Barcamp Palazzo Vecchio

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Barcamp Palazzo Vecchio
IL DIRITTO DI SBAGLIARE
Parlare di contemporaneità a Firenze è diventato un esercizio di stile. Peggio: è diventato un obbiettivo. Un fine ultimo.
E dunque fa piacere che il mandato della nuova amministrazione cittadina e del nuovo assessorato alla cultura abbia
posto un momento di discussione –peraltro dislocato su piattaforme contemporanee, appunto- come punto di partenza
dell’azione di governo invece che come punto di arrivo. Nell’auspicio che si parta dalle parole per arrivare a dei fatti.
Quale è la necessità di Firenze in questo momento? Scrollarsi di dosso la patina grigia e degradata di una città incapace
di rinnovarsi, in grado di affossare qualsiasi proposta di avanguardia (e di buon senso), pronta financo a considerare
scempi quegli elementi urbanistici (un tram, una nuova entrata di un museo) che altrove sono –banali- simboli di
sviluppo, di progresso, di civiltà.
Occorre cambiare passo in maniera radicale. Inversione a U delle pratiche, delle scelte, dei punti di riferimento, delle
persone. Soprattutto delle modalità operative. Occorre innanzitutto farla finita di porsi nella condizione del non fare. Per
quanto riguarda l’arte contemporanea e per quanto riguarda l’architettura contemporanea. Partiamo da quest’ultima.
SULL’ARCHIETTTURA. In una tendenza che pare essere irreversibile, l’Italia sta innamorandosi sempre di più del
suo passato disinteressandosi completamente del proprio futuro. In architettura questo trend suicida prende sembianze
grottesche. I risultati di un immobilismo per quanto riguarda l’architettura contemporanea sono danni incalcolabili:
abitazioni vecchie, che consumano dieci volte quanto necessario, skyline che non mutano mai, landmark che non
esistono, turismo di qualità che ti volta le spalle, soprintendenze onnipotenti al di là di ogni ragionevolezza. Il nuovo
sindaco e il nuovo assessore alla cultura della città sono due ragazzi, chi meglio di loro può mettere da parte la paura di
sbagliare che ha caratterizzato le amministrazioni precedenti e che è il denominatore comune minimo (molto minimo)
di tutta la scuola politica italia? La fuga in avanti di Renzi per quanto riguarda la loggia di Isozaki è confortante. Brutta
o bella che sia la proposta dell’architetto giapponese, l’essenziale è che si faccia qualcosa. Purchessia. A questo ci
dovevano portare decenni di passatismo: al costruire nuova architettura purchessia. Facciamo qualcosa anche se
sbagliato. Sfregiamo con pugnalate anche male assestate la cappa di immobilismo e grigiore che asfissia le nostre città,
Firenze in testa. A Roma la nuova Ara Pacis di Meier è brutta, probabilmente. Ma sapeste quanto ha fatto del bene
(anche alle casse comunali, per l’aumento del turismo e per i biglietti di ingresso: decuplicati).
I progetti sono tanti, gli architetti pronti a lavorare in città (Foster, Nouvel..) non mancano di certo. Se è vero come è
vero che occorre una nuova stagione, questa non può che passare dalla creazione di nuovi segni nel paesaggio urbano.
L’architettura contemporanea, ancor prima (molto prima) dell’arte contemporanea, può avere il ruolo fondamentale di
rieducare gli occhi dei cittadini obnubilati dalle ricostruzioni “in stile” di una sangimignanizzazione che ti prende e di
mangia da dentro come quei cancri che si scoprono solo quando è troppo tardi per porre rimedio. Il Comune dovrà
appoggiare progetti (saranno soprattutto privati) e dovrà far quadrato quando arriveranno le immancabili bordate dei
polemisti di professione. Per questo occorre una classe dirigente nuova, preparata e lucida. Una classe dirigente che sia
straconvinta che un Renzo Piano ha la stessa identica dignità –o magari anche qualcosa di più- di un Ammannati o di un
Bramante. E che questi non sono migliori di default solo perché morti da tanti anni.
Sfruttiamo questo canale aperto dall’assessore Da Empoli per gettare sul tavolo consigli, anche pratici. E allora il
consiglio è quello di sfruttare la formidabile chance che la recente legge regionale sul Piano Casa dà alle
amministrazioni comunali in tema di sostituzione abitativa. Detto in soldoni? Abbattere e ricostruire: si crea ricchezza,
lavoro, si risparmia energia, si abbatte l’inquinamento in maniera inimmaginabile e si fa fuori una delle più brutte
periferie d’Italia sostituendola con qualcosa magari non di ‘bello’, ma per lo meno di accettabile e di contemporaneo.
Un emendamento comunale alla legge regionale potrebbe, poi, puntare sulla qualità. E sul coinvolgimento, nei progetti,
dei giovani studi di cui Firenze è sorprendentemente ben dotata.
E poi si tuteli, si valorizzi, si proponga come meta turistica, come obbiettivo di visite guidate, come palcoscenico e
quinta per eventi, tutta quell’architettura contemporanea che pur in città già esiste. Ad oggi il cittadino medio fa la
seguente equazione: la miglior architettura contemporanea in città è la Stazione \ la Stazione è tenuta uno schifo \ ergo:
l’architettura contemporanea fa schifo; o comunque non merita rispetto, considerazione, non ha autorevolezza ed è
inferiore rispetto a quella antica. Più diseducativo di così...
Mentre scriviamo Firenze è surclassata per quanto riguarda l’architettura contemporanea addirittura da Scandicci.
C’è o non c’è da intervenire con urgenza spazzando via passatisti, soprintendenze e sepolcri imbiancati?
SULL’ARTE CONTEMPORANEA. Nel mondo dell’arte contemporanea fiorentino ci si è specializzati da almeno
vent’anni a porsi in quella condizione del non fare di cui parlavamo sopra. Se ti poni l’obbiettivo di proporre arte
contemporanea in uno spazio che non c’è e che non ci sarà mai, ovviamente ti auto-castri. Ecco a cosa ha portato il
dibattito estenuante sul Meccanotessile, sulla Manifattura Tabacchi e sugli altri mille posti che, a Firenze, dovevano
trasformarsi nel miraggio del Centro d’Arte Contemporanea. La si faccia finita: il centro d’arte contemporanea non va
fatto. Non bisogna neppure parlarne. Gli anni novanta sono finiti e con loro è finita la mania di avere contenitori
purchessia. Viviamo una fase in cui è ben più importante il contenuto, il contenitore poi lo si trova. La città è dotata di
una serie di realtà che sono nelle condizioni di fare qualità, di saturare la richiesta (scarsa, ahimé) di arte contemporanea
dei turisti e dei cittadini stessi. Per tutto il resto prego accomodarsi sul Frecciarossa e si è in un’ora al MAXXI e in
mezz’ora al MAMBO. Non ce l’ha ordinato il dottore che ogni città italiana abbia il suo “centro”, possibilmente di
nuova architettura, possibilmente “internazionale”... Chi l’ha detto? L’importante è che l’arte contemporanea però ci
sia, esista nel dibattito cittadino, non sia considerata un orpello inutile e incomprensibile, che abbia i suoi punti di
riferimento e che dialoghi con la città dando ai fiorentini e ai turisti una sensazione di vivacità culturale in corso.
Vivacità che Firenze non ha avuto solo nel Rinascimento, ma che era sensazione diffusa fino agli anni Dieci del secolo
scorso.
Dunque come operare? In due direzioni: mettere a sistema ciò che già c’è, conferendo all’esistente dignità, visibilità
(nazionale e internazionale), ruolo in città e autorevolezza. E poi dare avvio (su-bi-to!!!) con un grande programma di
arte pubblica che, facendo il paio con il grande progetto di dotare la città di landmark architettonici contemporanei,
cambi non dico il volto di Firenze (qui nessuno propone rivoluzioni), ma la faccia percepire un tantino meno polverosa
e lugubre di come drammaticamente appare oggi (anche ai tour operator...).
Mettere a sistema, si diceva. Che cosa? Strozzina, Villa Bardini, Museo Marino Marini, il nuovissimo Ex3 e
sicuramente dimentichiamo qualcuno. Si tratta di spazi pubblici o para pubblici: ecco fatto il centro d’arte
contemporanea di Firenze. Si crei un unico sito, un unico logo, si metta in mano la comunicazione ad un’unica, capace,
agenzia, si doti questo nuovo ‘sistema’ di finanziamenti adeguati e di capacità di marketing per incamerare sponsor. In
mezza giornata potrebbe così colmare il gap con la gran parte delle città non diremo spagnole o tedesche, ma per lo
meno italiane si.
Qualcuno potrebbe obbiettare che verrebbe a mancare, con questo dispositivo, una vera collezione comunale d’arte
contemporanea da esporre in uno spazio museale. Ma il museo c’è, si chiama Firenze. Il contesto urbano che al mondo
(al pari solo di Venezia) è unanimemente considerato con una oscena locuzione: museo-a-cielo-aperto. Se abbiamo a
disposizione un museo a cielo aperto, dunque, non resta che riempirlo di opere. Ecco perché, come dicevamo,
dall’amministrazione comunale ci si aspetta un vasto programma dedicato all’arte pubblica. Gli esempi esistono, la
china si può invertire, le best practices si possono andare a reperire senza fare troppi chilometri: basti vedere cosa è
riuscita a fare Torino che ancora nei primi anni Novanta era un grigio capologuo industriale e che oggi è la città più
intellettuale e vivace del paese. La città dovrebbe inaugurare, in maniera sistematica, una grande opera d’arte
contemporanea pubblica all’anno. All’aperto, in luoghi cruciali di grande passaggio pedonale e/o automobilistico.
Coinvolgendo alternativamente un indiscutibile esponente internazionale ed uno italiano. Un anno uno e un anno l’altro.
Ci ritroveremo tra cinque anni con un assortimento probabilmente molto, molto diverso di cartoline nei negozi di
souvenir del centro... E avremo aperto gli occhi ai cittadini. Magari facendoli anche incazzare. Per il loro bene.
Mentre scriviamo Firenze è surclassata per quanto riguarda l’impegno sull’arte contemporanea addirittura da Lucca.
Senza interventi al mito di Atlantide, la città sommersa dalle acque, si aggiungerà per i posteri il mito di Firenze, la
città sommersa da se stessa.
INFRASTRUTTURE. Una nota a margine per quello che riguarda le infrastrutture. In una città ingolfata di traffico e
asfissiata di inquinamento manco fosse una megalopoli indiana, reti tranviarie, tunnel ferroviari o addirittura un buon
servizio di bike-sharing sono da considerarsi come opere d’arte che nessuno deve osar discutere. Il capitolo delle
infrastrutture e dei trasporti non può essere disgiunto da quello del generale rinnovamento
architettonico\artistico\culturale della città. E deve andare –spedito!- di pari passo. Alle squallidissime polemiche sul
tram davanti al Duomo si o sul tram davanti al Duomo no si ponga la semplice domanda: Giotto e il Brunelleschi, se
fossero vivi oggi, preferirebbero un tram silenzioso, pulito, tecnologico e veloce o l’orda dei suv puzzolenti che troppi
fiorentini continuano ad acquistare?
Intanto mentre infuriano le polemiche su tramvai e treni ad alta velocità, la città (anche qui) subisce l’abbandono del
turismo di qualità (che viene da paesi dove la sosta selvaggia è qualcosa di cui vergognarsi, non di cui andar fieri, per
dirne una...) e rischia di venire tagliata fuori dalla rete ferroviaria nazionale. Con conseguenze economiche solo
lontanamente immaginabili.
Mentre scriviamo Firenze è surclassata per quanto riguarda le infrastrutture addirittura da Perugia. C’è o non c’è
l’urgenza di procedere con la massima urgenza mettendo a tacere polemiche strumentali e trovando gli strumenti per
imporre ciò che è giusto e logico?
Fi, 9 luglio 2009
La redazione di Exibart.com