esercitare la professione in tutto il territorio dello Stato. Tuttavia in base al regolamento professionale, esiste una limitazione per le funzioni relative agli istituti tavolari e catastali esistenti nei territori annessi alla Repubblica Italiana con le leggi 26 settembre 1920, n. 1322 e 19 dicembre 1920, n. 1778. Le suddette funzioni infatti possono essere svolte solo dai geometri che sono iscritti in uno degli albi dei territori sopra indicati dopo almeno un anno dall'iscrizione377. ii) il divieto di pubblicità 45. Relativamente al divieto di pubblicità si rileva che lo stesso risulta stabilito come obbligo deontologico da parte dei collegi che hanno adottato codici deontologici. Alcuni codici, poi, stabiliscono il divieto di procurarsi clientela mediante illecita pubblicità, non specificando tuttavia il contenuto di tale illiceità, altri, più severamente, il divieto di qualsiasi forma di pubblicità. Viceversa, l’OICE si limita a prevedere che le organizzazioni associate, per procurarsi clientela, non pubblichino testi o annunci pubblicitari elogiativi per sè stesse o denigratori per altre organizzazioni o consulenti378. 6.2.5 Spunti comparatistici 46. La professione di geometra, in Francia, è disciplinata dalla legge, la quale prevede, tra l’altro, un Ordre des Geometres Experts, articolato in 376 L’iter formativo, tuttavia, si è interrotto in quanto il Consiglio di Stato, per un verso, ha sospeso l’emissione del parere in relazione all’importo dei compensi a vacazione richiedendo ulteriori chiarimenti in merito, per l’altro, ha ritenuto che la proposta presentata dal consiglio nazionale non fosse un semplice aggiornamento quanto piuttosto contenesse un ampliamento delle competenze professionali. Il Ministero ha accolto i rilievi del Consiglio di Stato, non approvando la tariffa (Cfr. audizione del consiglio nazionale dei Geometri del 4 giugno 1997). 377 Cfr. art. 24 del r.d. n. 274/1929. 378 Cfr. art. 10.5 cod. deont. OICE. 178 consigli regionali e un consiglio superiore. Tali organismi hanno essenzialmente funzioni organizzative e di controllo del comportamento degli iscritti, mentre non hanno, come si vedrà, poteri in materia tariffaria. Il perito geometra francese è un tecnico che svolge, in via esclusiva, i lavori topografici379. L’accesso all’albo è subordinato al superamento di un esame finale di una scuola per ingegneri-geometri, ad una prova di esame preliminare del diploma di perito-geometra e al compimento di un periodo di tirocinio. Quanto ai compensi, la determinazione degli onorari è lasciata al libero accordo delle parti380. Interessante appare poi la norma che prevede per ogni perito-geometra l’obbligo di una copertura assicurativa381. 6.3 Conclusioni 47. La tabella che segue mette in evidenza le forme di regolamentazione dell’attività svolta dalle principali categorie professionali rientranti nell’area tecnica. In primo luogo, emerge che i profili regolamentativi comuni a tutte le professioni sono costituiti dalle tariffe minime inderogabili e dal divieto di pubblicità. Inoltre, a livello deontologico, viene individuato il contenuto di alcuni obblighi di comportamento del professionista nei confronti della clientela a garanzia della qualità del servizio, tra i quali rileva in particolare l’obbligo di perfezionamento diretto ad assicurare prestazioni professionali tecnicamente adeguate. Con riguardo all’ambito delle esclusive, va osservato che, mentre le competenze degli ingegneri e degli architetti appaiono delimitate, la ripartizione delle attività comuni ai geometri e agli ingegneri, relative in particolare alla progettazione e direzione delle costruzioni civili, non è stabilita univocamente, considerata la genericità dei criteri definitori legislativi. Relativamente ai requisiti di accesso, poi, emergono differenti modalità, che variano dal diploma di scuola media superiore accompagnato dal praticantato nel caso dei geometri (e di altre categorie di periti tecnici), al solo diploma di laurea nel caso degli ingegneri e degli architetti. Anche per questa area, come per quella economico-contabile, pertanto, emerge un sistema definito da una certa graduazione dei requisiti di accesso, ai quali tuttavia corrispondono competenze caratterizzate da un differente grado di complessità. 379 In particolare, l’art. 1.1 della legge n. 46-942 del 7 maggio 1946, istitutiva dell’ordine dei periti geometri, prevede la realizzazione di “studi e lavori topografici che fissano i limiti dei beni fondiari e, a questo titolo, rileva e redige i piani e i documenti topografici riguardanti la definizione dei diritti connessi alla proprietà fondiaria (...)”. 380 L’art. 9 della citata legge stabilisce al riguardo “L’importo degli onorari è liberamente convenuto con i loro clienti entro i limiti stabiliti, eventualmente, dallo Stato, ai sensi delle sue prerogative generali in materia di prezzi”. 381 Cfr. art. 9.1. della citata legge. 179 Tabella 5 - Principali forme di regolamentazione dell’attività svolta dagli ingegneri, architetti e geometri requisiti entrata ingegneri a) laurea in ingegneria b) esame di abilitazione architetti a) laurea in architettura b) esame di abilitazione standard di qualità minima tariffe altre forme di dei servizi economico(auto)regolamentazione contabili requisiti relativi ai rapporti minime e, in alcuni divieto di pubblicità con la clientela: casi, massime aggiornamento obbligo di lealtà, di minime inderogabili riservatezza, rispetto all’incarico ricevuto; divieto di conflitto interessi con il cliente di . geometri a) diploma di geometra b) pratica biennale o quinquennale c) esame di abilitazione 48. Con riguardo alla differenziazione della regolamentazione degli accessi, possono svolgersi considerazioni non dissimili da quelle espresse con riferimento al mercato delle prestazioni contabili. In particolare, appare ipotizzabile che un assetto caratterizzato da una diversificazione dell’offerta consenta un più efficiente adattamento della stessa a esigenze della domanda senz’altro differenziate sotto il profilo del grado di complessità delle prestazioni richieste. 49. Giova al riguardo sottolineare, tuttavia, che nell’ambito delle professioni tecniche, probabilmente ancor più che in altri settori, il legislatore appare essersi frequentemente orientato verso soluzioni che favoriscono la concorrenza, quanto meno intercategoriale. Pertanto, non v’è ragione per ritenere che, sulla base di questo principio, ed in particolare relativamente alle attività il cui esercizio presuppone percorsi di studio aventi per oggetto materie analoghe o simili, non possano essere reinterpretate situazioni attualmente caratterizzate da ambiguità e incoerenze normative. Peraltro, sotto un profilo sostanziale, l’esistenza di barriere interprofessionali appare particolarmente artificiosa qualora si consideri, dal lato dell’offerta, il crescente peso assunto dalle società di ingegneria, al cui interno operano professionisti di varia formazione e specializzazione. 50. Con riferimento a queste ultime, è utile mettere in evidenza come esse costituiscano l’esemplificazione di nuove forme di svolgimento dell’attività professionale, in cui prevalgono non tanto la personalità della prestazione, quanto piuttosto l’organizzazione del processo di erogazione del servizio secondo criteri di “efficienza industriale”, che contemplano anche la certificazione di qualità dello stesso. 180 51. Peraltro, che le società di ingegneria costituiscano soggetti portatori di un nuovo modo di erogare servizi professionali maggiormente coerente con i principi e le dinamiche di mercato, appare evidente qualora si consideri l’insoddisfazione espressa dalle stesse circa la permanenza di una regolamentazione tariffaria che viene percepita come inutilmente limitativa dell’autonomia di impresa. 52. Al riguardo non può non considerarsi che, data anche la diffusione di procedure ad evidenza pubblica secondo le quali si esprime gran parte della domanda del settore, la vigente regolamentazione dell’esercizio dell’attività che comprende non soltanto limitazioni tariffarie ma anche divieti all’utilizzo della pubblicità, appare del tutto superflua. 181 appendice statistica Geometri Tabella a1. Geometri iscritti agli albi per regioni PIEMONTE - VALLE D’AOSTA di cui: Torino LOMBARDIA di cui: Milano TRENTINO ALTO ADIGE di cui: Trento VENETO di cui: Padova FRIULI VENEZIA GIULIA di cui: Udine LIGURIA di cui: Genova EMILIA ROMAGNA di cui: Bologna MARCHE di cui: Ancona TOSCANA di cui: Firenze LAZIO di cui: Roma UMBRIA di cui: Perugia ABRUZZO di cui: L’Aquila MOLISE di cui: Campobasso CAMPANIA di cui: Napoli BASILICATA di cui: Potenza PUGLIA di cui: Bari CALABRIA di cui: Cosenza SICILIA di cui: Catania SARDEGNA di cui: Sassari 8.005 2.882 13.751 3.566 1.472 872 7.110 1.469 2.068 1.090 2.731 1.184 6.744 1.258 2.523 693 6.568 1.705 5.710 3.391 1.932 1.504 2.213 592 772 534 6.643 2.285 1.608 1.254 4.387 1.293 2.313 896 5.403 1.185 2.772 1.163 TOTALE Fonte: consiglio nazionale dei geometri 84.725 182 Tabella a2 - Percentuali geometri abilitati anno 1994 Città Candidati Abilitati % abilitati Torino 485 283 58,3 Alessandria 141 25 17,7 Asti Cuneo Vercelli Casale Monferrato 23 12 52,1 Novara 192 72 37,5 Genova 211 105 49,7 Savona 103 39 37,8 La Spezia 81 28 34,5 Imperia 80 51 63,7 Milano 465 191 41 Bergamo 230 73 31,7 Varese 251 71 28,2 Como 197 49 24,8 Brescia 271 94 34,6 Cremona 106 40 37,7 Mantova 92 46 50 Pavia 143 41 28,6 Sondrio Venezia 178 62 34,8 Verona 214 83 38,7 Vicenza 248 87 35 Treviso 214 68 31,7 Padova 253 79 31,2 Rovigo 66 36 54,5 Belluno 39 22 56,4 Bologna 165 64 38,7 Ferrara Forlì Parma 86 35 40,6 Piacenza 64 43 67,1 Reggio Emilia 115 29 25,2 Ravenna 84 36 42,8 Rimini 96 47 48,9 Trieste 27 9 33,3 Udine 110 77 70 Pordenone Gorizia Trento 131 35 26,7 Bolzano 69 50 72,4 Firenze 263 126 47,9 Lucca 228 43 18,8 Pistoia Pisa 130 65 50 Grosseto 68 34 50 Arezzo 165 62 37,5 183 Massa Carrara 81 Prato 92 Siena 99 Perugia 213 Terni 66 Ancona 121 Macerata 38 Ascoli Piceno 56 Camerino 6 Pesaro 96 Roma 422 Latina Frosinone Rieti 66 Napoli 428 Caserta 128 Avellino 116 Benevento Salerno Potenza 158 Matera 52 Pescara L’Aquila Chieti 41 Bari 144 Brindisi 62 Foggia 73 Lecce Taranto 106 Lucera 26 Campobasso 74 Isernia 27 Reggio Calabria 56 Catanzaro Cosenza Palermo 126 Messina 168 Ragusa 57 Siracusa 69 Enna 44 Caltanissetta 54 Trapani 87 Catania Cagliari 253 Nuoro 93 Oristano 56 Sassari Fonte: consiglio nazionale geometri 30 41 27 82 41 48 22 29 5 43 191 22 245 67 82 33 51 28 66 37 44 85 64 11 65 17 45 104 82 37 21 40 32 54 101 40 23 - 37 44.5 27.2 38.4 62.1 39.6 57.8 51.7 83.3 44.7 45.2 33.3 57.2 52.3 70.6 20.8 98 68.2 45.8 59.6 60.2 60.3 42.3 87.8 62.9 80.3 82.5 48.8 64.9 30.4 90.9 59.2 62 39.9 43 41 - 184 185 CAPITOLO DECIMO: CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 10.1 Premessa 1. I servizi professionali rivestono in ambito sociale ed economico un indiscusso rilievo, che va ben oltre il pur ragguardevole contributo del settore al prodotto interno lordo433, e che ha tradizionalmente motivato il particolare riconoscimento attribuito alle attività professionali nell’ordinamento. Esse sono state infatti oggetto di una normativa che, nel salvaguardarle, le ha largamente sottratte alle regole della concorrenza e del mercato, per assoggettarle a forme di regolamentazione (e autoregolamentazione), ritenute più idonee a promuovere lo sviluppo del settore, a beneficio dei professionisti e dell’intera collettività. 2. Questa particolare tutela del settore dei servizi professionali è in parte riconducibile al riconoscimento della natura specialistica delle conoscenze necessarie per lo svolgimento di tali attività, ma, in misura ancor maggiore, deriva dalla circostanza che esse non di rado si ricollegano ad esigenze di interesse primario sia del singolo che della collettività, quali ad esempio la salute e il funzionamento della giustizia. Alcune attività professionali, poi, rappresentano veicolo di diffusione di innovazione e di nuove tecnologie, e per questa via contribuiscono al miglioramento della competitività del paese. 3. L’indagine, nel far suoi questi presupposti, si è posta l’obiettivo di verificare fino a che punto la vigente regolamentazione del settore, in parte risalente alla prima metà del secolo, risulti oggi effettivamente funzionale allo sviluppo delle attività professionali, in considerazione anche dell’evoluzione del contesto economico e normativo, in parte, peraltro, riconducibile a fenomeni di carattere sovranazionale. 4. Negli ultimi decenni, nei paesi industrializzati, il settore dei servizi professionali ha generalmente registrato significativi tassi di espansione e un crescente grado di internazionalizzazione. Tali osservazioni si riferiscono, in particolare, ai servizi professionali rivolti alle imprese, i quali hanno sperimentato un aumento considerevole sia della propria incidenza sul prodotto interno, che sull’occupazione complessiva dell’economia434. L’Italia non fa eccezione alla tendenza espansiva del settore. Nel contesto di una significativa crescita del settore terziario, spicca in particolare l’espansione registrata dai servizi privati alle imprese, che 433Tale contributo è stato stimato per il 1994 al 3,3% sulla base di dati di fonti: Istat, Inps-Archivio delle Professioni e Anagrafe Tributaria. 434 Cfr. Ocse, Regulatory Reform Project, Draft Chapter on Professional Business Services, gennaio 1997. 222 comprendono anche le attività terziarie cosiddette avanzate, tra le quali senz’altro si collocano i servizi professionali435. Al riguardo, occorre sottolineare il cambiamento dei modi di fruizione dei servizi, con particolare riguardo al ruolo assunto dall’informazione nell’ambito dei processi industriali. Non v’è dubbio infatti che per le imprese industriali costituisca un fattore di crescente importanza e delicatezza l’accesso in tempi rapidi, in forma integrata e a costi contenuti ad informazioni relative alle caratteristiche dei mercati nei quali operano, necessarie per ottimizzare l’acquisizione degli input, l’organizzazione dei processi produttivi, il posizionamento e la commercializzazione dei prodotti. E’ evidente che in mercati via via più complessi e integrati a livello sovranazionale, la conoscenza del contesto ambientale costituisce per le imprese un cruciale fattore di concorrenza, la cui portata è ulteriormente amplificata dalla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione. Ciò in parte contribuisce a spiegare l’espansione della domanda di servizi professionali proveniente dalle imprese, ma soprattutto delinea alcuni cambiamenti in essa intervenuti. Infatti, un numero crescente di imprese indirizza alle categorie professionali una domanda di servizi che si caratterizza, non soltanto per il grado di specializzazione delle conoscenze necessarie a soddisfarla, ma anche per la tempestività e l’interdisciplinarietà di approccio frequentemente richieste. Simmetricamente, l’offerta di servizi professionali, nell’adeguarsi a questo mutato contesto, si articola secondo differenti tipologie in rapporto ai diversi segmenti di domanda. Così, nell’ambito della vasta shiera di professionisti che esercitano in forma individuale l’attività, esistono coloro che si rivolgono ad una clientela già consolidata o che mettono a frutto conoscenze altamente specialistiche, le quali consentono loro di collocarsi in particolari nicchie di mercato, così come altri soggetti che sono invece maggiormente esposti alla variabilità della domanda. Infine esistono professionisti che si orientano verso l’adozione di modalità di erogazione dei servizi più tipicamente “industriali”, sia sotto il profilo dell’organizzazione dell’attività e del livello dimensionale della stessa, che degli strumenti utilizzati per competere. Una compressione artificiale della varietà degli assetti organizzativi e dimensionali nell’erogazione dei servizi professionali significherebbe pertanto ostacolare la ricerca delle modalità più idonee a soddisfare le esigenze della domanda nonché della collocazione di mercato che meglio valorizza i vantaggi concorrenziali dei professionisti, ricerca questa tipicamente connaturata alle attività di natura imprenditoriale436. 435 Cfr. R. Monducci e S. Pisani, La terziarizzazione dell’economia italiana: una visione d’insieme, Economia e Lavoro, 1994. 436 Cfr. capitolo primo della presente indagine per una trattazione della problematica relativa all’assimilabilità dell’attività libero-professionale ad attività di impresa sotto il profilo giuridico, laddove si chiarisce che l’assimilazione tra i due concetti risulta perfettamente coerente con la nozione di impresa adottata in ambito comunitario e non si pone altresì in contrasto con i principi del nostro ordinamento. 223 5. Occorre poi considerare il crescente grado di internazionalizzazione del settore negli ultimi anni, che, in particolare nel campo giuridico, contabile e dell’ingegneria, si esprime attraverso un considerevole aumento nei paesi industrializzati sia delle esportazioni che delle importazioni di servizi, benchè il saldo commerciale assuma in alcuni casi, quali l’Italia, segno negativo437. La posizione di importatore netto di servizi professionali del nostro paese non può essere facilmente spiegata da una sua minore dotazione di risorse professionali, e viene, invece, più plausibilmente, ricondotta alla maggiore restrittività che in Italia caratterizza la regolamentazione del settore rispetto ad altri Paesi.438 6. Al riguardo, l’analisi comparata svolta nel corso dell’indagine ha messo in luce che la regolamentazione adottata nel nostro Paese, nel suo complesso, è particolarmente restrittiva rispetto a quella dei principali paesi europei considerati, perlomeno relativamente alla previsione di tariffe obbligatorie minime e al divieto di pubblicità. Sotto il primo profilo, infatti, si rileva che in Italia la regolamentazione e/o l’auto-regolamentazione della generalità delle professioni stabiliscono tariffe minime inderogabili per gli iscritti agli albi. Ciò non risulta invece in altri paesi, come ad esempio in Francia per gli avvocati e nel Regno Unito per i solicitors, dove il compenso viene stabilito liberamente dalle parti439. In altri casi, poi, le tariffe sono soltanto indicative come in Francia o in Germania per gli ingegneri. Al riguardo, infine, non può non segnalarsi che, recentemente, in Spagna è stata emanata una legge recante alcune importanti modifiche della regolamentazione dell’attività dei professionisti limitativa della concorrenza: in particolare, con riferimento alle tariffe - si legge nelle premesse - si elimina il potere dei collegi professionali di fissare onorari minimi, pur potendo stabilire parametri di onorari orientativi440. Relativamente al secondo profilo, poi, si rileva che nella maggior parte degli Stati membri non esistono vincoli stringenti all’utilizzo dello strumento 437 Cfr. OCSE, Atelier sur les services professionnels. La dimension economique des services professionnels, ottobre 1995. Oltre all’Italia, la sola Germania, tra i paesi che rilevano in modo sistematico dati di commercio estero sui servizi professionali, presentava nel 1991 un valore delle importazioni di tali servizi superiore a quello delle esportazioni. 438 Cfr. OCSE op. cit. Più in generale tale analisi evidenzia che nei paesi caratterizzati da una maggiore restrittività del regime regolamentare del settore dei servizi professionali, quest’ultimo presenta uno sviluppo frenato, mentre, al contrario, assetti regolamentari meno rigidi conferiscono al paese che li adotta un vantaggio comparato a livello internazionale nell’esportazione di servizi professionali. 439 In particolare, in Francia, nel 1984, la Commission de la Concurrence et des prix ha considerato le tariffe adottate da alcuni organismi professionali in violazione della libertà di concorrenza, vietandone l’applicazione. 440 Cfr. specialmente l’art. 5 della legge 14 aprile 1997 n. 7, “de medidas liberalizadoras en materia de suelo y de Colegios profesionales”, secondo cui “El ejercicio de las profesiones colegiadas se realizarà en règimen de libre competencia y estarà suyecto, en cuanto a la oferta de servicios y fijaciòn de su remuneraciòn, a la ley sobre Defensa de la Competencia y a la ley sobre Competencia Desleal. Los dernos aspectos del ejercicio profesional continuaràn rigièndose por la legislaciòn general y especifica sobre la ordenaciòn sustantivo propia de cada profesiòn aplicable”. 224 pubblicitario da parte dei singoli professionisti anche per professioni socialmente sensibili, quale quella medica. Interessante, infine, è notare che nei principali paesi europei esistono da tempo sistemi che prevedono forme organizzative di tipo societario per quanto concerne l’esercizio dell’attività professionale, quali, ad esempio, le professional partnership inglesi ovvero le cd società di partenariato in Germania e le sociétés d’exercice libéral in Francia, che rappresentano le discipline attualmente più evolute al riguardo. In considerazione dell’evoluzione dei mercati verso la globalizzazione, le maggiori restrizioni tuttora esistenti nel nostro paese rischiano quindi di tradursi in un concreto svantaggio per i nostri professionisti rispetto ai colleghi stranieri. 7. In questo contesto, viene naturale osservare come, nel campo dei servizi giuridici, ad esempio, si riscontri una crescente espansione anche nel nostro paese di studi e società estere (principalmente anglosassoni) la cui espansione in altri Paesi non è estranea alla solidità acquisita in mercati di origine caratterizzati da un quadro regolamentativo che favorisce lo sviluppo delle attività, consentendo ai professionisti flessibilità organizzative e di mercato nel nostro Paese sconosciute. Questo fenomeno non va sopravvalutato ma del pari non può essere ignorato. Esso è il segnale che i mercati domestici dei servizi professionali sempre meno possono prescindere dalla concorrenza come strumento per strumento per rispondere a quella estera e, a lungo andare, gli strumenti di protezione possono tramutarsi in ostacoli all’attività dei professionisti. Sotto questo profilo, la pervasiva regolamentazione che caratterizza l’accesso al mercato e l’esercizio dell’attività da parte dei professionisti protetti presenta aspetti per certi versi paradossali. Troppo spesso essa viene favorita ed auspicata proprio da coloro che più dovrebbero temerne gli effetti. Se il confronto con altre figure professionali è destinato ad aumentare - e tutto lascia intendere che questo scenario sia il più probabile - essi per primi dovrebbero desiderare l’eliminazione dei vincoli e delle restrizioni che li penalizzano e li svantaggiano. Al riguardo, l’indagine ha messo in luce che benché presso alcune fasce di professionisti questo convincimento abbia cominciato a farsi strada, esso rimane ancora insufficientemente diffuso in rapporto alla rapidità dei cambiamenti destinati a prodursi. 8. Una possibile e plausibile spiegazione del ritardo con cui molti dei professionisti e degli ordini appaiono cogliere l’esigenza di una modifica del contesto regolamentativo può rinvenirsi nella complessa e articolata storia degli ordini alla quale si può qui soltanto accennare. Tali organismi sono nati infatti come espressione di gruppi professionali e si sono costituiti come enti esponenziali di tali gruppi e dei loro interessi e a tutela delle relative attività professionali. Sin dal medioevo, esistevano arti o 225 corporazioni di medici, speziali (farmacisti), avvocati, giudici e notai, munite di propri poteri per lo svolgimento di diverse funzioni a difesa del gruppo, che comprendevano anche la regolazione e il controllo dei principali aspetti delle relative attività: entrata, uscita, politiche di prodotto, prezzi, qualità minima. Non v’è dubbio poi che fosse connaturata al funzionamento di tali corporazioni la limitazione della concorrenza e che a tal fine venisse in primo luogo impiegato il diritto di concedere licenze: “In Italia, durante il Tre e il Quattrocento, le corporazioni e i collegi professionali nella concessione delle licenze applicarono limitazioni e controlli sempre più efficaci (...) I fautori delle restrizioni e dei controlli ne sostenevano la necessità con lo scopo dichiarato di mantenere un alto livello di competenza e di etica professionale; ma essi erano anche animati dal sentimento egoistico di evitare la concorrenza. In effetti entrambe le motivazioni entravano in gioco e si rafforzavano a vicenda, per quanto se si guarda alle clausole preferenziali che favorivano l’ammissione di parenti (...) si è indotti a credere che il motivo egoistico abbia ben presto acquisito un peso considerevole”441. 9. Gli ordini, quindi, sono nati storicamente come ordinamenti giuridici privati in risposta ad esigenze di mercato e a difesa degli interessi del gruppo di appartenenza e solo successivamente sono stati inglobati nell’ordinamento generale e sussunti nella disciplina pubblicistica, attraverso la trasformazione dei gruppi sociali in enti pubblici indipendenti e autonomi sotto la sorveglianza dello Stato442. Gli ordini presentano, quindi, un misto di statalismo e di autonomia frutto della loro evoluzione storica che si esprime nel perseguimento di interessi del proprio gruppo di appartenenza con poteri autoritativi discendenti dalla loro entificazione pubblica, la quale ha lo scopo di conservare o attribuire tali poteri per la tutela di interessi pubblici. Lo Stato ha attribuito rilevanza agli interessi dei gruppi professionali ritenendo che fossero funzionali anche al perseguimento di finalità di natura generale. In altri termini, il legislatore ha ritenuto che riservare agli ordini professionali la tutela del gruppo di appartenenza, la dignità della funzione individualmente esercitata dai singoli, il prestigio di cui essa e i suoi operatori devono essere circondati nel contesto sociale, avesse una ricaduta positiva sull’affidamento dei terzi e sul corretto e adeguato svolgimento professionale di attività che incidono su importanti beni e valori collettivi, alcuni dei quali sono garantiti costituzionalmente (si pensi al diritto alla difesa in giudizio e al diritto alla salute). In estrema sintesi, dunque, l’evoluzione storica del settore lascia trasparire come l’origine di tale regolamentazione pubblicistica sia da rinvenire 441 Cfr C.M. Cipolla, Le professioni nel lungo andare, in ID, Le tre rivoluzioni e altri saggi di storia economica e sociale, Bologna 1989. 442 Cfr Piscione, Professioni (disciplina delle), in Enc. Dir., Milano 1987. 226 nel riconoscimento da parte dello Stato di una specificità delle professioni intellettuali, come occupazioni orientate al servizio, e di una loro idoneità ad incidere su interessi centrali per l’equilibrio della società. 10. In tal modo, tuttavia, alcune restrizioni concorrenziali ritenute dal corpo professionale funzionali alla propria tutela sono state legittimate. Tali restrizioni sono state direttamente previste dallo stesso legislatore, attraverso ad esempio l’introduzione di tariffe obbligatorie e di barriere numeriche, e indirettamente favorite nel loro accrescersi, attraverso la delega agli ordini ad emanare norme deontologiche. Infatti l’indeterminatezza normativa dei compiti spettanti agli ordini e la genericità delle formulazioni con cui il legislatore ha dettato i principi i cui contenuti gli ordini stessi hanno poi definito concretamente, hanno contribuito ad accrescere lo spazio di tutela degli interessi privati nell’ambito della regolamentazione. 11. Ciò che preme mettere in rilievo è che nel corso di questo processo di entificazione dei gruppi professionali e di incardinamento nel sistema pubblicistico, agli interessi privati di cui erano portatori gli originari gruppi professionali è stata attribuita rilevanza pubblica da parte dello Stato, di modo che è divenuto sempre più difficile distinguere gli uni dagli altri. A tale commistione hanno certamente contribuito, in primo luogo la particolare connotazione attribuita agli ordini, di enti dotati di autogoverno e di autoamministrazione, sia pure sottoposti alla vigilanza dello Stato: vigilanza, tuttavia, proprio per la natura dell’ente, alquanto contenuta e senza alcuna particolare ingerenza dello Stato nelle funzioni proprie dell’ente; in secondo luogo, la connotazione di ente ad appartenenza necessaria o obbligatoria, nel senso che l’esercizio della professione è subordinato all’inserimento del professionista nel gruppo e alla sottoposizione alle sue regole, circostanza che ha fatto coincidere la categoria con il corpo, ovvero l’ordine, ed ha attribuito a tali enti il controllo della stessa; da ultimo, la natura delle funzioni attribuite a tali organismi, comportanti una serie di poteri particolarmente penetranti e di indubbia rilevanza esterna, i quali potevano essere utilizzati per la tutela di interessi di natura privata. Gli elementi cui si è ora accennato hanno consentito che in alcuni casi la difesa da parte degli ordini di interessi meramente di categoria fosse legittimata e vestita di rilevanza pubblica e hanno reso sempre più evanescenti i confini tra i due tipi di interessi. E’ indubbio che nel controllo dell’esercizio della professione si sia pertanto venuto a determinare uno sbilanciamento tra lo Stato e gli ordini, e che ciò abbia potuto favorire la difesa di posizioni di rendita acquisite dai professionisti già presenti sul mercato. 227 In sostanza alcune prerogative statuali sono state via via assunte dagli ordini443, che si sono trovati nella condizione di controllare se stessi nonchè di dettare e applicare le regole del gioco cui partecipano i propri iscritti. 10.2 Regolamentazione delle professioni e mercato 12. Le considerazioni svolte nella precedente sezione, possono essere così sintetizzate: a) la competizione internazionale, stimolata dai processi di internazionalizzazione dei mercati e di diffusione di nuove tecnologie dell’informazione, è destinata a produrre effetti sostanziali nei mercati dei servizi professionali, conferendo agli stessi un ruolo di impresa particolarmente propulsivo per il sistema economico; b) gli ordini sono, tuttavia, ancora scarsamente convinti che sia necessario, proprio per tutelare gli iscritti, eliminare i vincoli che caratterizzano l’offerta dei servizi dei professionisti protetti; c) ciò può trovare spiegazione nella storia degli ordini che sono nati per soddisfare esigenze private di tutela del gruppo professionale e, in particolare, per rispondere ad un problema di concorrenza; d) l’evoluzione in senso pubblicistico della disciplina delle professioni ha sostanzialmente legittimato forme di limitazione della concorrenza, stabilendone la funzionalità rispetto al perseguimento di esigenze di interesse generale; e) questa presunta coincidenza tra interessi pubblici e privati è stata nel corso del tempo sottoposta a un limitato scrutinio. E’ evidente, pertanto, come un ripensamento complessivo e profondo dell’istituzione “ordine” risulti oggi improcastinabile, soprattutto in considerazione delle mutate condizioni dei mercati e della crescente importanza attribuita ai principi della libertà di iniziativa economica e della concorrenza, nella consapevolezza che il mancato rispetto delle regole concorrenziali, di norma, limita l’efficiente svolgimento delle attività economiche. 13. I punti fermi cui è pervenuta l’indagine conoscitiva in relazione al funzionamento dei mercati che vedono la presenza dei professionisti sono così riassumibili: - la regolamentazione dei servizi professionali, al pari di qualunque altra, è appropriata se soddisfa esigenze di carattere generale e la sua introduzione sana imperfezioni di mercato (asimmetrie informative ed esternalità) di significativo rilievo, altrimenti suscettibili di produrre risultati iniqui ed inefficienti; - anche in presenza di riconosciute imperfezioni, la regolamentazione è desiderabile solo se i costi ad essa connessi sono compensati da maggiori benefici in termini di benessere del consumatore; 443 Si pensi ad esempio al ruolo ormai decisivo nella definizione delle tariffe assunto dagli ordini, essendo perlopiù la funzione dello Stato confinata ad un controllo di legittimità. 228 - in particolare, la regolamentazione non deve spingersi al di là di quanto è strettamente necessario al miglioramento dell’efficienza di mercato, o meglio, deve essere dimostrato che non esistono strumenti alternativi per raggiungere gli individuati obiettivi di interesse generale. In sintesi, l’indagine ha sottoposto la disciplina delle libere professioni ad una valutazione ispirata ai criteri di necessità e proporzionalità, commisurando la stessa alle caratteristiche dei mercati nei quali viene applicata. Ha poco senso infatti considerare il ruolo e le funzioni svolte dagli ordini nella amministrazione e, in parte, nella definizione di tale disciplina al di fuori del mercato, poichè tali organismi nascono e vengono successivamente riconosciuti dall’ordinamento precisamente per dare risposta alle sfide che il mercato pone. 14. L’analisi condotta secondo queste linee ha messo in luce che nel settore delle professioni protette: a) accanto a situazioni in cui senz’altro ricorrono importanti fallimenti del mercato, ve ne sono altre nelle quali è difficile individuare quali siano le imperfezioni cui si è inteso in passato porre rimedio, o se le stesse assumano ancor oggi significativo rilievo; b) anche in presenza di riconosciute imperfezioni, l’assetto regolamentativo risulta spesso non ottimale, in quanto caratterizzato da una superflua pluralità di limitazioni alla attività economica, suscettibili di ridurre l’efficienza complessiva del mercato, a danno dei consumatori. 15. Con riguardo al primo aspetto, cioè alle imperfezioni dei mercati dei servizi professionali, l’indagine ne ha esaminato la natura e le implicazioni, considerando che una accentuata asimmetria informativa a sfavore del cliente può esporlo a prestazioni di qualità inadeguata, le quali, data la delicatezza e il rilievo degli interessi su cui incidono alcune attività professionali, sono suscettibili di produrre effetti particolarmente dannosi. Tuttavia, l’indagine ha altresì messo in luce che tale eventualità assume una rilevanza solo per alcune aree professionali e nel loro ambito non è generalizzata a tutti i segmenti di mercato. Le asimmetrie informative, alle quali tanto peso viene tradizionalmente dato per giustificare misure di (auto)regolamentazione limitative della concorrenza riguardano, infatti, prevalentemente, la domanda espressa dai consumatori individuali. In numerosi ambiti professionali una parte consistente della domanda è però generata da imprese, come è dimostrato: dalla maggiore frequenza con cui si rivolgono al notaio società ed imprenditori rispetto ai singoli cittadini (tab. 3 cap. terzo); dal maggior peso assunto dalla consulenza giudiziale e stragiudiziale, di tipo continuativo prestata dagli avvocati a favore di enti privati e pubblici rispetto alla consulenza saltuaria resa ai singoli cittadini (tab. 8- cap. terzo); dalla circostanza che il controllo delle scritture contabili delle imprese e la consulenza in materia commerciale del lavoro costituisce la fonte più importante dei professionisti operante nell’area economico-contabile. 229 Ora, questi soggetti esprimono per la maggior parte una domanda di tipo continuativo che li mette in condizione di acquisire progressivamente informazioni sulle caratteristiche dell’offerta, e inoltre, non infrequentemente risultano dotati di competenze tecniche al proprio interno grazie alle quali possono valutare sia la capacità dei professionisti che le caratteristiche delle prestazioni dagli stessi erogate. Per questi motivi non sembra emergere un assoluto ed ineliminabile problema di asimmetrie informative. A questi casi giova poi aggiungere quelli, e riguardanti le professioni tecniche, in cui la domanda è espressa secondo procedure ad evidenza pubblica. In tali circostanze, indipendentemente dalla conoscenza del soggetto acquirente circa le caratteristiche dei servizi, sono le stesse modalità di selezione dei professionisti che favoriscono il confronto tra gli stessi e quindi l’acquisizione di sufficienti informazioni al riguardo. Anche in questi casi i problemi di asimmetria informativa sembrano ridursi apprezzabilmente. 16. Se, pertanto, una maggiore attenzione alle differenti caratteristiche di diversi segmenti di domanda induce a concludere che in numerose situazioni, misure restrittive della concorrenza non siano necessarie a garantire la qualità delle prestazioni e possano anzi risultare suscettibili di ridurre l’efficienza del mercato, a una conclusione non dissimile si perviene quando ci si soffermi sulle caratteristiche dell’offerta nel settore professionale. In primo luogo è possibile osservare che l’evoluzione dei mercati rende in alcuni casi difficile identificare, sotto il profilo delle modalità di erogazione del servizio e del rapporto con il cliente, nonchè della complessità delle prestazioni, le caratteristiche distintive dell’attività dei professionisti protetti rispetto ad altre figure di professionisti intellettuali. E, conseguentemente, appare difficile sostenere che i mercati nei quali operano i primi siano sempre afflitti da asimmetrie informative così gravi da richiedere forme di regolamentazione altrove assenti. Limitando poi il confronto all’ambito delle professioni protette, emergono evidenti incongruenze laddove si consideri che per alcune attività la regolamentazione appare particolarmente stringente e pervasiva senza che si riescano a ravvisare delle motivazioni sostanziali che ne giustifichino la differenza rispetto ad altre. Si pensi, ad esempio, alle professioni di notaio e farmacista, che oltre a godere di esclusive, sono caratterizzate da modalità di accesso più limitative, ovvero il concorso a numero chiuso, nonché da tariffe fisse e limiti territoriali. In tali professioni non sembrano essere ravvisabili interessi di natura più rilevante rispetto a quelli su cui incidono le professioni forensi o quelle mediche. 17. Con riguardo alla proporzionalità dell’attuale assetto regolamentativo rispetto alla necessità di colmare eventuali imperfezioni che ostacolano il corretto funzionamento dei mercati, dall’analisi svolta nel corso dell’indagine conoscitiva è emerso che gli strumenti di regolamentazione delle professioni 230 protette sono molteplici e suddivisibili sostanzialmente in due categorie, quelli attinenti ai requisiti necessari per lo svolgimento delle professioni (tirocinio, esame di abilitazione, concorso) e quelli relativi alle modalità di svolgimento della professione (standard di qualità, tariffe, divieto di pubblicità, limiti territoriali, incompatibilità). Tuttavia, molti di questi strumenti mirano a raggiungere i medesimi obiettivi. Di conseguenza o si ammette che ognuno di essi non è gestito in modo da soddisfare pienamente l’esigenza per la quale è stato introdotto, o altrimenti si deve concludere che non tutti gli strumenti predisposti sono necessari ed esistono delle duplicazioni, dalle quali discende inevitabilmente un aggravio e un superfluo appesantimento della regolamentazione a cui sono sottoposti i professionisti. Infine, l’analisi concreta ha messo in luce come non si possa prescindere oltre che dalla natura delle prestazioni anche dalla loro differenziazione e diversa complessità. In questo senso una regolamentazione applicata in modo indifferenziato alla professione tout court, appare eccessivamente stringente con riguardo ad alcune prestazioni standardizzate, con riferimento alle quali l’esigenza di tutelare i consumatori da irrimediabili danni causati da prestazioni professionali di qualità inadeguata risulta senz’altro trascurabile. Per alcune prestazioni, il tipo di regolamentazione che controlla l’accesso e l’esercizio alla professione appare del tutto sproporzionato. Ci si riferisce in particolare alla certificazione di alcuni atti notarili che hanno un modesto rilievo economico ed una scarsa complessità di redazione, oppure alla vendita dei medicinali da banco da parte dei farmacisti. 18. E’ possibile pertanto che sotto la veste dell’interesse pubblico si persegua la tutela di interessi privati meramente contingenti e di breve respiro che si traducono in uno svantaggio per la collettività, non solo perché determinano restrizioni concorrenziali di notevole portata, ma perché, anche in una prospettiva di confronto internazionale, frenano lo sviluppo del settore. Conseguentemente, risulta necessario ridefinire gli spazi e il ruolo degli ordini. Al riguardo, rimandando ai punti successivi per una riconsiderazione delle funzioni di tali organismi in rapporto ai singoli aspetti della vigente disciplina delle libere professioni, si ritiene opportuno anticipare sin d’ora il principio di carattere generale a cui tale riformulazione si ispira. In sintesi, si ritiene che la selezione all’entrata di coloro che aspirano ad esercitare l’attività è giustificata, qualora ricorrano importanti forme di asimmetria informativa, per cui il cliente si trova nell’impossibilità di apprezzare l’effettivo grado di competenza del professionista. Ciò, tuttavia, conduce a ritenere che l’introduzione di ulteriori forme di regolamentazione sia sostanzialmente superflua o comunque potrebbe essere sussunta da una effettiva attività di monitoraggio della qualità delle prestazioni da parte degli ordini. 231 Al riguardo, l’esemplificazione più evidente è offerta dal caso dei professionisti che operano in regime di riserva. Vi possono essere buoni motivi per affidare ad un gruppo particolare di operatori il monopolio dell’offerta in un determinato mercato, anche se ciò può essere vero molto meno frequentemente di quanto generalmente si ritenga e di quanto - come si è visto - la stessa legge preveda. Non vi è però nessun buon motivo per limitare la concorrenza fra coloro che possiedono i requisiti richiesti dalla riserva. Tale riserva ha lo scopo di garantire l’utilizzatore che solo chi possiede determinati requisiti è abilitato ad offrire le proprie prestazioni. Il suo fine ultimo, infatti, è precisamente quello di garantire che esiste uno standard minimo di prestazione al di sotto del quale non è possibile scendere e che vi sono buoni motivi per impedire che ciò accada. Non è difficile immaginare, ad esempio, che nel campo medico le finalità di tutela della salute possano richiedere una stringente ed accurata selezione di coloro che sono ammessi a prestare queste funzioni e l’inibizione dall’attività per coloro che sono sprovvisti di determinati requisiti. Tutto ciò è pacifico: la riserva ha precisamente lo scopo di tutelare chi domanda quel servizio. Realizzate tali esigenze, non si vede tuttavia perchè limitare la concorrenza fra soggetti che possiedono i requisiti che la riserva richiede, ovvero prevedere ulteriori restrizioni all’esercizio dell’attività. 10.3 Gli strumenti di regolamentazione 19. La ridefinizione del ruolo degli ordini investe in modo preminente la struttura attuale della regolamentazione alla quale sono sottoposte le professioni intellettuali. Da un lato in quanto, come si è già sottolineato gli ordini partecipano in misura non trascurabile alle diverse fasi, di accesso e di esercizio delle attività in cui si articola tale regolamentazione, dall’altro in quanto quest’ultima rappresenta lo strumento attraverso il quale si determinano o si favoriscono distorsioni concorrenziali nei mercati dei servizi professionali. Meritano di essere menzionati due aspetti opinabile il primo, pregiudizievole il secondo. Innanzitutto la nascita e l’evoluzione della disciplina delle professioni protette riflette l’importanza attribuita dal legislatore agli interessi pubblici connessi allo svolgimento di alcune attività professionali e un orientamento secondo il quale il perseguimento di tali interessi è di norma incompatibile con l’operare dei meccanismi di mercato. In secondo luogo, la regolamentazione è stata il frutto spesso di una serie di compromessi tra Stato e ordini professionali per raggiungere i quali si è a volte tralasciato di considerare come principio prioritario l’efficienza del sistema. In considerazione di questi elementi e con particolare riferimento ai principi di necessità e proporzionalità prima evidenziati, nelle sezioni seguenti si intendono analizzare ed esemplificare le principali restrizioni concorrenziali determinate dagli strumenti di regolamentazione delle professioni protette. 232 I requisiti all’accesso L’esame di Stato. 20. Il requisito fondamentale previsto per l’accesso a tutte le professioni intellettuali è rappresentato dal superamento dell’esame di Stato, previsto dall’art. 33 comma 5 della Costituzione. L’esame dovrebbe essere diretto ad accertare, nell’interesse della collettività e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione attitudinale e capacità tecnica occorrenti per il retto esercizio della professione e dovrebbe rappresentare la garanzia dell’esistenza dei requisiti minimi per l’esercizio delle attività. Data la natura degli interessi protetti, il controllo circa il possesso da parte dell’aspirante professionista dei necessari requisiti dovrebbe essere effettuato al di fuori di eventuali pressioni corporative da un organo amministrativo imparziale (la Commissione esaminatrice).444 Il principio di imparzialità al quale deve essere informata la composizione della Commissione esaminatrice, impone che nella formazione della stessa il carattere esclusivamente tecnico del giudizio debba risultare salvaguardato da ogni rischio di deviazione verso interessi di parte o comunque diversi da quelli propri dell’esame.445In tal senso non può certo essere riservato agli ordini un ruolo dominante nella fase di accertamento del possesso dei requisiti del candidato. Ciò infatti equivale a sacrificare la terzietà di chi contribuisce a stabilire il numero di coloro che sono ammessi ad entrare nel mercato.446 E’ per tutti pacifico che l’esame di stato, affinché risulti funzionale alle finalità per le quali è stato previsto, debba essere condotto secondo criteri uniformi sul territorio nazionale e debba essere volto ad accertare l’effettiva competenza dei candidati secondo un riconoscimento paritario di capacità occorrenti per l’esercizio della medesima professione. Tuttavia, al raggiungimento di tale obiettivo potrebbe ostare sia la designazione da parte degli ordini del novero dei membri nell’ambito del quale viene effettuata la scelta dei componenti, sia la presenza della maggioranza degli stessi nelle commissioni. In tal modo i professionisti già operanti sul 444C.f.r. Corte di cassazione sentenza del 26/6/1990 n. 445 Sull’importanza del principio di imparzialità vedi 6431. sentenza della Corte Costituzionale del 26 settembre 1990 n. 453. Inoltre, è di notevole interesse la sentenza della Corte Costituzionale 37271989, con la quale sono state dichiarate costituzionalmente illegittime alcune norme della legge n.6/1989 che con riguardo all’esame di abilitazione previsto per l’accesso alla professione di guida alpina, sottraevano poteri alle Regioni per attribuirli prevalentemente al Collegio professionale. Da ciò si evince chiaramente che la materia non è delegabile ad organi che sono portatori anche di altri interessi. 446 Di tendenza opposta rispetto a quanto qui auspicato appare invece il disegno di legge n. 4115 “Disposizioni in materia di accesso alla professione di avvocato”, presentato alla Camera dei deputati il 4 settembre 1997. Nel disegno di legge infatti si prevede che la Commissione sia composta da cinque membri titolari e cinque supplenti, dei quali, rispettivamente, ben tre avvocati, un magistrato e un professore universitario e sia presieduta da un avvocato scelto tra i tre titolari. 233 mercato hanno la possibilità di influenzare gli esiti del processo di selezione, restringendo il numero di coloro che intendono accedere alla professione al di là di quanto sarebbe giustificato su una mera base qualitativa. Obbligatorietà del tirocinio. 21. Prodromico all’esame di Stato è il tirocinio, il cui interesse ai fini dell’analisi qui svolta, è rappresentato dal fatto che nella maggior parte delle professioni esso costituisce un passaggio obbligato per accedere all’esame di abilitazione. La finalità del tirocinio è riconducibile alla necessità di garantire l’acquisizione di conoscenze (pratiche) relative alla professione che si intende esercitare, la cui verifica è poi demandata all’esame di Stato. Deve essere sottolineato il fatto che a fronte di questa funzione senz’altro positiva, il tirocinio rappresenta comunque un costo per chi è obbligato a sostenerlo, in quanto posticipa il periodo di entrata nel modo del lavoro. E’ difficile sostenere che ciò non abbia alcuna ripercussione sui prezzi dei servizi. Tale circostanza dovrebbe incentivare una utilizzazione di questo strumento che possa essere effettivamente proficua e che comporti il minor costo possibile per chi è obbligato a svolgerlo e per chi dovrà acquistare i servizi resi dal futuro professionista. Al riguardo, deve essere sottolineato il fatto che la legge prevede l’obbligatorietà del tirocinio senza tuttavia predisporre i mezzi per mettere tutti i soggetti in condizione di potervi accedere facilmente. Nella maggior parte dei casi non esistono infatti scuole di formazione sostitutive del tirocinio pratico, e, pertanto, la formazione pratica è rimessa esclusivamente alla disponibilità dei professionisti. Spesso, inoltre, il tirocinio non riesce a fornire una formazione qualitativamente elevata poiché i professionisti hanno un incentivo a delegare ai tirocinanti essenzialmente prestazioni semplici e standardizzate. Di conseguenza, a fronte del costo imposto ai neoprofessionisti in termini di allungamento del periodo di formazione, non sempre si riscontra un corrispondente beneficio ed in definitiva lo strumento rischia di perdere gran parte della sua efficacia. Pertanto, al fine di utilizzare questo strumento nel modo più proficuo per gli aspiranti professionisti e di renderlo accessibile a tutti, sarebbe quanto meno auspicabile una maggiore diffusione di scuole di specializzazione quanto meno integrative o anche alternative al tirocinio per assicurare a tutti i futuri professionisti l’acquisizione dello standard formativo necessario per svolgere l’attività. Inoltre, gli ordini potrebbero fornire un contributo essenziale all’organizzazione e alla gestione delle scuole di specializzazione, mettendo a disposizione di tali strutture e, quindi della formazione dei futuri professionisti, il bagaglio di conoscenze ed esperienze professionali dei propri membri. 22. Peraltro, ad una riforma più incisiva si potrebbe pervenire estendendo a tutte le professioni un sistema che è già largamente sperimentato per alcune di 234 esse. Giova osservare infatti che il tirocinio non è obbligatorio per talune professioni, ovvero gli architetti e gli ingegneri (le professioni più “tecniche”), dove lo stesso sembrerebbe dover rivestire maggiore importanza. Si può quindi ragionevolmente presumere che la formazione universitaria, in tali casi, è organizzata già in modo idoneo a fornire ai futuri professionisti la necessaria e sufficiente preparazione pratica. Pertanto, una alternativa alle attuali modalità di svolgimento del tirocinio potrebbe essere rappresentata da una riorganizzazione della formazione universitaria che fornisca le conoscenze pratiche richieste dall’esercizio della professione. La realizzazione di questa ipotesi che comporterebbe la rimozione dell’attuale vincolo del tirocinio obbligatorio garantirebbe a tutti la preparazione necessaria per svolgere la professione e condurrebbe altresì ad una maggiore omogeneità dei percorsi di formazione professionali. 23. In ogni caso la rivisitazione delle modalità di svolgimento del tirocinio non può essere avulsa da una riconsiderazione del ruolo svolto dall’esame di Stato. Infatti, la previsione di un periodo di tirocinio per poter svolgere la professione non può e non deve essere ritenuta un mezzo idoneo a sopperire alle carenze di selezione dell’esame di Stato, dal momento che l’effettuazione di un periodo di praticantato non può in alcun modo rappresentare una garanzia di acquisizione del minimum di conoscenze necessarie per svolgere la professione. Se si conviene sul fatto che l’esame di Stato deve rappresentare lo strumento idoneo a certificare la conoscenza tecnico-pratica del futuro professionista, i problemi connessi all’efficacia del tirocinio, come è oggi, vengono meno. Sembra quindi preferibile, dopo aver predisposto gli strumenti necessari affinchè i candidati siano nelle condizioni di acquisire la necessaria preparazione teorico-pratica, affidare unicamente all’esame di Stato l’accertamento del possesso di tutte le conoscenze indispensabili per esercitare la professione. Il concorso. 24. Il concorso è, come l’esame di Stato, uno strumento diretto a selezionare i soggetti in base alle capacità attitudinali e tecniche, che si applica solo nei casi in cui il numero di professionisti ad esercitare è prestabilito. Tale predefinizione del numero degli operatori viene generalmente giustificata con la necessità di garantire una razionale distribuzione di servizi professionali essenziali nel territorio nazionale. Tuttavia, dall’analisi degli effetti prodotti dall’applicazione di questo strumento è emerso che da un lato esso non rappresenta un mezzo in grado di soddisfare in pieno le esigenze della domanda e, dall’altro che, a fronte delle distorsioni concorrenziali che è suscettibile di determinare, le finalità pubbliche che lo giustificano potrebbero essere conseguite con mezzi meno restrittivi della concorrenza. 235 Attualmente il concorso è previsto per accedere a due professioni, quella di notaio e quella di farmacista. In particolare, nel corso dell’indagine è emerso che, per quanto concerne i notai, il numero di coloro che riescono a superare il concorso è inferiore al numero dei posti messi a disposizione. Se si assume che questi ultimi identificano il numero necessario di professionisti esercenti la professione in rapporto alla domanda, il concorso, laddove restringe ulteriormente gli accessi, risulta comprimere artificiosamente l’offerta. Con riferimento ai farmacisti, è emerso, invece, che le lentezze nell’organizzazione dei concorsi derivanti dalle modifiche relative alle modalità di espletamento degli stessi, hanno fatto sì che dal 1991, nonostante vi fossero un numero consistente di titolarità di farmacie disponibili, siano stati svolti pochissimi concorsi. Anche in questo caso, quindi, il concorso ha determinato una artificiosa restrizione dell’offerta. Si consideri inoltre che per garantire un numero minimo di sedi nel territorio nazionale, che è per l’appunto la finalità che intendono garantire i concorsi, non appare necessario stabilire un numero di posti massimo. Al di là quindi dell’adeguatezza del metodo utilizzato per definire il numero dei professionisti ammessi ad operare, è difficile ritenere che l’esigenza di garantire una omogenea e sufficiente erogazione dei servizi sul territorio nazionale possa essere effettivamente soddisfatta attraverso l’imposizione di un limite massimo di sedi. Non vi è dubbio che tale obiettivo potrebbe eventualmente essere meglio perseguito attraverso la determinazione di un numero minimo. 25. Non si può inoltre non fare cenno alle distorsioni concorrenziali determinate dalla limitazione del numerus clausus. Il concorso infatti costituisce lo strumento selettivo più rigido previsto per accedere ad una professione e mentre gli altri strumenti, tirocinio, esame di abilitazione sono in linea di principio delle barriere “aperte”, ovvero superabili da chiunque risulti idoneo in presenza di determinati requisiti e, quindi, da un numero imprecisabile di soggetti, esso invece rappresenta una barriera “chiusa”, in quanto il numero di coloro che possono esercitare l’attività è predeterminato e corrisponde al numero dei posti messi a concorso. Ciò evidentemente limita lo spontaneo adattamento dell’offerta alle caratteristiche della domanda, restringendo la concorrenza e il libero gioco del mercato. La limitazione alla concorrenza raggiunge il suo massimo grado anche per il fatto che alla predeterminazione del numero delle sedi è in entrambe le professioni associata la limitazione territoriale all’esercizio dell’attività. Pertanto, coloro che già operano non subiscono la concorrenza dei nuovi entranti ed ogni professionista ha già il proprio bacino di utenza su cui può contare e che non può essere eroso dagli altri. . Obbligatorietà dell’iscrizione all’Albo. 236 26. Rispetto all’esame di Stato, che costituisce uno strumento di accertamento dell’esistenza dei requisiti per esercitare una professione, l’iscrizione all’Albo ha l’ulteriore finalità di sottoporre al controllo dell’ordine l’attività svolta dal professionista. Tuttavia, l’obbligatorietà dell’iscrizione attribuisce all’atto stesso anche la funzione di “autorizzazione” all’esercizio dell’attività447. 27. Poichè l’accertamento delle capacità dei professionisti avviene con l’esame di Stato, l’iscrizione dovrebbe essere obbligatoria solo laddove, oltre al controllo relativo all’accesso, sia reputato necessario anche un controllo sull’esercizio dell’attività. E’ comprensibile che chi intende esercitare prestazioni esclusive sia obbligatoriamente assoggettato ad un controllo nello svolgimento delle stesse. Meno comprensibile è l’imposizione di un siffatto obbligo quando le medesime prestazioni possono essere svolte liberamente anche da soggetti non iscritti all’Albo e non sottoposti ad alcun controllo, né nella fase di accesso al mercato, né successivamente nello svolgimento dell’attività. In realtà, tali professionisti dovrebbero essere liberi di svolgere la propria professione senza dover appartenere necessariamente all’ordine, dal momento che esistono numerosi altri soggetti i quali svolgono sul mercato attività del medesimo contenuto senza essere assoggettati ad alcun controllo. 28. Il problema che quindi si pone è che in questo caso la funzione dell’ordine non è riconducibile alla tutela dell’attività, i cui contenuti sono liberi, ma alla tutela del titolo. A tale tutela si riconnette la funzione di certificazione, ovvero di accreditamento di fronte al potenziale fruitore del servizio, il quale sa che coloro che possono fregiarsi di quel titolo possiedono determinati requisiti e appartengono ad un ordine che ne controlla l’esercizio dell’attività. Tuttavia per svolgere tale funzione non sembra affatto necessario prevedere come obbligatoria l’appartenenza all’ordine. L’accertamento dei requisiti che consentono di fregiarsi di un titolo non è infatti compito dell’ordine, ma dell’esame di Stato, e pertanto, il certificato che attesta il superamento dello stesso rappresenta una sufficiente garanzia del possesso di detti requisiti. L’adesione successiva ad un sistema di certificazione dell’attività svolta dovrebbe essere del tutto libera quando libero è il contenuto di quell’attività e non dovrebbe, o meglio potrebbe, rappresentare una condizione di legittimazione all’esercizio della stessa per chi ha superato l’esame di Stato. Se infatti è verosimile che alcuni tra quelli che hanno conseguito il titolo preferiscano avvalersi dell’appartenenza all’ordine per avere una maggiore qualificazione agli occhi del consumatore, non si può escludere che altri non 447 L’iscrizione all’Albo rappresenta un atto dovuto. Al riguardo l’ordine non esercita un potere discrezionale, giacché ha solo il compito di verificare se l’aspirante sia in possesso dei requisiti prescritti dalla legge e, in caso affermativo ha l’obbligo di procedere all’iscrizione. 237 intendano sottoporre a successivi controlli la propria attività, dal momento che essa viene esercitata anche da soggetti non vincolati ad un controllo. In questi casi l’iscrizione all’ordine dovrebbe essere volontaria e non obbligatoria. Pertanto, imporre ad un soggetto, che ha conseguito un titolo professionale, anche l’obbligatoria appartenenza all’ordine per poter esercitare un’attività libera, rappresenta una ingiustificata restrizione concorrenziale, quando non si sia in presenza di esclusive la cui attribuzione comporta la necessità di un controllo oltre che sull’accesso anche sull’attività. Restrizioni all’esercizio dell’attività Le tariffe 29. Tra le restrizioni all’esercizio, la fissazione di tariffe inderogabili minime o fisse, appare senz’altro meno facilmente riconducibile al perseguimento dell’interesse generale a garantire elevati livelli qualitativi delle prestazioni, e, invece, più direttamente finalizzata alla protezione delle categorie interessate. D’altra parte che si tratti di un interesse di natura privata si desume da un lato dallo svantaggio che deriva per la collettività dalla fissazione di tariffe uniformi per i professionisti che offrono le medesime prestazioni, dall’altro dal fatto che nella definizione delle stesse assumono un ruolo preponderante proprio le categorie interessate. Al riguardo infatti deve essere considerato che per le professioni per le quali la legge prevede che le tariffe siano deliberate dall’ordine (notai, avvocati), le stesse risultano sottratte a qualsiasi controllo di merito dell’amministrazione vigilante. Anche per le altre professioni, tuttavia, tale controllo non risulta in concreto particolarmente penetrante. Circa il rilievo che l’applicazione delle tariffe assume, poi, nei diversi contesti di mercato, si osserva che, benché svariate categorie abbiano affermato che si tratta di valori meramente indicativi ne hanno al contempo generalmente sostenuto l’importanza, soprattutto in funzione di protezione dei professionisti più giovani. Questa chiave di lettura, tuttavia, non è sicuramente l’unica possibile. La fissazione di un livello di prezzi uniforme finisce infatti per impedire che proprio i nuovi professionisti per costituirsi una clientela fissa, scardinino, attraverso quel potente strumento di mutamento delle preferenze dei consumatori che è il prezzo, la distribuzione di reddito fra i membri dell’ordine. L’opposizione nei confronti della libertà di decidere a quale prezzo vendere il servizio che si presta e, quindi, del cambiamento che essa è in grado di generare - ed un importante cambiamento per un iscritto all’ordine è senz’altro potenzialmente costituito dall’attività dei giovani colleghi - la manifesteranno i professionisti più deboli, quelli che razionalmente 238 percepiscono l’immediato rischio di declino e scomparsa che la competizione con i nuovi arrivati è in grado di determinare. 30. Con riferimento alla presunta tutela della qualità della prestazione che giustificherebbe, secondo alcuni, la fissazione dei minimi tariffari, può apparire superfluo ripetere, quanto più volte sostenuto, che tale affermazione è priva di solido fondamento logico ed economico, dal momento che la fissazione di un determinato prezzo non è sufficiente a garantire l’erogazione di un prodotto con un determinato livello minimo di qualità. A ciò si aggiunga che la qualità delle prestazioni dovrebbe essere sufficientemente tutelata ex-ante dalle selezioni all’accesso ed ex-post dagli standard qualitativi previsti sia dalla legge che dai codici deontologici con riferimento alle caratteristiche dei prodotti e ai comportamenti dei professionisti. Deve poi essere considerato che ogni restrizione della concorrenza ha un costo che deve essere sufficientemente compensato dai benefici per i quali si giustifica l’introduzione della restrizione e nel caso della fissazione delle tariffe, per i motivi sopra esplicitati, tali benefici non si riscontrano, soprattutto quando ad essere definiti sono livelli minimi di prezzi. L’obbligazione di risultato 31. La struttura delle tariffe, determinate in cifra fissa ed indipendentemente dall’esito dell’attività svolta dal professionista, rappresenta la caratteristica di un sistema nel quale l’obbligazione assunta dal professionista viene di regola qualificata quale obbligazione di mezzi e non di risultato. Peraltro, la possibilità di assumere una obbligazione di risultato, non è del tutto estranea alle attività professionali, come dimostra il fatto che gli ultimi orientamenti giurisprudenziali hanno spesso qualificato alcune obbligazioni inerenti le professioni mediche e tecniche quali obbligazione di risultato.448 In una prospettiva di più ampio respiro, nell’ambito dell’attività del professionista, l’assunzione del tipo di obbligazione, di mezzi o di risultato, potrebbe essere valutata come l’utilizzazione di due impegni diversi, a cui, in ragione della diversa responsabilità assunta, poter applicare prezzi diversi. D’altra parte è un risultato non controverso della teoria economica che un modo efficiente di risolvere i problemi generati da asimmetrie informative derivanti dall’incapacità di valutare lo sforzo di chi eroga la prestazione consiste nel disegnare dei contratti nei quali il corrispettivo a fronte della prestazione dipende dal verificarsi di eventi futuri che saranno osservabili tanto dal cliente che dal professionista. Questo enunciato non si discosta molto da quanto il senso comune suggerisce. Il modo più convincente ed efficace per 448 C.f.r Sentenza della Corte di cassazione del 27 febbraio 1996 n. 1530; sentenza della Corte di cassazione del 19 luglio 1993 n. 8033 sentenza della Corte di cassazione del 21 luglio 1989 n. 3476 sentenza della Corte di cassazione del 28 gennaio 1995 n. 1040; Sentenza della Corte di cassazione del 25 novembre 1994 n. 10014. 239 comunicare al pubblico la qualità delle proprie prestazioni è quello di garantire che un determinato risultato sarà raggiunto e che in caso contrario o non si pagherà o si verrà in qualche misura indennizzati da chi quella promessa non è stato in grado di mantenere. E’ certamente vero che questo strumento non corregge tutte le asimmetrie esistenti, in particolare quelle che traggono origine dalla circostanza che chi acquista è incapace di osservare ex-ante le caratteristiche di chi quel servizio offre. Questi problemi, tuttavia trovano più efficace soluzione attraverso forme di regolamentazione degli accessi. Pertanto, apparirebbe auspicabile che i professionisti, nelle proprie strategie competitive, considerassero l’assunzione della obbligazione di risultato, non soltanto come un aggravante delle proprie responsabilità, da evitare se possibile, ma come la possibilità di utilizzare uno strumento alternativo nelle proprie strategie competitive. Il divieto di pubblicità 32. Anche le attuali forme di divieto della pubblicità appaiono difficilmente riconducibili alla tutela di un interesse di natura generale. Non può essere infatti sufficiente al riguardo asserire che la pubblicità contribuirebbe a svilire e mercificare le professioni e che potrebbe avvantaggiare i professionisti dotati di maggiori risorse finanziarie piuttosto che i migliori. Né può essere realisticamente invocata la considerazione che rimuovendo gli attuali divieti si produrrebbe una artificiosa stimolazione della domanda particolarmente dannosa in settori delicati quali quello sanitario. Alcune di queste affermazioni trovano le proprie origini in una visione passatista sia delle professioni intellettuali, sia dello strumento pubblicitario. La convinzione che la pubblicità rappresenti uno strumento utilizzato unicamente nella vendita di prodotti commerciali è oggi largamente superata dall’impiego di tale mezzo per conseguire obiettivi diversi, ed in particolare per comunicare ad un pubblico che sia il più vasto possibile informazioni che altrimenti rimarrebbero patrimonio di pochi. La pubblicità informativa, che già esiste ma in misura troppo limitata nelle modalità e nei contenuti (quella negli elenchi telefonici e nelle pagine gialle), costituirebbe un elemento di notevole importanza proprio per colmare parte di quelle asimmetrie informative che non consentono al consumatore di scegliere con maggiore cognizione di causa il servizio di cui necessita o di giudicarne la qualità resa. Se si immagina tale strumento coniugato alla possibilità di praticare prezzi liberi e di condizionare il prezzo al risultato, si comprendono le prospettive concorrenziali che si possono aprire per i professionisti e i vantaggi che deriverebbero per i consumatori soprattutto in termini di risparmio di costi nel reperire le informazioni necessarie. Più in particolare, il consumatore avrebbe accesso facilmente, e non come avviene ora per vie informali o conoscenze, alle informazioni riguardanti le caratteristiche dei professionisti che operano sul mercato e le attività dove hanno maggiormente concentrato i 240 propri sforzi professionali, nonché i prezzi dagli stessi praticati per prestazioni simili ed eventualmente le garanzie di successo che sono in grado di fornire. Sostenere che l’introduzione della pubblicità andrebbe a scapito della qualità, in quanto avvantaggerebbe i professionisti più dotati di risorse finanziarie indipendentemente dalla loro effettiva abilità professionale, appare opinabile. Deve infatti essere considerato che la pubblicità informativa è basata su elementi di fatto, prezzi, caratteristiche, risultati, e che eventuali elementi non rispondenti alla realtà potrebbero sempre essere sanzionati come forme di pubblicità ingannevole. Inoltre, appare irrealistico immaginare che la pubblicità possa da sola garantire la permanenza e l’espansione sul mercato a professionisti che offrono servizi di qualità scadente. Infine, immaginare che l’utilizzo della pubblicità da parte di operatori maggiormente dotati di risorse finanziarie possa determinare l’espulsione dal mercato degli altri professionisti implica una visione semplificata dell’assetto di mercato, secondo la quale lo stesso potrebbe ospitare sostanzialmente una sola tipologia di operatori. Al contrario, nel settore dei servizi professionali, più ancora che negli altri, risulta verosimile immaginare una configurazione articolata dell’offerta, in cui i diversi ambiti di specializzazione consentono la compresenza nel mercato di soggetti con diverse caratteristiche dimensionali e organizzative. Sostenere poi che la pubblicità produrrebbe una artificiosa stimolazione della domanda dannosa in settori quali quello sanitario è del tutto infondato, dal momento che si tratterebbe di una pubblicità a scopo informativo, ed è contraddetto dalle esperienze di altri Paesi europei. Per converso, appare evidente la logica restrittiva sottostante il divieto di pubblicità quando si consideri che la pubblicità di carattere generale, quella che torna a beneficio dell’intera categoria è generalmente ammessa poiché fa aumentare la domanda aggregata per l’intera professione. Al contrario, la pubblicità del singolo o di un ristretto gruppo di professionisti è suscettibile di produrre effetti di redistribuzione della domanda di servizi all’interno della professione, mettendo in discussione l’equilibrio all’interno della categoria professionale. Al riguardo si consideri che la possibilità di comunicare al pubblico i vantaggi delle proprie offerte e i propri successi, verosimilmente consentirà soprattutto ai giovani, più capaci e meritevoli, soprattutto se associati, che ancora non godono di una vasta fama di affermarsi in tempi più rapidi. Ciò è dimostrato dal fatto che sono proprio tali soggetti ad opporsi alle limitazioni che restringono la possibilità di erodere quote di mercato a coloro che invece già godono di posizioni consolidate. I nuovi professionisti sono quelli che hanno meno da perdere dall’infrangere le regole consolidate. Essi, fintantoché non raggiungeranno un reddito adeguato - e all’inizio dell’attività ciò è ben difficile che accada - , saranno inevitabilmente tentati di acquisire clientela a spesa degli altri. 241 Non stupisce pertanto che gli ordini per mantenere i propri equilibri scoraggino qualunque strumento che determini una redistribuzione della domanda e, quindi, dei redditi fra i professionisti. L’esercizio in forma societaria 33. Tra gli altri vincoli all’esercizio dell’attività, per lungo tempo vi è stato anche quello all’esercizio in comune della stessa, che era rappresentato dal divieto posto dalla legge 23 novembre del 1939 n. 1815. Esso, tra l’altro rendeva più difficile per i professionisti del nostro Paese fronteggiare la concorrenza internazionale indotta dalla progressiva eliminazione delle restrizioni alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi dei cittadini di uno stato membro nel territorio di un altro Stato membro, in attuazione degli art. 52 e 59 del trattato di Roma. Tale vincolo, tuttavia, è stato recentemente rimosso dall’articolo 24 della legge n. 266 del 7 agosto 1997 che ha abrogato l’articolo 2 della legge 23 novembre del 1939 n. 1815, ed ha delegato al Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, e per quanto di competenza, con il Ministro della sanità, la fissazione, con proprio decreto, entro cento venti giorni, dei requisiti per l’esercizio delle attività di cui all’articolo 1 della legge 23 novembre del 1939 n. 1815. 34. L’intervenuta abrogazione, e, in prospettiva, l’emanazione del regolamento attuativo, costituiscono la leva di cambiamento della forma di esercizio delle attività professionali, in quanto, se opportunamente interpretate, potranno consentire ai professionisti di scegliere tra le forme societarie attualmente disponibili quella che ritengono più congeniale all’erogazione dei propri servizi. Al riguardo, è utile considerare che non appaiono esservi ragioni per precludere ad alcune categorie l’esercizio della professione nella forma delle società di capitali, più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni, sulla base della considerazione che tali formule societarie mal si adatterebbero ai caratteri delle professioni intellettuali. Se è indubbio che le professioni intellettuali protette hanno delle specificità che devono essere salvaguardate, esse impongono semmai, di prevedere, attraverso l’emanazione di una disciplina organica della materia, alcune regole ad hoc che concilino la peculiarità delle professioni con le nuove esigenze che si affacciano sul mercato, in modo da consentire ai nostri professionisti di poter rispondere adeguatamente alle sfide che saranno chiamati ad affrontare nel contesto europeo. In altri termini, sarebbe auspicabile che lo stimolo al cambiamento, rappresentato dalla abrogazione del divieto di esercizio in forma societaria delle attività professionali operato dall’articolo 24 della legge n. 266 del 7 agosto 1997, e dalla emanazione del regolamento attuativo, venisse consolidato da una 242 riforma sistematica della materia volta a raccordare le recenti innovazioni con la disciplina codicistica delle società. Le professioni non regolamentate 35. In Italia le forme di riconoscimento delle professioni intellettuali sono sostanzialmente riconducibili alla disciplina prevista per le professioni protette. Ciò dipende in una certa misura dal fatto che nel nostro Paese non sono stati ancora elaborati sistemi alternativi di regolamentazione delle attività, sulla scorta di quanto invece avviene in altri Paesi Europei e delle indicazioni emergenti dalle Direttive comunitarie in materia. Infatti, le Direttive del Consiglio 89/48 e 92/51 hanno operato un esplicito riconoscimento delle attività professionali esercitate dai membri di un associazione o di un organizzazione che rilasci ai propri membri un titolo di formazione, esiga da parte loro il rispetto di regole di condotta professionale da essa prescritte e, conferisca ai medesimi il diritto di un titolo professionale, assimilandole alle attività c.d. regolamentate. La carenza della predisposizione di sistemi siffatti che possano rappresentare una alternativa alle attuali forme di riconoscimento delle professioni protette fa sì che queste ultime rappresentino l’obiettivo al cui raggiungimento ambiscono gran parte delle nuove professioni. 36. Giova osservare invece che l’esigenza di organizzare dei sistemi di certificazione che rappresentino un marchio di qualità per il consumatore non deve essere necessariamente soddisfatta attraverso l’istituzione di Albi o ordini professionali. Da un lato infatti gli Albi e gli ordini non costituiscono lo strumento necessario e indispensabile per conseguire tale obiettivo, e dall’altro non si ravvisano ragioni di rilevanza pubblica che possano giustificare l’introduzione di sistemi selettivi e limitativi sulla scorta di quanto avviene per le professioni protette. E’ comprensibile che, per tali professioni, si voglia creare un sistema di certificazione di qualità idoneo a soddisfare il consumatore più esigente che intende assicurarsi un servizio qualitativamente superiore. In nessun caso si giustifica, tuttavia, l’adozione di una regolamentazione che limiti sia la libertà di iniziativa economica privata dei soggetti che attualmente operano in piena autonomia, sia la libertà di scelta del consumatore, il quale, può preferire servizi di qualità meno elevata ma di prezzo più conveniente. 37. Si può allora ipotizzare per tali professioni un sistema di certificazione di qualità, analogo a quello esistente in altri Paesi Europei, basato sul riconoscimento di associazioni delle professioni non regolamentate. Secondo tale modello i professionisti sono organizzati in associazioni la cui finalità è di fornire una verifica costante della competenza del professionista e 243 di regolamentare le norme di comportamento. L’adozione di un sistema siffatto concilierebbe le esigenze di coloro che aspirano ad appartenere ad una categoria pubblicamente riconosciuta, senza precludere l’esercizio della medesima attività da parte di coloro che non hanno le medesime aspirazioni e garantirebbe al consumatore la possibilità di scegliere tra servizi di qualità diverse e, verosimilmente anche di prezzi diversi. 10.4 Conclusioni 38. L’analisi compiuta mostra che il modo in cui l’istituzione ordine professionale si incardina nell’istituzione mercato dipende strettamente dalle modalità e dalle caratteristiche che questo assume. Da qui la necessità di analizzare l’ordine in rapporto al mercato e non già di procedere in direzione opposta, dando per scontato che una particolare organizzazione, possa prescindere in tutto o in parte dal contesto in cui è incardinata. Logica conseguenza di questo modo di procedere è l’analisi che si è compiuta in questa indagine, ovvero il tentativo di interrogarsi sull’attualità di alcune caratteristiche degli ordini in relazione al mercato e alla sua prevedibile evoluzione. E’ compito del legislatore ora riscrivere i contorni dell’operatività degli ordini, trovando con questi ultimi le forme più idonee a superare l’intreccio poco virtuoso fra pubblico e privato che ancora oggi si riscontra. Per quanto sia infatti innegabile che l’esercizio delle attività dei professionisti ha un contenuto pubblico rilevante, ciò non giustifica quanto frequentemente si sostiene, e cioè che le prestazioni professionali sarebbero largamente indipendenti dalle dinamiche dei mercati nei quali esse vengono svolte. 39. Nello scenario che si prospetta è possibile ipotizzare che i segmenti più ricchi della domanda verranno gradualmente conquistati da imprese estere, ma localizzate in Italia, con cui i professionisti nazionali potrebbero incontrare notevoli difficoltà a competere. Pertanto, l’entrata sul mercato di nuovi operatori stranieri comporterà inevitabilmente un ridimensionamento della porzione di mercato oggi disponibile per i professionisti nazionali ed una concentrazione di questi ultimi su fasce diverse o comunque più limitate. Questo percorso non è ineluttabile, ma dipende in larga misura dalla capacità degli ordini di cogliere appieno le occasioni innovative e di riforma che si presentano e di comprendere che per primi devono liberarsi di quegli impedimenti regolamentari che ostacolano la loro capacità di competere in un mercato aperto. 40. Nel ridisegnare gli ambiti in cui operano le funzioni attribuite agli ordini, occorre: a) rivisitare l’attribuzione delle attuali riserve alla luce dell’evoluzione dei mercati e dei loro attuali assetti, nel convincimento che alcune di esse non 244 appaiono più appropriate e funzionali alle esigenze della domanda e rischiano di apparire oggi come privilegi a favore delle categorie interessate. Utili riflessioni al riguardo emergono dalla comparazione svolta nel corso dell’indagine dei diversi, e più circoscritti, ambiti di riserva esistenti in altri Paesi Europei. b) eliminare quelle funzioni che non rivestono alcuna importanza ai fini del corretto svolgimento della professione, quali la potestà tariffaria, in quanto dirette esclusivamente al conseguimento di finalità anticoncorrenziali e non necessarie, né proporzionate rispetto al conseguimento degli obiettivi di natura pubblica. c) valorizzare quelle funzioni svolte dagli ordini che rispondono alle esigenze di affidamento dei terzi e di correttezza nello svolgimento delle attività. La funzione attribuita agli ordini di emanare un corpo di norme deontologiche, dovrebbe essere limitata agli aspetti propriamente etici o alla eliminazione dei comportamenti suscettibili di determinare una sfiducia dei terzi nella categoria e non piuttosto finalizzata all’imposizione di restrizioni concorrenziali tra i professionisti. d) rendere l’attività degli ordini sempre più funzionale al miglioramento della qualità delle prestazioni, potenziando la funzione, oggi esercitata in modo piuttosto limitato, di monitoraggio della rispondenza nel tempo delle capacità professionali alle esigenze della domanda. Non vi è dubbio che un ordine professionale che assuma su di sé le funzioni di certificare la qualità delle prestazioni dei propri aderenti, che si attrezzi per fornire loro quell’aggiornamento di tecniche e contenuti che consentono di migliorare il livello qualitativo delle prestazioni, diventi un punto di riferimento imprescindibile per coloro che esercitano una attività professionale. Pertanto, il controllo più utile che l’ordine può effettuare sull’esercizio dell’attività e a garanzia della qualità delle prestazione erogate dagli iscritti, è quello relativo all’aggiornamento e alla formazione costante e continua dell’attività, nonché alla verifica della permanenza di requisiti professionali al passo con gli sviluppi della disciplina. 41. La revisione delle norme che disciplinano l’esercizio dell’attività professionale porterà a dei risultati positivi se farà suo il principio che il conseguimento delle finalità pubbliche non è affatto incompatibile con la sottoposizione delle attività dei professionisti alle regole del mercato e della concorrenza, ed anzi quest’ultima può solo contribuire a rendere più efficiente il sistema. Peraltro, anche laddove la regolamentazione è necessaria essa va in ogni caso collegata in modo diretto e chiaro con l’unico principio che la giustifica, ovvero il raggiungimento di un maggiore benessere per la collettività. 245 PARTE SECONDA: LA REGOLAMENTAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI - ASPETTI SETTORIALI 3. La regolamentazione delle professioni giuridiche 3.1 I notai 3.1.1 3.1.2 3.1.3 3.1.4 3.1.5 3.1.6 3.1.7 3.2 Le attività notarili Modalità di accesso all’attività notarile Gli standard qualitativi delle prestazioni notarili Le tariffe Forme di (auto)regolamentazione Spunti comparatistici Conclusioni Gli avvocati 3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 3.2.5 3.2.6 3.2.7 Le attività forensi Modalità di accesso Gli standard qualitativi delle prestazioni forensi Le tariffe Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività Confronto internazionale Conclusioni 4. La regolamentazione delle professioni economico contabili 4.1 I dottori commercialisti e i ragionieri 4.1.1 Le attività dei dottori commercialisti e dei ragionieri 4.1.2 Modalità di accesso 4.1.3 Gli standard qualitativi delle prestazioni dei dottori commercialisti e dei ragionieri 4.1.4 Le tariffe 4.1.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività 4.2 I consulenti del lavoro 4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.2.4 4.2.5 4.3 Le attività dei consulenti del lavoro Modalità di accesso Gli standard qualitativi delle prestazioni dei consulenti del lavoro Le tariffe Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività Conclusioni 5. La regolamentazione delle professioni sanitarie 5.1 I farmacisti 5.1.1 5.1.2 5.1.3 5.1.4 5.1.5 5.1.6 L’attività farmaceutica Modalità di accesso all’attività Regolamentazione numerica degli esercizi Gli standard qualitativi delle prestazioni dei farmacisti Le tariffe Altre forme di regolamentazione 2 5.1.7 Confronto internazionale 5.1.8 Conclusioni 5.2 I medici 5.2.1 La professione medica 5.2.2 Modalità di accesso alla professione di medico-chirurgo e di odontoiatra 5.2.3 Gli standard qualitativi delle prestazioni mediche 5.2.4 Le tariffe delle prestazioni mediche 5.2.5 Forme di regolamentazione 5.2.6 Altre forme di regolamentazione all’esercizio dell’attività 5.2.7 Profili comparatistici 5.2.8 Conclusioni 6. La regolamentazione delle professioni tecniche 6.1 Gli ingegneri e gli architetti 6.1.1 Le attività degli ingegneri e degli architetti 6.1.2 Modalità di accesso 6.1.3 Gli standard qualitativi delle prestazioni degli ingegneri e degli architetti 6.1.4 Le tariffe 6.1.5 Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività 6.1.6 Confronto internazionale 6.2 I geometri 6.2.1 6.2.2 6.2.3 6.2.4 6.2.5 6.3 Le attività dei geometri Modalità di accesso e standard qualitativi delle prestazioni Le tariffe Altre restrizioni riconducibili all'esercizio dell'attività Spunti comparatistici Conclusioni PARTE TERZA: NUOVE CONFIGURAZIONI DELL’OFFERTA DEI SERVIZI PROFESSIONALI - INTERESSI EMERGENTI E PROBLEMI APERTI 7. Le professioni non regolamentate 7.1 Sviluppo delle professioni non regolamentate 7.2 L’autoregolamentazione delle professioni non regolamentate 7.3 Forme di riconoscimento in ambito comunitario 7.4 Conclusioni 8. Attività libero-professionale e alle dipendenze 8.1 La regolamentazione 3 8.2 Necessità e proporzionalità delle diverse forme di incompatibilità 9. Le società tra professionisti 9.1 L’abrogazione del divieto imposto dalla legge 23 novembre 1939 n. 1815. 9.2 La ratio del divieto posto dalla legge del 1939 9.3 L’associazione professionale 9.4 Le società esistenti 9.5 Regimi speciali 9.6 La posizione degli Ordini e le proposte di revisione normativa 9.7 Profili comparatistici 9.8 Conclusioni 10. Considerazioni conclusive 10.1 Premessa 10.2 Regolamentazione delle professioni e mercato 10.3 Gli strumenti di regolamentazione 10.4 Conclusioni ALLEGATI A. - Avvio dell’indagine conoscitiva (IC15) Provvedimento n. 2523 dell’ 1 dicembre 1994 B. - Chiusura dell’indagine conoscitiva (IC15) Provvedimento n. 5400 del 3 ottobre 1997 4