Discernimento comunitario e annuncio del Vangelo Instrumentum
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Discernimento comunitario e annuncio del Vangelo Instrumentum
Come mai questo tempo non sapete valutarlo? La Chiesa di Nola ascolta e si interroga Discernimento comunitario e annuncio del Vangelo Instrumentum laboris Traccia di lavoro per il Sinodo diocesano 1 Premessa Carissimi, con questo documento siamo al punto di arrivo di un anno di confronto, a diversi livelli, nella nostra Chiesa di Nola. Il Signore ha condotto la nostra storia e ci ha portati a scegliere la via dell’ascolto e della riflessione attraverso lo studio delle Costituzioni conciliari. Oggi raccogliamo quanto emerso dalle schede arrivate in diocesi insieme alle sollecitazioni offerte dagli uffici di pastorale. Il nostro Sinodo diocesano con questo Instrumentum laboris si da una traccia di lavoro per il discernimento comunitario, permettendoci anzitutto di vivere un’esperienza di presenza viva dello Spirito nella nostra famiglia ecclesiale. Ci preme qui ricordare a tutti noi che l’esperienza sinodale ha un obiettivo: attivare una conversione missionaria della nostra Chiesa locale. É urgente sollecitare un discernimento che renda le nostre comunità capaci di annunciare il Vangelo in un mondo attraversato da grandi cambiamenti, sperimentando strade nuove che incrocino e accompagnino la vita delle persone. Siamo sorretti in questa scelta da un’idea di fondo: Il Vangelo è vita, è annuncio di vita in tutte le situazioni, anche le più difficili. Dinanzi alle sfide che il nostro tempo pone, siamo chiamati a ridire il Vangelo, a dare nuova forma all'esperienza cristiana così che essa appaia come risposta al desiderio di pienezza che è nel cuore di ogni uomo. Il soggetto, che è attore primario ed è coinvolto in questa esperienza, è l'intera comunità Cristiana. Abbiamo tra le mani un testo che ci propone un metodo: un percorso di riflessione in cui, insieme, interrogarsi, comprendere, valutare, immaginare, progettare; con uno sguardo che sappia andare continuamente dalle nostre comunità alla realtà in cui sono immerse, imparando a pensarci come Chiesa aperta, costantemente in uscita, perché in cammino accanto agli uomini e alle donne dei nostri paesi; abituandoci a tenere insieme il radicamento nell'essenziale della fede e l'elasticità delle forme attraverso cui riusciamo a farne fare esperienza; ritrovando la passione e la responsabilità educativa che è di tutta la comunità. Ci sono offerte cinque tappe, tenute insieme dall’icona biblica della prima comunità cristiana che dà il senso dell'intero percorso. Quella immagine è poi ripresa per aspetti specifici che scandiscono i diversi momenti del cammino (l'ascolto, la frazione del pane e la preghiera, l'unione fraterna, la condivisione di ciò che si è e si ha). Una prima tappa (divisa in due momenti: 1a e 1b) per tracciare il quadro in cui ci muoviamo. Quattro successive tappe per disegnare il volto di una Chiesa missionaria che si lascia rigenerare da un discernimento compiuto alla luce della Parola e con lo sguardo di Dio: una Chiesa che ascolta, una Chiesa che rende lode, una Chiesa capace di comunione, una Chiesa che serve. A ciascuna di questi momenti corrisponde un'immagine, un'idea guida, un atteggiamento da maturare. Dalle relazioni che i gruppi sinodali, ascoltate le varie componenti della comunità cristiana locale e la realtà del proprio territorio, presenteranno al termine del cammino di quest'anno pastorale (giugno 2015) emergeranno le questioni che verranno formulate nelle propositiones su cui l'assemblea sinodale discuterà. 4 Un lungo cammino, soprattutto un bel cammino, che chiederà a tutti l’impegno, la costanza, la capacità di lasciarsi guidare dallo Spirito nella libertà e nella verità, avendo come obiettivo l’urgenza di annunciare la gioia del vangelo agli uomini e donne del nostro tempo e del nostro territorio. Scegliamo la guida dello Spirito, lasciamoci prendere dalla freschezza del suo soffio, dalla forza del suo fuoco, dalla vitalità del suo alito, per diventare , come chiesa di Nola, colomba portatrice della parola di verità e di speranza sul mondo e sulla storia. Camminiamo insieme La Segreteria del Sinodo 5 L’icona biblica: La prima comunità cristiana "Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno" (Atti 2, 42-45) 1.a Questo tempo L’idea: la storia è condotta dallo Spirito. Il Signore ci precede sempre Questo è il tempo "favorevole". Quando i tempi sono difficili, questo è il tempo per l'annuncio. Il Signore è sempre avanti, apre le strade. La Chiesa deve avere il coraggio di mettersi sui sentieri del Risorto abbandonando le sue false sicurezze; il coraggio di liberarsi dalla gabbia di consuetudini consolidate. Liberarsi da una certa accidia pastorale e soprattutto liberarsi dalla malattia del pessimismo e della stanchezza. Recuperare uno sguardo nuovo che è frutto della guarigione dello Spirito. Imparare a guardare la storia e il mondo con gli occhi di Dio e ricordare che la Chiesa non è per se stessa ma per il mondo. La Chiesa sa di essere debole, ma è insieme consapevole della forza che viene dal Signore che ci rende in Lui creature nuove. L’atteggiamento da maturare: l’attenzione e la fiducia (in opposizione al sentimento dell'angoscia e dello smarrimento) Un tempo che provoca Fondiamo la nostra speranza non sui dati statistici, ma su una certezza: ovunque ci troviamo, Dio è già lì. Il Signore è già presente. Ci precede. Ci precede nelle case sfidate dal dolore. Ci precede nelle terre martoriate. Ci precede nei cuori delle persone e delle famiglie che soffrono. Ci precede nei gesti di generosità e di dedizione che scorgiamo con sorpresa se solo impariamo a guardarci intorno. Se Lui c’è, la vita vince ancora. Ci è chiesto di metterci sui sentieri del Risorto. Questo tempo ci sfida, ma in ogni sfida c’è un’opportunità. Questo tempo, proprio perché difficile, è un tempo favorevole per riscrivere la vita della nostra Chiesa come ricerca in terra del Regno, liberandoci dalla gabbia di consuetudini rassicuranti ma inadeguate, dalla rassegnazione che ci fa ripetere gesti senza speranza. Come riuscirci? Provando a guardare a noi stessi, alle nostre vite, alle nostre città, alle nostre comunità, con uno sguardo nuovo che è frutto della guarigione dello Spirito. È un tempo che sembra segnato da mali nuovi ma le radici di questi mali sono antiche e sono da ricercare nel cuore dell’uomo. All’origine di ogni degrado, c’è infatti l’uomo che perde la stima di sé come figlio di Dio e fratello del prossimo, nell’illusione che renda di più esser padroni delle vite e delle cose. Ciò che in effetti manca, per vincere la buona battaglia, non sono solo le buone ricette economiche e sociali, ma un contagioso rinnovamento interiore che purifica il cuore, la vista, le labbra, che può guidare diversamente le nostre mani. Un rinnovamento che investa anche la Chiesa. 6 Una Chiesa radicata e popolare La Chiesa di Nola insiste su un territorio di circa 600.000 abitanti. È immersa nel cuore della provincia di Napoli, ma incrocia una bella fetta di provincia irpina e tocca quella salernitana. Si tratta di un territorio eterogeneo, con un tessuto sociale ed economico molto diverso e con molteplici differenze anche dal punto di vista geograficoamministrativo, culturale e sociale. Tre sono i nodi di oggettiva problematicità che legano l’uno all’altro i nostri paesi: tassi altissimi di disoccupazione giovanile, famiglie monoreddito in evidente difficoltà e devastazione ambientale. La presenza della Chiesa si articola in questo territorio attraverso 115 parrocchie, riunite in tre zone pastorali e otto decanati. Una strutturazione che deve rispondere oggi a nuove sfide e opportunità: *una nuova idea di comunità e di corresponsabilità tra laici e sacerdoti per essere ancorati e immersi nel nostro popolo; *una nuova capacità di fare sistema tra comunità vicine e di valorizzare l’appartenenza allo stesso pezzo di territorio, superando sterili e anacronistici campanilismi; *un ritorno all’essenziale della vita di fede che alimenti nuovi stili di vita e di convivenza improntati alla sobrietà e alla solidarietà. Una trasformazione da convertire in rinascita Una Chiesa che vuole dire il Vangelo oggi non può non capire il corso della vita e della storia che si sta dipanando dinanzi ai nostri occhi. E provare ad applicare sulle grandi trasformazioni quello sguardo nuovo che il Signore ci chiede. - Deindustrializzazione e lavoro. Gli ultimi anni sono stati anni particolarmente duri, segnati da una profonda riduzione della presenza industriale sul territorio, con ricadute fortissime sulla piccola-media impresa, sui redditi delle famiglie e, a cascata, su consumi e attività commerciali. A fronte di tutto questo non si è dato un serio progetto di riconversione economico-sociale del territorio considerato nel suo insieme, e non per singoli pezzi. L’opportunità insita in questa trasformazione è la possibilità di ripensarsi come singoli e come comunità, e di ripensare le nostre categorie mentali, in merito ai temi del lavoro, dell’impresa, della mobilità, della formazione. La crisi offre la grande opportunità di recuperare una fondamentale chiave vocazionale nelle scelte. Proprio quando il ventaglio delle possibilità sembra ridursi, siamo sollecitati a ritrovare la nostra vocazione specifica: quella dei nostri territori, che occorre imparare a declinare nell’oggi, e la propria vocazione personale. Ci è chiesto di diventare più dinamici e più seri nello scrivere i nostri progetti di vita a livello individuale e comunitario. - Ambiente e salute. Abbiamo sotto gli occhi i segni della incoscienza con cui abbiamo colpito i nostri beni ambientali (il Vesuvio, le discariche, le aree da bonificare, l’inaccessibile mare nostrano, il dissesto del territorio…). Il fallimento di politiche troppo timide sia nella progettazione sia nella prevenzione e repressione di fenomeni gravissimi in cui si ripropone la ramificata e capillare presenza di interessi camorristici. Ma anche l’esito drammatico di una diffusa illegalità. La scienza tende a non sovrastimare i nessi causali tra degrado ambientale e incremento di patologie gravissime e mortali, tuttavia è ormai inscritta nelle nostre esperienza familiari l’aumento delle malattie e dei decessi prematuri. Il segnale positivo è il tendenziale aumento della sensibilità media a questi temi, ma non basta. Il passaggio fondamentale, oseremmo dire esistenziale, è sentirci meno “padroni” e più “ospiti” della nostra terra, derivando da un diverso atteggiamento un nuovo stile di vita sobrio ed ecosostenibile. 7 - Cultura. La nostra diocesi è ricca di perle dimenticate o, quantomeno, poco valorizzate. L’emblema è il complesso delle basiliche paleocristiane di Cimitile. In generale, quasi ogni pietra delle nostre strade, quasi ogni centimetro delle mura delle nostre città, profuma di una religiosità che si è fatta cultura. L’opportunità è nel porre questa ricchezza a servizio di un’umanità che, quando è vinta dalla bellezza, cresce anche in spiritualità e ricchezza d’animo. - Presenza straniera. Con diversa intensità, e diverse caratteristiche, le nostre città e le nostre comunità hanno vissuto negli ultimi decenni l’intensificarsi della presenza straniera. In alcuni casi questa presenza ha addirittura cambiato la fisionomia dei nostri paesi. Talvolta - nei poli commerciali in particolare – si è determinata una vera e propria simbiosi relativa all’attività produttiva che stenta però a trasformarsi in relazioni comunitarie a livello sociale e civile. Non mancano purtroppo situazioni di sfruttamento. In generale il rapporto tra la comunità italiana e gli stranieri presenti sul territorio appare segnato, più che da forme di razzismo, da una sostanziale indifferenza. Tra le pieghe della vita quotidiana, e talvolta anche a livello di comunità ecclesiale e civile, si registrano però alcune esperienze di autentica amicizia e scambio culturale che fecondano il clima della convivenza nelle città. L’opportunità è enorme. La presenza straniera cattolica, se adeguatamente accolta. può sicuramente rinfrescare la nostra fede e le nostre comunità. E il confronto con i credenti di altre religioni può aiutarci a sperimentare la possibilità di costruire un mondo più giusto a partire dall’incontro di fedi diverse. Per le caratteristiche che le derivano dalla sua storia, la Chiesa di Nola può diventare laboratorio vivo di ecumenismo e dialogo interreligioso. Di fronte a queste grandi trasformazioni, c’è bisogno di una Chiesa che sappia stare in mezzo e davanti. Una Chiesa che sappia stare in mezzo agli uomini e alle donne ma anche davanti. Stare davanti e non voltarsi, non voltarsi di fronte all’ingiustizia e allo sfregio alla dignità ma nemmeno di fronte allo scempio dell’ambiente, di fronte alle irregolarità amministrative. Saper denunciare con spirito di verità e non stancarsi di sollecitare all’assunzione di criteri diversi. Una Chiesa che ricorda che il mondo è bello se è guardato con gli occhi di Dio e se è vissuto secondo il suo disegno di amore. Una Chiesa che sappia offrire una parola che libera la luce e genera speranza. I doni che abbiamo tra le mani Non partiamo da zero. Di fronte alle sfide di questo tempo, e di questa terra, abbiamo tra le mani doni che sapientemente chi ci ha preceduti ha costruito, tutelato e promosso giorno dopo giorno. Li elenchiamo, in termini essenziali: - Un legame religioso ancora vivo. Il nostro popolo ha subìto meno di altri il forte impatto del secolarismo. I sociologi dicono che è solo questione di tempo, che nel giro di pochi anni anche le nostre comunità saranno indifferenti o lontane dalla domanda che Dio pone alla nostra esistenza. Noi tendiamo a credere che non sia così. Le famiglie, anche molto giovani, vedono nella Chiesa, e nella formazione cristiana, una strada buona per il futuro dei loro figli. Può essere letto come funzionalismo (“meglio in parrocchia che in strada”), ma è un dato di fatto da cui partire che rende originale la nostra situazione ecclesiale (e in generale, quella del Sud Italia rispetto al Nord e al resto d’Europa). - La sussidiarietà familiare. Ancora oggi, il nostro territorio è segnato dalla forte attrattività del legame familiare. Anche se cominciano a registrarsi segnali di accentuata precarietà nelle relazioni affettive, i giovani, tendenzialmente, non scappano dalla responsabilità di unirsi per dare “più vita alla vita”, a volte affrontando con coraggio le difficoltà materiali che si frappongono al loro progetto (la casa e il lavoro). E, in questa fase di crisi acuta, decisiva è stata ed è la solidarietà dei genitori e dei nonni, ancora capaci di fare sacrifici, di non appiattirsi sul loro benessere per costruire il bene di chi viene dopo. La famiglia gode ancora di centralità sia nel dibattito delle istituzioni locali sia nel mondo-scuola. Questa peculiarità, che tuttavia mai 8 può essere data per scontata e che comunque sconta alcuni segni dei tempi, va investita in una Chiesa che educa guardando alla pienezza di vita, e non ai ristretti orizzonti delle attività da portare avanti. - La gratuità delle reti educative e caritative. Per quanto bistrattate, le agenzie educative e caritative, nel nostro territorio, svolgono con gratuità e passione un compito cruciale: accompagnare le persone nelle diverse fasi e nei diversi passaggi della loro vita. Associazioni, movimenti, comunità, gruppi, ecclesiali e non, sono un segno buono di generosità e gratuità affascinante anche verso le nuove generazioni, che sa trovare canali positivi con la scuola e le famiglie. Anche l’istituzione scolastica, e il corpo insegnanti, rappresentano nella nostra terra una ricchezza di passione che riesce a tirare fuori il meglio dalle persone anche in territori difficili e in strutture scolastiche gravemente deficitarie in termini di vivibilità. Né va dimenticato l’apporto delle scuole di ispirazione cattolica, significativo esempio di una progettualità educativa pensata in termini globali e nello stile dell’inclusione; e, più in generale, l’impegno formativo assicurato dagli ordini religiosi. Ma lo sforzo e la volontà dei singoli non può appagarci: è compito della Chiesa quello di sostenere queste reti, di valorizzarle e di mettere in circolo le migliori competenze ed energie. Facendo leva su questi doni, che derivano in buona parte dalla ricca tradizione di fede dei nostri paesi, e forte dell’annuncio di vita vera che le è affidato, la Chiesa di Nola deve essere per il suo territorio la sentinella che ricorda ai viandanti che “il mattino verrà”. Deve essere una Chiesa che sa amare: non per regnare ma per servire. In questo tempo, che sembra talvolta una notte senza fine, la Chiesa di Nola deve farsi sentinella con i fianchi cinti da un grembiule e un catino pieno d’acqua nel quale rinfrescare i piedi di quanti sono in cammino alla ricerca di qualcuno che indichi loro le stelle. Chiediamoci allora: Con quale sguardo guardiamo questo nostro tempo? (“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”). Quali sono le difficoltà e le risorse, le "finestre", per l'annuncio del Vangelo in questo tempo, nei luoghi in cui viviamo? Come si configura la realtà di vita (culturale, sociale, ecclesiale..) in cui è immersa la nostra comunità? Quali sono le trasformazioni in atto? Come potremmo descrivere il nostro territorio? Che cosa vuol dire essere Chiesa e annunciare il Vangelo in questi luoghi? Quali sono a nostro avviso le priorità? 9 1.b. Noi in questo tempo: il cammino della Chiesa di Nola L’idea: la nostra Chiesa diocesana è dentro questo tempo e in questi nostri luoghi con una capacità di progettualità Il cammino della nostra Chiesa diocesana e le linee di impegno pastorale tracciate nel tempo. L'orientamento di fondo e le idee guida. Le difficoltà, le resistenze, i passi avanti e i fermenti positivi di cambiamento… L’atteggiamento da maturare: il senso di appartenenza (sentirsi parte di una storia di popolo: non si comincia ogni volta dal nulla) Il cammino della nostra Chiesa diocesana e le linee di impegno pastorale tracciate nel tempo Volendo tracciare le linee di fondo che hanno accompagnato il cammino della Chiesa di Nola, partendo dagli anni del post-concilio, si potrebbe passare in breve rassegna l’impronta lasciata dal magistero dei Pastori che si sono succeduti. Tenuto conto che vescovo di Nola durante il Concilio fu con mons. Adofo Binni (1952/70), e che però gli ultimi anni della sua vita trascorsero in uno stato di grave malattia, nella nostra ricostruzione partiremo dall’episcopato di mons. Guerino Grimaldi che fu designato nel 1970 quale Amministratore apostolico della diocesi, per poi diventarne vescovo l’anno successivo. Mons. Guerino Grimaldi (1971-82), chiamato a tradurre nel concreto il Concilio, tesse il dialogo con la cultura del tempo; avvia gli Organi di partecipazione a livello diocesano e l’esperienza della Scuola di teologia; promuove l’attenzione al sociale ed esperienze di impegno e dialogo culturale. Mons. Giuseppe Costanzo (1982-89) cura e promuove con particolare attenzione l’apostolato dei laici; sottolinea la centralità della Parola di Dio e dà avvio a scuole di preghiera come ascolto della Parola; intesse rapporti di visita e vicinanza con le comunità parrocchiali; istituisce la “mensa di fraternità” a Nola; introduce alla nuova mentalità dell’Istituto centrale del Sostentamento del clero; promuove i grandi temi conciliari: l’ascolto, il dialogo, la comunione, la Chiesa; avvia lo stile e l’esperienza dei piani pastorali annuali per affrontare le urgenze della testimonianza della fede e per ridare identità alle comunità credenti. Mons. Umberto Tramma (1990-99) individua nel mondo degli adulti il campo di un nuovo impegno di evangelizzazione e annuncio; apre gli orizzonti della Chiesa diocesana alla missione e in particolar modo all’esperienza in Albania; promuove la collaborazione tra i diversi uffici della pastorale per integrarne l’azione; ridisegna l’impegno caritativo e ne promuove la capillare presenza nelle parrocchie; dopo una visita pastorale a livello decanale, indice il Sinodo della Chiesa di Nola che non sarà portato però a compimento. L'episcopato di mons. Depalma (dal 1999 ad oggi) Nei primi 5 anni, il rilancio dei Consigli di partecipazione e il lavoro integrato degli uffici per una pastorale unitaria. 2004-2005, Missione popolare e Anno del vangelo: coinvolgimento di 1000 laici per l’evangelizzazione attraverso i centri di ascolto. Semina Verbi: la proposta della lectio divina nella vita delle parrocchie (almeno nei tempi forti, ma anche come appuntamento mensile o settimanale fisso). La sensibilità alla Parola è un dato oggettivo maturato nell’esperienza ecclesiale diocesana. 10 La forte insistenza sulle responsabilità educative della comunità ecclesiale e l’invito a riscoprire la bellezza dell’educare. La sollecitazione ad attivare nuove esperienze per la trasmissione della fede. 2006-20011, il tempo di grazia della visita pastorale: l’incontro del vescovo con le comunità, ritrovarsi Chiesa intorno al proprio pastore nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dell’Eucarestia, nell’avvertirsi dono gli uni per gli altri; le sollecitazioni offerte per una parrocchia capace di incarnare il modello di Chiesa del Vaticano II; la promozione della corresponsabilità laicale. L’avvio di una nuova riflessione intorno all’iniziazione cristiana: la possibilità di sperimentare cammini differenziati e forme nuove di coinvolgimento delle famiglie. La gratuità dei servizi ecclesiali (non ci sono tariffe per la celebrazione dei sacramenti). L'attenzione alle forme della religiosità popolare: ripensare le feste parrocchiali con uno stile evangelico. Il cammino di comunione e di corresponsabilità delle aggregazioni laicali. L’urgenza della formazione degli operatori pastorali e la proposta di un percorso di studi teologici attraverso Istituto superiore di scienze religiose. La cura per una fede pensata e l'investimento di risorse nell'Issr della diocesi. L’attenzione alla famiglia: la cura per i percorsi in preparazione al sacramento del Matrimonio con gli incontri per i fidanzati ogni anno in ogni zona della diocesi. L'invito a riscoprire la famiglia come primo e naturale luogo per la trasmissione della vita e della fede. La testimonianza nel mondo della scuola: gli incontri della pastorale scolastica, il coordinamento degli insegnanti di religione. L’attenzioni al mondo del lavoro, ai suoi drammi e alle sue speranze. La difesa dell’ambiente e il richiamo ad uno sviluppo sostenibile: la denuncia delle infiltrazioni camorristiche e delle responsabilità amministrative, l’impegno delle aggregazioni laicali, i pronunciamenti ufficiali, il sostegno alla lotta contro la rassegnazione e l’ignoranza. La Scuola diocesana di formazione socio-politica: riscoprire la fecondità della Dottrina Sociale della Chiesa. Dal 2012, il cammino per il sinodo: per una Chiesa tutta sinodale L’orientamento di fondo delle scelte operate dalla Chiesa diocesana con mons. Depalma; le difficoltà e le resistenze incontrate Da questa breve ed essenziale ricostruzione, emerge l'orientamento di fondo dell’episcopato di mons. Depalma: lo sforzo di pensarci come una Chiesa missionaria che ha a cuore l’uomo e la sua vita; la scelta di puntare non tanto sulle cose da fare quanto su atteggiamenti da maturare. Una questione di stile. Nel procedere in questa direzione si sono riscontrate alcune difficoltà e resistenze: • la richiesta insistente di “norme” che liberino dalla fatica e dalla responsabilità del discernimento; • la tendenza ad analisi disfattiste; • la difficoltà a cogliersi in un territorio specifico; • la ricerca di risultati immediati e la fatica nel vivere la pazienza di un cammino comune; • la difficoltà ad accogliere le proposte cogliendone il senso d'insieme e a legarle fra loro come momenti di un unico cammino; • la difficoltà a fare memoria e a inserirsi in una storia; • l'individualismo pastorale Chiediamoci allora: Come educarci ad una lettura d’insieme? Come non perdere la memoria del cammino già fatto? Quale conoscenza abbiamo della storia della nostra Chiesa diocesana e delle nostre comunità? Quanto sappiamo valorizzarla e farne tesoro? Sappiamo riconoscere che non tutto inizia con noi e che non si comincia ogni volta daccapo? Gli eventi che oggi viviamo la “crisi” economica le trasformazioni culturali e sociali, quanto hanno provocato la vita della nostra comunità, a quale sensibilità ci hanno aperto? L’esperienza vissuta e lo stile respirato nella visita pastorale quanto 11 ha contribuito a ripensare la vita ordinaria e straordinaria della nostra comunità? Riusciamo ad avvertirci dentro una storia che è più grande di noi e ci precede: la storia della Salvezza, ossia la storia dell’amore di Dio per l’uomo? 12 2. Per una Chiesa che ascolta: L’icona biblica: "Erano assidui nell'ascoltare…" L’idea: l'uomo è fatto di ascolto e la fede nasce dall'ascolto La centralità della Parola; l’ascolto della vita e del tempo; l’ascolto come stile e come vita concreta; il linguaggio e i linguaggi: come cambia il modo di comunicare; comunicare la fede richiede la testimonianza della vita ed esige il curare la formazione accompagnando e sostenendo la vita delle persone. L’atteggiamento da maturare: l’accoglienza Ascoltare la Parola e ascoltare la vita per una nuova progettazione pastorale La Rivelazione è locutio Dei ad homines, vale a dire il “parlare” di Dio agli uomini. L’atteggiamento dell’ascolto è la caratteristica fondamentale dell’uomo che si apre alla relazione salvante con il Signore. L’ascolto di Cristo, sacramento del Padre (un ascolto che fiorisce nelle opere) caratterizza il discepolo e garantisce la relazione profonda con Gesù. “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 10, 3). Pastori e gregge, tutti noi siamo chiamati ad essere discepoli della Parola. La comunità cresce con la disponibilità, da parte di tutti, a lasciarsi plasmare dalla Parola di Dio, a lasciarsi sempre ri-formare, per assumere un aspetto sempre fresco, sempre nuovo, sempre più bello, quale si addice alla sposa di Cristo. All’ascolto della Parola deve affiancarsi, come sua naturale derivazione, l’ascolto della vita delle persone. Esperta in umanità e spinta o, per meglio dire, “totalmente occupata” dalla carità di Cristo (cfr 2Cor 5, 14), la Chiesa ascolta la vita degli uomini e, di volta in volta, offre le risposte più adatte suggeritele dallo Spirito. L’ascolto, congiunto a una sempre maggiore lucidità di sguardo, dono dello Spirito, rientra in quella scrutazione dei “segni dei tempi” che è dovere permanente della Chiesa. Esemplare a tale proposito è l’atteggiamento di san Paolino che scrive testualmente: “pendiamo dalla bocca di tutti i fedeli, poiché in ogni fedele soffia lo spirito di Dio” (Ep. 23, 36 a Severo). L’attitudine ad un ascolto attento e cordiale, tuttavia, non deve condurre la Chiesa ad assumere acriticamente tutto quanto il mondo esprime: “[…] i discepoli di Cristo devono avere anche il coraggio della ‘differenza’, dell’essere sale della terra, capaci di dare sapore alla vita umana e di impegnarsi per l’umanizzazione e l’autentica libertà di tutti” (E. Bianchi, La Stampa, 23.02.2014). C’è un rapporto strettissimo tra l’ascolto della Parola e l’ascolto della vita delle persone. Solo se educati alla scuola della Parola sappiamo ascoltare la vita in profondità e d’altra parte non ascoltiamo veramente la Parola se non ci lasciamo interpellare dalla vita, perchè è nella vita e nella storia che il Signore continua a parlare. Ascoltare vuol dire incontrare, passare del tempo con le persone, perché ogni persona è una storia ricca di domande. Ogni uomo è una sorpresa che Dio ci manda. Per questo bisogna deporre ogni atteggiamento di chiusura, la tendenza al giudizio senza appello, e assumere piuttosto un atteggiamento di benevolenza che ci rende capaci di scorgere la presenza del Signore nel cuore e nella vita dell’altro. L’accoglienza deve diventare lo stile della comunità che deve poter essere riconosciuta come luogo in cui nessuno si sente escluso o di troppo. La Chiesa più che annunciare la Parola è parola di Dio con il suo stile, il suo modo di stare in mezzo agli uomini, come Gesù. 13 La Parola, le parole e le sfide della comunicazione Dall’ascolto scaturiscono parole vere. La parola è un evento serio. Occorre evitare il vuoto verbalismo. Si tratta allora di ripensare la nostra progettazione pastorale a partire da questo duplice ascolto: l’ascolto della Parola e l’ascolto della vita delle persone che il Signore ci affida. Ripensarne i tempi, i modi, le forme, perché sappiano intercettare storie e situazioni diverse accogliendone le domande più profonde. Tanto Israele quanto la Chiesa hanno sempre parlato il linguaggio degli uomini del proprio tempo. Già nel II secolo a.C. gli ebrei hanno avvertito la necessità di tradurre in greco l’Antico testamento ebraico, dando origine alla versione che va sotto il nome di “Settanta” (LXX), la quale rappresentò la più grande operazione linguistica e culturale dell’epoca ellenistica, consentendo, tanto agli ebrei grecofoni quanto ai pagani, di poter leggere agevolmente i libri sacri. E fu la lingua greca parlata nel bacino del Mediterraneo, ad essere scelta dagli autori del Nuovo testamento per tradurre e diffondere l’Evangelo. Già dal secolo II d.C., poi, l’AT greco e il NT cominciarono ad essere tradotti in latino dando origine a quel variegato “corpus” di traduzioni che va sotto il nome di Vetus Latina e che sarà la base del latino cristiano della liturgia e dei Padri occidentali. Si può dunque affermare che la Parola non solo si è fatta carne ma si è fatta, bensì, “parole”, essendo stata tradotta nelle parole degli uomini. Non possiamo perciò ignorare le trasformazioni che oggi attraversano il linguaggio e la comunicazione tra le persone. L’enorme capacità di coinvolgimento dei social network deve spingerci a interrogarci sul crescente desiderio di comunicazione e di relazione che é nel nostro tempo e a imparare a rapportarci ai nuovi luoghi della parola (che possono unire o dividere, creare comunione o distruggere) come luoghi da abitare più che semplici strumenti da usare. Come credenti siamo chiamati a leggere in profondità le trasformazioni evitando condanne sommarie ma anche pericolosi scimmiottamenti. È soprattutto la potenzialità di bene che è insita nelle trasformazioni quella che occorre contribuire a far emergere. Nel caso specifico è il bisogno di comunicare e la sete di relazioni ciò che costituisce il motivo da cui partire e su cui far leva. Questo implica un’assunzione di responsabilità e un impegno educativo che aiuti a non vivere passivamente il nuovo che emerge e metta in guardia dalle possibili deformazioni. Chiediamoci allora: Come ritrovare la centralità della Parola nella vita della nostra comunità e che cosa questo concretamente significa? Come ripensare i tempi e i modi delle nostre comunità perché siano accoglienti della vita delle persone? Quale cura riserviamo alla crescita nella fede delle persone? Avvertiamo come comunità parrocchiale la responsabilità di generare alla fede? Quali percorsi formativi siamo in grado di offrire per interiorizzare la fede? Sappiamo differenziare e talvolta anche personalizzare i cammini nell’educazione alla fede? Quanto sappiamo valorizzare e armonizzare i percorsi formativi delle associazioni, gruppi e movimenti presenti nella vita della comunità? Ci lasciamo interpellare dalla realtà di vita del nostro territorio nella progettazione pastorale? Quanto siamo capaci di intercettare e di educare i nuovi linguaggi? 14 3. Per una Chiesa che rende lode L’Icona biblica: "Erano assidui…nella frazione del pane e nelle preghiere" L’idea: la liturgia é santificazione della vita. Nella preghiera è data la chiave di comprensione del reale La liturgia è evento di vita. I sacramenti sono gesti di vita, in essi la vita di Dio entra nella storia dell'uomo divinizzandola. Aver cura della liturgia e della celebrazione dei sacramenti: far cogliere la grazia di Dio che trasforma e rigenera. La celebrazione dei sacramenti è momento privilegiato di evangelizzazione e di primo annuncio. Nello stesso tempo occorre però riflettere adeguatamente sui criteri e sui percorsi da attivare per l’amministrazione dei sacramenti. Il valore della religiosità popolare da accogliere ed educare. La necessità di insegnare a pregare, di aiutare a ritrovare spazi di raccoglimento e di silenzio orante. L’atteggiamento da maturare: la gratitudine, la docilità a lasciarsi amare gratuitamente Liturgia ed evangelizzazione Una Chiesa che rende lode è una Chiesa che, innanzitutto, riceve, riconosce e accoglie con gratitudine la propria identità di “stirpe eletta, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di Lui”. La liturgia conserva la Chiesa nella sua consapevolezza di essere “dall’alto” e, insieme, di essere “nel mondo”, segno e strumento del progetto salvifico di Dio. Immersi in una cultura secolarizzata che riconosce nel “mercato” l’unica logica stringente e vincente, i cristiani che celebrano la liturgia diventano perciò testimoni e profeti di gratuità e di dono, proclamano nella lode il primato di Dio e della sua misericordia e riscoprono l’autentico fondamento del vivere. Una Chiesa che non celebra smette di essere Chiesa per trasformarsi in una organizzazione assistenziale o in un’associazione religiosa. “L'evangelizzazione non si esaurisce nella predicazione e nell'insegnamento di una dottrina. Essa deve raggiungere la vita. […] Il compito dell'evangelizzazione è precisamente quello di educare nella fede in modo tale che essa conduca ciascun cristiano a vivere i Sacramenti come veri Sacramenti della fede, e non a riceverli passivamente, o a subirli” (Evangelii nuntiandi n. 47). Tra la liturgia e la vita non c’è una porta sbarrata ma una porta aperta: dalla liturgia scaturisce lo Spirito che anima tutta la vita. I sacramenti sono esplosione della Pasqua del Signore e la Pasqua è vita nuova, speranza, libertà, pienezza. Nei sacramenti la vita di Dio entra nella storia dell’uomo divinizzandola. Le nostre comunità parrocchiali, che talvolta sperimentano il moltiplicarsi quantitativo e confuso di celebrazioni e di atti di culto, avvertono sempre più l’esigenza di una educazione liturgica che disponga alla comprensione della celebrazione - del suo simbolismo, del suo significato più profondo - ma che disponga anche al silenzio e alla preghiera fatta di ascolto e di contemplazione così che accanto all’azione pubblica sia garantito lo spazio per la maturazione e l’esperienza personale dell’incontro con Dio. D’altra parte, il dono dello Spirito santo, invocato e ricevuto in ogni celebrazione liturgica, è finalizzato solo e proprio a questo: a fare di tutti noi “un sacrificio vivente a Dio gradito” (cfr. preghiera eucaristica III) innestandoci sempre più profondamente nella vita di Dio in Cristo Gesù. Qui trova il suo fondamento lo stretto e necessario rapporto tra sacerdozio ordinato dei vescovi e dei presbiteri e il sacerdozio battesimale dei fedeli: il primo è, appunto, “ordinato” al secondo e lo rende possibile quale fine di tutta l’azione della Chiesa. La partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia, il coinvolgimento di tutti nella celebrazione nella diversità del ministero di ciascuno non può ridursi allora a espediente coreografico o a servizio funzionale, ma appartiene alla verità della liturgia, preghiera pubblica di Cristo e di tutto il suo popolo ed esprime la realtà di una Chiesa tutta ministeriale. La domenica, giorno del Signore, memoriale della sua Risurrezione, è il centro della vita liturgica della comunità cristiana, fondamento e nucleo di tutto l'anno liturgico. Essa è la Festa cristiana primordiale, di cui occorre ritrovare 15 il senso in un tempo nel quale l’ideologia del mercato e del lavoro produttivo a tutti i costi oscura il valore della festa come spazio di gratuità e quindi di dignità per l’uomo, la famiglia e i rapporti sociali. Giorno del Signore, essa è anche il giorno della comunità: la festa cristiana non è fuga né distrazione, ma ospitalità e condivisione fraterna, specie con i più poveri e bisognosi. Una necessaria conversione dei percorsi di preparazione ai sacramenti Poiché “cristiani non si nasce ma si diventa” è necessario riscoprire la forza educativa (mistagogica) di una liturgia ben preparata e celebrata, che conduce all’incontro vivo e vero con il Signore che salva, per poterlo poi testimoniare nella vita. In particolare, occorre riflettere attentamente sulla celebrazione dei sacramenti. Nella nostra diocesi è tuttora molto alto, grazie a Dio, il numero di coloro che chiedono i sacramenti dell’Iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima, Eucaristia) e desiderano ancora sposarsi in Chiesa. Tale richiesta può essere spesso inquinata da motivazioni non sempre autenticamente evangeliche; anzi, talvolta, essa nasce da conformismi superficiali ed abitudini tradizionali e/o sociali. Chiedere di battezzare i propri figli o di sposarsi in chiesa risponde, in certe circostanze, più al pigro collocarsi in una tradizione familiare, culturale e sociale che alla responsabile condivisione di una visione e di un cammino di fede. Queste considerazioni, però, pur condivise dolorosamente da tanti nostri operatori pastorali e comunità parrocchiali, non escludono la possibilità di poter trasformare tali richieste in provvidenziali occasioni per accendere o riaccendere il desiderio di un percorso personale che ritrovi le motivazioni profonde del credere e del vivere. È chiaro che, perché ciò accada, occorre che l’intera comunità parrocchiale, e in particolare il parroco con i suoi catechisti, riscopra la sua vocazione all’educazione e alla formazione alla fede e ripensi forme, tempi e itinerari di catechesi impegnandosi per una “pastorale dell’accoglienza” unita a uno “stile di gratuità”, che non svenda nulla ma nemmeno venda a caro prezzo la grazia di Dio. L’incontro con Cristo e con la sua Chiesa, che per tanti avviene ormai unicamente in questi momenti, se ben presentato e favorito, può essere il primo passo per un “ritorno a casa”, quella casa da cui ci si è allontanati forse, anche a causa di porte chiuse troppo in fretta. Una riflessione intelligente e condivisa va rivolta anche al diffuso e complesso ambito della religiosità popolare, risorsa preziosa del vissuto ecclesiale del nostro territorio ma anche spazio esposto ad influenze ambigue ed estranee, quando non contrarie al Vangelo. Non si tratta qui di sradicare violentemente tradizioni e usanze care al nostro popolo e che per tanti, specialmente i più poveri, e per tanto tempo, hanno costituito il terreno buono e fertile in cui è stata seminata ed è cresciuta la fede, portando frutti di carità e perseveranza fino ad oggi. Feste, tridui, novene, processioni, pellegrinaggi, pii esercizi restano per buona parte del nostro popolo il linguaggio semplice e sincero in cui si esprime il desiderio appassionato di Dio e l’obbedienza paziente alla sua volontà nelle situazioni liete e tristi della vita. Una pastorale rispettosa dell’uomo e di tutto l’uomo non può impunemente e aristocraticamente trascurare o disprezzare questo patrimonio inestimabile di pietà, di sentimenti, di cultura e di vita. Tale cura, però, oltre a conservare e promuovere tutto il positivo, non può e non deve nasconderne l’ambiguità e, talvolta, il negativo che caratterizzano ogni fenomeno che nasce dal cuore umano. Un discernimento si impone. Pratiche superstiziose e magiche, gestioni clientelari e prive di ogni riferimento ecclesiale, sprechi di denaro privato e pubblico che tanto esaltano il protagonismo di pochi quanto offendono la povertà di molti, genuine e originarie motivazioni religiose ridotte a pretesto per la vanità e l’apparenza di un gruppo, processioni trasformate in questua e raccolte di soldi, immagini sacre tramutate in oggetti portafortuna e scaramantici: questo ed altro chiede una presa di posizione chiara che proponga e difenda, rispettosamente ma decisamente, i diritti del Vangelo e i doveri della verità e della carità. La doverosa disponibilità pastorale non può e non deve mai tradursi in pigra o, peggio, interessata connivenza: ne risentirebbero la chiarezza della fede, di cui la Chiesa è debitrice al mondo, e la trasparente testimonianza della comunità parrocchiale. Una menzione particolare meritano poi i gruppi di preghiera presenti in maniera diffusa nell’esperienza ecclesiale diocesana. Questi gruppi esprimono, ognuno a suo modo, ansie di fede e di invocazione. Nascono da motivazioni di ordine psicologico e spirituale spesso mescolate tra di loro: c’è l’esigenza di esprimere se stessi, la ricerca di ciò che è pacificante, l’istanza di non sentirsi isolati, di compensarsi di fronte ad ambienti ecclesiali talora impersonali e indisponibili, ma c’è spesso anche un senso vivo di Chiesa, il senso della bellezza e del valore della preghiera. 16 Accogliere le esperienze di gruppo che lo Spirito suscita nella Chiesa è un dovere ecclesiale e rispetto ad esse è richiesto un clima di fraternità e di paternità responsabile. A loro volta però i gruppi non possono essere da sé e per sé in modo indipendente e prendere distanza dalle comunità parrocchiali. Va ricordato che pur nella sua densità la preghiera si connette e si completa con la vita della liturgia e con la testimonianza personale e comunitaria del servizio e che il vincolo con la comunità parrocchiale garantisce la continuità e la completezza del vivere cristiano. Chiediamoci allora: Quale consapevolezza abbiamo di essere comunità radunata intorno al Signore risorto che è presenza viva e reale nella celebrazione liturgica? La celebrazione dell’Eucarestia viene avvertita come “culmine e fonte” della vita della Chiesa e della nostra vita di credenti? Come viene preparata e vissuta la liturgia? Le nostre liturgie riescono ad esprimere la bellezza del mistero senza ridurla ad estetismo o a coreografia e senza cadere nella sciatteria? Come viene convolta l’assemblea? Quali attenzioni educative poniamo per smantellare l’idea che i sacramenti possano essere “beni da comprare”? Come sono impostati i nostri percorsi di preparazione ai sacramenti: contribuiscono a inserire nella vita di fede della comunità, esprimono l’attenzione alle diverse situazioni di vita, sollecitano all’assunzione di uno stile evangelico nell’esistenza quotidiana? C’è un “dopo” di cui la comunità continua ad avere cura? Educhiamo a pregare e al senso religioso della vita? Quale attenzione e quale cura riserviamo alla religiosità popolare? 17 4. Per una Chiesa capace di comunione L’icona biblica: "Erano assidui… nell'unione fraterna" L’idea: la comunione è dono di Dio, tutto ciò che la Chiesa compie è epifania (manifestazione) di questo dono. La Chiesa è, in mezzo agli uomini, sacramento ossia segno e strumento di comunione. La diversità dei doni suscitati dallo Spirito e la tensione all’unità. Le fatiche della comunione in mezzo a noi e intorno a noi. Riconoscersi figli per vivere da fratelli. La fraternità nasce dalla paternità. Il ministero episcopale e la diocesanità. Imparare ad essere popolo: la reciprocità delle vocazioni e dei ministeri, lo stile dell’incontro e dell’inclusione. Essere fermento sul territorio. Atteggiamento da maturare: con il cuore aperto La Chiesa è sacramento di comunione La Chiesa “è un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (LG, 4)”. La comunione tra i credenti è fondata sulla comunione trinitaria. La comunità ecclesiale nasce e vive grazie al dono dello Spirito: questa è la sua vera origine e la ragione del suo esistere. Non si può comprendere la comunione di cui è chiamata a vivere la comunità ecclesiale con tutti i suoi carismi e ministeri se non si percepisce in profondità questa azione di Dio. Lo Spirito suscita nella Chiesa una diversità di doni che, avendo la loro origine nella comunione divina, tendono di per sé all’unità. Ciò che fa della diversità una ricchezza nella vita della Chiesa è questa tensione all’unità che costituisce anche il criterio per riconoscere i doni dello Spirito ed è lo stile che ci è chiesto di assumere per non disperdere la grazia di Dio. Radicata nella profondità del mistero di Dio, una sola cosa con il suo Signore, la Chiesa è corpo di Cristo. Essa è chiamata ad essere nella concretezza della vicenda umana “sacramento”, ossia segno e strumento, “dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. È chiamata cioè a rendere visibile la vita di Dio che è vita di comunione comunione e ad introdurci in essa, perchè sia sempre di più la nostra vita, il respiro e la stoffa della vita di ogni uomo e di tutti gli uomini. In tutto ciò che è e che fa, la Chiesa deve poter ricordare agli uomini che siamo fatti per la comunione e che la nostra umanità si realizza pienamente soltanto in questa esperienza. Compito della Chiesa è custodire il desiderio di comunione insito nel cuore dell’uomo, contribuire ad alimentarlo, cercare, stando in mezzo agli uomini, le strade che consentano di realizzarlo. È questo il senso del suo essere anticipazione del Regno, interamente volta all’edificazione del Regno di Dio il cui compimento essa non smette di invocare. Le “tentazioni” che ostacolano la comunione Tutto ciò che contribuisce alla comunione, che fa crescere l’unità, deve stare a cuore alla Chiesa. In tal senso essa è chiamata ad offrire di sè una limpida immagine, non offuscata da divisioni che contraddicono l’annuncio del Vangelo, ma anche ad intercettare la ricerca della comunione che emerge dalla concretezza dell’esistenza e tra le pieghe della storia. Perchè questo sia possibile occorre però avere lucida coscienza degli ostacoli e delle fatiche che la tensione alla comunione sperimenta talvolta fino ad esserne fiaccata. Non vale qui la distinzione tra ciò che è dentro la Chiesa e ciò che accade al di fuori. La fatica della comunione, che è la fatica dell’incontro, del dialogo, della relazione, è la stessa dentro e fuori la Chiesa. Il tempo che viviamo lascia emergere una enorme sete di relazione ma anche una altrettanto enorme fatica nel viverla. Sono forti la spinta a funzionalizzare le relazioni, , la difficoltà a pensarle in termini di stabilità, di dedizione, di cura, la tentazione dell’individualismo. Così anche nella Chiesa si fa fatica a vivere la condivisione, l’essere insieme, gli uni con gli altri e gli uni per gli altri. Sono tanti gli individualismi che avvelenano la vita delle nostre 18 comunità ed è forte il rischio di guardare alle persone solo relativamente alla funzione che possono svolgere. C’è il rischio di incapsulare nei ruoli, di sclerotizzare equilibri e rapporti fino a farne un sistema di potere, il rischio del clericalismo e di forme di autoritarismo che sostituiscono un carente senso della paternità, così come il rischio di atteggiamenti di passività gregaria o di sterile rivendicazionismo. Facciamo fatica a camminare insieme, ad operare insieme, a credere e sperare insieme, nella Chiesa come nelle tante situazioni e nei luoghi in cui si costruisce la vita di ciascuno. Riconoscersi figli Molte volte all’origine di questa fatica c’è l’incapacità di ascoltare veramente ciò che ci portiamo nel cuore, ciò che muove nel profondo la nostra vita, c’è un fermarsi in superfice, un prosciugarsi della vita interiore, una traballante vita spirituale. Se non sappiamo vivere la fraternità è perchè non sappiamo riconoscerci figli e vivere da figli, perchè pensiamo di poter bastare a noi stessi e di trovare unicamente in noi stessi il principio di ciò che siamo. All’origine della fatica nella relazione c’è il grande male dell’autoreferenzialità, quel far centro unicamente su di sé, che rende fragili i nostri rapporti e prima di tutto il nostro rapporto con Dio. Specchio di tale situazione è la difficoltà a vivere la comunione e a riconoscersi Chiesa intorno al vescovo, a “colui che nella Chiesa tiene il posto di Dio” (Sant’Ignazio di Antiochia). Il vescovo esercita il ministero apostolico che è principio visibile dell’unità nella chiesa locale. Senza riconoscere tale principio non c’è fraternità. La Parola, l’Eucarestia e il ministero apostolico, che continua attraverso i vescovi, sono le colonne della Chiesa, di quella Chiesa che è presente nella sua pienezza, in questo luogo e in questo tempo, nella realtà della Chiesa locale. Dove c’è il vescovo lì c’è la Chiesa. Imparare ad essere popolo Le parrocchie devono poter riflettere il volto della Chiesa locale e non essere ciascuna una realtà a sé che si vive in maniera autonoma e autoreferenziale. Se non c’è il senso vivo della diocesanità non c’è autentica coscienza di Chiesa. Questo esige l’impegno a ritrovarsi e a modificare, se necessario, il proprio passo per poter procedere insieme. Radicata in un territorio, immersa nel tempo, la Chiesa locale deve potersi avvertire come popolo di Dio in cammino. In tale cammino, più che le corse in avanti o il fulgore di protagonismi solitari, vale il procedere insieme avendo a cuore che nessuno resti indietro o ai margini della strada. E nel cammino di una Chiesa che si riscopre popolo e impara ad essere tale non ci sono soltanto quanti si dedicano stabilmente e a diversi livelli alla vita della comunità. Le porte delle nostre chiese, della nostra chiesa diocesana, devono poter rimanere costantemente aperte per accogliere chiunque cerchi il Signore e per poter imparare ad avere a cuore sempre di più ciò che accade per le strade.,la vita dei nostri paesi, le storie delle persone concrete attraverso le quali passa l’unica grande storia dell’amore di Dio per l’uomo. La bellezza di una Chiesa che è icona della Trinità deve risplendere nella sua capacità di incontro, di condivisione , di inclusione. Il tutto e le parti Così anche nel costruirsi della vita della comunità occorre che le diverse vocazioni in essa presenti (presbiterii e diaconi, laici, consacrate e consacrati) e i diversi ministeri ordinati e non siano vissuti in un’armonia d’insieme che faccia risaltare il valore essenziale di ciascuna vocazione e di ogni ministero, e nello stesso tempo ricordi che il tutto è più importante della parte e che la parte ha senso solo in relazione al tutto. Particolare attenzione deve essere posta in tal senso alla promozione di una consapevolezza laicale che riscopra come radicata nel battesimo la responsabilità dei laici nell’annuncio del vangelo e nell’edificazione della Chiesa. La formazione ad una autentica corresponsabilità che valorizzi l’apporto dei laici è fondamentale perchè si dia vita di Chiesa e perchè gli stessi presbiteri acquistino più chiara consapevolezza del ministero loro affidato. È veramente incisiva la testimonianza di una Chiesa in cui si impara a vivere del dono ricevuto nell’accoglienza grata del dono dell’altro e nel sostegno reciproco. Fermento che fa lievitare la pasta 19 Una Chiesa che acquisti coscienza di sé, che abbia il coraggio di rinnovare se stessa, che accetti di mettersi in cammino percorrendo la via del dialogo e dell’incontro, può essere veramente segno luminoso di una comunione possible. Una comunione che viene dall’alto, dal cuore di Dio, dal suo disegno di salvezza e ad esso conduce, ma che chiede di prendere il volto delle nostre relazioni, dei legami del Vangelo, dei legami di vita buona, prima ancora e oltre la possible sclerotizzazione dei ruoli. Una Chiesa capace di camminare in questa direzione diventa veramente fermento che intercetta e rilancia ogni germe di comunione, ogni ansia di relazione che affiora nella vita del territorio, rispondendo così alla missione che il Signore Gesù le ha affidato unendola a sé. Chiediamoci allora: Siamo consapevoli che la comunione di cui la Chiesa vive è dono di Dio da accogliere e custodire e da non smettere di invocare? Siamo altresì consapevoli che questo dono è dato alla Chiesa perchè cresca la comunione nella vita degli uomini? Come stanno cambiando le relazioni intorno a noi e in quale direzione? Quali fatiche incontra la comunione tra di noi e intorno a noi? Siamo consapevoli che la divisione nella Chiesa è scandalo, pietra che appesantisce e frena l’impegno dell’evangelizzazione? Cosa vuol dire riconoscersi figli e perciò fratelli? Qale senso abbiamo della diocesanità? Sappiamo essere popolo, procedere insieme sentendoci corresponsabili in un cammino commune? C’è una adeguata valorizzazione della diversità delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri, nella capacità di procedere insieme? Come comunità ecclesiale riusciamo ad essere fermento di comunione lì dove siamo? 20 5. Per una Chiesa che serve L’icona biblica: " chi aveva proprietà e sostanze …ne faceva parte a tutti" L’idea: una Chiesa che è fiaccola lungo il cammino Ciò che guida la Chiesa è un amore immenso per l'uomo, l’amore che è di Cristo Gesù. Essere come il samaritano… L’impegno per costruire un mondo più giusto e fraterno. Nulla di quello che abbiamo ci appartiene. La vita diventa vera quando è spesa per gli altri, quando si fa condivisione. Saper riconoscere ogni frammento di bene ovunque sia, ricordando che il bene ha la sua unica sorgente in Dio. Una Chiesa che aiuta l’umano a fiorire valorizzando ogni esperienza che contribuisce autenticamente alla crescita dell’uomo. Imparare a guardarsi intorno e a tessere reti di bene. La corresponsabilità è un modo evangelico e profondamente umano di avvertirsi come persone e di vivere le relazioni. Alcune sfide da vivere in modo comunitario: l’educazione, la famiglia, l’impegno socio-politico, ambientale e culturale, la scelta preferenziale per i poveri, l’attenzione alle fragilità. Atteggiamento da maturare: la gratuità e la corresponsabilità Servi dell’uomo per amore La Chiesa è a servizio dell’uomo perché ciò che la guida è un amore immenso per l’uomo, quello stesso amore che è di Cristo Gesù. Una comunità potrà dirsi davvero “cristiana” se ha in Cristo il suo esempio e modello. Il servizio non è, perciò, la mera “azione”. Essere “servo” significa dedicare tempo, energie, capacità a qualcuno o a qualcosa considerato come “superiore” e dunque come valore da custodire, da far risplendere. Il servizio è allora innanzitutto uno “stile”. Se non sono sorrette da questo stile le “azioni” possono moltiplicarsi, possono anche “emozionarci”, dare il senso della dinamicità, ma non riescono a muovere veramente la vita delle persone, delle comunità e dei territori. Al di là delle cose da fare, da organizzare, ci è chiesto invece come Chiesa (laici, religiosi/e, diaconi, sacerdoti) di riscoprire lo stile propriamente evangelico di una vita vissuta per gli altri. Il servizio è, primariamente, la consapevolezza che tutto quello che abbiamo ci è dato e che per questo la vita diventa vera solo quando è spesa per gli altri, quando si fa condivisione sullo stile del “buon Samaritano”. Si tratta allora, per ciascuno, di comprendere quale servizio Dio gli chiede per amore del prossimo, e di accettare di esercitare questo servizio con umiltà. E il nostro prossimo lo troviamo accanto a noi: nelle nostre famiglie come nelle nostre parrocchie; nel vicinato e sul luogo di lavoro; infine, lì dove lo Spirito spinge le nostre esistenze, in quel “mondo” dove siamo chiamati a far risplendere la luce di Cristo, Buon Samaritano del mondo, che si riflette sul volto della sua Chiesa. Formarsi al servizio e attraverso il servizio Il comando del servizio vicendevole, espresso da Gesù in più occasioni (cfr. Gv 13,14-17; Mt 23,8-12) raggiunge in Mc 10,35-45 un livello quasi sconcertante: qui, all'immagine del servo si aggiunge quella dello schiavo (in greco “doulos”), termine che accentua ancor più l’idea di “sudditanza” rispetto a colui al quale si presta servizio. C’è infatti sempre il rischio di vivere il servizio non come dedizione ad un altro ma come affermazione di sé, un modo per mettersi in mostra e avere un ruolo, magari di prestigio, un posto privilegiato. Secondo i criteri mondani, l’essere servo è qualcosa di ignominioso, mentre nella logica del Regno “servo” è un titolo onorifico (cfr. Gc 1,1). Per questo motivo, il servizio non può che nascere da un cammino di crescita umana e cristiana. Più si è formati, più qualificato, appassionato e competente è il servizio. Meno si è formati, e più c’è il rischio di servizi talvolta anche generosi ma con un respiro troppo corto per resistere a difficoltà e ostacoli. Formazione e servizio vanno insieme. Come Chiesa siamo chiamati non solo a riconoscere questo nesso, ma a riflettere su “quanto” e “come” i progetti educativi ordinari possano concorrere alla formazione di coscienze impregnate di radicalità evangelica. Non ci si può lamentare di avere poche persone disposte al servizio, capaci di 21 spendersi per gli altri, nella comunità cristiana e nei luoghi della vita comune, se mancano poi i necessari cammini che consentano a ciascuno – specie ai giovani - di crescere in libertà e responsabilità. Occorre ricordare che non solo fede e vita devono poter andare insieme, ma che fede e vita “si parlano”. Non ci sono “contenuti” che parlano all’interiorità e che non parlino, allo stesso tempo, anche ai comportamenti e agli stili di vita sociali. E d’altra parte non ci sono “contenuti sociali” che non spronino la vita interiore, contribuendo ad affinarla e a dilatarla insieme. La sfida del servizio è la sfida di cammini che abbiano come riferimento l’uomo tutto intero, non diviso per segmenti. Da questo punto di vista la Dottrina sociale della Chiesa è lo strumento che nei cammini di formazione ordinari e di base della comunità può aiutare a tenere insieme fede e vita e anche teoria e prassi. Temi quali la dignità del lavoro, la giustizia e la pace, la custodia del Creato, la politica intesa come servizio, l'opzione preferenziale per i poveri, la ricerca del bene comune.... devono far parte del patrimonio della catechesi nelle nostre parrocchie. Il servizio si fonda su un itinerario formativo, richiede la formazione delle coscienze. Ma è vero anche che esperienze di servizio sono momenti qualificanti degli itinerari formativi. Facendo si comprende di più ciò che si dice di credere. La realtà è sempre più grande delle idée e calarsi in essa impedisce che queste rimangano ad un livello astrattamente teorico o, cosa ancora più pericolosa, che la fede si riduca a vago discorso. Il servizio è risposta ad una chiamata che viene dal tempo, dai luoghi in cui viviamo, dai fratelli che il Signore ci pone accanto. Per questo esso aiuta ad affidarsi al disegno di Dio che si rende visibile attraverso i segni dei tempi, e a maturare la capacità di operare una “scelta” che metta in moto i propri talenti. Il servizio ci aiuta a scoprire, come persone, come comunità parrocchiale, come Chiesa di Nola, la nostra specifica vocazione, il dono che ci è affidato perchè sia speso in questi tempi e in questi luoghi in cui il Signore ci ha dato di vivere. Gratuità e corresponsabilità come stile Il servizio cristiano, che è testimonianza di vita, stile che dà forma a tutta la vita del credente, lascia un segno, ed è ancora oggi una potente calamita che attira. Un servizio ben reso è una straordinaria via di evangelizzazione perché è prima di tutto testimonianza di gratuità. In un mondo in cui “non si fa nulla senza nulla in cambio”, stupiscono quegli uomini e quelle donne che non contano i minuti donàti, che non si rammaricano delle energie spese e sono disposti a “perderci”, talvolta, anche da un punto di vista economico. Incamminarsi come Chiesa sui sentieri della gratuità significa liberarsi da piccole e grandi schiavitù morali e materiali, significa assumere un atteggiamento aperto alla Provvidenza e alla giustizia di Dio, significa sentirsi in qualsiasi momento, anche quello di sforzo più forte e appassionato, dei puri e semplici “servi inutili”. È la gratuità il volto spendibile della comunità cristiana.. Una possibile verifica di quale sia lo spirito con cui una persone svolge un servizio è la disponibilità a farsi da parte, il saper fare un passo indietro se necessario, a beneficio di altri. Spesso l’attaccamento a un ruolo, oltre a denunciare problematiche personali irrisolte crea notevoli ostacoli allo sviluppo della fraternità e della comunione, determinando anzi l’insorgere di risentimenti e divisioni. La mancanza di riconoscimenti per un servizio svolto con impegno e fatica oppure l’assenza di risultati immediati, sono talvolta occasione di rincrescimento e di delusione tali che non di rado sfociano nello scoraggiamento e nell’abbandono del servizio stesso. La gratuità deve essere invece lo stile con cui portare avanti il servizio che è stato affidato e più in generale ogni impegno o responsabilità. Ciò vuol dire non solo non far dipendere il senso di quello che si fa dal successo o dal riconoscimento conseguito, ma anche saper riconoscere il bene da qualunque parte esso venga, gioire di quanto di buono emerge nei luoghi in cui siamo coinvolti anche quando non ne siamo noi i diretti protagonisti. Come credenti e come comunità siamo chiamati piuttosto a tessere reti di bene, a mettere in circolo e a favorire lo stabilirsi di nessi tra esperienze positive che contribuiscono a creare un mondo più giusto e a far fiorire l’umano secondo il disegno di Dio. Accanto alla gratuità, corresponsabilità è l’altra parola chiave del servizio all’uomo in nome di Cristo. La corresponsabilità è un modo evangelico e profondamente umano di avvertirsi come persone e di vivere le relazioni. Siamo responsabili gli uni degli altri e siamo responsabili insieme dell’umanità di ciascuno perché nessuno di noi può pensarsi come frammento isolato. 22 Ambiti di servizio prioritari Con essenzialità, proviamo a indicare alcuni ambiti in cui come credenti siamo chiamati a spenderci mettendoci a servizio gli uni degli altri per l’edificazione di un’umanità che sia sempre di più secondo il sogno di Dio. Educazione: è il più importante servizio che possa essere reso alla persona. La nostra Chiesa ha numerose opportunità educative: i cammini catechistici per i Sacramenti, gli itinerari delle associazioni, dei movimenti e delle aggregazioni laicali, i progetti specifici delle comunità parrocchiali, la via della Carità, le iniziative per la formazione sociopolitica e ambientale. Ma è necessario darci criteri comuni, princìpi che identifichino queste esperienze tenendole insieme: la Parola al centro, la cura della formazione di chi ha responsabilità educative, un’autentica ecclesialità per evitare derive personalistiche e privatistiche; una necessaria flessibilità per accogliere le esigenze di tutti. Occorre poi ricordare che la persona deve poter essere sempre al centro, e non al servizio delle nostre iniziative; che c’è una corresponsabilità educativa per cui chi educa è la comunità, e non c’è posto per interpreti unici e isolati; che è necessaria una progettualità di fondo per poter curare e non solo intrattenere le persone che ci sono affidate; che è indispensabile la maturità affettiva e relazionale di chi ha la responsabilità educativa, per evitare la tentazione di relazioni monopolizzate e assolutizzanti. L’opera formativa della Chiesa sorretta da questi criteri è quanto mai preziosa e può porsi come sostegno e insieme come sollecitazione feconda per l’azione educativa della famiglia, della scuola, delle reti della comunicazione sociale e culturale Famiglia: è una frontiera ineludibile di dedizione e di cura per la nostra Chiesa diocesana. La famiglia è crocevia di istanze e di tensioni, luogo delle relazioni che strutturano l’identità e la vita di ciascuno, realtà che riflette le fatiche e le contraddizioni del nostro tempo, ma anche punto di forza da cui ripartire, risorsa di speranza e di futuro. Diverse esperienze hanno dimostrato la bellezza e l’utilità pastorale di ritrovare nella vita delle comunità un più forte coinvolgimento della famiglia. È richiesta un’attenzione che sappia accompagnare le stagioni della vita familiare e non si fermi semplicemente alla pure importantissima preparazione al matrimonio: dalle coppie di sposi giovani, in cui il cammino dei figli piccoli costituisce una preziosa occasione di riscoperta della fede e di incontro con la comunità, al tempo della maturità con le sue fatiche e la responsabilità spesso giocata su più fronti (l’accompagnamento dei figli, la cura degli anziani nel declino della vita, l’impegno professionale, sociale, civile). Particolare attenzione richiedono poi le situazioni delle famiglie ferite segnate dalla divisione o di quelle “ricostruite” a partire da una precedente lacerazione. È una strada ricca di potenzialità. Significa, come comunità, essere in grado di parlare il linguaggio delle famiglie reali, e non virtuali, e di progettare cammini flessibili che tengano davvero conto delle esigenze, dei mutati tempi e dei mutati spazi della vita familiare. Impegno socio-politico, ambientale e culturale: le nostre comunità non possono rimanere chiuse in un recinto più o meno incantato. Occorre ripensarsi come Chiesa in uscita, radicata nel suo Signore e per questo costantemente protesa verso il mondo. La sfida più ambiziosa da accettare allora è impregnare di concretezza i cammini ordinari perché siano in grado di offrire contenuti attinenti alla vita dei territori, del Paese, dell’Europa e dei grandi scenari globali. Questo significa: - potenziare la conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa, cercando mediazioni concrete su tematiche locali che interpellano la nostra coscienza civica, in particolare ambiente, lavoro e progetti di vita dei giovani; -sfruttare maggiormente la rete cittadina e decanale delle nostre parrocchie per avviare esperienze concrete di osservazione e lettura della realtà, per incidervi con maggiore cognizione di causa; -promuovere con spirito profetico stili di vita sobri e sostenibili a fronte dell’imperante consumismo; -assumere con coraggio e determinazione la strada del dialogo con le altre culture e religioni, perché le nostre terre non siano contaminate da gretti rigurgiti di razzismo. Sono temi, questi, che ben si conciliano con una dimensione che va “oltre” la parrocchia, e che perciò ci interpella sulla nostra capacità di ritrovarci tra comunità cristiane con agenzie educative formali ed informali (scuole ed istituzioni in primis, realtà di impegno culturale e sociale sul territorio, esperienze di volontariato…) 23 Fragilità e povertà: anche nella nostra realtà diocesana, il concetto di povertà si è profondamente modificato. La crisi economica che stiamo attraversando ha ampliato le aree di povertà coinvolgendo tante famiglie che solo pochi anni fa sarebbero state definite “ceto medio”; ma ha anche reso più complessa e intricata la realtà della povertà investendo non solo il livelo materiale, ma anche il livello sociale, culturale e affettivo. Allo stesso tempo, cresce la difficoltà delle persone ad affrontare i piccoli e grandi problemi della vita quotidiana, di tenere in piedi legami buoni e solidi. Aumenta in molti un insidioso “mal di vivere” che richiede cura, accompagnamento, presenza. Soffrono gli affetti, soffrono le relazioni: nel tempo dei social network, le emozioni soffocano i sentimenti e confondono i progetti di vita. Cambiando il concetto di povertà, anche il concetto di servizio ai poveri e alle fragilità si evolve profondamente: l’assistenza materiale non basta più, l’impegno di singoli volenterosi non è più sufficiente. C’è bisogno di “comunità solidali” che sappiano monitorare il territorio, individuare le aree di bisogno, mettersi accanto alle famiglie che vivono situazioni di disagio, tenere insieme impegno educativo e servizio agli ultimi e ai penultimi. C’è bisogno non solo di sfamare, ma anche di rivestire le persone della dignità che Dio ha donato loro, aiutandole ad affrontare il presente e il futuro. La Chiesa è chiamata ad essere in prima linea nel sostenere e incoraggiare. Ad essa è chiesto di fasciare le ferite perché il cammino possa riprendere; di stare accanto alle fatiche delle persone, di calarsi nelle loro sofferenze per essere fiaccola, luce che illumina, non solo davanti, ma lungo il cammino, aiutando a cercare e a trovare la strada per una più piena umanità. Chiediamoci allora I nostri cammini formativi ordinari – proposti dalle comunità, dalle associazioni e dai movimenti – educano al servizio e al dono di sé? in che modo? Negli itinerari formativi facciamo riferimento alle proposte degli uffici della pastorale e dell’Istituto Superiore di scienze Religiose? Quali difficoltà nel proporre un autentico stile di gratuità? Riusciamo a rimuovere, nella vita della comunità e nella vita di noi credenti, quegli stili antievangelici che spesso allontanano e scandalizzano le persone? Riusciamo come comunità ad avere uno sguardo che va “oltre” la vita interna alla Chiesa? Quali ambiti di servizio provocano maggiormente la nostra comunità parrocchiale? Come affrontarli con senso comunitario, e non basandosi unicamente sulle sensibilità individuali? Quale posto occupano nell’impiego delle risorse della comunità i poveri, i malati, gli emarginati? Abbiamo coscienza che il contatto coi poveri essenzializza le nostre esperienze e ci rende più veri come uomini? Sappiamo riconoscere Cristo nei poveri ossia siamo consapevoli che la carità al fratello è atto di amore a Cristo? Sappiamo ripartire dai più poveri, da chi ha bisogno di più cura e attenzione, nella nostra progettazione pastorale? Siamo capaci come comunità e come credenti di mostrare il volto di un Dio che è misericordia? 24 Per concludere… Con lo sguardo in avanti e la fiducia nel Signore La vita della Chiesa non può essere segnata dalla semplice elencazione dei problemi, dei difetti e delle fragilità. Metterci di fronte alla realtà - ecclesiale, sociale, economica, culturale – con le sue contraddizioni e le sue fatiche, non significa lasciarci schiacciare da essa. Al contrario, in questo grande e coraggioso esercizio di conversione dei cuori, delle relazioni e delle strutture che è il Sinodo devono prevalere il senso positivo dell'opportunità, il gusto della sfida, la consapevolezza delle risorse che già abbiamo. E, soprattutto, la fiducia nel Signore. Non incamminiamoci con il volto triste e corrucciato di chi teme di non farcela, mettiamo da parte quegli scetticismi preventivi che ostacolano ogni volontà di costruire, indossiamo il sorriso e la serenità di chi sa che, insieme, ce la possiamo fare, che questa partita non è persa in partenza e anzi è tutta da giocare. Connettersi con la realtà, restare radicati nella storia della nostra Chiesa diocesana, ascoltare, lodare, fare comunione, servire: nel percorso che ci aspetta, non siano queste solo delle dimensioni da "studiare", ma anche e soprattutto uno stile che ci interpella e provoca personalmente e comunitariamente. Ci benedica Dio Padre che tanto bene ha seminato e semina nella nostra Chiesa. Ci guidi la vita piena di suo figlio Gesù Cristo. Lo Spirito illumini i momenti di buio dei cuori e delle menti. Ci sostenga Maria quando abbiamo la tentazione di cedere e mollare. E Paolino, il nostro amato Paolino, ci aiuti a tessere in una sola trama passato, presente e futuro “ poiché siamo membra di un solo corpo, abbiamo un unico capo, siamo inondati da un’unica grazia, viviamo di un solo pane, camminiamo su un’unica strada, abitiamo la medesima casa.”. (Paolino Epistole 6,2) 25