Anno scolastico 2007/2008 Classe TERZA

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Anno scolastico 2007/2008 Classe TERZA
SCUOLA PRIMARIA STATALE
“ARCOBALENO”
LAVINO DI MEZZO
(dedicata ai bambini di Beslan, settembre 2004)
Quaderno
di
…………………………………………………..
Anno scolastico 2007/2008
Classe TERZA
PREMESSA
Il Progetto è stato realizzato grazie alla convenzione tra il Comune di Anzola
dell’Emilia, l’Istituto comprensivo “E. De’ Amicis” di Anzola dell’Emilia (di cui la
nostra scuola fa parte), la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia
Romagna e il Centro Culturale Anzolese.
Il percorso didattico programmato per le classi terze della scuola primaria
dell’Istituto è iniziato a Febbraio 2008 e si è concluso con la visita al Parco
archeologico e Museo all’aperto della Terramare di Montale il 20 Maggio 2008.
In
classe,
prima
di
intraprendere
il
nostro
“viaggio”
nel
mondo
dell’ARCHEOLOGIA abbiamo studiato come si è formata la Terra e quali sono
state le prime forme di vita su di essa. Successivamente abbiamo approfondito le
nostre conoscenze sui fantastici DINOSAURI, utilizzando sia il nostro libro
delle discipline, sia testi diversi portati dagli alunni o dall’insegnante.
A Gennaio poi, ci siamo recati al Museo Civico “Arsenio Crespellani” di Bazzano,
per scoprire “Il misterioso mestiere dell’archeologo” e apprenderne tutti i
segreti.
Lorenzo Baldassarri, Niccolò Barbieri, Alice Benassi,
Silvana Berisha, Nicolò Bisi, Chiara Conte, Yosra Darouich,
Gabriele Fontanelli, Alessia Gandolfi, Eleonora Gandolfi,
Giacomo Gandolfi, Samira Graziano, Elena Ingrami,
Vincenzo Iovino, Yahya Limbada, Federico Lombini,
Luca Naccarato, Sara Pegoli, Piero Risi, Giulia Saletti,
Marianna Selleri, Eric Susanu, Nicolas Tarozzi,
Amalia Tramontano.
12 Febbraio 2008
Introduzione all’ARCHEOLOGIA
1
Durante il primo incontro l’archeologo
Paolo Toccarelli ci ha mostrato diverse
diapositive che spiegavano cos’è una
stratificazione e come questa avviene
nel tempo.
Abbiamo studiato che le fonti aiutano lo
storico a ricostruire il passato. Le fonti
che abbiamo a disposizione sono solo
fonti materiali: vasi, resti di capanne,
attrezzi, semi bruciati. Tutto ciò ci
aiuta a capire come costruivano le case,
come le usavano, cosa mangiavano.
I resti archeologici si trovano sotto
terra perché? Perché i fiumi e le piogge
inondavano i villaggi di fango e detriti e
li seppellivano.
Gli abitanti di questi villaggi erano
costretti ad abbandonare le loro dimore
ed a spostarsi per costruire un altro
villaggio, sempre vicino al fiume perché
avevano bisogno dell’acqua per bere,
cucinare, lavarsi.
Non solo il fuoco, ma anche il vento e gli
agenti
atmosferici
contribuiscono
a
creare le varie stratificazioni che poi, ai
giorni
nostri,
l’archeologo
scava
e
ritrova.
I villaggi cambiavano aspetto soprattutto perché l’uomo abbatteva le case
vecchie, buttava della terra sui resti e ci costruiva sopra una nuova casa. Per
1
tutti questi motivi, noi oggi troviamo i resti dei villaggi antichi sotto terra, anche
di parecchi metri.
Ecco perché quando scaviamo troviamo una successione di strati archeologici,
cioè le nostre “pagine del tempo”. Gli archeologi riconoscono gli strati e li
studiano cominciando da quello che si trova più in alto e che appartiene ad
un’epoca più recente.
L’archeologo per studiare gli strati li deve scavare e distruggere, ma durante il
percorso prende nota di tutto ciò che viene fuori e trascrive tutte le notizie che
la terra contiene: ad esempio, i resti delle attività umane come case, forni e
buche.
Le nostre impressioni
Questo incontro è stato molto interessante perché abbiamo imparato tante cose
misteriose.
Veramente……. noi eravamo già un po’ “esperti” perché avevamo già partecipato ad
un laboratorio al Museo “Crespellani” di Bazzano, perciò molti segreti
dell’ARCHEOLOGIA li avevamo già “scoperti”.
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26 Febbraio 2008
Introduzione all’ARCHEOLOGIA
2
Nel secondo incontro, oltre a Paolo Toccarelli abbiamo incontrato un altro
archeologo: Fabrizio Finotelli. Con loro due abbiamo visto gli strumenti che usa
l’archeologo per scavare e cioè: cazzuole (che sono un tantino diverse da quelle
usate dai muratori), palette per spostare la terra, ferretti per lo scavo di
precisione, pennelli per pulire gli oggetti. Inoltre, protegge le mani con dei guanti
e le ginocchia con un tappetino di gomma.
Per mostrare cosa ha trovato, l’archeologo fa un disegno degli strati archeologici.
La successione degli strati archeologici si chiama “stratigrafia”.
Da pochi resti si più ricavare la pianta del sito e capire come era costruito un
muro o, addirittura, tutta la casa…
Abbiamo anche osservato numerose immagini e diapositive che si riferiscono al
nostro territorio, l’Emilia Romagna e, in particolare ad Anzola dell’Emilia.
Gli esperti ci hanno spiegato che Anzola sorge su un tratto di alta pianura creata
dalla deposizione di sedimenti da parte dei corsi d’acqua che, scorrendo
dall’Appennino, via via colmarono il mare Adriatico. L’accumulo dei sedimenti
provocò l’abbassamento della crosta terrestre (fenomeno che tuttora accade)
che insieme all’innalzamento degli alvei, determina la divagazione dei corsi
d’acqua ed il conseguente accumulo di nuovi sedimenti nelle zone depresse.
Tutti questi processi sono lentissimi, più di quanto occorre all’uomo per lasciare
tracce profonde della propria presenza sul territorio.
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ANZOLA:
UN VILLAGGIO SULLE SPONDE DELLA GHIRONDA
… (PIÙ
DI
3.000
ANNI FA…)
Le ricerche archeologiche del 1.800 in Emilia Romagna, hanno portato alla
scoperta di accumuli di terreno scuro, ricco di sostanze organiche e di tracce di
un passato umano (resti in ceramica e tronchi lavorati), caratteristici dell’area
padana dell’
ETÀ DEL BRONZO.
I villaggi che erano costruiti su quegli accumuli vennero chiamati perciò
TERRAMARE,
da “TERRA
MARNA”
che, in dialetto, significa terra grassa e indicava
un terreno particolarmente organico che i contadini utilizzavano per concimare i
campi.
Attorno ai villaggi veniva scavato un fossato difensivo.
Per costruire le capanne si utilizzava una struttura di pali verticali intrecciati
con rami e frasche orizzontali su cui veniva spalmata argilla umida per sigillare ed
isolare l’ambiente.
Questa argilla cotta dal calore del sole, dal focolare o in seguito ad un incendio
viene chiamata dagli archeologi CONCOTTO.
Anche
ad
Anzola
gli
scavi
archeologici, concentrati nell’area
dove sorge la nuova sede della
COOP,
hanno
rivelato
una
disposizione degli spazi abitativi
tipici di una terramare.
Gli scavi ed i sondaggi di scavo hanno permesso di ipotizzare l’estensione del
villaggio e la dislocazione delle principali strutture: nella pianta ricostruttiva (a
destra): in nero la zona con la maggior densità di ritrovamenti (zona più
insediata), in azzurro il paleoalveo della Ghironda, in rosso il percorso ipotetico
del fossato perimetrale del villaggio, in arancione un secondo fossato, interno al
primo. La terramare di Anzola presentava quindi due fossati difensivi,
caratteristica non sconosciuta tra i villaggi terramaricoli.
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6 Marzo 2008
NEL LABORATORIO DELL’ARCHEOLOGO!
Il terzo incontro è avvenuto nei sotterranei della biblioteca dove si trova il
laboratorio contenente i resti archeologici del sito di Anzola.
È stato molto interessante questo incontro perché noi bambini, vestiti da
archeologi, abbiamo pulito dei reperti “veri”, ritrovati nel sito e, man mano che
venivano alla luce, l’esperto ci diceva di cosa potevano far parte. Un secondo
gruppo metteva insieme i pezzi di cocci appartenenti a vasi di varie dimensioni,
come in un puzzle. Un terzo gruppo cercava di scoprire in una cassetta colma di
reperti: parti di ossa, frammenti di vasi e anche pezzi di “concotto”, materiale
usato nelle costruzioni.
Divisi in tre gruppi, abbiamo sperimentato i vari percorsi: la pulitura dei reperti
con Omar; lo studio ed il riconoscimento dei materiali con Giovanni, e la
composizione di parti di oggetti attraverso la ricerca di frammenti che si
potessero incastrare (tipo “puzzle”) con Desolina.
Questa lezione è stata molto interessante e divertente anche perché abbiamo
usato degli “attrezzi” davvero particolari (non certo da archeologo): spazzolini da
denti, per pulire i reperti e sacchi della spazzatura, come camici, per non
bagnarci!!
Il momento più emozionante è stato quando Giovanni ci ha fatto scrivere con la
cannetta ed il pennino bagnato nell’inchiostro, proprio come facevano i nostri
nonni a scuola!
Questo, infatti, è il sistema che si usa per “segnare” i vari frammenti che
vengono ritrovati e debbono essere catalogati per poter poi ricostruire, se sarà
possibile, l’oggetto originale o parte di esso.
Stiamo “lavando” i reperti
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17 Marzo 2008
ARCHEOBOTANICA
1
L’ARCHEOBOTANICA si occupa dei resti vegetali
ritrovati nei siti archeologici.
Le informazioni che questi resti possono fornire
sono numerose:
1) notizie sull’ambiente naturale antico e di
conseguenza il tipo di clima;
2) notizie sulle attività dell’uomo: raccolta,
agricoltura,
artigianato,
commercio,
diete
alimentari, usi cosmetici e officinali.
L’ARCHEOBOTANICA si divide in diversi settori a
seconda del tipo di resti vegetali che si trovano
nello scavo archeologico, perciò esistono:
- la XILOLOGIA che studia il legno;
- l’ANTRACOLOGIA che indaga sui carboni;
- la CARPOLOGIA che si occupa di semi e frutti;
- la PALINOLOGIA che esamina i pollini e le spore.
I pollini e le spore vengono chiamati MICRORESTI,
mentre tutti gli altri si dicono MACRORESTI.
Questa mattina siamo ritornati nel Laboratorio della biblioteca di Anzola.
Qui ci aspettavano Paolo, la signora Desolina e due esperti del Centro di
Archeobotanica “La Bora” di San Giovanni in Persiceto, Fabio ed Elisabetta.
Dopo le presentazioni, la maestra ci ha divisi in due gruppi: il primo è sceso nel
sotterraneo con Elisabetta e Giovanni, l’altro è rimasto in una sala della
biblioteca con Paolo, Desolina e Fabio.
Ogni gruppo ha svolto un’attività diversa, poi ci siamo scambiati per poter
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studiare tutti le stesse cose.
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Primo gruppo
Elisabetta ci ha spiegato che cos’è l’ARCHEOBOTANICA e ci ha fatto vedere
delle diapositive per farci capire bene.
Ci ha parlato, in particolare, dei pollini, ce ne ha fatti vedere al microscopio
diversi tipi e ci ha spiegato a quali piante appartenevano.
Abbiamo anche visto la composizione del FIORE, per capire dove si trova il
polline e come si riproducono le piante.
Il fiore rappresenta la struttura riproduttiva di una pianta.
Esso possiede organi maschili e organi femminili.
Gli stami, esili e circondati dai petali, terminano in una parte più spessa detta
antera, dove si trova il polline.
Stami, antera e polline costituiscono le parti maschili del fiore.
La parte femminile del fiore è costituita dal pistillo, la cui sommità allargata è
detta stimma.
Il fondo del pistillo racchiude una cavità, detta ovario, nella quale sono contenuti
gli ovuli.
Uno stelo, sottile detto stilo, unisce lo stimma all’ovario.
Quando i grani del polline trasportati dal vento, dagli insetti oppure dall’acqua
raggiungono gli ovuli nell’ovario, si ha la fecondazione e il successivo sviluppo dei
semi.
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Secondo gruppo
Con Fabio, Paolo e Desolina, invece, abbiamo osservato dei campioni di pollini
riprodotti in materiale plastico, molto ingranditi.
Fabio aveva tanti “modellini” di pollini di tipi diversi di piante che si trovavano nel
territorio di Anzola, tremila anni fa. Ogni polline ha caratteristiche differenti,
forma e dimensione propria.
Dopo aver esaminato i “modellini” a nostra disposizione, con l’aiuto di Fabio, Paolo
e Desolina ognuno di noi ha cercato di riprodurre due diversi tipi di polline,
usando l’argilla e bastoncini di legno (quelli per gli spiedini) per fissarli ad una
base di polistirolo sulla quale abbiamo anche incollato le etichette con il nome
latino della pianta.
Naturalmente, i “nostri pollini” li abbiamo portati a scuola !!
Questo laboratorio è stato interessante: la prima parte era un po’ difficile, ma
nella seconda ci siamo divertiti.
È stato proprio bello salire sullo scuolabus con i nostri “capolavori” in mano !!
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19 Marzo 2008
ARCHEOBOTANICA
2
Questa mattina siamo andati al Centro “La Bora” di San Giovanni in Persiceto
dove ci aspettava Laura, la nostra guida, per continuare il lavoro iniziato lunedì ad
Anzola con Fabio ed Elisabetta.
Laura ci ha spiegato che la PALINOLOGIA, cioè lo “STUDIO DEI POLLINI” è
molto importante per ricostruire la storia della vegetazione del passato e quindi,
scoprire quali piante, ad esempio, c’erano ad Anzola o nelle zone vicine.
In particolare l’ARCHEOPALINOLOGIA si occupa dello studio dei POLLINI e
delle SPORE inglobati negli strati archeologici.
Questa disciplina studia le piante ARBOREE (che hanno
FOGLIE);
TRONCO
-
RADICI E
le piante ARBUSTIVE (i cespugli) e le piante ERBACEE (FIORI,
ERBE,
ORTAGGI).
Tutti questi tipi di piante producono POLLINI.
I POLLINI sono costituiti da una sostanza quasi indistruttibile, soprattutto se
cadono in un lago, in un fiume o in una palude, dove hanno buone probabilità di
conservarsi, sepolti sul fondo, per lungo tempo, anche milioni di anni.
Per estrarre i pollini bisogna prima essiccare il terreno e poi pestarlo per farlo
diventare molto fine. Dopo si eseguono una serie di procedimenti particolari, che
si fanno solo in laboratori specializzati e poi, grazie al microscopio, si possono
individuare e capire a quali piante appartengono e quindi ricostruire l’ambiente
naturale antico, che può essere molto diverso da quello attuale.
I pollini, i semi, i carboni ci fanno capire da cosa era composto l’ambiente tremila
anni fa.
Così si può sapere qual era la vegetazione; che tipo di clima c’era; quali piante
coltivava l’uomo per i propri bisogni e, di conseguenza, quali erano le attività a cui
l’uomo si dedicava per poter vivere.
Laura il giorno precedente aveva preparato una grossa bacinella piena di acqua e
terreno proveniente da un sito archeologico di Sant’Agata Bolognese. Infatti, per
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poter trovare dei MACRORESTI (carboni, legnetti, semi) è indispensabile
“sciogliere” il campione di terreno in acqua fredda (così alcuni dei resti più
“leggeri” vengono a galla da soli) e lasciarlo fermo per circa un giorno e mezzo:
questo procedimento si chiama FLOTTAZIONE.
FINALMENTE AL LAVORO !
Prima di cominciare abbiamo compilato la SCHEDA DI FLOTTAZIONE in cui
bisogna scrivere:
- il luogo di provenienza del campione di terreno e la data dello scavo,
- il numero del campione,
- l’unità stratigrafica,
- il peso e il volume del campione
- eventuali NOTE: ad esempio, a quanti cm. di profondità è stato trovato il
reperto (o qualche altra notizia che l’archeologo aveva
scritto sul cartellino quando ha catalogato il campione di
terreno).
Le stesse notizie della scheda si scrivono in un’etichetta anche sulla bacinella in
cui si fa sciogliere il campione di terreno.
Per l’analisi dei POLLINI occorre tenere dei “pezzetti” di terreno da esaminare
al microscopio, senza metterli a contatto con l’acqua.
Dopo questa importantissima operazione, “armati” di grembiuli di plastica (sacchi
neri) e stivali di gomma, siamo passati alla SETACCIATURA del campione di
terreno che Laura aveva messo a bagno il giorno precedente.
In uno spazio attrezzato del cortile c’era un rubinetto dal quale usciva acqua
corrente con un getto piuttosto forte.
Laura aveva preparato due grossi contenitori sui quali aveva messo diversi
setacci uno sopra l’altro, a “castello”, ciascuno con maglie differenti (dalle più
larghe, sopra, alle più fini-finissime, sotto). Dopo, ha versato una parte di
terreno “sciolto nell’acqua” in ciascuna catasta di setacci e noi, a turno, con il
rubinetto dell’acqua abbiamo “lavato via” tutto il terreno, così che nei setacci
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sono rimaste solo delle particelle più o meno piccole rappresentanti resti di
pietre, ossa, carboni, semi, ecc.
A quel punto, i reperti ricavati dalla setacciatura del terreno, sono stati messi in
appositi contenitori perché dovevano essere esaminati al microscopio o con altre
attrezzature specifiche, nei laboratori.
Finita questa importante, e per noi divertente, operazione siamo saliti a piccoli
gruppi in laboratorio, dove Elisabetta ci ha fatto vedere al microscopio semi di
ABETE BIANCO, QUERCIA E OLMO.
Allo STEREOMICROSCOPIO, invece, si potevano vedere semi di GRANO,
risalenti ad un’epoca antichissima ed ancora ben riconoscibili.
Le nostre impressioni
È stata una mattinata proprio interessante ed anche divertente, anche se alcune
cose che ci hanno spiegato erano un po’ difficili (soprattutto le parole specifiche
non si ricordano tanto facilmente).
Sarebbe stato bellissimo poter stare al microscopio per ore, ad osservare tutti i
piccoli reperti che sono rimasti nei nostri setacci!!
Chissà se abbiamo “scoperto” qualcosa di nuovo e di utile per lo studio del nostro
territorio?!
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7 Aprile 2008
LABORATORIO DI ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE
Il sesto incontro si è tenuto nell’aula polivalente della scuola. Un esperto del
Museo della Preistoria “Luigi Donini” di San Lazzaro, il signor Carlo Pagani, ci ha
mostrato la lavorazione della selce tagliata e levigata con una pietra di fiume. La
selce è una pietra durissima, di aspetto vetroso, non reperibile ovunque. Si trova
in banchi o in noduli nelle rocce sedimentarie ed in particolare calcaree. Nel
nostro paese ne è ricca la Puglia. È stata ampliamente usata nella preistoria per
produrre strumenti da lavoro e armi, dal momento che si scheggia abbastanza
facilmente e quindi può essere lavorata fino ad ottenerne lame, raschiatoi, punte,
scalpelli, seghetti, punte di lance.
Durante questo incontro l’esperto ha prima riprodotto il chopper e poi l’amigdala
con la sua forma a mandorla mostrandola poi ad uno ad uno a noi bambini. Dopo ha
riprodotto anche il raschiatoio usandolo per raschiare un pezzo di pelle di
animale. Con il coltello ricavato da un pezzo di selce ha poi tagliato una striscia in
pelle in pochi secondi, per fa vedere come era affilato bene.
Noi bambini abbiamo toccato questi oggetti con l’aiuto degli adulti e abbiamo
anche provato a tagliare alcuni pezzi di pelle che l’esperto aveva portato con sé.
Il signor Carlo ha creato l’atmosfera giusta per la seconda fase dell’incontro:
l’accensione del fuoco !! Ha fatto chiudere le tende e spegnere la luce per creare
il “buio” nell’aula, poi ha cominciato a sfregare due pietre, una di selce e l’altra di
pirite, su una conchiglia sulla quale ha appoggiato polvere di fungo secco. Ha
quindi creato la brace e poi con due bastoni ed un po’ di paglia….. ha acceso un
bellissimo fuoco, tra la meraviglia di tutti: ci siamo talmente emozionati che
abbiamo applaudito! Dopo abbiamo aperto porte e finestre perché nell’aula si era
formato un odore molto acre e fastidioso. Infine, con arco e frecce e con delle
lance l’esperto ha mostrato come avveniva la caccia. Su un quadro di polistirolo
era disegnato un cervo e il signor Carlo ha simulato una scena di caccia, cercando
di colpire l’animale con una freccia lanciata con l’arco. È stato proprio bravo: ci è
riuscito al terzo tentativo! Non è facile usare l’arco perché quello che aveva lui
era proprio simile a quello dei primi uomini e non come quelli moderni che si usano
oggi per le gare!!
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Questo incontro è stato molto più interessante ed entusiasmante degli altri
perché, in un certo senso, siamo stati anche noi bambini, protagonisti e non
spettatori passivi.
È bello fare Preistoria in questo modo: le cose che vedi e che impari non si
dimenticano più perché le hai anche “provate” di persona!!
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9 Aprile 2008
DISEGNO DI UN REPERTO
Il settimo incontro si è tenuto a scuola. Si è trattato di una lezione sul disegno
da un frammento di manufatto ceramico con l’utilizzo del compasso, del righello,
del calibro e di altri strumenti specifici.
Questa lezione è stata la più difficile: per l’argomento, per la tecnica nuova (non
avevamo mai usato alcuni di questi strumenti) e per l’esigenza di concentrazione.
Abbiamo iniziato il nostro lavoro partendo dal frammento di una scodella.
Giovanni ci ha spiegato che non sempre, da un semplice frammento come il nostro
si riesce a fare la ricostruzione del “vaso” originario.
Il frammento, infatti, deve avere alcune caratteristiche particolari, altrimenti
non è possibile ricavare le misure “assolute” (ma solo in teoria) del manufatto
originale.
È indispensabile che il frammento possieda un
parzialmente visibile la solcatura del
(rilievo esterno), il
FONDO
COLLO;
ORLO;
che sia anche solo
che si possano distinguere la
CARENA,
(una piccola angolatura che lo distingua dalla parete
del vaso) e il PIEDE (base di appoggio).
I frammenti poi, se sono conservati in una porzione sufficiente, possono fornirci
anche lo
SPESSORE
del manufatto e permetterci di ricostruire il suo
DIAMETRO.
Naturalmente bisogna tenere in considerazione un certo margine di errore: più il
frammento è piccolo, tanto maggiore sarà il margine di errore.
Per fare il disegno occorre poi tenere conto di alcune convenzioni e dopo si può
procedere con il lavoro, che é molto lungo e richiede tanta pazienza: spesso si
fanno più e più “prove” prima di arrivare al disegno che più risponde alla
ricostruzione dell’originale.
Alla fine ognuno di noi è riuscito a disegnare l’ombra della scodella, la prospettiva
abbozzata…..
…..È stato un lavoro faticoso, ma utile perché abbiamo provato una nuova tecnica,
anche se è molto difficile per noi, ora!!
Questa lezione l’ha tenuta l’esperto Giovanni Albertini.
Anche la maestra Franca ci ha aiutato molto!
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16 Aprile 2008
LABORATORIO DI CERAMICA
Nell’ottavo incontro, noi bambini abbiamo lavorato la creta con l’aiuto degli
esperti: Giovanni, Oliver e Desolina che ci hanno mostrato come gli uomini
primitivi lavoravano gli oggetti di ceramica usando una tecnica chiamata “a
colombina”. La tecnica del colombino è stata largamente utilizzata per un
lunghissimo periodo: dal Neolitico (VI millennio a.C.) alla prima età del Ferro (VII
sec. a.C.), quando si affermò l’uso del tornio.
La produzione di argilla avveniva soprattutto in ambito domestico.
Il procedimento è stato molto semplice: ogni bambino doveva prendere dei
pezzetti di creta, modellarli come dei salsicciotti e poi appoggiarli su di un piano,
arrotolandoli su se stessi, a spirale, creando così le pareti di un recipiente. Alla
fine abbiamo lavorato la creta con i polpastrelli delle dita fino a darle la forma di
un vaso. Potevamo scegliere la forma e la grandezza desiderata. Giovanni,
Desolina e Oliver aiutavano ognuno di noi a concludere il lavoro aggiungendo il
manico “a corno” ed eventualmente ad incidere sul manico e sul bordo dei disegni
a piacere.
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Le nostre impressioni
È stata un’esperienza bellissima!
Alcuni di noi non avevano mai lavorato l’argilla e, all’inizio, avevamo tutti paura di
sporcarci, poi quando abbiamo cominciato a “impastare…..” siamo stati velocissimi!
I nostri lavori sono proprio belli: non vediamo l’ora di poterli cuocere per vedere
il risultato finale! Desolina, però….. ha detto che potevamo lavorare più adagio
perché questa attività richiede tanta pazienza e tanta attenzione.
Sarà per la prossima volta!
(Speriamo di poter fare ancora un’attività come questa).
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LA FUSIONE DEL BRONZO
Lunedì 28 Aprile siamo andati alla scuola “Caduti per la libertà” per partecipare
al laboratorio della FUSIONE DEL BRONZO.
Nel cortile di fianco alla scuola ci aspettavano Paolo, Desolina, Giovanni e tre
giovani esperti che studiano e sperimentano le tecniche usate dai primi uomini
per la lavorazione dei metalli.
Prima di tutto, gli esperti hanno scavato una fossa nel terreno nella quale hanno
acceso un fuoco utilizzando pezzetti di SELCE.
La fossa è stata ricoperta con una cupola di argilla in modo da ottenere una
specie di FORNO, con un’apertura sul davanti, in basso. Al forno erano collegati
due mantici che servivano per soffiare aria ed alimentare il fuoco per formare le
braci.
Quando le braci erano pronte e avevano raggiunto una temperatura di circa
1.000/1.200 gradi centigradi è stato messo in mezzo ad esse un crogiolo
contenente 94 parti di rame, 6 di stagno e un po’ di polvere di vetro, che
favorisce la fusione.
Gli esperti hanno lasciato il crogiolo immerso nelle braci incandescenti, mentre
due di essi continuavano a soffiare aria con i mantici per aumentare la
temperatura.
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Dopo alcuni tentativi, abbiamo visto che il metallo stava fondendo. Abbiamo
aspettato ancora un po’ e poi il metallurgo, con due grosse pinze di legno, ha
preso il crogiolo ed ha cominciato a versare il bronzo fuso nella matrice in
arenaria che era stata preparata prima. Un po’ di attesa per lasciarla
raffreddare e….. finalmente abbiamo potuto aprire la matrice.
Che meraviglia!..... la nostra lama di bronzo era quasi perfetta !!
Notizie tecniche
Il BRONZO è una lega metallica formata da RAME e STAGNO. Gli antichi
usavano la sabbia al posto della polvere di vetro per favorire la fusione.
Il CROGIOLO è una specie di formina (stampo) in argilla che resiste alle
alte temperature.
la MATRICE è fatta in ARENARIA, una pietra tenera nella quale si può
scavare la forma che si desidera.
La temperatura di fusione del rame è di 1.083 gradi centigradi, ma nel
“forno” la temperatura deve essere più alta.
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Curiosità
Il METALLURGO, per gli antichi, era una persona dotata di poteri superiori, una
specie di “MAGO”, perché svolgeva un lavoro molto difficile e pericoloso, ma
soprattutto perché sapeva “dominare” il FUOCO !.
Le nostre impressioni
È stata una mattinata proprio speciale, anche se noi non abbiamo potuto fare
nulla , ma solo osservare e ascoltare. Infatti, lavorare con il fuoco è pericoloso e
anche gli esperti dovevano fare molta attenzione: spesso si bagnavano le mani,
ricoperte da grossi guanti, con acqua fredda.
È stata un’esperienza molto «calda» (oltre al fuoco c’era anche un sole veramente
splendente!!).
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13 Maggio 2008
LABORATORIO DI RESTAURO
Questa mattina Giovanni ci ha portato delle riproduzioni di vasi già frantumati in
tanti pezzi mescolati tra di loro e divisi in quattro sacchetti, uno per ciascun
vaso.
Ci siamo divisi in quattro gruppi e abbiamo cominciato a cercare i pezzi giusti per
ricostruire i vasi originali.
Ogni gruppo aveva a disposizione un tubetto di colla “attaccatutto” e un rotolo di
nastro adesivo di carta.
Quando trovavamo due pezzi che combaciavano tra di loro perfettamente,
stendevamo un leggero strato di colla sulla spaccatura, facevamo coincidere le
due parti con una leggera pressione delle mani e, subito, mettevamo tanti
pezzetti di nastro adesivo per tenere insieme i “pezzi”.
Abbiamo lavorato molto bene, aiutandoci l’uno con l’altro, poi c’erano Giovanni,
Desolina, Oliver e la maestra Franca che ci aiutavano.
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Finita la ricostruzione dei vasi, nell’aula polivalente della scuola, siamo ritornati in
classe ed abbiamo compilato la scheda relativa ad ogni vaso restaurato, sotto la
guida di Giovanni.
Le nostre impressioni
È stato un lavoro divertente, ma anche interessante, infatti abbiamo potuto
capire come l’archeologo ricostruisce i reperti, trovando solo dei frammenti.
Ecco il risultato del nostro lavoro
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Sito Archeologico: Anzola dell’Emilia
U.S.:
quadrato:
materiale:
tipologia:
decorazione:
colore:
diametro bocca:
Altezza:
Scheda compilata da:
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IL PARCO ARCHEOLOGICO E MUSEO ALL’APERTO
DELLA TERRAMARA DI MONTALE
Alcune informazioni utili
(tratte dalla guida del Parco)
Le terramare
sono villaggi sorti nella
pianura padana centrale attorno alla metà
del II millennio a.C.
Gli
insediamenti
fortificazioni
erano
costituite
circondati
da
da
poderosi
terrapieni e da ampi fossati.
Le abitazioni venivano spesso costruite su
piattaforme sopraelevate sostenute da pali.
Il Parco archeologo e Museo all’aperto
della Terramara di Montale, realizzato nel
luogo stesso in cui sorgeva l’antico abitato,
riunisce in un’unica proposta la valorizzazione
degli scavi archeologici e la ricostruzione
a grandezza naturale di una parte del villaggio con le fortificazioni, le abitazioni, gli
arredi, le armi, gli utensili di 3.500 anni fa.
Fortificazione che circonda il villaggio
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20 Maggio 2008
VISITA AL PARCO ARCHEOLOGICO E MUSEO ALL’APERTO
DELLA TERRAMARA di MONTALE
In questo ultimo incontro ci siamo recati a Montale dove è possibile vedere i
resti di un villaggio dell’età del bronzo e le ricostruzioni realizzate sulla base di
quello che è emerso dagli scavi.
Prima di tutto, Alessia, la nostra
guida,
ci
ha
mostrato
delle
diapositive che spiegavano un po’ la
storia della Terramara di Montale e
le scoperte fatte dagli archeologi
durante gli scavi. Nel primo sito che
abbiamo visitato Alessia ci ha fatto
vedere ciò che è rimasto di una
capanna: i pali che la sostenevano, i
buchi in cui erano piantati altri pali,
resti di ossa, pezzi di vasi e altri
reperti diversi.
Qui abbiamo anche potuto scavare, in uno spazio preparato appositamente per noi
bambini, per sperimentare i metodi dell’archeologo: la ricerca, lo scavo e l’analisi
dei reperti.
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Ognuno di noi aveva a disposizione gli strumenti adatti allo scavo: il “casco” giallo,
il secchio, la cazzuola, il setaccio, la spazzola, i guanti e….. naturalmente, il
tappetino su cui inginocchiarsi!
Dopo aver scavato nella zona che ci era stata assegnata, abbiamo osservato e
analizzato i reperti che avevano recuperato facendo le nostre osservazioni e le
possibili ipotesi su di essi.
Finita questa esperienza pratica siamo andati in un laboratorio dove c’era un po’
di tutto: modellini di pollini, microscopi, fornelli, attrezzi diversi per la
lavorazione dei metalli, punte di freccia, lame e pugnali vari.
Qui, infatti, Alessia ci ha fatto vedere la
FUSIONE
dello stagno e ci ha “regalato”
un pugnale di stagno che aveva fabbricato in precedenza.
L’esperimento è stato molto semplice: Alessia ha fuso lo stagno in un pentolino,
su un fornello elettrico; ha versato il metallo bollente dentro agli stampi
(matrici) già pronti e dopo abbiamo aspettato un po’ che si raffreddasse.
Al termine del percorso siamo andati dentro al villaggio ricostruito e abbiamo
visitato due capanne, quella di un guerriero e quella di un contadino.
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Qui eravamo divisi in due gruppi e c’era anche un’altra guida, Elena.
L’interno delle capanne è abbastanza simile: ci sono i letti di legno coperti da pelli
di animali, vasi dolio con diversi tipi di cereali e altri semi, forni per la cottura dei
cibi, il focolare, il telaio, un’amaca per un bambino piccolo e un granaio a soppalco.
Nella casa del guerriero c’erano anche molte armi di bronzo, di vario tipo.
Nella casa del contadino c’era un buco per buttare fuori gli avanzi dei cibi (che
finivano sotto la palafitta e potevano essere mangiati dagli animali che venivano
allevati nel villaggio).
Le case erano fatte di legno e argilla, con il tetto di canne di fiume o di palude
(che non fanno passare l’acqua piovana) ed erano sopraelevate, come le palafitte,
ma venivano costruite sul terreno asciutto.
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Questo incontro è stato molto interessante e ci ha fatto scoprire tante cose
importanti. Peccato che sia piovuto a dirotto sia alla partenza, sia per tutto il
tempo in cui siamo rimasti al Parco.
È stata, comunque, una bella esperienza.
Abbiamo mangiato i panini tutti insieme (eravamo con la 3a A) e ci siamo divertiti
molto a fare questo pic nic dentro alla sala di un bar.
Sarebbe bellissimo tornarci in una giornata di sole (tutta la classe, i genitori e le
maestre!).
Tutti i materiali provenienti dallo scavo di Anzola e qui riprodotti sono di proprietà della
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.
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Considerazioni finali
Questa esperienza è stata più che positiva perché ha stimolato la curiosità di
tutti gli alunni, motivandoli alla ricerca di nuove esperienze e conoscenze.
Il primo incontro di Introduzione all’Archeologia è stato accolto, quindi, con
grande entusiasmo ed ha visto la partecipazione attiva e il pieno coinvolgimento
di tutti gli alunni della classe che non la smettevano mai di fare ipotesi e porre
domande agli esperti e così è stato anche per tutti gli appuntamenti successivi.
Particolarmente gratificanti sono stati i laboratori pratici in cui i bambini hanno
potuto manipolare materiali diversi e sperimentare personalmente le tecniche
utilizzate, sia dai primi uomini per fabbricare ciò che era loro necessario, sia
degli archeologi per ricostruire il lontano passato del nostro territorio.
Ritengo questo percorso didattico particolarmente utile: si tratta di una
esperienza che resterà sicuramente impressa a lungo nella mente dei bambini,
perché rappresenta un modo diverso di “fare storia”.
A fine anno scolastico, infatti, alcuni alunni mi hanno detto: «Maestra, non
abbiamo finito il programma di storia sul libro di testo! » Successivamente,
leggendo le pagine del nostro sussidiario hanno commentato: «Quello che c’è
scritto noi lo sappiamo già, lo abbiamo imparato facendo i vari laboratori ! »
Penso che questa sia la miglior conferma dell’importanza e della validità del
percorso svolto durante l’anno scolastico.
Il fascicoletto che abbiamo realizzato è la documentazione del nostro lavoro, per
il quale ci siamo serviti dei numerosi materiali che ci ha messo a disposizione il
Comune di Anzola e il nostro “super esperto” Paolo Toccarelli.
Un ringraziamento particolare anche a Desolina, Giovanni e Oliver che con tanta
pazienza, disponibilità e competenza, ci hanno aiutati a scoprire e a comprendere
i “segreti” del passato del nostro territorio.
L’ insegnante
Franca Pettazzoni
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