Marino Regini - Fondazione CRUI

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Marino Regini - Fondazione CRUI
L’internazionalizzazione
del dipartimento
Marino Regini
Legge 240/2010, art. 2 comma 2
“Per le medesime finalità ed entro lo stesso termine di cui al comma 1, le
università statali modificano, altresì, i propri statuti in tema di
articolazione interna, con l’osservanza dei seguenti vincoli e criteri direttivi:
…………….
l) rafforzamento dell’internazionalizzazione anche attraverso
una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi
integrati di studio, iniziative di cooperazione
interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l’attivazione,
nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a
legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di
selezione in lingua straniera.”
Tema dell’incontro
Come si rafforza l’internazionalizzazione delle
università (e dei dipartimenti)?
Risposta della legge 240:
9 mobilità di studenti e docenti
9 cooperazione interuniversitaria
9 programmi integrati di studio
9 attrazione di studenti e docenti internazionali
anche mediante erogazione di corsi in inglese
Dalla mobilità alla cooperazione all’attrattività
Tre obiettivi (successivi) nella
internazionalizzazione della formazione:
1. Estendere l’occupabilità dei propri laureati al di fuori dei confini
nazionali, favorendo la mobilità degli studenti con programmi di
scambio o offrendo corsi più spendibili sul mercato internazionale
2. Inserire l’Ateneo in reti internazionali mediante forme di
cooperazione didattica con università straniere, partecipazione a
consorzi, e più di recente con programmi integrati di studio
3. Aumentare l’attrattività dall’estero
riuscire a
reclutare più studenti stranieri o quelli più dotati, nonché docenti e
ricercatori stranieri, con contratti stabili o temporanei
In sintesi: da strategie cooperative a strategie competitive
1. La mobilità internazionale
9 La mobilità internazionale di studenti e docenti (incoming e outgoing)
rappresenta l’obiettivo più tradizionale perseguito dalla maggior parte
degli Atenei italiani.
9 Negli ultimi anni, gli Atenei italiani hanno diversificato l’attività di
formazione finanziata con fondi europei o internazionali. Fra i diversi
progetti che si avvalgono di finanziamenti europei, oltre agli LLP
Erasmus ed Erasmus-Mundus vanno ricordati i programmi Leonardo,
Comenius, Tempus, oltre a cattedre e moduli Jean Monnet. Infine, oltre
alla mobilità internazionale per periodi di studio, stanno assumendo
rilievo anche le attività di stage e il placement internazionali.
9 La mobilità internazionale rimane un fenomeno importante per il
numero consistente di destinatari, ma ha un impatto limitato nella
effettiva internazionalizzazione della formazione. Viene gestita ormai in
modo routinario dagli atenei e non ha grande valenza strategica.
2. La cooperazione didattica:
i programmi integrati di studio
9 I percorsi formativi integrati con quelli di università straniere sotto forma di
joint e double degrees, che costituivano una delle raccomandazioni ricorrenti
della C.E., sono stati richiamati dalla riforma del 2010 come la principale
forma di cooperazione didattica internazionale.
9 Nell’esperienza fin qui compiuta, si sono tuttavia rivelati più problematici
del previsto, il che ne spiega la limitata diffusione. Problemi burocratici,
legati alle diverse regole vigenti in atenei di Paesi differenti, rendono difficile
arrivare ad accordi e ancor più difficile gestirli.
9 Opportuno procedere in modo mirato e selettivo, concentrando le
energie di docenti e personale sulle università straniere con cui esistono già
rapporti di cooperazione informale e conoscenza reciproca che rendono più
agevole il superamento delle difficoltà burocratiche.
9 Nei corsi di dottorato, il tipo più diffuso di percorso formativo integrato è
stato finora la co-tutela, che presenta invece minori problemi di gestione
ma ha un impatto sulla internazionalizzazione limitato.
3. L’attrazione di studenti e docenti
internazionali come indicatore di qualità
9 L’obiettivo di incrementare la percentuale di studenti e
docenti stranieri è ormai largamente condiviso da tutte le
università europee.
9 Non solo, infatti, questa percentuale è diventata un
indicatore utilizzato per la distribuzione di parte delle
risorse ministeriali e per la costruzione di alcuni ranking
internazionali (QS e Times Higher Education).
9 Più in generale, nella percezione comune l’attrattività
internazionale di un Ateneo è diventata sinonimo di
qualità.
L’attrattività dall’estero: considerazioni e dati
Nel resto dell’incontro ci concentreremo
sull’attrattività:
‰ fattori economici e fattori reputazionali nella
spinta a competere sull’attrattività
internazionale
‰ la competizione per attrarre docenti,
ricercatori e post-doc
‰ i flussi di studenti internazionali
‰ i fattori di scelta del Paese
Che cosa spinge gli atenei
a competere sull’attrazione dall’estero?
¾ In alcuni paesi (UK, Australia), la possibilità di far pagare
tasse più alte agli studenti stranieri
¾ In molti altri, gli incentivi o sanzioni da parte di governi,
enti locali, soggetti vari che premiano la capacità di attrarre
studenti, ricercatori, docenti dall’estero
¾ In generale, la reputation race legata alla diffusione della
“cultura dei ranking”: in questa cultura, la capacità di
attrazione internazionale di un ateneo è un fattore cruciale
di reputazione
I risvolti economici
dell’attrattività internazionale
¾ Gli studenti stranieri contribuiscono per 8.5 miliardi di sterline
all’economia inglese (UKCISA 2010)
¾ In Australia costituiscono la terza voce nel bilancio federale,
avendo generato 18 miliardi nel 2009. Questa voce supera del 50%
l’entrata relativa al turismo ed è cresciuta del 94% dal 2004 (John
Curtin Institute)
¾ Tra il 2000 ed il 2010 gli Stati Uniti hanno perso una consistente
quota di mercato (dal 23% al 17%) (OCSE 2012)
¾ Malgrado la crisi, alcuni governi hanno investito pesantemente
negli ultimi anni per l’istruzione superiore: Francia, 11 miliardi di
euro; Germania, 18 miliardi di euro; Stati Uniti, 21 miliardi di euro
(solo il governo federale). (Russell Group 2010)
Attrarre docenti,
ricercatori e post-doc stranieri
¾ Le migliori università internazionali riescono ad attrarre docenti da
tutto il mondo contrattando stipendi e condizioni di lavoro
¾ Questo vale non solo per le migliori università anglo-americane.
Ad es., il rettore di Heidelberg può offrire a un ordinario uno
stipendio iniziale variabile fra i 60.000 e i 130.000 euro a sua
completa discrezione
¾ Molti atenei stranieri consentono joint appointments con un
ateneo di un altro Paese (in teoria è possibile anche con L. 240)
¾ Oltre a ciò, ricorrono in modo molto ampio a visiting professors
e visiting scholars o scientists stranieri
Attrarre studenti:
i flussi di studenti internazionali (OCSE 2012)
¾ Nel 2010, più di 4.100.000 studenti universitari erano iscritti
in paesi diversi dal proprio
¾ Le prime 5 destinazioni principali sono USA (16.6%), UK
(13%), Australia (6.6%), Germania (6.4%) e Francia (6.3%)
¾ Paragonando i dati del 2010 con quelli del 2000, il numero di
studenti internazionali è raddoppiato. L’Europa è la
destinazione preferita, con il 41% del totale
¾ Gli studenti asiatici (soprattutto da Cina, India e Corea) sono
il 52% degli studenti stranieri nel mondo
¾ L’Italia attrae solo l’1.7% dei 4.100.000 studenti
internazionali
La situazione italiana
in Europa (OCSE 2012)
% studenti internazionali
su totale studenti
% dottorandi
su tot. studenti
internazionali
Italia (cittadini stranieri)
3,5
5,1
Regno Unito
16,0
8,9
Francia (cittadini stranieri)
11,6
11,5
Svizzera
15,4
25,4
Austria
15,4
11,1
Spagna
3,0
15,3
Media paesi OCSE
8,0
11,2
I fattori di attrazione
di studenti e docenti stranieri
Un recente rapporto dell’OCSE (2010) elenca nell’ordine i
seguenti tre fattori come cruciali nella scelta del paese in cui
seguire un percorso universitario:
™ la lingua di insegnamento
™ il costo degli studi e della vita
™ le politiche di immigrazione
Gli atenei italiani partono svantaggiati sul primo e sul terzo,
e nelle grandi città anche sul secondo.
Che fare per attrarre studenti
e docenti stranieri?
Dunque: che cosa possono fare gli atenei italiani
per colmare lo svantaggio nei fattori di attrazione?
¾ organizzare servizi di accoglienza efficienti volti a
facilitare la residenza e l’inserimento nella comunità
¾ adoperarsi per semplificare le procedure di iscrizione e le
politiche dei visti e dei permessi
¾ aumentare l’offerta di corsi di studio in lingua inglese e
di corsi di italiano per stranieri
¾ infine, incentivare il ricorso a visiting professors stranieri
Nella prima azione i dipartimenti collaborano con l’amministrazione centrale,
nella seconda con le istituzioni, nella terza e quarta hanno un ruolo autonomo cruciale
I servizi di accoglienza
I welcome offices hanno una lunga tradizione nelle università europee: si
tratta di strutture di supporto agli studenti stranieri che offrono una serie di
servizi, dalla consulenza su questioni burocratiche, all’orientamento, fino
all’organizzazione di eventi.
Quasi tutte le università hanno un ufficio dedicato alla ricerca
dell’alloggio, e molte hanno convenzioni con società immobiliari nonprofit per offrire agli studenti stranieri alloggi a prezzi calmierati.
Oltre ai servizi amministrativi, a sostegno degli studenti stranieri in molte
università sono attive associazioni studentesche, spesso legate ai diversi
paesi di origine, che organizzano eventi e gite, rispondono alle mail degli
stranieri, danno loro informazioni pratiche, svolgono un ruolo di assistenza
linguistico-culturale.
Si tratta di strumenti cruciali per aumentare l’attrazione di studenti
(oltre che ricercatori e docenti) stranieri, di cui sono dotate anche
varie università italiane. Ma alcuni servizi di supporto di 1° livello
andrebbero organizzati anche a livello di dipartimento.
Semplificazione delle procedure
e politiche di immigrazione
Sono un fattore cruciale nella scelta del paese: l’attrattività di paesi come
Australia, Canada o Nuova Zelanda è legata al fatto che studiando nelle
loro università gli studenti stranieri ottengono un punteggio che li
avvantaggia nella richiesta di cittadinanza.
Altro fattore cruciale è il grado di semplificazione delle procedure per ottenere un
visto o il rinnovo del permesso di soggiorno: le iscrizioni di stranieri nelle
università americane sono crollate dopo l’inasprimento delle regole sui visti
seguito agli attentati dell’11 settembre, mentre sono fortemente aumentate
nelle università australiane in conseguenza della norma che consente a chi
ottiene un visto per ragioni di studio di lavorare fino a 20 ore settimanali.
La situazione italiana è da questi punti di vista fra le peggiori,
ma occorre almeno che gli atenei:
™
semplifichino gli adempimenti burocratici per l’iscrizione di studenti
stranieri
™
sollecitino e partecipino ad azioni di sistema, quali quelle portate avanti
nei principali paesi europei
I corsi di studio in lingua inglese
9
9
9
L’offerta di corsi in lingua inglese ha provocato un acceso dibattito
nel mondo universitario italiano, particolarmente dopo la recente
decisione del Politecnico di Milano di attivare solo in lingua inglese
tutti i suoi corsi di laurea magistrale. Non è questa la sede per
valutare i pro e i contro di questa scelta radicale
Ciò che è certo però è che solo una parte trascurabile degli oltre 4
milioni di studenti universitari che ogni anno decidono di studiare
al di fuori del proprio Paese conoscono l’italiano e possono
dunque permettersi di scegliere liberamente all’interno dell’offerta
formativa di un nostro ateneo. La stragrande maggioranza di loro,
soprattutto se orientati alle discipline scientifiche, tecniche o socioeconomiche, considerano invece l’inglese la lingua franca in cui una
università che voglia posizionarsi a livello internazionale erogherà
la propria offerta formativa.
Ci sono vari esempi di risposta a questa esigenza, con soluzioni
meno impegnative di quella del POLIMI
Un esempio di soluzione innovativa a UNIMI:
corsi con entry package in lingua inglese
™
™
UNIMI, tenuto conto della scarsità di risorse umane e finanziarie, ha
deciso di sperimentare nel 2012 una formula innovativa e meno
impegnativa, definita come “corsi di studio con un entry package
in inglese”. Si tratta di un pacchetto di insegnamenti di base erogati
in lingua inglese (aggiuntivi rispetto agli insegnamenti in italiano e
utilizzabili da diversi corsi di studio) per un totale di 60 crediti.
Questo pacchetto è destinato agli studenti stranieri – e naturalmente
anche a quelli italiani che scelgano questa opzione – iscritti al primo
anno, a cui l’Ateneo offre nel contempo corsi intensivi di lingua
italiana che consentano loro di frequentare gli anni successivi,
mentre la tesi finale può essere redatta in lingua inglese.
Nei corsi di studio con entry package, anche chi non conosce
assolutamente la lingua italiana può perciò frequentare per un anno
intero insegnamenti erogati in inglese, e nel frattempo avere
l’opportunità di apprendere gratuitamente la nostra lingua.
I visiting professors
e i visiting scholars/scientists
¾ Per le università italiane è quasi impossibile attrarre docenti
stranieri in pianta stabile contrattando stipendi e condizioni di
lavoro (alcune eccezioni: es. Trento, PoliMi, Bocconi)
¾ I joint appointments sono resi possibili dalla L. 240 ma poco diffusi
¾ Si stanno invece sviluppando degli “accordi/Paese” per ospitare
nei nostri atenei post-doc e ricercatori stranieri finanziati dai loro
governi (es. Brasile, Vietnam, Iraq)
¾ Occorre incentivare un ricorso molto ampio a visiting professors e
visting scholars o scientists stranieri
¾ Per favorire questo ricorso ampio occorre anzitutto che gli Atenei
regolamentino in modo preciso queste figure e poi che
incentivino i Dipartimenti o le Scuole di dottorato che decidano
di ricorrervi in modo sistematico
Un esempio di soluzione innovativa al POLIMI:
faculty exchange e incentivi a resident e visiting
9 Il PoliMi considera resident i docenti stranieri con
permanenza > 6 mesi; visiting se < 6 mesi
9 Contratti di insegnamento a docenti incoming:
raddoppio del compenso per cfu e incentivo una
tantum a extra-UE
9 Contratti di diritto privato di 20-30.000 euro a
docenti in sabbatico
9 Assegni biennali riservati a post-doc stranieri
9 Accordi di faculty exchange consentono ai docenti
che vi aderiscono di avvalersi di doppia affiliazione
e di incentivi
Un esempio di soluzione minimalista a UNIMI:
la regolamentazione/incentivazione dei Visiting
9
9
9
Può avere il titolo di Visiting Professor (V.P.) uno studioso
straniero, o italiano appartenente a istituzioni universitarie o di
ricerca non italiane, invitato a svolgere presso UniMi attività
formative - quali corsi, moduli, cicli di lezioni o di seminari nell’ambito di un corso di studio, con un impegno pari ad almeno 16
ore complessive in un anno accademico
Sono definiti invece Visiting Scholars/Scientists (V.S.) gli studiosi
stranieri, o italiani appartenenti a università o enti di ricerca stranieri,
che sono invitati presso strutture dell’Ateneo per svolgere attività di
ricerca o di collaborazione scientifica e che, durante la loro
permanenza, contribuiscono in via occasionale a erogare attività
formative certificate nell’ambito dei corsi di studio o di dottorato,
indipendentemente dalla misura del loro impegno
Del ricorso a figure di V.P. e V.S. si tiene conto nella valutazione
interna dei Dipartimenti e Scuole
Un fattore in più?
9 Accanto ai fattori cruciali indicati dall’OCSE, un altro aspetto può
risultare molto rilevante nella capacità di attrarre non soltanto un
numero elevato di studenti stranieri, ma anche quelli con maggiori
potenzialità
la reputazione del sistema
universitario, e in particolare dell’ateneo in cui si sceglie di andare
a studiare o a lavorare.
9 Soprattutto per dottorandi, post-doc e giovani ricercatori, lavorare
in un ambiente scientifico stimolante, dove si produce ricerca di
qualità elevata e di livello internazionale, è un indubbio fattore di
attrazione. Aldilà dei servizi offerti, ciò che realmente può
aumentare l’attrattività internazionale di un’università è dunque la
qualità della ricerca scientifica che in essa viene condotta.
9 In questo l’Italia è ben messa: nei ranking internazionali nessun
ateneo fra i top 100, ma una % molto elevata fra i top 4-500
Numero di atenei presenti
nei ranking internazionali
N. atenei
QS 2011
Times (THE) 2011
Shanghai 2011
Taiwan 2011
(top 100/500)
(top 100/400)
(top 100/500)
(top 100/500)
Italia
85
0/15
(17.6%)
0/14
(16.5%)
0/22
(25.9%)
1/29
(34.1%)
Francia
83
2/21
(25.3%)
3/8
(9.6%)
3/21
(25.3%)
2/22
(26.5%)
Germania
104
4/41
(39.4%)
4/22
(21.1%)
6/39
(37.5%)
3/46
(44.2%)
Spagna
75
0/13
(17.3%)
0/8
(10.7%)
0/11
(14.7%)
0/13
(17.3%)
UK
132
19/50
(37.9%)
12/52
(39.4%)
10/37
(28.0%)
8/36
(27.3%)
(tra parentesi % dei top 500 sul totale degli atenei nazionali)
CONCLUSIONI:
internazionalizzazione fa rima
con reputazione
™ Quando si parla dei grandi processi di cambiamento dei sistemi
universitari europei, quello della loro “internazionalizzazione” è
fra i più gettonati. Del resto fa rima con attrazione, competizione,
valutazione, che sono processi fra loro collegati. Ma fa rima
anche con “reputazione”. C’è un duplice nesso fra reputazione
scientifica e internazionalizzazione.
™ La buona reputazione di un ateneo o di un dipartimento è una
condizione necessaria per attrarre da tutto il mondo i dottorandi,
i post-doc, i ricercatori migliori, che possono a loro volta
contribuire a mantenere alta questa reputazione, anche se non è
una condizione sufficiente.
CONCLUSIONI:
internazionalizzazione fa rima
con reputazione
™ Una bassa percentuale di studenti e docenti stranieri, un numero
limitato di accordi di cooperazione didattica strutturata con
università straniere, un’offerta esigua di corsi in lingua inglese,
rischiano invece non solo di peggiorare la collocazione di un ateneo
nei ranking internazionali, che ormai nel mondo funzionano come
misure di reputazione certamente grossolane ma largamente
utilizzate. Rischiano di peggiorare anche l’ accesso alle risorse, via
via che alcuni di questi indicatori vengono utilizzati dal Miur per
distribuire la quota premiale di risorse, o da enti nazionali e
internazionali per allocare risorse su base competitiva
™ Ciascun ateneo dovrebbe quindi individuare almeno alcuni cds o
filiere su cui puntare per la sua reputazione internazionale.
CONCLUSIONI:
internazionalizzazione
e contesto locale
™ Paradossalmente ma non troppo, il ritardo di un dipartimento
nell’internazionalizzarsi rischia di ripercuotersi negativamente
anche sulla sua reputazione nel contesto locale e sulle risorse che in
questo contesto vengono allocate. La consapevolezza che la
capacità di attrarre talenti è uno dei fattori principali di
competitività di un territorio è infatti ormai diffusa fra molti attori
economici e istituzionali del territorio stesso, che guardano perciò
all’apertura internazionale del proprio sistema universitario come a
un asset di sviluppo da sostenere con forza.
™ Quello dell’internazionalizzazione non è un obiettivo fra i tanti: è la
nuova frontiera della reputazione di qualità di un ateneo o di un
dipartimento, il bene più prezioso per tutti coloro che vi operano
Grazie!