Magazine Aifo Maggio 2014

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Magazine Aifo Maggio 2014
AMICI di
FOLLEREAU
Per i diritti degli ultimi
N. 5 maggio 2014
DOSSIER: governare l’informazione
Anno LIII - n.5 - maggio 2014 - Poste Italiane SPA, Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv.in.L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, c.1, CN/BO - Filiale di Bologna – € 1,03
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Editoriale
Finalmente dichiariamo
illegale la povertà
I
l prezzo di un lingotto,
il prezzo di un auto, il
prezzo di un quadro,
di un battello, di un
castello, di un cappello... il
prezzo, il prezzo. È l’idea
fissa, ossessionante, del secolo
in cui siamo imprigionati.
E il prezzo di un uomo che
sta per morire di sete e di
fame, il prezzo di un uomo
che, perché malato, è torturato,
scomunicato, disperato, come bisogna calcolarlo oggi?”
(R.Follereau)
non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri,
rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della
speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali
della iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e in
definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali
sociali.” (Papa Francesco dall’Esortazione apostolica
Evangelii gaudium)
Quante volte ci giustifichiamo dicendo che non possiamo
far nulla contro realtà tanto grandi e tanto potenti: il
mondo và così e la povertà è inevitabile, si sente dire.
E ormai guardiamo con rassegnazione, anzi ormai
non ci accorgiamo nemmeno più che nelle nuove idee
neoliberiste tutto si sta riducendo a risorsa economica, a
qualcosa con cui fare soldi, a qualcosa quotato in borsa:
cose essenziali per la vita come l’acqua, il grano, il riso, il
Care Amiche, cari Amici,
lavoro, le persone.
Per cui se c’è siccità, se il riso è
L’Aifo ha scelto di aderire
carente, tanto meglio, ci si può
all’iniziativa “Dichiariamo illegale
arricchire: cosa contano i problemi
IL NOSTRO “METTERE
la povertà” che vuole arrivare,
etici o gli adulti e i bambini che
LA PERSONA AL CENTRO”
con un lavoro di preparazione e
morranno per questo?
CI DEVE NECESSARIAMENTE
sensibilizzazione dei cittadini,
E così avanti con lo sfruttamento
PORTARE A COMBATTERE
delle Associazioni, dei Comuni
del lavoro e dell’uomo, col
CONTRO
I
NUMEROSI
a dichiarare la povertà fuorilegge
famigerato caporalato, con le
FENOMENI STRUTTURALI
nel 2018. Certamente questo
leggi fatte non rispettando i diritti
CHE CONDIZIONANO TANTO
movimento
avrebbe
avuto
umani per tutti, ma adeguandole
Follereau schierato con entusiasmo
a più limitati interessi locali, con
FEROCEMENTE L’UMANITÀ
e decisione, come promotore e
quella che Follereau chiamava
ispiratore.
“lebbra dell’egoismo”.
La nostra difesa dei diritti umani, il nostro “mettere la
È davvero ora che gli uomini di buona volontà si uniscano
persona al centro” ci deve necessariamente portare a
insieme per dichiarare fuorilegge queste strutture di
combattere contro i numerosi fenomeni strutturali che
ingiustizia e di morte, che condizionano l’uomo e fanno
condizionano tanto ferocemente l’umanità e producono
del nostro bellissimo pianeta il campo da gioco di una
circa tre miliardi di persone impoverite, che popolano
piccola minoranza di privilegiati.
questo nostro mondo.
Le crisi possono davvero essere motivo di verifiche e di
“La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non
crescita per tutti, ma ancor di più per la nostra Associazione
può attendere...”
nata per dare speranza agli “ultimi del mondo”.
I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si
“Se manca qualcosa alla vostra vita è perché non avete
dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché
guardato abbastanza in alto” (R.Follereau).
“
“
“
Anna Maria Pisano
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21
Profezia
A che cosa serve
la vittoria?
Primo piano
Mettere al bando
la povertà
La memoria è impegno
Dossier
Governare
l’informazione
Progetti
Guinea Bissau:
Nene cambia il villaggio
Il riscatto delle donne
nepalesi
Strumenti
Il blog è come la radio,
non passa mai di moda
Esperienze
Trovare una seconda
opportunità, in carcere
Luciano Ardesi
Vittorio Bonanni
Luca Kocci
Luciano Ardesi
Adulai Baldé e
Esther Samper
Tino Bilara
Nicola Rabbi
Anna Contessini
Profezia
Fonte: lindipendenza.com
Fonte: Luciano Boccia
A che cosa
serve la
vittoria?
GLI F35, LE ARMI, LA GUERRA E
LE DOMANDE CHE RIMANGONO
SENZA RISPOSTA
di Luciano Ardesi
I
l balletto sui numeri degli F35, quanti? quanto costano?
quanti posti di lavoro? è la cifra della mancanza di
risposte ad altrettante domande: per bombardare chi?
Che cosa? Al comando di chi? La crisi economica
rilancia una volta di più la questione delle spese militari,
finite anche loro nell’occhio della spending review. Gli
interrogativi non possono e non devono esaurirsi agli F35,
anche se l’ennesima follia ha avuto il merito di squarciare
il velo su prese di decisioni da parte di apparati, di interessi
e di convenienze non tutte confessabili, ed infatti rimaste
inconfessate.
C’è un’inerzia della guerra e degli eserciti che li porta ad
autoriprodursi, esattamente come la burocrazia. Il complesso
militare-industriale è tra i primi a dotarsi di strumenti di
comunicazione globale. Finiti i tempi della propaganda di
guerra, l’apparato è in grado, prima di altri, di imporre la
sua visione del mondo che consente di dare risposte false
alle domande legittime (Chi è il nemico? Come e dove
colpirà?) e soprattutto di schivare le domande fondamentali.
Un esercito e le sue armi servono a vincere la guerra, si dice.
Quale guerra? Quale vittoria?
La guerra? Oggi si fanno le guerre umanitarie, contro il
terrorismo, per la democrazia, per i diritti, e per questo si
impiega lo strumento che più di tutti cancella questi diritti
togliendo di mezzo la vita delle persone, in una sorta di
pena di morte di massa. A cominciare dalla prima guerra
del Golfo (1990), quando viene riproposta l’idea della guerra
giusta, dal Consiglio di Sicurezza che copre decisioni già
prese, dalle coalizioni internazionali a comando asimmetrico,
gli interventi militari lasciano soprattutto vittime civili,
distruzioni materiali incommensurabili e, soprattutto,
distruzione delle istituzioni.
Gli effetti collaterali – le vittime innocenti – sono l’effetto
principale delle guerre di oggi. Si riducono le vittime militari,
privatizzando gli eserciti e gli apparati di sicurezza per non
dover rendere conto delle bare che ritornano in patria,
mentre i civili sono le vittime più numerose delle guerre.
Le istituzioni sono costrette con funambolismi sempre
Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 |
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Profezia
nuovi a rendere legale ciò che legale non è. “L’Italia ripudia
la guerra come strumento di offesa ad altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, così
recitava l’art. 11 della Costituzione. È vero, lo recita ancora,
ma è finito in soffitta grazie alle guerre che nella narrazione
delle crisi non si chiamano più così. C’è sempre un’emergenza
che chiederà una guerra per risolverla.
La vittoria? Chi oserebbe mettere in dubbio la legittimità
di questo obiettivo? Ma quale vittoria ci regalerebbero gli
F35? Ci darebbero un esito diverso dalle “vittorie” in Iraq, in
Afghanistan, in Libia, in Mali? E subito dopo si proporrà la
domanda che non riesce più a trovare la risposta: a che cosa
serve la vittoria? Perché a quanto pare di vittorie non ce ne
sono più, se non virtuali. “Se vuoi la pace, prepara la guerra”
è stata per decenni la risposta dei militari alle illusioni dei
pacifisti e dei nonviolenti. Un colpo ben assestato da una
guerra può esser il mezzo – è l’implicito ragionamento –
per costringere il nemico a trattare e fare la pace. È proprio
questo ragionamento che negli ultimi vent’anni è stato
costantemente smentito. La “vittoria” non ha portato la pace,
ma nuova instabilità, nuovi conflitti immediati o futuri.
Sessant’anni fa Raoul Follerau scriveva la prima delle
sue lettere ai Grandi dell’epoca, Usa e Urss: “datemi un
aereo, ciascuno di voi un aereo, uno dei vostri aerei da
bombardamento… col prezzo di due di questi aerei di
morte si potrebbero risanare tutti i lebbrosi del mondo”.
Un aereo per uno, era il suo ragionamento, non avrebbe
alterato l’equilibrio delle forze. Dieci anni dopo si rivolgeva
al segretario generale dell’Onu per reclamare “un giorno di
guerra per la pace”, l’equivalente della spesa di un giorno
per gli armamenti per combattere tutte le lebbre: carestie,
fame, povertà, grandi epidemie. I sui appelli – come è noto
– non vennero ascoltati ma da allora i “bilanci di guerra”
sono diventati lo strumento fondamentale per risvegliare le
coscienze sull’assurdità della spesa militare, e in attesa del
superamento della follia degli armamenti, Follereau sognava,
all’indomani della seconda guerra mondiale, un servizio
civile sostitutivo, almeno parzialmente, del servizio militare.
La battaglia contro gli F35 è doverosa di fronte allo
scandalo della povertà. Non a caso si sono già mosse le
sirene che recitano la sua scomparsa a breve termine. Ma
non sarà uno, 10, 100 bombardieri in meno a cambiare le
cose. Del resto già si dice: se gli F35 diminuiranno, il loro
costo aumenterà! Fabbricarli tutti, insomma, costerebbe
relativamente di meno è l’idea che si vorrebbe far passare.
Necessaria, questa battaglia non basterebbe. È
indispensabile la riconversione non solo dell’industria militare
e degli eserciti, ma soprattutto della politica. I politici hanno
un costo, ed è bene che si ponga fine a privilegi ingiustificati.
Possiamo anche radere al suolo i palazzi della politica (che
servano a questo gli F35?!), ma il loro costo è nulla di fronte
al costo umano delle vite bombardate, emarginate, oppresse,
abbandonate, private dell’essenziale. È la politica a scaricare
bombe di ogni tipo dalle terribili conseguenze. Non c’è
nessun meccanismo ineluttabile che debba mietere vittime
e ingiustizia. Disarmiamo, anche militarmente, la politica.
Facciamole indossare i colori della pace. Anzi indossiamo i
colori della pace. La politica siamo noi. ■
Una rete per la pace
È nata lo scorso febbraio a Perugia la Rete della Pace, il
coordinamento che trae origine dalla Tavola della Pace e
dall’esperienza della Marcia per la pace Perugia-Assisi. La Rete
riprende i principi ispiratori di quella esperienza, a cominciare
dal pensiero di Aldo Capitini, e intende ricreare una modalità
partecipativa che si era andata perdendo col tempo. Da qui l’idea
di Rete.
Subito confrontata alle crisi di oggi, Siria, Ucraina, senza
trascurare quelle dimenticate, alla questione degli F35 e delle
spese militari, la Rete della Pace è tra i promotori dell’Arena di
Pace e Disarmo, il 25 aprile a Verona.
www.retedellapace.it
www.arenapacedisarmo.org
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Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014
Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi
Primo piano
METTERE AL BANDO LA POVERTÀ
LA RICCHEZZA SI CONCENTRA E I POVERI NON STANNO
SCOMPARENDO. UNA CAMPAGNA PER FARE CHIAREZZA
di Vittorio Bonanni
L
a povertà nel mondo è sempre esistita, come sono
sempre esistiti coloro che nei modi più diversi
hanno tentato di estirparla, spesso riuscendoci.
A tutti verrà in mente l’eroe inglese, a metà
strada tra leggenda e storia, che rubava ai ricchi per dare
ai poveri. Poi però nel corso dei secoli dalle epiche gesta di
Robin Hood si è passati all’organizzazione di coloro che
volevano sottrarsi alla povertà e all’ingiustizia, mettendosi
appunto insieme. È la nascita alla fine dell’Ottocento
del movimento organizzato dei lavoratori, dei sindacati,
delle società di mutuo soccorso e infine dei partiti, che
ebbero e avrebbero tuttora – il condizionale è d’obbligo l’ambizione di rappresentare i più poveri e tutti coloro che
subiscono ingiustizie.
Ma per l’appunto proprio questo paradigma negli ultimi
decenni è entrato in crisi, con coloro che avevano l’obbligo
morale di rappresentare le fasce più deboli della società
che si sono ritirati in buon ordine abdicando insomma al
loro dovere e alle ragioni della loro stessa esistenza. Nella
speranza che ci possa essere con il tempo una ripresa di
questa perduta consapevolezza, in molti hanno tentato di
trovare nuove formule per combattere condizioni di vita
divenute, nei paesi più poveri ma anche in quelli più ricchi
e fortunati, inaccettabili e indegne di un mondo civile. Per
questa ragione due intellettuali come Riccardo Petrella e
Bruno Amoroso, autori del volume Dichiariamo illegale
la povertà. Banning poverty 2018, col sostegno di alcune
riviste, stanno portando avanti la campagna omonima
Banning Poverty 2018 che significa appunto mettere al
bando la povertà (www.banningpoverty.org), a cui aderisce
anche Aifo.
Il traguardo del 2018 coincide con il 70° anniversario
della Dichiarazione universale di diritti umani del 1948.
In quella occasione si chiederà ad una Risoluzione
dell’Onu di dichiarare illegali “quelle leggi, istituzioni e
pratiche sociali collettive che sono all’origine e alimentano
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Primo piano
Fonte: ilfattoquotidiano.it
la povertà nel mondo”. La sfida è difficile, difficilissima,
alla povertà relativa (meno di 2,50 dollari). Come si fa,
ma al tempo stesso molto chiara perché si basa su una serie
inoltre, a voler far credere che, se nel 2030 non avessimo
di dati e di obiettivi da raggiungere molto precisi.
più poveri assoluti ma ci fossero ancora, secondo le stime
In un editoriale comune pubblicato in febbraio da
della stessa Banca mondiale, più di 3 miliardi di persone in
testate come Adista, Combonifem, In dialogo, L’Altrapagina,
stato di povertà relativa (meno di 2,50 dollari), il mondo
Missione Oggi, Nigrizia, Solidarietà internazionale,
avrà sradicato la povertà?”.
inchiestaonline.it, ilmanifestobologna.it, viene spiegato
L’obiettivo di Banning Poverty 2018 è dunque quello
chiaramente come si è andato configurando il mondo del
evidente di eliminare la povertà partendo però da un dato
XXI secolo, dove addirittura, sprezzanti della realtà, molti
di realtà che i più vogliono tenere nascosto. La campagna,
indicatori darebbero la povertà in diminuzione. “Le 300
organizzata in tre momenti diversi – “Mettiamo fuorilegge
persone più ricche del mondo – si legge nell’articolo –
la finanza predatrice”, “Diamo forza ad un’economia
di Luciano
Ardesi
hanno guadagnato, nel 2013, 524 miliardi di dollari,
cioè
dei beni comuni” e infine “Costruiamo le comunità dei
poco meno di un terzo della ricchezza prodotta in Italia
cittadini” – si basa su dodici punti che, se fossero fatti
da 60 milioni di cittadini”. I dati sono stati pubblicati
propri dalla politica più virtuosa, consentirebbero grossi
dell’agenzia finanziaria Bloomberg il 4 gennaio scorso, e
passi in avanti.
vede in testa alla lista Bill Gates, il fondatore di Microsoft.
Il loro contenuto è ben sintetizzato sempre nel
Così si “conferma una tendenza che già conosciamo, cioè
citato editoriale: “Nessuno nasce povero o sceglie di
che la ricchezza si sta concentrando sempre di più nella
essere povero, ma questa condizione ha cause precise
mani di pochi a scapito della stragrande maggioranza
che, sinteticamente, possono essere ricondotte a una
della popolazione mondiale”.
distribuzione della ricchezza sempre più ineguale a
La Campagna denuncia i tentativi di diffondere l’idea
causa soprattutto della mercificazione dei beni comuni.
che la povertà nel mondo stia diminuendo. Questo
Dagli anni ’70 in avanti le teorie neoliberiste hanno
assunto viene portato avanti dalla Banca mondiale e da
lentamente cancellato dall’immaginario dei popoli la
alcune agenzie delle Nazioni Unite, che hanno cominciato
cultura della ricchezza collettiva e hanno ridotto tutto a
col fissare criteri del tutto arbitrari per misurare la povertà
risorsa, comprese le persone. Questa cultura è penetrata
assoluta (meno di 1,25 dollari al giorno) e quella relativa
così in profondità da far credere, anche in molti settori
(meno di 2,50 dollari al giorno, il doppio di quella
della sinistra, che la povertà sia inevitabile e che può essere
assoluta). Partendo dal fatto che il numero dei poveri
solo mitigata magari con un po’ di carità”. C’è l’illusione
assoluti starebbe diminuendo, mentre quello dei poveri
di ammorbidire gli effetti devastanti della globalizzazione
relativi starebbe aumentando, si pretende decretare che la
tramite un’iniezione di ambientalismo chiamato “green
povertà stia per essere sconfitta.
economy”, che non scioglie però “il nodo gordiano della
A riguardo è proprio Riccardo Petrella a porre
concentrazione del potere economico e politico nelle mani
quell’interrogativo sufficiente a smascherare una vera e
dei poteri finanziari, industriali e culturali”, come dicono
propria mistificazione della realtà: “Come si fa a ridurre
appunto Amoroso e Petrella.
a un unico indicatore monetario la povertà – si chiede
Purtroppo queste idee non fanno ancora, come si
l’economista – che è un insieme di numerosi fenomeni
diceva una volta, “egemonia”, soprattutto negli ambienti
strutturali di lungo periodo e a dimensioni multiple, e
intellettuali e politici occidentali. Ma, come è noto, la
decretare la fine della povertà (tout court) perché il potere
vecchia talpa dei nuovi movimenti non ha smesso di fare il
d’acquisto pro capite nel mondo avrebbe superato la
suo lavoro certosino. ■
soglia dell’1,25 dollaro?”. “In effetti – aggiunge Petrella
– l’agenda post-2015 parla di eliminazione della povertà
assoluta nel 2030 ma non fissa alcun obiettivo rispetto
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Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014
Primo piano
LA MEMORIA
È IMPEGNO
LA XIX GIORNATA PROMOSSA DA
LIBERA PER RICORDARE TUTTE LE
VITTIME DELLE MAFIE.
PER CHIEDERE VERITÀ E GIUSTIZIA
di Luca Kocci
E
ra il 21 marzo 1996 quando per la prima volta
alcune migliaia di persone, convocate da Libera, si
riunirono a Roma in piazza del Campidoglio per
ricordare le vittime innocenti delle mafie. Il 22
marzo 2014, 19 anni dopo, a Latina – provincia dell’Agro
pontino da qualche anno terra di conquista dei Casalesi –
erano in 100mila a ricordare i 900 morti ammazzati dalle
mafie, da Emanuele Notarbartolo fino a Nicola Campolongo
e Domenico Petruzzelli, i due bambini uccisi in questi primi
mesi del 2014 a Cassano allo Ionio e a Taranto, vittime
doppiamente innocenti delle guerre dei clan in cui erano
coinvolte le loro famiglie. E il giorno prima, nella parrocchia
romana di San Gregorio VII, c’era anche papa Francesco a
ricordare e a pregare insieme al fondatore di Libera, don Luigi
Ciotti, e a circa 700 familiari di quelle donne e quegli uomini
uccisi dalle mafie.
È stata celebrata così la XIX Giornata della memoria e
dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Un titolo
lungo – più ampio dei maggiormente sintetici Giorno della
memoria (27 gennaio, per le vittime della Shoah) e Giorno
del ricordo (10 febbraio, per le vittime delle Foibe) – che non
solo spiega, ma si sforza anche di dare il senso di quello che
si celebra e, forse, di riempire di significato la parola memoria
che, se non vive nel presente e non si proietta nel futuro, rischia
di essere unicamente commemorazione.
Allora memoria e impegno. Anzi memoria è impegno, nel
nome delle vittime. Quei nomi che, come succede da 19 anni,
vengono scanditi uno dopo l’altro, nel silenzio di chi ascolta e
partecipa. Un rosario di nomi che consente di attraversare e
percorrere la storia d’Italia – l’oscura storia d’Italia – dell’ultimo
secolo: Emanuele Notarbartolo, politico palermitano ucciso nel
1893, il primo delitto “eccellente” di mafia, quando c’era ancora
il Regno d’Italia e già i primi scandali bancari. Poi Placido
Rizzotto, il sindacalista della Cgil ammazzato a Corleone
nel 1948, sul cui omicidio indagò anche un giovanissimo
Fonte: ilsecoloxix.it
Carlo Alberto Dalla Chiesa, destinato ad essere ucciso anche
lui, insieme alla moglie, quando era prefetto di Palermo, nel
1982. Peppino Impastato e Radio Aut, dai cui microfoni il
giovane militante di Democrazia proletaria denunciava gli
affari di Tano Badalamenti, dei mafiosi e dei democristiani di
Cinisi. Giorgio Ambrosoli e i misteri del Banco Ambrosiano
e dello Ior. Poi Falcone, Borsellino, e tanti altri, fino ad Angelo
Vassallo, il sindaco di Pollica ammazzato 4 anni fa e su cui la
magistratura ancora sta indagando.
Un viaggio attraverso la memoria storica, collettiva e
personale che, come ha ripetuto don Ciotti dal palco di
Latina, oltre all’impegno quotidiano di chi nei territori, a vari
livelli e in vari modi, contrasta e combatte le mafie – quindi
l’illegalità, l’ingiustizia e il dominio dei potenti sui deboli –
chiede e pretende oggi verità e giustizia. Verità per i morti
senza nome, ma soprattutto verità per i morti senza colpevoli,
a cominciare dalle stragi, da Portella della Ginestra nel 1947
alla stazione di Bologna nel 1980 che hanno distrutto vite
umane e democrazia nel nostro Paese.
E giustizia, per quei morti ammazzati non si sa da chi.
Come don Cesare Boschin, parroco di Borgo Montello, a
pochi chilometri da Latina, la cui uccisione – il suo cadavere
venne ritrovato incaprettato nella sua camera da letto all’alba
del 30 marzo 1995 – è ancora avvolta nel mistero. Tentativo
di rapina finito male, si disse all’inizio. Ma i rapinatoriassassini lasciarono in casa una preziosa croce in oro e tutto
il denaro. Però portarono via due agende in cui don Cesare
scriveva tutto, anche i movimenti sospetti che da un po’ di
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9
Primo piano
tempo si vedevano attorno alla discarica di Borgo Montello.
Caso archiviato, senza colpevoli. Ma riaperto nel 2009,
grazie alle insistenze di un gruppo di cittadini di Borgo
Montello, sostenuti da Libera: l’uccisione di don Cesare –
sostengono – è legata ad un traffico illecito di rifiuti tossici. Il
prete, che da qualche mese ospitava in parrocchia il comitato
antidiscarica, aveva scoperto qualcosa e per questo, dopo
aver subito alcune intimidazioni, venne ucciso dai clan della
camorra che gestivano il traffico. Un’ipotesi confermata da
alcuni “manovali” dei clan e, ultimamente, anche dal pentito
di camorra Carmine Schiavone – colui che rivelò gli affari
delle ecomafie anche nell’agro pontino – il quale, intervistato
da una emittente televisiva locale, ha detto che “don Cesare è
stato ucciso per questi motivi, perché aveva capito qualcosa”.
Per questo da Latina don Ciotti ha rilanciato: “Abbiamo
bisogno di verità per don Cesare Boschin”.
Giornata della memoria allora. Ma anche di verità e di
giustizia, per riempire di senso e dare corpo ad una parola che
non significa solo ricordo. ■
Fonte: Emanuele Macaluso
Senza paure, l’esperienza di Aifo Latina
Tutte le memorie sono importanti proprio perché ci ricordano ciò che accaduto e non deve più
ripetersi. La Giornata della memoria e dell’impegno si distingue tuttavia dalle altre perché non
si rivolge solo al passato. Le mafie hanno colpito e continueranno a colpire nuove vittime. Da
qui l’importanza dell’impegno presente e futuro per dare un senso alla memoria: l’impegno a
sconfiggere una volta per tutte le mafie.
Proprio il gruppo di Aifo Latina ci ricorda quanto importante - e quanto difficile e pericoloso - sia
l’impegno non di un solo giorno ma di tutti i giorni. Aifo Latina, nata nel 2008, collabora con Libera
nella gestione del villaggio della legalità a Borgo Sabatino, a 3 km da Latina, intitolato a Serafino
Famà, avvocato catanese ucciso dalla mafia nel 1995, ed inaugurato nel 2011. Fin da subito
è stato oggetto delle “attenzioni” della mafia con una serie continua e regolare di sabotaggi. Il
Villaggio sorge su un terreno di 4,5 ettari dove un tempo la mafia gestiva un campeggio, diventato
una copertura per le sue riunioni. Per questo è stato confiscato e affidato a Libera.
Aifo Latina contribuisce con Libera, e con altre associazioni del territorio, alla gestione del Villaggio
e a realizzare numerose attività, oltre al campeggio, seminari, concerti , raduni che coinvolgono
anche la cittadinanza. Ciò consente all’esperienza di continuare malgrado le rappresaglie mafiose.
In preparazione della XIX Giornata, Aifo Latina si è fatta promotrice di un’intensa attività nelle scuole
di ogni ordine e grado, con la partecipazione
di testimoni e la proiezioni di video. Il
programma ha coinvolto diverse centinaia di
studenti con i rispettivi insegnanti, che si sono
poi ritrovati nella manifestazione nazionale.
Video Aifo Latina e il Villaggio della legalità:
http://youtu.be/5xBQkjl-nh0
Aifo Latina nella XIX Giornata su: www.aifo.it;
http://amicidiaifo.org
10 Amici di Follereau N.
5 / maggio 2014
Fonte: archivio fotografico di Aifo
Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi
DOSSIER
GOVERNARE L’INFORMAZIONE
Le nuove maniere della politica: raccontarci storie
di Luciano Ardesi
Q
UALE VILLAGGIO?
La comunicazione e l’informazione non
sono mai state una sfida solo tecnologica.
L’ubriacatura per la rivoluzione informatica
e la crescita esponenziale della sua diffusione tra
il pubblico (pc, cellulari, smartphone, tablet, social
network, ecc.) ci ha fatto perdere di vista una realtà
più complessa.
Siamo davvero giunti al traguardo del famoso
“villaggio globale”? Lo spazio dove tutti sono in
comunicazione con tutti, già dato per certo da
McLuhan esattamente mezzo secolo fa. La tecnologia
ha raggiunto livelli inimmaginabili solo vent’anni fa,
eppure rimangono forti squilibri nella distribuzione
degli strumenti del comunicare. Soprattutto la
comunicazione e i suoi contenuti vengono gestiti e
governati con modalità del tutto rivoluzionarie.
Fino agli anni ’80 le grandi agenzie stampa
occidentali dominavano il panorama mondiale,
debolmente contrastate dai monopoli statali del
campo sovietico che, non potendo competere
sul piano della tecnologia, si difendevano dalla
concorrenza occidentale mediante la censura. La
situazione è rapidamente e radicalmente cambiata.
L’informazione globale è diventata un’impresa
culturale che ci avvolge tutti come in una immensa
bolla, dalla quale è impossibile, o assai arduo,
distaccarsi per capire che cosa sta succedendo
Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 |
11
DOSSIER
attorno a noi.
La nuova governance dell’informazione e della
comunicazione inizia negli Stati Uniti sotto la
presidenza di Ronald Reagan, negli anni ‘80. Con
una carriera di attore cinematografico alle spalle, il
presidente americano avvia una nuova strategia di
comunicazione, ponendosi come semplice cittadino
prestato alla politica. Nasce una nuova professione,
il “consigliere di comunicazione” o spin doctor.
Il suo compito è la promozione dell’immagine di
un politico per attirargli il consenso durante le
campagne elettorali o per mantenerne la popolarità
una volta giunto al potere. La metodologia è quella
del marketing commerciale, con gli opportuni
aggiustamenti poiché si tratta di “vendere la politica”
di un leader.
Le tecniche prevedono non già la semplice
diffusione di informazioni favorevoli mediante l’ufficio
stampa, ma una pianificazione per promuovere
“l’idea” e l’immagine del leader indipendentemente
dalle singole azioni, esattamente come le imprese
non promuovono più i prodotti ma l’idea della propria
impresa. Non si tratta più di inseguire la realtà e
di falsificarla, come i politici hanno sempre fatto,
ma di costruire un quadro di riferimento nel quale
calare il personaggio, che narra la sua politica
come se fosse una “fiction”. Come in un film o in
uno spettacolo di successo, ci sono i personaggi
secondari, come ministri e collaboratori, e dietro
le quinte la squadra dei tecnici. I politici di nuova
generazione, indipendentemente dall’età, hanno
uno staff della comunicazione, ma devono essere in
ogni caso bravi attori, in grado di recitare il copione.
ATTORNO AL CAMINETTO DELLA POLITICA
Aveva intuito la strada il presidente Nixon con il
suo Ufficio comunicazioni della Casa Bianca, prima
di scivolare sullo scandalo del Watergate. Con
Reagan questo Ufficio cambia metodo. Predispone
quotidianamente l’agenda politica del presidente,
che tutti i collaboratori devono osservare. Grazie a
messaggi essenziali ed efficaci, il potere mantiene
l’iniziativa e non la subisce; fa parlare stampa e
televisione di ciò che si reputa strategico. Viene così
costruito un universo virtuale nel quale il cittadino è
invitato ad entrare e a lasciarsi trasportare, senza
preoccuparsi della realtà effettiva.
La costruzione di questa realtà virtuale diventa
necessaria per il fatto che la comunicazione è ormai
un mondo frammentato in cui è facile perdersi.
Inoltre la deregulation e le privatizzazioni, inaugurate
proprio da Reagan, non consentono un controllo
Fonte: whitehouse.blogs.cnn.com
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Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014
DOSSIER
diretto dei mass media da parte del potere. Le
“storie” che ci vengono narrate danno allora un senso
apparente al caos prodotto dal bombardamento di
informazioni e immagini. Ci permettono di “capire la
politica”. Lo storytelling, il racconto di storie, diventa
così la modalità comunicativa del potere politico,
economico, finanziario, militare.
L’apparire del concetto di story nel linguaggio degli
specialisti della Casa Bianca non è casuale. Molti
di loro provengono dal marketing, dove il metodo
del raccontare storie a proposito di un prodotto, un
marchio o per meglio dire di una impresa come “idea”
ha iniziato ad affermarsi, rivoluzionando le tecniche
di mercato. Imprese come Coca Cola, Disney,
McDonald’s, Microsoft, Nike sono tra le prime ad
adottare questa tecnica per mantenere il primato di
fronte alla concorrenza di altri, pochi, colossi. Noi tutti
del resto abbiamo sperimentato il fascino delle storie,
a cominciare dalle fiabe e, per le giovani generazioni,
dai videogiochi che raccontano avventure virtuali.
Raccontare è da tempo immemorabile un mezzo
per sedurre, convincere e influenzare. Ed i politici da
tempo raccontano vere e proprie storie di persone,
di situazioni che contribuiscono così a costruire la
“storia” generale della propria leadership.
Un analista della comunicazione della Casa Bianca
descrive così, a metà degli anni ’90 del secolo
scorso, la deriva del potere che ne è scaturita: “una
democrazia meno deliberativa, cittadini sommersi
dallo spettacolo simbolico della politica, ma incapaci
di giudicare i propri leader e il fondamento reale
delle loro politiche” (Antony Maltese). Trent’anni
prima McLuhan si illudeva affermando che “man
mano che la velocità elettronica aumenta, la politica
tende ad allontanarsi dalla rappresentanza e dalla
delegazione degli elettori per un coinvolgimento
immediato dell’intera comunità nelle decisioni
fondamentali”.
FAVOLE DI GUERRA
Lo scenario non è più confinato agli Stati Uniti, e
si è diffuso negli altri paesi. Le tecniche di marketing
politico producono ormai un universo virtuale
globale. La svolta decisiva è stata, più che il crollo
delle Torri gemelle di New York l’11 settembre
2001, l’invasione dell’Iraq nel marzo 2003 da parte
della coalizione guidata dagli Stati Uniti. La guerra
viene giustificata dalla necessità di privare il leader
iracheno Saddam Hussein di armi di distruzione di
massa. Le “prove” sono presentate al mondo e alle
Nazioni Unite, e larga parte dell’opinione pubblica
si convince della minaccia e che sia indispensabile
intervenire. Le prove in realtà sono inesistenti, ma
Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi
sapientemente costruite e raccontate per giustificare
la guerra. Lo stesso sistema dell’informazione che
tradizionalmente segue le guerre viene militarizzato
ed inquadrato, per impedire un nuovo Vietnam dove
gli Usa subirono la sconfitta mediatica prima di quella
militare. I famosi “giornalisti” embedded, integrati
in un’unità dell’esercito per essere strettamente
controllati, scendono in campo per partecipare alla
messa in scena. Ci sono volute centinaia di migliaia
di vittime, la guerra civile che ha devastato il paese,
i morti tra i soldati della coalizione (Nassiriya per gli
italiani) per far aprire, almeno in parte, gli occhi della
gente, nel frattempo chiamata ad altre “distrazioni” in
nome della minaccia del terrorismo internazionale.
La guerra si è sempre servita della propaganda,
di notizie false, perfino della costruzione di scenari
hollywoodiani di guerra, come durante la prima
guerra del Golfo contro l’Iraq. Dalle armi di distruzione
di massa fino all’intervento aereo in Libia per ragioni
umanitarie, con gli esiti che sappiamo, l’opinione
pubblica mondiale è arruolata nell’esercito globale a
sostenere la politica dei leader di turno.
Il sogno degli anni ’80 di un Nuovo ordine
internazionale
dell’informazione
e
della
comunicazione ha lasciato il posto ad una sorta di
Nuovo Ordine Narrativo. Le persone continuano
tuttavia ad avere accesso alla realtà concreta.
La perdita del posto di lavoro, o l’impossibilità di
usufruire dei servizi essenziali ci mettono di fronte
ad una discordanza tra la realtà e la storia che ci
viene raccontata. Da qui la presa di coscienza
e l’avvio di pratiche di resistenza. La vecchia
“controinformazione” non basta più, benché
rimanga un ingrediente indispensabile. Ci vuole una
contronarrazione che tolga il velo alle storie che ci
vengono raccontate. Anche questa è una tecnica
antica, come i profeti, e che si rinnova oggi con
nuove forme, come nella resistenza dei blogger. ■
Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 |
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DOSSIER
Preso a prestito dal marketing,
associato alle imprese multinazionali e
successivamente ai politici dall’immagine
non proprio immacolata, lo storytelling
si è conquistata una fama controversa.
Eppure,
depurato
dall’aggressività
assillante della lotta per il mercato, il
raccontare storie è l’arte più nobile.
Narrare la misericordia non è la trovata
di un imbonitore, è la strada maestra
indicata dal Vangelo.
Tra coloro che nel secolo scorso hanno
saputo condurre con grande efficacia
una controstoria vi è senza dubbio Raoul
Follereau e la sua battaglia contro tutte
le lebbre. Quella del malato di lebbra,
il “lebbroso” appunto, è una delle più
antiche realtà virtuali, fabbricate con il
pregiudizio sulla natura della malattia,
rafforzate dall’esclusione sociale e da uno
stigma universale. Neppure la narrazione
evangelica della guarigione dei “lebbrosi”
basta a cancellare la realtà deformata.
C’è voluto Follereau, l’Apostolo dei lebbrosi, per narrare, si spera definitivamente, la
verità sui malati di lebbra.
Facendo trenta volte il giro del mondo ha incontrato persone e non ha mai smesso di
raccontarne le storie, in ogni occasione e con tutti mezzi a disposizione: discorsi, libri,
riviste, trasmissioni radiofoniche, documentari. Lo storytelling di Follereau si avvale
certamente di alcune tecniche collaudate come l’oratoria, la personalità ed il carisma,
l’uso dei media del suo tempo, ma si discosta dal marketing, sia esso commerciale che
politico. Gli spin doctor, come le multinazionali o i politici che ne fanno uso, sono spinti
da forti motivazioni, di natura egoistica ed egocentrica; gli altri sono solo consumatori
o cittadini passivi. Follereau ci mette amore e passione, gli “altri” sono persone da
liberare e rendere felici.
La verità che propone Follereau è quella reale, depurata dal pregiudizio, dalla paura,
dall’egoismo. L’uomo che abbraccia i lebbrosi è il messaggio che abbatte le barriere,
che rende credibili le sue storie. Sono le stesse che questa rivista, lasciataci in eredità
da Follereau, continua a raccontare da oltre cinquant’anni. Storie di persone riscattate
attraverso una nuova coscienza, rese libere anche grazie all’amore, alle cure, alla
dignità loro restituita.
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Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014
Fonte: archivio fotografico di Aifo
Lo storytelling di Follereau
Guinea Bissau:
Nene cambia
il villaggio
Fonte: archivio fotografico di Aifo
Progetti
Per non morire più di parto in Guinea
Bissau con la sensibilizzazione della
gente e delle autorità
di Adulai Baldé ed Esther Samper
C
haman Sarata Sila è una donna di Senta Saré,
nel distretto di Boe, un villaggio remoto della
Guinea Bissau; è nata e vive in questa piccola
città, dove si era sposata a 14 anni con un
collega di suo padre. Sarata ora ha 25 anni ma sembra
essere una donna di 40 anni; ha avuto cinque parti ma solo
due bambini sono ancora vivi (due sono morti alla nascita
e uno è morto prima dei 5 anni). Non è mai andata in un
Centro di salute per farsi controllare ma si è affidata sempre
alle cure di sua zia Nene Djadja, una levatrice locale.
L’ultimo parto è andato molto male e non è morta
solo perché l’animatrice del progetto Aifo del villaggio
ha insistito che fosse portata in moto a Beli, a 35 km di
distanza dove c’è un centro sanitario attrezzato. Tutto
questo grazie ai soldi dell’Associazione delle donne del
villaggio.
Da quando c’è l’animatrice Aifo la vita delle donne
del villaggio è cambiata; è stato creato un gruppo di
auto e mutuo aiuto in cui discutono le questioni che le
riguardano; Sarata è la persona che convoca le riunioni e
anima il gruppo.
È lei che si occupa dell’irrigazione del giardino,
dell’estrazione dell’olio di palma e della sua vendita. Acquista
e rivende le capre nelle fiere popolari dei villaggi vicini.
Sarata ha visto morire molte sue coetanee nel villaggio
al momento del parto perché, quando ci sono delle
difficoltà, il centro di salute non è raggiungibile in poco
tempo dato che nessuno dispone di mezzi motorizzati e a
volte nemmeno della bicicletta. Altre volte le morti sono
provocate dalla scarsa informazione, da un’educazione
sanitaria insuffciente.
La figura importante in questa storia è Nene Djadja, una
donna di 75 anni sposata da 60, che è oggi una delle donne
più dinamiche del villaggio; ha ancora la forza per fare
il lavoro più pesante ed è rispettata da tutta la comunità.
È lei che consiglia alle donne in gravidanza di andare al
Centro di salute e chiede agli uomini di accompagnarle;
addirittura va di casa in casa per vedere come stanno le
donne gravide.
Molti dei giovani che girano per Senta Saré sono nati
grazie a Nene, e nemmeno lei sa quanti ne ha fatti venire
al mondo. Da quando ha fatto formazione con il progetto
Aifo insiste sul fatto che i mariti portino le loro mogli a
partorire al Centro di salute.
Dopo le informazioni che ha ricevuto sull’alimentazione
delle donne in stato di gravidanza, ha capito che la
maggior parte delle erbe verdi che crescono nell’orto, come
la “moringa”, contengono l’acido folico, un elemento che
aiuta le donne ad avere più forze durante il parto; così
uno dei suoi compiti è diventato quello di diffondere una
corretta educazione sanitaria.
Questi cambiamenti assieme ad altri che si stanno
verificando, fanno ben sperare in un buon risultato di
questo progetto. La comunità comincia a comprendere
che grazie a piccoli cambiamenti negli stili di vita e
a precauzioni, il numero di morti fra le donne che
partoriscono possono diminuire drasticamente, così come
Fonte: archivio fotografico di Aifo
Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 |
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Progetti
può essere salvaguardata la salute delle mamme e dei
bambini.
Un alto tasso di mortalità materna.
La Guinea Bissau è il quarto paese nel mondo con il
più alto tasso di mortalità materna, e la regione orientale
del Gabu, in particolare, ha il più alto tasso di mortalità
materna nel paese, tre volte superiore alla media nazionale.
La drammaticità del problema emerge facendo un
confronto con i dati dell’Italia dove ogni 100.000 parti
muoiono cinque donne contro le 800 della Guinea Bissau.
In questo contesto Aifo ha realizzato un progetto in cui
l’obiettivo principale è quello di contribuire ad alleviare la
sofferenza delle donne, in gravidanza e dopo il parto, nella
regione di Gabu, in particolare per migliorare l’accesso
universale ai servizi sanitari per le donne incinte, per le
puerpere e per le vittime di violenza sessuale.
Il lavoro con le comunità viene svolto attraverso incontri
di sensibilizzazione con i gruppi di donne, i leader di
comunità e gli animatori locali ma anche attraverso la
realizzazione di un programma radiofonico in cui la
popolazione partecipa attivamente. In queste trasmissioni
si danno consigli e suggerimenti, compresi quelli relativi
all’alimentazione, per migliorare la dieta della popolazione.
Per raggiungere i diretti interessati il progetto utilizza
anche strumenti artistici come il concorso musicale a tema
con canzoni che parlano di salute delle donne, canzoni che
vengono cantate dalle donne stesse. Infine durante l’anno
viene realizzata una performance teatrale riguardante le
cure prenatali e i gruppi di auto-aiuto. Attraverso la musica
e il teatro, in questi incontri ludici e culturali rivolti a tutta
la popolazione, si diffondono i concetti chiave che servono
per avere una maternità sana e sicura.
Alla termine degli incontri c’è una gara finale. È il
momento in cui si verifica se i messaggi sono stati recepiti,
mentre l’infermiera e l’ostetrica del progetto possono
rispondere alle domande e parlare direttamente con i
leader della comunità e i gruppi influenti. ■
Per il miglioramento
della salute sessuale
e riproduttiva
Fonte: archivio fotografico di Aifo
Fonte: archivio fotografico di Aifo
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Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014
Il progetto promosso da Aifo nella regione
di Gabu, finanziato dall’Unione Europea, è
giunto al suo terzo anno di attività. Si sviluppa
attraverso tre linee d’azione principali:
•il miglioramento della qualità dei servizi
sanitari e dell’accesso attraverso un
programma di formazione del personale
sanitario, il miglioramento delle infrastrutture,
la fornitura di materiali e farmaci;
•la creazione ed il sostegno di 75 gruppi
di auto e mutuo aiuto di donne attraverso
piccoli prestiti per lo svolgimento di attività
micro economiche, poiché il miglioramento
del reddito familiare delle donne facilita il
loro accesso ai servizi sanitari;
•la sensibilizzazione e l’informazione
che permette alla popolazione di capire
perché le donne hanno difficoltà ad
accedere ai servizi di salute, e di rimuovere
gli ostacoli individuati.
Fonte: archivio fotografico di Aifo
Progetti
Il riscatto
delle donne
nepalesi
Attraverso la collaborazione con
un’ong femminile locale, Aifo sta
migliorando le condizioni di vita
della popolazione svantaggiata
nelle zone rurali
di Tino Bilara
I
l Nepal è una nazione che dopo anni di guerra civile tra le
forze governative e l’esercito di liberazione popolare maoista
sta ancora faticando a trovare un assetto democratico
politicamente stabile. E’ un paese molto povero dove
il sistema sanitario non è adeguato soprattutto nelle zone
montuose e collinari che occupano la maggior parte del paese.
Aifo è impegnata da diversi anni con progetti che mirano
ad assicurare il diritto alla salute per tutti. Lo fa attraverso
azioni rivolte a sostenere le donne che sono l’elemento più
importante del nucleo familiare e che sono responsabili della
salute e dell’educazione di figli. In questo lavoro ha trovato un
valido partner locale in Watch (Women Acting Together for
Change), un’organizzazione di donne particolarmente attiva
nel promuovere i diritti delle donne povere che abitano in
zone periferiche.
Se le donne cominciano a fare i cesti di bambù
Pemchhoki abita in un piccolo paese chiamato Bigutaar
nel distretto di Okhaldhunga, una zona molto verde dove
le colline sono alte e ripide, dove le strade sono difficili
da percorrere per una persona come lei che ha difficoltà di
movimento per via del deficit che ha alle gambe. Abita con
il figlio, quello più giovane; suo marito invece vive in un altro
villaggio con la nuova moglie.
Pemchhoki ero molto povera e non sapeva proprio come
sopravvivere prima di conoscere il gruppo di donne di Watch.
Con loro ha imparato a costruire dei cesti di bambù. La cosa
strana è che questo tipo di lavoro in Nepal lo fanno solo
gli uomini ma lei ha imparato a farlo ed è piuttosto brava.
Costruisce una grande varietà di articoli con il bambù e i suoi
prodotti sono molto richiesti. Altre donne sono venute da lei
ad apprendere la tecnica, donne disabili, che vogliono avere
una loro autonomia grazie al lavoro.
Visto che Pemchhoki si muove con difficoltà e non può
andare nei vari mercati a vendere, al posto suo lo fa suo figlio;
a volte sono addirittura i clienti che vengono a casa sua per
acquistare.
Recentemente ha comprato un po’di terreno e ha cominciato
a coltivare funghi e ortaggi. Ma questo non le basta, oltre al
lavoro, Pemchhoki pretende anche il riconoscimento dei suoi
diritti di donna disabile e lotta per ottenerli.
Una storia di un sopruso
Una storia di sopruso quella che è capitata nel villaggio di
Dudhrakshya situato nel distretto pianeggiante di Rupamdehi,
una vicenda piuttosto triste dietro la quale c’erano solo
degli interessi economici ma che è stata smascherata grazie
all’intervento di Watch. Una donna appartenente al gruppo
femminile locale era rimasta sola in casa perché suo marito
era emigrato per motivi di lavoro in Dubai. Una sua amica,
appartenente allo stesso gruppo, le aveva mandato il figlio per
aiutarla nelle faccende domestiche. Questa situazione era stata
Fonte: archivio fotografico di Aifo
Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 |
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Progetti
Fonte: archivio fotografico di Aifo
giudicata scandalosa dal gruppo di donne locali che ha deciso
di espellere tutte e due le donne coinvolte che allora si sono
rivolte a Watch perché esaminasse l’intera vicenda. Dopo aver
ascoltato le varie parti Watch era giunta alla conclusione che
non era accaduto niente di scabroso e che anzi tutta la vicenda
nascondeva un preciso interesse economico: l’espropriazione
dei beni delle due donne coinvolte.
Watch ha poi finanziato un progetto a favore di queste donne
che ha permesso loro di iniziare un’attività di allevamento di
pollame e coltivazione di ortaggi, imprese coronate da un
buon successo economico.
Uno stupro denunciato
Nelle zone dove il governo ha uno scarso controllo sono
più frequenti gli episodi di violenza senza che questi siano
perseguiti dalla legge. Nel distretto di pianura di Kapilvastu,
un luogo dove Watch ha formato un gruppo di donne e
persone disabili, quindi un luogo dove si è fatto un lavoro
di riconoscimento dei propri diritti e presa di coscienza,
si è verificato un episodio di violenza nei confronti di
una bambina di 11 anni che stava pascolando le capre nel
bosco. Un ragazzo di 18 anni aveva abusato di lei e l’aveva
poi minacciata con un coltello che se avesse raccontato
qualcosa l’avrebbe uccisa. Nonostante le minacce la famiglia
venne a sapere dello stupro e allora si rivolse a Watch.
L’organizzazione femminile cercò prima di prendere il
giovane che era nel frattempo scappato di casa e poi andò
dalla polizia che all’inizio non voleva nemmeno registrare
il caso. Alla fine però la giustizia è stata raggiunta con il
pagamento di un indennizzo alla ragazzina e la carcerazione
dello stupratore. ■
Programma di prevenzione e cura della
disabilità nell’area di Lumbini
Lumbini è una regione centro occidentale del Nepal situata nella fertile pianura del Terai.
Il programma, che vede come partner italiani Aifo e l’Azienda ULSS 16 Padova e a livello locale l’ong
Watch, prevede queste iniziative:
•Campagne di informazione e sensibilizzazione e incontri con mamme e bambini sull’igiene
personale e ambientale, la nutrizione, l’allattamento al seno, la fisioterapia, la prevenzione della
disabilità e concetti della Riabilitazione su Base Comunitaria.
•Creazione e sostegno di gruppi di persone con disabilità, di reti a livello dei villaggi e collegamento
dei medesimi con le organizzazioni a livello nazionale.
•Incontri formativi e informativi sulla partecipazione sociale, sui diritti umani, soprattutto delle persone
con disabilità.
•Indagine e raccolta dati su bambini e adulti con disabilità in dieci villaggi
•Corsi di formazione per staff medico e paramedico facilitato da un esperto straniero.
•Corsi di formazione a cascata per lo staff dei centri di salute di base fino ai villaggi (principalmente
con la metodologia “sul lavoro”).
•Sostegno di gruppi di donne con disabilità e mamme con neonati/bambini con disabilità.
•Campi sanitari nei 10 villaggi.
•Creazione di un centro del “Ben Essere”.
•Organizzazione di un servizio part-time di pediatria nel centro.
•Creazione e mantenimento di una banca dati sui bambini con disabilità che frequentano il centro
in preparazione di casi studio.
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Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014
Strumenti
Blog Amici di Aifo http://amicidiaifo.org
Fonte: http://amicidiaifo.org
IL BLOG È COME LA RADIO,
NON PASSA MAI DI MODA
L’IMPORTANZA DEI DIARI ON LINE PER ESPRIMERE LE PROPRIE
OPINIONI, PER INFORMARE O INFORMARSI
di Nicola Rabbi
I
l blog è oramai, per quanto riguarda i parametri temporali
di internet, uno strumento antico visto che l’abitudine di
tenere un diario in rete, comincia a diffondersi dopo il
1997. Da allora parecchia acqua è passata sotto i ponti, un
flusso ininterrotto di nuove applicazioni a cui il pubblico ha
risposto creando nuove abitudini di stare in rete. Ma se i social
media come Facebook o Twitter hanno scompaginato le carte
in tavola (d’altronde su internet il gioco è un rimescolare di
carte, speriamo), un luogo dove riporre i propri pensieri,
scrivere quello che si fa e si pensa, un luogo come questo
rimane ancora importante.
In termini di scrittura la maggior parte dei social media non
permette una certa continuità del testo, chiarezza e livello di
approfondimento dell’idea che si vuole esprimere. Facebook
data la sua complessità non è certo l’ambiente adatto per
tenere un blog, Twitter per via della limitatezza dei suoi
contenuti (140 caratteri di testo, 120 nel caso si voglia mettere
un’immagine) rimanda subito ad un altro sito. Anche quei
social network specializzati su un mezzo di comunicazione
(Picasa o Flickr, ad esempio per le foto, Youtube o Vimeo
per le immagini) permettono di esprimere, di dialogare con
gli altri soprattutto in un modo, ovvero nel caso dei nostri
esempi, con le foto e con i video. Con le piattaforme blog
invece come Wordpress o Tumblr , le possibilità a disposizione
sono infinitamente maggiori e permettono di usare le parole
assieme al multimediale; del resto i blog non sono nient’altro
che dei siti web ed è da qui che si parte per l’”avventura” nei
social media. Ogni post (ovvero ogni articolo pubblicato
sul blog) non deve rimanere lì, solo sul sito, ma deve essere
socializzato, diffuso nei social media in cui si è presenti con
un profilo ed è soprattutto in questo modo che si fa conoscere
su internet.
I blog si possono classificare a seconda del “progetto
editoriale” che sta dietro; esistono blog che sono dei veri e
propri diari personali, altri sono di tipo più letterario, altri
ancora specializzati su temi particolari, infine alcuni blog
hanno un carattere puramente informativo e quindi hanno
una connotazione anche giornalistica. L’importante però è
avere questo “progetto editoriale,” anche minimo; occorre
chiarirsi le idee su cosa si vuole scrivere, con che frequenza,
con che stile e se, oltre le parole, si vuole usare materiale audio
video o fotografico.
Le piattaforme che si possono scegliere in rete per aprire
un blog sono diverse e una semplice iscrizione è sufficiente
per poter usare gratuitamente il servizio; se invece si vuole
qualcosa di più, come un indirizzo web personalizzato o dei
servizi aggiuntivi che servono a rendere più professionale
il proprio blog, allora si deve pagare una quota annuale di
solito molto contenuta. Nel caso del mio blog di cui parlo
nel box ho usato il servizio offerto da www.worpress.com che
con un’interfaccia piuttosto intuitiva permette di pubblicare
dei testi, delle foto, dei video (precedentemente caricati su
Youtube), dei semplici link o delle citazioni.
I blog si contano nell’ordine di qualche centinaio di milione
Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 |
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Strumenti
Strumenti
e di fronte a questa abbondanza sorgono immediatamente
delle domande in veste di lettore: cosa scegliere di realmente
utile? Mi posso fidare della veridicità e della qualità dei
contenuti? In veste di scrittore di blog invece le domande
che uno si rivolge sono diverse: in mezzo a questa confusione
di voci che possibilità ho di essere ascoltato? Come la mia
voce può distinguersi dalle altre? Ha senso il mio intervento
nell’immensa conversazione digitale?
Non esistono risposte precise, esiste una pratica che va
verificata di continuo. Stando molto in rete, conoscendo
sempre meglio le proprie fonti, con il tempo si riesce a
scegliere tra un blog di buona qualità da uno scarso. Come
scrittore di blog invece tutto dipende da chi scrive, dalle sue
motivazioni: se sono forti, se crede in quello che fa allora, a
poco a poco, un pubblico di lettori si creerà e il loro numero
non è poi così importante.
Il tema della cooperazione internazionale non è certamente
facile,dato che sono poche le persone interessate alla condizione
delle donne che aspettano un figlio in Guinea Bissau o che si
preoccupano delle qualità della vita delle persone disabili in
Mongolia, ma se questi contenuti sono resi interessanti con
un racconto vivace e non patetico - personalizzato - allora le
probabilità di essere ascoltati aumentano.
Oltre alla personalizzazione “sobria”, un altro elemento
essenziale è la cura dei contenuti che devono essere scritti
bene: più è alta la qualità della scrittura e più saranno i lettori.
Comunque il numero dei lettori non è un criterio assoluto
per giudicare la qualità di un blog e il suo successo, anzi i
blog molto specialistici di lettori spesso ne hanno veramente
pochi, quello che conta però è il trovare comunque il proprio
pubblico di riferimento, perché nell’immenso popolo delle
rete, si trova di tutto e anche il mondo della cooperazione
internazionale ha un suo spazio. ■
Gong! Un blog per
raccontare le Ong
Gong, nel nostro immaginario, è un suono esotico, quello provocato dalla percussione su un largo disco
metallico che precede l’entrata di qualcuno o l’inizio di qualcosa. Gong! è il titolo del mio blog che gioca
anche su un’altra parola, ong, mentre il sottotitolo - Raccontare le organizzazioni non governative - chiarisce
in modo non equivocabile di cosa si vuole scrivere.
Questo blog è una conversazione pubblica che riguarda il lavoro di chi fa comunicazione per le ong (in
questo caso per Aifo). Nei miei post racconto i metodi di lavoro utilizzati, i problemi che incontro quando
intervisto una persona e le impressioni che questa suscita. Altre volte il post può riguardare invece la scelta
di una foto per l’appello del mese e la ricerca di un’immagine giusta. Il tema è sempre quello, ovvero come
comunicare un’organizzazione non governativa, prendendo anche spunto da altri esempi che trovo in
rete ma con una importante caratterizzazione, questa tema lo racconto coinvolgendomi come persona.
Se scrivo a proposito di un video che riguarda la situazione degli ex malati di lebbra in Brasile, questa
recensione la unisco ad un mio ricordo personale che serve, spero, a rendere più interessante il post, a far
sì che rimanga nella memoria del lettore. In questo genere di scrittura c’è più spazio per la descrizione di
ambienti, per le impressioni, c’è più libertà di associazioni di idee.
È attraverso una personalizzazione dei contenuti, un mettersi in gioco - che non vuol dire egocentrismo - che
si possono trovare dei lettori disponibili a passare del tempo leggendo le nostre cose in rete. Se questo sarà
poi vero nel mio caso, beh, una risposta la potete dire solo voi lettori della rivista, visitando Gong!, magari
facendo dei commenti, per iniziare quello che dovrebbe essere il fine ultimo di ogni blog, la conversazione.
http://nicolarabbi.wordpress.com
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Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014
Esperienze
TROVARE
UNA SECONDA
OPPORTUNITÀ,
IN CARCERE
Fonte: blog.panorama.it
L’ESPERIENZA DI OFFICINA CREATIVA E DI LUCIANA DELLE DONNE,
PER DARE COLORE E VITA ALLE PERSONE DIMENTICATE E INVISIBILI
di Anna Contessini
L
“
a vita è piena di emergenze” lancia quasi a scusarsi
delle difficoltà ad inseguire una persona in perenne
movimento. Una persona che ha deciso di legare
una parte importante della sua vita ad un luogo dove
muoversi, andare e venire è davvero improbabile, il carcere.
Ma Luciana Delle Donne è anche questo. Ha alle spalle
una carriera professionale straordinaria, di grande successo
nel mondo della finanza con la creazione della prima banca
multicanale online in Italia. Dopo 22 anni passati a lavorare
nel mondo bancario e finanziario, decide di mollare tutto,
lasciare Milano e tornare a Lecce, sua città natale. Vuole
restituire al suo territorio di origine un po’ della sua fortuna, ed
inventarsi una nuova vita, dopo essere passata per una breve
esperienza di volontariato in Brasile. “Volevo dimostrare che
si può cambiare il corso delle cose, della vita! “ Disseminarla
di buone prassi “cambiando le cattive abitudini, quali lo
spreco e l’esclusione sociale”.
Vuole mettere la sua capacità innovativa e la sua esperienza
di manager nel Terzo settore, per creare una cooperativa
sociale senza scopo di lucro. A differenza di tante attività
sociali ricche di buona volontà ma con scarsa organizzazione,
mette in piedi un’impresa sociale, con le caratteristiche di una
vera impresa, ma con una base etica.
Nel 2006 fonda l’Officina Creativa, per occuparsi, in modo
innovativo, delle “cose dimenticate”. Ed è per questa ragione
che Luciana Delle Donne si indirizza, tra l’altro, verso il luogo
più chiuso e dimenticato per antonomasia. “Mi è venuto in
mente di lavorare in carcere, nel momento in cui ho deciso
di cambiare vita ed occuparmi di persone disagiate, persone
cosiddette invisibili. Volevo dare colore e vita alle persone
dimenticate e ho scelto le persone più abbandonate, quelle
dove è più facile buttare la chiave e non vedere”.
Il carcere è quello di Lecce. Come in ogni progetto si lancia
con passione e determinazione, necessarie del resto a superare
le inevitabili difficoltà: “all’inizio diffidenza ed incredulità
da parte di tutti, delle detenute e magari anche un po’ della
Polizia penitenziaria”. Si tratta di far passare un nuovo modo
di concepire le cose, lavorare per produrre, produrre ricchezza.
“La ricchezza – afferma – è dare e darsi, non prendere e
sprecare”. Per l’imprenditrice sociale, come ama definirsi, il
modello di sviluppo proposto è in realtà molto semplice, cui
forse nessuno aveva pensato prima, “fatto soprattutto di tante
buone azioni messe insieme”.
Le idee si sono precisate via via. All’inizio tanti sono i
progetti messi in cantiere, dal settore tessile a quello delle
energie rinnovabili. Si trattava ad esempio di coinvolgere
elettricisti ed idraulici per insegnare loro un nuovo mestiere,
quello dell’impiantista di pannelli fotovoltaici. Poi man mano
il Made in carcere ha preso piede ed è allora che Luciana Delle
Donne decide di concentrarsi su questo progetto.
Il laboratorio di sartoria è ormai ben avviato, e ne è stato
aperto un altro nel carcere di Trani. È servito soprattutto alle
detenute a sentirsi finalmente utili, a restituire loro dignità e
speranze. Le detenute hanno così a disposizione una “seconda
Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 |
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Esperienze
opportunità” nella propria vita. Il rapporto però rimane
professionale, come in un’impresa, con un contratto di lavoro,
un orario e un salario. Ci sono infatti tempi e consegne
da rispettare. L’impresa si rinnova continuamente e deve
ricominciare ogni volta che una detenuta esce dal carcere. Del
resto la prima esperienza di Luciana era iniziata nel carcere
di Bari, ma un indulto fa venir meno la manodopera, e ha
dovuto riprendere da un’altra parte.
Le idee, intanto, si susseguono. I laboratori si possono
facilmente impiantare anche in altre carceri, e i pensieri
inseguono nuovi prodotti. Dopo i laboratori di sartoria, ecco
concretizzarsi i primi esperimenti degli “orti verticali”, la
messa a coltura di blocchi di terriccio, trattenuti da sacchi, nel
cortile del carcere, cui partecipano sia detenute che detenuti.
La tecnica si è da tempo diffusa nelle città, sui balconi o
in spazi ristretti con la possibilità di sfruttarne l’altezza. In
alcune carceri italiane gli orti verticali sono già in attività.
Ma il cassetto dei sogni di Luciana Delle Donne rimane
sempre pieno, e non pensa di restare chiusa in un solo sogno.
Anzi il suo sogno più grande è quello di creare modelli di
iniziativa replicabili per dare diffusione a qualcosa che
altrimenti resterebbe marginale, o limitato ad una élite. ■
Fonte: blog.panorama.it
La grande bellezza
del Made in carcere
Alle sarte detenute del carcere di Lecce è piaciuta
l’idea, suggerita da Luciana Delle Donne, di far
sapere che i lavori che realizzavano venivano
dal carcere. Il marchio Made in carcere nasce
così, nel 2007, dopo che Luciana fonda la
cooperativa di Officina Creativa. “Diversa(mente)
utili”, così le detenute definiscono i prodotti che
realizzano, utilizzando solo materiali e tessuti
riciclati, provenienti da fondi di magazzino
e scarti di aziende italiane sensibili ai temi
sociali e ambientali. Per il materiale è una sorta
di “seconda vita”, parallela alla “seconda
opportunità” che viene data alle detenute.
I prodotti sono realizzati in un laboratorio di
sartoria dove una ventina di detenute lavorano
insieme, con macchine da cucire e altri strumenti,
come le forbici, impensabili altrove. Prima di
cominciare, le detenute seguono una formazione,
sempre in carcere, per imparare il lavoro, e
raggiungere un buon livello di professionalità.
Il marchio accompagna tutti i prodotti, originali
e coloratissimi. Sono borse di diverso tipo,
sacche, shopper, accessori, fasce, braccialetti,
portachiavi, custodie per prodotti tecnologici. Tutti
estremamente ben curati. La “grande bellezza”,
potremmo dire oggi, di un’idea che vuole
coniugare l’etica all’estetica. A giudicare dalla
galleria del negozio virtuale di Made in carcere
la sfida appare riuscita.
www.madeincarcere.it
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Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014
Fonte: madeincarcere.it
Fonte: madeincarcere.it
Fonte: Emanuele Macaluso
XIX Giornata della memoria e dell’impegno
in ricordo delle vittime di mafia
Latina, sabato 22 marzo 2014
Una giornata indimenticabile
Nell’ampio solco tracciato dal vomere di Libera con la manifestazione di Latina, i soci ed i
collaboratori AIFO sono consapevoli di essere semi piantati nel terreno e che prima o poi
frutteranno. Basta solo saper aspettare...
Amici di Follereau
Progetto Grafico e Impaginazione
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Mensile per i diritti degli ultimi, dell’Associazione Italiana
Amici di Raoul Follereau (Aifo)
Via Borselli 4-6 – 40135 Bologna
Tel. 051 4393211 – Fax 051 434046
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Lettere alla Redazione: [email protected]
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Hanno collaborato a questo numero
Adulai Baldé, Tino Bilara, Vittorio Bonanni, Anna Contessini,
Anna Maria Pisano
Direttore Responsabile
Mons. Antonio Riboldi
Direttore
Anna Maria Pisano
Redazione
Luciano Ardesi (Caporedattore), Nicola Rabbi
Fotografie
lindipendenza.com, ilsecoloxix.it, ilfattoquotidiano.it,
whitehouse.blogs.cnn.com, blog.panorama.it, madeincarcere.it,
Luciano Boccia, Emanuele Macaluso
Foto pagina 23: Mattia Gariglio
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