Letta spera, a giugno vedremo il risultato
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Letta spera, a giugno vedremo il risultato
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46) ART.1, COMMA 1, DCB ROMA VENERDÌ 3 MAGGIO 2013 ABOLIZIONE IMU B BILANCIO HOLLANDE D normale in peggio: il primo Di a anno del presidente nell’analisi d A PAGINA 3 di tre osservatori Possibile un punto di mediazione nella maggioranza tra Pd e Pdl. L’imposta A PAGINA 2 potrebbe cambiare pelle LAVORO I PRIMI GIORNI DEL GOVERNO ANNO XI • N°87 € 1,00 CANTIERI A SINISTRA Mentre il Pd va in sofferenza sulle “larghe intese”, la gauche ragiona sul suo rilancio e A PAGINA 2 porta in trionfo Rodotà IL TOUR TRA BERLINO E BRUXELLES La manutenzione che serve alla riforma Fornero EDITORIALE Fra Becchi e Brunetta TIZIANO TREU I l discorso programmatico del presidente Letta e le dichiarazioni del ministro Giovannini hanno fornito indicazioni equilibrate sulle future misure per il mercato del lavoro. Opportunamente non si è prospettata una nuova riforma della legislazione in materia. Non è possibile rimettere in discussione l’impianto legislativo a ogni cambio di governo, come si è fatto nel recente passato. Non solo sarebbe incomprensibile agli investitori stranieri, come ha rilevato il ministro del lavoro, ma sarebbe destabilizzante per tutti gli operatori italiani, dalle impre- se, specie piccole, ai singoli lavoratori. Serve stabilità delle regole, oltre che dell’economia. Le norme si possono correggere certo; ma sulla base di valutazioni fattuali non emozionali o ideologiche, e tenendo conto del contesto complessivo. Per questo si è previsto, non solo in Italia, un monitoraggio sistematico. La gravità della crisi, la più grave della storia repubblicana, pesa su tutto lo scenario del lavoro e dell’economia e quindi anche sull’andamento della riforma Fornero. Quelle larghe intese così difficili da digerire PAOLO NATALE erto, meglio che niente. Meglio un governo con a capo un esponente (giovane) del Partito democratico ed un esecutivo con qualche faccia diversa dal solito che andare subito ad elezioni, consegnando di nuovo il paese al solito Berlusconi. Ma l’elettorato del Pd non si abbandona a canti e danze di felicità per il modo in cui il suo partito ha condotto le fasi che hanno demarcato il periodo post-voto. Tutt’altro. Innanzitutto, come è quasi superfluo sottolineare, il comportamento ondivago tenuto in occasione dell’elezione del presidente della repubblica è criticato da oltre la metà degli elettori Pd. La scelta di tornare di nuovo a Giorgio Napolitano ha incontrato il favore di poco più del 50 per cento tra loro, mentre gli altri avrebbero preferito che si puntasse su Rodotà o su un altro nome ancora, visto che quello di Prodi (il preferito in assoluto) era diventato improponibile. Le stesse manifestazioni di protesta dei giorni successivi sono state abbastanza condivise, e giudicate espressione della maggioranza degli italiani da una quota vicina al 45 per cento dei democrat. SEGUE A PAGINA 5 LEADERSHIP PD Un partito acefalo per il monocolore Dc SALVATORE VASSALLO I l «monocolore Dc Letta-Alfano» (nei termini in cui ne scrivevo qualche giorno fa) potrebbe avere il grande merito di chiudere la transizione avviando finalmente il paese a un bipolarismo più solido e civile. Se, nei diciotto mesi indicati dal presidente del consiglio, riuscirà ad abolire il finanziamento pubblico dei partiti e completare la riforma delle province, superare il bicameralismo e dimezzare il numero dei parlamentari, introdurre l’elezione diretta del presidente della Repubblica seguendo il modello francese, cassare il Porcellum riportando i collegi uninominali E SEGUE A PAGINA 4 ELETTORATO DEM C STEFANO MENICHINI maggioritari, tutti i suoi critici per ora in sonno, dovranno prendere atto che l’intesa di oggi è davvero nobile, non serve per “inciuciare” in eterno ma per l’esatto contrario. Rimane tuttavia un interrogativo a cui dovrà cominciare a rispondere l’Assembla nazionale fissata per l’11 maggio. Il Pd nel frattempo che fa? Aspetta? Esprimerà un’opinione? O l’affiderà per intero al “secondo” di Bersani divenuto, grazie alle circostanze, primo ministro? Com’è noto, dietro le spalle di Alfano (e anche davanti a lui) c’è Berlusconi. SEGUE A PAGINA 5 Letta spera, a giugno vedremo il risultato «Soddisfatto del viaggio europeo», ma solo il vertice dei governi dirà se il rigore si allenterà. Merkel stupita dalle elezioni e dal flop di Monti RAFFAELLA CASCIOLI P arlare il linguaggio europeo presso le principali cancellerie del Vecchio Continente a cui far percepire la natura emergenziale del governo italiano e il rischio di una deriva antieuropeista. In attesa dei dati Eurostat che oggi dovrebbe sancire con i numeri l’uscita dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo dell’Italia che sarà ratificata dalla Commissione il 29 maggio, il presidente del consiglio Enrico Letta si è dichiarato soddisfatto. E non solo perché, al termine della tre giorni in Europa, ha compattato un fronte abbastanza vasto di stati per lanciare nel vertice di giugno misure concrete di contrasto alla disoccupazione, in particolare giovanile, e a supporto della crescita. Non tanto perché – incassato il sostegno di Francia, Belgio, Barroso e van Rompuy (dunque Commissione e Consiglio Ue) – Letta si accinge lunedì con una visita lampo a Madrid ad ottenere il sì della Spagna e, in prospettiva, l’ok quasi scontato dell’Inghilterra. Quanto piuttosto per essere riuscito a far percepire alla Germania della Merkel, tanto lontana dagli affari italiani da essere rimasta sconcertata dal risultato elettorale (in particolare di Monti), che la situazione italiana è particolarmente calda e che o si rilancia la crescita o sarà difficile governare la crisi. Parole che, una volta tanto, non sono apparse troppo distanti ai tedeschi ai quali il messaggio inviato è stato chiaro. L’Italia intende essere disciplinata e non chiedere sconti ma proprio perché si conforma alle regole comunitarie, queste devono appunto essere europee. Vale a dire che se Europa ha per sillogismo il rigore, tanto caro a Berlino, significa anche unione bancaria (fondamentale al riguardo la sponda con Draghi) su cui la Germania da sempre contraria ad una vigilanza sulle Sparkasse fa melina. Quell’unione bancaria che ieri il presidente della Bce Draghi ha definito essenziale per ridurre la frammentazione del credito. Europa vuol dire anche impegno per la disoccupazione con corsie preferenziali per quegli strumenti che possono rimettere in moto il continente. Al riguardo l’iniziativa di Letta potrebbe trovare una sponda ■ ■ ROBIN Castelgandolfo L’ex papa è tornato da Castelgandolfo in Vaticano. Dite ciò che volete, ma quando il papa in carica si sposterà dal Vaticano a Castelgandolfo la situazione si farà imbarazzante. forte nel Parlamento europeo visto che gli eurodeputati di fronte a una disoccupazione che colpisce un giovane ogni quattro intendono usare il Fondo sociale europeo, che sarà rinnovato per gli anni 20142020. In un simile quadro in cui tessere la tela è impresa complicata ma non impossibile, Letta in mattinata a Bruxelles ha incassato da Barroso giudizi lunsinghieri sulla credibilità e responsabilità del nuovo governo e nel pomeriggio ha ricevuto a palazzo Chigi il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria. A Roma per presentare il rapporto Ocse sull’Italia, peraltro datato di qualche mese perché scritto a inizio anno quando le stime di deficit (3,3%) e di crescita (-1,5%) non computavano i nuovi provvedimenti di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, Gurria ha parlato di luce alla fine del tunnel per l’Italia e dello sforzo enorme nel risanamento dei conti. Nell’annunciare una task force governo-Ocse per mettere a punto idee sulla disoccupazione giovanile in vista del consiglio Ue di fine giugno, Letta ha sostenuto che non c’è tempo da perdere e che la crisi la si prende dal lato del lavoro: «Siamo in una corsa contro il tempo: è chiaro a tutti, fa parte delle nostre regole di ingaggio della nostra missione. Di tempo se ne è perso parecchio in queste settimane e gli altri non stanno ad aspettare ma corrono». Un aiuto all’euroripresa è arrivato ieri dalla Bce che ha ridotto il costo del denaro allo 0,5%. @raffacascioli ra una delle gag più divertenti di Diego Bianchi, detto Zoro, ai tempi del governo Monti: l’antennista, o l’idraulico, che si presenta alla porta di casa a nome del governo dei “tecnici”. Alla faccia della rivincita della politica, la gag potrebbe diventare realtà in questa legislatura, visto che nel M5S si pensa, come candidato alla presidenza della commissione vigilanza Rai, appunto a un tecnico: per la precisione l’ex tecnico video di Saxa Rubra, ora deputato, Stefano Vignaroli. Nulla di male: un tecnico Rai non potrebbe fare peggio dei tanti giornalisti Rai che diventati parlamentari si sono occupati della propria azienda (anche se nessuno ha mai avuto il cattivo gusto di farli presidenti della Vigilanza). Ma insomma, siamo sempre lì, Cinquestelle è una continua improvvisazione, un happening permanente. Sui temi sui quali la politica – non sempre, non tutta – ha imparato a muoversi con cautela, i grillini si muovono provocando sconquassi. Col carabiniere Giangrande ancora tra la vita e la morte, l’ormai famigerato professor Becchi straparla di italiani che prendono il fucile (contro il ministro Saccomanni, poi). Torniamo al Bossi dei suoi momenti peggiori. E i gruppi parlamentari di Grillo (non Grillo in persona) devono precipitarsi a prendere le distanze da un personaggio che, per quanto proponga teorie demenziali, è comunque ammesso nell’inner circle del blog del fondatore. Ogni giorno ne capita una del genere. Le espulsioni dopo l’allestimento della gogna sul web. I numeri ridicoli della consultazioni sul Quirinale. Le dinamiche assurde dei dibattiti a porte chiuse, del rapporto con l’informazione, delle relazioni con gli altri partiti. Gli scontri in periferia, appena attutiti dal regime di segretezza. Quando ci si rammarica dell’alleanza che il Pd ha dovuto fare col Pdl, bisognerebbe tenere a mente qual era l’alternativa, peraltro assai ipotetica, proposta durante le convulse discussioni fra democratici. Davanti a ogni prova, in occasione di ogni contatto, quelli di M5S si sono rivelati magari ottime persone ma interlocutori impossibili. Governare l’Italia insieme a loro, a ogni verifica, rimane sempre ciò che è parso fin dall’inizio: una pazza idea. Così ora, per non dover convivere col professor Becchi, il Pd deve adattarsi a trovare qualcosa di buono nel professor Brunetta. Un destino difficile, ma anche una bella lezione. @smenichini Chiuso in redazione alle 20,30 venerdì 3 maggio 2013 2 < N E W S A N A L Y S I S > TASSA SULLA CASA Come sarà la moratoria dell’Imu nel 2013. In vista del cambio di pelle e di nome RAFFAELLA CASCIOLI P otrebbe non chiamarsi più Imu, magari avere una soglia di esenzione elevata ed essere strettamente legata ai servizi offerti dal territorio. La soluzione del complicato ruzzle Imu potrebbe essere l’uovo di Colombo. Che consentirebbe a Berlusconi di salvare la faccia, contribuirebbe a placare la smania di visibilità di Brunetta e contemporaneamente a blandire la Lega con la sua pervicace volontà di mantenere le imposte sul territorio, senza per questo scontentare il Pd. Se infatti l’Imu sembra impegnare la dialettica mediatica della maggioranza (e non) di questi giorni, il superamento dello scoglio dell’imposta sulla casa appare con il passare delle ore e dei giorni non impossibile. Anche se il tema è legato a filo doppio con quelle riforme, tra cui quella fiscale, sul quale il presidente del consiglio Enrico Letta ha battuto fin dal suo discorso di insediamento alla camera. Tuttavia, prima di sciogliere il nodo dell’Imu c’è la necessità di rivisitare il Def, il documento di economia e finanza, che attualmente è ancora in parlamento dove è slittato per consentire a camera e senato di votare la fiducia al nuovo governo. I deputati di maggioranza si accingono la prossima settimana a votare una risoluzione sul Def che impegni il governo (e quindi il nuovo ministro) a riscrivere il Documento e a ripresentarlo in parlamento entro la fine di maggio. Tuttavia, spiega Pier Paolo Baretta, vicepresidente della commissione speciale di Montecitorio che si scioglierà la prossima settimana con la costituzione delle commissioni permanenti, nella ri- soluzione sarà chiaro che saranno approvati i saldi attuali del Def. Un tema questo su cui è intervenuto ieri in parlamento lo stesso ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni che ha annunciato la presentazione di «una nota aggiuntiva al Def» perché nel documento siano recepiti «gli obiettivi strategici espressi dal presidente del consiglio». Modifiche che, si è affrettato ad aggiungere Saccomanni, saranno a saldi invariati. D’altra parte, se per l’Ocse le priorità italiane riguardano la crescita e l’occupazione tanto che «ridurre le tasse sul lavoro è più importante che ridurre l’Imu», per Baretta si può arrivare sull’Imu a un accordo con il Pdl: «Credo che il problema vero sarà la restituzione, non tanto il 2013 e il futuro. Le differenze tra le posizioni di Pd e Pdl ci sono, ma sono gestibili». Per Baretta, che ha lavorato lo scorso anno a stretto contatto proprio con Brunetta per la risoluzione del Def 2012, un punto di mediazione si può trovare: «Noi abbiamo proposto di arrivare a 500 euro di esenzione, che vuol dire togliere l’Imu a quasi il 90% delle prime case, il Pdl di toglierla tutta. In quel 10% di differenza ci sono anche i redditi alti, quindi penso che una valutazione di merito possa essere fatta e una soluzione trovata». Tanto più che l’Imu potrebbe cambiare nome e pelle. In ogni caso Letta ha chiarito che deciderà insieme alla maggioranza le coperture per i tagli di tasse preannunciati in parlamento: «Ho indicato la direzione di marcia. L’Italia ha una pressione fiscale assolutamente insostenibile, a tutto tondo. In prospettiva la pressione deve scendere, senza però un rilassamento fiscale». @raffacascioli IL MOVIMENTO DI GRILLO Becchi imbarazza i Cinquestelle che hanno un’altra priorità: la Vigilanza FRANCESCO MAESANO S e l’ideologo perde la testa la situazione è grave. Ma, e qui ancora una volta bisogna dare ragione a Flaiano, non è seria. Il professor Paolo Becchi, filosofo del diritto, l’uomo che sembrava stare al movimento di Grillo come Gianfranco Miglio alla Lega, ieri ha partorito queste parole a commento della nomina di Fabrizio Saccomanni al dicastero di via XX settembre: «Se qualcuno tra qualche mese prende i fucili non lamentiamoci, abbiamo messo un altro banchiere all’economia». La maggioranza è insorta e per tutto il giorno nel movimento è stata una corsa a distanziarsi dalle parole del filosofo. «Becchi non rappresenta il movimento 5 stelle» ha twittato laconico Beppe Grillo mentre Vito Crimi l’ha degradato sul campo: «È solo un simpatizzante». «Mi dispiace dal profondo del cuore – ha fatto sapere poi l’ormai ex ideologo – di aver danneggiato il M5S. Sono caduto nella trappola che io stesso avevo previsto. Tolgo il disturbo». Il momento è delicato e il movimento non intende farsi lambire dalle polemiche sulla sparatoria di Roma che, finora, è riuscito a gestire efficacemente. In ballo ora c’è la partita per la presidenza delle com- missioni che, tradizionalmente, spettano alla minoranza. Quella di vigilanza sulla Rai e quella di controllo sui servizi segreti. Lo spazio per arrivare al Copasir appare angusto e, più verosimilmente, i Cinquestelle punteranno dritti alla presidenza della commissione di vigilanza Rai. Dopo la capigruppo di ieri il calendario è segnato e tra i parlamentari c’è la consapevolezza che occorra battere sul tempo la concorrenza delle altre opposizioni. Ottenere il Copasir sembra davvero complicato e per quella poltrona ci sarebbe l’auto-candidatura dell’ambiziosa parlamentare riminese Giulia Sarti. Un desiderio confermato da fonti vicine ai parlamen- tari che sarebbe germogliato prima dell’hackeraggio subito dalla Sarti alla casella di posta elettronica. Una complicazione ulteriore in una partita già complessa. La commissione di vigilanza Rai, invece, rappresenta un risultato afferrabile. Il controllo esercitato dalla politica e la lottizzazione interna fanno dell’azienda, dal punto di vista dei grillini, la preda perfetta per la politica dell’apriscatole. In corsa per la vigilanza c’è Stefano Vignaroli, 36 anni, tecnico nell’azienda di viale Mazzini. «Vigna! La felicità dei dipendenti Rai!» gli aveva urlato abbracciandolo il giornalista del Tg1 Leonardo Metalli, quando i grillini neo eletti si era- no ritrovati in un bar del centro di Roma per sciogliere in un cocktail la felicità per il risultato elettorale di febbraio. Vignaroli a Europa conferma: «Ho dato la mia disponibilità. Sono tutt’ora un dipendente Rai e sono affezionato all’azienda». E se dovesse diventare presidente della commissione di vigilanza? «Promuoverei un cambio di governance, la Rai non può restare per sempre sotto il controllo dei partiti». E sul canale unico del servizio pubblico, soluzione paventata dai Cinquestelle a marzo, nei giorni per duri e puri del post voto? «Non è la priorità» chiarisce Vignaroli. @unodelosBuendia DUE PONTEFICI IN VATICANO Vicini di casa Dopo due mesi di ritiro a Castelgandolfo Benedetto XVI è tornato in Vaticano. Ad accoglierlo nel convento Mater Ecclesiae, che da oggi lo ospiterà, papa Francesco. Da oggi vivranno a pochi metri di distanza. Un evento inedito nella vita della Chiesa. I due pontefici si erano già incontrati il 23 marzo scorso con la visita di papa Bergoglio al suo predecessore nella villa pontificia e più volte si sono sentiti telefonicamente. Ora il papa emerito vivrà nel piccolo monastero voluto oltre vent’anni fa da Giovanni Paolo II nel cuore della città del Vaticano, appositamente ristrutturato. Con lui tanti libri, il pianoforte, monsignor Gaenswein e le quattro memores Domini. GAUCHE Il Pd soffre sulle “larghe intese”. La sinistra, intanto, porta in trionfo Rodotà FABRIZIA BAGOZZI S ul Pd reo di aver voluto e di guidare un governo con quel Berlusconi con cui molti elettori dem pensavano di regolare i conti una volta per tutte, se non piovono pietre, piovono indubitabilmente fischi e spintoni. È accaduto in occasione della celebrazione del primo maggio a Torino, città sempre sensibile agli umori della sinistra e della sua base. Dove gruppi vicini ai centri sociali hanno provato a spintonare fuori dal corteo i rappresentanti Pd, dove il sindaco dem Piero Fassino è stato (pur se moderatamente) fischiato e, soprattutto, dove parte dello storico servizio d’ordine del partito ha rifiutato di garantire la sicurezza ai parlamentari, in polemica con il governo Letta, ritenuto la sanzione ufficiale di un governo di large intese. Un contesto in cui è riuscito a infilarsi – nell’ala parautonoma dei duri e puri di Infoaut – uno striscione che inneggia a Preiti. La base Pd ribolle, ciò che viene percepito come un “inciucio” fatica ad essere digerito. Ma per quanto il dissenso sia rientrato e la fiducia al governo Letta votata da tutti, tranne tre (Civati, Mattiello e Ricchiuti), anche fra i parlamentari e comunque nel partito – a ricordarlo è proprio Civati, invitato alla convention organizzata ieri da una delle riviste di riferimento della sinistra-sinistra, Left, per ragionare della ricostruzione della gauche italiana, guest star Stefano Rodotà – «esiste un disagio diffuso». «Il Pd dovrà spiegare che cosa farà in questo governo», sottolinea Civati, che ironizza: «Al momento rappresento lo 0, 3% del Pd», ma, appunto, il disagio c’è, la battaglia congressuale si apre nei fatti la prossima settimana e lui non ha alcuna intenzione di levare le tende, ma di giocare la partita dall’interno. Lasciando aperta l’interlocuzione con la sinistra che prova a riorganizzarsi e di cui il convegno di Left al teatro Eliseo è uno degli appuntamenti. Idem dicasi per Cofferati che, dice a Europa, dal Pd non intende certo andar via, ma intende aprire la discussione: «Lo facevo quando ero d’accordo, a maggior ragione ora». Spiega del resto l’ex segretario Cgil, oggi europarlamentare: «Non temo una scissione, un atto traumatico, ma un abbandono silenzioso dei nostri elettori». Il tutto nello scenario dell’Eliseo, che aveva già ospitato la nascita di Rivoluzione Civile guidata da Ingroia. Il quale era presente anche ieri, dopo aver pronunciato il De Profundis a Rc e lanciato la nuova Azione civile, in un tentativo di recupero della mission originale vocata ai movimenti, prima che i partiti (Prc, Verdi, Pdci, Di Pietro) s’impadronissero di Rc. Ma quella dell’Eliseo di Left è tutt’altra cosa (in collegamento anche Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e giustizia), e tutt’altra platea (niente truppe Prc, per esempio). Rodotà viene intervistato dal direttore Maurizio Torrealta e portato in trionfo come uomo della società civile e di sinistra e come simbolo di ciò che il Pd non avrebbe capito, del suo “tradimento” dei desiderata di molta della sua base avendo inve- ce scelto il «monarca» (così Marco Revelli) Napolitano. Ed è certo il Pd il convitato di pietra e l’interlocutore con il suo «implodere» (copyright Rodotà). Tant’è che Civati, che porta i saluti di Puppato assente, viene applaudito di più e con più trasporto di Vito Crimi, capogruppo M5S al senato. Quella di Left è una platea di sinistra critica con il Pd ma non paragrillina. Invitato anche Gennaro Migliore, che lancia la manifestazione di Sel (11 maggio, piazza Santi Apostoli) e che parla di dialogo con i grillini. Sulle questioni concrete. Perché ora, sul piano politico, fra il partito e i Cinque Stelle è competition. Vendola vuole riprendersi i voti, e non solo i suoi, che sono finiti da quella parte. A sinistra si sono aperte le danze, tenendo gli occhi bene aperti sul congresso democratico. @gozzip011 primo piano < N E W S VALENTINA LONGO S i avvicina il primo anniversario da presidente della repubblica per il socialista François Hollande ma i motivi per festeggiare non sono molti, vista l’onda lunga di scarsa popolarità che il presidente francese vive. Abbiamo chiesto a tre osservatori, il giornalista jean-Marie Colombani, l’economista Henry Sterdoniyak e la sociologa Anne Muxel, di rispondere a tre domande per comprendere questa débâcle. Hollande, un anno da presidente Domanda numero 1.: Hollande si è presentato come presidente “normale”, questa oggi è un’anomalia o una realtà? 2. La crescita e la riduzione della disoccupazione sono due degli impegni che François Hollandeha preso: deve ancora puntare su questo per rilanciare la sua presideza? 3. Hollande ha deluso perché è stato un po’ timoroso e un po’ audace scontentando tutti? Ne emerge un quadro di difficoltà di un presidente che ha mancato di coraggio, che superata la fase di scarto dal precedente Sarkozy – su cui si è costruito la fortuna nelle urne – e chiusa la campagna elettorale, non ha saputo capitalizzare i suoi numeri. Il ritratto di un uomo stretto tra timori e debolezze, un “fragile”, un presidente impopolare (ormai i sondaggi lo attestano intorno al 26 per cento, secondo Ipsos) cui serve ancora uno slancio. Insomma, concordano i tre, dovrebbe accelerare nell’azione politica, fare scelte decise in materia fiscale e che mostrino un presidente più vicino alla gente e più deciso. Perché l’etichetta di “normalità” che lo ha portato all’Eliseo non è bastata a colmare i vuoti che ora più che mai c’è necessità di riempire. La fiducia può conquistarsela con i numeri, perseguendo nella ricerca di soluzioni economiche efficace, ma senza cedere gli spazi di audacia ad altri, o l’immagine di “uomo debole” potrebbe non scollarsela più. @valelongo Di normale in peggio JEAN-MARIE COLOMBANI HENRI STERDYNIAK ANNE MUXEL G E S iornalista francese e saggista, già direttore di Le monde, è il co-fondatore e direttore editoriale di Slate.fr. 1. «Il termine “normale” non corrisponde al concetto di normalità che hanno i francesi e lo stesso François Hollande l’aveva scelto in opposizione a Sarkozy: voleva significare “io non sono diverso dagli altri, io sono come tutti”. Però i francesi non si sono lasciati convincere da questo messaggio, che si è rivelato solo un’idea di campagna elettorale. 2 La crescita economica è l’obiettivo principale di Hollande, ma l’errore che ha fatto è stato darsi per questo biettivo una scadenza troppo ravvicinata. Se ci riuscirà, metterà fine a molte delle tante critiche che gli vengono mosse, ma in realtà tutto dipende dall’Europa più che da come agirà lui stesso, e l’Europa con i suoi meccanismi è lenta nella sua azione. Forse un’accelerazione in questo senso potrebbe darla la nomina di Enrico Letta a presidente del consiglio in Italia: per il presidente Hollande significa far ripartire un dialogo dopo lo stop di questi mesi, determinato prima dalla fine dell’alleanza con Monti decaduto e poi dalla “destabilizzazione” con Angela Merkel. Per questo ora ha una ragione in più per pensare al rilancio della Francia e dell’Europa. 3. Questo è più un problema di forma. Hollande è un uomo che fa compromessi, ma si trova in uno stato e con una Costituzione che invece impongono al presidente di agire da solo. Questo è indice di un’idea di debolezza, mentre noi siamo qui e aspettiamo che decida. In effetti da novembre ad oggi qualche decisione l’ha presa: sul patto di competitività, sul mercato del lavoro, sulla riforma fiscale. Ma finché non agirà in maniera decisa sul fisco, abbassando le tasse che i francesi non sopportano più resterà molto impopolare. (v.lo) 35 A N A L Y S I S > conomista esperto di politiche europee e della globalizzazione dell’Ofce di Sciences Po a Parigi. 1 François Hollande non ha incarnato la strategia forte e risoluta che i francesi si aspettavano, non si è imposto come un super-presidente ma non è neanche riuscito a realizzare un profondo rinnovamento democratico nel momento in cui cresceva la domanda di trasparenza e di democrazia. Di fatto, non ha aperto alla “democrazia partecipativa” ed è rimasto in bilico ma sempre in negativo, senza mostrare né una forte volontà, né un’apertura a quella che doveva essere una “ri-democratizzazione” del sistema. Insomma, il presidente cosiddetto normal non ha preso grandi decisioni e non è riuscito a mettere un freno alla politica dei tecnocrati nel momento in cui tutti i cittadini chiedevano segnali di cambiamento. 2. Il problema è che il presidente doveva comunque accettare le imposizioni dell’Europa, che certamente limitano l’autonomia mentre il paese ha bisogno di crescita: Hollande non è riuscito a trovare una via per uscire da questi binari, né a stimolare l’economia, da un punto di vista liberale o parlando di rilancio, e così adesso il paese è ridotto a sperare in una ripresa che non ci sarà. Sarà lo choc di una politica troppo morbida. 3. Arrivato dopo la disfatta di Sarkozy, definito un uomo ambiguo, a metà tra liberalismo e protezionismo, François Hollande ha da un lato seguito lo stesso schema, ma senza applicare lo stesso rigore; dall’altro, ha deluso tutti coloro che l’avevano sostenuto, dagli operai alle classi poplari ai disoccupati, offrendo di fatto alla destra la possibilità di criticarlo. Il rischio è che, continuando con politiche oscillanti, sta difatto lasciando a Arnaud Montebourg lo spazio dell’audacia. (v.lo.) ociologa della politica, esperta di comportamenti, è direttrice di ricerca al Cevipof a Parigi. 1. Ad oggi Hollande è un “ex-normal”. Un anno fai, all’epoca della campagna elettorale, doveva smarcarsi dal suo predecessore Sarkozy, che nell’immaginario collettivo era certamente meno normal. Questo aggettivo alla fine si è imposto anche se intanto il presidente soffre di una mancanza di sostegno nell’opinone pubblica: di fatto, solo nel momento della campagna si è così caratterizzato come un vero elemento di differenziazione. 2. Sì, Hollande deve ripartire dagli obiettivi economici che si è dato. Credo che siano queste le attese dei francesi, stretti tra un’importante perdita del potere d’acquisto e l’inerzia del governo e dello stesso presidente. Il problema sta nel gap che c’è tra le politiche che aveva annunciato e quella che è la realtà della sua politica: c’è un grande divario. 3. Credo che Hollande sia oggi vittima di qualcosa che accade anche in molti altri paesi: c’è una distanza molto ampia tra i partiti tradizionali, messi oggi in situazioni difficili, e le risposte che le società danno. Crescono le proteste e populismi di diversa natura si fanno largo ovunque e penso, in primis, alla popolarità che sta avendo da noi Marine Le Pen (oggi la popolarità di Hollande è ferma al 26 per cento, secondo i dati Ipsos, ndr). Se si votasse ora, Sarkozy sarebbe in testa, Le Pen sarebbe subito dietro di lui e solo molto più giù si posizionerebbe Hollande. Quindi posso dire che sì, c’è un contesto difficile ma c’è anche una debolezza duplice: ai francesi disillusi si presenta un personaggio percepito come fragile al fianco di un debole personaggio politico. (v.lo.) venerdì mercoledì 3 maggio settembre 2012 2013 ELISEO L’Europa unica strada per l’uomo zen FRANÇOIS LAFOND L’ incontro Hollande-Letta all’Eliseo era molto di più di una mossa, cortese e intelligente da parte del neo primo ministro italiano nei confronti del presidente della repubblica francese, che sta per festeggiare il suo primo anno di pieno potere. Fresco della doppia fiducia parlamentare e alla ricerca di un immediato riconoscimento da parte dei principali colleghi europei, Letta trovava così a Parigi il suo migliore alleato politico estero possibile, per future iniziative nazionali e europee. Ma sarebbe un modello da seguire? No, ovviamente. Una fonte di ispirazione, per fare diversamente e meglio? Di sicuro. In effetti Hollande si trova oggi in una situazione stranamente difficile malgrado il suo Ps controlli tutte le istituzioni nazionali e regionali. Difficile, non solo perché eletto con il 51,6% dei voti, la sua popolarità è calata al 26% a un anno dal voto amministrativo ed europeo che sarà di sicuro il tagliando per il suo primo ministro, Jean-Marc Ayrault. Non perché la disoccupazione (nuovo record a marzo 2013: 12%), il deficit pubblico (4,8% nel 2012 e al 3,7% nel 2013), l’aumento del debito pubblico (90.2 % nel 2013) e l’assenza di crescita (0,1% per il 2013, dopo lo 0% nel 2012) pesano di fronte alle promesse elettorali, del cambiamento, «maintenant», adesso; in particolare quella di rilanciare la crescita dell’economia per offrire nuovi posti di lavoro. Con il Ps in campagna elettorale, spinto dal fronte della sinistra e degli ecologisti, c’era il dolce sogno di aggirare i vincoli Ue con la rinegoziazione del patto di stabilità, di aggiungere a questa un patto di crescita consistente, con una parte della mutualizzazione dei debiti (eurobond), di riprovare anche una forte politica industriale e ovviamente armonizzare la fiscalità nella zona euro il più presto possibile. Per essere capito bene Hollande aveva guadagnato il cuore del suo elettorato di sinistra designando il vero nemico: «La finanza internazionale». Mah! Non sarebbe elegante poi insistere sulle vicende di Jérôme Cahuzac o del tesoriere della sua campagna Jean-Jacques Augier. L’impatto esiste e il buzz è certamente negativo. E non sarebbe promettente per il nuovo governo italiano guardare da vicino i risultati concreti ottenuti della Francia di fronte ad una Cancelliera imperiale, già pronta per il terzo mandato. Aldilà di questa situazione, dell’assenza di risultati economici concreti, di una pratica fin troppo normale del potere che non impatta per niente sui cittadini, di un’assenza totale di narrazione politica del percorso seguito, Hollande rimane zen. Non sembra preoccupato dall’impopolarità, dai dissensi espressi nel governo tra ministri, dalle critiche aperte del presidente dell’Assemblea Claude Bartolone, che auspica un cambiamento di politica economica, o delle manifestazioni (della destra) contro il matrimonio per tutti. In realtà, il presidente ha un’idea chiara del suo ruolo, e un uso, machiavellico, del suo potere. Come dimostra la decisione di intervenire in Mali, quando i tuareg, terroristi di Aqmi ed altri banditi volevano prendere la Bamako. Con una preparazione militare già iniziata dal suo predecessore, ha saputo prendere la decisione di entrare in guerra ancora approvata da una larga maggioranza parlamentare e popolare. L’ambiguità di Hollande risiede nella sua difficoltà ad assumere totalmente il modello di società che vuole per la Francia. Non ha il coraggio di spiegare che la sua missione politica è modernizzare la società in un’Europa fortemente integrata. Di fare il suo coming out «socialdemocratico» nel partito, vista l’ambiguità mantenuta per tanti anni. Conciliare il funzionamento ottimizzato del mercato con una vera giustizia sociale è difficilissimo oggi. Ma Hollande sa che quella europea è la nostra unica strada possibile. Una parte di demagogia, di populismo per conquistare il potere ci voleva. Ma di fronte alla realtà, il coraggio dell’uomo di stato è spiegare in maniera alta il cammino da percorrere. Anche a rischio di perdere le prossime elezioni. Hollande lo sa. E a Letta gliel’ha detto al primo incontro. venerdì 3 maggio 2013 lettere e commenti 4 FEDERICO ORLANDO RISPONDE Sveltire la politica, non ucciderla con la Rete Cara Europa, in un’intervista del 1 maggio, il ministro per le riforme Gaetano Quagliariello, ex saggio di Napolitano ma sempre berlusconiano di ferro (è quello dell’invettiva contro Napolitano sul caso Englaro, quando il presidente fece sapere che non avrebbe firmato l’eventuale decreto del governo per annullare la sentenza della Cassazione che dava via libera ai medici a “staccare la spina”) ha detto una cosa saggia, sul giornale più letto da queste parti: «Non possiamo più immaginare che al tempo di tweetter servano sette passaggi parlamentari per approvare una legge». D’accordo. Ma Quagliariello non dice se, oltre a diventare più svelto, il nuovo parlamento sarà anche più garante della libertà dei nostri eletti. Mi riferisco al caso Mastrangeli. Alfredo Cocco, Frosinone C aro Cocco, per comodità del lettore, visto che in tempo di tweetter le notizie arrivano, sono incalzate da altre, e subito scompaiono, sarà utile ricordare che il caso di cui lei parla è quello del senatore a 5 stelle Marino Mastrangeli, eletto a febbraio nella vostra circoscrizione e cacciato il 30 aprile da Grillo perché reo d’aver parlato con alcune tv su questioni del paese. Cosa che già aveva fatto lo stesso capo dei senatori grillini, Crimi, intervistato nel supersalotto di Bruno Vespa, Porta a Porta, senza espulsioni (ci si è limitati a metterlo sotto sorveglianza di una kapò, che si esibisce con lui in tv e lo corregge ad libitum). Il processo a Mastrangeli, definito da quest’ultimo degno della Korea del Nord, è avvenuto in questo modo: imputato per il “vizio delle comparsate”, è stato proposto da metà del gruppo per l’espulsione e sottoposto a giudizio telematico: davanti ai sansepolcristi o antemarcia, come Mussolini aveva battezzato i fedelissimi della prima ora, riuniti in piazza San Sepolcro di Milano per fondare il primo fascio di combattimento. Costoro, per dare una parvenza di democraticità alla decisione del dittatore genovese, compongono una modestissima falange di 48 mila aventi diritto. E come già per la scelta del candidato al Quirinale, la falange si è liquefatta: hanno votato in 19 mila. Dei quali, 17 mila ha detto sì al dittatore, e 2000 hanno detto no. La regola della “maggioranza” è salva e Mastrangeli è stato espulso. Siamo al bis dell’operazione Rodotà, votato per il Quirinale da 5000 sansepolcristi. La regola della scelta popolare è salva e i grillini sono contenti. Ma lei ha ragione nel chiedersi se Quagliariello, volendo adeguare le decisioni del parlamento alla velocità della Rete, preveda per gli eletti del popolo quella tutela della libertà di pensare e di parlare che la Costituzione garantisce a tutti (Art.21, a cui l’espulso si è appellato) . La sera del 1 maggio, Mario Morcellini, direttore del dipartimento di scienza della comunicazione della Sapienza, ha spiegato in un’intervista come un mezzo di moltiplicazione della voce e della libertà di miliardi di persone, possa diventare strumento di persecuzione e d’imbavagliamento (oltreché di plagio collettivo), se a impadronirsene è un pugno di avventurieri. Mi pare che l’ipotesi si stia realizzando. Sarà bene farlo sapere a quanti s’illudono che, votando per Grillo e per le sue non-proposte, si riesca almeno a guadagnare il pane. • • • D E M O C R AT I C I • • • Renzi e la piattaforma alternativa del centrosinistra FRANCO D’ALFONSO Q uesta idea dei “due partiti” del centrosinistra è la versione farsesca delle divisioni “tragiche” tra socialisti e comunisti del Ventesimo secolo, non ha alcuna giustificazione che non sia l’istinto di sopravvivenza personale dei gruppi dirigenti di partiti, gruppi spesso esistenti solo sulla carta, e va contrastata con ogni mezzo. Resto convinto di quanto detto più volte: il “partito” del centrosinistra esiste, ha un sistema di valori centrato sul bene comune nel quale si riconosce, è per questo diverso da quello di centrodestra che è basato sull’individualismo ideologico. Questo “partito” ha una sua base militante, un’area di simpatizzanti ed una di elettori potenziali che si manifesta ogni volta che viene evocata correttamente, attraverso primarie che vedono un confronto politico e di idee attraverso le persone e non tra gruppi e persone senza molte idee. Un partito che sa essere vincente quando riesce a presentarsi in positivo, suscitando speranze ed evocando scenari futuri, non mettendosi in scia alle paure che i demagoghi ed i populisti alla Grillo o alla Berlusconi sono strutturalmente meglio attrezzati a suscitare e sfruttare. Mi pare ormai evidente che questo “partito” non sia in grado di darsi un suo gruppo dirigente efficace, soprattutto per la pretesa di una parte di esso, quello del Pd, di “controllare” persino le novità nate al proprio interno, come nel caso di Renzi. Mi considero personalmente responsabile, in misura da stabilire, di questa incapacità perché l’ipotesi “arancione” di trasferire a livello di gruppo dirigente l’esperienza della campagna elettorale di Milano del 2011 è sostanzialmente fallito. Anche la pur positiva esperienza delle liste civiche ha raggiunto il suo limite oggettivo e non è stata in grado di rappresentare una alternativa completa ai partiti, pur riuscendo ad essere – ed è a mio avviso già moltissimo – il catalizzatore delle energie nuove che vogliono impegnarsi in politica e che trovano da molti, troppi anni ostruiti i canali di accesso che una volta erano garantiti dai partiti della sinistra. In sostanza non siamo riusciti ad uscire, nemmeno nel nostro campo, dalla crisi del modello che ha dato vita alla nostra repubblica. La legittimazione popolare reale, come i sindaci condivisione storica, politica e culturale che eletti che hanno dimostrato anche di saper godiede vita alla nostra Costituzione stava nei vernare, hanno un ruolo fondamentale di stipartiti e le istituzioni repubblicane nacquero molo e testimonianza in tal senso. Pisapia, Doper loro impulso: l’innovazione e la parteciparia, Zedda come Fassino e Merola e gli altri prizione, fonte della buona politica, veniva dai mi cittadini che sono stati capaci di riunire e ripartiti e passava nelle istituzioni, dove trovava lanciare la sinistra di governo nelle le maggiori resistenze. Oggi la situaproprie comunità locali devono essere zione è rovesciata: è dalle istituzioni i primi a mettere in secondo piano le ad elezione diretta, dove i cittadini Il partito proprie appartenenze partitiche e scelgono rappresentanti e politiche riesce ad rendersi garanti di un processo che in alternative, che viene la spinta al cambiamento, mentre i partiti sono essere vincente realtà si è già avviato, anche se non è riconosciuto come tale. almeno tre passi indietro . quando Matteo Renzi ha lanciato la sfida La via per giungere al “partito per la leadership della sinistra e, se della sinistra europea”, che esprima sa presentarsi non cadrà nell’errore di riportare i una sua visione progettuale su un mosuoi passi all’interno dell’antico condello istituzionale europeo e naziona- in positivo vento, ha un oggettivo vantaggio su le, che detti una linea di politica ecochiunque altro si farà avanti . Chi conomica precisa e documentata e non si me chi scrive non è convinto fino in fondo del balocchi con specificità italiane inesistenti, che progetto cercherà di contribuire alla nascita di sia in grado di evocare una speranza condivisa una piattaforma alternativa, più vicina ai valori da tutti i popoli europei e non solo da alcuni, della sinistra europea di quanto non creda sia passa per una operazione di legittimazione di attualmente quella del sindaco di Firenze, ma leadership dal basso, attraverso confronti e non potrà eludere il problema evocando colleconsultazioni che non siano orientate da gruppi gialità o sedi competenti di discussione. dirigenti o presunti tali. I leader che hanno una • • • L AV O R O • • • La manutenzione che serve alla riforma Fornero SEGUE DALLA PRIMA TIZIANO TREU M isure simili prese in altri paesi (Germania) hanno funzionato meglio perché adottate in momenti di stabilità e di crescita. È quindi ragionevole tenerne conto e intervenire sulle norme che più soffrono del perdurare della crisi. Questo è il senso delle indicazioni del presidente Letta e del ministro del lavoro, che propongono di ridurre le restrizioni nell’uso del contratto a termine, almeno per il tempo dell’emergenza economica. Il contratto a termine, se usato correttamente, è una flessibilità buona. Renderlo più accessibile può servire a dare fiato, anche se temporaneo, all’occupazione specie giovanile. Il problema dei INFORMAZIONI E ANALISI www.europaquotidiano.it ISSN 1722-2052 Registrazione Tribunale di Roma 664/2002 del 28/11/02 za e tempi rapidi. Questo è contratti a termine non è un test decisivo per vedere tanto la quantità del loro se le forze politiche che soutilizzo, siamo in linea con le stengono il governo sono vemedie europee, ma la caparamente d’accordo e credono cità del sistema di stabilizalla priorità del lazarli. Anche in Gervoro. mania la percenSe si fanno polituale di assunzioni Investire nel tiche efficaci di soa termine è alta, stegno al lavoro si più che in Italia, ma lavoro dei può giustificare ani tempi di stabilizche una maggiore zazione sono molto giovani è più più brevi che da utile che togliere flessibilità in entrata. Le modalità per noi. l’Imu sulla migliorarla si posPer accorciare sono discutere: ed è questi tempi servo- prima casa bene che il governo no misure specifiricerchi subito un che: una economia intesa con le parti in ripresa che crei sociali come ha già annunoccupazione, politiche attive ciato il ministro del lavoro. che indirizzino le persone in Altre misure utili per cerca di lavoro e infine inl’emergenza lavoro sono stacentivi per favorire assunte annunciate dal presidente zioni stabili. Letta: introduzione di ulteQueste sono le priorità. E riori semplificazioni e facilisono tutte presenti nelle intazioni del contratto di aptenzioni del governo. Ora c’è prendistato, che è uno dei da darvi seguito con coeren- punti meno controversi della riforma Fornero e comune alle migliori politiche europee; sostenere il lavoro femminile, che è una risorsa preziosa non solo per le donne ma per il futuro dell’economia, con incentivi alle donne con figli, con migliori servizi, con congedi e orari più flessibili per favorire la condivisione degli oneri di cura; prevedere una maggiore flessibilità nell’età di pensionamento con part time misto a pensione a favore della assunzione di giovani e con la possibilità di optare per il sistema contributivo. Certo alcune di queste misure costano. Non tutte. Ma la destinazione delle risorse deve essere coerente con le priorità dichiarate. Investire nel lavoro dei giovani è più utile al paese che togliere l’Imu alla prima casa dei ricchi. Direttore responsabile Stefano Menichini Condirettore Federico Orlando Vicedirettori Giovanni Cocconi Mario Lavia Filippo Sensi EDIZIONI DLM EUROPA Srl Distribuzione Prestampa Abbonamenti con socio unico Sede legale via di Ripetta, 142 00186 – Roma SEDI 2003 SRL Via D.A.Azuni,9 – Roma Direzione tel. 06-50917341 Telefono e fax : 06-30363998 333-4222055 COMPUTIME Srl – via Caserta, 1 – Roma Segreteria di redazione Consiglieri Annuale Italia 180,00 euro Sostenitore 1000,00 euro Simpatizzante 500,00 euro Semestrale Italia 100,00 euro Trimestrale Italia 55,00 euro Estero (Europa) posta aerea 433,00 euro ● Versamento in c/c postale n. 39783097 ● Bonifico bancario: Allianz Bank Financial Advisor Spa Coordinate Bancarie Internazionali (IBAN) ITO5W0358903200301570239605 [email protected] Redazione e Amministrazione via di Ripetta, 142 – 00186 Roma Tel 06 684331 – Fax 06 6843341/40 Consiglio di amministrazione Presidente V.Presidente Amm. delegato Mario Cavallaro Lorenzo Ciorba Francesco Sanna Domenico Tudini Enzo Bianco Arnaldo Sciarelli Andrea Piana Pubblicità: A. 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Ma formance sia pre che post-elettorale, il si spera che il agnello sacrificale alle prossime elezioni. Infatti, solo un terzo degli elettori Pd nome maggiormente indicato era ovviasuo governo pensa che il suo partito avrà qualche mente quello di Matteo Renzi, anche da vantaggio, in futuro, dell’azione del gocoloro che non avevano particolare simduri poco, il verno Letta. Molti hanno al contrario patia nei suoi confronti. Ma era (ed è) meno possibile paura che si possa andare incontro ad giudicato comunque un leader capace di una probabile sconfitta, come è accadufar dimenticare i tristi accadimenti e di to allo stesso governo Monti. Il famoso provocare una decisa svolta nell’immagiindicatore “winner”, la profezia del futune compromessa del partito. ro vincitore, indica ormai il centro-destra in netto Il governo di Enrico Letta, infine. Rappresenta vantaggio, di quasi dieci punti sul centro-sinistra. l’unico accordo possibile per uscire da questo Fosche profezie.. stallo politico, per la metà degli elettori Pd; ma per l’altra metà è invece una scelta sbagliata, che non porterà a nulla di buono. Nessuna ce l’ha personalmente con Letta, che ottiene infatti una fiducia molto elevata tra i democrat. Ma molti giudicano questa scelta, e soprattutto l’idea che possa diventare un esecutivo stabile per parecchio tempo, una sorta di tradimento delle promesse della campagna elettorale e, soprattutto, una resa quasi incondizionata a Silvio Berlusconi. Il quale viene infatti giudicato da quasi il 20 per cento come il personaggio che più “comanderà” all’interno di questo esecutivo. SEGUE DALLA PRIMA L SEGUE DALLA PRIMA SALVATORE VASSALLO E Letta? Dovrà confrontarsi con la linea indicata dal prossimo segretario o la detterà lui al Pd, in virtù dell’investitura ottenuta da Napolitano? I gruppi parlamentari faranno come con Monti? Subiranno l’agenda Letta-Alfano? Ne presenteranno una alternativa? Si divideranno su ogni questione? E se no, chi farà sintesi? Il consumato Zanda e il giovane Speranza, indicati da un segretario che non c’è più? O un nuovo caminetto? Proprio per evitare simili contraddizioni, quando il Pd è nato si pensò che leader di partito e (candidato) premier dovessero coincidere in una persona scelta dalla più larga platea possibile. L’elezione diretta da parte di una larga platea di elettori serviva anche a rendere la guida del partito realmente contendibile, rispetto ad oligarchie, apparati, patti di sindacato tra capi-corrente, e strutturare il confronto “congressuale” intorno a proposte politiche in competizione. Personalmente, durante il dibattito che precedette la redazione dello Statuto avevo proposto che l’elezione popolare e diretta riguardasse il “presidente” del partito, immaginando che sarebbe stato affiancato da una figura operativa e secondaria, terie, dipendenti o circoli e ritieeventualmente denominata “sene di poter aspettare il suo mogretario”. Ma prevalse il lessico mento da Palazzo Vecchio. Tutti consueto della Prima repubblica i capi-corrente oggi costretti a e a quel punto saltò l’idea di una giocare in difesa preferiscono divisione funzionale dei ruoli tra un’elezione depoliticizzata e lileader politico e facilitatore ormitata ai soli iscritti che alteri il ganizzativo. meno possibile gli equilibri preiForse anche per questo difetstorici del congresso 2009. Altri to di fondo, in molti nel Pd, in sostengono che la scelta per un buona fede, faticano a cogliere le segretario-amministratore sia ragioni sistemiche per cui leaobbligata, in vista di una riforma dership di partito e di governo, in senso semipresidenziale alla al livello nazionale, dovrebbero francese, dimenticanessere tenute insieme. do che Sarkozy al moContinuano quindi conmento di entrare fusamente a oscillare tra Il segretario all’Eliseo era presiuna visione più vicina dente dell’Ump e che alla tradizione Pci in cui “non leader” il segretario del partito, ha molti alleati, Hollande è stato segretario del Partito espressione degli iscritma per ragioni socialista dal 1997 al ti, detta la linea agli 2008. Molti, infine, eletti, e una in cui il se- di brevissimo pensano che dopo il gretario è un allenatore, governo monocolore, un mediatore o un arbi- termine non si può infliggere tro: il coach del partitoalla base post-comupalestra o l’amministranista già demoralizzatore del condominio. ta anche un leader di partito L’ipotesi del “segretariopost-democristiano. non-leader”, cioè del “partito Andando avanti così, la Priacefalo”, oggi trova molti alleati, ma Repubblica ritornerà a passi per diverse ragioni di brevissimo da gigante. Se la Grande riforma termine. Alcuni la vedono di istituzionale non andrà in porto, buon occhio per non creare proe magari la montagna partorirà blemi al «governo di servizio», il topolino di una legge elettorale dimenticando che quel governo è simil-tedesca, avremo pure tra le nato perché il Pdl continua ad mani un Pd inservibile, senza un avere un leader, che già si prepaleader, uguale nella sua configura per le prossime elezioni. Renzi razione correntizia interna alla forse la preferisce perché (e chi Democrazia cristiana, ma cultulo può biasimare?) non ha voglia ralmente meno omogeneo e con di occuparsi di liste per l’assemla metà dei voti. blea nazionale, direzioni, segre- FOTO S.GARBINI seguici su: www.partitodemocratico.it Tesseramento 2013 Aderisci al Partito Democratico