Palumbo_giur_penale - Diritti fondamentali.it

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www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823
Ambra Palumbo
Dottoranda di ricerca
Università degli Studi di Cassino
e del Lazio Meridionale
La nozione di “familiari conviventi” e i redditi rilevanti ai fini dell’ammissione al
gratuito patrocinio
(Cassazione penale, sez. IV, 13 novembre 2012, n. 44121)
Gratuito patrocinio – familiari conviventi – nozione di famiglia – redditi
rilevanti – esclusione dal beneficio.
Artt. 76 e 92 D.P.R. 115/2002.
La sentenza n. 44121 del 2012 costituisce un ulteriore passo compiuto
dalla giurisprudenza nel suo cammino verso il riconoscimento della “famiglia
di fatto”.
La decisione trae origine dal ricorso proposto da un imputato che
aveva beneficiato dell’ammissione al patrocinio gratuito a spese dello Stato,
avverso
l’ordinanza
di
rigetto,
emessa
dal
tribunale
di
Brindisi,
dell´opposizione al provvedimento di revoca della ammissione al patrocinio
gratuito a spese dello Stato, emesso dal Tribunale di Fasano.
Tale revoca era stata determinata dal superamento del limite di reddito
previsto per l’ammissione al beneficio e confermata dal Tribunale di Brindisi,
sull´assunto che nel reddito rilevante ai fini dell’ammissione o meno al
beneficio dovesse computarsi anche il reddito della suocera convivente con il
soggetto che aveva fatto richiesta di ammissione al beneficio stesso. Il
ricorrente, oltre alla violazione delle disposizioni inerenti la revoca del
beneficio, lamenta altresì la violazione degli artt. 76 e 92 del D.P.R. n. 115/2002,
ritenendo erronea la valutazione effettuata dal Tribunale di Fasano di dover
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cumulare il reddito dell’istante con quello della suocera con lui convivente,
non potendosi ritenere la suocera “familiare” ai sensi del 2° comma dell’art. 76
e ai sensi dell’art. 92 del D.P.R. n. 115/2002.
La questione che la Corte di Cassazione è chiamata a decidere è se sia
“legittimo computare, ai fini della determinazione del reddito complessivo dell’istante
ai sensi dell’art. 76 D.P.R. 115/2002, anche quello di una persona con lui convivente
che non sia legato allo stesso da vincoli di parentela”, come può essere, quindi, una
suocera convivente con l’istante. Tale articolo stabilisce, al primo comma, che
“può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini
dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore
a euro 10.628,16” mentre, al secondo comma, si precisa che “salvo quanto
previsto dall'articolo 92, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il
reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni
componente della famiglia, compreso l'istante”. Il citato articolo 92 prevede, a
propria volta, un innalzamento del limite di reddito previsto per l’ammissione
se il richiedente convive con il coniuge o altri familiari. In questo caso, il limite
di reddito indicato dall’articolo 76 viene elevato di euro 1.032,91 per ognuno
dei familiari conviventi.
Il nodo interpretativo verteva dunque intorno al concetto di “familiari
conviventi” ai fini dell’applicazione della normativa sul gratuito patrocinio. La
Suprema Corte intende per familiare anche colui che, pur non soddisfacendo i
predetti vincoli, sia comunque convivente e contribuisca con costanza
all’equilibrio familiare, sia economico che non, richiamandosi a principi già
espressi in precedenti pronunce (quali quelle relative alla computabilità del
reddito del convivente more uxorio). Nella specie, peraltro, la Corte non manca
di rilevare che il legislatore, quando ha voluto dare rilievo al rapporto
naturale o di acquisizione tra i membri di una famiglia, ha fatto ricorso a
termini come “ascendente, discendente, coniuge, fratelli” oppure come
“congiunti o prossimi congiunti”, che richiamano chiaramente un legame
naturale o giuridico tra i soggetti coinvolti. Quando, invece, ha voluto
estendere i diritti spettanti ai prossimi congiunti ad altre persone “pur
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conviventi, ma non legati all’imputato da vincoli di sangue o giuridici, ha previsto
una specifica eccezione (V ad es. 3° comma lett. a) art. 199 c.p.p.)”. Da tali premesse,
la stessa Corte arriva a sostenere che l’utilizzo del termine “familiare” indica
che il legislatore ha “voluto tener conto della capacità economico-finanziaria di tutti
coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque, concorrono a formare il reddito
familiare”.
L’interpretazione
costituzionalmente
orientata
del
termine
“familiare” induce a ritenere compresi non solo coloro che abbiano vincoli di
sangue o giuridici con il soggetto richiedente il beneficio, ma anche coloro che
con quest’ultimo convivano contribuendo al menage familiare. Non sarebbe,
infatti, “conforme ai principi costituzionali di solidarietà, equa distribuzione e di
partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale, il fatto
che dovrebbe gravare sui contribuenti il costo della difesa di un cittadino che può
fruire dell’apporto economico dei vari componenti il “nucleo familiare”, ancorché il
suo reddito personale gli consenta di accedere al beneficio”. La Cassazione
sottolinea, tra l´altro, come la giurisprudenza abbia colto l’intento del
legislatore di dare rilievo alla famiglia “di fatto”, “quale realtà sociale che, pur
essendo al di fuori dello schema legale cui si riferisce, esprime comunque caratteri ed
istanze analoghe a quelle della famiglia stricto sensu intesa”.
Ancora una volta, quindi, la giurisprudenza offre un riconoscimento
formale alla famiglia di fatto, rileggendo alcune disposizioni normative
nell’ottica di estendere alla prima la disciplina, seguendo un´interpretazione
che appaia costituzionalmente orientata.
In questo senso la Cassazione si era già espressa nella sentenza n. 109
del 2006 (richiamata nella motivazione della sentenza n. 44121 del 2012) con la
quale si è ritenuto computabile ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio a
spese dello Stato anche il reddito della convivente more uxorio. Essa procede
cosí a valorizzare le nuove istanze provenienti dalla realtà sociale, ritenendo
tale scelta “in linea con la significativa evoluzione sociale, normativa e
giurisprudenziale, registratasi negli ultimi tempi ed evidentemente finalizzata a dare
rilievo sociale e giuridico (ovviamente, sia in "bonam" che in "malam partem") alla
famiglia di fatto e, di conseguenza, al rapporto "more uxorio"…. Come e' noto, infatti,
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e con particolare riferimento proprio al vincolo tra soggetti conviventi "more uxorio",
l'evoluzione giurisprudenziale ha portato al riconoscimento della famiglia "di fatto",
quale situazione di rilevanza giuridica”.
La Corte di Cassazione, con queste decisioni, sposta senz´altro
l’attenzione dalla formale nozione di famiglia, alla nuova concezione di
famiglia e di unione “effettiva”, “che presenti carattere di tendenziale stabilità,
natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi
e nella reciproca assistenza morale e materiale”.
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(Cassazione penale, sez. IV, 13 novembre 2012, n. 44121)
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
I.D. propone ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza, in epigrafe indicata, con cui il
Tribunale di Brindisi ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento di revoca di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato emesso il 28.04.2004 dal Tribunale dello
stesso
capoluogo
sezione
distaccata
di
Fasano
-.
Si premette che a seguito di due diverse istanze, relative rispettivamente a
procedimenti nn- R.G. N. R. 209/99, R.G. Trib. 300/02 e R.G.R.N. 5598/99, R.G. Trib.
321/03, il ricorrente era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
Successivamente i due procedimenti penali venivano riuniti ed, in riferimento
all’attività svolta, il difensore di fiducia, avv. F.L., chiedeva la liquidazione degli
onorari.
Con decreto depositato in data 3.05.2004 il G.O.T. revocava ex officio i decreti di
ammissione dell’I. al patrocinio a spese dello Stato e rigettava l’istanza di liquidazione
delle
competenze.
Proposta rituale opposizione ai sensi dell’art. 99 d.P.R. 115/2002 veniva emessa
l’ordinanza
impugnata.
Con un primo motivo si denuncia violazione di legge nella specie degli artt. 97, 99 e
112 del d.p.R. 115/2002 in relazione all’art. 360, commi 3° e 5° c.p.c.
Si eccepisce che la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello
stato può essere pronunciata solo per le ipotesi previste dall’art. 112 del citato d.P.R.,
così come, per altro affermato dalla S.C. a SS.UU. con sentenza n. 36168 del 10.09.2004.
Con il secondo motivo si denuncia altra violazione di legge ed in particolare degli artt.
72 e 92 del d.P.R. 115/2002 in relazione all’art. 360, commi 3° e 5° c.p.c.. Si argomenta
che erroneamente il G.O.T., con il provvedimento di revoca, ha ritenuto di dover
cumulare il reddito dell’istante con quello di R.V., madre della sua convivente, la
quale, sebbene coabiti con la figlia ed il suo compagno, non può ritenersi “familiare”
ai sensi del 2° comma dell’art. 76 ed art. 92 del d.P.R. 115/2002.
I
motivi
esposti
sono
infondati
sicché
il
ricorso
va
rigettato.
Destituita di fondamento è la censura posta a base del primo motivo atteso che essa è
in evidente contrasto con la stessa formulazione della norma ritenuta violata atteso
che l’art. 112, 1° comma lett. d) del d.P.R. 115/2002, consente al giudice di revocare,
anche d’ufficio, il decreto di ammissione al gratuito patrocinio nel caso in cui “risulta
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provata la mancanza originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli
artt. 76 e 92” dello stesso d.P.R. (per altro la massima giurisprudenziale di questa
Corte a SS.UU. di cui alla sentenza n. 36168 del 19.09.2004, riportata in ricorso, è
quanto mai chiara nell’affermare che il giudice può revocare l’ammissione al gratuito
patrocinio
solo
per
i
casi
previsti
dal
citato
articolo
112).
Nel caso di specie il decreto di ammissione è stato revocato proprio per la mancanza
di una delle condizioni per accedere al beneficio in parola, vale a dire un reddito
imponibile superiore al tetto previsto dall’art. 76 sulla base di quanto emerso dalle
indagini effettuate presso i competenti uffici finanziari dovendosi cumulare al reddito
dell’istante anche quello percepito dalla madre della compagna convivente
dell’istante,
anch’essa
convivente.
Quanto al secondo motivo, ovviamente strettamente collegato al primo, la questione
se è legittimo computare, ai fini della determinazione del reddito complessivo
dell’istante ai sensi dell’art. 76 d.P.R. 115/2000, anche quello di una persona con lui
convivente che non sia legato allo stesso (la vincoli di parentela, non può che avere
una risposta affermativa sulla base della elaborazione giurisprudenziale di questa
Corte
in
materia.
Per vero questa Corte si è pronunciata (V. per tutte Sez. 4, Sentenza n. 109 del
26/10/2005 Cc. Rv. 232787) più volte affermativamente con riferimento al reddito del
convivente “more uxorio” dell’istante, ma il principio di diritto ricavabile da tali
pronunce va esteso anche al caso sottoposto al caso di specie.
La norma di cui all’art. 76 d.P.R. 115/2000 stabilisce che “...se l’interessato convive con
il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi
conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia…”, quest’ultimo
termine è stato poi utilizzato dal legislatore nel successivo art. 92, ai fini
dell’elevazione
dei
limiti
del
reddito
per
l’ammissione.
Dunque, il termine usato dalla legge è quello di “familiare” o di “componente della
famiglia”.
Il problema che si pone, sollevato dal ricorrente, è quello di verificare se il legislatore,
con l’adozione di tali accezioni, abbia voluto far riferimento ai soli familiari,
componenti del nucleo familiare, uniti all’istante da vincoli di parentela o affinità o se,
invece, anche a quei componenti che, convivendo e contribuendo ognuno di essi, sia
dal punto di vista economico che collaborativo, alla vita in comune, costituiscono il
nucleo
familiare.
Nell’ambito di una interpretazione sistematica della legge sottoposta al nostro esame è
da considerare che il legislatore, ogniqualvolta ha voluto dare rilevanza, vuoi per
aggravare o per favorire la posizione dell’imputato, ai rapporti derivanti da un legame
per così dire naturale o di acquisizione, ha sempre utilizzato, oltre ai termini
inequivocabili di ascendente, discendente, coniuge, fratelli e sorelle (V ad es. art. 649
cod. pen.), caratterizzanti un vicolo familiare derivanti da rapporti di consanguineità,
anche le parole “congiunti”, “prossimi congiunti” anch’esse, comunque, riferibili ad
un legame di natura giuridica, tant’è che, quando ha esteso i diritti a questi (prossimi
congiunti) spettanti ad altre persone, pur conviventi, ma non legati all’imputato da
vincoli di sangue o giuridici, ha previsto una specifica eccezione (V ad es. 3° comma
lett. a) art. 199 c.p.p.), laddove si riconosce al e/o alla convivente “more uxorio”
dell’imputato e/o imputata, la facoltà di non rendere interrogatorio nel procedimento
a
carico
di
quest’ultimo.
Di conseguenza l’uso del termine “familiare” nell’art. 76 d.P.R. 309/90 nella materia di
cui trattasi ha una sua specifica pregnanza avendo il legislatore, al fine di riconoscere
il beneficio di cui trattasi a colui che non può far fronte al costo economico della difesa
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in un procedimento penale, voluto tener conto della capacità economico-finanziaria di
tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque, concorrono a formare il
reddito familiare. Di tal che sarebbe non conforme ai principi costituzionali di
solidarietà, equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune
attraverso il prelievo fiscale, il fatto che dovrebbe gravare sui contribuenti il costo
della difesa di un cittadino che può fruire dell’apporto economico dei vari componenti
il “nucleo familiare”, ancorché il suo reddito personale gli consenta di accedere al
beneficio.
Dunque, appare orientata costituzionalmente l’interpretazione che va data al termine
“familiare”, riferibile non solo a coloro che sono legati all’istante da vincoli di
consanguineità o, comunque, giuridici, ma anche a coloro che convivono con lui e
contribuiscono al “menage” familiare. Dovendo confrontarsi con le mutate concezioni
che via via si sono affermate nella società moderna, la giurisprudenza, ha dato atto
che il legislatore, in materia di rapporti interpersonali, ha considerato la famiglia “di
fatto” quale realtà sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si
riferisce, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia
“stricto
sensu”
intesa.
In definitiva questa corte ritiene condivisibile la motivazione sul punto
dell’impugnata
ordinanza.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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