La mia 100 Km del Sahara

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La mia 100 Km del Sahara
uomini e sport
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INDICE
uomini e sport
Badile in Inv er no
d i Ma t t e o B e r na s c o n i
| p ag. 4
Gr oenlandia
d i Ma t t e o D e lla B o r d e lla
| p ag. 8
Blanc az zur r a, Per ù in Moun t ain Bike
d i S t e f an ia Val s e c c hi | p ag. 12
Monica Casiraghi, la lavoratrice vincente
d i Mo n i c a C a s ir a g hi | p ag. 17
La mia 100 Km del Sahara
| p ag. 18
d i Dan i e la G ilar d i
Sup er v isione:
S er gio L ongoni
Re sp ons abile e di t or iale:
Fabio Palma
Pr o ge t t o gr a f ic o:
Fla v io Failla
in c o p e r t ina:
Ma t t e o d e l l a B o r d e l l a i n a p e r t u r a i n G r o e n l a n d i a, f o t o R. F e l d e r e r
Con questo numero concretizzo il mio vecchio sogno di una
rivista di sport per tutti i nostri amici clienti di Sport Specialist.
Oggi lo posso fare avendo tanti testimonials di valore, con le
serate sempre più affollate (che emozione sentirvi applaudire
senza più smettere al termine della proiezoine dell’esploratore
giapponese Nakamura) e con i tantissimi eventi che seguiamo
durante tutto l’anno.
In questo primo numero parliamo di Montagna, Mtb e Running,
ma in futuro troverete tutti gli sport, ovviamente con l’alpinismo
sempre presente, ma non dimenticando che siamo Sport Specialist,
ovvero specialisti di tutti gli sport.
Sergio Longoni
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Spigolo nord del pizzo Badile in inverno
Classe 82, Matteo Bernasconi ha oggi un curriculum di
tutto rispetto, n oto a livello internazionale. Basti pensare al colossale San Lorenzo, salito con Barmasse, Ongaro e Lanfranchi per via nuova, alla prima ripetizione della
via dei Ragni al Torre insieme a Salini, alle centinaia di
cascate di ghiaccio...ma come è arrivato a questi livelli?
Guida alpina, attento ai minimi particolari, matteo, detto il
Berna, ben noto nel comasco e soprattutto nella sua Villaguardia, esordì nell’alpinismo su misto in modo molto
naif. Dal primo leggendario numero di Stile Alpino 000,
ecco come andò nella sua prima avventura di misto
AVVENTURA SULLO SPIGOLO NORD DEL PIZZO BADILE IN
INVERNO
Era il 15 gennaio del 2000: auguri Berna!!!
Mi chiedevo: come posso festeggiare il mio compleanno???
Era da tempo che mi sarebbe piaciuto fare una via in inverno,
una così detta invernale, quando decisi di proporre l’idea a quel
“fulminato” del mio amico Alby.
Oh Alby!! Ti va di andare a fare lo spigolo nord del badile?? Lui
subito: “fig***”!! Ok Berna andiamo! Le previsioni del tempo davano bello, c’è da dire che da mesi non si vedeva in giro una
nuvola; decidiamo così di partire nel week-end.
Ci ritroviamo due giorni prima della partenza al “covo”, altro non
è che il garage dell’Alby e qui iniziamo a pensare a come organizzarci per la salita e subito vediamo che non siamo molto attrezzati. Rimediamo con un paio di telefonate ad altri nostri amici: Ale ci presti il fornello….Lele il sacco da bivacco….Tambo hai
un paio di chiodi da ghiaccio….Luis ci presti il sacco a pelo….
ok il materiale siamo riusciti a racimolarlo. Altro problema: Berna: “cosa cavolo ci portiamo d’abbigliamento per non crepare
di freddo??? Io mi porto due paia di calza a maglia, pantaloni,
sovra-pantaloni, due magliette intime, pile, micropile, goretex,
guanti di scorta, berretto, maschera in capilene. E Tu Alby cosa
porti….?” Alby: “ Eeee Bernaaa….io non ho questo materiale….
come faro’ ? Va be’ Berna, mi porto la mia tuta intera da sci,
sotto metto una calza a maglia e visto che non ho il goret-ex
sopra metto il “promatech” (giubbetto senza maniche gadget di
una fiera tessile)”.
Ah, dimenticavo: io Berna esperienza di misto meno che zero e
il mio amico Alby era dalla Naia che risale a 15 anni fa che non
,metteva ai piedi un paio di ramponi!!!
Il giorno seguente andiamo nel vicino ipermercato a fare la spesa….cosa portiamo?? Compriamo barrette, biscotti, pasta, sugo,
minestre, pane, frutta secca….ok! Ora abbiamo tutto!
Prepariamo gli zaini e domani… pronti via si parte!!! E’ il 17 gennaio 2000, venerdì, la sveglia è alle 4 partenza alle 5 da Villa
Guardia….dal covo….
Tutti e due euforici e un po’ esaltati, nonostante non fossimo
sicuri della riuscita dell’impresa, visto che per noi era tutto un’incognita, una novità.
La nostra risposta ai problemi e situazioni in cui ci saremmo potuti trovare, era.. boh! Speriamo! Vedremo!
Alle 7 siamo a Chiavenna, mega colazione alla pasticceria e
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di Matteo Bernasconi
alle 8 siamo pronti a partire dal parcheggio della Val Bondasca,
verso il Sach Fourà, con l’intenzione di mettere la nostra tenda
quasi sotto allo spigolo nord, in prossimità dell’attacco, è una
giornata bellissima, molto fredda e con entusiasmo ci incamminiamo.
Delle vere e proprie colate ghiacciate lungo il sentiero, ci rallentano la salita e dopo tre ore arriviamo al rifugio, facciamo una
pausa, beviamo una tazza di thè e fumiamo una sigaretta, ripartiamo e in torno alle 13 ci troviamo a un centinaio di metri sotto
al colle, dove decidiamo di bivaccare.
Il lavoro di montaggio della tenda, dura quasi un’ora visto le pessime condizioni della stessa, aggiustiamo i paletti e riusciamo a
mala pena a tenerla in piedi e il telo lo blocchiamo con dei sassi.
E’ buio e in un freddo gelido prepariamo la cena….il menù consiglia: pasta con sugo alla bolognese….prima caz****!! Mangiamo
solo due bocconi visto che la pasta è diventata subito fredda e il
sugo non è altro che un blocco unico: non è stata una bella idea!
Facciamo il thè che sa di pasta bruciata e ci infiliamo nel sacco a
pelo e qua ci accorgiamo della seconda enorme caz****: i 5 litri di
acqua che ci eravamo portati sono ghiacciati!! Ma va!! Che due
co****** che siamo!!!
Puntiamo la sveglia per le 5.30 del giorno dopo e in un gran
freddo cerchiamo di dormire. Al mattino, nel dormiveglia, ci accorgiamo che sono quasi le 7, con il buio non ci siamo accorti
del ritardo….”ca*** è tardi!!”… Iniziamo bene!! La tenda la molliamo lì com’è e dov’è ed in fretta e furia ci incamminiamo verso
l’attacco.
Intorno alle 8 iniziamo a scalare, io da primo di cordata…sono
teso, sto in cagao ,come dice il mio amico Dodo, e cerco di prendere confidenza con la scalata, che in alcuni tratti risulta essere
di misto, con neve e ghiaccio. Cerco di prendere confidenza con
gli scarponi, visto che era la prima volta che li usavo in arrampicata. Dopo pochi tiri arriviamo sullo spigolo vero e proprio e qui
ci troviamo di fronte a un paesaggio ed a un mondo che non mi
sembra vero. Eravamo li solo noi, io e l’Alby in un silenzio surreale, con la nord-est, la est nord-est, le Sciore, il Cengalo, ovunque ci giravamo montagne, neve, ghiaccio, in un ambiente che
d’inverno, secondo me, assume seppure in piccolo, il fascino
della Patagonia. ( a dire il vero, secondo Bonatti anche di più!!)
Sulla est nord-est, vidi una linea di salita che mi prese subito,
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Spigolo nord del pizzo Badile in inverno
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mi dicevo che sarebbe stata una fi**** salire su di lì in inverno,
lo dissi anche al mio amico Alby….era la via del fratello, salita
nell’inverno del ’70 dai fratelli Rusconi, ma questa è un’altra storia.
Riprendiamo a scalare e presa confidenza con gli scarponi, l’arrampicata diventa divertente, la placca rischiosa ci fa perdere un
pochino più di tempo nel superarla, rispetto ai tiri precedenti e a
quelli successivi.
Senza neanche accorgercene, ci ritroviamo sotto la grande frana e in questo punto sbagliamo la linea di salita e ci ritroviamo
sulla nord-est, perdendo quasi un’ora per ritornare sullo spigolo;
il tiro di corda è risultato impegnativo…l’ adrenalina si è fatta
sentire!! Sono le 16.30 e nonostante il mio amico Alby continuava a ripetermi di fermarci e di bivaccare, io volevo continuare e
andare avanti.
Faccio un tiro di corda e ci ritroviamo 50 metri distanti l’uno
dall’altro, quando ormai al buio, l’Alby mi dice che lui non continuava, si sarebbe fermato.
A questo punto c’è stato un momento di tensione, io volevo continuare e glielo dicevo imprecando, mentre lui mi rispondeva che
se continuavamo andava a finire male….
Dopo 20 minuti di discussione: Berna “io continuo mi slego e
vado vanti da solo” Alby “no Berna non fare caz***** è buio….”
Tirandomi la corda per farmi scendere.
Desisto, faccio la doppia e lo raggiungo.
Nel buio troviamo un piccolo posto da bivacco, altro non era che
una sorta di piccolo diedrino, rivolto verso la nord-est e qui attrezziamo la nostra sosta su uno spuntone, dove assicuriamo
noi e gli zaini.
Ci infiliamo subito nel sacco a pelo…..Alby appoggiava appena
il sedere e rimaneva in tensione sulla sosta, aiutandosi con i
talloni per sorreggersi mentre io appeso completamente, stavo
in braccio all’Alby.
Risultato un gran male alla vita e alle pal** per me e crampi alle
gambe per l’Alby.
In aggiunta, il sacco del cibo che appoggiava sul nostro fianco e’
finito sul ghiacciaio e il guanto che l’Alby gentilmente mi aveva
chiesto di tenergli un attimo, ops mi è caduto.
Alby ”mi tieni il guanto?” Berna “Sì, Alby passa”; Alby “Berna mi
ripassi il guanto“; Berna “Alby mi è finito nel sacco a pelo non
riesco a prenderlo tieni i miei”….
Il giorno dopo, ho dovuto per forza confessare che mi era sfuggito di mano.
Dopo due ore che eravamo appesi…che sembrava un’eternità,
accendo il cellulare e mi accorgo che prende; nello stesso momento mi chiama l’amico Ale, “Berna siete arrivati in cima?” No
Ale stiamo bivaccando, “non dire caz***** ”, mi risponde, no è
vero!! Alby, Berna, tenete duro, grandi!! Ale era con gli amici in
un pub a Como, mentre noi passiamo la notte svegli, a guardare
le luci delle macchine che ogni tanto passavano sulla strada per
San Moritz e mi sono dovuto sorbire la storia della vita dell’Alby.
Abbiamo passato 14 ore appesi, con un gran vento freddo, abbiamo fumato un pacchetto di sigarette, non riuscivamo a bere,
poiché la fiamma del fornello non riusciva a sciogliere la neve,
visto il forte vento.
Arriva il mattino, è il 18 gennaio e alle 7 con i muscoli e le ossa
un po’ rotte e intorpidite dal freddo, ci organizziamo e ci rimettiamo in moto.
Nei primi metri siamo un po’ impacciati, poi riprendiamo il ritmo e
in quattro ore e trenta di arrampicata, ci ritroviamo alla cuspide,
siamo in cima al Badile ! Alee’!!!
Scattiamo una foto di ricordo e ci dirigiamo verso il bivacco Alfredo Redaelli, è la prima volta per tutti e due in cima al pizzo Badile. Affrontiamo il crestone finale e sotto i nostri piedi, ci troviamo
un vuoto esagerato e poco ospitale.
Superata la cresta, scendiamo pochi metri fino a arrivare al
bivacco, nevischia e l’idea di fare un’altra notte all’aperto ci fa
star male e così decidiamo di fermarci e di scendere il giorno
seguente, dalla normale, che si svolge dal versante sud verso
la Val Masino. Una volta entrato nel bivacco, mi sono levato i
ramponi che avevo appeso all’imbrago e così com’ero, mi sono
addormentato sul letto.
Il mio amico Alby, ha invece sistemato il nostro hotel, così l’abbiamo chiamato.
Abbiamo passato la sera e la notte a bere neve zuccherata,
mangiando i pochi biscotti e le barrette rimaste. Il giorno seguente, 19 gennaio, ci alziamo alle 7, ci prepariamo e incominciamo
a scendere, perdiamo sempre piu’ quota, seguendo la discesa
che a noi sembra più sicura e logica e una volta arrivati alla croce, con due doppie siamo arrivati alla base della sud del badile.
Abbiamo sfilato le corde e con una gioia ed una felicità mai provata, ci siamo seduti su un sasso a fumare una meritata sigaretta, stanchi ma contenti; abbiamo iniziato la discesa verso il rifugio Gianetti, dove abbiamo incontrato altre persone e con loro ci
siamo diretti verso valle.
Arrivati quasi ai bagni di Masino, la sorpresa…. vediamo un
elicottero del soccorso dirigersi verso la Gianetti….ho pensato
subito a mia mamma… che non sentendomi per 4 giorni ha allertato il soccorso alpino. Arriviamo ai bagni di Masino, dove incontriamo il nostro amico Pavaz ( Andrea Pavan), che era venuto a
fare un giro per vedere se fossimo arrivati.
Caricati gli zaini a mala pena sulla Pavaz, visto che era già colma con l’inseparabile crash-pad, con lui andiamo a san Martino,
al bar Monica, a festeggiare.
Mentre siamo lì, la Monica mi dice: “Berna c’è il soccorso alpino al telefono, ti stanno cercando i tuoi genitori, ti aspettano al
ristorante Miramonti”, ma non faccio in tempo a uscire dal bar,
che li incontro sull’incaz**** andante e mi chiedono perché non
li avevo avvisati.
Io, cerco di spiegargli che ero appena arrivato e che il cellulare
non prendeva e, una volta chiariti, il Pavaz ci riporto’ a prendere
la macchina in Val Bondasca, dove aveva avuto inizio la nostra
avventura.
Il giorno seguente, a seguito dell’intervento del soccorso alpino,
siamo finiti anche sul giornale e precisamente sulla provincia di
Como, il titolo dell’articolo era:
“VILLA GUARDIA, PAURA IERI IN VAL MASINO: DUE GIOVANI PARTITI PER IL BADILE PAREVANO SPARITI, ERANO AL
BAR.”
2010-2011
Saranno ospiti Simon
Anthamatten, Dean
Potter, Nick Bullock,
David Mc Leod…state aggiornati sul nostro
sito.
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Groenlandia
Estate 2009 – Dal 26 Giugno al 26 Luglio, i due membri del
Gruppo Ragni Matteo Della Bordella e Simone Pedeferri, accompagnati da Riky Felderer (socio CAI Lecco) e dallo svizzero Lorenzo Lanfranchi hanno organizzato una spedizione
alpinistica, con il supporto del gruppo Ragni nella Groenlandia orientale, terra selvaggia e poco esplorata, terra di
ghiacciai, ma soprattutto di grandi pareti granitiche, molte
delle quali ancora in attesa di essere salite. Il risultato della
spedizione è stato eccellente: 5 nuove vie aperte su pareti
rocciose di altezza compresa tra i 450 ed i 700 metri con
difficoltà massima d 7b+.
Matteo Della Bordella ci racconta come è andata:
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Sono passati solo 3 anni dal mio ingresso nel gruppo Ragni,
durante i quali ho ricevuto diverse proposte di unirmi a spedizioni alpinistiche organizzate dai membri del gruppo; purtroppo
impegni di diversa natura mi hanno sempre costretto a rifiutare.
Ma ecco che finalmente, l’estate 2009 sembrava fosse l’anno
perfetto per prendere parte alla mia prima esperienza alpinistica
extraeuropea. In realtà devo dire che più che prendere parte ad
una spedizione, ho avuto un piacere ancora maggiore, ovvero
quello di organizzarne una. Non è stato difficile trovare i compagni di viaggio, sono riuscito quasi subito a trovare l’appoggio di
Riky e Simone, il quale a sua volta ha coinvolto anche l’amico
“Pala” (Lorenzo Lanfranchi); più difficile è stato invece decidere
la meta e organizzare il viaggio. Eravamo tutti d’accordo su due
cose: 1) andare alla ricerca di pareti di roccia con lo scopo di arrampicare in libera, 2) essere una spedizione “leggera”, ovvero
utilizzare la minor quantità di materiale possibile sia sulle vie,
che per tutto il resto del viaggio.
Quasi per caso ecco che lancio l’idea della Groenlandia, un po’
per sentito dire, un po’ per esperienze di amici che c’erano già
stati, sembra proprio che questo sia il posto che fa al caso nostro: le pareti di roccia, non vi è dubbio che non mancano, ed
isolamento ed avventura sono garantiti.
Così iniziano le ricerche ed i preparativi, e pian piano la nostra
spedizione inizia a prendere forma e quindi individuiamo: un’area
– la Groenlandia orientale -, una persona cui fare riferimento che
vive sul posto e conosce la zona – Robert Peroni -, e dei possibili
obiettivi alpinistici – le pareti di roccia del FoxJaw -.
La nostra non è la classica spedizione in cui andiamo alla conquista di una vetta o di una montagna decisa a tavolino, quello
che condividiamo ed abbiamo deciso a tavolino è lo stile con
cui ci muoveremo, uno stile leggero e pulito, rispettoso della
natura e dell’ambiente; per il resto lasciamo un ampio margine
all’esplorazione vera e propria: le pareti del FoxJaw sono le uniche informazioni che abbiamo sul posto (giusto il necessario per
dire, “almeno qui siamo sicuri che ci sono pareti”), ma abbiamo
previsto di esplorare la zona con un viaggio in barca nei diversi
fiordi per valutare eventualmente altre pareti ed altre possibilità
di zone da esplorare.
Le ultime settimane passano veloci, i preparativi per la parten-
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di Matteo Della Bordella
za richiedono tempo e dedizione, non bisogna assolutamente
dimenticare nulla, perché una volta là sarà troppo tardi per ricordarsi. Così in meno che non si dica il 27 giugno ci ritroviamo
nel paesino di Tassiilaq, 2000 abitanti, il più grande centro abito
della Groenlandia orientale.
Robert Peroni ci accoglie in modo caloroso, e nonostante i suoi
numerosi impegni con gli altri ospiti della Red House, trova il
tempo di raccontarci un po’ della storia del popolo Inuit e dei
motivi che l’hanno spinto a trasferirsi in questo angolo remoto
del Paese. Robert collabora con il popolo Inuit per uno sviluppo
dell’economia locale ed uno sfruttamento delle risorse naturali
del territorio che porti ricchezza agli abitanti del territorio e li aiuti
ad uscire dalle piaghe dell’alcool e del suicidio (che qui ha un
tasso elevatissimo), piaghe che si sono largamente diffuse in
seguito alla “colonizzazione” Danese del territorio.
Il 2 Luglio partiamo per visitare i fiordi alla ricerca di pareti da
scalare, ma quel giorno la fortuna non ci assiste e così decidiamo di andare nell’unico posto dove siamo sicuri dell’esistenza
di pareti di roccia scalabili, il FoxJaw cirque of Greenland. Il nostro skipper ci lascia alla fine del fiordo di Tassiilaq e ci dice che
sarebbe tornato a prenderci tre settimane più tardi. Ora siamo
davvero soli, ora siamo davvero in Groenlandia.
L’inizio dell’avventura non è dei migliori, il tempo è uno schifo,
fa freddo e ci sono sciami di zanzare che ci ronzano intorno;
costruiamo una tensostruttura piuttosto artigianale con un telone
e quattro pali da sci rubati a Tassiilaq giusto per poter cucinare
all’asciutto e ci infiliamo in tenda a dormire.
Pioggia, zanzare e freddo è il leit-motiv della prima settimana,
tuttavia la cosa non ci disturba troppo: da dove siamo stati lasciati in barca al futuro campo base, nelle vicinanze delle pareti
ci sono 15 kilometri ed approfittiamo di questo brutto tempo per
trasportare tutto il materiale ed allestire quello che sarà il campo
base, in modo da poterci trasferire là alla prima finestra di bel
tempo e rimanerci fino all’esaurimento del tempo a nostra disposizione. Così, sotto un telo in mezzo alle zanzare festeggiamo
anche il mio venticinquesimo compleanno, fiduciosi nell’arrivo
del tempo propizio per scalare.
Per fortuna in Groenlandia la meteo è un po’ diversa che sulle
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Groenlandia
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Alpi: il tempo è decisamente più stabile, i temporali ed i repentini
cambi climatici sono assai rari in estate, così può capitare anche
che piova per una settimana, poi nel giro di un giorno arrivi il bel
tempo e ci resti per due settimane, proprio come è successo nel
nostro caso.
L’umore, il paesaggio, il clima migliorano decisamente e con l’arrivo del bel tempo ecco anche che arriva il momento di mettere
le mani sulla roccia. Ci dividiamo in due cordate: Simone e Pala,
una cordata rodata ed affiatata con alle spalle diverse ripetizioni
ed aperture come la via in Cile “Nunca mas marisco” ed io e
Riky, che abbiamo già scalato insieme, anche se a differenza del
solito Riky non è qui per fare le foto, ma per fare il compagno di
cordata. Simone e Pala mettono subito a segno una bellissima
prestazione: aprono una via di 500 metri su un pilastro inviolato,
con difficoltà massima di 7b e senza spit, Simone Pedeferri supera tutta la via a-vista in apertura. Io e Riky invece non abbiamo
ta libera; nasce così Ingirumimusnocte, nome latino e palindromo che letto nel verso giusto significa: “Andiamo in giro di notte”
ed al contrario significa “e bruciamo nel fuoco”. Nome dedicato
al fatto che la via è stata aperta perlopiù durante le ore notturne
dato che in quel periodo il buio non sopraggiunge mai. Il giorno
successivo Simone e Pala si cimentano sulla nostra stessa parete aprendo “El cavajo dell’Angel”, l’ennesima dimostrazione di
capacità tecniche, esperienza ed intuito nell’individuare la linea
da parte di Simone Pedeferri.
Ma nonostante tutto, l’avventura più bella è forse stata l’apertura
di “Emozione polare”: 700 metri di arrampicata su un pilastro
perfetto in cui dall’unione delle 2 cordate nasce una linea super
logica su una roccia che a detta mia, ed anche di Simone è probabilmente il miglior granito mai toccato. Emozione polare è il
simbolo del gruppo, e dello spirito della spedizione: tutti hanno
partecipato alla sua apertura ed il materiale utilizzato è stato il
successo nell’apertura one-push, apriamo 6 tiri e siamo costretti
a scendere in quanto abbiamo finito il materiale necessario per
proseguire.
Torniamo 2 giorni dopo più attrezzati e riposati per finirla ed il
giorno stesso riesco nella salita della via in completa arrampica-
minore possibile: 1 spit a proteggere 1 tratto di roccia dubbia e 5
spit di sosta, nonostante i numerosi tratti in placca non facili da
proteggere in modo tradizionale.
Adesso, davanti ad una scrivania e a più di un mese dal nostro
rientro, non posso far altro che ripensare con piacere all’avven-
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tura vissuta e ringraziare i miei compagni perché in quel mese
siamo stati davvero una squadra. Mi auguro di poter ripetere
questa esperienza e che il gruppo Ragni ci dia nuovamente la
possibilità di portare il nostro modo di andare in montagna anche
in altri luoghi della terra.
L’obiettivo della spedizione, ovvero quello di aprire vie nuove
di alta difficoltà su pareti di roccia con il minor utilizzo di materiale possibile è stato pienamente raggiunto. Abbiamo aperto 5
vie nuove sia tradizionali (no spit) che moderne, con difficoltà
massima di 7b+. Di seguito sono elencate in dettaglio le salite
effettuate:
•
El cavajo dell’angel: Apritori Simone Pedeferri e Lorenzo Lanfranchi, difficoltà massima 7b+ (IX- UIAA), superata a
vista in apertura da Simone Pedeferri, sviluppo 420 metri, sulla
montagna “molare” del FoxJaw. Nessuno spit utilizzato, pochi
chiodi lasciati sulla via.
•
Ingirumimusnocte: Apritori Matteo Della Bordella e
Richard Felderer, difficoltà massima 7b+ (IX- UIAA) e 6c+ obbligato expo, la via è stata ripetuta in stile Rotpunkt da Matteo
Della Bordella, sviluppo 420 metri, sulla montagna “molare” del
FoxJaw. 12 spit utilizzati sulla via, (soste escluse).
•
Il gemello diverso: Apritori Simone Pedeferri e Lorenzo
Lanfranchi, difficoltà massima 7b (VIII+ UIAA), superata a vista
in apertura da Simone Pedeferri, sviluppo 600 metri, sul pilastro
di sinistra dei due paralleli del FoxJaw. Nessuno spit utilizzato, la
via risulta completamente disattrezzata (a parte le calate)
•
Emozione polare: Apritori Matteo Della Bordella, Richard Felderer, Lorenzo Lanfranchi e Simone Pedeferri, difficoltà
massima 7a (VIII UIAA), arrampicata in libera da Matteo Della
Bordella e Simone Pedeferri, sviluppo 670 metri, sull’estetico pilastro “incisivo” del FoxJaw. 1 spit di via utilizzato ed 7/8 spit per
le soste.
•
Qui, nell’universo: Apritori Matteo Della Bordella e Richard Felderer, difficoltà massima 6a (VI UIAA), la via è stata
aperta in libera e a vista da Matteo Della Bordellae riky Felderer,
sviluppo 400 metri, sulla prima torre del FoxJaw. Nessuno spit
utilizzato, la via risulta completamente disattrezzata (a parte le
calate)
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B
LANCAZZURRA: dal bianco dei ghiacciai della Cordillera
all’azzurro dell’Oceano in bici
di Stefania Valsecchi
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Perù, Cordillera Blanca (Ande Nord Peruviane) Maggio –
Giugno 2008.
Percorso in Mountain Bike (900 km) e salita alle vette del
Pisco, Ishinca e Urus col contributo dei ragazzi dell’Operazione Mato Grosso.
per la più bassa Cordillera Negra (più prossima al Pacifico).
Il colpo d’occhio da Marcarà sul Nevado Copa (6.170 mt.) che ci
accoglie con ghiacci brillanti e nevi immacolate, rende evidente il
perché del nome “Blanca” per questa magnifica catena di monti
e noi entusiasti già pregustiamo le pedalate che si prospettano
Carissimi Mountain Bikers: ho una proposta da farvi!
Dopo l’esotico Ciclo Himalaysmo attraverso il Tibet fino alle pendici dell’Everest (MTB Magazine, Ottobre 2007) e dopo il “nostrano” Ciclo Alpinismo attorno al Monte Bianco (MTB Magazine, Febbraio 2008) che ne dite se affrontiamo ora il variopinto
Ciclo Andinismo in Perù tra le cime più alte dell’America Latina,
quell’angolo di paradiso chiamato Cordillera Blanca ?!! Ci state?
Perfetto !
23 Maggio 2008 e siamo già in volo con le amate MTB: in Italia
sta per sopraggiungere l’estate mentre in Perù scatterà a breve
l’inverno, cioè la stagione giusta perché secca e soleggiata.
Tappa a Madrid per cambio aereo e via verso Lima, caotica capitale Peruviana. Ancora solo un po’ di pazienza nelle 10 ore di
autobus che da Lima ci portano a destinazione e finalmente eccoci a Marcarà ! Piccolo villaggio a 2.760 mt. di altitudine, poco
lontano dell’Equatore, nel cuore delle Ande Settentrionali, punto
di partenza sia per l’elevata e rilucente Cordillera Bianca, che
magnifiche in tale scenario.
A supportarci in questi giorni Andini, saranno i giovani Peruviani
dell’Operazione Mato Grosso (O.M.G.): associazione di volontari che oltre ai molti impegni sociali gestisce egregiamente la
Casa delle Guide di Alta Montagna e di Mountain Bike (www.
rifugi-omg.org/it) nonché i rifugi in alta quota nei quali passeremo alcune notti. Un autista peruviano guiderà il furgone a nostra
disposizione con tutto il materiale e un cuoco cucinerà per noi
quando staremo in tenda; mentre Michael, giovane guida peruviana, pedalerà un po’ con noi e ci accompagnerà in alta montagna quando saliremo su alcune vette con piccozza e ramponi.
Se non dormiremo in tenda o nei rifugi, saremo ospiti nelle case
dell’O.M.G. sugli alti villaggi della Cordillera.
Dato che il tour scelto ci porterà a pedalare fino a 4.900 mt. di
altitudine, la prima giornata di bici la sfruttiamo per acclimatarci
alla quota salendo fino a 3800 mt., ma ridiscendendo nuovamente a Marcarà per abituare il fisico e ossigenare il sangue.
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Così Domenica 25 Maggio, volta celeste abbagliante su di noi,
brachette e canottiera per la calda temperatura, partiamo in bici
da Marcarà, seguiamo per un paio di km la strada in direzione
Huaraz, attraversiamo il Rio Santa ed entriamo subito in Cordillera Negra. Percorriamo dunque per 1.100 mt. di dislivello e
una trentina di km. una bellissima strada sterrata e tortuosa sulla
Negra, eccellente balconata naturale da cui si gode di completa
vista sulla Cordillera Blanca.
Giungiamo all’apice della morbida altura di Contuyoc e nonostante i nostri altimetri e la cartina segnino 3850 mt. di quota,
sembra incredibile, ma qui coltivano grano, siamo ancora immersi in colori brillanti e la natura è prosperosa: ci si perde volentieri
in questo tappeto sgargiante di macchie fiorite variopinte e nel
verde intenso delle colline (tutte ben oltre i 3000 mt !!) che ci attorniano con floride foreste; di fronte a noi invece il riverbero dei
ghiacci eterni della Cordillera Blanca ci inchioda a sé stupefatti…
si sprecano foto, filmati, commenti elettrizzati e l’entusiasmo per
aver scelto quest’anno le Ande Nord Peruviane sale alle stelle !
Tra le tante e incantevoli alture che ci si porgono innanzi in questa
generosa arena, svetta su tutte, con “matronesca” imponenza, il
massiccio dell’Huascaran che, raggiungendo i 6.768 mt. s.l.m., è
la più alta montagna del Perù. Poco più a nord, altrettanto candido ma più slanciatello il Nevado Huandoy (6.395 mt.): le sue
3 cime, disposte in meraviglioso arco, cingono l’enorme bianco
plateau di neve che si cala fino a lambire i pascoli sottostanti e
visto da qui pare s’incontri coi ghiacci dell’Huascaran. Invece i
due monti son divisi dalla famosa Quebrada (letteralmente significa “spaccatura”, cioè valle) di Llanganuco che s’inerpica fino a
quota 4.767 mt: fra qualche giorno pedaleremo proprio lassù !
Paghi di questa visione, ridiscendiamo a Marcarà: Stefano, Riccardo e Frabrizio (i miei soci pedalatori) tagliano ogni tornante
scomparendo decisi in “sgarrupati” e ripidi sentieri; io li seguo
finché… SBHAMM ! mi “inzucco” di schianto contro un masso…
Coscia e gomito sbucciatelli mi riporto tranquilla sulla stessa
strada percorsa in salita cominciando seriamente a pensare di
mettere … solide rotelle alla mia MTB !!!
Lunedì 26 Maggio finalmente partiamo per la prima parte del
nostro itinerario: “circumpedalata” dell’Huascaran; salita a piedi al
Pisco (5.752 mt.); ascesa a pedali nella Quebrada Paron fino al
lago omonimo e ritorno a Marcarà... non vediamo l’ora d’immergerci nell’ammaliante scenario che ieri abbiamo solo assaporato
da lontano ! Poiché tale percorso in MTB è lungo 360 km. per
7.745 mt. di dislivello più un’altra quarantina di km. a piedi per circa 2000 mt. di salita, sul furgone viaggiano tende, viveri, pignatte,
sacchi a pelo, materassini, ricambi delle bici (catena nuova, smagliacatena, fili e pastiglie freni, pedali, fili cambio, copertoni, camere d’aria, brugole, pinze e attrezzi vari…) ed altro materiale da
montagna, tutto quanto custodito da Alvaro e Gianandrea nostri
attivi accompagnatori armati di telecamera e …. canna da pesca
! Le acque, che siano fiumi tortuosi o morbidi laghi, si sprecano in
Cordillera Blanca, quindi speriamo che i soci non-pedalatori acchiappino trote da grigliare la sera in tenda….molto easy-riders,
no ?!
Bé, tornando ai pedali, da Marcarà in pochi chilometri di asfalto
siamo a Carhuaz (2.650 mt.), villaggio “muy muy lindo” arioso,
bancarelle arcobaleno, gente accogliente e da qui inizia la salita
della Quebrada Ulta che in una sessantina di km. ci porterà ai
4.890 mt. del Passo di Punta Olimpica: tutta sterrata ci “shakeriamo” a puntino con gli innumerevoli sobbalzi ! Nel bel percorso
attraversiamo altri minuscoli villaggi dai nomi musicali (Amashca,
Shilla, Huaypan) e il tempo che scorre lento come in epoche antiche: donne in gonnelloni sgargianti, poncho multicolor e immancabile cappellone nero in testa filano mollemente la lana sedute sul ciglio della polverosa mulattiera vegliando pecore, capre,
maialetti secchi come levrieri nello smeraldo di questi sconfinati
pascoli. I bimbi in magliettine sdrucite, capelli arruffati e il solito
naso che cola ci gridano “buenos dias” e qualcuno ci rincorre….
Oh ma non vanno a scuola qui ??!
Tra le diverse sfumature di verde di boschi e praterie, appaiono
come artistici schizzi d’autore i fucsia, i gialli, i lilla, i turchesi o i
rossi dei fiori con nomi folkloristici che mi è impossibile rammentare…. Ma la cosa che più sbalordisce è che da tutta questa florida
“equatorialità”, balzan fuori, quasi fossero fotomontaggi, altissime
punte ghiacciate, enormi panettoni colmi di nevi come morbide
meringhe, brillanti creste e bianchi contrafforti ! Strepitose queste
Ande, STRE – PI – TO - SE !
Allegri e “gasati” anche nel riparare quel paio di forature che non
si fan troppo attendere, giungiamo nel pomeriggio ad un’ampia
spianata a 4000 mt. bagnata dal Rio Ulta in cui Alvaro getta l’amo,
ma…per stasera niente grigliata di trote!
Piantiamo qui le tende intanto che il cuoco già fa bollire l’acqua
per un corroborante tè di coca (non la bevanda dolce, scura e
gasata… ) con biscotti e in men che non si dica il caldo e la luminosità del giorno, cedono il passo al freddo e al bruno della notte
anche se son solo le 18,30, ma vicino all’Equatore è così tutto
l’anno, non ci sono le nostre lunghe e chiare serata estive.
Così l’inizio notte in tenda segna zero gradi, ma col tepore del
corpo si riscalda veloce e il sonno non si fa attendere.
Le luci dell’alba svelano il biancore del Nevado Ulta (5.875), del
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BLANCAZZURRA:
dal bianco dei ghiacciai della Cordillera
all’azzurro dell’Oceano in bici
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Chopicalqui (6.354 mt.) e del Huascaran che incombenti sopra
noi fendono il blu ardesia: sotto l’effetto “narcosi” di tale bellezza
ripartiamo senza rammentare i bruciori al fondo schiena e l’indolenzimento dei muscoletti, ma tutti proiettati alla cima Coppi
di oggi, il Passo di Punta Olimpica a 4890 mt., pedaliamo certi
di godere di altre fantasmagoriche messe in scena di queste effervescente natura.
Non ci sembra di far fatica se non dopo alcune ore quando….
ma tòh che sensazione strana ci accomuna: gambe di ghisa,
fiato strozzato, testa “intontolita”…. Uhè ciclisti, che succede??!!
Ahaa bè… Uno sguardo attorno e un occhio all’altimetro ed ecco
la spiegazione: c’è neve a bordo strada, è tutto brullo….siamo a
4700 mt. ! Mentre più in basso riuscivamo a stare sui 9-10 km
all’ora senza ammazzarci di fatica, qui è già tanto se con sforzo
erculeo teniamo i 4 per far si che il contachilometri non vada in
“sciopero” nonostante le ruote girino!
Sempre dell’O.M.G. ed altrettanto bella ed operativa la fabbrica
del vetro e l’”atelier” dei maestri vetrai che creano vetrate dai
mille colori davvero incantevoli.
Alle 9 ripartiamo in bici toccando i paesucoli di Acochaca,
Sapcha, Wreconcocha con tanti bimbi Quechua che ci rincorrono e dove altri volontari O.M.G. realizzano cose bellissime (allevamenti di bestiame; formaggi; maglioni di alpaca, mobili….!) e
sono gentili nell’invitandoci a soste appetitose.
Attraversando il passo di Pupash (4.050 mt) giungiamo a Yanama (3400 mt.) e il paesaggio della tappa odierna, profondamente
diverso da quello dell’alta quota di ieri, torna ad essere morbido,
amplissimo, ricco di acqua e multicolor: come non concordare
con la guida Lonely Planet quando scrive che: ‹‹ la Cordillera
Blanca è situata là dove i superlativi si esauriscono nel tentativo
di catturare la meraviglia del luoghi. ››?
Giovedì 29 Maggio ci vede nuovamente battaglieri nel superare
Portachuelo de Llanganuco, valico a 4.767 mt. e – nonostante
tutte le sere laviamo accuratamente le bici - ancora una volta si
rende necessario un pit-stop lungo il percorso per togliere l’eccesso di polvere, fango, sabbia che impasta e blocca catene e
pignoni paurosamente secchi e sinistramente cigolanti. Scovolino alla mano si procede con minuzia alla spazzolatura a secco
(non abbiamo acqua) e successivo velo d’olio buono: non tanto altrimenti si riappiccica sporcizia in un batter d’occhio. Ci si
conferma l’importanza di queste operazioni quando pochi giorni
dopo sotto sforzo lungo l’ennesimo “mortirolo”: “STACK!!!!!”…
secca e dolorosa come una frustata, la catena di Michael è miseramente spezzata ! Solo io, unica donna del gruppo, ho lo
smagliacatena, ma è normale: è della donna previdente non
mancare mai di niente, ih, ih, ih !
Eppure quando ci superano due grosse jeep coperte di scritte
cubitali “Perù Aventuras” e due morettoni “muy guapos” ci filmano, siam bravissimi a fingere d’essere più tonici di Contador vittorioso…. Per fortuna sono solo brevi istanti perchè, scomparse
le jeep, ci vengono i “balordoni” e ci vuole la tenda ad ossigeno
per ripigliarci dallo sforzo !!!
Poi finalmente una spaccatura fra due torrioni e lo sguardo riesce a bucare il confine su un’altra vallata: ecco raggiunta la
Punta Olimpica ! Uno dei miei compagni si stende al suolo per
crampi e subitamente è soccorso dall’altro che gli tira la gamba,
ma in pochi minuti siam di nuovo tutti schierati sorridenti, pollici
al cielo, per le foto di rito. Ci attende ora un’incredibile discesa
di 30 km e 1530 mt. di dislivello tra laghi e pascoli fatta di talmente tanti tornanti ripiegati su sé stessi che pare un gigantesco
interminabile intestino (non sarò poetica ma rende l’idea...) e ci
porterà nella pregevole piccola Chacas (3.360 mt) dove ceneremo abbondantemente e pernotteremo comodi nella bella casa
dell’Operazione Mato Grosso.
Tornando alla salita: il cielo si fa bigio gettando nebbie che velano l’usuale spettacolo; in pochi istanti l’abbigliamento estivo è
supportato da uno più pesante sempre presente nei nostri zainetti. Dai quasi 4.800 mt. di Portachuelo caliamo in picchiata ai
3.800 del campo di Yuraq Corral al bordo delle acque cobalto di
Llanganuco.
Anche qui discesa sterrata chilometrica e mozzafiato con innumerevoli tornanti strettissimi che obbligano a rumorose frenate,
virate a 180° e immediato affondo sui pedali per riprendere velocità in un’ilare gara dove il migliore è sempre l’acrobatico Nero
(Riccardo) che prima dei dossi ci ha abituati a: urlo di Tarzan che
risuona nella Quebrada, compressione sulla bici per caricarla e
distensione di slancio in funambolici salti con aerea “scodata”
laterale! Ci trascina tutti a fare altrettanto e io ovviamente che
non mi tiro indietro, quando mi alzo quei 5 cm. dal suolo mi sembra già di aver messo le ali anche senza tentare la “scodata”
aerea…non oso pensare dove mi stamperei !
Un vento gelido mentre montiamo le tende a Yuraq Corral ci
ghiaccia, ma il nostro cuoco è sempre operativo nel preparare il
bollente tè di coca per riscaldarci.
Nei due giorni seguenti cambiamo sport e attrezzatura: lasciamo
solo momentaneamente il ciclismo per intraprendere l’Andinismo
indossando imbraco, piccozza, scarponi, ramponi e giacche a
Il terzo giorno (28 Maggio) prima di partire visitiamo l’ospedale di Chacas voluto, costruito, reso attivo e lindamente tenuto
dall’O.M.G. e i suoi innumerevoli volontari provenienti dall’Italia
ad aiutare i Peruani.
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vento pesanti. Legati in cordata partiamo dal Rif. Perù (4.680
mt.) alle 3 di notte e risaliamo i pendii ghiacciati del monte Pisco
verso la vetta a 5.752 mt. con l’aiuto di un’altra guida Peruviana,
Raul, ma a quota 5.400 una tormenta di neve fredda gli entusiasmi e ci rimette sui nostri passi nonostante stanotte ci avvolgesse una volta straordinariamente imbiancata di stelle.
In alta quota e così prossimi all’Equatore il tempo è talmente
bizzarro che nella stessa giornata facciamo pure bagni di sole in
costume a 4.500 mt. ai bordi di un laghetto “menta e ghiaccio”
delizioso: oggi, da meno 4 gradi sul Pisco, fino a più 30 gradi di
Caraz, avremo uno sbalzo termico di più di 30°.
Riprese le bici a 3.800 mt. - dove nel frattempo erano state custodite da un peruviano ovviamente a pagamento – godiamo
l’ennesima divertente discesa fino a Caraz adagiato a 2.300 mt.
Nei 3100 mt. di dislivello negativo di oggi, abbiamo visto quasi
tutte le fasce geoclimatiche, dalle nevi eterne del Pisco di stamattina, giù alle pietraie desertiche d’alta quota, fino alle foreste
prosperose passate per giungere a Caraz.
Il 2 Giugno il sole caldissimo riaccende i colori e ci accompagna
nella salita alla Laguna Paron (4.200 mt.), celeberrima fra Alpinisti e Andinisti e teatro di preparativi per impegnative ascese
alle vette che l’attorniano tra cui spicca l’incanto della Piramide,
perfetto triangolo bianco di 5.885 mt. e la magnificenza dell’Artesonraju, pannoso e rigonfio di ponfi nevosi fa venir voglia di
tuffarcisi, ma coi suoi 6.025 mt. è terreno solo per esperti.
Da lassù torniamo pedalando a Marcarà - lasciata 8 giorni fa concludendo il primo dei giri previsti.
Il nostro originario programma ci voleva a riposo il 4 Giugno,
ma.... “Avremo tempo tutta l’eternità per riposare!” (diceva, dolcissima, Madre Teresa) e non abbiamo proprio voglia di fermarci
quando là intorno c’è tanto paradiso ciclabile che ci attende !
Quindi percorriamo 40 km in salita lungo la Quebrada Honda
(da non perdere!) cercando il Lago Pucaranracocha a 4.200, ma
raggiunta quota 4.400 dove delle miniere d’oro ci sbarrano la
strada chiediamo informazioni ad un giovanotto che ogni 20 metri sceglie un sasso, lo vernicia completamente di bianco con un
pennellino, sul bianco traccia un perfetto riquadro rosso e dentro
il riquadro scrive i km. in cifra….ogni 20 metri…santa pazienza
! Ci dice che abbiamo sbagliato strada, ma che c’importa: anche qui è magnifico ovunque butti lo sguardo….eccetto che…
si, la su quel tornante, che c’è? Un vitellino giace morto stecchito con pozzetta di sangue alla bocca e…cos’è quest’ombra che
copre me e Riccardo nonostante il cielo sia terso ?! Un condor !
Mamma mia quanto è gigante, che apertura d’ali !! “Nero Nero
aiuto, aiuto scappiamo!” urlo atterrita già immaginandomi scene
alla Walt Disney Production: il pennuto predatore che con fare
preistorico si avventa su di me, mi piglia per lo zainetto coi suoi
unghioni e mi solleva in volo ciondoloni qua e là per il suo prossimo banchetto ! Per scappar di lì le gambette mi roteano talmente
vorticose che se fossi collegata ad una dinamo illuminerei il Perù
per settimane… e intanto Nero si piega in due dalle risate !
Il 5 Giugno ripartiamo da Marcarà per la Quebrada Ishinca fino al
Rifugio omonimo a quota 4.350: non ho vocaboli capaci di renderne l’incanto della vallata e dell’ambiente attorno .… non c’è segno
di cedimento nel risplendere di questa bellezza Andina. Toglie il
fiato.
Tuttavia non posso fingere di non vedere che i campesinos che
vivono su questi monti, non hanno i miei stessi occhi e la mia
meraviglia nel guardarli: per loro queste alture significano freddo,
fatica, inaccessibilità, fame… neanche sanno cosa sia il turismo
o lo svago.
Arrivati al Rifugio dell’O.M.G. veniamo a conoscenza di un incidente sul Tocllaraju (6.034 mt.) occorso a tre francesi: pare abbiano fatto un volo di 40 mt. dentro un crepaccio! Attendiamo,
c’è subbuglio, le notizie si susseguono incerte finché vediamo
comparire dal ghiacciaio un folto gruppo di persone che scortano
una barella trasportata a spalle. In mattinata una guida francese con due giovani sposini in viaggio di nozze, passando su un
ponte di ghiaccio lo hanno rotto cadendoci dentro. La giovane
donna ha perso i sensi, gli altri due son riusciti a trascinarla fuori
da un varco sottostante; due guide peruviane che erano in zona
hanno dato l’allarme via radio e dalla tendopoli attorno al rifugio
sono partiti diversi alpinisti a dare una mano portando la barella
prelevata dal rifugio. Sono le 19 e la giovane completamente immobilizzata dentro la barella viene adagiata sul tavolone davanti
al camino del rifugio in attesa che altri portatori salgano dalla valle
per sostituire quelli stanchi che l’hanno trasportata fin qui: non
esistono elicotteri del soccorso qui in Perù. La ragazza giungerà
nell’ospedale di Huaraz in tarda notte e per fortuna sapremo poi
che se la caverà.
Nonostante queste premesse la notte stessa partiamo per la vetta
dell’Ishinca (5.530 mt.) a piedi: la raggiungiamo in mattinata sotto
un cielo blu che all’orizzonte s’inarca seguendo la sfera terrestre,
tutti i ghiacciai più belli della Cordillera attorno, laghi malachite e
indaco nelle valli. Non esistono effetti speciali né pellicole Hollywoodiane che reggano il paragone con Madre Natura !
Uguale incanto ci accoglie il giorno successivo dalla vetta dell’Urus
(5.495 mt.) discesi dalla quale riprendiamo le bici per sfrecciare
a Marcarà: Nero, per la prima volta da quando lo conosco, becca
male un sasso e con salto mortale in avanti atterra su schiena con
MTB che gli piomba addosso un attimo dopo… Non c’è dubbio,
il trofeo “Rotella d’Oro” della vacanza passa insindacabilmente a
lui anche se Fabrizio, caduto quasi da fermo mentre scattava una
foto e distruggendo la macchina fotografica stessa (della morosa
peraltro !!), ci aveva messo impegno per tenerlo !
Nei prossimi due giorni cambieremo panorama perché scenden-
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BLANCAZZURRA:
dal bianco dei ghiacciai della Cordillera
all’azzurro dell’Oceano in bici
do dai monti ci attende l’Oceano Pacifico dal quale distiamo 300
km. La partenza è sempre da Marcarà, nostra “base logistica” e
pedalando verso nord per un’ottantina di km. ci inoltriamo nella
discesa del Cañón del Pato... senza dubbio particolare: si pedala in questa strettissima gola dove in alcuni punti si hanno 1000
mt. di burrone a lato e laggiù in fondo il Rio Santa che corre
orrido e nero.
Ma 100 km di polvere con una cinquantina di tunnel bui come
la pece che obbligano alla lampada frontale per non sbattere
contro le pareti, unica nuance il grigio delle pietraie desertiche,
tutto tetramente spoglio… rivoglio le Ande ! Dopo 160 km. dalla
partenza in questa landa triste, arida e disadorna, troviamo finalmente uno spiazzo per piantare le tende ed estenuati, impolverati, affamati ci fermiamo e sbraniamo tutto ciò che ci capita
fra le mani: panini con marmellata insieme a pezzi di formaggio
grasso e cubetti di grana con qualche quadretto di cioccolato, il
tutto innaffiato da mezzo litro di yogurt da bere alla vaniglia, seguito da abbondante porzione di pasta… ma con tutto ‘sto sport,
com’è che non dimagrisco, diamine?!
Martedì 10 giugno: ultimo giorno di pedalata, sigh ! Anche oggi
tappa lunga da 140 km. di cui 50 sterrati per raggiungere la Panamericana che è asfaltata quindi più ciclabile, ma ovviamente
trafficata e pericolosa. Viaggiamo filanti uno dietro l’altro e un
centimetro davanti a me, in una frazione di secondo, Stefano
sbatte violentissimo contro un sasso (checcapperi ci fa li ??!!)
e si ribalta tanto repentino quanto agghiacciante mentre io per
miracolo non lo stiro sotto le ruote e: oddio stavolta l’abbiamo
perso !! Invece, per grazia, sebbene dolorante, riesce pian piano
a “scartocciarsi” e rialzarsi. Gomito e coscia sbucciate, botte e
ammaccature qua e la: lo cospargiamo d’acqua ossigenata e
ghiaccio spray, ma con quella ruota anteriore a “gimcana” per
lui purtroppo a pochi km dalla meta, la pedalata ha fine….siamo
tutti con te Stefano!
Con Nero e Fabrizio precediamo finché finalmente appare la periferia di Trujillo, nostra meta finale, e l’Oceano: ce l’aspettavamo
blu e bianco di onde spumose, invece è tutto grigio, avvolto in
una cappa di smog e calore…
Raggiungiamo la nostra ultima dimora peruviana dopo 17 giorni,
934 km. e 18.895 mt. di dislivello in salita esplorati grazie alle
nostre gambette: possiamo essere soddisfatti… per ora !
Anche questa volta abbiamo percorso un bellissimo viaggio assieme dove il passo più difficile non è nessuno dei “passi Andini”
superati, ma quello di rompere gli indugi e mettere meno alla
realizzazione di ciò che più desideriamo.
Grazie di aver condiviso questo affascinante viaggio, un abbraccio, Steppo.
T E S T I M O N I A L S
INFORMAZIONI UTILI
QUANDO PARTIRE PER IL PERU’ - STAGIONI PERUVIANE:
primavera: da settembre a dicembre
estate: da dicembre a marzo
autunno: da marzo a giugno
inverno: da giugno a settembre
Comunque data la posizione australe appena sotto le Equatore,
in Perù si danno 2 periodi climatici principali:
il secco (da Maggio a Settembre) e il piovoso (da Ottobre ad
Aprile).
La stagione per fare questi viaggi è dunque da Maggio a Settembre: la temperatura può scendere attorno agli ero gradi di notte e
raggiungere i 30 di giorno.
PERCORSO ALTIMETRIA:
OMG CASE INDIRIZZI – SITO WEB: http://www.rifugi-omg.org/
it/rifugi_o_m_g.html
NOSTRE MTB:
tutti e 4 abbiamo pedalato con MTB Front, prediligendo dunque la leggerezza rispetto al confort di una full, questo perché
ci aspettavano molti km. con molto dislivello, quindi meglio la
leggerezza. E’ vero che le strade erano al 95% sterrate, ma essendo senza tratti tecnici e/o con salti e grossi balzi, abbiamo
ritenuto non necessario usare una full.
ABBIGLIAMENTO:
2 completi da bici estivi ed uno invernale sono stati sufficienti
perché siam sempre riusciti a lavarli e farli asciugare intercambiandoli. Indispensabili giacca antivento, guanti, calze e quanto
per coprirsi sia durante i giorno se non c’è il sole, sia per le serate e nottate in tenda. Mai dimenticare il casco !
Nello zainetto in spalla non devono mancare indumenti pesanti;
barrette energetiche e un litro da bere.
RICAMBI e ATTREZZATURA BICI:
pedali, copertoni, camera d’aria e fast per forature, catena, file
e pastiglie freni, fili del cambio, pompa forcelle, pompa gomme,
chiavi, brugole, pinze per smontaggio e rimontaggio bici.
FARMACI:
per autosufficienza noi abbiam portato gli usuali antinfiammatori,
antidolorifici, medicazioni varie, un antibiotico generico, antidiarroici e un farmaco contro il mal di montagna.
Nel prossimo numero, Stefania ci porterà in un viaggio intorno
al Garda
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T E S T I M O N I A L S
M onica Casiraghi, la lavoratrice vincente
intervista a Monica Casiraghi
2004, Monica Casiraghi diventa nota anche fuori dalla stretta
cerchia dei praticanti. Undici maratone corse, otto vinte!, Poi
vittorie in quattro 50 km, due gare in montagna in Svizzera
di 80 km, il campionato italiano della 100 km Firenze-Faenza
seconda all’europeo a Mosca e prima al mondiale a Taiwan.
Poi nel 2009 con il Mondiale a Bergamo, Monica brilla in una
squadra femminile che nella 24 ore ottiene il primato italiano
di squadra, l’argento a squadre e il bronzo personale. Nel
2010, a Brive, in Francia, medaglia d’argento ai Mondiali di
corsa “24 ore”, percorrendo l’incredibile distanza di 231 Km
e 390 metri
mio corpo, erano allenamenti e regimi alimentari da fai da te.
Riesci ad allenarti tutti i giorni?
Sì, mi alzo alle cinque, e via, alle cinque e mezzo, fino al lavoro.
Nove ore in officina meccanica, poi di nuovo a correre.
E dove ti alleni?
Sulle nostre colline, intorno a Missaglia. Poco asfalto, sto attenta
alle articolazioni.
E hai ancora tanti progetti.
Sì, a Novembre torno ai mondiali della 100 km, si terranno allo
stretto di Gibilterra. Li ho già vinti, ma voglio rimettermi in gioco.
Noi corriamo proprio per niente, non ci sono soldi, è la voglia di
rimettersi in gioco che ti stimola, ti sospinge, ti fa anche amare la
fatica. Le fatiche che facciamo noi..beh, fammelo dire, niente di
paragonabile a quello che anno i calciatori. E poi ci sono i sogni,
non solo gli obiettivi. Come pe esempio il deserto…correre nel
deserto. Certo, lì avrei bisogno di un aiuto, sono avventure che
costano, comunque.
Corri tutti i week end?
Sì, gareggio sempre. Ho fatto delle 24 ore, sono arrivata a 231
km, ma posso fare meglio. E poi le corse in montagna, ho appena
fatto la Monza-Resegone, con gli amici. La voglia è sempre
tantissima.
Monica, 42 anni, il fisico regge ancora meravigliosamente.
Sono fortunata, non ho mai avuto infortuni, magari adesso
ho delle settimane no in cui giro meno bene, ma il fisico è a
posto, anzi forse adesso lo conosco meglio, con la nazionale
sono seguita da un dietologo, ho fatto dei test su intolleranze
alimentari. E mi sembra che certe attenzioni diano risultati, mi
sento sempre meglio. Anni fa vincevo ma sperimentavo tutto sul
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L a mia 100 Km del Sahara
di Daniela Gilardi
Ero partita decisa per vincerla questa “100 Km del Sahara”
ma questa volta sono riuscita a sorprendere anche me stessa
perché una vittoria così nemmeno io me la sarei immaginata.
Il deserto mi ha sempre affascinata, forse perché rispecchia un po’ il
mio carattere, e la 100 Km del Sahara era un modo per abbinare la
mia grande passione per la corsa alla possibilità di viverlo per qualche
giorno. Il fatto di aver per tanto tempo rimandato la mia partecipazione
a questa gara aveva fatto crescere in
me l’entusiasmo e mi aveva dato la
carica giusta per prepararmi al meglio.
I mesi precedenti la gara erano stati
davvero intensi, a volte mi chiedevo dove
trovassi, dopo tanti anni, ancora la voglia
e la forza per sopportare certi allenamenti,
ma le sensazioni fisiche e i risultati mi
davano ragione di continuare a crederci.
I giorni prima della partenza un’infinità
di timori e di paure mi assalgono, poi
finalmente arriva il grande giorno, le
prime incredibili emozioni di correre
sulle dune, la lotta contro il forte vento
di sabbia nella prima gara e poi i
colori, il silenzio e dentro di me un
senso di pace quando, guardandomi
attorno, vedo solo distese infinite.
Una gara direi perfetta, conclusa senza
il minimo problema fisico, 4 tappe gestite
nel migliore dei modi: la prima di 23 km,
la seconda di 16 km, sempre al comando,
ma cercando di non forzare più del dovuto.
Dopo le prime 2 tappe ho già 8 minuti di
vantaggio sulla 2^, la spagnola Aguileira.
Al campo tutti mi dicono “ormai è fatta” ma per me non è così scontato,
la tappa successiva è di 42 km e su una distanza così può succedere di
tutto, fra l’altro ho saputo che la spagnola è forte sulle lunghe distanze.
Potrei controllare la sua gara, ma non è nel mio stile, parto decisa
a una media di 5’ al km, vorrei quasi rallentare un po’, mi sembra
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azzardato tenere questo ritmo su questo percorso, ma le sensazioni
sono più che buone. Il fondo del terreno cambia continuamente, a
tratti è compatto e sassoso poi improvvisamente ti trovi a sprofondare
nella sabbia soffice, reggo bene anche questi continui cambi di ritmo,
riesco a forzare sul duro e a correre agile e leggera sulla sabbia. Gli
ultimi chilometri sono davvero duri e massacranti, arrivo al traguardo
abbastanza provata, ma decisamente soddisfatta, chiudo con il tempo
di 3h 39’, siamo partiti in 175 e prima di me
solo 6 uomini hanno già concluso la gara.
L’ultima tappa è di 21 km, non ho mai
corso il giorno dopo una maratona e
mi chiedo come possa reagire. Gli 11
minuti di vantaggio sulla seconda mi
tranquillizzano, mi basterebbe fare la gara
su di lei ma ancora una volta parto in testa,
le gambe girano ancora bene e allora via!
Fino al 15° km il terreno è misto,
sterrato con continue lingue di sabbia
da attraversare, ma da lì in poi ci aspetta
una lunga serie di dune da superare.
Sono ancora lì con gli uomini che lottano
per le prime posizioni, m’invidiano,
dicono che con il mio “peso piuma”
sembro danzare su e giù per quelle
dune di sabbia finissima, lo spettacolo è
magnifico e le emozioni si moltiplicano.
Là in fondo si vede una grandissima
porta bianca, è la porta del deserto,
una volta superata ne saremo fuori, poi
dopo soli 2 km arriveremo al traguardo
nell’oasi di Douz. Mentre mi avvicino
un nodo mi si ferma in gola, vorrei
fermarmi, vorrei non oltrepassarla
e restare ancora un po’ in questo mondo che per alcuni
giorni mi ha dato un immenso senso di pace e di serenità.
Al traguardo mi aspettano e mi accolgono con entusiasmo, dentro di
me una grande soddisfazione per la vittoria, un’infinità di emozioni
indimenticabili e la sensazione che quello che avevo fatto in questi
giorni andava oltre il gesto atletico e la prestazione sportiva.
Oltre alla forza fisica avevo sentito un’intensa forza interiore,
ero partita sola per quest’avventura, il pensiero degli amici
e delle persone a me più care e la voglia di non deluderli mi
avevano dato una carica in più, e avevo sentito un’ulteriore
energia arrivare da lontano, nel ricordo di alcuni amici che dal
cielo mi avevano accompagnata in questa incredibile “impresa”.
Non mi sono mai vantata o esaltata per quello che ho fatto, questa
volta però, su quel traguardo ho alzato gli occhi al cielo e mi sono
sentita grande!
Daniela
Daniela Gilardi