L`altra mano di Dio

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L`altra mano di Dio
Articolo scritto per Reset
Sezione Storia Industria Finanza
L’altra mano di Dio, di Paolo Varvaro
Può capitare di leggere, per puro caso poco prima della fumata bianca che preannunzia
l’elezione di un papa argentino, un interessante articolo che descrive la geografia di
Buenos Aires attraverso i suoi numerosi campi di calcio; per meglio dire, un suggestivo
baedeker della società porteña dalla lente di ingrandimento dei suoi luoghi di
aggregazione sportiva (Gabriella Greison, Buenos Aires rivista da me: un giro
trasversale tra campi di calcio e storie di pallone, “Sport Week”, marzo 2013). Accade
poi di apprendere che il cardinale Jorge Mario Bergoglio Sivori (il cognome materno:
quasi uno scherzo del destino) prima di diventare papa Francesco è stato un
appassionato supporter della squadra del San Lorenzo che è di casa al Pedro Bidegain,
“mentre nello stadio Julio Gondona c’è l’Arsenal. Posti poco tranquilli, ad alto tasso di
povertà, l’acqua che scarseggia, le fogne sporche, le baraccopoli. Il calcio qui diventa
altro: speranza, ribellione, voglia di uscire dalla disperazione” (tratto dall’articolo di cui
sopra).
Non è qui il caso di affrontare il tema, pur sempre appassionante, della questione
sociale argentina, e neppure quello dello stadio come emblema identitario per una
comunità sportiva. Semmai si può provare ad incrociare i due temi. Benché sia evidente
che in Italia il tema degli stadi di proprietà delle società di calcio rimarrà a lungo una
chimera, è pur vero che “todo cambia”, come ci ha rivelato Moretti in Habemus papam
dando prova di facoltà premonitorie davvero singolari (un papa in fuga dal Vaticano e in
giro per la città sull’autobus, con il sottofondo di una colonna sonora argentina).
Immaginando dunque che qualcosa potrà cambiare anche nel nostro paese, conviene
cominciare a chiedersi quali effetti potrà avere nell’Italia di domani un significativo
investimento di risorse in stadi di calcio. È appena il caso di precisare che non si tratta di
impianti per lo sport di massa, di cui pure il nostro paese ha urgente necessità soprattutto
nel Mezzogiorno, bensì di nuovi e più moderni teatri per lo sport spettacolo, che resta
però uno dei pochi settori trainanti dell’economia nazionale.
In attesa di leggere, tra chissà quanti decenni, una guida italiana dedicata ai
luoghi di “culto” calcistici, possiamo presagire che i nuovi stadi rinfocoleranno mai
sopite passione, disegneranno in modo nuovo e presumibilmente più settario la geografia
urbana delle città che ospitano più d’una squadra di calcio (benché in Italia non si superi
mai il numero di due, a testimonianza di un policentrismo urbano che contrasta le spinte
centralistiche e una volta tanto opera una semplificazione di natura bipolare) e possiamo
senz’altro temere un accentuarsi delle dinamiche sociali e politiche del populismo, che
già nelle sue attuali manifestazioni appare imparentato, tanto in Italia quanto in
Argentina, con simbologie e modalità espressive di matrice calcistica. All’obiezione che
non solo in Argentina ma ormai quasi ovunque gli stadi sono di proprietà delle società di
calcio, si può facilmente obiettare che l’Italia sembra destinata a ricalcare quel modello
piuttosto che quello tedesco, per motivi sin troppo ovvi da poter evitare di sottolinearli.
Oltre a ciò è facile prevedere un consistente aggravamento dei bilanci pubblici in seguito
ad investimenti così gravosi, con il corollario di scandali, inchieste e successivi autodafé
che possiamo tranquillamente risparmiarci di prefigurare giacché si tratta di una
proiezione in un futuro ben lontano dal realizzarsi.
E tuttavia conviene concludere questa riflessione fantastica con una
considerazione più seria. La prospettiva indicata dal modello argentino, e più in generale
sudamericano, andrà approfondita non solamente per le suggestioni che offre sul
versante calcistico, ma anche per la dimostrata capacità di ripresa dalla crisi economica.
In attesa di adeguare i nostri impianti sportivi a quell’esempio, si potrebbe nel frattempo
mettere a frutto l’attenzione che si concentrerà adesso sul continente sudamericano per
coltivare altre e più ambiziose aspirazioni emulative.