Due paraventi della guerra genpei

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Due paraventi della guerra genpei
Città di Torino
Fondazione Torino Musei
Compagnia di San Paolo
In collaborazione con
Regione Piemonte
Giappone
Due paraventi della guerra genpei
di Franco Ricca
Entrando nella prima sala della galleria dedicata al Giappone, nella quale sono
esposte preziose statue lignee buddhiste che documentano l’evoluzione della scultura
giapponese dal periodo Heyan agli inizi del periodo Edo, e in cui è ospitata fra
le altre una colossale figura di Kongo Rikishi (guardiano del tempio) del periodo
Kamakura, il visitatore si trova avvolto nella luminosità di grandi paraventi dorati
che interamente coprono due delle pareti. Sulla parete di fronte a chi entra è
disposta una coppia di paraventi a sei ante (ciascuno di 152 x 382 cm) che
mostrano dipinti con inchiostro, colori minerali e foglia d’oro gli episodi salienti
delle battaglie di Ichi-no-tani (1184) e di Yashima (1185)1 fra i due clan Minamoto e
Taira (Gen
e Hei, pronunciato Genpei). Le due battaglie precedettero lo scontro finale di
Dan-no-ura nel corso del quale annegò il giovanissimo imperatore Antoku e si
affermò definitivamente l’autorità di Minamoto-no Yoritomo come primo shogun.
Queste vicende sono descritte nello Heike monogatari, la più famosa delle opere
che in varie versioni raccontano la lotta fra i Taira e i Minamoto e in particolare
la sconfitta finale dei Taira. A partire dall’inizio del XIII secolo gli episodi che
la compongono venivano recitati per le vie dai cantastorie e a questi stessi episodi
si sarebbero ispirati più tardi il romanzo, il teatro e le arti figurative. La versione
più organica e completa dell’opera è probabilmente quella prodotta da Kakuichi
nel 1371 che raccolse il materiale tradizionale dandogli una forma di grande pregio
letterario2, stabilendo con ciò un testo di riferimento praticamente obbligato
per tutti i tempi successivi.
La coppia di paraventi (byobu) presenta una composizione molto simile a quella
della coppia conservata nel museo nipponico di Saitma che sono attribuiti alla
scuola di Kano Mitsunobu e databili al periodo 1615-1624. Anche la coppia di Torino
può essere assegnata alla prima metà del XVII secolo e va probabilmente
attribuita alla scuola Tosa, specializzata nella trattazione di temi storici e
tradizionali.
Al tempo della realizzazione di questi paraventi il Giappone era da poco uscito
da un lungo periodo di guerre civili e l’evocazione delle scene di battaglia godeva
di grande popolarità: dipinti di questo genere venivano generalmente commissionati
da famiglie di samurai a testimonianza del loro attaccamento agli ideali marziali
in un momento in cui i profondi cambiamenti in corso nelle strutture sociali
del Giappone ponevano in crisi il ruolo e il prestigio della loro classe.
I byobu (esatto corrispondente giapponese del termine italiano) rappresentavano
elementi funzionali dell’arredamento e a partire dal XV secolo l’abitudine di usare
paraventi in coppia divenne la norma. In particolare questi paraventi di grandi
dimensioni venivano impiegati nei complessi residenziali dell’aristocrazia, dotati
Museo d’Arte Orientale
via San Domenico 9 /11
10122 Torino
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di vaste sale, come pareti divisorie per delimitare gli spazi.
I paraventi a più ante in numero pari, ripiegabili lungo la linea di giunzione
dei pannelli, venivano sistemati in piedi disposti a zigzag e utilizzati come riparo
dalle correnti d’aria. Alla funzione pratica si accompagnava però sempre una
funzione estetica: i byobu sono soprattutto “dipinti” il cui discorso pittorico si
completava tenendo conto di entrambe le componenti della coppia che venivano
disposte nel verso da destra a sinistra. All’interno del contesto narrativo gli episodi
di maggiore rilievo occupavano generalmente la parte inferiore del dipinto (una
sorta di primo piano), mentre episodi meno importanti o spazialmente più lontani
trovavano posto nella parte alta che, in assenza di una vera prospettiva, suggeriva
comunque maggiore distanza e profondità secondo la tradizione dei dipinti cinesi.
Nuvole e sfondi dorati avvolgevano le scene raffigurate contribuendo a separarle.
Nella versione letteraria i vari episodi delle battaglia, pur rimanendo fedeli
ai lineamenti essenziali della realtà storica, venivano abbelliti con i ricami
dell’immaginazione. Nella traduzione pittorica lo stile dei combattimenti, nei quali
i guerrieri rivestiti di armature sfidavano i loro avversari in singolar tenzone,
consentiva di individuare nel racconto della lotta una serie di episodi epici ai quali
veniva conferito un pathos particolare. I dipinti appaiono quindi ispirati
dall’ammirazione per le gesta eroiche, conformi alle concezioni feudali del bushido
che riconoscevano quali principali virtù personali la lealtà, l’onore e il coraggio,
e che riconoscevano il suicidio come via onorevole per uscire da situazioni
inaccettabili per la propria dignità.
Nel primo dei due paraventi in qui presi in esame, dedicato alla battaglia di Ichino-tani, è dipinto il Palazzo Fukuhara dove i capi degli Heike discutono i piani
di battaglia: il sito fortificato di Ichi-no-tani era compreso fra la montagna al nord
e il mare a sud e gli Heike avevano eretto alte barricate che correvano dalla base
della montagna al mare. In basso a destra, poco al disotto del Palazzo Fukuhara,
è riprodotto l’attacco al forte da parte dei Genji guidati da Jiro Sanehira. Nel secondo
pannello da destra, in alto, è riprodotta la discesa di Minamoto-no Yoshitsune e dei
suoi seguaci dalla ripida scarpata di Hiyodorigo che colse di sorpresa gli Heike alle
spalle. L’impresa sembrava superiore alle possibilità dei mortali, ma tutti i tremila
guerrieri di Yoshitsune arrivarono al fondo del dirupo e misero a fuoco i quartieri
dei nemici che per salvarsi fuggirono verso il mare e i loro vascelli.
Nei primi due pannelli da sinistra, a metà altezza, è riprodotto un episodio
particolarmente famoso: Jiro Naozane, inseguendo gli Heike in fuga vide un
cavaliere isolato che l’armatura rivelava come un uomo di alto rango e lo richiamò
provocandolo allo scontro. Quando il cavalierre fu ritornato lo assalì e lo
immobilizzò ma, togliendogli l’elmo per decapitarlo scoprì che era un giovane
di soli diciassette anni, la stessa età di suo figlio: avrebbe voluto risparmiarlo,
ma gli altri suoi seguaci lo costrinsero a finirlo. Il giovane era Tayu Atsumori
un abile e gentile suonatore di flauto.
Nel secondo pannello da sinistra sono illustrati il mancato suicidio e la cattura di
Taira-no-Shigehira che, smontato dal cavallo ferito, si era slacciato elmo e corazza
e si accingeva a tagliarsi il ventre. Fermato dai Genji sopraggiunti fu l’unico dei
signori Taira ad essere portato prigioniero nella capitale. Dopo un lungo periodo
di sofferenze venne infine decapitato sulla riva del fiume Kotsu, presso Nara.
Gli Heike sconfitti si imbarcarono e presero il largo portando con sé l’imperatorre
Antoku. Alcuni furono portati a sud dal vento e dalle onde, altri viaggiarono ad ovest
lungo la costa, altri furono travolti dal mare ed affondarono. Così i fuggitivi si
indirizzarono verso spiagge ed isole diverse, avendo perduto con la caduta di Ichino-tani le loro illusioni e le loro speranze.
Nel secondo paravento, dedicato alla battaglia di Yashima, il primo pannello a
sinistra mostra in alto l’approdo delle navi di Yoshitsune a Katsuura, sulla costa
orientale dell’isola. di Shikoku. Le grandi vele tese e il bianco stendardo fluttuante
evocano il forte vento che aveva consentito alle navi di percorrere in sole sei ore
un tratto che normalmente richiedeva tre giorni di navigazione. Alla sommità
del secondo pannello è dipinto il forte di Sakuraba-no Suke Yoshito espugnato
dai Genji che costrinsero Yoshito alla fuga.
Poco più in basso, sugli stessi pannelli, è descritto il superamento del passo che
segna il confine della provincia di Sanuki, dove si trovava Yashima. Superato il passo,
Yoshitsune mise a fuoco il villaggio di Takamatsu e il fumo levatosi dall’incendio
rivelò agli Heike l’appressarsi del nemico. La parte inferiore dei pannelli mostra
il riversarsi dei Genji sulla spiaggia di Yashima.
Temendo di venire accerchiati, gli Heike si imbarcarono sui loro vascelli, il cui
schieramento è illustrato negli ultimi pannelli a destra del paravento. Al centro
dello schieramento è visibile il vascello imperiale dotato di un padiglione sotto
il quale siede il capo degli Heike, Taira-no-Munemori.
I pannelli centrali riproducono il contrattaco degli Heike che, montati su piccole
barche, tornarono ad impadronirsi della spiaggia. L’arciere ritto a prua di un barca
è Taira-no Noritsune, il governatore di Noto. Nella parte inferiore degli stessi
pannelli centrali sono dipinti i cavalieri Genji che fronteggiano il contrattacco,
guidati da Yoshitsune montato sul suo grande cavallo nero.
Sul quarto e quinto pannello da sinistra è illustrato il celebre episodio dell’arciere
Nasu-no Yoichi Munetaka che colpisce il ventaglio proposto come sfida alla sua
bravura da una giovane donna emersa dalla cabina di una imbarcazione che
al cader della sera si era staccata dai vascelli degli Heike. La freccia raggiunse
il ventaglio e lo spezzò: per un momento fluttuò nell’aria, poi bruscamente cadde
in acqua e galleggiò sulla cresta delle onde negli ultimi raggi del sole al tramonto.
La parte più alta del quinto pannello illustra un assalto dei Genji contro duecento
Heike che erano minacciosamente sbarcati a riva. Guidati da Yoshitsune ottanta
cavalieri si precipitarono su di loro ricacciandoli in mare.
Le diverse scene dipinte su questi due paraventi mettono dunque a fuoco, nelle
grandi battaglie che dovevano approdare allo stabilirsi per la prima volta di una
egemonia militare estendentesi all’intero paese, una serie di episodi passati alla
leggenda e certo corrispondenti ai passi più noti e più frequentemente recitati
e cantati della grande composizione epica. Nella versione letteraria che lo Heike
monogatari fornisce del crollo della famiglia Taira è tuttavia possibile riconoscere
come elemento unificante un sentimento che vede in quella tragedia una conferma
della vacuità delle ambizioni umane e dell’inconsistenza delle cose terrene,
sentimento che è già chiaramente espresso nelle parole iniziali dell’opera:
Nel suono della campana
del monastero di Gion
c’è l’eco della
caducità delle cose umane.
1 Ichi-no-tani si trova nella provincia di Settsu, lungo la costa settentrionale
della baia di Osaka. Yashima sulla costa nord-orientale dell’isola di Shikoku.
2 Helen Craig McCullough: The tale of the Heike, Stanford University Press, Stanford, California 1988.