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Alla ricerca dell’armonizzazione dei conflitti organizzativi interni all’impresa ANGELO BONFANTI∗ Abstract Ripercorrendo l’evoluzione del concetto di conflitto organizzativo nel tempo, il lavoro intende porre in evidenza come qualsiasi contrasto interno all’impresa non debba essere inteso solo in modo negativo, ma anche come opportunità da sfruttare. Si analizzano le cause di tensione, che possono essere di tipo tecnico-organizzativo e/o socio-relazionale, e si mostra come queste ultime influiscano costantemente sulle prime. Inoltre, si esamina il modo con cui si manifestano le ostilità, che in base alle conseguenze generate danno luogo al conflitto costruttivo o a quello distruttivo. Particolare attenzione è dedicata, infine, al processo di armonizzazione in cui fondamentale risulta il ruolo del manager, proprio perché attraverso il suo comportamento e l’esperienza accumulata nel tempo può riequilibrare la tensione creata. Key words: conflitto organizzativo, comunicazione interna, armonia This work traces the evolution of the concept of organizational conflict over time and emphasizes that any conflict within the firm should not be regarded just as a negative fact, but rather as an opportunity to be taken advantage of. The analysis focuses on the possible causes of tension, which may be both of a technical-organizational type and/or a socio-relational kind, and demonstrates how the latter constantly influence the former. Moreover, the paper examines the ways in which hostilities manifest themselves and, according to the consequences they produce, generate either a constructive or a destructive conflict. Finally, particular attention is given to the manager’s key role in the harmonization process, in the sense that through his/her behaviour and experience, he/she might be able to relieve the generated tension. Key words: organizational conflict, internal communication, harmony ∗ Dottorando di ricerca in “Dottrine Economico-Aziendali e Governo dell’Impresa” Università degli Studi di Napoli “Parthenope” e-mail: [email protected] Desidero rivolgere un sincero ringraziamento al Prof. Claudio Baccarani e al Prof. Federico Brunetti, oltre che per il sostegno ricevuto, per i preziosi suggerimenti e le significative osservazioni critiche. Naturalmente, la responsabilità di eventuali errori e inesattezze è da attribuire esclusivamente all’Autore. sinergie n. 68/05 76 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI 1. Il divenire del conflitto organizzativo interno all’impresa In un’ottica organizzativa è possibile considerare l’impresa come un sistema di relazioni1, al cui interno operano persone che intrattengono quotidianamente rapporti professionali e sociali per svolgere il proprio lavoro. Da tale affermazione deriva inevitabilmente la possibilità che contrasti, divergenze e discussioni, a volte anche animate, caratterizzino la realtà lavorativa2. Occorre, perciò, riconoscere, convogliare e “sfruttare” al meglio i conflitti, invece di volerli eliminare o, peggio, fingere che non esistano3. Il concetto di conflitto nel corso del tempo è notevolmente cambiato, passando da una concezione negativa ad una positiva4. Infatti, il modello organizzativo aziendale diffusosi negli anni Sessanta e Settanta prevede uno svolgimento routinario delle attività lavorative e considera negativamente il verificarsi di situazioni conflittuali, che si tentano di eliminare e combattere con tutti i mezzi a disposizione, non appena esse si manifestano5. In seguito ad alcune trasformazioni strutturali6 gli studiosi di management 1 2 3 4 5 6 In tal senso, cfr. DI RACO A., L’impresa simbolica, Sperling & Kupfer, Milano, 1997, nella cui prefazione (pag. XIII) l’Autore sostiene che le imprese “sono sostanzialmente una rete di relazioni fra individui”. Inoltre, chi volesse trovare spunti per ulteriori riflessioni su tale tema può consultare BACCARANI C., “Le parole dell’impresa che verrà”, Intermezzo in GIARETTA E., Business ethics e scelte di prodotto, Cedam, Padova, 2000. Il concetto di inevitabilità riferito ad un conflitto è da ricondursi a COSER L.A., The functions of social conflict, The Free Press of Glencoe, New York, 1956. A tali interpretazioni del conflitto, definite anche come innovativa l’una e tradizionale l’altra, si era già giunti tempo addietro. A tal riguardo, si possono vedere, tra gli altri: KELLY J., “Make conflict work for you”, Harvard Business Review, July-August, 1970; BROOKLYN D., “Il conflitto: una risorsa trascurata”, Organizzazione aziendale, n. 9, 1975; KRAMER H., “Il manager e «l’aureo mezzo»”, Organizzazione aziendale, n. 8, 1975. In tal senso cfr. ISOLABELLA M.C., “Il conflitto e la cooperazione”, in COSTA G., NACAMULLI R., Manuale di organizzazione aziendale. Vol. 3. I processi, i sistemi e le funzioni aziendali, UTET Liberia, Torino, 1997, in cui l’Autrice propone, attraverso una rassegna delle teorie organizzative, alcuni modelli storici di descrizione del conflitto. Cfr. HODGE B.J., ANTHONY W.P., Organization theory, Allyn and Bacon, Boston, 1991. Si fa riferimento al fatto che il fattore umano assume nel tempo sempre maggiore importanza, tanto da mutare radicalmente la struttura organizzativa, divenuta più flessibile e dinamica, e proiettata alla ricerca del decentramento decisionale. Diversamente dal passato, anche il lavoro non è più solo un fattore di produzione, ma diventa sempre più un fatto sociale, in cui le relazioni tra persone assumono notevole rilevanza, essendo esse stesse direttamente coinvolte nella realtà organizzativa in cui operano. I dipendenti avrebbero così la possibilità di esprimere le proprie idee ed opinioni, di sentirsi integrati nel proprio lavoro, ma ciò comporta anche risvolti negativi, quali i rischi di compiti svolti doppiamente, di confusione di ruoli e di conseguente non coordinamento. Tali motivi incrementano il manifestarsi di conflitti interni all’impresa, ANGELO BONFANTI 77 comprendono invece che il conflitto può essere un’opportunità di confronto e di chiarimento7. Nasce così una cultura d’impresa orientata a favorire un’atmosfera d’insicurezza psicologica produttrice di tensioni, generata dall’aver intuito la possibilità di “guardare” i conflitti in modo diverso, attraverso altri punti di vista, cercando in altre parole di trovarne il lato positivo8. Tuttavia, favorire l’insorgere di situazioni conflittuali può rivelarsi alquanto dannoso. “La situazione ideale è quella in cui è presente un livello salutare di conflitto controllato e contenuto”9. In tal modo si scopre che il conflitto può avere una duplice valenza: una negativa ed una positiva. Infatti, a seconda che si ignori o meno il disaccordo, gli effetti conseguenti al suo manifestarsi possono essere, rispettivamente, svantaggiosi o vantaggiosi. In riferimento a tale considerazione, è curioso notare come in lingua cinese la parola conflitto, rappresentata graficamente dai due seguenti ideogrammi (“wej” e “ji”), assuma il duplice significato di “pericolo” e di “opportunità”. 7 8 9 per di più non gestibili attraverso norme chiare e precise come avveniva in passato, ma attraverso approcci più flessibili e adattabili alle diverse circostanze. Tale mutamento è contraddistinto anche dalla difficoltà di saper gestire a livello individuale alcune capacità emotive ed atteggiamenti dei singoli individui, quali l’ansia, la fiducia in se stessi e negli altri, la pazienza, l’incostanza, l’assunzione di responsabilità e la disponibilità alla collaborazione. Tra gli Autori che sono dello stesso parere: COSTANTINI R., CARSO R., Negoziazione: come trasformare le tecniche negoziali in abilità istintive, FrancoAngeli, Milano, 1993, che alle pagg. 50-51 sostengono quanto segue: “In realtà, il conflitto interno è la fonte principale di innovazione continua e di adattamento ai cambiamenti esterni. […] L’assenza di tensioni interne genera monoliticità, ma anche autocompiacimento (se le cose vanno bene) o depressione (se vanno male). In entrambi i casi si arriva alla stagnazione e al declino”. Proseguendo in tal senso altri Autori affermano: “togliete il conflitto e toglierete l’incentivo ad evolvere, a migliorare”. Cfr. JANDT F.E., Winner contro winner, FrancoAngeli, Milano, 1990. Al riguardo numerosi sono i contributi presenti in letteratura. Per approfondimenti è possible vedere, tra gli altri: COSER L.A., The functions of social conflict, op. cit.; MARCH J., SIMON H., Organizations, Wiley, New York, 1958; WHITE H., “Management conflict and sociometric structure”, American Journal of Sociology, n. 67, 1961; PONDY L.R., “Organizational conflict: concepts and models”, Administrative Science Quarterly, n. 12, 1967; DEUTSCH M., “Productive and destructive conflict”, Journal of Social Issues, n. 25, 1969; RHENMAN E., STRÖMBERG L., WESTERLUND G., Conflict and cooperation in business organizations, Wiley, London, 1970; WARE J., BARNES L., “Managing interpersonal conflict”, in MAINIERO L.A., TROMLEY C.L. (a cura di), Developing managerial skills in organizational behaviour, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1994; BROWN L., “Managing conflict among groups”, in KOLB D.A., RUBIN I.M., OSLAND J.S. (a cura di), The organizational behavior reader, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1991; LEWICKI R., SPENCER G., “Conflict and negotiation in organizations: introduction and overview”, Journal of Organizational Behavior, n. 13, 1992; PONDY L.R., “Reflections on organizational conflict”, Journal of Organizational Behavior, n. 13, 1992. Cfr. JANDT F.E., Winner contro winner, op. cit., pag. 34. 78 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI Il conflitto come “pericolo” ed “opportunità” wej pericolo conflitto in cinese = ji opportunità Tuttavia, prima di esaminare nel dettaglio gli effetti di un disaccordo interno ad un’impresa occorre comprendere cosa si intende e quali siano le motivazioni che possono condurre alla nascita di un conflitto organizzativo. Diverse sono state le definizioni attribuite al termine conflitto nel corso del tempo10, e si propone di seguito una sintesi di significato cui si è giunti: il conflitto è una divergenza di opinioni che, in quanto tale, genera un’alterazione emotiva a sua volta nascente da uno scontro di vedute tra loro antitetiche. Il carattere dell’emotività fa percepire che non si può pensare al conflitto organizzativo come ad un contrasto sorto per motivi legati esclusivamente all’attività lavorativa svolta da singoli individui o da un gruppo all’interno dell’impresa. Le persone in quanto tali hanno costantemente bisogno di relazionarsi tra loro, ed è inevitabile che avvengano scontri causati da questioni di natura tecnico-organizzativa e socio-relazionale, sintetizzate in figura 1 e di seguito analizzate singolarmente. = Conflitto ORGANIZZATIVO Conflitto TECNICOORGANIZZATIVO + Conflitto SOCIORELAZIONALE Fig. 1: La natura del conflitto organizzativo: tecnico-organizzativa e socio-relazionale Fonte: Ns. elaborazioni 10 Tra le diverse definizioni riscontrabili in letteratura di seguito se ne propongono solo alcune ritenute significative. “Il conflitto è considerato una situazione disgraziata che tende a sparire autonomamente in presenza di circostanze positive”. Cfr. GARETH M., Images: le metafore dell’organizzazione, FrancoAngeli, Milano, 1989, pag. 192. Il conflitto è inteso come “interferenza di una parte con gli obiettivi di un’altra”. Cfr. DEUTSCH M., The resolution of conflict, Yale University Press, New Haven, 1973. Il conflitto è “una lotta rispetto a valori o rivendicazioni di status, potere e risorse scarsi nella quale l’obiettivo delle controparti consiste nel neutralizzare, comprimere o eliminare il rivale”. Cfr. COSER L.A., The functions of social conflict, op. cit., pag. 8. Altri lo definiscono con qualsiasi attività attraverso la quale “gli uomini lottano tra di loro per raggiungere un qualsiasi obiettivo”. Cfr. MACIVER R.M., Group relations and group antagonism, Smith, New York, 1951. ANGELO BONFANTI 79 Il conflitto tecnico-organizzativo è legato alla struttura e/o alle procedure da seguire. In particolare, occorre che ad ogni persona siano assegnati un ruolo, un compito ed un obiettivo, nella loro definizione ed implicazione, chiari e precisi. Per evitare situazioni di disaccordo di tale natura è, inoltre, utile che chi assegna ai propri collaboratori le attività da compiere si assicuri prima di tutto di aver dato risposta alle seguenti domande: chi fa che cosa? quando ed entro quando? come? dove? che priorità hanno? Infatti, uno dei casi più frequenti di tensione interna si manifesta quando non sono chiare le risposte ai quesiti suddetti, ossia quando viene affidato un compito ad una persona che, però, non sa di doverlo eseguire, entro quando deve essere svolto, con quale modalità, in quale luogo ed in base a quale priorità. A supporto di tali considerazioni si propone di seguito un breve ma significativo dialogo tra due colleghi, indicati con le lettere A e B, che discutono per incomprensioni nascenti dal non essere stati chiari nel distribuirsi l’attività da svolgere: A: “Hai protocollato quei documenti?” B: “No, non toccava a me! Lo dovevi fare tu!” A: “Ma no. Credevo di avertelo detto! Ora come faccio! Mi servono assolutamente entro un’ora!” B: “Ecco sei sempre il solito. Credevi, ma non me l’avevi detto!” Ad aggravare tale situazione, di per sé contenente già i presupposti di una prossima tensione, sono spesso la fretta e la disorganizzazione con le quali si svolgono i compiti assegnati. In tal modo non si pensa alle necessità del momento, e si cerca di fare più del dovuto e tutto in una volta, rischiando di trascurare le attività importanti. È perciò opportuno definire le priorità, ad esempio, in base al grado di importanza e di urgenza, capendo quali compiti risultano indispensabili e qual è la necessità di averli eseguiti velocemente11. In questo modo si evitano altre cause di conflitto organizzativo, quali i lavori svolti due volte, quelli inutili, quelli già fatti da altri o da se stessi e che richiedono ulteriore attenzione ed impegno per ripeterli. Il manifestarsi del conflitto socio-relazionale, invece, dipende da cause legate al modo personale di rapportarsi con gli individui coi quali si lavora12, trasmettendo dalla vita privata all’ambito lavorativo quei contrasti che emergono a livello individuale. Così dal punto di vista intrapersonale, situazioni di tensione possono nascere per: - ragioni di insoddisfazione, ossia di ricerca di bisogni e desideri personali, che possono condurre in ambito organizzativo a tensioni dovute alla diversità di aspettative, 11 Dalla riflessione delle priorità emergono così le attività che devono essere svolte, quelle che possono essere rimandate, ma che vanno comunque eseguite personalmente, quelle che vanno delegate e quelle da non fare. Cfr. CATTANEO G., Il manager influente, Edizioni Angelo Guerini, Milano, 1996 e BUCCI C.A., Le ragioni del conflitto, Cedam, Padova, 1992. 12 80 - ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI motivi di incompatibilità, che portano all’inosservanza delle comuni regole di interazione13, alla non corrispondenza tra ruolo ricoperto e competenze personali, e a richieste eccessive da parte dell’impresa; cause di insicurezza personale, che fanno sorgere rifiuto, timore e disapprovazione, creando pesanti difficoltà di integrazione col gruppo di lavoro, col quale diviene di conseguenza complicato instaurare un senso di appartenenza ed un clima di attiva partecipazione. Nelle interazioni interne all’impresa l’ottica intrapersonale di un singolo si scontra con quella degli altri soggetti coinvolti, ed emergono ulteriori elementi di tensione di natura interpersonale. A tal riguardo, si possono considerare: - le diversità a livello personale-caratteriale14, tra cui si possono includere l’incompatibilità di carattere, i pregiudizi, le differenze di età e di sesso, il non rispetto della privacy, la cultura e le esperienze di vita differenti, che sortiscono in ambito organizzativo con: - la formazione di sottogruppi, - l’esclusione di un membro dal gruppo di appartenenza, - la disobbedienza alle regole informali di interazione, - l’adozione di uno stile di leadership autoritario, con a volte abuso di potere, - una continua divergenza di opinioni e di valori; - l’uso non corretto degli elementi di comunicazione, come il non rispetto del punto di vista altrui e l’uso errato degli atteggiamenti verbali e non verbali, che si traducono in: - problemi di mala informazione e/o rottura delle regole di comunicazione, - equivoci ed errori di interpretazione, - critiche pubbliche. 13 A tal proposito, Edelmann propone una classificazione delle regole di interazione, suddivise in norme di aiuto, di integrazione stretta, che riguardano terzi e che concernono i compiti da svolgere. Cfr. EDELMANN R.J., Conflitti interpersonali nel lavoro: analizzarli e risolverli senza aggressività né passività, Erickson, Trento, 1996, pagg. 17-19. Per quanto riguarda la diversità si rivela interessante lo studio condotto da Roy Lilley sulle personalità degli individui definiti “difficili”, identificabili in sette tipologie: l’ostile, la lagna, l’indifferente silenzioso, il superaccodiscendente, il negativo, il saccente e l’indeciso. Cfr. LILLEY R., Lavorare con persone difficili, TEA, Milano, 2004, il quale riprende in alcune parti i lavori di BRAMSON R.M., Coping with difficult people, Anchor Press, New York, 1981 e LEWIS-FORD B.K., “Management techniques: coping with difficult people”, Nursing management, n. 24, marzo 1993. Tuttavia, non è da escludere che possano nascere contrasti anche per similitudine. Infatti, quando per esempio due persone caratterialmente analoghe tendono entrambe al perseguimento del medesimo obiettivo, si possono innescare meccanismi di contesa dettati dalla somiglianza nell’agire, ai quali si può anche associare un più o meno forte desiderio di prevaricazione sulla controparte. 14 ANGELO BONFANTI 81 Un aspetto da sottolineare riguarda, inoltre, i litigi sorti inizialmente per una comunicazione poco chiara o per una semplice incomprensione, ma sviluppatisi poi per una questione di relazione, cioè per il manifestarsi di aspetti incompatibili nei confronti della personalità della controparte. Oggetto della contesa sono, quindi, non più i dissensi nati dalla “cattiva comunicazione”, ma quelli sorti per incompatibilità di carattere15; - l’impatto delle emozioni, come i sentimenti feriti, i passati risentimenti, il pessimismo e l’apatia, che possono accompagnare l’uomo in tutto ciò che fa, portando in impresa la paura di sbagliare, l’ansia di non farcela, il timore di perdere il proprio ruolo, il desiderio di rivelare una confidenza e la possibilità di escludere un membro dal gruppo; - le motivazioni alla base del comportamento dei singoli soggetti, che possono essere di tipo: - opportunista, nel senso che gli individui sono orientati all’esclusiva ricerca del proprio interesse personale, molto spesso a spese degli altri, usufruendo di mezzi sleali come l'inganno, l'astuzia o la mancata rivelazione delle informazioni, - “anormale”, cioè derivante dall’eccessiva volontà di conoscere e/o non conoscere, di fare e/o non fare, non riuscendo però ad eliminare gli eccessi, ma dando luogo ad una condotta opposta all’inclinazione comune. Esempi sono la pigrizia, la superficialità, la superbia, l’invidia, l’eccessiva curiosità e zelo, l’indifferenza, la non curanza nel relazionarsi con le altre persone e l’incapacità di mettersi in discussione. Il conflitto socio-relazionale, quindi, è causato dall’interazione di queste quattro determinanti, raffigurate nelle sfere di figura 2. 15 Numerosi sono i contributi che in letteratura hanno affrontato il tema della dimensione relazionale caratterizzante la nascita di un conflitto. A tal proposito, si consigliano di seguito alcuni interessanti apporti in materia: BOMBELLI M.C., “La gestione dei conflitti come competenza manageriale”, Economia & Management, n. 6, novembre 1999 e BOMBELLI M.C., “I conflitti aziendali in filigrana”, Economia & Management, n. 1, 1992, la cui Autrice sottolinea che in ogni processo comunicativo sono presenti e convivono i seguenti due aspetti: il livello di contenuto, che indica il che cosa si sta dicendo e il livello di relazione, che riguarda il come viene detto; BONSANTE F., “Comportamento non verbale e comunicazione”, in GIOVANNINI D. (a cura di), Colloquio psicologico e relazione interpersonale, Carocci, Roma, 1998, in cui l’Autore suddivide la comunicazione in “due codici”: numerico, che si rifà al livello di contenuto, ed analogico, che rappresenta la metacomunicazione. Altri parlano di ciò ponendo a confronto i termini contrasto e conflitto, sostenendo che la loro differenza “non è sul piano quantitativo ma su quello qualitativo: il contrasto riguarda infatti i contenuti, mentre il conflitto si sviluppa sul piano della relazione”. Cfr. SCAGLIONE D., VERGNANI P., Manuale di sopravvivenza al conflitto, Full Vision, Bologna, 2000. 82 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI impatto delle emozioni diversità a livello personale caratteriale uso non corretto degli elementi di comunicazione Conflitto SOCIO RELAZIONALE motivazioni comportamentali Fig. 2: Le determinanti del conflitto socio-relazionale Fonte: Ns. elaborazioni Il conflitto organizzativo, tuttavia, non può scindere la dimensione sociorelazionale da quella tecnico-organizzativa, perché le persone che tutti i giorni lavorano a stretto contatto l’una con l’altra nel relazionarsi fanno emergere comportamenti di simpatia o di antipatia, di disponibilità o di intolleranza, di protagonismo o di emarginazione, di confronto o di scontro16, atteggiamenti la cui comprensione richiede un’inclinazione personale a capire i pensieri, le conoscenze e le emozioni di se stessi e degli altri. In tal senso, è possibile affermare che i conflitti socio-relazionali influiscono continuamente su quelli tecnico-organizzativi, come illustrato in figura 3. Conflitto SOCIO-RELAZIONALE influisce Conflitto TECNICO-ORGANIZZATIVO = Conflitto ORGANIZZATIVO Fig. 3: Il conflitto socio-relazionale influisce su quello tecnico-organizzativo Fonte: Ns. elaborazioni Tale legame viene di seguito esemplificato con un caso. Ad un dipendente, organizzato ed ordinato, è stato affidato un lavoro che deve essere svolto in tempi molto ristretti. Un suo collega entra in ufficio e con fare garbato coglie la sua 16 Al fine di indagare alcune situazioni aziendali in cui i colleghi d’ufficio cercano, anche in modo scorretto, di screditarsi a vicenda si può consultare ZOLA E., “Sgambetti aziendali”, Espansione, n. 2, 2003. ANGELO BONFANTI 83 attenzione. Comincia a chiedergli alcuni documenti, ed è così insistente che l’unico modo per allontanarlo è dargli ciò che desidera. Il tempo passa e l’ansia per il non riuscire a terminare in tempo il lavoro comincia a crescere. Finalmente il collaboratore esce dalla stanza, ed egli può riprendere la sua attività, disturbata da continue telefonate e da e-mail che arrivano richiedendo risposte urgenti. In questo modo egli commette alcuni errori e alla consegna del suo elaborato viene ripreso dal superiore per mancanza di organizzazione. Egli sostiene di essere in grado di organizzarsi, ma che sono gli altri a fargli perdere tempo. Comportandosi in tal modo però si è dimostrato incapace di gestire quel tipo di attività, mostrando poca professionalità ed inaffidabilità, facendo sorgere nel suo capo un senso di sfiducia, difficile poi da eliminare. Per tali motivi tra quel dipendente e il collega che gli “ha rubato il tempo” si crea una tensione, dovuta non solo a cause tecnico-organizzative, ma legata anche al livello relazionale di entrambi: l’uno poteva spiegargli che non era il momento giusto per dargli il materiale, e l’altro poteva capire la situazione, decidendo di andare a prenderselo più tardi. 2. La trasformazione del conflitto organizzativo da distruttivo in costruttivo A livello socio-relazionale e/o tecnico-organizzativo qualsiasi conflitto genera un disequilibrio all’interno dell’impresa, definibile col termine entropia17, la quale durante una situazione conflittuale aumenta sempre più, liberando un’energia unica, diversa da persona a persona, identificabile con i modi di dire, di fare e di porsi nei confronti della controparte, modi ai quali sono legate le emozioni che contraddistinguono la personalità del singolo. Tale energia può essere utilizzata in modo positivo o negativo dalle controparti, dando così luogo, rispettivamente, a conflitti costruttivi o distruttivi, i quali produrranno a loro volta effetti vantaggiosi o svantaggiosi. Di seguito si considerano singolarmente, ponendo prima l’accento sui disaccordi costruttivi e poi su quelli distruttivi18. 17 18 Il termine entropia deriva dal greco “en” (che significa “dentro”) e “trope” (indicante un “rivolgimento”) ed è stato coniato da Clausius per esplicitare il secondo principio della termodinamica. Essa, come sostenuto in letteratura, fa parte di ogni sistema, per cui è presente anche in tutte le realtà aziendali. A tal proposito, cfr. BERTALANFFY V.L., “Informazione ed entropia”, in BERTALANFFY V.L., Teoria generale dei sistemi, Mondadori, Milano, 1983, ripreso poi da BORGHESI A., “Sistemi e organizzazioni economiche”, Economia e politica industriale, n. 41, 1984. Per approfondire gli effetti positivi e negativi derivanti dall’emergere di un conflitto si possono consultare, tra gli altri: RUGIADINI A., Organizzazione d’impresa, Giuffrè Editore, Milano, 1979; EDELMANN R.J., Conflitti interpersonali nel lavoro, op. cit.; MAGINN M.D., “Risoluzione dei conflitti”, in MAGINN M.D., Creare il gruppo di lavoro, McGraw-Hill, Milano, 1998; POIANI M., Conflitto e cambiamento, 84 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI La diretta esplosione in una situazione conflittuale dipende molto da cause che, se esplicite ed evidenti, conducono immediatamente ad un litigio, con la conseguente possibilità di sanare subito quanto accaduto. Tale eventualità dipende in primo luogo dalle controparti che, nel porsi in discussione, cercano di assumere un rapporto di trasparenza, fiducia, rispetto e franchezza reciproca al fine di appianare le divergenze e ripristinare così un buon clima organizzativo19. In secondo luogo l’impresa stessa deve, attraverso la diffusione di una cultura interna aperta: - concedere alle persone la possibilità di esprimere le proprie idee, far capire che non si viene giudicati in caso di errore, ma solo criticati costruttivamente, consentire una comunicazione aperta ed un ascolto attivo e partecipe, in modo tale che i dubbi e le questioni irrisolte possano trovare la mancata soluzione, permettendo così di lavorare in una condizione di benessere interiore e di serena collaborazione. In letteratura20 tale tipo di disaccordo è identificato col conflitto costruttivo, così definito proprio per gli effetti di natura positiva che emergono a seguito dell’avvenuta comprensione da parte dei contendenti di dover affrontare insieme le incomprensioni, cercando di soddisfare i bisogni e le esigenze individuali di entrambi, senza inveire ed aggredire (anche se solo verbalmente) l’altra persona per quello che dice e/o per come lo dice. Affrontando e gestendo in modo aperto tali situazioni, il contrasto diviene produttivo e portatore di soluzioni creative, determinando a livello: - 19 20 della singola persona, un aumento di autostima, una spinta verso una maggiore creatività ed innovazione e la possibilità di dar sfogo alle emozioni trattenute (ansia e tensione), che consentono di liberare le energie negative accumulate; relazionale, il rafforzamento dei rapporti di lavoro, avendo le parti in contrasto colmato la differenza di punti di vista che hanno dato origine ai dissapori, il FrancoAngeli, Milano, 1980; RUMIATI R., PIETRONI D., La negoziazione. Psicologia della trattativa: come trasformare un conflitto in opportunità di sviluppo personale, organizzativo e sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001; JANDT F.E., Winner contro winner, op. cit. Già altri Autori nel corso degli anni Settanta avevano sostenuto l’importanza di assumere un atteggiamento franco e rispettoso durante una situazione di conflitto al fine di poterlo risolvere. È possibile vedere, tra gli altri, WALTON R.E., La risoluzione dei conflitti in azienda, Etas Kompass, Milano, 1972, in particolare pag. 114 e ss. e AIROLDI G., NACAMULLI R.C.D., “La soluzione di un conflitto cronico in impresa”, in AIROLDI G., NACAMULLI R.C.D., Materiali per una teoria organizzativa d’impresa, Etas Libri, Milano, 1979. Cfr., ad esempio, BESEMER C., Gestione dei conflitti e mediazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1999. ANGELO BONFANTI - 85 miglioramento della comunicazione resa più aperta ed autentica e l’accrescimento della collaborazione e della fiducia, in quanto, nel momento in cui un conflitto viene risolto, le persone si fideranno maggiormente l’una dell’altra in futuro; organizzativo, una condivisione più aperta di obiettivi e valori aziendali, un utilizzo migliore delle conoscenze e delle competenze individuali e collettive, una maggiore flessibilità della capacità di adattamento ed un aumento della produttività dell’impresa. È fondamentale notare che con la nascita e la risoluzione di conflitti costruttivi si fanno crescere le persone, le quali imparano da quanto avvenuto e sono in grado di mettere in pratica quanto acquisito in caso di situazioni simili future21. Inoltre, non bisogna sottovalutare che gli effetti positivi non emergono solo al termine della situazione conflittuale, come conseguenza della risoluzione positiva del disaccordo, ma anche durante la manifestazione del conflitto stesso. Ad esempio, le persone hanno la possibilità di confrontarsi, parlarsi e spiegarsi, di uscire da situazioni di chiusura mentale e freddezza alle quali si giunge durante le avversità, di capire gli eventuali errori commessi e di poter riparare i torti fatti o riflettere su quelli subiti, per giungere poi ad un chiarimento. In tal senso, quindi, è opportuno valutare le conseguenze positive non solo al termine del conflitto, come risultato dell’intero processo, ma anche quelle che già avvengono durante il processo medesimo22. Più complicato si presenta, invece, il caso di un conflitto sopito nel tempo, ossia di un disaccordo maturato per cause rimaste nascoste e latenti, le quali divengono visibili nel momento in cui le parti prendono una posizione. Si parla allora di conflitto distruttivo, proprio per evidenziare gli svantaggiosi effetti generati. Non di rado capita che a far scoppiare la tensione sia una banalità, ossia un fatto 21 22 A tal riguardo, degno di attenzione è il film “La guerra dei Roses” (“The war of the Roses”) di Danny De Vito del 1989, in quanto l’avvocato che deve mettere in guardia un suo nuovo cliente ha imparato dalla vicenda matrimoniale dei coniugi Roses che un conflitto è sano solo se dimensionato e controllato, per cui decide di impegnarsi per essere fedele e aperto nei confronti della propria moglie. Per approfondire la tecnica di visionare film a fini formativi manageriali è utile consultare: BACCARANI C., BRUNETTI F., Dalla penombra alla luce: un saggio sul cinema per lo sviluppo manageriale, G. Giappichelli, Torino, 2003, in cui gli Autori sostengono che “con il film l’apprendimento avviene non solo razionalmente, ma “empaticamente”, a un livello più profondo (quello delle emozioni) e quindi più efficace”, pagg. 44-45. Il conflitto, in effetti, non può essere considerato solo come singolo evento, ma come processo che nasce ben prima del manifestarsi del contrasto aperto e visibile tra le parti, e si sviluppa attraverso diversi eventi e momenti successivi. Tale concetto è stato sviluppato in origine da Pondy nel 1967, il quale ha proposto un modello di processo suddiviso in cinque fasi: latenza, riconoscimento, percezione emozionale, manifestazione aperta e conseguenze. Cfr. PONDY L.R., “Organizational conflict”, op. cit. 86 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI (o un atteggiamento) di scarsa rilevanza rispetto al vero oggetto del disaccordo, emersa per casualità ed identificabile con “la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso”23. Estremamente rilevanti diventano, quindi, la sfera caratteriale e quella emozionale di cui si è parlato in precedenza24, che rendono sempre più intensa la divergenza, il senso di frustrazione, la rabbia, la voglia di sfida e il desiderio di voler pareggiare i conti25. In tal modo è possibile innescare le cosiddette spirali del conflitto26, legate al fatto di non voler essere sopraffatti dalla controparte, ma alimentare il desiderio di rispondere con gli stessi mezzi utilizzati dall’avversario: l’istigazione richiede un’altra più pungente istigazione, la provocazione richiama altra più pesante provocazione, e così via. In tal caso si deteriora l’atmosfera favorevole al lavoro, comportando a livello: - 23 24 25 26 27 della singola persona, gravi ripercussioni, quali l’alterazione del benessere psicofisico, la perdita di sicurezza, il calo dell’autostima, e molto spesso l’esternarsi di forme intense di stress27; relazionale, il non voler avere rapporti lavorativi con gli altri litiganti, per cui si cerca di troncare quanto prima le relazioni organizzative avviate; organizzativo, il rallentamento del processo decisionale e la riduzione della performance, essendo l’impegno, la determinazione e l’energia profusa dalle persone che lavorano in e per essa logorate dal conflitto. Di conseguenza si verifica un incremento dei costi ed una diminuzione dei benefici. Molto spesso, infatti, pur di poter sopraffare la controparte non ci si dedica pienamente al “Il conflitto si sarebbe, in effetti, potuto manifestare per qualsiasi altro motivo”, afferma Besemer proponendo con precisione e chiarezza il modello della “piramide dei conflitti”, nel quale pone in risalto come al vertice venga posto il conflitto palese, cioè quella lite visibile alla superficie e di diretta manifestazione nata dal precedente verificarsi dei retroscena, cioè di tutti quei motivi che, anche se posti più in profondità, hanno contribuito a fomentare l’ostilità. In ottica cinematografica è significativo il film “Conflitti di famiglia” (“The war at home”) di Emilio Estevez del 1996, in cui il giovane Jeremy durante il giorno della Festa del Risorgimento esplode in un serie di pesanti litigi nei confronti della sua famiglia. La causa che ha originato la tensione è stata una banale pasta di noccioline. Infatti, durante il conflitto si ha la tendenza a non parlare esclusivamente dell’argomento oggetto dell’ostilità, ma mossi da animosità si rimembrano fatti o eventi inutili, molte volte personali e caratteriali, che mettono in secondo piano il reale motivo su cui dover dibattere: gli scopi iniziali sono sostituiti da nuovi fini, e più si prosegue più l’oggetto della discussione e gli obiettivi che prevalgono in partenza vengono accantonati. Rilevante è evidenziare che in base all’importanza data al conflitto, alla sua durata e alla sua intensità, gli effetti potranno essere più o meno disastrosi. Cfr. RUMIATI R., PIETRONI D., La negoziazione, op. cit., pagg. 9-14. Lo stress non deve essere valutato solo in modo negativo (definito distress), ma esiste anche l’eustress, ossia quella forma di tensione in grado di scatenare forti emozioni (quali l’amore per il proprio lavoro e la devozione che si è sempre provata nel realizzare il proprio sogno), che fanno sentire “invulnerabile” ogni persona. Cfr. IVALDI I., “Stress, qualità del lavoro e ergonomia”, in LA ROSA M., BONZAGNI M., GOSETTI G., GRAZIOLI P. (a cura di), Stress e management. La ricerca italiana, FrancoAngeli, Milano, 1994, pag. 30. ANGELO BONFANTI 87 lavoro, ma ci si vincola all’idea di dover trovare la controffensiva adeguata, generando a volte comportamenti irresponsabili. Inoltre, è possibile che i rischi per la sicurezza sul posto di lavoro aumentino. Di seguito si propone uno schema riassuntivo dei conflitti costruttivo e distruttivo, e per ognuno si pongono in evidenza le principali caratteristiche già esaminate. Conflitto distruttivo Manifestazione del conflitto Non visibile e covato a lungo, per cui il conflitto, essendo indefinito, non è gestibile. Atteggiamento degli individui coinvolti nel conflitto Ostile, per cui le parti: - sono orientate ad una comunicazione vaga, ad uno scambio di informazioni poco chiaro e al furto di notizie, - attuano un comportamento teso alla menzogna, alla disonestà, alla calunnia e al sabotaggio. Conseguenze del comportamento delle persone Effetti sull’organizzazione Le parti non si distaccano dalla propria posizione e convinzione, a causa della foga e dell’emotività rese accese dal coinvolgimento personale. In tal modo non si giunge ad un accordo. Negativi: - si diffondono confusione, malumore, scontentezza ed insicurezza; - si creano disguidi sempre più intensi e ripetuti; - si generano perdite economiche, scarso rendimento e calo della produttività; - spesso i lavori vengono svolti due volte ed in modo contraddittorio; - il clima organizzativo diviene pessimo. Conflitto costruttivo Visibile e di pressoché immediata manifestazione, per cui, potendo “vedere e toccare” il conflitto, esso diviene gestibile e risolvibile. Collaborativo, per cui le parti: - sono consapevoli dell’utilità di dialogare ed ascoltare, - attuano un comportamento di chiarezza, trasparenza, fiducia, franchezza e rispetto. Le parti ricercano la soluzione e si capisce veramente il motivo della lite. Positivi: - le persone sono serene; - si rende così al meglio; - si condividono apertamente obiettivi e valori aziendali; - aumenta la produttività dell’impresa; - il clima organizzativo è ottimale. Tab. 1: Le caratteristiche dei conflitti distruttivo e costruttivo a confronto Fonte: Ns. elaborazioni Il conflitto distruttivo può, tuttavia, trasformarsi in costruttivo. Tale affermazione è dimostrabile attraverso l’analisi delle fasi in cui è possibile suddividere l’evolversi dell’andamento di un qualsiasi conflitto organizzativo. 88 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI Per la sua capacità di intensificarsi notevolmente col passare del tempo e di risolversi solo in momenti successivi è possibile costruire un modello, simile al trend del ciclo di vita, per spiegare la dinamica di escalation del conflitto, il cui andamento è illustrato in figura 528. Sulla base di quanto esposto in merito al conflitto distruttivo e costruttivo sono state individuate le seguenti fasi: - avvio: il conflitto serpeggia all’interno dell’organizzazione ad uno stadio iniziale; sviluppo: il disaccordo si intensifica sempre più e si incrementa per le continue e ripetute motivazioni di scontro formulate dalle controparti e da chi cerca di fomentare le ostilità, crescendo esponenzialmente; esplosione: è il momento in cui si manifesta visibilmente la discordia sottaciuta o volutamente trattenuta e rappresentata in figura tramite un trend a punta, volto a sottolineare come in tale momento sia maggiore l’intensità delle avversità, che avvengono senza preavvisi e velocemente; eventuale accomodamento: dopo aver chiarito le diverse posizioni si cerca di raggiungere un accordo e di appianare le divergenze emerse. - - esplosione sviluppo Grado di intensità del conflitto accomodamento accomodame avvio Tempo Legenda: conflitto distruttivo conflitto costruttivo Fig. 5: Il ciclo di trasformazione del conflitto organizzativo da distruttivo in costruttivo Fonte: Ns. elaborazioni 28 In tale caso si è preso in esame un conflitto sopito a lungo dentro di sé e sviluppatosi in poco tempo. Del tutto frequente è, comunque, anche quello manifestatosi in tempi brevi, il cui trend assumerà una forma diversa, in quanto la fase di avvio e di sviluppo potranno essere estremamente corte. ANGELO BONFANTI 89 Il modello proposto merita alcune osservazioni: 1. 2. 3. 4. all’interno di ogni tipologia di organizzazione esiste un livello minimale di conflitto insito tra le persone che partecipano all’attività d’impresa. Per tale motivo nella figura 5 la linea indicante il conflitto distruttivo non parte dall’origine degli assi, ma da un grado poco più alto; in qualsiasi momento delle fasi individuate il conflitto distruttivo si può trasformare in costruttivo, passando così alla fase di accomodamento; una volta raggiunta la fase di accomodamento non è da escludere che il conflitto riemerga. Infatti, nei casi di risoluzione parziale o di soluzione raggiunta in modo mediocre, è pensabile che un episodio conflittuale possa riaffiorare con un’intensità anche maggiore, comportando effetti ancor più gravi; definire con esattezza il momento di passaggio da una fase all’altra non è ovviamente semplice. Quanto raffigurato serve da esemplificazione teorica, ma nella realtà è difficile capire in quale fase del processo conflittuale ci si trovi. A complicare la comprensione della situazione è la comparsa di molti aspetti compresi nelle sfere in precedenza esaminati, soprattutto di tipo interpersonale ed in particolare emozionale. Per completezza è opportuno ricordare che esistono anche conflitti di natura costruttiva fin dal loro sorgere, peraltro non illustrati in figura 5: si tratta di disaccordi rivolti all’immediata o alla seppur breve risoluzione, causati da persone che desiderano e si comportano secondo la logica win-win, ossia propense nel ricercare la soluzione migliore all’ostilità sorta. La dimensione temporale è fondamentale per percepire la nascita di un eventuale conflitto, per poterlo comprendere e per avere la possibilità di intervenire nello scontro al fine di risolverlo, come si avrà modo di vedere nel prossimo paragrafo attraverso l’analisi del possibile processo di armonizzazione. Il lasciar trascorrere del tempo per sentire, pensare ed agire non è indice di comportamento passivo, ma anzi di riflessione personale condotta per scegliere l’approccio più adatto da seguire. Nel prosieguo del lavoro si avrà modo di spiegare meglio tali affermazioni, andando ad analizzare proprio le modalità con le quali si può trasformare, o meglio armonizzare, un conflitto organizzativo da distruttivo in costruttivo. 3. Il ruolo manageriale nell’armonizzazione del conflitto organizzativo Da quanto emerso finora è evidente l’improbabilità di trovare un’organizzazione scevra da situazioni conflittuali. Una completa collaborazione e cooperazione non è assolutamente riscontrabile all’interno delle varie realtà aziendali, ed è impensabile ricercarla nel medio lungo termine. La concordia, la collaborazione e l’armonia sono alcuni dei requisiti in grado di rendere maggiore il livello di socializzazione tra le persone, ma esse sono talvolta disturbate da discordia, competizione e disarmonia. Nella configurazione del reale modello organizzativo, infatti, un’informazione distorta o incompleta, una differenza 90 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI di obiettivi, un pregiudizio, un abuso di autorità, un equivoco o un errore di interpretazione sono solo alcune delle fonti generatrici di conflitto29. La realtà aziendale non è, quindi, assoggettabile all’antico concetto di armonia, intesa come equilibrio, perfezione, indulgenza e comprensione assoluta, ma è identificabile con la definizione di “conveniente accordo di più parti”30, ossia con la capacità di stabilire una comune intesa, dato che l’assenso necessariamente non prevede un accordo al 100%31. Infatti, il consenso non è sinonimo di unanimità, ma nasce perché le persone sono tra loro in conflitto, per cui non sono tutte tra loro concordi32. Ad esempio all’interno di una squadra tutti devono poter esprimere ciò che pensano, anche se ciò non significa che le idee e le opinioni proposte debbano essere corrisposte da chiunque, ma occorre che ognuno sia concorde nel raggiungere insieme uno scopo, ottenendo reciproca soddisfazione33. Nell’affermare che ogni impresa può tendere all’armonia occorre esaminare il modo con cui poterla raggiungere, ossia il processo di armonizzazione34, che consente di trasformare il conflitto organizzativo da distruttivo in costruttivo, come schematizzato nel diagramma di flusso di figura 635. 29 30 31 32 33 34 35 Diversi Autori hanno raccolto le possibili cause originanti i conflitti. Si segnalano, tra gli altri: GBÉZO B.E., Aggressivité et violence au travail: comment y faire face, ESF, Paris, 2000; BESEMER C., Gestione dei conflitti e mediazione, op. cit. Cfr. CORTELAZZO M., ZOLLI P., Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1996. Cfr. HICKS R.F., BONE D., I gruppi di lavoro autogestiti, FrancoAngeli, Milano, 1995, pag. 124, in cui gli Autori sostengono che “per raggiungere il consenso all’interno di un team è essenziale un interscambio critico di opinioni, che potrebbe anche dare origine a conflitti e a tensioni. Un’atmosfera tesa e conflittuale è naturale in un processo di ricerca del consenso su problemi da risolvere e decisioni da prendere, è anzi da considerare salutare”. A tal proposito si riporta la seguente citazione di Sloan Alfred P.Jr., Presidente di General Motors: “Gentlemen, I take it we are all in complete agreement on the decision here… Then I propose we postpone further discussion of this matter until our next meeting to give ourselves time to develop disagreement and perhaps gain some understanding of what the decision is all about”. Cfr. DRUCKER P.F., Management, Harper & Row, New York, 1974, pag. 472. Come sostenuto in letteratura “l’armonia si raggiunge tramite la composizione di esigenze a volte, almeno apparentemente, antitetiche e fonte di tensioni e conflitti”. Cfr. BACCARANI C., “Meditazioni di un tecnico industriale perplesso”, in GIARETTA E., Alle origini della Tecnica Industriale e Commerciale: uno sguardo al passato per contribuire al futuro, G. Giappichelli, Torino, 2003. Sullo stesso concetto si può vedere BACCARANI C., “Qualità e governo dell’impresa”, Sinergie, Quaderno, n. 7, 1991. Il modello proposto non è taumaturgico, poiché le persone sono diverse e le circostanze sono continuamente in mutamento, per cui sarebbe inutile (ed assurdo) voler proporre un approccio, basato su regole precise e rigorose, valido in ogni momento ed occasione. È stato scelto il diagramma di flusso o flow chart perché è una rappresentazione grafica chiara ed idonea ad evidenziare gli elementi che compongono il processo di armonizzazione e disarmonizzazione di un conflitto. Si tenga presente che i rettangoli riguardano le azioni da fare, le linee sono i legami esistenti fra le varie azioni e i rombi ANGELO BONFANTI 91 Partendo dalla nascita di un conflitto è indispensabile comprendere che ogni contrasto è caratterizzato sempre da reazioni emotive, le quali sono innescate da persone che agiscono in modo impulsivo e diretto perché spinte da eccessiva emotività ed animosità. Le emozioni, in effetti, sono difficili da controllare essendo comprese nella parte irrazionale dell’essere umano. Esse intervengono improvvisamente ed impediscono una valutazione logica e razionale del manifestarsi dei fatti. Nel caso in cui le emozioni non lascino spazio alla razionalità, ma si intensifichino ulteriormente, si può cadere nella disarmonizzazione, ossia in quel processo che porta alla rottura del rapporto tra le persone in conflitto. In tal modo, quindi, il disaccordo è, e rimane, distruttivo, e produce gli effetti negativi in precedenza illustrati. Per giungere all’armonizzazione è importante che l’individuo porti le emozioni ad evolvere in razionalità, comportandosi in modo trasparente e franco, non affrettato ed irriflessivo36, rispettando le decisioni altrui e facendo capire le proprie intenzioni ed argomentazioni. Occorre riconoscere le proprie ed altrui emozioni37, facendo in modo che le parti in conflitto si distacchino da quanto accaduto, cercando di capire l’importanza di: 1. 2. 3. 4. 36 37 analizzare l’argomento o il loro comportamento, e non la persona, non far pesare il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione, non far sentire inferiore o svalutare il proprio interlocutore, fare uso dell’intelligenza, mettendo da parte la presunzione, il desiderio di aggressione e l’emotività. pongono alcune domande che possono dar luogo ad un cambiamento di percorso a seconda della risposta data. Tuttavia, nelle realtà organizzative il succedersi rapido e costante dei fatti non lascia il tempo alle persone di poter riflettere e pensare all’accaduto o di rinviare un’eventuale decisione da prendere in merito all’ostilità emersa, ma si passa quasi sempre all’azione, per cui non si possono costruire modelli, seppur semplificati ed astratti, utili in caso di successive occasioni di disaccordo. In tal senso è utile essere empatici, ossia riuscire a calarsi nei panni degli altri, cercando di comprendere le emozioni e gli stati d’animo altrui. A tal riguardo, è utile cfr. FROST P.J., Disintossicarsi dal lavoro: come trasformare il proprio posto di lavoro in un ambiente sano, umano e produttivo, Etas, Milano, 2003. Attraverso l’utilizzo dell’empatia è perciò possibile evitare il sorgere dei conflitti critici, cioè di quelle tensioni nate più per questioni personali che professionali e che non emergono immediatamente in modo palese, ma rimangono sottaciute fino a quando qualcuno, liberando le proprie emozioni, non si trattiene più ed esplode apertamente verso la controparte. Per tali motivi alcuni Autori sostengono che è indispensabile “deemozionare il conflitto, cioè togliervi ogni tipo di emozione”. Cfr. EGE H., Mobbing: conoscerlo per vincerlo, FrancoAngeli, Milano, 2001, pag. 109. 92 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI Nel percorrere tale processo le emozioni possono essere controllate dalle singole persone coinvolte nel conflitto o richiedere l’ingresso di un terzo estraneo alla tensione. Nel primo caso le azioni che i contendenti devono attuare riguardano la comprensione dei motivi che hanno portato alla nascita del conflitto, e interessano la possibilità di risolvere la questione nel miglior modo possibile con l’ottenimento da parte di entrambi gli individui della posizione win-win. Nel caso in cui, invece, gli avversari desiderino essere aiutati nella ricerca della soluzione, e quindi accettino l’entrata del terzo ponendosi dal canto loro con atteggiamento attivo e risolutivo, occorre che la persona non direttamente implicata nella situazione conflittuale cerchi di: - percepire i segnali rivelatori del conflitto, comprendere i motivi che hanno portato alla nascita del disaccordo, e solo successivamente intervenire, riflettere sul modo con cui ha armonizzato la situazione e capire se la sua azione è servita a riequilibrare o meno l’accaduto, monitorando il comportamento di coloro che erano in contrasto. Nel rivolgersi al terzo un ruolo fondamentale è assunto dalla fiducia che questi deve saper ispirare. Occorre, tuttavia, premettere che essa di per sé non nasce dal nulla, anche se “un minimo di fiducia esiste in ogni relazione”38, ma può derivare da atteggiamenti specifici, quali: - un modo di fare schietto, onesto, equo, coerente ed oggettivo, una capacità di parlare chiaramente, senza “giochi e giri di parole”, comportandosi in base a valori e usi in sintonia, o simili a quelli della persona in conflitto, o magari atteggiandosi in modo idealmente corretto, volendo quasi assomigliargli39. All’interno dell’impresa il ruolo del terzo può essere assunto da un responsabile posto alla guida di un team o di un gruppo di lavoro, da un manager o da un leader40, i quali non devono assumere un comportamento rigido e chiuso, ma aperto e flessibile, attivo e risoluto, rigoroso e il più possibile imparziale, tale da permettere a chi ha qualcosa da dire di poterlo fare41. 38 39 40 41 Cfr. BACCARANI C., “Riflessioni sulla fiducia”, in UGOLINI M., La natura dei rapporti tra imprese nel settore delle calze per donna, Cedam, Padova, 1995. Non è da escludere, comunque, che ci si rivolga a qualcuno di livello gerarchico superiore affinché questi utilizzi la propria autorità per intervenire nel conflitto in corso. Nel caso in cui il conflitto avvenga non tra due dipendenti ma tra due manager, la terza parte neutrale può essere assunta da un responsabile di livello superiore. Tale opportunità dovrebbe essere concessa non solamente durante le riunioni di lavoro, ma in qualsiasi altro momento. ANGELO BONFANTI 93 Sia nel caso in cui le singole parti agiscano da sole per armonizzare il conflitto sia che vengano aiutate da un terzo, il disaccordo si trasforma da distruttivo in costruttivo e produce gli effetti positivi illustrati in precedenza. Nascita del conflitto organizzativo Le emozioni portano ad agire d’impulso NO SÌ Le emozioni evolvono in razionalità? Le emozioni si intensificano NO Rottura del rapporto Le parti armonizzano il conflitto da sole? SÌ Entrata di un terzo estraneo al conflitto Processo di disarmonizzazione Azioni che il terzo (management) dovrebbe saper attuare: 1. percepire i segnali 2. comprendere le cause 3. intervenire nel conflitto 4. monitorare la situazione Azioni che le parti dovrebbero attuare: 1. comprendere le cause 2. agire per raggiungere la posizione win-win Processo di armonizzazione Fig. 6: I processi di armonizzazione e di disarmonizzazione del conflitto organizzativo Fonte: Ns. elaborazioni Si procede ora in dettaglio all’analisi delle azioni che il terzo (management) dovrebbe saper compiere per armonizzare un conflitto e di seguito alle condotte che le parti dovrebbero porre in essere per riarmonizzarsi. 94 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI Azioni del management estraneo al conflitto 1. percepire i segnali Per percepire i segnali è indispensabile, innanzitutto, che il terzo comprenda se c’è o meno in atto un conflitto e, successivamente, cerchi di capire quali sono state le motivazioni che l’hanno originato. Per fare ciò occorre captare i segnali premonitori di eventuali situazioni di contrasto, ponendo particolare attenzione a quelli deboli, identificabili in primo luogo con gli elementi tipici del sistema verbale, come parole, frasi, discorsi e tono della voce, che consentono di avvertire le lamentele, le situazioni di disagio, i focolai di contestazioni e di reclami, ed in secondo luogo con gli elementi del sistema non verbale42. In tal senso, quindi diviene importante alimentare il flusso di comunicazioni da parte di tutti i componenti dell’impresa, proprio al fine di non trovarsi in difficoltà nel cogliere alcuni messaggi, che sempre non sono espliciti ed evidenti. Se le relazioni con i collaboratori sono carenti o sporadiche il manager non può imparare a conoscerli e di conseguenza percepire se all’interno dell’organizzazione serpeggiano o meno i sintomi di eventuali disaccordi43. 42 43 Gli elementi del sistema non verbale sono racchiusi in due specifici rami della semiotica: la cinesica e la prossemica, riguardanti rispettivamente il movimento, la postura, l’orientamento del corpo nello spazio, l’aspetto, le espressioni del volto, lo sguardo e i gesti l’una, la distanza tra le persone e lo spazio disponibile l’altra. Ad esempio ci si potrebbe accorgere di un contrasto tra due colleghi che lavoravano nel medesimo ufficio, osservando che la posizione delle loro scrivanie è cambiata: fino a poco prima i tavoli erano affiancati e poi sono stati allontanati. È, inoltre, importante sottolineare come una comunicazione completa (di contenuto e di relazione) sia costituita in prevalenza da elementi non verbali più che verbali. “Si ritiene che un discorso verbale (contenuto delle parole) incida per il 7%, la gestualità (impatto visivo non verbale) per il 55%, e infine la modulazione e l’intensità dei toni vocali (impatto vocale non verbale) incida per il 38%”. Cfr. SPIEGEL J., TORRES C., Lavorare in team: guida ufficiale del manager, FrancoAngeli, Milano, 1995. Per sviluppare le relazioni interne all’impresa, ogni responsabile può far uso della tecnica del: open door, attraverso la quale il capo lascia la porta del proprio ufficio aperta, volendo segnalare così che egli è sempre disponibile per parlare, ricevere e scambiare informazioni, opinioni e idee con i vari collaboratori, open space, ossia alla creazione di stanze speciali destinate a stimolare gli incontri tra colleghi e tra capi e collaboratori, così come le zone relax, gli spazi in cui si trova la macchinetta del caffè o in cui sono poste le riviste dell’azienda; MBWA (Management By Walking Around), ossia del “dirigere andando in giro”, che consente al capo di spostarsi direttamente in mezzo ai vari collaboratori, cercando di incoraggiarli, interessandosi del loro operato, dei loro problemi di lavoro e di quelli personali. A tal riguardo, è possibile consultare PETER T.J., WATERMAN R.H., Alla ricerca dell’eccellenza. Lezioni dalle aziende meglio gestite, Sperling & Kupfer, Milano, 1984 e BANKS L., La motivazione sul lavoro: come stimolare i lavoratori a dare il meglio di sé, FrancoAngeli, Milano, 1998. ANGELO BONFANTI 95 È perciò indispensabile che il management riesca a prestare un alto livello di attenzione, definibile come la capacità di avvertire quanto avviene intorno, ossia nella realtà nella quale egli si muove e con la quale continuamente interagisce. Diversi però possono essere i motivi che conducono ad uno stato di distrazione intenzionale o forzata. I freni all’attenzione possono essere, ad esempio, dettati da: - - i troppi impegni, la mala gestione delle priorità, le eccessive responsabilità, la cattiva fretta nell’eseguire le proprie mansioni, i cambiamenti che intervengono di continuo nell’attività lavorativa, il lavorare in spazi di grandi dimensioni, per cui è facile non riuscire a vedere cosa accade nei vari posti di lavoro, il rumore e il movimento che le persone creano all’interno dell’impresa: l’essere continuamente disturbati dai propri collaboratori, dal telefono che squilla, l’agire in uffici affollati, in cui il modus operandi di ciascuno può sviare dalle attività svolte coloro che sono costretti a stare in uno stesso luogo, alcuni motivi personali, quali i pensieri, le preoccupazioni, le paure, le ansie, i fatti e le storie propri della vita quotidiana extralavoro. Non tutti questi elementi agiscono contemporaneamente, ma non è improbabile che più di uno si manifesti nello stesso momento. 2. comprendere le cause Solo in seguito si possono ricercare le cause del conflitto, che come dimostrato in precedenza non riguardano solamente il proprio lavoro, ma possono riferirsi anche a fattori personali. Durante il processo di armonizzazione sarà utile rammentare alle parti in tensione le seguenti domande: - qual è l’oggetto della controversia? quali sono gli obiettivi e i bisogni individuali? cosa si vuole ottenere dal litigio? Comportarsi in tal modo consente al terzo estraneo al conflitto di mantenere una posizione neutrale e di far rimanere ancorati ai fatti i litiganti, i quali a volte sono portati per indole a rivangare fatti o eventi esterni alla disputa, dialogando su argomentazioni non focalizzate e creando, di conseguenza, problemi all’apparenza insormontabili. A tal fine, può essere anche utile far riferimento all’analisi transazionale, ossia a quella teoria che prende in esame le relazioni tra le persone, proposta inizialmente da Eric Berne. In tal senso, cfr. WAGNER A., Il manager transazionale, FrancoAngeli, Milano, 1987. 96 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI 3. intervenire nel conflitto A questo punto il terzo può decidere se entrare in azione immediatamente oppure lasciare le controparti discutere tra loro per un altro po’ di tempo44. Prima o poi, comunque, se si vuole che la situazione giunga ad una risoluzione, dovrà intervenire nella contesa e le azioni che può attuare consistono in: - un’efficace comunicazione aperta, un ascolto attivo e partecipe, le quali sono tra loro strettamente correlate, in quanto l’una implica l’altra e viceversa45. Per quanto riguarda il primo punto occorre comunicare con le persone in conflitto e nello stesso tempo riuscir a far comunicare loro stesse46. Di seguito si propongono alcune condotte chiave da porre in essere al fine di attuare una comunicazione aperta, la quale deve interessare in primis il terzo non direttamente coinvolto nel conflitto, ma anche i contendenti stessi: - 44 45 46 dialogare in modo chiaro e preciso e far così percepire il contenuto del messaggio espresso anche a colui che lo deve ricevere, sforzarsi al massimo per comprendere le parti o la controparte, rispettando le diversità, È, ulteriormente, indispensabile che il manager con la sua entrata nel conflitto non diventi a sua volta attore e causa di tensioni. È facile che ciò accada nel momento in cui sia costretto ad operare per incarico della direzione, la quale non interviene direttamente, ma delega tale compito ai livelli gerarchici inferiori. La persona ritenuta idonea per tale mansione deve “entrare nel conflitto in punta di piedi”, ossia porsi in modo neutrale nello sviluppo del processo. È, altresì, opportuno ricordare che è possibile rifarsi al modello di Thomas del 1976 per orientarsi verso la risoluzione del disaccordo. Tale Autore, infatti, elaborò una descrizione pionieristica degli stili di base utili a gestire in modo efficace un conflitto, comprendenti l’astensione, l’imposizione, la minimizzazione, il compromesso e la collaborazione. Cfr. THOMAS K.W., “Conflict and conflict management”, in DUNNETTE M. (a cura di), Handbook of industrial and organizational psychology, Rand McNally, Chicago, 1976, pag. 900. Molti contributi sono presenti in letteratura sul tema del miglioramento della comunicazione in caso di conflitto. A tal riguardo cfr. LAZZARI C., Adesso mi arrabbio! Conoscere ed affrontare il litigio nel lavoro, Pitagora Editrice, Bologna, 1996 e BREAD R., PASTOR P., Gestion des conflits: la communication à l’épreuve, Edition Liaisons, Paris, 2000. C’è, inoltre, chi parla di comunicazione non violenta o comunicazione empatica (scritta anche con l’acronimo CNV), con la quale si suole indicare un modo di espressione e di ascolto che favorisce gli atteggiamenti costruttivi e positivi per poter prevenire e risolvere i conflitti, tanto sul piano personale quanto su quello professionale. Cfr. ROSENBERG M.B., Les mots sont des fenêtres ou bien ils sont des murs, introduction à la communication non violente, Syros, Paris, 1999 e GBÉZO B.E., Aggressivité et violences au travail, op. cit. ANGELO BONFANTI - 97 riuscire a farsi capire, scegliendo il faccia a faccia, adattare il messaggio al livello degli interlocutori, non utilizzando linguaggi ricercati e/o non accessibili alla controparte, effettuare comunicazioni brevi, purché non ci si accorga che tale metodo impedisce agli interlocutori di esprimersi in modo aperto e compiuto, avere fiducia nei confronti dell’interlocutore, perché altrimenti si rischia di comunicare solo sulla base di pregiudizi, se si vuole comprendere quel che un altro sta dicendo, si deve assumere che abbia ragione e chiedergli di essere aiutati a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva47. Nello stesso tempo si devono anche ascoltare e portare gli uni e gli altri ad un ascolto reciproco, finalizzato alla comprensione e all’attenzione delle parti48. Molto spesso comunicare nasce naturale, ma ben più difficile è condurre le persone ad ascoltarsi a vicenda. Inoltre, se una sola delle parti decide di comportarsi in tal senso il conflitto non giunge immediatamente alla risoluzione, perché occorre che entrambe ne facciano uso. Per attuare un ascolto attivo e partecipe può essere utile: - ascoltare il contenuto di quanto detto, cioè non giudicarlo o commentarlo esprimendo conclusioni affrettate e prive di significato, le quali inaspriscono ancor più le ostilità, utilizzare la comunicazione non verbale per comprendere il messaggio, e non reagire emotivamente durante la sua trasmissione, saper controllare le proprie modalità di reazione emotive e mentali, imparare a non interrompere i discorsi della controparte, almeno fino a che si ascolta, e soprattutto non inveire contro di essa, tentare di adottare un comportamento neutrale, con cui non far trasparire né le proprie opinioni né le preferenze né le avversioni personali, comprendere che quel che si vede dipende dal proprio punto di vista, per cui per riuscire a vedere il proprio punto di vista si deve cambiare punto di vista49. Apprendere tali atteggiamenti può essere facile, mentre ben più difficile è attuarli nel momento in cui esplode un conflitto. 47 48 49 Cfr. SCLAVI M., Arte di ascoltare e mondi possibili, Le Vespe, Farigliano, Cuneo, 2000. Anche per quanto riguarda l’ascolto notevoli sono gli studi compiuti in letteratura. Ecco alcuni testi significativi: PASSERINI W., TOMATIS A.A., Management dell’ascolto. Tutto ciò che le persone e le organizzazioni devono sapere prima di comunicare e per comunicare meglio, FrancoAngeli, Milano, 2003; BURLEY-ALLEN M., Imparare ad ascoltare, FrancoAngeli, Milano, 1996; DUGGER J., Le tecniche di ascolto, FrancoAngeli, Milano, 1999; BONE D., L’arte di ascoltare, FrancoAngeli, Milano, 1994. Tale concetto è tratto da SCLAVI M., Arte di ascoltare e mondi possibili, op. cit. 98 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI 4. monitorare la situazione Dopo esser riusciti ad eliminare il disaccordo, trasformando il conflitto da distruttivo in costruttivo, il terzo non dovrà pensare di aver terminato il proprio compito, perché è possibile che le parti prima in tensione tornino a scontrarsi. Quando si perviene, infatti, ad una decisione non è detto che il disaccordo sia completamente risolto, perché gli uomini non vivono in un ambiente statico, ma in una realtà dinamica e pertanto sempre in movimento. Con una soluzione si può giungere ad una temporanea e relativa stabilità, in quanto la sua durata dipende dalla soluzione trovata e da fattori esterni che sono largamente imprevedibili. Come ogni sistema vivente una nuova situazione può già contenere i germi di una tensione futura. Azioni che le persone in conflitto dovrebbero attuare La situazione si complica quando trovandosi direttamente coinvolti nel conflitto non si ha la possibilità di essere aiutati dalla logica e dalla razionalità di una terza persona, che si assume il compito di far ragionare le parti in disaccordo. Oltre agli ostacoli emotivi già esaminati in precedenza può succedere di non sentirsi responsabili del conflitto, oppure di essere fraintesi anche quando si cerca di essere il più possibile chiari e ben disposti con i propri sentimenti, opinioni ed intenzioni. È in queste occasioni che le persone in conflitto devono eliminare la voglia di reagire emotivamente e capire che è indispensabile comunicare ed ascoltarsi per comprendere le cause che hanno fatto emergere il contrasto50. A tal riguardo, è utile presentare in modo deciso i fatti e gli argomenti e cercare insieme con pazienza e perseveranza un punto d’incontro, proprio per poter raggiungere quella posizione “win-win”, che soddisfa entrambe le parti. La ricerca è agevolata dalla duplice volontà di ristabilire un dialogo cortese e teso alla comprensione dell’oggetto del conflitto, con la quale poter far emergere le vere ragioni del medesimo contrasto. Indispensabile risulta anche la fiducia, la cui mancanza impedisce il raggiungimento dell’accordo51: slealtà ed inaffidabilità, infatti, non facilitano la 50 51 In tal caso risultano indispensabili quegli atteggiamenti di comunicazione aperta e di ascolto attivo e partecipe proposti nel caso di intervento di un terzo estraneo al conflitto. Per comprendere il ruolo della fiducia all’interno dell’organizzazione e capire come poterla sviluppare è utile consultare, tra gli altri: DULUC A., BOTTERI T., La leadership costruita sulla fiducia, FrancoAngeli, Milano, 2003; CASTALDO S., Fiducia e relazioni di mercato, Il Mulino, Bologna, 2002; CHIACCHIERINI C., “Generare fiducia attraverso l’organizzare: uno studio empirico sul ruolo di alcuni antecedenti organizzativi delle relazioni fiduciarie interne all’impresa”, Sinergie, n. 51, 2000; POZZI E., “La fiducia”, Psicologia e Lavoro, n. 104, 1997; KRAMER R.M., TYLOR T.R., Trust in organizations, Sage, Thousand Oaks, 1996; BACCARANI C., “Riflessioni sulla fiducia”, in UGOLINI M., La natura dei rapporti tra imprese nel settore delle calze per donna, op. cit. ANGELO BONFANTI 99 trasparenza degli atteggiamenti, ma allontanano sempre più la possibilità di trovare un’intesa. In tal senso, quindi, le parti devono assumere un comportamento fondato su alcuni valori, quali rispetto, sincerità, onestà, lealtà, credibilità e correttezza, i quali, se resi fluidi all’interno della realtà aziendale e condivisi da tutti i partecipanti dell’impresa, migliorano il clima organizzativo, determinando un ambiente di lavoro eccellente52. Tuttavia, per indole caratteriale e personale o per formazione professionale non sempre si è in grado di attuare tutte le azioni sopra elencate, ma comprendere la loro importanza rappresenta già un primo passo verso il processo di armonizzazione. Anche quando si attuano una o più delle operazioni sopra citate non sempre si ottengono i risultati sperati, soprattutto se si cerca di realizzarli in poco tempo. Come riflessione aggiuntiva si ritiene utile proporre la testimonianza raccolta in VNU Business Publications Italia53, multinazionale operante da diversi anni nel settore dell’editoria. Un manager orientato all’armonizzazione dei conflitti organizzativi Qualche anno fa in impresa si era verificato che le persone non parlavano più tra loro, non volevano più collaborare, si era creata una circostanza pericolosa dovuta al verificarsi di un conflitto non curato in tempo. Venne nominata una donna quale nuovo Amministratore Delegato, che si rivolse loro con cortesia e cordialità, offrendo loro tale possibilità: “Rimanete e troviamo una soluzione, oppure, per favore andate”. Riuscì a smuovere la situazione solo dopo aver espresso le proprie decisioni ed aver chiesto ad ognuno di esplicitare liberamente ed apertamente quali fossero i problemi e quale potesse essere la soluzione. La natura dei rapporti di lavoro cominciò a cambiare molto lentamente, ma prima che ciò avvenisse dovette avvisare i suoi collaboratori che avrebbero affrontato tempi duri, in cui sarebbero avvenuti cambiamenti che avrebbero apportato novità nella conduzione e segue … 52 53 In riferimento alla nozione di valori aziendali è possibile vedere D’EGIDIO F., L’impresa guidata dai valori, Sperling & Kupfer, Milano, 1994 e BACCARANI C., BRUNETTI F., Dalla penombra alla luce, op. cit., pagg. 134-141. Per il concetto di rispetto si possono consultare LEVERING R., “Alla ricerca di un «Great Place to work»”, Sistemi & Impresa, n. 1, 2001 e MANIERA R., “Il rispetto dei collaboratori”, Sistemi & Impresa, n. 9, 2001. VNU Business Publications Italia fa parte della multinazionale VNU, uno dei principali gruppi internazionali operante nel settore dei media e dell’informazione. L’acronimo significa “Gruppi Editoriali Uniti Olandesi”, traduzione dalla lingua olandese della sigla VNU, originata dalla fusione di due gruppi editoriali molto diffusi negli anni Sessanta in Olanda. La testimonianza è stata raccolta dall’Autore di tale lavoro grazie ad alcune interviste realizzate con la Dott.ssa Jacqueline Lampe, Amministratore Delegato del Gruppo, alla quale va il merito di aver valorizzato col suo significativo contributo il percorso di studio avviato. 100 ALLA RICERCA DELL’ARMONIZZAZIONE DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI … continua che quei periodi li avrebbero vissuti tutti insieme e, per farli sentire più a proprio agio, confessò loro che quella situazione sarebbe stata complessa anche per lei. Questo modo di esternare la propria preoccupazione aveva, però, il preciso intento di far sentire più liberi i dipendenti, che avrebbero potuto andare a parlarle in qualsiasi momento, proprio perché la sentivano “vicina” alle loro esigenze e problemi. “Fui molto sincera e decisi di infondere loro coraggio per essere onesti con me. Persi alcuni dipendenti che non amavano questo nuovo tipo di rapporto, ma sono convinta che essere stata aperta mi abbia aiutato a comprendere meglio i miei uomini e abbia infuso in loro un senso di solidarietà”. La Managing Director ha lavorato per sei mesi solo parlando ed ascoltando tutti, compiendo un laborioso lavoro di ricerca ed ha in tal modo dovuto tralasciare il business, che ha subìto considerevoli rallentamenti e che avrebbe potuto trovare notevoli difficoltà in mancanza di una tempestiva risoluzione dei problemi esistenti nel Gruppo. Ad un certo momento sono stati presi tali provvedimenti: si è dovuta allontanare una persona che non andava d’accordo con nessuno, è stato spostato qualcun altro in reparti differenti perché il suo atteggiamento era troppo polemico e, nonostante un individuo lavorasse molto bene, gli è stata rimproverata la condotta aggressiva e provocatoria assunta nei confronti dei colleghi e dei superiori. I tempi in cui vennero sistemate le diverse circostanze furono molto lenti, essendo trascorso più di un anno per ripristinare un clima di lavoro basato sulla fiducia. Anche da tale testimonianza emerge l’importanza di “non avere fretta di arrivare a delle conclusioni”54, ma provarci magari anche sbagliando, perché si ha modo di apprendere dagli errori. Rifarsi alla sola esperienza non è però sufficiente, perché un disaccordo non nasce e non si sviluppa mai con le stesse caratteristiche di un altro che vede per di più lo scontro di persone tra loro differenti. L’utilità di aver già gestito situazioni di tensione fa capire quali sono gli aspetti da dover principalmente monitorare e i comportamenti da evitare al fine di trasformare il conflitto in una risorsa da sfruttare. È utile perciò accumulare il più possibile esperienze in tal senso al fine di affinare le proprie capacità di analisi e di interpretazione. È utile non dimenticare che il conflitto “parla”, ossia descrive una situazione aziendale che deve essere appunto interpretata, valutata e considerata nelle sue peculiarità. Si è mostrato come le cause di un conflitto siano tante e tra loro idiosincratiche rispetto alla situazione di disaccordo in atto, e come il processo di armonizzazione possa aiutare un manager a trasformare una situazione conflittuale in opportunità. Ad ogni modo quanto proposto non ha pretesa di validità assoluta, in quanto ciascun manager o operatore può decidere di mettere in atto il metodo ritenuto più adeguato alla situazione manifestatasi o all’atteggiamento delle parti in disaccordo. Tuttavia, è significativo che l’effetto sortito consenta alle persone di trovare lo stato armonioso precedente al contrasto, o addirittura la scoperta di nuovi equilibri relazionali, che permettano così di diffondere ulteriore positività in tutta l’organizzazione. 54 Cfr. SCLAVI M., Arte di ascoltare e mondi possibili, op. cit. ANGELO BONFANTI 101 Bibliografia AIROLDI G., NACAMULLI R.C.D., “La soluzione di un conflitto cronico in impresa”, in AIROLDI G., NACAMULLI R.C.D., Materiali per una teoria organizzativa d’impresa. Premesse storiche e fondamenti teorici, Etas Libri, Milano, 1979. 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