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RDF 2_13_RDF 3_11.qxp 09/05/13 11.03 Pagina IX LA RIVISTA DI FINANZA sommario AttuAlità MiChele CAruSo il BrigAnte Che terroriZZò lA CAPitAnAtA Prof. Avv. Domenico La Medica ____________________________________________________________________________ Xiii lA tASSAZione Dei Proventi illeCiti Avv. Alessandro Fino ___________________________________________________________________________________ Xvii fAtture Per oPerAZioni ineSiStenti: ConCorre Con il reAto Di eMiSSione il PotenZiAle utiliZZAtore Dott. Antonello Urgeghe e Dott. Paolo Pettine _______________________________________________________________ XXvi il regiMe fiSCAle Degli ASSegni Di MAnteniMento eD AliMentAri Avv. Caterina Monopoli _________________________________________________________________________________ XXX lA DiSCiPlinA irAP nellA “CoMPrAvenDitA Dei CAlCiAtori” Dott.ssa Valentina De Marco ___________________________________________________________________________ XXXiv notifiCA Delle CAtelle eSAttoriAli in CASo Di irrePeriBilità Del ContriBuente Avv. Maurizio Villani _________________________________________________________________________________ XXXiX giuriSPruDenZA DiChiArAZione Dei reDDiti PreSentAtA in viA teleMAtiCA: PrevAle SullA CoPiA CArtACeA (Cassazione, Sez. trib. - Ord. n. 358 del 9 luglio 2012) _________________________________________________________ Xliii fAtture Per oPerAZioni ineSiStenti: A Chi SPettA l’onere DellA ProvA? (Cassazione, Sez. trib. - Sent. n. 1048 del 17 gennaio 2013) _____________________________________________________ Xliv rASSegnA giuriSPruDenZA Cassazione - Commissioni Tributarie Regionali - Commissioni Tributarie Provinciali - Corte di Giustizia UE _____________________________________________________________________________________________________ Xlvi PrASSi l’iMu eSCluDe l’irPef Sui reDDiti fonDiAri Di iMMoBili non loCAti (Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E dell’11 marzo 2013) ____________________________________________________ l iMu: Per SAnAre gli errori effettuAti Ci Si rivolge Al CoMune (Risoluzione del Ministero dell’Economia e finanze n. 2/DF del 13 dicembre 2012)____________________________________ lvi AnnullABili A riChieStA le CArtelle Di equitAliA (Direttiva Equitalia n. 2 dell’11 gennaio 2013) ________________________________________________________________ liX rASSegnA PrASSi Circolari - Risoluzioni ________________________________________________________________________________ lXiii ConSulenZA i queSiti Degli ABBonAti ____________________________________________________________________________ lXvi IX RDF 2_13_RDF 3_11.qxp 09/05/13 11.03 Pagina XIII LA RIVISTA DI FINANZA mICHELE CARuSo IL BRIgANTE CHE TERRoRIZZÒ LA CAPITANATA DI DomENICo LA mEDICA PRoFESSoRE, AVVoCATo PRESIDENTE Agg. oN. CoNSIgLIo DI STATo ertari, la cui fama supera gli angusti confini locali per attingere quelli internazionali, eccelle anche in malam partem. Ci riferiamo al brigante Michele Caruso (da non confondere con giuseppe Caruso, anch’egli brigante, ma nativo di Atella ed operante specialmente in Campania) che terrorizzò la Capitanata e le terre limitrofe con le sue efferate azioni2. nasce il 30 luglio 1837 da vincenzo e teresa raténo, in una misera casa situata al numero 6 del vico Stroto San nicola, nel quartiere Codacchio; il nome Michele forse gli venne imposto ricordando il santo cui nel vicino gargano è dedicato un santuario meta di devoti ed affollati pellegrinaggi. fin da giovane dimostra un carattere difficile e violento e giunge ad uccidere con le sue dita gli uccellini che il padre gli portava al ritorno dal lavoro. incomincia a lavorare facendo il boscaiolo, come il padre; ma il mestiere era pesante e così passa a svolgere altri lavori, come facchino, aiuto fornaio, sensale di grano. Dopo il declino dei Borboni, in occasione di pubbliche manifestazioni a favore del nuovo regime, unitamente ad altri masnadieri, palesa la sua avversione provocando disordini e tafferugli; questi atteggiamenti, dapprima tollerati dalla pubblica autorità, furono in seguito repressi, quando assunsero frequenza e gravità da minare la pacifica convivenza dei cittadini. il Caruso venne, quindi, arrestato e rinchiuso nelle carceri di San Severo con l’accusa di “associazione in banda armata avente per mira di cangiare e distruggere la forma del governo accompagnata da altri reati”; riuscì, tuttavia, ad evadere e per non ricadere nelle maglie della giustizia si diede alla macchia. Attorno a lui ben presto si riunirono altri ceffi, tutti caratterizzati da indole feroce, che si diedero a sequestri, ricatti, saccheggi ed altre violenze. in tali frangenti, alcuni personaggi che si dichiaravano emissari dei Borboni, si misero in contatto con lui e lo convinsero ad aderire alla loro causa, assegnandogli il compito di combattere in tutti i modi il potere legittimo, ritenuto però usurpatore. Si autoconferisce allora il grado di “colonnello” ed intensifica la sua opera di proselitismo, forte anche dell’alibi politico che gli veniva fornito. SommARIo: 1. Torremaggiore, patria del brigante Michele Caruso. 2. Michele Caruso, brigante ferocissimo. 3. Riflessioni conclusive. 1. torreMAggiore, PAtriA Del BrigAnte MiChele CAruSo Da torremaggiore non si passa, ma bisogna andarci di proposito per conoscerla. non è toccata, infatti, da grandi vie di comunicazione e perciò non è molto conosciuta. Merita però di essere visitata: è una ridente cittadina di poco più di quindicimila abitanti, distante circa quaranta chilometri dal capoluogo della Capitanata. l’impianto urbanistico è costituito da una via principale (il “rettifilo”) dalla quale si diramano ordinatamente, come nella lisca di pesce, le altre strade; a mo’ di satellite, sono stati realizzati, più di recente, complessi di edilizia residenziale. È situata a centosessantanove metri sul livello del mare; d’estate la temperatura supera facilmente quaranta gradi all’ombra, ma la terra è quanto mai fertile e produce grano, vino ed olio di qualità eccelse. Produce anche ingegni che hanno lasciato segni di rilevante spessore in svariate discipline, come luigi rossi (inventore del melodramma), raimondo di Sangro, vii Principe di San Severo e duca di torremaggiore1 (grande personaggio dal poliedrico ingegno che si interessò di astronomia, astrologia, arte della guerra e fece approfonditi studi sulla circolazione del sangue), e nicola fiani (capitano comandante nel secondo reggimento di cavalleria ed aiutante di campo del generale Manthoné, ministro della guerra della repubblica napoletana). 2. MiChele CAruSo, BrigAnte feroCiSSiMo torremaggiore, patria di artisti, scienziati, patrioti lib- XIII RDF 2_13_RDF 3_11.qxp 09/05/13 11.03 Pagina XIV N. 2/2013 i contadini, dal canto loro, forse anche in odio al padrone che non li trattava adeguatamente, si mostrarono poco propensi ad affrontare i briganti e pensarono bene di sotterrare armi e munizioni. Perciò, quando Caruso, che dalle vicine colline controllava il territorio e che della situazione era stato avvertito da qualcuno dei medesimi contadini, calò nella masseria, trovò i presenti del tutto indifesi. Dopo aver ordinato loro di disseppellire le armi li rinchiuse in uno stanzone e, successivamente, li uccise sgozzandoli uno ad uno con il rasoio. in tali termini è anche la deposizione del brigante giuseppe Conturelli, detto Coppola rossa, che afferma di non aver preso parte all’uccisione ma che era presente al nefasto episodio9. Dei contadini che si trovavano nella masseria uno solo, tale Arcangelo (o giovanni) lamedica, sordomuto, scampò all’eccidio. nascostosi nella ciminiera del camino venne poi scoperto, ma Caruso si limitò a dargli una rasoiata sotto il mento ordinandogli di riferire ai piemontesi ed al padrone che lui così si comportava nei confronti di chi non obbediva alle sue intimazioni. Arcangelo con il mento sporco di sangue fece, quindi, ritorno al paese e per il modo in cui era conciato venne in seguito soprannominato “bec rusci” (mento rosso); tale soprannome venne in seguito utilizzato per denominare la sua stirpe (il cognome la Medica o lamedica è molto diffuso nella zona ed il ricorso a soprannomi si rende talora necessario per distinguere i diversi ceppi). A chi gli chiedeva perché uccidesse tante persone che spesse volte non gli avevano fatto alcun male, ebbe l’ardire di rispondere, con aperto cinismo e spregio della vita umana: “Perché ero certo che la truppa, trovando un morto, si fermava, ed io intanto avvantaggiava su d’essa mezzora di cammino”. Per non parlare, poi, d’altri innumerevoli episodi di violenza di cui fu autore, quali stupri di giovinette, sequestri di persone per estorcere riscatti, imposizione di taglie ai proprietari terrieri per non subire la messa a fuoco dei raccolti, mutilazioni e ruberie varie, tra cui vogliamo ricordare l’estorsione di cinquemila ducati imposta a Don vincenzo la Medica e di quattromila ducati oltre ad armi e munizioni imposta a Don tommaso la Medica, entrambi di torremaggiore10. Come per gli altri suoi illustri concittadini, la (cattiva) fama di Michele Caruso non è circoscritta ai luoghi di origine, ma si diffonde anche all’estero: “Civiltà cattolica” rivista che si pubblica nello stato pontificio, riporta per esteso un bando del Prefetto di foggia, Domenico varo De ferrari, che, riferendosi espressamente al “vilissimo Michele Caruso”, desidera a suo modo tranquillizzare la popolazione, assicurando che i “ladroni e tutti i loro complici colti in flagrante saranno ignominiosamente fucilati, appena presi, dalla forza che li prende. tutti i sospettati arrestati e tradotti immediatamente a Per essere ammesso nella banda era necessario che l’aspirante desse prova di coraggio (e di crudeltà); talora veniva imposto di uccidere qualche persona ed il compito veniva assegnato senza suscitare rimorsi, perché il delitto veniva ammantato da giustificazioni religiose e legittimiste, come emerge dalla solenne promessa da cui era preceduto: “giuro che n.n. sarà da me ucciso, perché nemico della S. Chiesa e del nostro Augusto Sovrano francesco ii, viva Dio, viva Maria Santissima, viva il Papa Pio iX”. rispecchia questi aspetti il proclama di “chiamata alle armi” del seguente tenore, che gli viene attribuito: “tutti gli iscritti e quelli che si vorranno iscrivere alla compagnia comandata dal Colonnello Caruso, hanno l’obbligo di restaurare sul trono francesco ii e di combattere con tutti i mezzi i liberali, che sono nemici provati della Santa Chiesa e del Santo Padre Pio iX. Di amarsi tra loro e di garantire la vita del loro Colonnello, che iddio guardi per mille anni. Chiunque diserta tali file, dopo aver giurato sul Crocifisso, sarà fucilato. Chiunque muore in battaglia, la famiglia del defunto avrà un forte vitalizio da Sua Maestà francesco ii. Chiunque vorrà, in seguito, arruolarsi nell’esercito di S.M. occuperà il grado di ufficiale. Chiunque per sue speciali ragioni, non vorrà far parte dell’esercito di S.M. avrà un impiego ben remunerato. viva la SS. trinità, viva la Chiesa,viva Pio iX, viva francesco ii”3. il proclama è apocrifo, perché Caruso era illetterato anche se era capace di una stentata scrittura, e verosimilmente è stato scritto da altri su uno schema utilizzato generalmente dai capi banda4. È certo, però, che cercava di coprire i suoi numerosi delitti con una patina politica, per propiziarsi un’immunità che poteva derivargli da una poco probabile restaurazione. tutti gli scrittori che si sono occupati di Michele Caruso hanno posto in evidenza la sua ferocia5, giungendo ad addebitargli un numero, in verità esagerato, di circa millecinquecento vittime6. in effetti, poiché conosceva i luoghi e godeva dell’appoggio, per timore o connivenza, delle popolazioni, riuscì ad infliggere dure perdite all’esercito regio, seminando uno scompiglio nei piani di repressione7. Ma anche nei confronti della popolazione civile mostrò frequentemente un comportamento violento e crudele, come allorché sgozzò con il rasoio tredici persone della masseria Monachelle, vicino torremaggiore, solo perché non era stato da esse ben accolto. la vicenda, secondo la attenta ricostruzione di un cultore di memorie locali Severino Carlucci8, ebbe origine dalla richiesta di una somma di ducati rivolta dal Caruso al fattore della masseria Alfredo Pensato; questi non si sottomise all’intimazione, né richiese l’intervento delle forze antibrigantaggio, ma ritenne di fornire ai suoi lavoratori fucili e munizioni nella certezza che i briganti si sarebbero astenuti da ogni violenza. XIV RDF 2_13_RDF 3_11.qxp 09/05/13 11.03 Pagina XV LA RIVISTA DI FINANZA foggia per subire quelle misure rigorose che il sottoscritto ravviserà opportune. nessuno dimentichi che la pietà per gli assassini è delitto...”11. in virtù del bando, il nome di Caruso entra anche nel parlamento nazionale, perché il deputato ricciardi, colpito da alcune espressioni in esso contenute, sollevò vibrate rimostranze ritenendo il bando stesso “una mostruosa violazione dei principi dello Statuto”: gli strali sono diretti specialmente contro la disposizione riguardante i “sospetti”, espressione di incerta comprensione potendo riferirsi agli innocenti, agli affezionati al regime o anche alle vittime dei briganti; costoro tuttavia, secondo il bando, verrebbero sottoposti a misure rigorose, senza che sia indicato alcun criterio per la loro applicazione. il ricciardi, quindi, presentò apposita interrogazione al Ministro degli interni per sapere se approvasse quegli intendimenti, ricevendo per tutta risposta che “veramente le espressioni non sono troppo convenienti”. Comunque, un osservatore più sereno riconobbe in seguito che le “le proposte di quel Prefetto De ferrari”, particolarmente per le remunerazioni in danaro alle famiglie dei morti in conflitto o in onorificenze ai superstiti, ebbero notevole influenza sul successo della repressione del brigantaggio12. invero, la migliore organizzazione delle milizie nazionali, una più accurata politica di governo del territorio, la stanchezza e la ribellione dei ceti meno elevati che si vedevano anch’essi sottoposte alle violenze brigantesche, svolte dapprima solo nei confronti dei “galantuomini” proprietari terrieri, portarono i loro frutti. nel dicembre 1863 l’accerchiamento di Caruso si fece più stringente; la terra di Capitanata non si mostra più rifugio sicuro, anche perché verosimilmente la rilevante taglia di ventimila lire posta sulla testa del bandito faceva superare i timori della vendetta che potesse seguire alla delazione. questa volta, quelle popolazioni che in passato avevano offerto aiuto e protezione, collaborano con le forze dell’ordine, fornendo loro ogni notizia utile a mettere le mani sul pericoloso bandito, quali gli spostamenti e la consistenza numerica della sua banda. Caruso, quindi, decide di spostarsi nel beneventano, ma a Molinara, forse a seguito di una soffiata, venne fatto prigioniero dalla guardia nazionale e dopo breve processo venne condannato a morte mediante fucilazione alla schiena, eseguita nella città di Benevento, a Porta rufina, il 12 dicembre 1863. testimoni oculari hanno raccontato che Caruso venne condotto presso il luogo in cui doveva essere eseguita la condanna, accolto da numerosa folla che lo investì gridando: “A morte! A morte!”; il brigante sembrò guardare con disprezzo gli astanti che urlavano ed era sul punto di imprecare contro di loro, ma si udì solo un rumore come un conato di tosse, perché la scarica del plotone di esecuzione metteva fine ai suoi giorni; scompariva così, colui che, nella sua pur breve vita, aveva disseminato lutti e dolori in Capitanata e nelle terre limitrofe13. una fonte riporta il verbale del tribunale straordinario così compilato: “Convocato d’ordine del sig. generale Pallavicini comandante la zona militare di Benevento e Molise, per deliberare sul conto dei sottoindicati individui in forza della legge 15 agosto 1863”. “l’anno del Signore 1863, il giorno 12 del mese di dicembre, noi componenti il tribunale straordinario di guerra riuniti nella Sala sita nel Palazzo Cardinale ora residenza del comando della zona militare di Benevento e Molise, abbiamo intesi i nominati Caruso Michele del fu vincenzo, di anni 25, di professione cavallaro, e testa francesco di Matteo, di anni 17, di professione contadino, ambedue nativi di torremaggiore. Accusati di brigantaggio e di resistenza a mano armata contro la Pubblica forza emette la sentenza: visto l’art. 2 della legge per la repressione del brigantaggio suddetta. visto il par. 8 del Codice Penale Militare. il tribunale Straordinario Militare ad unanimità di voti ha deciso di applicare ai medesimi l’art. 2 della legge per la repressione del brigantaggio, e condannarli alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena. fatto a Benevento il dodici del mese di dicembre. Anno milleottocentosessantatre”. la veridicità di questo documento viene fortemente contestata sul rilievo che a Benevento non risiedeva un tribunale militare e perciò si rivela più vicina alla realtà l’opinione che il Caruso, dopo la cattura, venne portato a Caserta, dove risiedeva il tribunale militare, e qui giudicato; successivamente, venne condotto a Benevento, dove venne eseguita la pena capitale14. non sembra, comunque, condivisibile, in quanto non sorretta da alcun dato testuale, che il Caruso sia stato catturato nei pressi lucera, forse tradito dalla sua amante Marianna Corfù (Aligiera o Aligieri), detta “a pacchiarotta”15; questa, secondo un’opinione più attendibile, era l’amante di ninco nanco16. A mettere le guardie nazionali sulle tracce di Caruso è stata filomena Ciccaglione (o Piccaglione) da lui rapita quando era ancora giovanissima, dopo averle ucciso il padre. Al cap. Diaz del 39° reggimento di fanteria che la interrogava nelle carceri del Palazzo Cardinale, dichiarò che fu costretta a seguire il brigante nelle azioni delittuose, ma che non ebbe mai parte attiva nei crimini della banda; venne creduta e, scagionata da ogni imputazione, fu ben presto messa in libertà. rifiutò l’ospitalità che pure le venne offerta da molte famiglie di Benevento e si stabilì a riccia, presso una sua zia, con una pensione di 40 ducati annui ricevuta per il suo aiuto nella cattura del brigante. XV RDF 2_13_RDF 3_11.qxp 09/05/13 11.03 Pagina XVI N. 2/2013 anti e brigantesse nell’Ottocento, op. cit., 226). 5 gelli, Banditi, briganti e brigantesse nell’Ottocento., op. cit., 223, lo qualifica “primissimo per crudeltà, essendosi dimostrato con ogni circostanza efferato assassino, grassatore, ricattatore, incendiario, taglieggiatore insuperabile”; f. MolfeSe, Storia, op. cit., 159, lo definisce “uno dei più feroci e strenui capibanda che fra il 1862 e il 1863 infestarono Benevento, Molise e Capitanata”. va segnalato che, ipocritamente, il brigante ci teneva ad essere considerato animato da spirito cavalleresco, come emerge dall’episodio del sottoprefetto di San Severo Alessandro rigetti che, tornando alla sua residenza in compagnia solo del suo cameriere, pur essendo stato avvistato dal Caruso, non subì alcuna molestia; è lo stesso brigante che riferisce il fatto in un scritto autografo indirizzato al righetti: “ieri vi avevo aggiustato mentre passavate a cavallo, ma non vo’ ammazzato, perché voi fate l’obbligo vostro ed io il mio”. Di analoga generosità si era vantato il brigante Carmine Crocco nei riguardi di Pietro lacava, sottoprefetto di Palmi e poi di rossano, che, tornando in sede dopo una perlustrazione, aveva corso il pericolo di essere catturato o ammazzato e che, comunque, venne fatto passare indenne dal brigante (A. De Witt, Storia politico-militare del brigantaggio nelle Provincie meridionali dell’Italia, op. cit., 222 ). Sotto diverso punto di vista, questi comportamenti denotano il rispetto che gli uomini di prefettura destavano anche in loschi personaggi. 6 g. SerniA, Il brigantaggio in Puglia dal 1860 al 1865, op. cit., 123, che lo qualifica “il più sanguinario di tutti”. 7 vanno ricordati, tra gli altri, specie per lo scalpore che all’epoca sollevarono, l’annientamento, in data 4 novembre 1862, vicino alla masseria di Melanica presso Santa Croce di Magliano, della 13° compagnia del 36° reggimento di fanteria, composta dall’ex garibaldino dei mille capitano rota, dal luogotenente Perino, da due carabinieri e diciannove soldati; l’uccisione, in data 24 febbraio 1863 in contrada francavilla presso Benevento, di diciassette soldati del 39° reggimento di fanteria; l’eccidio, in data 17 marzo 1863 in contrada Petrulla presso lucera, della compagnia dell’8° reggimento di fanteria composta dal capitano richard e diciotto soldati (C. CeSAri, Il brigantaggio e l’opera dell’esercito italiano dal 1860 al 1870, roma, 1920, 114; f. MolfeSe, Storia, op. cit., 210). 8 S. CArluCCi, La storia di Michele Caruso, in Meridiano 16 dell’11 settembre 1998, n. 15. 9 g. SerniA, Il brigantaggio in Puglia dal 1860 al 1865, op. cit., 117. 10 C.A. MAfiA Di Boglio, Brigand, op. cit., 193 ss.; gli episodi, tratti dai rapporti del governatore di foggia sui tristi avvenimenti verificatisi nella sua provincia, sono menzionati anche da A. De BlASio, Il Brigante Michele Caruso, napoli, 1910, sotto la data del 9 luglio Ì861 ed a M. Monnier, Notizie storiche sul brigantaggio nelle provincie napoletane, firenze, 1862, 86. 11 Cronaca contemporanea (dall’8 al 29 agosto 1863), in Civiltà cattolica, Anno Xiv, vol. vii, 618. 12 v. A. De Witt, Storia politico-militare del brigantaggio nelle Provincie meridionali dell’Italia, op. cit., 248. 13 non sembra, tuttavia, che l’ostilità verso Caruso fosse stata così diffusa, perché viene segnalato che i contadini di Barra, un paese situato sulla strada di Benevento che porta ad Avellino dopo il bivio per Ceppaloni, lo ricordavano con gratitudine per gli aiuti che aveva dato alla povera gente, e quelli di Colle Sannita nutrivano sentimenti di rispetto perché mandava a pagare puntualmente i bottegai per i generi alimentari che prelevava (l. SAngiuolo, La comitiva del colonnello Caruso, in il brigantaggio nella provincia di Benevento 1860-1880, Benevento, 1975, ultima pagina, n. 54). 14 A. De BlASio, Il Brigante Michele Caruso, lubrano, napoli, 1910; l. SAngiuolo, Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento. 18601880, Benevento, 1975. 15 g. SerniA, Il brigantaggio in Puglia dal 1860 al 1865, op. cit., 123 ss. 16 J. gelli, Banditi, briganti e brigantesse nell’Ottocento, 225 ss. 17 A Caruso, secondo una tradizione orale, viene attribuita un’altra donna: tale filomena De Mauro, originaria di Casalvecchio di Puglia, che gli sopravvisse e fu attiva in Capitanata come capo di una sua banda; morì in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine nel gargano. Di antica bellezza, la vita di disagi e di privazioni che aveva dovuto sopportare, unitamente al ricordo degli innumerevoli spettacoli di crudeltà ed efferatezza di cui fu impotente testimone, la portò ad un’immatura morte; si spense il 31 maggio 1866, circondata da sentimenti di rispetto e di venerazione come per una martire17. 3. rifleSSioni ConCluSive Al brigante giustamente non è stata intitolata nessuna via, né alcuna istituzione pubblica o privata reca il suo nome. Ma, a differenza degli altri illustri concittadini le cui opere anche oggi sono sconosciute ai più, Caruso può vantarsi di aver ottenuto un alto grado di compenetrazione con il suo paese, perché, di fronte ai piccoli soprusi delle autorità locali o ai comportamenti al limite della legalità dei signoroni prepotenti, i “vecchi” del luogo, in segno di disprezzo o di filosofica rassegnazione, sono tuttora soliti pronunciare: “questo è il paese di Caruso!”. la pervasività del brigante si manifesta anche nelle invocazioni di rimedi contro le frequenti soverchierie e le incombenti disgrazie, fino ad auspicare, nella ravvisata inefficacia degli interventi disposti, misure energiche ed estreme; in queste circostanze, suona inequivoco il grido: “rasule! rasule!” (rasoio, rasoio), ricordando forse inconsciamente le azioni feroci e risolutive del loro disonorevole conterraneo. NoTE 1 g. CAPoCelAto, Un sole nel labirinto, storia e leggenda di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, ne il Saggiatore, 2000 ; e. CAtello, Giueppe Sanmartino (1720-1793 ), Milano, 2004; A. Coletti, Il principe di Sansevero, De Agostini, 1988; l. lAMBertini, Autobiografìa di Raimondo di Sangro. Il principe dei veli di pietra, Bastoni, 2005; C. MiCCinelli, Il Principe di Sansevero. Verità e riabilitazione, napoli, 1882; iD., Il tesoro del Principe di Sansevero. Luce nei sotterranei, genova, 1885; S. vAgni, Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, napoli, 2001. 2 J. gelli, Banditi, briganti e brigantesse nell’Ottocento, firenze, 1831; A. De Witt, Storia politico-militare del brigantaggio nelle Provincie meridionali dell’Italia, firenze, 1884; f. MolfeSe, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano, 1964 ; iD., Caruso Michele, in Dizionario biografico degli italiani, roma, 1978; C.A. MoffA Di Boglio, Brigand Life in Italy, london, 1865; g. SerniA, Il brigantaggio in Puglia dal 1860 al 1865, Milano, 1964. 3 il proclama può leggersi in A. De BlASio, Il brigante Michele Caruso, napoli, 1910. 4 viene riportalo che il brigante, rispondendo al tribunale militare presso il quale veniva processato, abbia affermato, con palese senso di pandistruzione: “Ah, Signurì, s’avesse saputo legge e scrive avria distrutto lo genere umano”; la risposta è in apparente contraddizione con gli scritti che risultano da lui stilati, ma vuole forse significare che il suo grado di cultura era di infimo grado (J. gelli, Banditi, brig- XVI