Il concetto di rappresentanza in campo politico ei problemi

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Il concetto di rappresentanza in campo politico ei problemi
Il concetto di rappresentanza in campo politico
e i problemi della integrazione sovranazionale
e della globalizzazione*
Fulco Lanchester
SOMMARIO: 1. – Generalità. – 2. Uno schema concettuale. – 3. Democrazia e rappresentanza. – 4. La rappresentanza in campo politico e la rappresentanza politica. – 5.
Conseguenze. – 6. I pericoli attuali.
1.
Generalità.
Nel linguaggio comune il verbo rappresentare ha una significazione plurima, che spazia dal riprodurre o raffigurare con un’immagine o con uno scritto una determinata realtà o un modello, all'interpretazione scenica di una parte, per arrivare all'operare od agire in
rappresentanza di altri1. Il sostantivo rappresentanza evidenzia invece, da un lato, una specifica attività di sostituzione di singole persone, enti o collettività, operando in loro vece o curandone gli interessi, dall'altro lo specifico rapporto che si instaura tra rappresentante
e rappresentato.2
*
Lectio magistralis di chiusura del IV Corso di Formazione e specializzazione in
diritto e organizzazione della funzione parlamentare (2006), tenuta il 23 maggio 2006.
1
In questo specifico ambito si inserisce non soltanto la rappresentazione di sè o del
prossimo da parte dell'individuo, ma anche quella collettiva. In effetti, se l'identità «is an
individual's or group's sense of self», e se la stessa è «the product of self - consciousness»
(su cui v. S.P. HUNTIGTON, Who are We. America's Great Debate, London, Simon &
Schuster,2004, p.21), la stessa non è soltanto il frutto di atti formali derivanti dal
riconoscimento di specifici status, ma anche di un'attività di autorappresentazione nel
contesto in cui singolo e gruppo si trovano inseriti e contrapposti ad altri .
2
Procedo secondo la tecnica stipulativa, pur sapendo la ricchezza che i termini
rappresentare e rappresentanza hanno dietro di sè nella storia concettuale. Per questo v.
H. HOFMANN, Repräsentation. Studien zur Wort - und Begriffsgeschichte von der Antike bis
ins 19. Jahrhundert, Berlin, Duncker & Humblot, 1990 (II ed.) in particolare nella
Introduzione; F. CASSELLA, Profili costituzionali della rappresentanza. Percorsi storici e
comparatistici, Napoli, Jovene, 1997, pp. 9 ss. e G. DUSO, La rappresentanza un problema
di filosofia politica, Milano, Angeli, 1988 e dello stesso Genesi e logica della rappresentanza politica moderna, in «La rappresentanza politica», in «Fundamentos», n. 3 (la cui
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Ai fini della presente trattazione mi muoverò su tre direttrici
principali: in primo luogo delineerò uno schema concettuale di classificazione operativa delle attività di rappresentanza (v. par. 2); in seconda istanza metterò in evidenza in maniera sintetica alcune aporie
del rapporto tra democrazia e rappresentanza (v. par. 3); infine concentrerò il mio interesse sul piano della politicità, differenziando
concettualmente la rappresentanza in campo politico dalla rappresentanza politica (v. par. 4) al fine di seguire nel prosieguo l'analisi in
maniera selettiva.
2.
Uno schema concettuale.
Dal punto di vista descrittivo l'attività di rappresentanza risponde a cinque classici interrogativi sintetizzabili in: chi rappresenta
chi o cosa, dove, quando, come e perchè?
a) Il quesito su chi rappresenta chi o cosa evidenzia una pluralità
di possibilità dove la rappresentanza viene a coinvolgere persone
umane o artificiali come termini di una relazione che non può che essere dinamica e comprensiva di senso per i soggetti coinvolti3. Non
soltanto ci si può (auto)rappresentare, ma la persona individuale o
fittizia può rappresentare altri soggetti individuali o collettivi in un
gioco che può divenire estremamente complesso. La grande dicotomia in questo campo si ha – da un lato – nel tipo di rappresentanza
(numenica o immanentistica) sulla base del fatto che la sua origine sia
identificabile all'interno o all'esterno della comunità degli esseri
umani; dall'altro, nella natura del rapporto rappresentativo (mandataria o delegataria,ovvero qualificato da un rapporto fondato su mandato o su delega tra autore ed agente; fiduciaria, che nell'ambito della
distribuzione autoritativa dei valori diviene politica 4; sociologica, in
cui il rapporto è di somiglianza.
b) L'interrogativo sul dove si esplichi l'attività rappresentativa
evidenzia, invece, perlomeno due livelli di analisi, che possono tra
versione italiana è scaricabile dal sito www.uniovi.es/constitucional/fundamentos/tercero); P.
COSTA, Il problema della rappresentanza politica: una prospettiva storica, in «Il
Filangieri», 2004, n.3, pp. 329 ss.
3
V. M. WEBER, Il metodo delle scienze storico - sociali, Torino, Einaudi, 1958 e J.
Freund, Sociologia di Max Weber, Milano, Il Saggiatore, 1968.
4
Per la definizione di politico v. D. EASTON, The Political System: an Inquiry into
the State of Political Science, Chicago, University of Chicago Press, 1981.
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loro correlarsi ed influenzano la sua stessa sostanza: in primo luogo,
l'ambito della rappresentanza, ovvero se la stessa possieda un carattere privatistico oppure di tipo pubblicistico5; in secondo luogo, il
livello della rappresentanza (internazionale; nazionale; subnazionale).
c) L'interrogativo relativo al quando si esplichi l'attività di rappresentanza coinvolge il posizionamento temporale dell'azione rappresentativa, evidenziando una rappresentanza assoluta, una permanente ed una temporanea. Con rappresentanza assoluta faccio riferimento alle concezioni di tipo numenico che ritenevano chi esercitava
il potere non come un semplice rappresentante ma come una mimesis del Regno di Dio6, mentre con quella permanente identifico una
situazione che – quando sia attivata (al di là del fatto che il tipo di
rappresentanza sia numenica o immanentistica) non possiede limiti
temporali.
d) L'interrogativo relativo al come evidenzia il modo di formazione della rappresentanza, che – in ambito immanentistico – si costituisce o ex officio, o attraverso un atto di volizione individuale, o
con una deliberazione collettiva di tipo elettivo. In questo ultimo caso
il rappresentante viene individuato sulla base di una procedura di
votazione, che dal punto di vista concettuale impone una divisione,
ovvero un «dipartirsi»7.
5
Sulla base della nota definizione di Ulpiano Publicum jus est quod ad statum rei
Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem pertinet (Inst. 1.1.4 - D.
1.1.1.2).
6
V. ad es. per questo S. RUNCIMAN, La teocrazia bizantina,con un saggio introduttivo di S. Ronchey, Firenze, Sansoni, 1988, pp. 25 ss.
7
Negli ordinamenti contemporanei la rappresentanza in campo politico e lo
stesso rapporto di rappresentanza si collegano anche a specifiche istituzioni (i partiti),
come conferma la stessa la stessa etimologia di partito, derivante dal participio passato di
partíri ossia dividere . È in sostanza evidente la connessione tra prendere partito e mettere partito con le procedure di decisione collettiva: le decisioni deliberative danno luogo
a votazioni su questioni o atti; quelle elettive servono ai fini della preposizione di individui a cariche autoritative, capaci di istituire, se del caso, un rapporto rappresentativo.
Negli ordinamenti politici di massa il prendere partito non è più riferito alla posizione del singolo, ma finisce per connettersi con l'esistenza di vere e proprie istituzioni
(i partiti politici) capaci di convogliare la volontà degli aventi diritto al voto, favorendo
la partecipazione degli appartenenti al demos (ovvero la parte attiva del popolo), che
possono partecipare (pars-cápere, ovvero prendere parte o parteggiare) autodeterminandosi e determinando l'ente collettivo. In argomento e con particolare riguardo all'importanza delle decisioni infrapartitiche proceduralizzate per l'assetto sistemico, v. F.
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La dimensione del come si forma la rappresentanza prospetta,
dunque, la dimensione procedurale e tecnica della stessa, che si
connette ed integra quella finalistica relativa all'autodeterminazione ed
alla partecipazione.
e) La risposta relativa al perchè si si articola sia nella ragione per
cui si rappresenta, sia nell'oggetto della rappresentanza e viene – ovviamente – condizionata dagli altri elementi ed in particolare dal chi,
dal dove e dal quando. Per quanto riguarda le ragioni della sostituzione dell'autore da parte dell'agente, ad esempio, in ambito privatistico la rappresentanza sorge a causa di assenza o incapacità, mentre
nella sfera pubblicistica essa non può essere limitata alle tradizionali
(ma indispensabili) giustificazioni qualitative e/o quantitative che caratterizzano l'analisi filosofico-politica della macro-rappresentanza,
ma coinvolge anche ragioni relative alla legittimazione dei rapporti
tra i soggetti coinvolti nell'attività di rappresentanza. L'oggetto della
rappresentanza è costituito da valori materiali e/o immateriali di rilevanza sociale, che vengono «fatti presente» dall'agente e che costituiscono domande rivolte dall'autore attraverso l'agente ad altri soggetti. In ambito pubblicistico le domande rivolte alle autorità politiche – previa riduzione ed articolazione delle stesse – producono
eventuali risposte consistenti nell'allocazione autoritativa di valori
sociali, con conseguenti reazioni da parte dei soggetti richiedenti nei
confronti del potere politico.
3.
Democrazia e rappresentanza
In questo lavoro, nonostante la radice del tema possa essere
considerata unica sotto il profilo più generale della trattazione teorica, ci si concentrerà sull'analisi delle trasformazioni della rappresentanza in ambito pubblicistico, con particolare riferimento alla natura politica della stessa e agli strumenti tecnici utilizzati, tenendo
conto della dinamica degli ordinamenti statuali e delle loro trasformazioni.
LANCHESTER, Il problema del partito politico: regolare gli sregolati, in «Quaderni
costituzionali», 1988, n. 3, pp. 487 ss. e M. VALBRUZZI, Primarie - Partecipazione e
leadership, Bologna, Bononia U.P., 2005.
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La maggior parte degli ordinamenti politici contemporanei viene
inserita nella categoria delle cosiddette democrazie rappresentative, ovvero nell'ambito di una forma di regime mista dotata di ampie possibilità di gioco.8 In realtà la stessa utilizzazione della dizione
di «democrazia rappresentativa» risulta contraddittoria rispetto ad
una specifica tradizione concettuale che individua nella democrazia
una forma di regime in cui le decisioni vengono prese direttamente
dai consociati attivi (il demos), mentre con repubblica quella in cui le
stesse sono individuate in modo esclusivo da rappresentanti o delegati. In questo senso può essere presa come esempio l'impostazione
espressa da James Madison9, che confuta la confusione tra democrazia e repubblica sottolineando che «in democrazia il popolo si raduna
e governa direttamente, mentre in regime repubblicano esso si riunisce
ed amministra il potere attraverso i propri rappresentanti e delegati.
Una democrazia sarà, pertanto, necessariamente limitata a piccole
località, mentre una repubblica potrà estendersi su grnadi territori»10
Una simile incoerenza, che si giustifica solo con necessità pragmatiche capaci di raffigurare la «formula politica» in maniera più
accettabile anche al rischio di renderne incomprensibili i fondamenti,
trova nella dizione linguistica della democrazia parlamentare un'alternativa, poiché quest'ultima evidenzia l'esistenza di organi collegiali capaci di integrare o di sostituire in maniera pressoché totale il
8
V. B. MANIN, Principes du gouvernement représentatif, Paris, Flammarion, 1996;
D. FISICHELLA, La rappresentanza politica, Roma-Bari, Laterza, 1996; A. PAPA, La rappresentanza politica. Forme attuali di esercizio del potere, Napoli, Editoriale Scientifica,
1998. Sul tema delle forme di regime miste e della variazione in tema di Costituzioni
miste v. «filosofia politica», 2005, n. 1.; per quanto attiene gli strumenti concettuali utilizzati in questa sede v. F. LANCHESTER, Gli strumenti della democrazia, Milano, Giuffrè,
2004.
9
Nato nel 1751 nella Contea di Orange (Virginia) dove morì nel 1836, studente nel
College del New Jersey (ora Princeton), nel 1776 partecipò alla redazione della Costituzione della Virginia, Madison, fu membro del Congresso continentale e delegato alla
Convenzione di Philadelphia, redattore dei Federalist Papers con Alexander Hamilton e
John Jay, segretario di Stato del Presidente Jefferson e poi Presidente degli Stati Uniti dal
1808 al 1817.
10
V. Federalist No. 14, Objections to the Proposed Constitution From Extent of
Territory, Answered From the New York Packet. Friday, November 30, 1787 (Il
federalista, a cura di M. D'ADDIO - G. NEGRI, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 119-120); in
questa linea v. R. SCIGLIANO, Representation, in «The Encyclopaedia of Democracy», S.M.
Lipset ed. in Chief, London, Routledge, 1995, vol. III, pp.1054 ss.
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demos nell'attività politica.11 Questa dizione concentra però la propria
attenzione su uno degli organi costituzionali rilevanti nel processo
politico e rischia di essere «esplicativo» di una delle fasi della vicenda
degli ordinamenti rappresentativi12, escludendo la democrazia
dell'esecutivo, con l'investitura più o meno diretta da parte del demos
del responsabile dell'esecutivo, che assume una peculiare specificità
rappresentativa.
Alla base delle cosiddette democrazie rappresentative si pone
infatti, normalmente, una concezione immanentistica (e quindi non
numenica) dei rapporti interpersonali ed una valutazione qualitativa
e/o quantitativa dell’impossibilità di una gestione diretta del politico
da parte dei soggetti appartenenti al demos. Di qui discende la
necessità della rappresentanza, ovvero di un peculiare rapporto di
sostituzione (apparire per) tra soggetti nell’ambito della politicità,
ovvero della distribuzione autoritativa dei valori.
Una simile affermazione necessita di ulteriori chiarificazioni
indispensabili.
In primo luogo, la rappresentanza non si forma soltanto attraverso
l’atto elettivo da parte dei componenti di un collegio (anche se questo
costituisce un presupposto ideologico necessario ed accettato nelle
teorie immanentistiche di cui ci si occuperà in prosieguo), poiché
anche chi non derivi da un’elezione la propria posizione potestativa
può assumere i caratteri del rappresentante (e di qui deriva – ad es. –
la teoria della rappresentanza istituzionale)13.
In secondo luogo, il moderno concetto di rappresentanza,
collegato con la politicità, si connette storicamente con la statualità e
l'individualismo. Il concetto di rappresentanza in campo politico non
11
V. R. DAHRENDORF, La società riaperta, cit., pp. 323 ss.; M. LUCIANI, Art. 75:
formazione delle leggi. To. 1. 2, il referendum abrogativo, Bologna, Zanichelli; Roma:
Soc. ed. del Foro italiano, 2005.
12
V. per l'idea che «Die zentrale legitimation der parlamentarische Demokratie
liegt in ihrer Organisation. Die Idee nach handelt di Volksvetretung nicht nur für Bürger,
sie verkoerpet die Bürgerschaft, 'sie ist das Volk', der 'peuple en miniature'» in W. LEISNER,
Demokratie. Betrachtungen zur Entwicklung eine gefaehrdeten Staatsform, Berlin,
Duncker & Humblot, 1998, p. 3.
13
V. C. ESPOSITO, La rappresentanza istituzionale, in Scritti giuridici in onore di
Santi Romano, vol. I, Padova, Cedam, 1940, pp. 307 ss. e V. ZaNGARA, La rappresentanza
istituzionale, Padova, Cedam, 1952²
24
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esisteva – infatti – né in Grecia, né a Roma14, mentre assume un significato teologico con il cristianesimo15. In queste pagine si accede
all'impostazione per cui il concetto di rappresentanza sia entrato nel
linguaggio europeo in senso moderno nel medio evo sia come termine che come idea politica. Mentre Carl Schmitt nella Teologia politica16 collega il concetto con la rappresentanza di Cristo operata dal
Sommo pontefice romano, Hanna F. Pitkin correla la rappresentanza
con l'opera di Hobbes17. Questa dicotomia è più apparente che
reale, perchè evidenzia fasi e livelli differenti nella formazione processuale dello Stato moderno, anche sulla base della riscoperta della
tradizione classica rappresentata da Aristotele. Nell'ambito della rottura tra chiesa e principi la scoperta della Politica di Aristotele nel XII
14
V. le osservazioni di C.J. FRIEDRICH nella prefazione all'edizione inglese di J.
ALTHUSIUS, Politica methodice digesta of Johannes Althusius, The Politics of Johannes
Althusius, translated with an introduction by F. S. Carney, London, Eire & Spottiwode,
1964, pp. VII ss., ma anche quelle celebri di J.J. ROUSSEAU ne «Le contrat social ou Principes de droit politique», in «Oeuvres complètes», III, Paris, 1966, p. 430 che l'attribuisce
al governo feudale. Una simile impostazione viene generalmente accettata e costituisce
una delle scriminanti tra organizzazione politica degli antichi e dei moderni (v. per questo sinteticamente R. SCIGLIANO, Representation, in «The Encyclopaedia of Democracy»,
cit. pp. 1054 ss.). Per l'utilizzazione differenziata degli esempi «classici» (sopratutto
greco) v. A. W. SAXONHOUSE, Classical Greece and Rome, in idem, vol. I, pp. 351 ss.. Da
Machiavelli in poi (Discorsi sulla prima decade di Tito Livio) viene riscoperta, infatti,
l'importanza delle istituzioni del passato, cosicché, dal '500 Roma e dall''800 la Grecia
vengono riscoperte per l'interesse istituzionale dei moderni. Basti in questo senso pensare alle posizione negative del Federalist o dello stesso Constant (De la liberté des Anciens comparée à celle des Modernes [1819], Paris, Livres de Poche, 1980) sulla democrazia greca ed al cambiamento che si ebbe verso la stessa nel periodo jacksoniano, oppure alle posizioni di George Grote in Gran Bretagna, che esaltava la democrazia
ateniese (v. A History of Greece, London, Murray, 1846-1856), o a quelle più recenti di
Hannah Arendt (Sulla rivoluzione, con una nota di R. Zorzi, Milano, Comunità, 1965),
che riteneva la democrazia greca un modello di partecipazione politica, capace di rivelare le inadeguatezze della democrazia individualistica di oggi.
15
V. L. ULLRICH, Representation, in «Handbook of Catholic Theology», New Yok,
Crossroad, 1995, p. 583, che – dopo aver evidenziato il ruolo rappresentativo dei profeti, sottolinea la funzione di rappresentante per la salvezza del genere umano esplicata
dal Cristo e dalla comunità dei fedeli. Sulla base della teoria di Anselmo, il Cristo
avrebbe restaurato l'ordine della creazione (v. sempre ULLRICH, Satisfaction Theory, cit.,
p. 648), cosicché la redenzione può essere compresa come un «freeing of Human freedom by representation of the one free person».
16
V. C. SCHMITT, Le categorie del «politico», a cura di G. MIGLIO e di P. SCHIERA, Il
Mulino, Bologna 1972 .
17
H.F. PITKIN, The concept of Representation, in Representation, a cura della stessa,
New York, Atherton Press, 1969, pp. 6 ss.
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tura tra chiesa e principi la scoperta della Politica di Aristotele nel
XII e XIII secolo portò, infatti, alla consapevolezza di un ambito politico distinto da quello della chiesa e di un ruolo del popolo (di cui
– però – deve essere definita la natura) nello stesso.18 Il processo di
secolarizzazione, con la progressiva formazione di ordinamenti accentrati, ha trasferito in modo differenziato alcuni elementi di quest'ultimo nella teoria dello Stato moderno e contemporaneo, confermando l'intuizione schmittiana dell'origine teologica dei concetti politici moderni19.
D'altro canto la tradizione medievale della rappresentanza cetuale proponeva una partecipazione non diretta del singolo al politico ed una rappresentanza di gruppo. Non soltanto non esisteva una
partecipazione diretta alla allocazione autoritativa dei valori, ma il
rapporto rappresentativo risultava strettamente collegato ad un mandato cetuale o territoriale. Solo con le concezioni contrattualistiche
del Seicento si sviluppa in maniera coerente l'idea del diritto all'autodeterminazione del singolo nell'ambito di una crescente distinzione tra società civile, società politica ed istituzioni.
L'analisi in argomento risulta dunque correlata in modo stretto
con la vicenda dello Stato, ovvero con quella istituzione storicamente
situata:
- che si è formata in modo processuale tra il XVI e il XVIII secolo;
- che ha avuto nel secolo XIX il suo apice con il modello dello
Stato nazionale accentrato europeo;
- e che oggi evidenzia – sopratutto nel continente in cui ha avuto
origine – elementi di mutamento intenso.
18
V. per una analisi sintetica P. BARRY CLARKE, Representation, concept of, in P.
BARRY CLARKE – J. FOWERAKER (eds), Enciclopedia of Democratic Thought, London – New
York, Routledge, 2001, pp. 598 ss.. Nella introduzione alla seconda edizione del suo
volume HASSO HOFMANN (Repraesentation. Studien zur Wort - und Begriffsgeschichte von
der Antike bis ins 19. Jahrhundert, Berlin, Duncker & Humblot, 1990) mette in evidenza
come si ricorra sempre a Schmitt e a Leibholz sul tema della rappresentanza, ma anche
come W. Mantl abbia messo in evidenza in Repräsentation und Identität, Demokratie im
Komflikt. Ein Beitrag zur modernen Staatsformenlehre, Wien, New York, Springer, 1975
i limiti di questa prospettiva.
19
V. C. SCHMITT, Le categorie del «politico», cit., p. 61
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Stato e politica sono – com'è noto – strettamente connessi, ma
non è assolutamente vero che siano inscindibili. L'attività politica,
ovvero la distribuzione autoritativa dei valori, è correlata all'esistenza
di gruppi umani organizzati ed esisteva prima della forma Stato ed
esisterà anche dopo20. Benché la politicità negli ordinamenti moderni
e contemporanei risulti ancora congiunta con la statualità (ovvero con
un'istituzione fondata sulla distinzione tra pubblico e privato, da
supremazia all'interno ed indipendenza all'esterno), la messa in discussione dell'area di applicazione di quest'ultima sottopone le costruzioni concettuali tradizionali a tensioni insostenibili e alla necessità di evidenziare alternative opportune.
In terzo luogo, se è vero che il metodo elettivo costituisce lo
strumento principale di legittimazione per attribuzione formale di
competenza, e che lo stesso può generare un rapporto rappresentativo
diretto tra chi è rappresentato e chi lo sostituisce in determinate
funzioni, una simile affermazione deriva dall'assunzione di precisi
presupposti, che incidono sul tipo di rapporto di rappresentanza.21
4.
Rappresentanza in campo politico e rappresentanza politica
Sono questi i motivi per cui intendo sottolineare con forza che la
differenza concettuale tra «rappresentanza in campo politico» e
20
La differenza tra «la politica» ed «il politico» si evidenzia nel fatto che mentre
la prima si riferisce in sostanza ad un tipo di agire relativo ai rapporti di potere, il politico – dal punto di vista analitico – definisce la specificità del rapporto di aggregazione
tra individui in merito alla allocazione autoritativa di valori. La politicità è caratterizzata
dall'esigenza di difesa (sicurezza) degli individui, che spinge all'aggregazione in gruppi,
che si differenziano da altri per la sopravvivenza. Rispetto a questo primo indefettibile
fine il politico è caratterizzato dalla tendenziale utilizzazione della forza (legittima) al
fine di distribuire i valori prevalenti nell'ambito storico sociale di riferimento. Il livello
in cui si esercita il politico è determinato dallo stato di aggregazione delle singole comunità di individui. La comunità diviene politica quando nel suo ambito vi sia la capacità effettiva di distribuire valori sulla base di una omogeneità di interessi, che la differenziano da altri gruppi. La socialità implica necessariamente la differenza e – sul piano
politico moderno e contemporaneo – essa si esercita tra comunità di larga aggregazione e
con possibilità di conflitto.
21
V. per questo la voce Représentation, in Y. DUHAMEL – Y. MENY, Dictionnaire
constitutionnel, 1992, pp. 914 ss. «La representation est un processus par lequel quelque
chose (personne(s), grouppe(s), chose(s) ou abstraction(s)) qui n'est pas réellment (c'est à - dire physiquement) présent est rendu présent par un intermédiaire». (p. 914)
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«rappresentanza politica» o fiduciaria si collega al fatto che con la seconda identifica principalmente un tipo di rapporto che lega il rappresentante al rappresentato, mentre con la prima il livello dove la
stessa viene esercitata nell'ambito di uno spazio procedurale individuato22. La rappresentanza politica si distingue, infatti, da quelle di
tipo delegatario o mandatario e sociologico, per richiamare classiche
trattazioni23, evidenziando un tipo di legame fiduciario tra i due poli
del rapporto rappresentativo24. La rappresentanza in campo politico
evidenzia, invece, principalmente uno specifico livello in cui si svolge
l’attività rappresentativa ed in particolare quello in cui viene ad esplicarsi la partecipazione diretta alla distribuzione autoritativa dei valori. L'ambito preso in considerazione è dunque quello del «politico»
e della politicità in cui l'esercizio del potere è svolto da singoli individui e/o da collegi, che – preposti alla carica di rappresentante (per
elezione, per nomina, ex-officio o anche per cooptazione) – devono,
in ogni caso, almeno teoricamente poter partecipare in maniera diretta alla distribuzione autoritativa di valori e non solo essere abilitati
alla mera influenza sulla stessa.
Ma non soltanto. La distinzione tra campo e rapporto indica come
sia possibile che in campo politico si verifichi un rapporto di
22
Il termine «campo politico» viene utilizzato in maniera specifica rispetto all'uso
che ne viene fatto in particolare dalla letteratura francofona. In questa specifica
prospettiva mi riferisco a P. BOURDIEU, La répresentation politique. Éléments pour une
théorie du champ politique, in «Actes de la recherche en sciences sociales», 1981, nn.
36/37, pp. 3 ss., ma sopratutto Das politische Feld, in ID, «Das politische Feld. Zur Kritik
der politischen Vernunft», Konstanz, UVK, 2001 (la conferenza è del 1999), pp. 41 ss.
Per Bourdieu «Le champ politique est le lieu où s'engendrent, dans la concurrence entre
les agents qui s'y trouvent engagés, des produits politiques, problèmes, programmes,
analyses, commentaires, concepts, événements, entre lesquels les citoyens ordinaires,
réduits au statut de «consommateurs», doivent choisir, avec des chances de malentendu
d'autant plus grandes qu'ils sont plus éloignés du lieu de production. «Il campo politico
costituirebbe l'ambito in cui viene limitato l'universo del discorso politico, selezionando
le possibilità di intervento e di decisione dei soggetti». Per la specifica nozione di campo
v. sempre di Bourdieu, Lire les sciences sociales 1989-1992, Paris, Éditions Belin, 1994,
volume 1, pp. 326-329).
23
Ad es. quelle di G. SARTORI, Representational Systems, voce in «International
Encyclopedia of the Social Sciences», New York, Crowell-Collier, vol. XIII, pp. 465-74 e
di A. PHILLIP, The Politics of Presence, Oxford, Claredon,1995, pp. 14 ss.
24
V. N. ZANON, Il libero mandato parlamentare: saggio critico sull'articolo 67
della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1991 e R. SCARCIGLIA, Il divieto di mandato
imperativo. Contributo a uno studio di diritto comparato, Padova, Cedam, 2005.
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rappresentanza che non sia esclusivamente politico (ovvero fiduciario), ma anche di tipo mandatario (o delegatario) e sociologico. In effetti in ambito pubblicistico il mandato può anche essere imperativo
ed intestato ad un soggetto individuale o collettivo, oppure la rappresentanza può essere interpretata come rapporto di somiglianza
esistenziale, caratterizzando la presenza del rappresentato con l'esserci
del rappresentante.
I concetti di rappresentanza in campo politico e di rappresentanza politica risultano, quindi, separati, anche se le aree di applicazione degli stessi possono in parte sovrapporsi, in particolare per la
teoria liberale e per quella democratica.
5.
Conseguenze.
Da simili sintetici assunti discendono tre conseguenze principali
per la trattazione che porterò avanti in questa sede.
La prima interessa il livello in cui si sviluppa il rapporto rappresentativo, con la necessità di verificare come la politicità si distribuisca nel tempo all’interno dell’ordinamento, caratterizzando chi partecipi alla distribuzione autoritativa dei valori e chi effettui un mero
influsso sulla stessa.
La seconda conseguenza evidenzia, invece, l’importanza delle
teorie legittimanti l’obbligo politico, che vengono poste alla base degli ordinamenti moderni e contemporanei e che si connettono – nella
loro adozione – con le condizioni materiali degli ordinamenti di riferimento. Lo «stare per» del rappresentante in favore del rappresentato non può che essere giustificato da una teoria dell'obbligo politico (o della sovranità)25, che coinvolga da un lato il tema del man25
Nella presente trattazione le teorie della legittimità e quelle della sovranità vengono sostanzialmente a sovrapporsi, poiché il significato del sostantivo sovranità in
senso generico descrive una situazione di autonomia esterna e di supremazia interna che
storicamente si connette proprio alla vicenda dello Stato moderno e contemporaneo; dal
punto di vista più specifico esso coinvolge invece il profilo della «legittimazione» dell'obbligo politico. I due piani su cui agisce la sovranità risultano, dunque, strettamente
connessi, ma è necessario distinguerli, altrimenti v'è il rischio che il trasformarsi delle
caratteristiche della «sovranità» in senso oggettivo venga considerato come mutamento
della «sovranità» come legittimazione in un processo di indebolimento reciproco incontrollato. In sostanza la potestas non soltanto deve essere diretta, ma deve essere anche legittimata in maniera esplicita dal consenso dei componenti del gruppo attraverso pro-
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dato o della responsabilità di chi rappresenta nella sostituzione di chi è
rappresentato, dall'altro la capacità del primo di impegnare con la
propria azione il secondo.
La terza conseguenza coinvolge, infine, il rapporto che si instaura tra teoria e tecnica della rappresentanza in campo politico,
poiché – come sosteneva a suo tempo Burdeau26 – ogni tecnica della
rappresentanza ha alle sue spalle una teoria dei regimi politici e del
potere politico, ed anche – osservo io – ragioni specifiche, che potremmo definire di «bassa cucina». Una tecnica o una prassi della
rappresentanza possono, dunque, avere anche più teorie alla loro
base, ossia essere possono essere complesse e non pure. Anzi, nella
realtà effettuale le prassi della rappresentanza sono necessariamente
frutto di un mix più o meno coerente derivante dalla sovrapposizione storica. In sostanza A (individuo o collegio) può essere collegato a B (individuo o collegio) da un rapporto di rappresentanza, che
può essere fiduciario (e, nel caso dell'esercizio in un ambito di
allocazione autoritativa dei valori, questo sarà politico), giuridico ovvero basato su un mandato o sociologico (basato su una somiglianza
che implica una presenza).
Con la distinzione tra livello e tipo di rapporto viene, quindi, a
scindersi l'indissolubile sovrapposizione, derivante da schemi ideologici storicamente situati ed ereditati in maniera tralaticia, tra la rappresentanza politica e rappresentanza nella politicità. Il rapporto tra
autore e agente può essere differenziato, ma l'importante è che esso
si inserisca nell'ambito di ciò che viene considerato politico. In questa prospettiva è opportuno sottolineare che si può rappresentare,
ma non essere partecipi alla funzione di indirizzo politico, parteciparvi in epoca successiva ed essere – infine – emarginati. Nel corso
della concreta vicenda storica delle istituzioni rappresentative, ad
esempio, gli organi collegiali (i parlamenti) sono stati istituzioni che,
in periodo medioevale, hanno influenzato dall'esterno l'indirizzo politico; sono divenuti elemento centrale dello stesso poi degli stessi
esecutivi legittimati dal consenso popolare durante il periodo liberale
e di democrazia di massa; infine, in alcuni ordinamenti, essi hanno
cedure che permettano agli stessi di sentire proprie le istituzioni e di sostenerle
efficacemente (F. LANCHESTER, Gli strumenti della democrazia, cit., pp. 46 ss.).
26
G. BURDEAU, Traité de science politique, tomo IV, Les régimes politiques, Paris,
LGDJ, 1952.
30
FULCO LANCHESTER
perduto la precedente rilevanza prima a favore di istituzioni «esterne»
(i partiti), poi dagli stessi esecutivi, legittimati dal consenso popolare e
dal suo raccordo con l'asse partiti, maggioranza parlamentare, governo.
L'ambito in cui muovo queste osservazioni si connette, ovviamente, con trasformazioni intense che l'intero assetto delle costruzioni politico-ideologiche hanno subito nel corso del XX secolo. In
particolare, da un lato, è entrata in crisi la triplice uguaglianza ottocentesca che identificava: il diritto prodotto con lo Stato, che ne rivendicava il monopolio; la politica con lo Stato; il diritto con la legge
parlamentare; dall'altro al centro degli ordinamenti si è posta la persona umana.27
Diritto e politica trovavano dunque nella costruzione dello Stato
nazionale ottocentesco l’unico luogo di tendenziale esplicazione,
cosicché non soltanto lo stesso diveniva il centro di un complesso
rapporto la cui sostanziazione trovava differenti soluzioni nei singoli
ordinamenti, ma la rappresentanza parlamentare nazionale diveniva il
teorico centro motore del sistema.
Per quanto riguarda il primo tema, se si ha rappresentanza in
campo politico quando si partecipa alla distribuzione autoritativa di
valori, allora il politico contemporaneo non risiede più esclusivamente nel livello statuale nazionale, ma viene a distribuirsi su piani
differenziati. I luoghi dove si esplica la politicità risultano spalmati
sia verso l’alto che verso il basso, ma anche – eventualmente – riqualificati sul piano orizzontale. L’istituzione storicamente situata «Stato»
viene – oramai da tempo – posta in dubbio da fenomeni di egemonia
imperiale, integrazione sovranazionale e devoluzione subnazionale,
ma sopratutto appare solo uno dei luoghi istituzionali funzionalizzati dal punto di vista teorico allo sviluppo della persona umana. La
moltiplicazione dei luoghi in cui può allocarsi la rappresentanza politica tra centro e periferia e lo scivolamento della stessa dagli organi
collegiali a quelli monocratici costituisce, però, il forte punto di delegittimazione e di crisi del rapporto rappresentativo, con il conseguente svuotamento degli istituti tradizionali di rappresentanza (le
assemblee elettive al vertice del livello statuale) sia in favore degli
27
V. per questo F. LANCHESTER, Pensare lo Stato. I giuspubblicisti nello Stato
unitario, Roma-Bari, Laterza, 2004.
31
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esecutivi sul piano orizzontale, sia verso altri piani posti più in alto o
più in basso.
Si tratta di un complesso problematico, che abbraccia la totalità
delle trasformazioni delle forme di Stato e di regime contemporanee,
nell'ambito di quel mutamento che ha coinvolto le forme delle politicità e che è stata descritta da tempo come la transizione dalla figura
piramidale dello Stato nazionale e quella della rete a tre dimensioni
della internazionalizzazione e della globalizzazione28. Una simile immagine, che ha il pregio della sinteticità ma presenta anche i rischi
della semplificazione, richiama l'immagine evocata da Bertrand de
Jouvenel della città medievale turrita e la compattezza dello Stato
moderno, cui aggiungerei oggi i cento grattacieli delle città contemporanee.29
6. I pericoli attuali
Le radici della modernità stanno – ovviamente – alle nostre
spalle, per cui a fini esplicativi sarebbe indispensabile partire dalla
prospettiva relativa alle giustificazioni storiche dell'obbligo politico,
per poi ritornare sul tema delle trasformazioni e delle conseguenze.
In questa sede non è possibile attraversare la vicenda dello Stato moderno e contemporaneo sino all'attualità italiana. L'ho fatto in un volume che sta uscendo per l'editore Giuffrè30, sulla base di un percorso selezionato dalle preferenze personali, su un tema immenso,
che non può essere mai considerato concluso per sua natura intrinseca. Nel corso dello stesso ho considerato – appunto – come rap28
V. su questo E. di ROBILANT, Rilevanza delle figure teoretiche e delle figure operative nella società complessa, in «Le radici storico-filosofiche della democrazia», a cura
di R. SCALON, Torino, Trauben, 2006, pp. 45 ss.; A. D'ATENA, Forma Stato dalla piramide
all'arcipelago, in «Impresa e Stato», n. 33 (Relazione al convegno su «Le autonomie funzionali: le Camere di Commercio, problemi e prospettive» CNEL 20 a marzo 1996); A.
PREDIERI - M. MORISI (a cura di) L'Europa delle reti, Torino, Giappichelli, 2001.
29
V. B. DE JOUVENEL, Sovereignity. An Inquiry into the political good, Cambridge,
UP, 1957, pp. 173-174, che in realtà cita E. D'ORS, Coupole et Monarchie,in «Le cahiers
d'Occident», VI, II serie, 1926, pp. 117 ss, poi apparso con il titolo Coupole et monarchie suivi d'autres études sur la morphologie de la culture, Paris, Librairie de France,
1926. In questo senso l'affascinante immagine si precisa se si pensa al palazzo di Carlo V
a Granada.
30
V. F. LANCHESTER, La rappresentanza in campo politico e le sue trasformazioni,
Milano, Giuffrè, 2006.
32
FULCO LANCHESTER
presentanza in campo politico solo quella intesa come sostituzione
sul piano collegato all'allocazione autoritativa dei valori, mentre ho
inteso come rappresentanza politica il rapporto che si stabilisce tra
attore ed agente sul piano fiduciario all'interno del campo politico.
In questa prospettiva le Assemblee parlamentari, ambito privalegiato della ricerca sul tema della rappresentanza in campo politico,
sono state per molto tempo istituzioni di rappresentanza «non» politica e sono divenute invece politicamente rilevanti solo quando hanno
iniziato a prendere parte di diritto e di fatto all'allocazione dei valori.
Oggi rischiano di ritornare allo stadio dell'influenza e della mera
rappresentanza degli interessi nei confronti delle istituzioni che
esercitano in modo effettivo il potere politico.
Con Hobbes ho evidenziato che il Commonwealth può essere,
teoricamente, rappresentato sia da una persona che da un collegio,
ma ho anche osservato che la rappresentanza diviene, in modo tendenziale, democratica solo se – accanto ad un certo tipo di teoria della
legittimità volta all'inclusione massima delle persone umane nel
demos – si pone anche la garanzia del limite al potere e dell'equilibrio
delle funzioni che lo concretizzano.
Nelle forme di Stato di democrazia pluralista sia l'Esecutivo che
il Legislativo (i cosiddetti poteri attivi) possono rappresentare il «sovrano» (ossia il popolo, rappresentato a sua volta dal demos). Tuttavia
la concreta formazione della rappresentanza nelle società di massa
trasforma il senso dell'atto di preposizione del collegio rappresentativo politico e dei singoli rappresentanti e – a certe condizioni – lo fa
divenire una scelta complessa da parte del demos, in cui i singoli
aventi diritto al voto non soltanto scelgono un rappresentante, ma
anche una formazione di partito, un programma ed un leader.
Le tecniche istituzionali possono coordinare in modo organico il
rapporto tra i poteri attivi oppure mantenerli formalmente separati, ma
la politica di massa evidenzia la necessità che esistano formazioni di
partito forti, con strutture di partecipazione e garanzie formali il più
possibile incisive, per evitare i pericoli dello scivolamento verso
l'oligarchia ed il plebiscitarismo. Numero e qualità delle formazioni di
partito, collegate alla concreta situazione della società civile e politica,
condizionano la capacità delle strutture di autorità e dei soggetti
politicamente rilevanti che agiscono al loro interno di inverare i
principi formalmente dichiarati.
33
IL FILANGIERI – QUADERNO 2008
L'allargarsi progressivo del demos, sino alla massima inclusione,
ha mutato progressivamente le tecniche di formazione della rappresentanza. Nel cosiddetto Stato monoclasse l'omogeneità tendenziale
del demos comportava l'indiscussa adozione di tecniche per la trasformazione delle preferenze individuali in scelte collettive derivate
dal voto in assemblea. Con l'estensione del suffragio ed il penetrare
della complessità della società civile nell'ambito delle istituzioni la
richiesta di adeguamento delle tecniche di rappresentanza si è basata
sulla contrapposizione della teoria della rappresentanza individualista
(Mill) a quella funzionale (Bagehot).
Con il tornante della crisi di partecipazione degli anni Venti e
Trenta negli stessi ordinamenti caratterizzati da scarsa omogeneità
sociale e politica si è sentita la necessità di adottare meccanismi di
stabilizzazione della rappresentanza attraverso la selezione dei partiti
«scheggia» per mezzo di clausole di efficienza oppure attraverso la
esclusione delle cosiddette formazioni «antisistema».
Dal secondo dopoguerra in poi (e sopratutto dopo gli scontri sulla
cosiddetta «legge truffa» e la «loi scélérate» francese), il dibattito è
divenuto meno ideologico, da un lato con l'utilizzazione sistematica di
strumenti volti alla maggiore selettività anche in ambito non
maggioritario e capaci di integrarsi con la forma di governo, dall'altro
con una sempre maggiore attenzione alla cosiddetta «legislazione
elettorale di contorno».
Negli ultimi quindici anni si è, però, notata un’intensa ripresa degli studi sulla rappresentanza in campo politico e dello stesso rapporto di rappresentanza politica sulla base di una duplicità di pulsioni. Da un lato si è posto il problema della instabilità politica e del
deficit rappresentativo dei partiti e delle istituzioni; dall’altro si è evidenziata, più in generale, uno svuotamento della rappresentanza sia in
relazione alla trasformazione dei mezzi di partecipazione, sia per la
delocalizzazione delle decisioni in ambito differenziato. Si è osservato
che il politico non è più esclusivamente statuale, ma spalmato su
livelli differenziati e con una riduzione dell’incidenza del momento
elettivo. Si è aggiunto che la rappresentanza in campo politico ha
perso importanza e sono stati esaltati altri tipi di rappresentanza ed in
particolare quella istituzionale, considerati meno influenzabili e più
connessi con i contropoteri necessari ad opporsi alle forme di demagogia massmediatica.
34
FULCO LANCHESTER
In modo estremamente sintetico, in maniera da tenere il dibattito nazionale sullo sfondo e privilegiare i caratteri comuni alle democrazie pluraliste, esistono, a mio avviso, perlomeno sei tendenze
che debbono essere poste in primo piano.
In primo luogo viene confermata la perdita anche formale di
centralità delle istituzioni rappresentative collegiali con la conseguente affermazione della personalizzazione della contesa nelle società di massa per la conquista di posizioni monocratiche.
In secondo luogo si evidenzia una crisi di rappresentatività del
personale politico parlamentare a causa della complessità delle società civili e politiche, della trasformazione delle tradizionali fratture e
della apparizione di nuove domande.
In terzo luogo, se i parlamenti sono stati superati – sulla base del
processo di democratizzazione – dai partiti, anche questi hanno oramai da tempo perso capacità di articolare e ridurre la domanda politica in favore di individui e gruppi. Si verifica così una riqualificazione delle funzioni della rappresentanza parlamentare. Negli ordinamenti caratterizzati dalla applicazione della teoria funzionale della
rappresentanza (con la formazione di esecutivi stabili sulla base di
partiti e/o di leader) spesso vi è, addirittura, la certificazione che il
personale politico parlamentare della maggioranza si è trasformato in
lobbista nei confronti del proprio esecutivo (v. rapporto Nolan in Gran
Bretagna31) e il recente caso della Banca d'Italia suggerisce ipotesi
similari.
In quarta istanza gli esecutivi assumono un ruolo privilegiato di
rappresentanza delle domande provenienti dalla società civile e di
collazione delle rappresentanze. Sono gli esecutivi che rappresentano
direttamente il corpo elettorale e divengono il punto di riferimento
degli interessi che devono essere rappresentati, esercitando la funzione principale nell'allocazione autoritativa delle risorse sul piano
nazionale.
31
V. Standards in Public Life, First Report of the Committee on Standards in
Public Life, Report, Cm 2850-I e in particolare la sezione dedicata a «Ten Years after
Nolan» in Parliamentary Affairs, 2006, n.3, pp. 454 ss. (con contributi di A. Doig, M.
Macaulay and A. Lawton e M. Denton volti a sottolineare anche gli effetti del processo di
devoluzione sul problema).
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IL FILANGIERI – QUADERNO 2008
In quinto luogo altri soggetti non legittimati dal consenso elettorale esprimono una funzione di rappresentanza e di contrappeso.
In sesto luogo lo svuotamento di competenze delle istituzioni
statuali centrali causato da processi di devoluzione verso l'alto e verso
il basso moltiplicano i fenomeni prima citati, rafforzando il ruolo degli
esecutivi, che hanno la possibilità di partecipare a decisioni da cui
sono sostanzialmente esclusi gli organi legislativi.
Da questo quadro derivano evidenti pericoli per gli ordinamenti
che si definiscono democratici. Essi si concentrano sostanzialmente in
quattro punti principali:
a) nella diminuzione dell’incidenza del piano nazionale senza
che vi sia una individuazione sicura di una alternativa dove i singoli
cittadini come demos possano esprimere in maniera costante ed attiva
la propria volontà elettiva e deliberativa;
b) nel crescente peso crematistico in politica, per cui l'attività
nel settore dell'allocazione autoritativa delle risorse corrisponde sempre più ai rapporti di potere di fatto, con la conseguente delegittimazione dei fondamenti ideali del sistema;
c) nella mancanza di partecipazione partitica e nella riduzione
delle formazioni partitiche a mere macchine di potere ed elettorali;
d) nell’influenza dei mezzi di comunicazione di massa di tipo
individualistico, con la conseguenza che il processo di decisione del
demos viene fortemente influenzato dagli stessi e distorto da un'eventuale concentrazione in mano di operatori singoli o collettivi.
Di fronte ad una simile situazione e all'illusione che l'applicazione della teoria funzionale della democrazia possa essere adottata in
tutti i contesti e senza gli opportuni contrappesi, sono state presentate come soluzioni l’ipotesi della democrazia deliberativa; la democrazia elettronica e la democrazia di villaggio. Tutte queste strade
presentano parzialità ed insufficienze. La democrazia deliberativa
(un mélange tra Rawls e Habermas) costituisce un mero palliativo
perché costituisce al massimo una forma di scrutinio approfondito
delle decisioni da prendere32, mentre la cosiddetta democrazia elet32
V. J. BOHMAN, Public Deliberation. Pluralism, Complexity, and Democracy,
Cambridge, The Mit Press, 1996; J. BOHMAN-W.R. e hg, (eds.), Deliberative Democracy. Essays on Reason and Politics, Cambridge, The Mit Press, 1997 (con vari
saggi tra cui Habermas, Elster, Rawls, Cohen) e J.S. DRYZEK, Deliberative
36
FULCO LANCHESTER
tronica33 appare in realtà il tentativo di reintroduzione di un nuovo
regime oligarchico con – da un lato – il miraggio della democrazia di
villaggio ed un rifugio nel campus universitario. D’altro canto la sensazione che la regolarità del procedimento di votazione sia messa
continuamente in gioco viene confermata da recenti e noti episodi
USA e britannici.
I tre aspetti or ora considerati confermano l’importanza fondamentale che negli ordinamenti democratici ha il tema delle votazioni e
della loro correttezza e la necessità di mantenere alti standard in
questo campo, anche per evitare i sempre presenti ed attuali pericoli
del plebiscitarismo e del populismo sottolineati da Aron sulla base
della riflessione classica. A questo si aggiungono i temi della democrazia multilivello e quello della democrazia infrapartitica. Il primo
argomento costituisce il primo corno della crisi della rappresentanza
in campo politico. In effetti, lo spostamento del centro di gravità
della politicità dal piano nazionale a quello sovranazionale dell’integrazione fino a quello locale comporta la riqualificazione degli strumenti della democrazia. La democrazia parlamentare degli ordinamenti nazionali, sfidata dalle spinte plebiscitarie e populiste, vede ridotto il ruolo dei parlamenti verso il basso dalla devoluzione
subnazionale e, verso l’alto, da quella dell’integrazione. La soluzione
prospettata della democrazia multilivello ricorda la costruzione
althusiana e costituisce il tentativo di emarginare Hobbes, ma evidenzia anche la grande difficoltà di gestire il politico attraverso le
molteplici rappresentanze dei collegi ed i pericoli della personalizzaDemocracy and beyond. Liberal, Critics, Contestations, Oxford, UP, 2000 e
Deliberative Democracy, n. speciale de, The Journal Of Political Philosophy, in
collaborazione con Philosophy, Politics & Society, su Debating Deliberative
Democracy, 2002, n. 2, pp. 125 ss.
33
V. le osservazioni sui limiti della stessa già in M. BOLOGNINI, Modelli di democrazia elettronica, in Impresa & Stato, 1998, nn. 44-45, ma ora R.K. GIBSON - A. RÖMMELE
- S.J. WARD (eds), electronic Democracy .Mobilisation,organisation and Participation via
new ICTs, London, Routledge, 2004, provvedendo a differenziare la e-democracy dall'egovernment «volto all'utilizzo delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) per rendere la Pubblica Amministrazione sempre più veloce, efficiente e
vicina al cittadino» . Denominata anche cyberdemocracy, digital democracy or technodemocracy (e preceduta anche dall'illusione della teledemocracy), la polivocità dello strumento informatico rende, infatti, possibile la sua utilizzazione sia a fini di partecipazione,
sia a fini di controllo, ma sopratutto rischia di creare un'arena virtuale senza effettiva
partecipazione, censitaria e controllata dall'alto.
37
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zione. Sono infatti gli esecutivi che acquistano un sempre maggiore
rilievo e il luogo privilegiato della rappresentanza si trasferisce dai
collegi agli organi monocratici. Anche in questa dimensione si pone,
dunque, il tema irrisolto e sottovalutato della continua verifica correttezza formale del procedimento di scelta e quello della selezione dei
candidati attraverso le primarie di partito, campo cui si rivolge la
fatica di Sisifo della democrazia.
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