Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004

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Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004
OTTO SIMBOLI MONGOLI
Capitolo XXV
“Alla corte di Bokassa”
La temperatura andava diminuendo a quell’ora del pomeriggio.
Si stava bene nello spiazzo erboso, all’ombra degli alberi che
inclinavano i rami verso l’acqua del grande fiume.
Elena guardò Irbis, l’uomo più sorprendente che aveva mai incontrato,
come se lo vedesse per la prima volta.
“ Un giorno mi dirai in quale paese non sei stato in missione e
immagino che si possano contare sulle dita di una mano sola. Adesso
raccontami
dell’Africa,
ti
prego”,
gli
disse
assestandosi
più
comodamente sul sedile della sua auto.
“ Nel marzo del 1978, a bordo di un Tupolev cargo, insieme a quattro
meccanici russi atterrai all’aeroporto di Bangui, la malconcia capitale
del Centroafrica, porto fluviale del fiume Lubanghi, principale affluente
del fiume Congo che segna il confine tra la Repubblica centroafricana
e l’ex Zaire.
Trasportavamo, smontati in diversi container, tre elicotteri Mil Mi 24
Hind A che l’“imperatore” aveva chiesto di acquistare con urgenza.
Questa fretta improvvisa aveva meravigliato molto il nostro Ministero.
Ma, poiché costituiva un approccio di rilevante interesse per noi,
furono superate tutte le perplessità anche quelle
relative alla
particolare forma di pagamento proposta.
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La squadra dei meccanici doveva rimontare e rendere operativi gli
elicotteri nel più breve tempo possibile. Io, sotto il nome di Aleksandr
Kljuev, partecipavo come esperto istruttore dei futuri piloti di quegli
elicotteri. Lo scopo della mia missione era quello di riuscire a capire
se era variata la situazione nei riguardi della Francia. E cercare di
instaurare un dialogo diretto con Bokassa allo scopo di aprire futuri
rapporti diplomatici e commerciali.
Fummo accolti all’aeroporto da un colonnello dell’aeronautica locale
che ci accompagnò in una villa non lontana dal Palazzo Imperiale.”
-------------------------------------------------------------“ Dietro mio ordine, dopo pochi giorni, i tecnici erano riusciti a rendere
operativo il primo elicottero. Annunciai al colonello Idrisu che ero
pronto a compiere il primo decollo davanti all’imperatore.
Il giorno del collaudo, preceduto da una squadra di poliziotti su potenti
motociclette, Bokassa arrivò a bordo di una Citroen bianca dai vetri
fumè. La sua divisa kaki era sovraccarica di decorazioni, tra le quali
risaltava
la
Legion
d’Onore,
ricevuta
per
il
suo
valoroso
comportamento a Die Bien Phu, quando militava con il grado di
sergente nella Legione Straniera. Si degnò di sorridermi, scoprendo
una dentatura smagliante: forse risistemata a Parigi dal dentista di
Giscard d’Estaing che lui chiamava “fratello” e che gli aveva
sovvenzionato la famosa incoronazione di stampo napoleonico l’anno
precedente. Inutile che te la racconti poiché, di certo, conoscerai i
reportage giornalistici che sono stati fatti. In ogni caso fu definita una
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colossale pagliacciata senza precedenti: degna, questa sì, del
Guinness dei primati.
Decollai insieme al colonello Idrisu e seguii tutte le evoluzioni
prescritte per dimostrare le caratteristiche di quel mezzo corazzato da
combattimento di ultima generazione. Le prove di fuoco sarebbero
avvenute in un successivo volo in zona idonea.
Quando atterrammo, fui portato al cospetto di Bokassa. Il quale si
complimentò con parole di lode per me, devo dire con dignità
“imperiale”, esprimendosi in un perfetto francese. Il giorno dopo,
tramite il solito colonnello, ricevetti l’invito a un ricevimento a Palazzo.
--------------------------------------------------------------Un caldo equatoriale ammantava di umidità il parco dove fontane
illuminate zampillavano alti getti d’acqua. La grande villa, ammobiliata
fastosamente con pesanti mobili impero, era anch’essa degna di
bonapartesca memoria.
Jean Bedel Bokassa, sempre in divisa, grondava decorazioni e
patacche. Devo ammettere che possedeva una notevole “verve”.
Erano conosciute le sue battute su Giscard e i racconti sul loro
straordinario rapporto.
“ Ero il suo guardiacaccia: veniva nel mio paese e abbatteva decine di
elefanti, “comme un foux”. Prima di ripartire, si serviva, affondando il
braccio fino al gomito, nell’orcio in cui tenevo i diamanti
e se ne
riempiva le tasche.”
Non altrettanto ilare, però, si dimostrava riguardo a una presunta
liason tra Giscard e l’imperatrice Catherine, la più importante delle sue
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trenta mogli, dalle quali aveva avuto e riconosciuto cinquantacinque
figli. Famoso per la sua dispendiosa prodigalità al limite della follia, al
suo Ministro del Tesoro che gli prospettava la disastrosa situazione
economica, asserendo che nelle case dello Stato non c’era più un
soldo, disse “ cretino, che cosa aspetti a stamparli.”
Non toccai la cena servita in giardino poiché le voci sui banchetti a
base di ragù cucinato con carne infantile mi ossessionavano. Voci che
credo fossero abbastanza infondate. Comunque preferii astenermi
prudentemente dall’assaggiare i manicaretti serviti su enormi vassoi
dorati.
A un certo punto, il colonnello Idrisu mi presentò una ragazza
francese, minuta dall’abbondante capigliatura ramata, sciolta sulle
spalle nude. Indossava un abito da sera di lucida seta verde come i
suoi occhi.
“ E’ il nostro miglior specialista di malattie tropicali e si occupa di
mantenere in buona salute la numerosa famiglia imperiale”, specificò il
colonnello prima di affrettarsi verso il gruppo che circondava Bokassa
e la bellissima Catherine, l’imperatrice dai lineamenti asiatici.
Alexandra de Lys, laureata alla Sorbona, era una ventiseienne
avventurosa che non aveva esitato a correre quell’esperienza africana
alla corte di Bokassa. Prestava le sue cure anche all’interno
dell’ospedale civile della capitale e abitava in una piccola villa non
lontana dalla mia. Era arguta, intelligentissima,
russa da parte di
madre e aveva ereditato dal padre, discendente da un’aristocratica
famiglia francese, il proverbiale mal d’Africa.
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In breve, ci intendemmo subito e ci innamorammo quasi senza
rendercene conto.
Nei giorni seguenti, i meccanici misero a punto gli altri due elicotteri e
io iniziai il corso di addestramento ai piloti che avrebbero dovuto
manovrare i Mil Mi 24 Hind A. Devo dire che non erano così duri di
comprendonio come mi ero immaginato. E, ammaestrati alla più
rigorosa osservanza degli ordini superiori, pena severissime punizioni,
non si perdevano una sillaba delle mie “lezioni”.
Furono due mesi assolutamente straordinari. Vivevo nella casa di
Alexandra e dopo il primo periodo di addestramento ai piloti, il
colonnello Idrisu ci offrì, a nome di Sua Maesta Imperiale, alcuni giorni
di safari fotografico nella savana. In quell’occasione, ebbi modo di
vedere dal vivo le immagini abusate da film e documentari sulla vera
Africa. Devo dire che vivere a contatto diretto con quella natura
popolata da animali di incredibile e selvaggia bellezza è, come logico,
ben diverso che ammirarli nel più spettacolare degli schermi. Non si
può paragonare il concerto notturno di ugole feroci, udito dal vivo, a
quello che si può ascoltare nel documentario più magistralmente
realizzato.
Al ritorno, Alexandra, con circospezione imbarazzata, mi disse di
essere rimasta incinta, ma che non dovevo preoccuparmi per lei
poiché aveva deciso di essere una ragazza madre indipendente.
Senza che le avessi confidato nulla della mia vera identità, aveva
capito bene che nella mia vita di allora non c’era posto per un menage
familiare dato che a breve io sarei ritornato in Russia. Mi disse che il
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cognome “de Lys” sarebbe andato benissimo per il bambino che
intendeva assolutamente tenere. Insomma aveva deciso tutto da sola
e io avevo poco da aggiungere. Devo ammettere che ci rimasi male.
Avevo ventotto anni e non ero abituato alla psicologia femminista che
evidentemente aveva contagiato quell’affascinante ragazza francese.
Ma non ebbi il tempo di riflettere sul fatto che sarei diventato padre.
La notte seguente al nostro ritorno a Bangui accadde il finimondo.
Approfittando dell’assenza di Bokassa, in viaggio in Libia per una
visita a Gheddafi, un commando di duecento uomini della Legione
Straniera, occupò i punti strategici del potere: palazzo imperiale,
ministeri e radio.
Tutto era stato deciso da tempo da Giscard d’Estaing che,
preoccupato dagli eccessi di Bokassa, aveva deciso di rimettere al
potere, con una sorta di governo democratico, David Dacko, cugino
precedentemente spodestato dal dittatore.
Nel frattempo, bande di oppositori al regime dittatoriale di Bokassa si
scatenarono in una serie di eccessi: caccia ai fedeli dell’imperatore e
arresto immediato di tutti i cittadini stranieri presenti a Bangui.
Fummo internati in un campo di raccolta provvisorio insieme ai miei
tecnici. Privi di denaro e documenti, che ci erano stati confiscati dagli
insorti, assistemmo alla sparizione di molti internati che prima
avevano subito interrogatori pesantissimi e torture. Noi fummo
risparmiati e lasciati da parte in quanto uno dei miei piloti africani, che
era stato incamerato dal Commando dei legionari, si presentò al
campo e, facendo valere il suo grado di capitano pilota, riuscì a farci
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uscire da quell’inferno e con una jeep ci trasbordò subito all’aeroporto.
Fummo imbarcati in fretta e furia su un aereo in partenza per
Kinshasa, capitale dello Zaire, dove l’ambasciata francese ci raccolse
e, dopo alcuni giorni di riposo e di cure per gli stress subiti, rivestiti
con panni decenti, ci spedì a spese del Ministero degli Esteri francese
a Parigi.
Restai nella casa di Alexandra, alla periferia della Ville Lumiere, vicino
alla strada che porta a Fontainebleau, un paio di settimane. Poi
dovetti far ritorno a Mosca. Non sapevo che avrei rivisto quella
straordinaria ragazza soltanto tre anni più tardi: quando mia figlia
Mireille, una bambina di ormai ventisei mesi, dai lineamenti molto
orientali, mi venne incontro con allegra naturalezza come se mi
avesse sempre conosciuto. Da allora il rapporto con Mireille è rimasto
uguale. I nostri incontri in Francia sono sempre stati improntati
all’affetto e a una sorta di strana confidenza: assolutamente inusitata
poiché abbiamo potuto frequentarci pochissimo.
So che lei mi considera un padre dalla vita romanzesca e, da sempre,
è abituata a pensare a me come a un essere che la protegge da
lontano.
Alexandra, che ha sposato un diplomatico francese quando Mireille
aveva cinque anni, le ha impartito un’educazione cosmopolita, aiutata
dal fatto che hanno vissuto viaggiando fino a quando Mireille si è
iscritta all’università.
E’ tutto.”
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Elena, che aveva sempre taciuto durante quel lungo racconto,
sembrava ancora assorta nel ricordo di quelle scene africane vissute
da un Irbis non ancora trentenne.
Quella parentesi di vita lo rendeva più “normale”, meno leggendario.
“ Adesso quando rivedrai tua figlia?”
“ Non lo so. Ma il nostro rapporto quasi telepatico non ne soffre. Lei
non mi aspetta. Però sa che un giorno, in un momento qualunque, mi
vedrà arrivare.”
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