Magazine Aifo Maggio 2014
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AMICI di FOLLEREAU Per i diritti degli ultimi N. 5 maggio 2014 DOSSIER: governare l’informazione Anno LIII - n.5 - maggio 2014 - Poste Italiane SPA, Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv.in.L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, c.1, CN/BO - Filiale di Bologna – € 1,03 since 1961 with the poorest Dona il tuo 5X1000 ad AIFO LEBBRA E DISABILITÀ: C’È ANCORA MOLTO DA FARE Basta poco, a te non costa nulla Destina il tuo “5 per mille” all’AIFO: puoi trasformare la tua dichiarazione dei redditi in un atto di solidarietà concreta e contribuire alla realizzazione dei nostri progetti sociosanitari. AIFO Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau Via Borselli n° 4/6 - 40135 Bologna Tel.: 051/4393211 - Fax: 051/434046 [email protected] - www.aifo.it 0 0 10 5X Metti la tua firma nello spazio “Scelta per la destinazione del 5x1000 dell’Irpef” nell’area dedicata al “Sostegno del volontariato e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”. Scrivi il nostro codice fiscale 80060090372 Editoriale Finalmente dichiariamo illegale la povertà I l prezzo di un lingotto, il prezzo di un auto, il prezzo di un quadro, di un battello, di un castello, di un cappello... il prezzo, il prezzo. È l’idea fissa, ossessionante, del secolo in cui siamo imprigionati. E il prezzo di un uomo che sta per morire di sete e di fame, il prezzo di un uomo che, perché malato, è torturato, scomunicato, disperato, come bisogna calcolarlo oggi?” (R.Follereau) non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della iniquità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali.” (Papa Francesco dall’Esortazione apostolica Evangelii gaudium) Quante volte ci giustifichiamo dicendo che non possiamo far nulla contro realtà tanto grandi e tanto potenti: il mondo và così e la povertà è inevitabile, si sente dire. E ormai guardiamo con rassegnazione, anzi ormai non ci accorgiamo nemmeno più che nelle nuove idee neoliberiste tutto si sta riducendo a risorsa economica, a qualcosa con cui fare soldi, a qualcosa quotato in borsa: cose essenziali per la vita come l’acqua, il grano, il riso, il Care Amiche, cari Amici, lavoro, le persone. Per cui se c’è siccità, se il riso è L’Aifo ha scelto di aderire carente, tanto meglio, ci si può all’iniziativa “Dichiariamo illegale arricchire: cosa contano i problemi IL NOSTRO “METTERE la povertà” che vuole arrivare, etici o gli adulti e i bambini che LA PERSONA AL CENTRO” con un lavoro di preparazione e morranno per questo? CI DEVE NECESSARIAMENTE sensibilizzazione dei cittadini, E così avanti con lo sfruttamento PORTARE A COMBATTERE delle Associazioni, dei Comuni del lavoro e dell’uomo, col CONTRO I NUMEROSI a dichiarare la povertà fuorilegge famigerato caporalato, con le FENOMENI STRUTTURALI nel 2018. Certamente questo leggi fatte non rispettando i diritti CHE CONDIZIONANO TANTO movimento avrebbe avuto umani per tutti, ma adeguandole Follereau schierato con entusiasmo a più limitati interessi locali, con FEROCEMENTE L’UMANITÀ e decisione, come promotore e quella che Follereau chiamava ispiratore. “lebbra dell’egoismo”. La nostra difesa dei diritti umani, il nostro “mettere la È davvero ora che gli uomini di buona volontà si uniscano persona al centro” ci deve necessariamente portare a insieme per dichiarare fuorilegge queste strutture di combattere contro i numerosi fenomeni strutturali che ingiustizia e di morte, che condizionano l’uomo e fanno condizionano tanto ferocemente l’umanità e producono del nostro bellissimo pianeta il campo da gioco di una circa tre miliardi di persone impoverite, che popolano piccola minoranza di privilegiati. questo nostro mondo. Le crisi possono davvero essere motivo di verifiche e di “La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non crescita per tutti, ma ancor di più per la nostra Associazione può attendere...” nata per dare speranza agli “ultimi del mondo”. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si “Se manca qualcosa alla vostra vita è perché non avete dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché guardato abbastanza in alto” (R.Follereau). “ “ “ Anna Maria Pisano 5 7 9 11 15 17 19 21 Profezia A che cosa serve la vittoria? Primo piano Mettere al bando la povertà La memoria è impegno Dossier Governare l’informazione Progetti Guinea Bissau: Nene cambia il villaggio Il riscatto delle donne nepalesi Strumenti Il blog è come la radio, non passa mai di moda Esperienze Trovare una seconda opportunità, in carcere Luciano Ardesi Vittorio Bonanni Luca Kocci Luciano Ardesi Adulai Baldé e Esther Samper Tino Bilara Nicola Rabbi Anna Contessini Profezia Fonte: lindipendenza.com Fonte: Luciano Boccia A che cosa serve la vittoria? GLI F35, LE ARMI, LA GUERRA E LE DOMANDE CHE RIMANGONO SENZA RISPOSTA di Luciano Ardesi I l balletto sui numeri degli F35, quanti? quanto costano? quanti posti di lavoro? è la cifra della mancanza di risposte ad altrettante domande: per bombardare chi? Che cosa? Al comando di chi? La crisi economica rilancia una volta di più la questione delle spese militari, finite anche loro nell’occhio della spending review. Gli interrogativi non possono e non devono esaurirsi agli F35, anche se l’ennesima follia ha avuto il merito di squarciare il velo su prese di decisioni da parte di apparati, di interessi e di convenienze non tutte confessabili, ed infatti rimaste inconfessate. C’è un’inerzia della guerra e degli eserciti che li porta ad autoriprodursi, esattamente come la burocrazia. Il complesso militare-industriale è tra i primi a dotarsi di strumenti di comunicazione globale. Finiti i tempi della propaganda di guerra, l’apparato è in grado, prima di altri, di imporre la sua visione del mondo che consente di dare risposte false alle domande legittime (Chi è il nemico? Come e dove colpirà?) e soprattutto di schivare le domande fondamentali. Un esercito e le sue armi servono a vincere la guerra, si dice. Quale guerra? Quale vittoria? La guerra? Oggi si fanno le guerre umanitarie, contro il terrorismo, per la democrazia, per i diritti, e per questo si impiega lo strumento che più di tutti cancella questi diritti togliendo di mezzo la vita delle persone, in una sorta di pena di morte di massa. A cominciare dalla prima guerra del Golfo (1990), quando viene riproposta l’idea della guerra giusta, dal Consiglio di Sicurezza che copre decisioni già prese, dalle coalizioni internazionali a comando asimmetrico, gli interventi militari lasciano soprattutto vittime civili, distruzioni materiali incommensurabili e, soprattutto, distruzione delle istituzioni. Gli effetti collaterali – le vittime innocenti – sono l’effetto principale delle guerre di oggi. Si riducono le vittime militari, privatizzando gli eserciti e gli apparati di sicurezza per non dover rendere conto delle bare che ritornano in patria, mentre i civili sono le vittime più numerose delle guerre. Le istituzioni sono costrette con funambolismi sempre Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 5 Profezia nuovi a rendere legale ciò che legale non è. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa ad altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, così recitava l’art. 11 della Costituzione. È vero, lo recita ancora, ma è finito in soffitta grazie alle guerre che nella narrazione delle crisi non si chiamano più così. C’è sempre un’emergenza che chiederà una guerra per risolverla. La vittoria? Chi oserebbe mettere in dubbio la legittimità di questo obiettivo? Ma quale vittoria ci regalerebbero gli F35? Ci darebbero un esito diverso dalle “vittorie” in Iraq, in Afghanistan, in Libia, in Mali? E subito dopo si proporrà la domanda che non riesce più a trovare la risposta: a che cosa serve la vittoria? Perché a quanto pare di vittorie non ce ne sono più, se non virtuali. “Se vuoi la pace, prepara la guerra” è stata per decenni la risposta dei militari alle illusioni dei pacifisti e dei nonviolenti. Un colpo ben assestato da una guerra può esser il mezzo – è l’implicito ragionamento – per costringere il nemico a trattare e fare la pace. È proprio questo ragionamento che negli ultimi vent’anni è stato costantemente smentito. La “vittoria” non ha portato la pace, ma nuova instabilità, nuovi conflitti immediati o futuri. Sessant’anni fa Raoul Follerau scriveva la prima delle sue lettere ai Grandi dell’epoca, Usa e Urss: “datemi un aereo, ciascuno di voi un aereo, uno dei vostri aerei da bombardamento… col prezzo di due di questi aerei di morte si potrebbero risanare tutti i lebbrosi del mondo”. Un aereo per uno, era il suo ragionamento, non avrebbe alterato l’equilibrio delle forze. Dieci anni dopo si rivolgeva al segretario generale dell’Onu per reclamare “un giorno di guerra per la pace”, l’equivalente della spesa di un giorno per gli armamenti per combattere tutte le lebbre: carestie, fame, povertà, grandi epidemie. I sui appelli – come è noto – non vennero ascoltati ma da allora i “bilanci di guerra” sono diventati lo strumento fondamentale per risvegliare le coscienze sull’assurdità della spesa militare, e in attesa del superamento della follia degli armamenti, Follereau sognava, all’indomani della seconda guerra mondiale, un servizio civile sostitutivo, almeno parzialmente, del servizio militare. La battaglia contro gli F35 è doverosa di fronte allo scandalo della povertà. Non a caso si sono già mosse le sirene che recitano la sua scomparsa a breve termine. Ma non sarà uno, 10, 100 bombardieri in meno a cambiare le cose. Del resto già si dice: se gli F35 diminuiranno, il loro costo aumenterà! Fabbricarli tutti, insomma, costerebbe relativamente di meno è l’idea che si vorrebbe far passare. Necessaria, questa battaglia non basterebbe. È indispensabile la riconversione non solo dell’industria militare e degli eserciti, ma soprattutto della politica. I politici hanno un costo, ed è bene che si ponga fine a privilegi ingiustificati. Possiamo anche radere al suolo i palazzi della politica (che servano a questo gli F35?!), ma il loro costo è nulla di fronte al costo umano delle vite bombardate, emarginate, oppresse, abbandonate, private dell’essenziale. È la politica a scaricare bombe di ogni tipo dalle terribili conseguenze. Non c’è nessun meccanismo ineluttabile che debba mietere vittime e ingiustizia. Disarmiamo, anche militarmente, la politica. Facciamole indossare i colori della pace. Anzi indossiamo i colori della pace. La politica siamo noi. ■ Una rete per la pace È nata lo scorso febbraio a Perugia la Rete della Pace, il coordinamento che trae origine dalla Tavola della Pace e dall’esperienza della Marcia per la pace Perugia-Assisi. La Rete riprende i principi ispiratori di quella esperienza, a cominciare dal pensiero di Aldo Capitini, e intende ricreare una modalità partecipativa che si era andata perdendo col tempo. Da qui l’idea di Rete. Subito confrontata alle crisi di oggi, Siria, Ucraina, senza trascurare quelle dimenticate, alla questione degli F35 e delle spese militari, la Rete della Pace è tra i promotori dell’Arena di Pace e Disarmo, il 25 aprile a Verona. www.retedellapace.it www.arenapacedisarmo.org 6 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi Primo piano METTERE AL BANDO LA POVERTÀ LA RICCHEZZA SI CONCENTRA E I POVERI NON STANNO SCOMPARENDO. UNA CAMPAGNA PER FARE CHIAREZZA di Vittorio Bonanni L a povertà nel mondo è sempre esistita, come sono sempre esistiti coloro che nei modi più diversi hanno tentato di estirparla, spesso riuscendoci. A tutti verrà in mente l’eroe inglese, a metà strada tra leggenda e storia, che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Poi però nel corso dei secoli dalle epiche gesta di Robin Hood si è passati all’organizzazione di coloro che volevano sottrarsi alla povertà e all’ingiustizia, mettendosi appunto insieme. È la nascita alla fine dell’Ottocento del movimento organizzato dei lavoratori, dei sindacati, delle società di mutuo soccorso e infine dei partiti, che ebbero e avrebbero tuttora – il condizionale è d’obbligo l’ambizione di rappresentare i più poveri e tutti coloro che subiscono ingiustizie. Ma per l’appunto proprio questo paradigma negli ultimi decenni è entrato in crisi, con coloro che avevano l’obbligo morale di rappresentare le fasce più deboli della società che si sono ritirati in buon ordine abdicando insomma al loro dovere e alle ragioni della loro stessa esistenza. Nella speranza che ci possa essere con il tempo una ripresa di questa perduta consapevolezza, in molti hanno tentato di trovare nuove formule per combattere condizioni di vita divenute, nei paesi più poveri ma anche in quelli più ricchi e fortunati, inaccettabili e indegne di un mondo civile. Per questa ragione due intellettuali come Riccardo Petrella e Bruno Amoroso, autori del volume Dichiariamo illegale la povertà. Banning poverty 2018, col sostegno di alcune riviste, stanno portando avanti la campagna omonima Banning Poverty 2018 che significa appunto mettere al bando la povertà (www.banningpoverty.org), a cui aderisce anche Aifo. Il traguardo del 2018 coincide con il 70° anniversario della Dichiarazione universale di diritti umani del 1948. In quella occasione si chiederà ad una Risoluzione dell’Onu di dichiarare illegali “quelle leggi, istituzioni e pratiche sociali collettive che sono all’origine e alimentano Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 7 Primo piano Fonte: ilfattoquotidiano.it la povertà nel mondo”. La sfida è difficile, difficilissima, alla povertà relativa (meno di 2,50 dollari). Come si fa, ma al tempo stesso molto chiara perché si basa su una serie inoltre, a voler far credere che, se nel 2030 non avessimo di dati e di obiettivi da raggiungere molto precisi. più poveri assoluti ma ci fossero ancora, secondo le stime In un editoriale comune pubblicato in febbraio da della stessa Banca mondiale, più di 3 miliardi di persone in testate come Adista, Combonifem, In dialogo, L’Altrapagina, stato di povertà relativa (meno di 2,50 dollari), il mondo Missione Oggi, Nigrizia, Solidarietà internazionale, avrà sradicato la povertà?”. inchiestaonline.it, ilmanifestobologna.it, viene spiegato L’obiettivo di Banning Poverty 2018 è dunque quello chiaramente come si è andato configurando il mondo del evidente di eliminare la povertà partendo però da un dato XXI secolo, dove addirittura, sprezzanti della realtà, molti di realtà che i più vogliono tenere nascosto. La campagna, indicatori darebbero la povertà in diminuzione. “Le 300 organizzata in tre momenti diversi – “Mettiamo fuorilegge persone più ricche del mondo – si legge nell’articolo – la finanza predatrice”, “Diamo forza ad un’economia di Luciano Ardesi hanno guadagnato, nel 2013, 524 miliardi di dollari, cioè dei beni comuni” e infine “Costruiamo le comunità dei poco meno di un terzo della ricchezza prodotta in Italia cittadini” – si basa su dodici punti che, se fossero fatti da 60 milioni di cittadini”. I dati sono stati pubblicati propri dalla politica più virtuosa, consentirebbero grossi dell’agenzia finanziaria Bloomberg il 4 gennaio scorso, e passi in avanti. vede in testa alla lista Bill Gates, il fondatore di Microsoft. Il loro contenuto è ben sintetizzato sempre nel Così si “conferma una tendenza che già conosciamo, cioè citato editoriale: “Nessuno nasce povero o sceglie di che la ricchezza si sta concentrando sempre di più nella essere povero, ma questa condizione ha cause precise mani di pochi a scapito della stragrande maggioranza che, sinteticamente, possono essere ricondotte a una della popolazione mondiale”. distribuzione della ricchezza sempre più ineguale a La Campagna denuncia i tentativi di diffondere l’idea causa soprattutto della mercificazione dei beni comuni. che la povertà nel mondo stia diminuendo. Questo Dagli anni ’70 in avanti le teorie neoliberiste hanno assunto viene portato avanti dalla Banca mondiale e da lentamente cancellato dall’immaginario dei popoli la alcune agenzie delle Nazioni Unite, che hanno cominciato cultura della ricchezza collettiva e hanno ridotto tutto a col fissare criteri del tutto arbitrari per misurare la povertà risorsa, comprese le persone. Questa cultura è penetrata assoluta (meno di 1,25 dollari al giorno) e quella relativa così in profondità da far credere, anche in molti settori (meno di 2,50 dollari al giorno, il doppio di quella della sinistra, che la povertà sia inevitabile e che può essere assoluta). Partendo dal fatto che il numero dei poveri solo mitigata magari con un po’ di carità”. C’è l’illusione assoluti starebbe diminuendo, mentre quello dei poveri di ammorbidire gli effetti devastanti della globalizzazione relativi starebbe aumentando, si pretende decretare che la tramite un’iniezione di ambientalismo chiamato “green povertà stia per essere sconfitta. economy”, che non scioglie però “il nodo gordiano della A riguardo è proprio Riccardo Petrella a porre concentrazione del potere economico e politico nelle mani quell’interrogativo sufficiente a smascherare una vera e dei poteri finanziari, industriali e culturali”, come dicono propria mistificazione della realtà: “Come si fa a ridurre appunto Amoroso e Petrella. a un unico indicatore monetario la povertà – si chiede Purtroppo queste idee non fanno ancora, come si l’economista – che è un insieme di numerosi fenomeni diceva una volta, “egemonia”, soprattutto negli ambienti strutturali di lungo periodo e a dimensioni multiple, e intellettuali e politici occidentali. Ma, come è noto, la decretare la fine della povertà (tout court) perché il potere vecchia talpa dei nuovi movimenti non ha smesso di fare il d’acquisto pro capite nel mondo avrebbe superato la suo lavoro certosino. ■ soglia dell’1,25 dollaro?”. “In effetti – aggiunge Petrella – l’agenda post-2015 parla di eliminazione della povertà assoluta nel 2030 ma non fissa alcun obiettivo rispetto 8 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 Primo piano LA MEMORIA È IMPEGNO LA XIX GIORNATA PROMOSSA DA LIBERA PER RICORDARE TUTTE LE VITTIME DELLE MAFIE. PER CHIEDERE VERITÀ E GIUSTIZIA di Luca Kocci E ra il 21 marzo 1996 quando per la prima volta alcune migliaia di persone, convocate da Libera, si riunirono a Roma in piazza del Campidoglio per ricordare le vittime innocenti delle mafie. Il 22 marzo 2014, 19 anni dopo, a Latina – provincia dell’Agro pontino da qualche anno terra di conquista dei Casalesi – erano in 100mila a ricordare i 900 morti ammazzati dalle mafie, da Emanuele Notarbartolo fino a Nicola Campolongo e Domenico Petruzzelli, i due bambini uccisi in questi primi mesi del 2014 a Cassano allo Ionio e a Taranto, vittime doppiamente innocenti delle guerre dei clan in cui erano coinvolte le loro famiglie. E il giorno prima, nella parrocchia romana di San Gregorio VII, c’era anche papa Francesco a ricordare e a pregare insieme al fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, e a circa 700 familiari di quelle donne e quegli uomini uccisi dalle mafie. È stata celebrata così la XIX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Un titolo lungo – più ampio dei maggiormente sintetici Giorno della memoria (27 gennaio, per le vittime della Shoah) e Giorno del ricordo (10 febbraio, per le vittime delle Foibe) – che non solo spiega, ma si sforza anche di dare il senso di quello che si celebra e, forse, di riempire di significato la parola memoria che, se non vive nel presente e non si proietta nel futuro, rischia di essere unicamente commemorazione. Allora memoria e impegno. Anzi memoria è impegno, nel nome delle vittime. Quei nomi che, come succede da 19 anni, vengono scanditi uno dopo l’altro, nel silenzio di chi ascolta e partecipa. Un rosario di nomi che consente di attraversare e percorrere la storia d’Italia – l’oscura storia d’Italia – dell’ultimo secolo: Emanuele Notarbartolo, politico palermitano ucciso nel 1893, il primo delitto “eccellente” di mafia, quando c’era ancora il Regno d’Italia e già i primi scandali bancari. Poi Placido Rizzotto, il sindacalista della Cgil ammazzato a Corleone nel 1948, sul cui omicidio indagò anche un giovanissimo Fonte: ilsecoloxix.it Carlo Alberto Dalla Chiesa, destinato ad essere ucciso anche lui, insieme alla moglie, quando era prefetto di Palermo, nel 1982. Peppino Impastato e Radio Aut, dai cui microfoni il giovane militante di Democrazia proletaria denunciava gli affari di Tano Badalamenti, dei mafiosi e dei democristiani di Cinisi. Giorgio Ambrosoli e i misteri del Banco Ambrosiano e dello Ior. Poi Falcone, Borsellino, e tanti altri, fino ad Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ammazzato 4 anni fa e su cui la magistratura ancora sta indagando. Un viaggio attraverso la memoria storica, collettiva e personale che, come ha ripetuto don Ciotti dal palco di Latina, oltre all’impegno quotidiano di chi nei territori, a vari livelli e in vari modi, contrasta e combatte le mafie – quindi l’illegalità, l’ingiustizia e il dominio dei potenti sui deboli – chiede e pretende oggi verità e giustizia. Verità per i morti senza nome, ma soprattutto verità per i morti senza colpevoli, a cominciare dalle stragi, da Portella della Ginestra nel 1947 alla stazione di Bologna nel 1980 che hanno distrutto vite umane e democrazia nel nostro Paese. E giustizia, per quei morti ammazzati non si sa da chi. Come don Cesare Boschin, parroco di Borgo Montello, a pochi chilometri da Latina, la cui uccisione – il suo cadavere venne ritrovato incaprettato nella sua camera da letto all’alba del 30 marzo 1995 – è ancora avvolta nel mistero. Tentativo di rapina finito male, si disse all’inizio. Ma i rapinatoriassassini lasciarono in casa una preziosa croce in oro e tutto il denaro. Però portarono via due agende in cui don Cesare scriveva tutto, anche i movimenti sospetti che da un po’ di Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 9 Primo piano tempo si vedevano attorno alla discarica di Borgo Montello. Caso archiviato, senza colpevoli. Ma riaperto nel 2009, grazie alle insistenze di un gruppo di cittadini di Borgo Montello, sostenuti da Libera: l’uccisione di don Cesare – sostengono – è legata ad un traffico illecito di rifiuti tossici. Il prete, che da qualche mese ospitava in parrocchia il comitato antidiscarica, aveva scoperto qualcosa e per questo, dopo aver subito alcune intimidazioni, venne ucciso dai clan della camorra che gestivano il traffico. Un’ipotesi confermata da alcuni “manovali” dei clan e, ultimamente, anche dal pentito di camorra Carmine Schiavone – colui che rivelò gli affari delle ecomafie anche nell’agro pontino – il quale, intervistato da una emittente televisiva locale, ha detto che “don Cesare è stato ucciso per questi motivi, perché aveva capito qualcosa”. Per questo da Latina don Ciotti ha rilanciato: “Abbiamo bisogno di verità per don Cesare Boschin”. Giornata della memoria allora. Ma anche di verità e di giustizia, per riempire di senso e dare corpo ad una parola che non significa solo ricordo. ■ Fonte: Emanuele Macaluso Senza paure, l’esperienza di Aifo Latina Tutte le memorie sono importanti proprio perché ci ricordano ciò che accaduto e non deve più ripetersi. La Giornata della memoria e dell’impegno si distingue tuttavia dalle altre perché non si rivolge solo al passato. Le mafie hanno colpito e continueranno a colpire nuove vittime. Da qui l’importanza dell’impegno presente e futuro per dare un senso alla memoria: l’impegno a sconfiggere una volta per tutte le mafie. Proprio il gruppo di Aifo Latina ci ricorda quanto importante - e quanto difficile e pericoloso - sia l’impegno non di un solo giorno ma di tutti i giorni. Aifo Latina, nata nel 2008, collabora con Libera nella gestione del villaggio della legalità a Borgo Sabatino, a 3 km da Latina, intitolato a Serafino Famà, avvocato catanese ucciso dalla mafia nel 1995, ed inaugurato nel 2011. Fin da subito è stato oggetto delle “attenzioni” della mafia con una serie continua e regolare di sabotaggi. Il Villaggio sorge su un terreno di 4,5 ettari dove un tempo la mafia gestiva un campeggio, diventato una copertura per le sue riunioni. Per questo è stato confiscato e affidato a Libera. Aifo Latina contribuisce con Libera, e con altre associazioni del territorio, alla gestione del Villaggio e a realizzare numerose attività, oltre al campeggio, seminari, concerti , raduni che coinvolgono anche la cittadinanza. Ciò consente all’esperienza di continuare malgrado le rappresaglie mafiose. In preparazione della XIX Giornata, Aifo Latina si è fatta promotrice di un’intensa attività nelle scuole di ogni ordine e grado, con la partecipazione di testimoni e la proiezioni di video. Il programma ha coinvolto diverse centinaia di studenti con i rispettivi insegnanti, che si sono poi ritrovati nella manifestazione nazionale. Video Aifo Latina e il Villaggio della legalità: http://youtu.be/5xBQkjl-nh0 Aifo Latina nella XIX Giornata su: www.aifo.it; http://amicidiaifo.org 10 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 Fonte: archivio fotografico di Aifo Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi DOSSIER GOVERNARE L’INFORMAZIONE Le nuove maniere della politica: raccontarci storie di Luciano Ardesi Q UALE VILLAGGIO? La comunicazione e l’informazione non sono mai state una sfida solo tecnologica. L’ubriacatura per la rivoluzione informatica e la crescita esponenziale della sua diffusione tra il pubblico (pc, cellulari, smartphone, tablet, social network, ecc.) ci ha fatto perdere di vista una realtà più complessa. Siamo davvero giunti al traguardo del famoso “villaggio globale”? Lo spazio dove tutti sono in comunicazione con tutti, già dato per certo da McLuhan esattamente mezzo secolo fa. La tecnologia ha raggiunto livelli inimmaginabili solo vent’anni fa, eppure rimangono forti squilibri nella distribuzione degli strumenti del comunicare. Soprattutto la comunicazione e i suoi contenuti vengono gestiti e governati con modalità del tutto rivoluzionarie. Fino agli anni ’80 le grandi agenzie stampa occidentali dominavano il panorama mondiale, debolmente contrastate dai monopoli statali del campo sovietico che, non potendo competere sul piano della tecnologia, si difendevano dalla concorrenza occidentale mediante la censura. La situazione è rapidamente e radicalmente cambiata. L’informazione globale è diventata un’impresa culturale che ci avvolge tutti come in una immensa bolla, dalla quale è impossibile, o assai arduo, distaccarsi per capire che cosa sta succedendo Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 11 DOSSIER attorno a noi. La nuova governance dell’informazione e della comunicazione inizia negli Stati Uniti sotto la presidenza di Ronald Reagan, negli anni ‘80. Con una carriera di attore cinematografico alle spalle, il presidente americano avvia una nuova strategia di comunicazione, ponendosi come semplice cittadino prestato alla politica. Nasce una nuova professione, il “consigliere di comunicazione” o spin doctor. Il suo compito è la promozione dell’immagine di un politico per attirargli il consenso durante le campagne elettorali o per mantenerne la popolarità una volta giunto al potere. La metodologia è quella del marketing commerciale, con gli opportuni aggiustamenti poiché si tratta di “vendere la politica” di un leader. Le tecniche prevedono non già la semplice diffusione di informazioni favorevoli mediante l’ufficio stampa, ma una pianificazione per promuovere “l’idea” e l’immagine del leader indipendentemente dalle singole azioni, esattamente come le imprese non promuovono più i prodotti ma l’idea della propria impresa. Non si tratta più di inseguire la realtà e di falsificarla, come i politici hanno sempre fatto, ma di costruire un quadro di riferimento nel quale calare il personaggio, che narra la sua politica come se fosse una “fiction”. Come in un film o in uno spettacolo di successo, ci sono i personaggi secondari, come ministri e collaboratori, e dietro le quinte la squadra dei tecnici. I politici di nuova generazione, indipendentemente dall’età, hanno uno staff della comunicazione, ma devono essere in ogni caso bravi attori, in grado di recitare il copione. ATTORNO AL CAMINETTO DELLA POLITICA Aveva intuito la strada il presidente Nixon con il suo Ufficio comunicazioni della Casa Bianca, prima di scivolare sullo scandalo del Watergate. Con Reagan questo Ufficio cambia metodo. Predispone quotidianamente l’agenda politica del presidente, che tutti i collaboratori devono osservare. Grazie a messaggi essenziali ed efficaci, il potere mantiene l’iniziativa e non la subisce; fa parlare stampa e televisione di ciò che si reputa strategico. Viene così costruito un universo virtuale nel quale il cittadino è invitato ad entrare e a lasciarsi trasportare, senza preoccuparsi della realtà effettiva. La costruzione di questa realtà virtuale diventa necessaria per il fatto che la comunicazione è ormai un mondo frammentato in cui è facile perdersi. Inoltre la deregulation e le privatizzazioni, inaugurate proprio da Reagan, non consentono un controllo Fonte: whitehouse.blogs.cnn.com 12 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 DOSSIER diretto dei mass media da parte del potere. Le “storie” che ci vengono narrate danno allora un senso apparente al caos prodotto dal bombardamento di informazioni e immagini. Ci permettono di “capire la politica”. Lo storytelling, il racconto di storie, diventa così la modalità comunicativa del potere politico, economico, finanziario, militare. L’apparire del concetto di story nel linguaggio degli specialisti della Casa Bianca non è casuale. Molti di loro provengono dal marketing, dove il metodo del raccontare storie a proposito di un prodotto, un marchio o per meglio dire di una impresa come “idea” ha iniziato ad affermarsi, rivoluzionando le tecniche di mercato. Imprese come Coca Cola, Disney, McDonald’s, Microsoft, Nike sono tra le prime ad adottare questa tecnica per mantenere il primato di fronte alla concorrenza di altri, pochi, colossi. Noi tutti del resto abbiamo sperimentato il fascino delle storie, a cominciare dalle fiabe e, per le giovani generazioni, dai videogiochi che raccontano avventure virtuali. Raccontare è da tempo immemorabile un mezzo per sedurre, convincere e influenzare. Ed i politici da tempo raccontano vere e proprie storie di persone, di situazioni che contribuiscono così a costruire la “storia” generale della propria leadership. Un analista della comunicazione della Casa Bianca descrive così, a metà degli anni ’90 del secolo scorso, la deriva del potere che ne è scaturita: “una democrazia meno deliberativa, cittadini sommersi dallo spettacolo simbolico della politica, ma incapaci di giudicare i propri leader e il fondamento reale delle loro politiche” (Antony Maltese). Trent’anni prima McLuhan si illudeva affermando che “man mano che la velocità elettronica aumenta, la politica tende ad allontanarsi dalla rappresentanza e dalla delegazione degli elettori per un coinvolgimento immediato dell’intera comunità nelle decisioni fondamentali”. FAVOLE DI GUERRA Lo scenario non è più confinato agli Stati Uniti, e si è diffuso negli altri paesi. Le tecniche di marketing politico producono ormai un universo virtuale globale. La svolta decisiva è stata, più che il crollo delle Torri gemelle di New York l’11 settembre 2001, l’invasione dell’Iraq nel marzo 2003 da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti. La guerra viene giustificata dalla necessità di privare il leader iracheno Saddam Hussein di armi di distruzione di massa. Le “prove” sono presentate al mondo e alle Nazioni Unite, e larga parte dell’opinione pubblica si convince della minaccia e che sia indispensabile intervenire. Le prove in realtà sono inesistenti, ma Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi sapientemente costruite e raccontate per giustificare la guerra. Lo stesso sistema dell’informazione che tradizionalmente segue le guerre viene militarizzato ed inquadrato, per impedire un nuovo Vietnam dove gli Usa subirono la sconfitta mediatica prima di quella militare. I famosi “giornalisti” embedded, integrati in un’unità dell’esercito per essere strettamente controllati, scendono in campo per partecipare alla messa in scena. Ci sono volute centinaia di migliaia di vittime, la guerra civile che ha devastato il paese, i morti tra i soldati della coalizione (Nassiriya per gli italiani) per far aprire, almeno in parte, gli occhi della gente, nel frattempo chiamata ad altre “distrazioni” in nome della minaccia del terrorismo internazionale. La guerra si è sempre servita della propaganda, di notizie false, perfino della costruzione di scenari hollywoodiani di guerra, come durante la prima guerra del Golfo contro l’Iraq. Dalle armi di distruzione di massa fino all’intervento aereo in Libia per ragioni umanitarie, con gli esiti che sappiamo, l’opinione pubblica mondiale è arruolata nell’esercito globale a sostenere la politica dei leader di turno. Il sogno degli anni ’80 di un Nuovo ordine internazionale dell’informazione e della comunicazione ha lasciato il posto ad una sorta di Nuovo Ordine Narrativo. Le persone continuano tuttavia ad avere accesso alla realtà concreta. La perdita del posto di lavoro, o l’impossibilità di usufruire dei servizi essenziali ci mettono di fronte ad una discordanza tra la realtà e la storia che ci viene raccontata. Da qui la presa di coscienza e l’avvio di pratiche di resistenza. La vecchia “controinformazione” non basta più, benché rimanga un ingrediente indispensabile. Ci vuole una contronarrazione che tolga il velo alle storie che ci vengono raccontate. Anche questa è una tecnica antica, come i profeti, e che si rinnova oggi con nuove forme, come nella resistenza dei blogger. ■ Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 13 DOSSIER Preso a prestito dal marketing, associato alle imprese multinazionali e successivamente ai politici dall’immagine non proprio immacolata, lo storytelling si è conquistata una fama controversa. Eppure, depurato dall’aggressività assillante della lotta per il mercato, il raccontare storie è l’arte più nobile. Narrare la misericordia non è la trovata di un imbonitore, è la strada maestra indicata dal Vangelo. Tra coloro che nel secolo scorso hanno saputo condurre con grande efficacia una controstoria vi è senza dubbio Raoul Follereau e la sua battaglia contro tutte le lebbre. Quella del malato di lebbra, il “lebbroso” appunto, è una delle più antiche realtà virtuali, fabbricate con il pregiudizio sulla natura della malattia, rafforzate dall’esclusione sociale e da uno stigma universale. Neppure la narrazione evangelica della guarigione dei “lebbrosi” basta a cancellare la realtà deformata. C’è voluto Follereau, l’Apostolo dei lebbrosi, per narrare, si spera definitivamente, la verità sui malati di lebbra. Facendo trenta volte il giro del mondo ha incontrato persone e non ha mai smesso di raccontarne le storie, in ogni occasione e con tutti mezzi a disposizione: discorsi, libri, riviste, trasmissioni radiofoniche, documentari. Lo storytelling di Follereau si avvale certamente di alcune tecniche collaudate come l’oratoria, la personalità ed il carisma, l’uso dei media del suo tempo, ma si discosta dal marketing, sia esso commerciale che politico. Gli spin doctor, come le multinazionali o i politici che ne fanno uso, sono spinti da forti motivazioni, di natura egoistica ed egocentrica; gli altri sono solo consumatori o cittadini passivi. Follereau ci mette amore e passione, gli “altri” sono persone da liberare e rendere felici. La verità che propone Follereau è quella reale, depurata dal pregiudizio, dalla paura, dall’egoismo. L’uomo che abbraccia i lebbrosi è il messaggio che abbatte le barriere, che rende credibili le sue storie. Sono le stesse che questa rivista, lasciataci in eredità da Follereau, continua a raccontare da oltre cinquant’anni. Storie di persone riscattate attraverso una nuova coscienza, rese libere anche grazie all’amore, alle cure, alla dignità loro restituita. 14 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 Fonte: archivio fotografico di Aifo Lo storytelling di Follereau Guinea Bissau: Nene cambia il villaggio Fonte: archivio fotografico di Aifo Progetti Per non morire più di parto in Guinea Bissau con la sensibilizzazione della gente e delle autorità di Adulai Baldé ed Esther Samper C haman Sarata Sila è una donna di Senta Saré, nel distretto di Boe, un villaggio remoto della Guinea Bissau; è nata e vive in questa piccola città, dove si era sposata a 14 anni con un collega di suo padre. Sarata ora ha 25 anni ma sembra essere una donna di 40 anni; ha avuto cinque parti ma solo due bambini sono ancora vivi (due sono morti alla nascita e uno è morto prima dei 5 anni). Non è mai andata in un Centro di salute per farsi controllare ma si è affidata sempre alle cure di sua zia Nene Djadja, una levatrice locale. L’ultimo parto è andato molto male e non è morta solo perché l’animatrice del progetto Aifo del villaggio ha insistito che fosse portata in moto a Beli, a 35 km di distanza dove c’è un centro sanitario attrezzato. Tutto questo grazie ai soldi dell’Associazione delle donne del villaggio. Da quando c’è l’animatrice Aifo la vita delle donne del villaggio è cambiata; è stato creato un gruppo di auto e mutuo aiuto in cui discutono le questioni che le riguardano; Sarata è la persona che convoca le riunioni e anima il gruppo. È lei che si occupa dell’irrigazione del giardino, dell’estrazione dell’olio di palma e della sua vendita. Acquista e rivende le capre nelle fiere popolari dei villaggi vicini. Sarata ha visto morire molte sue coetanee nel villaggio al momento del parto perché, quando ci sono delle difficoltà, il centro di salute non è raggiungibile in poco tempo dato che nessuno dispone di mezzi motorizzati e a volte nemmeno della bicicletta. Altre volte le morti sono provocate dalla scarsa informazione, da un’educazione sanitaria insuffciente. La figura importante in questa storia è Nene Djadja, una donna di 75 anni sposata da 60, che è oggi una delle donne più dinamiche del villaggio; ha ancora la forza per fare il lavoro più pesante ed è rispettata da tutta la comunità. È lei che consiglia alle donne in gravidanza di andare al Centro di salute e chiede agli uomini di accompagnarle; addirittura va di casa in casa per vedere come stanno le donne gravide. Molti dei giovani che girano per Senta Saré sono nati grazie a Nene, e nemmeno lei sa quanti ne ha fatti venire al mondo. Da quando ha fatto formazione con il progetto Aifo insiste sul fatto che i mariti portino le loro mogli a partorire al Centro di salute. Dopo le informazioni che ha ricevuto sull’alimentazione delle donne in stato di gravidanza, ha capito che la maggior parte delle erbe verdi che crescono nell’orto, come la “moringa”, contengono l’acido folico, un elemento che aiuta le donne ad avere più forze durante il parto; così uno dei suoi compiti è diventato quello di diffondere una corretta educazione sanitaria. Questi cambiamenti assieme ad altri che si stanno verificando, fanno ben sperare in un buon risultato di questo progetto. La comunità comincia a comprendere che grazie a piccoli cambiamenti negli stili di vita e a precauzioni, il numero di morti fra le donne che partoriscono possono diminuire drasticamente, così come Fonte: archivio fotografico di Aifo Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 15 Progetti può essere salvaguardata la salute delle mamme e dei bambini. Un alto tasso di mortalità materna. La Guinea Bissau è il quarto paese nel mondo con il più alto tasso di mortalità materna, e la regione orientale del Gabu, in particolare, ha il più alto tasso di mortalità materna nel paese, tre volte superiore alla media nazionale. La drammaticità del problema emerge facendo un confronto con i dati dell’Italia dove ogni 100.000 parti muoiono cinque donne contro le 800 della Guinea Bissau. In questo contesto Aifo ha realizzato un progetto in cui l’obiettivo principale è quello di contribuire ad alleviare la sofferenza delle donne, in gravidanza e dopo il parto, nella regione di Gabu, in particolare per migliorare l’accesso universale ai servizi sanitari per le donne incinte, per le puerpere e per le vittime di violenza sessuale. Il lavoro con le comunità viene svolto attraverso incontri di sensibilizzazione con i gruppi di donne, i leader di comunità e gli animatori locali ma anche attraverso la realizzazione di un programma radiofonico in cui la popolazione partecipa attivamente. In queste trasmissioni si danno consigli e suggerimenti, compresi quelli relativi all’alimentazione, per migliorare la dieta della popolazione. Per raggiungere i diretti interessati il progetto utilizza anche strumenti artistici come il concorso musicale a tema con canzoni che parlano di salute delle donne, canzoni che vengono cantate dalle donne stesse. Infine durante l’anno viene realizzata una performance teatrale riguardante le cure prenatali e i gruppi di auto-aiuto. Attraverso la musica e il teatro, in questi incontri ludici e culturali rivolti a tutta la popolazione, si diffondono i concetti chiave che servono per avere una maternità sana e sicura. Alla termine degli incontri c’è una gara finale. È il momento in cui si verifica se i messaggi sono stati recepiti, mentre l’infermiera e l’ostetrica del progetto possono rispondere alle domande e parlare direttamente con i leader della comunità e i gruppi influenti. ■ Per il miglioramento della salute sessuale e riproduttiva Fonte: archivio fotografico di Aifo Fonte: archivio fotografico di Aifo 16 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 Il progetto promosso da Aifo nella regione di Gabu, finanziato dall’Unione Europea, è giunto al suo terzo anno di attività. Si sviluppa attraverso tre linee d’azione principali: •il miglioramento della qualità dei servizi sanitari e dell’accesso attraverso un programma di formazione del personale sanitario, il miglioramento delle infrastrutture, la fornitura di materiali e farmaci; •la creazione ed il sostegno di 75 gruppi di auto e mutuo aiuto di donne attraverso piccoli prestiti per lo svolgimento di attività micro economiche, poiché il miglioramento del reddito familiare delle donne facilita il loro accesso ai servizi sanitari; •la sensibilizzazione e l’informazione che permette alla popolazione di capire perché le donne hanno difficoltà ad accedere ai servizi di salute, e di rimuovere gli ostacoli individuati. Fonte: archivio fotografico di Aifo Progetti Il riscatto delle donne nepalesi Attraverso la collaborazione con un’ong femminile locale, Aifo sta migliorando le condizioni di vita della popolazione svantaggiata nelle zone rurali di Tino Bilara I l Nepal è una nazione che dopo anni di guerra civile tra le forze governative e l’esercito di liberazione popolare maoista sta ancora faticando a trovare un assetto democratico politicamente stabile. E’ un paese molto povero dove il sistema sanitario non è adeguato soprattutto nelle zone montuose e collinari che occupano la maggior parte del paese. Aifo è impegnata da diversi anni con progetti che mirano ad assicurare il diritto alla salute per tutti. Lo fa attraverso azioni rivolte a sostenere le donne che sono l’elemento più importante del nucleo familiare e che sono responsabili della salute e dell’educazione di figli. In questo lavoro ha trovato un valido partner locale in Watch (Women Acting Together for Change), un’organizzazione di donne particolarmente attiva nel promuovere i diritti delle donne povere che abitano in zone periferiche. Se le donne cominciano a fare i cesti di bambù Pemchhoki abita in un piccolo paese chiamato Bigutaar nel distretto di Okhaldhunga, una zona molto verde dove le colline sono alte e ripide, dove le strade sono difficili da percorrere per una persona come lei che ha difficoltà di movimento per via del deficit che ha alle gambe. Abita con il figlio, quello più giovane; suo marito invece vive in un altro villaggio con la nuova moglie. Pemchhoki ero molto povera e non sapeva proprio come sopravvivere prima di conoscere il gruppo di donne di Watch. Con loro ha imparato a costruire dei cesti di bambù. La cosa strana è che questo tipo di lavoro in Nepal lo fanno solo gli uomini ma lei ha imparato a farlo ed è piuttosto brava. Costruisce una grande varietà di articoli con il bambù e i suoi prodotti sono molto richiesti. Altre donne sono venute da lei ad apprendere la tecnica, donne disabili, che vogliono avere una loro autonomia grazie al lavoro. Visto che Pemchhoki si muove con difficoltà e non può andare nei vari mercati a vendere, al posto suo lo fa suo figlio; a volte sono addirittura i clienti che vengono a casa sua per acquistare. Recentemente ha comprato un po’di terreno e ha cominciato a coltivare funghi e ortaggi. Ma questo non le basta, oltre al lavoro, Pemchhoki pretende anche il riconoscimento dei suoi diritti di donna disabile e lotta per ottenerli. Una storia di un sopruso Una storia di sopruso quella che è capitata nel villaggio di Dudhrakshya situato nel distretto pianeggiante di Rupamdehi, una vicenda piuttosto triste dietro la quale c’erano solo degli interessi economici ma che è stata smascherata grazie all’intervento di Watch. Una donna appartenente al gruppo femminile locale era rimasta sola in casa perché suo marito era emigrato per motivi di lavoro in Dubai. Una sua amica, appartenente allo stesso gruppo, le aveva mandato il figlio per aiutarla nelle faccende domestiche. Questa situazione era stata Fonte: archivio fotografico di Aifo Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 17 Progetti Fonte: archivio fotografico di Aifo giudicata scandalosa dal gruppo di donne locali che ha deciso di espellere tutte e due le donne coinvolte che allora si sono rivolte a Watch perché esaminasse l’intera vicenda. Dopo aver ascoltato le varie parti Watch era giunta alla conclusione che non era accaduto niente di scabroso e che anzi tutta la vicenda nascondeva un preciso interesse economico: l’espropriazione dei beni delle due donne coinvolte. Watch ha poi finanziato un progetto a favore di queste donne che ha permesso loro di iniziare un’attività di allevamento di pollame e coltivazione di ortaggi, imprese coronate da un buon successo economico. Uno stupro denunciato Nelle zone dove il governo ha uno scarso controllo sono più frequenti gli episodi di violenza senza che questi siano perseguiti dalla legge. Nel distretto di pianura di Kapilvastu, un luogo dove Watch ha formato un gruppo di donne e persone disabili, quindi un luogo dove si è fatto un lavoro di riconoscimento dei propri diritti e presa di coscienza, si è verificato un episodio di violenza nei confronti di una bambina di 11 anni che stava pascolando le capre nel bosco. Un ragazzo di 18 anni aveva abusato di lei e l’aveva poi minacciata con un coltello che se avesse raccontato qualcosa l’avrebbe uccisa. Nonostante le minacce la famiglia venne a sapere dello stupro e allora si rivolse a Watch. L’organizzazione femminile cercò prima di prendere il giovane che era nel frattempo scappato di casa e poi andò dalla polizia che all’inizio non voleva nemmeno registrare il caso. Alla fine però la giustizia è stata raggiunta con il pagamento di un indennizzo alla ragazzina e la carcerazione dello stupratore. ■ Programma di prevenzione e cura della disabilità nell’area di Lumbini Lumbini è una regione centro occidentale del Nepal situata nella fertile pianura del Terai. Il programma, che vede come partner italiani Aifo e l’Azienda ULSS 16 Padova e a livello locale l’ong Watch, prevede queste iniziative: •Campagne di informazione e sensibilizzazione e incontri con mamme e bambini sull’igiene personale e ambientale, la nutrizione, l’allattamento al seno, la fisioterapia, la prevenzione della disabilità e concetti della Riabilitazione su Base Comunitaria. •Creazione e sostegno di gruppi di persone con disabilità, di reti a livello dei villaggi e collegamento dei medesimi con le organizzazioni a livello nazionale. •Incontri formativi e informativi sulla partecipazione sociale, sui diritti umani, soprattutto delle persone con disabilità. •Indagine e raccolta dati su bambini e adulti con disabilità in dieci villaggi •Corsi di formazione per staff medico e paramedico facilitato da un esperto straniero. •Corsi di formazione a cascata per lo staff dei centri di salute di base fino ai villaggi (principalmente con la metodologia “sul lavoro”). •Sostegno di gruppi di donne con disabilità e mamme con neonati/bambini con disabilità. •Campi sanitari nei 10 villaggi. •Creazione di un centro del “Ben Essere”. •Organizzazione di un servizio part-time di pediatria nel centro. •Creazione e mantenimento di una banca dati sui bambini con disabilità che frequentano il centro in preparazione di casi studio. 18 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 Strumenti Blog Amici di Aifo http://amicidiaifo.org Fonte: http://amicidiaifo.org IL BLOG È COME LA RADIO, NON PASSA MAI DI MODA L’IMPORTANZA DEI DIARI ON LINE PER ESPRIMERE LE PROPRIE OPINIONI, PER INFORMARE O INFORMARSI di Nicola Rabbi I l blog è oramai, per quanto riguarda i parametri temporali di internet, uno strumento antico visto che l’abitudine di tenere un diario in rete, comincia a diffondersi dopo il 1997. Da allora parecchia acqua è passata sotto i ponti, un flusso ininterrotto di nuove applicazioni a cui il pubblico ha risposto creando nuove abitudini di stare in rete. Ma se i social media come Facebook o Twitter hanno scompaginato le carte in tavola (d’altronde su internet il gioco è un rimescolare di carte, speriamo), un luogo dove riporre i propri pensieri, scrivere quello che si fa e si pensa, un luogo come questo rimane ancora importante. In termini di scrittura la maggior parte dei social media non permette una certa continuità del testo, chiarezza e livello di approfondimento dell’idea che si vuole esprimere. Facebook data la sua complessità non è certo l’ambiente adatto per tenere un blog, Twitter per via della limitatezza dei suoi contenuti (140 caratteri di testo, 120 nel caso si voglia mettere un’immagine) rimanda subito ad un altro sito. Anche quei social network specializzati su un mezzo di comunicazione (Picasa o Flickr, ad esempio per le foto, Youtube o Vimeo per le immagini) permettono di esprimere, di dialogare con gli altri soprattutto in un modo, ovvero nel caso dei nostri esempi, con le foto e con i video. Con le piattaforme blog invece come Wordpress o Tumblr , le possibilità a disposizione sono infinitamente maggiori e permettono di usare le parole assieme al multimediale; del resto i blog non sono nient’altro che dei siti web ed è da qui che si parte per l’”avventura” nei social media. Ogni post (ovvero ogni articolo pubblicato sul blog) non deve rimanere lì, solo sul sito, ma deve essere socializzato, diffuso nei social media in cui si è presenti con un profilo ed è soprattutto in questo modo che si fa conoscere su internet. I blog si possono classificare a seconda del “progetto editoriale” che sta dietro; esistono blog che sono dei veri e propri diari personali, altri sono di tipo più letterario, altri ancora specializzati su temi particolari, infine alcuni blog hanno un carattere puramente informativo e quindi hanno una connotazione anche giornalistica. L’importante però è avere questo “progetto editoriale,” anche minimo; occorre chiarirsi le idee su cosa si vuole scrivere, con che frequenza, con che stile e se, oltre le parole, si vuole usare materiale audio video o fotografico. Le piattaforme che si possono scegliere in rete per aprire un blog sono diverse e una semplice iscrizione è sufficiente per poter usare gratuitamente il servizio; se invece si vuole qualcosa di più, come un indirizzo web personalizzato o dei servizi aggiuntivi che servono a rendere più professionale il proprio blog, allora si deve pagare una quota annuale di solito molto contenuta. Nel caso del mio blog di cui parlo nel box ho usato il servizio offerto da www.worpress.com che con un’interfaccia piuttosto intuitiva permette di pubblicare dei testi, delle foto, dei video (precedentemente caricati su Youtube), dei semplici link o delle citazioni. I blog si contano nell’ordine di qualche centinaio di milione Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 19 Strumenti Strumenti e di fronte a questa abbondanza sorgono immediatamente delle domande in veste di lettore: cosa scegliere di realmente utile? Mi posso fidare della veridicità e della qualità dei contenuti? In veste di scrittore di blog invece le domande che uno si rivolge sono diverse: in mezzo a questa confusione di voci che possibilità ho di essere ascoltato? Come la mia voce può distinguersi dalle altre? Ha senso il mio intervento nell’immensa conversazione digitale? Non esistono risposte precise, esiste una pratica che va verificata di continuo. Stando molto in rete, conoscendo sempre meglio le proprie fonti, con il tempo si riesce a scegliere tra un blog di buona qualità da uno scarso. Come scrittore di blog invece tutto dipende da chi scrive, dalle sue motivazioni: se sono forti, se crede in quello che fa allora, a poco a poco, un pubblico di lettori si creerà e il loro numero non è poi così importante. Il tema della cooperazione internazionale non è certamente facile,dato che sono poche le persone interessate alla condizione delle donne che aspettano un figlio in Guinea Bissau o che si preoccupano delle qualità della vita delle persone disabili in Mongolia, ma se questi contenuti sono resi interessanti con un racconto vivace e non patetico - personalizzato - allora le probabilità di essere ascoltati aumentano. Oltre alla personalizzazione “sobria”, un altro elemento essenziale è la cura dei contenuti che devono essere scritti bene: più è alta la qualità della scrittura e più saranno i lettori. Comunque il numero dei lettori non è un criterio assoluto per giudicare la qualità di un blog e il suo successo, anzi i blog molto specialistici di lettori spesso ne hanno veramente pochi, quello che conta però è il trovare comunque il proprio pubblico di riferimento, perché nell’immenso popolo delle rete, si trova di tutto e anche il mondo della cooperazione internazionale ha un suo spazio. ■ Gong! Un blog per raccontare le Ong Gong, nel nostro immaginario, è un suono esotico, quello provocato dalla percussione su un largo disco metallico che precede l’entrata di qualcuno o l’inizio di qualcosa. Gong! è il titolo del mio blog che gioca anche su un’altra parola, ong, mentre il sottotitolo - Raccontare le organizzazioni non governative - chiarisce in modo non equivocabile di cosa si vuole scrivere. Questo blog è una conversazione pubblica che riguarda il lavoro di chi fa comunicazione per le ong (in questo caso per Aifo). Nei miei post racconto i metodi di lavoro utilizzati, i problemi che incontro quando intervisto una persona e le impressioni che questa suscita. Altre volte il post può riguardare invece la scelta di una foto per l’appello del mese e la ricerca di un’immagine giusta. Il tema è sempre quello, ovvero come comunicare un’organizzazione non governativa, prendendo anche spunto da altri esempi che trovo in rete ma con una importante caratterizzazione, questa tema lo racconto coinvolgendomi come persona. Se scrivo a proposito di un video che riguarda la situazione degli ex malati di lebbra in Brasile, questa recensione la unisco ad un mio ricordo personale che serve, spero, a rendere più interessante il post, a far sì che rimanga nella memoria del lettore. In questo genere di scrittura c’è più spazio per la descrizione di ambienti, per le impressioni, c’è più libertà di associazioni di idee. È attraverso una personalizzazione dei contenuti, un mettersi in gioco - che non vuol dire egocentrismo - che si possono trovare dei lettori disponibili a passare del tempo leggendo le nostre cose in rete. Se questo sarà poi vero nel mio caso, beh, una risposta la potete dire solo voi lettori della rivista, visitando Gong!, magari facendo dei commenti, per iniziare quello che dovrebbe essere il fine ultimo di ogni blog, la conversazione. http://nicolarabbi.wordpress.com 20 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 Esperienze TROVARE UNA SECONDA OPPORTUNITÀ, IN CARCERE Fonte: blog.panorama.it L’ESPERIENZA DI OFFICINA CREATIVA E DI LUCIANA DELLE DONNE, PER DARE COLORE E VITA ALLE PERSONE DIMENTICATE E INVISIBILI di Anna Contessini L “ a vita è piena di emergenze” lancia quasi a scusarsi delle difficoltà ad inseguire una persona in perenne movimento. Una persona che ha deciso di legare una parte importante della sua vita ad un luogo dove muoversi, andare e venire è davvero improbabile, il carcere. Ma Luciana Delle Donne è anche questo. Ha alle spalle una carriera professionale straordinaria, di grande successo nel mondo della finanza con la creazione della prima banca multicanale online in Italia. Dopo 22 anni passati a lavorare nel mondo bancario e finanziario, decide di mollare tutto, lasciare Milano e tornare a Lecce, sua città natale. Vuole restituire al suo territorio di origine un po’ della sua fortuna, ed inventarsi una nuova vita, dopo essere passata per una breve esperienza di volontariato in Brasile. “Volevo dimostrare che si può cambiare il corso delle cose, della vita! “ Disseminarla di buone prassi “cambiando le cattive abitudini, quali lo spreco e l’esclusione sociale”. Vuole mettere la sua capacità innovativa e la sua esperienza di manager nel Terzo settore, per creare una cooperativa sociale senza scopo di lucro. A differenza di tante attività sociali ricche di buona volontà ma con scarsa organizzazione, mette in piedi un’impresa sociale, con le caratteristiche di una vera impresa, ma con una base etica. Nel 2006 fonda l’Officina Creativa, per occuparsi, in modo innovativo, delle “cose dimenticate”. Ed è per questa ragione che Luciana Delle Donne si indirizza, tra l’altro, verso il luogo più chiuso e dimenticato per antonomasia. “Mi è venuto in mente di lavorare in carcere, nel momento in cui ho deciso di cambiare vita ed occuparmi di persone disagiate, persone cosiddette invisibili. Volevo dare colore e vita alle persone dimenticate e ho scelto le persone più abbandonate, quelle dove è più facile buttare la chiave e non vedere”. Il carcere è quello di Lecce. Come in ogni progetto si lancia con passione e determinazione, necessarie del resto a superare le inevitabili difficoltà: “all’inizio diffidenza ed incredulità da parte di tutti, delle detenute e magari anche un po’ della Polizia penitenziaria”. Si tratta di far passare un nuovo modo di concepire le cose, lavorare per produrre, produrre ricchezza. “La ricchezza – afferma – è dare e darsi, non prendere e sprecare”. Per l’imprenditrice sociale, come ama definirsi, il modello di sviluppo proposto è in realtà molto semplice, cui forse nessuno aveva pensato prima, “fatto soprattutto di tante buone azioni messe insieme”. Le idee si sono precisate via via. All’inizio tanti sono i progetti messi in cantiere, dal settore tessile a quello delle energie rinnovabili. Si trattava ad esempio di coinvolgere elettricisti ed idraulici per insegnare loro un nuovo mestiere, quello dell’impiantista di pannelli fotovoltaici. Poi man mano il Made in carcere ha preso piede ed è allora che Luciana Delle Donne decide di concentrarsi su questo progetto. Il laboratorio di sartoria è ormai ben avviato, e ne è stato aperto un altro nel carcere di Trani. È servito soprattutto alle detenute a sentirsi finalmente utili, a restituire loro dignità e speranze. Le detenute hanno così a disposizione una “seconda Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 | 21 Esperienze opportunità” nella propria vita. Il rapporto però rimane professionale, come in un’impresa, con un contratto di lavoro, un orario e un salario. Ci sono infatti tempi e consegne da rispettare. L’impresa si rinnova continuamente e deve ricominciare ogni volta che una detenuta esce dal carcere. Del resto la prima esperienza di Luciana era iniziata nel carcere di Bari, ma un indulto fa venir meno la manodopera, e ha dovuto riprendere da un’altra parte. Le idee, intanto, si susseguono. I laboratori si possono facilmente impiantare anche in altre carceri, e i pensieri inseguono nuovi prodotti. Dopo i laboratori di sartoria, ecco concretizzarsi i primi esperimenti degli “orti verticali”, la messa a coltura di blocchi di terriccio, trattenuti da sacchi, nel cortile del carcere, cui partecipano sia detenute che detenuti. La tecnica si è da tempo diffusa nelle città, sui balconi o in spazi ristretti con la possibilità di sfruttarne l’altezza. In alcune carceri italiane gli orti verticali sono già in attività. Ma il cassetto dei sogni di Luciana Delle Donne rimane sempre pieno, e non pensa di restare chiusa in un solo sogno. Anzi il suo sogno più grande è quello di creare modelli di iniziativa replicabili per dare diffusione a qualcosa che altrimenti resterebbe marginale, o limitato ad una élite. ■ Fonte: blog.panorama.it La grande bellezza del Made in carcere Alle sarte detenute del carcere di Lecce è piaciuta l’idea, suggerita da Luciana Delle Donne, di far sapere che i lavori che realizzavano venivano dal carcere. Il marchio Made in carcere nasce così, nel 2007, dopo che Luciana fonda la cooperativa di Officina Creativa. “Diversa(mente) utili”, così le detenute definiscono i prodotti che realizzano, utilizzando solo materiali e tessuti riciclati, provenienti da fondi di magazzino e scarti di aziende italiane sensibili ai temi sociali e ambientali. Per il materiale è una sorta di “seconda vita”, parallela alla “seconda opportunità” che viene data alle detenute. I prodotti sono realizzati in un laboratorio di sartoria dove una ventina di detenute lavorano insieme, con macchine da cucire e altri strumenti, come le forbici, impensabili altrove. Prima di cominciare, le detenute seguono una formazione, sempre in carcere, per imparare il lavoro, e raggiungere un buon livello di professionalità. Il marchio accompagna tutti i prodotti, originali e coloratissimi. Sono borse di diverso tipo, sacche, shopper, accessori, fasce, braccialetti, portachiavi, custodie per prodotti tecnologici. Tutti estremamente ben curati. La “grande bellezza”, potremmo dire oggi, di un’idea che vuole coniugare l’etica all’estetica. A giudicare dalla galleria del negozio virtuale di Made in carcere la sfida appare riuscita. www.madeincarcere.it 22 Amici di Follereau N. 5 / maggio 2014 Fonte: madeincarcere.it Fonte: madeincarcere.it Fonte: Emanuele Macaluso XIX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia Latina, sabato 22 marzo 2014 Una giornata indimenticabile Nell’ampio solco tracciato dal vomere di Libera con la manifestazione di Latina, i soci ed i collaboratori AIFO sono consapevoli di essere semi piantati nel terreno e che prima o poi frutteranno. Basta solo saper aspettare... Amici di Follereau Progetto Grafico e Impaginazione Swan&Koi srl Mensile per i diritti degli ultimi, dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo) Via Borselli 4-6 – 40135 Bologna Tel. 051 4393211 – Fax 051 434046 [email protected] Lettere alla Redazione: [email protected] www.aifo.it Hanno collaborato a questo numero Adulai Baldé, Tino Bilara, Vittorio Bonanni, Anna Contessini, Anna Maria Pisano Direttore Responsabile Mons. Antonio Riboldi Direttore Anna Maria Pisano Redazione Luciano Ardesi (Caporedattore), Nicola Rabbi Fotografie lindipendenza.com, ilsecoloxix.it, ilfattoquotidiano.it, whitehouse.blogs.cnn.com, blog.panorama.it, madeincarcere.it, Luciano Boccia, Emanuele Macaluso Foto pagina 23: Mattia Gariglio Abbonamenti Le attività dell’Associazione sono il frutto della solidarietà e della condivisione di coloro che la sostengono. Puoi contribuire anche tu, sottoscrivendo l’abbonamento ad Amici di Follereau Ordinario 13 € / Simpatizzante 18 € / Sostenitore 30 € Tiratura 30.500 copie Chiuso in tipografia il 07/04/2014 Il numero di Aprile è stato spedito il 17/03/2014 Stampa: SAB – Trebbo di Budrio (BO) Postalizzazione DATA MEC srl, via Speranza, 31 – 40068 San Lazzaro (BO) Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI) Autorizzazione del Tribunale di Bologna N. 2993, del 19 aprile 1962 APPELLO Per non morire più di parto in Guinea Bissau Dà il tuo contributo al quarto paese nel mondo con il più alto tasso di mortalità materna! Per migliorare i servizi sanitari e le infrastrutture, per la formazione del personale sanitario, per dare una corretta informazione alla popolazione locale. Per un aiuto concreto: • Avvio di un’attività generatrice di reddito per una donna: 150 euro • Programma radio settimanale di informazione ed educazione: 100 euro • Supervisione delle ostetriche tradizionali nei villaggi: 50 euro COME FARE LA TUA DONAZIONE • Bollettino postale n. 7484 intestato a: AIFO - Onlus, Bologna • Conto Banca Popolare Etica, IBAN: IT 89 B 05018 02400000000 505050 • Carta di credito: telefona al n. verde Aifo, oppure sul sito www.aifo.it, clicca Dona Online • Pagamento periodico bancario SEPA SDD (ex RID) richiedi il modulo al n. verde Aifo Numero verde Aifo 800550303 Le donazioni con queste modalità (non in contanti) sono fiscalmente deducibili