Chiesa e Dc

Transcript

Chiesa e Dc
II
CHIESA EDC
Il Vaticano
e
l'Italia
Durante gli anni Trenta la S. Sede aveva puntato sul rafforza­
mento della fascia delle potenze cattoliche - dalla Spagna all'Au­
stria - che da sempre includeva l'Italia come privilegiato ante­
murale della S. Sede. La diplomazia vaticana ritenne che il fasci­
smo rappresentasse un fenomeno meno pericoloso del nazismo,
soprattutto a causa dell'influenza moderatrice esercitata dalla
Chiesa. Tale ottica però era entrata inevitabilmente in contrasto
con i progetti egemonici hitleriani, che avevano rappresentato an­
che una indiretta limitazione dell'influenza cattolica sull'Italia fa­
scista. Negli ultimi anni del suo pontificato, Pio XI condannò
apertamente il neopaganesimo nazista e sottolineò l'«unità della
famiglia umana» contro ogni divisione razzista. E nel corso della
guerra ci furono diversi tentativi di riportare l'Italia su posizioni
più vicine a quelle della S. Sede, attenuandone la dipendenza dal­
l'alleato tedesco. L'atteggiamento verso il fascismo cambiò invece
più lentamente. Si è parlato spesso di un distacco cattolico dal re­
gime già presente alla fine degli anni Trenta. Ma studi più com­
pleti hanno messo in luce che la maggioranza dei cattolici co­
minciò a distaccarsi dal fascismo soprattutto durante la guerra, in
sintonia con tendenze analoghe che si venivano diffondendo in
altri strati della popolazione italiana.
Mentre in Italia tutto sembrava crollare, un riferimento rimase
intatto e anzi acquistò crescente importanza: la Chiesa cattolica.
Già nel1950 Federico Chabod notò che tra il' 43 e il ' 45 «viene me­
no un'autorità ma a Roma - città unica sotto questo aspetto- ne
esiste un'altra: e quale autorità». Durante l'occupazione tedesca,
Il partito itala
i no
28
infatti, era avvenuto qualcosa di simile a quanto accaduto nel V se­
colo, quando i papi, difendendo dai barbari la popolazione ab­
bandonata dall'autorità imperiale romana, avevano gettato le basi
del potere e dell'influenza politica della Chiesa di Roma.
L'intuizione di Chabod ha trovato molte conferme. E stata ad
esempio messa in luce l'ampia opera svolta dal clero romano, dai
religiosi, dalle istituzioni ecclesiastiche per ospitare e proteggere
ebrei, antifascisti, perseguitati di vario tipo che riuscirono così a
salvarsi dai tedeschi (in seguito invece furono fascisti e nazisti a es­
sere aiutati). La popolazione fu soccorsa in vario modo da una re­
te capillare che si mobilitò anche per aiutare profughi, reduci e sfol­
lati, distribuire cibo e medicine, mettere in comunicazione membri
di famiglie divise dalla guerra. Roma, risparmiata dai bombarda­
menti alleati e dalle ritorsioni tedesche, beneficiò in modo particolare di tutto ciò. All'indomani della liberazione della città, la popolazione si riversò spontaneamente in piazza S. Pietro, piena di
gratitudine verso colui a cui si attribuiva il merito di averle rispar­
miato tante sofferenze. Ma anche in molte altre città italiane i ve­
scovi si trasformarono in difensori della popolazione e in mediato­
ri tra nemici in lotta per affrettare la fine della guerra.
Man mano che le conseguenze della guerra si facevano più pe­
santi, la Chiesa divenne interprete di sentimenti e atteggiamenti
sempre più diffusi, come la preoccupazione per la sopravvivenza e
il desiderio della pace. La società italiana guardò con crescente spe­
ranza all'azione della S. Sede a favore di una soluzione negoziale
del conflitto, mentre qua e là gli informatori segnalavano parroci
che indicavano in Mussolini e nel fascismo i responsabili del disa­
stro morale e materiale in cui si trovava l'Italia. Riprendendo le in­
tuizioni di Chabod, Andrea Riccardi ha sottolineato il ruolo as­
sunto dalla Chiesa nel vuoto conseguente alla caduta di Mussolini
e alla dilagante sfiducia nella monarchia e nel governo Badoglio.
Nella popolarità che circondava Pio XII si espresse un bisogno al­
lora diffuso di identificare in un uomo solo l'incarnazione dell'au­
torità da cui si faceva dipendere ordine e salvezza. TI consenso rac­
colto in quella fase dal papa rivela un nesso rilevante fra guerra e
dopoguerra: l'inaspettato rafforzamento dell'influenza della Chie­
sa nella società italiana, malgrado i rapporti con il fascismo.
In questo contesto si colloca anche la partecipazione dei cat­
tolici alla Resistenza, che fu relativamente limitata per quanto ri'
•
•
II. Chiesa e Dc
29
guarda la lotta armata e più larga per ciò che concerne la cosid­
detta «seconda linea», quel retroterra di sostegno essenziale per
lo sviluppo della lotta di liberazione. Da un canto la Chiesa non
incoraggiò la partecipazione dei cattolici alla Resistenza; dall'al­
tro i vescovi si mantennero estranei alla Repubblica sociale italia­
na. L'istituzione ecclesiastica guardò con preoccupazione a una
«rivolta>> animata da motivazioni ideologiche tanto differenti e ca­
ratterizzata dall'imprevedibilità dei suoi sbocchi politici. Essa
cercò di opporsi alle lacerazioni più profonde provocate dalla
«guerra civile». Su alcune questioni, lo stesso Pio XII impose di­
rettamente il suo punto di vista, come l'antifascismo e l'epura­
zione. Il papa raccomandò insistentemente che i cattolici si aste­
nessero dalla polemica antifascista più aspra e fu fermo nel pre­
tendere che si abbandonasse ogni drastico proposito epurativo.
Egli mostrò perplessità verso la collocazione politica dei cattolici
-attraverso la Dc- nello schieramento ap.tifascista, anche se quel­
la scelta fu da lui accettata: De Gasperi riuscì a far leva sul rischio
della diffusione di sentimenti anticlericali che avrebbero potuto
portare a una denuncia degli accordi lateranensi del '29 e a una
rinnovata condizione di isolamento per la Chiesa.
In realtà, dopo essere stata in una posizione di debolezza fino
al1929, nel secondo dopoguerra la Chiesa passò dalla situazione
di temere qualcosa dall'Italia a quella di poter fare qualcosa per
l'Italia (Di Nolfo). Dopo il crollo del fascismo, la S. Sede fu an­
zitutto coinvolta nella definizione della collocazione italiana nel
nuovo contesto mondiale: le relazioni che si erano sviluppate fra
il presidente Roosevelt e Pio XII aprirono infatti la strada a un
ruolo del Vaticano quale interlocutore ascoltato degli americani
per quanto riguardava il futuro del paese. In quei contatti, emer­
sero anzitutto alcuni orientamenti generali, legati alla tradiziona­
le visione dell'Italia quale antemurale della S. Sede.
Allontanato il pericolo nazista e crollato il fascismo, divenne
prioritaria la preoccupazione vaticana che l'Italia non entrasse
nell'orbita di influenza sovietica. Pio XII ad esempio sottolineò
più volte l'esigenza di un governo forte in Italia per contrastare il
pericolo comunista ( Garzia). Già alla fine della guerra, l'antiso­
vietismo rappresentò una componente dominante nel dibattito in­
terno al mondo cattolico italiano. Tuttavia, gli Stati Uniti conti­
nuavano a premere per un miglioramento dei rapporti fra S. Se-
30
•
•
Il partito italiano
de e Unione Sovietica. L'Urss, inoltre, aveva avuto un ruolo de­
cisivo nella vittoria in Europa e l'Italia, paese sconfitto, non po­
teva permettersi nessuna forma di ostilità verso una potenza vin­
citrice. Così, fino allo scoppio della guerra fredda, gli effetti sul­
la politica estera italiana dell'anticomunismo cattolico, molto net­
to sul piano religioso, furono limitati. Assai più immediate furo­
no invece le conseguenze per l'Italia del rapporto fra americani e
S. Sede. Gli elementi più consapevoli della nuova classe dirigen­
te si resero conto che nel rapporto con gli americani si giocavano
molte delle speranze italiane di riconquistare presto un posto di­
gnitoso nel mondo e di avviare una rapida ricostruzione.
Cattolici e democrazia
Si è spesso ritenuto che l'istituzione ecclesiastica abbia nel com­
plesso contrastato in Italia il passaggio alla democrazia, favorendo
uno sbocco autoritario alla crisi del regime fascista. In realtà, la S.
Sede evitò di intervenire in modo diretto nella situazione politica
italiana, malgrado le sollecitazioni americane. Quando cominciò a
profilarsi la sconfitta dell'Asse e di conseguenza la prospettiva del­
la fine del regime, i messaggi pontifici cominciarono a essere inter­
pretati come una chiamata all'azione dei cattolici in vista di una
nuova «crociata sociale». Nacquero diverse iniziative e si formaro­
no vari partiti, tra cui il Movimento dei cattolici comunisti, poi Par­
tito della Sinistra cristiana, e il Partito cristiano sociale. Anche ne­
gli ambienti dell'Università Cattolica si profilò l'idea di fondare un
partito cattolico. Ma il Vaticano non ritenne opportuno indicare
esplicitamente preferenze di sistema politico e si astenne da un
esplicito appoggio a personalità politiche moderate verso cui pure
andava la fiducia di ambienti ecclesiastici romani.
Nel dicembre 19 43 il segretario degli Affari ecclesiastici straor­
dinari, Domenico Tardini, manifestò agli americani perplessità
verso l'introduzione di un sistema politico democratico di tipo an­
glosassone. Egli avrebbe preferito il passaggio a una democrazia
garantita da una influenza della Chiesa sulla società italiana, in cui
i cattolici si dividessero in diversi partiti salvo ritrovarsi uniti nel­
le battaglie decisive. N el '44, in un noto radiomessaggio, Pio XII
impresse pubblicamente una sorta di suggello cattolico ai sistemi
II. Chiesa e Dc
31
democratici destinati a prevalere nel mondo dopo la sconfitta del­
l'Asse. Una certa preferenza per la democrazia, sia pure espressa
in termini generali, si manifestò apertamente in quegli anni. In se­
guito, tale atteggiamento trovò significative conferme come quan­
do nel 19 47 Pio XII resistette a pressioni, che venivano soprat­
tutto dalla Spagna, per impedire lo svolgimento di libere elezio­
ni politiche in Italia. Da parte cattolica esisteva infatti la convin­
zione che i fedeli, mobilitandosi intorno all'insegnamento del pa­
pa verso cui andava anche il consenso di vari settori sociali, rap­
presentassero un baluardo efficace contro il rischio che un
pluralismo e una frammentazione esasperati aprissero la strada al
comunismo o ad altri nemici.
Gli orientamenti della S. Sede e dell'istituzione ecclesiastica fa­
vorirono l'azione del sostituto della Segreteria di Stato, mons. Gio­
vanni Battista Montini, incaricato per motivi anzitutto istituziona­
li di seguire la situazione politica italiana. Montini, figlio di un de­
putato popolare e vicino agli intellettuali cattolici nel periodo tra le
due guerre, aveva sentimenti antifascisti ed era convinto che i cat­
tolici dovessero tornare a impegnarsi in campo politico. Il sostitu­
to era legato ad Alcide De Gasperi da rapporti personali, di amici­
zia e di rispetto e con il decisivo consenso del papa l'azione di M on­
tini fu determinante per coagulare la maggior parte delle energie
cattoliche verso la Dc. La paziente opera montiniana di tessitura fe­
ce infatti convergere la maggior parte delle iniziative sorte nel mon­
do cattolico in questo partito e ciò divenne esplicito dopo la libe­
razione di Roma: nel giugno '44 un convegno dell'Azione cattolica
- passata sotto l'influenza montiniana- sancì l'appoggio del catto­
licesimo organizzato alla Dc, già deciso di fatto nei mesi preceden­
ti. La regia montiniana fu indubbiamente decisiva per spingere la
maggior parte dei quadri cattolici nella Dc e per assicurare a que­
sta l'appoggio dell'istituzione ecclesiastica e dell'elettorato cattoli­
co. A questo scopo Montini si impegnò energicamente, scorag­
giando e anche talvolta ostacolando iniziative esterne ad essa, co­
me quella dei cattolici comunisti.
La Dc ottenne così dalla Chiesa una legittimazione e un appog­
gio di cui il Ppi non aveva goduto. L'influenza della Chiesa rese
complessivamente stabile nel tempo l'unità politica dei cattolici
nella Dc, seppure con caratteristiche parzialmente diverse da quel­
le ipotizzate da De Gasperi. La maggior parte degli ambienti ec-
32
•
••
Il partito italiano
clesiastici interpretò infatti in chiave più confessionale di Montini
il legame fra Chiesa e partito, dando vita a ciò che Jemolo ha defi­
nito il «regime clericale» e di cui uno dei tratti più caratteristici fu
la limitazione della libertà delle minoranze protestanti. Le pressio­
ni per una qualificazione in senso spiccatamente confessionale del­
l'unità dei cattolici doveva poi rafforzarsi con l'assunzione, da par­
te della Dc, del ruolo di diga anticomunista. De Gasperi, certa­
mente sensibile alle esigenze politiche dell'anticomunismo, lo era
di meno alla confessionalizzazione di questa.politica. E, pur rico­
noscendo i benefici elettorali e politici del sostegno ecclesiastico al­
la Dc, 'il suo fine principale rimase quello di assicurare l'inserimen­
to dei cattolici in uno Stato pluralista.
Tuttavia, malgrado influenze e condizionamenti, il tentativo av­
viato da De Gasperi poté complessivamente beneficiare del decisi­
vo appoggio dell'istituzione ecclesiastica. Nonostante infatti le
simpatie e i collegamenti intercorrenti fra un certo mondo eccle­
siastico e ambienti moderati- che si estendevano talvolta anche a
settori della destra eredi del passato regime-, il progetto, più vol­
te formulato, di favorire altre forze politiche o di far nascere un se­
condo partito cattolico a destra della Dc non ottenne mai un deci­
sivo avvallo da parte dei vertici vaticani. Si tratta soprattutto del­
l'opera svolta dal «partito romano» individuato e descritto da An­
drea Riccardi, che formò a lungo una vera e propria lobby anti­
montiniana all'interno del mondo ecclesiastico ma con rilevanti in­
fluenze anche su vari ambienti politici: il «partito romano» era an­
che contrario alla Dc e a De Gasperi o almeno alla loro politica, per
il troppo netto antifascismo, per l'alleanza con comunisti e sociali­
sti, per la chiusura verso posizioni moderate.
Nei primi anni della storia repubblicana, l'istituzione eccle­
siastica contribuì ad attirare un elettorato non antifascista verso
la Dc- soprattutto un ceto medio urbano, ispirato da sentimen­
ti di conservazione e d'ordine, che si era riconosciuto negli aspet­
ti più rassicuranti del regime -, saldando in modo caratteristico
mondo cattolico e ceti moderati a un partito collocato fin dalle
origini nello schieramento antifascista. Grazie alla mediazione ec­
clesiastica, la Dc poté esercitare la funzione di «contenitore» di
un voto autoritario, conservatore o anche semplicemente mode­
rato che ha trovato solo parzialmente una propria espressione po­
litica autonoma in altri partiti. In questo senso si può dire che la
II. Chiesa e Dc
33
Chiesa abbia indirettamente contribuito a legittimare le istituzio­
ni nate dalla Resistenza e soprattutto che abbia favorito l'adesio­
ne di diversi strati sociali al nuovo corso democratico della storia
italiana. D'altra parte, però, essa ha contribuito anche a contra­
stare gli aspetti più decisamente antifascisti della politica italiana,
con effetti indiretti ma rilevanti soprattutto durante la guerra
fredda. La dirigenza democristiana - a parte significative ecce­
zioni - si è complessivamente adattata a questa situazione e pur
maturando nel tempo una pregiudiziale antifascista sempre più
esplicita non ha mai contrastato completamente tendenze in que­
sto senso presenti nel suo elettorato.
L'appoggio della Chiesa contribuì a impedire che orientamenti
di destra, conservatori o moderati, autoritari o radicali, sempre
assai rilevanti in tutto il corso della storia repubblicana, avessero
una loro espressione politica autonoma fuori dalla Dc. Nell'Italia
repubblicana, l'opposizione di estrema destra ha subìto rilevanti
variazioni nel tempo: dal nazionalismo e dal corporativismo di­
rettamente legati all'eredità del fascismo si è passati a varie forme
di anticomunismo, dall'opposizione verso il centro-sinistra alle
reazioni contro i movimenti sociali post-'68, dalla strategia della
tensione al revisionismo degli anni Ottanta. Certamente, le forze
e le tendenze di destra hanno avuto una grande importanza in tut­
ta la storia dell'età repubblicana ma la loro rappresentanza poli­
tica è rimasta in genere sommersa e affidata in modo indiretto ad
altre componenti, presenti anzitutto all'interno della stessa Dc. Si
può parlare in questo senso di una esclusione della destra, matu­
rata ancor prima della conventio ad excludendum verso i comuni­
sti e resa possibile dalla convergenza dei cattolici intorno a un par­
tito preponderante che per quasi cinquant'anni ha occupato un
ruolo centrale nel sistema politico italiano.
Dal Partito popolare alla Democrazia cristiana
La Dc venne fondata fra il '42 e il '43, con la convergenza di
forze e gruppi diversi del mondo cattolico in un unico partito po­
litico. La leadership della nuova formazione venne assunta dal­
l'ultimo segretario del Partito popolare: Alcide De Gasperi. La
Dc nasceva però in circostanze e con caratteristiche molto diver-
34
i no
Il partùo itala
se da quelle che avevano determinato la fisionomia del Partito po­
polare nel primo dopoguerra. Nel ventennio trascorso, infatti,
molte cose erano cambiate nella Chiesa, nella società italiana e an­
che nel mondo: la nuova aggregazione politica dei cattolici non
poteva non risentire delle trasformazioni intervenute.
Nel 1919 Sturzo aveva fondato il Ppi nel clima del pontifica­
to di Benedetto XV, mentre le ragioni storiche del dissidio fra
Chiesa e Stato in Italia si venivano attenuando. Per altro verso,
dopo la prima guerra mondiale, si determinò una forte spinta al­
l'inserimento delle masse nella vita politica: il fondatore del Ppi
cercò di favorire soprattutto la promozione politica delle masse
meridionali e si fece interprete delle esigenze dei nuovi ceti emer­
genti. Sturzo si propose allora di creare qualcosa di diverso sia da
un partito confessionale, sia da un partito di opinione di tipo li­
berale, sia da un partito di classe secondo il modello socialista.
Per realizzare la sua utopia politica, come l'ha definita Gabriele
De Rosa, egli aveva seguito l'idea di creare un soggetto politico
che fosse espressione di una aggregazione di interessi, seppure in
qualche modo animati e amalgamati da un riferimento religioso.
Questo tipo di partito presupponeva una specifica tensione pro­
grammatica: intorno al programma, il Ppi poté costruire una sua
chiara identità politica, assente nei vecchi partiti liberali, di tipo
però non ideologico né organizzativo. L'importanza del pro­
gr amma, come ha sottolineato Francesco Traniello, ha rappre­
sentato uno degli elementi più originali dell'esperienza popolare,
poi assente nella successiva· vicenda democristiana.
Sturzo intendeva operare per superare i limiti dello Stato li­
berale quale si era concretamente realizzato in Italia dal1861 in
poi. La sua prospettiva, in un'ottica di lotta al trasformismo, pre­
vedeva una decisiva funzione di mediazione dei partiti quali
espressione di diversi indirizzi politici tra cui l'elettore fosse chia­
mato liberamente a scegliere. L'affermazione di partiti di questo
tipo avrebbe avuto, secondo il fondatore del Ppi, anche una po­
sitiva ricaduta sul piano politico-istituzionale nel suo complesso.
Come ha scritto ancora Francesco Traniello, «il partito è per Stur­
zo, l'agente collettivo di una trasformazione istituzionale tale da
porre rimedio alla caduta di rappresentatività dello Stato libera­
le, superando il rapporto individualistico elettore-Stato». Ma le
resistenze a una trasformazione in senso democratico dello Stato
•
II. Chiesa e Dc
35
italiano erano molto maggiori eli quelle che apparivano esplicita­
mente. E l'awento di Achille Ratti al pontificato - divenne papa
con il nome eli Pio XI nel febbraio 19 22- aveva frenato l'inseri­
mento dei cattolici nella vita politica: il nuovo papa non appro­
vava l'aconfessionalismo sturziano e si apprestò a gestire diretta­
mente la riconciliazione fra Chiesa e Stato. La distanza che si creò
fra Vaticano e Partito popolare portò Sturzo alle dimissioni e al­
l'esilio. In seguito il regime fascista liquidò il Ppi insieme a tutti
gli altri partiti politici.
.
L'esperienza popolare costituì un importante momento di cre­
scita democratica per coloro che ne furono partecipi. n popola­
risma continuò a rappresentare un importante patrimonio eli cul­
tura politica e divenne un decisivo punto di riferimento quando
i cattolici tornarono all'impegno politico su basi antifasciste e de­
mocratiche. Tuttavia, il ricordo del Ppi rimase legato alla «scon­
fessione» vaticana: nel secondo dopoguerra l'iniziativa politica dei
cattolici non poté ricollegarsi in modo diretto e univoco a quel
precedente. Nel secondo dopoguerra ad esempio riemersero ten­
denze contrarie all'aconfessionalità del Partito popolare e una
concezione che appariva troppo assoluta del partito come stru­
mento eli crescita della presenza civile e politica dei cattolici. So­
no questi alcuni dei motivi per cui non fu ripreso il nome di Par­
tito popolare e si preferì quello più generico eli Democrazia cri­
stiana, che si richiamava alle esperienze cristiano-sociali europee
dei primi anni del secolo.
Nel corso del ventennio, inoltre, vari awenimenti avevano
contribuito a trasformare la situazione. Tra questi, eli grande rile­
vanza fu indubbiamente la Conciliazione raggiunta nel '29 fra
Chiesa e Stato, che sanciva la definitiva soluzione della questione
romana attraverso la nascita dello Stato della Città del Vaticano e
la regolamentazione concordataria del contenzioso fra Chiesa cat­
tolica e Stato italiano. Quell'accordo fu valutato in modo molto
negativo dagli antifascisti. Anche gli ex popolari, in primo luogo
Sturzo, pur riconoscendo che la definitiva soluzione della que­
stione romana era un evento positivo, sottolinearono l'aspetto po­
litico eli un accordo raggiunto con il fascismo, dopo aver sacrifi­
cato la presenza politica dei cattolici. De Gasperi, invece, non mo­
strò gelosia perché la Chiesa aveva preferito accordarsi con un
«socialista» e sottolineò soprattutto che questo accordo rimuove-
36
•
t
Il partito italai no
va il problema che era stato «fatale» al Ppi. In futuro il dissidio
fra Stato e Chiesa non avrebbe più rappresentato un ostacolo in­
superabile all'azione politica dei cattolici.
La Conciliazione, chiudendo una lunga fase di contrasti, po­
neva le premesse per una radicale trasformazione della presenza
politica dei cattolici, non più legata prioritariamente alla rivendi­
cazione dei diritti offesi della S. Sede. L'esigenza, già manifestata
da Sturzo, che i cattolici sviluppassero in Italia un'azione politica
oltre la mera difesa degli interessi della Chiesa avrebbe potuto più
facilmente avere corso. Contemporaneamente però cadevano an­
che alcune delle motivazioni che avevano sorretto la scelta stur­
ziana per l'aconfessionalità e la separazione tra religione e politi­
ca. La Conciliazione poneva insomma alcune premesse sia per un
ritorno dei cattolici in politica sia per una maggiore confessiona­
lizzazione della loro azione. Rimaneva però aperta, oltre al pro­
blema posto nell'immediato dal fascismo, la questione della stra­
da da prendere e dei mezzi da impiegare.
L'interpretazione più articolata della Conciliazione si collega­
va a una maturazione personale di De Gasperi, il cui itinerario si
era già progressivamente differenziato da quello degli altri ex po­
polari in esilio. Egli riuscì infatti a sintonizzarsi meglio di altri con
il nuovo clima che si era delineato nel mondo cattolico sotto il
pontificato di Pio XI. Un segno di questa maturazione emerse nel­
la critica alla Storia d'Europa nel secolo decimonono pubblicata da
Benedetto Croce nel '32: in quell'occasione De Gasperi respinse
il pungente anticlericalismo di Croce, sottolineando invece il con­
tributo dato, nel corso della storia, dall'istituzione ecclesiastica al­
lo sviluppo della libertà.
Tale evoluzione accentuò la lontananza di De Gasperi da al­
cuni tratti della tradizione cattolico-liberale italiana, che aveva in
genere saldato l'impegno per l'affermazione della libertà a livello
politico-istituzionale all'emancipazione della coscienza dall'auto­
rità ecclesiastica. De Gasperi veniva allora maturando il disegno
non di mobilitare pochi cattolici «eretici» a favore della libertà,
bensì di coinvolgere le masse cattoliche nello Stato democratico,
attraverso l'individuazione di un reale terreno di convergenza fra
l'istituzione ecclesiastica e la tradizione del liberalismo politico.
In questa direzione, egli operò una riscoperta delle proprie radi­
ci storiche e in particolare dell'esperienza del cattolicesimo sociale
II. Chiesa e Dc
37
e politico austriaco e tedesco. Nell'ottica di questa tradizione il
problema dell'incontro fra cattolicesimo e liberalismo non si era
presentato in primo luogo come un problema ideologico che di­
videva i cattolici al loro interno ed era stato affrontato sul piano
concreto attraverso l'azione diversificata ma in definitiva conver­
gente della S. Sede da una parte e dei vari movimenti cattolici na­
zionali dall'altra. In queste esperienze, i cattolici non apparivano
come un «tutto» che si divideva secondo diverse sensibilità reli­
giose e diversi orientamenti politici, ma piuttosto come una «par­
te», sia pure articolata su un duplice livello universale e naziona­
le, che doveva ;trovare la propria collocazione in mezzo a forze
ideologiche diverse e davanti a uno Stato non confessionale.
n senso degasperiano della laicità appare caratterizzato da
aspetti religiosi e culturali diversi da quelli prevalenti nelle tradi­
zioni di paesi come la Francia e l'Italia. Egli fu piuttosto attratto
dal principio della tolleranza religiosa e dal modello dello Stato
pluriconfessionale- che nel caso dell'impero asburgico si intrec­
ciava anche con una organizzazione plurinazionale-, frutto di una
lunga esperienza storica di conflitto e di coabitazione soprattutto
tra cattolici e protestanti in paesi dove spesso i primi erano in mi­
noranza. All'esperienza della faticosa conquista di atteggiamenti
di tolleranza religiosa, appare collegato anche un approccio ecu­
menico radicato in De Gasperi: più che il peso dell'autorità sulle
coscienze all'interno della Chiesa cattolica, egli temette l'intolle­
ranza dei cattolici verso altre confessioni cristiane. Anche la sua
costruzione europeistica ha avuto fondamenta in senso lato cri­
stiane piuttosto che strettamente confessionali, mentre l'inseri­
mento stabile dell'Italia cattolica in un orizzonte europeo gli par­
ve rappresentare una garanzia di democrazia per questo paese,
contro il rischio di una saldatura fra omogeneità confessionale,
tendenze nazionalistiche e modelli autoritari.
N asce da questa visione il proposito di fare della Dc un «par­
tito nazionale», nel senso di legare definitivamente i cattolici allo
Stato democratico e di farne contemporaneamente i garanti di
una convivenza politica tollerante e pluralista. Nell'Italia del se­
condo dopoguerra la presenza cattolica in mezzo alle altre forze
politiche rappresentò per De Gasperi un freno sia all'anticlerica­
lismo che al confessionalismo e una spinta per la definitiva cadu­
ta degli «storici steccati» tra laici e cattolici. In seguito, Togliatti
38
•
•
Il partito itala
i no
ha rimproverato a De Gasperi di essere rimasto troppo estraneo
alla tradizione del cattolicesimo italiano e di non aver sufficien­
temente compreso il condizionamento esercitato dalla questione
romana sulla storia italiana. In una qualche sintonia con la posi­
zione crociana, Togliatti vedeva nell'anticomunismo cattolico il
prolungamento dell'influenza negativa del Vaticano sulla vita po­
litico-istituzionale italiana, già emersa in età liberale e poi duran­
te il fascismo. Ma De Gasperi, che lavorò lungamente come im­
piegato nella Biblioteca vaticana, fu in grado di comprendere più
a fondo di altri le novità di Pio XI e di conciliare le tendenze uni­
tarie introdotte da questo pontificato sul piano religioso con un
modello di convivenza politica pluralista.
Egli cercò di individuare una strada nuova attraverso cui i cat­
tolici avrebbero potuto fare ritorno a un impegno politico in senso
democratico, tenendo conto delle scelte compiute dalla Chiesa in
quel periodo. E credette di ti·ovare nelle trasformazioni del mondo
cattolico fra le due guerre la via per superare il problema emerso
con il dissidio fra S. Sede e Partito popolare e con la divisione dei
cattolici, fattori entrambi decisivi per l'avvento del fascismo. L'e­
voluzione del mondo cattolico e la sua maturazione personale lo
spinsero a distaccarsi dai motivi ghibellini presenti nelle interpre­
tazioni di Croce, di Togliatti e di alcuni cattolici liberali, avverten­
do che in Italia era possibile realizzare una presenza politica dei cat­
tolici solo ponendosi in rapporto diretto con l'istituzione ecclesia­
stica e seguendo una prospettiva, in senso lato, neoguelfa di atten­
zione per la visione cattolica delle questioni italiane.
La leadership degasperiana alle origini della Dc fu decisiva an­
che per imprimere a questo partito una marcata <<Vocazione» go­
vernativa. De Gasperi, consapevole degli errori di Meda, che ave­
va rifiutato di assumere la presidenza del Consiglio, e del Ppi, che
non era riuscito a stringere un'alleanza con i socialisti per impe­
dire l'avvento del fascismo, perseguì fin dai primi momenti l'o­
biettivo di portare i cattolici «dall'opposizione al governo». Egli
seguì questo disegno con ferma determinazione diventando pre­
sidente del Consiglio già nel dicembre '45 e rimanendolo fino al
'53. Tale carica sarebbe rimasta in mani democristiane fino al1981
e anche dopo la Dc ha avuto la sorte singolare di non collocarsi
mai all'opposizione, svolgendo costantemente il ruolo di princi­
pale partito di governo. Ma un'altra radicata convinzione di De
II. Chiesa e Dc
39
•
Gasperi fu quella che i cattolici al governo non dovevano starei
da soli. Egli guidò prima una coalizione formata dai partiti anti­
fascisti, poi un tripartito Dc-Psi-P ci e infine un'alleanza centrista
con i partiti laici di centro. E anche dopo De Gasperi, la Dc si è
sempre concepita come perno di un sistema di alleanze fra parti­
ti diversi, seppure secondo formule diversificate nel tempo, resi­
stendo alle pressioni di quanti la volevano isolata, al governo o al­
l'opposizione, e più confessionale.
Questa «vocazione» governativa fu portata alla sua massima
espressione dalla generazione che raccolse l'eredità degli ex po­
polari, quella formatasi fra le due guerre, nell'Azione cattolica o
in istituzioni di prestigio come l'Università Cattolica fondata a Mi­
lano nel 19 22 da padre Gemelli. A questi giovani, in seguito di­
venuti la «seconda generazione» democristiana, fu particolar­
mente vicino Montini, che rappresentò in un certo modo presso
di loro la memoria storica dell'esperienza popolare e il collega­
mento fra le due generazioni. Assistente nazionale della Fuci fino
al 1933, Montini fu costretto alle dimissioni per uno scontro sul
problema degli indirizzi formativi: all'insistenza montiniana sul­
l'acquisizione da parte dei giovani cattolici di una solida cultura
non solo religiosa si contrapposero le tendenze ad accentuare so­
prattutto gli aspetti devozionistici da parte di ambienti ecclesia­
stici espressi ad esempio da mons. Ronca. Montini tuttavia con­
tinuò a coltivare un suo specifico progetto culturale e politico e
rimase vicino a quella generazione.
Egli era fermamente convinto che il laicato cattolico dovesse
uscire dalle sacrestie in cui i fascisti lo avevano confinato per ri­
prendere una attiva militanza politica e pensava che i cattolici do­
vessero rinnovare il loro impegno politico interrotto dalla liquida­
zione del Ppi. Ma ciò doveva avvenire, da una parte, in un più stret­
to collegamento fra istituzione ecclesiastica e militanza cattolica e,
dall'altra, coltivando prospettive meno «di parte» e più «naziona­
li». In questo quadro si colloca il progetto montiniano di dare al­
l'Italia una nuova classe dirigente. Montini pensava a una classe di­
rigente di formazione cattolica e vicina all'istituzione ecclesiastica,
ma effettivamente capace di perseguire interessi <<nazionali», svol­
gendo nel paese una funzione efficacemente unitaria che era man­
cata nella precedente storia italiana. Egli coltivava il sogno che i cat­
tolici riuscissero dove avevano fallito liberali e fascisti, facendo del-
40
•
•
Il partito italt"ano
l'Italia un grande paese europeo e moderno, sempre fedele però al­
la S. Sede. Il suo disegno, insomma, aveva uno spessore più ampio
dell'obiettivo di esercitare una m era influenza ecclesiastica sulla vi­
ta civile e politica, anche per una serie di inclinazioni personali le­
gate all'humus bresciano e alla formazione familiare. n suo proget­
to aveva perciò una qualche connotazione di laicità, sia pure diver­
sa dall'aconfessionalismo sturziano e dalla statualità pluriconfes­
sionalista di De Gasperi.
•
-
•