Letta spera, a giugno vedremo il risultato

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Letta spera, a giugno vedremo il risultato
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46)
ART.1, COMMA 1, DCB ROMA
VENERDÌ 3 MAGGIO 2013
ABOLIZIONE IMU
B
BILANCIO HOLLANDE
D normale in peggio: il primo
Di
a
anno del presidente nell’analisi
d
A PAGINA 3
di tre osservatori
Possibile un punto di mediazione nella
maggioranza tra Pd e Pdl. L’imposta
A PAGINA 2
potrebbe cambiare pelle
LAVORO
I PRIMI GIORNI DEL GOVERNO
ANNO XI • N°87 € 1,00
CANTIERI A SINISTRA
Mentre il Pd va in sofferenza sulle “larghe
intese”, la gauche ragiona sul suo rilancio e
A PAGINA 2
porta in trionfo Rodotà
IL TOUR TRA BERLINO E BRUXELLES
La manutenzione che serve
alla riforma Fornero
EDITORIALE
Fra Becchi
e Brunetta
TIZIANO TREU
I
l discorso programmatico del
presidente Letta e le dichiarazioni del ministro Giovannini
hanno fornito indicazioni equilibrate sulle future misure per il
mercato del lavoro.
Opportunamente non si è
prospettata una nuova riforma
della legislazione in materia. Non
è possibile rimettere in discussione l’impianto legislativo a ogni
cambio di governo, come si è fatto nel recente passato. Non solo
sarebbe incomprensibile agli investitori stranieri, come ha rilevato il ministro del lavoro, ma
sarebbe destabilizzante per tutti
gli operatori italiani, dalle impre-
se, specie piccole, ai singoli lavoratori.
Serve stabilità delle regole,
oltre che dell’economia. Le norme si possono correggere certo;
ma sulla base di valutazioni fattuali non emozionali o ideologiche, e tenendo conto del contesto
complessivo. Per questo si è previsto, non solo in Italia, un monitoraggio sistematico.
La gravità della crisi, la più
grave della storia repubblicana,
pesa su tutto lo scenario del lavoro e dell’economia e quindi
anche sull’andamento della riforma Fornero.
Quelle larghe intese così
difficili da digerire
PAOLO NATALE
erto, meglio che niente. Meglio un governo con a capo un
esponente (giovane) del Partito
democratico ed un esecutivo con
qualche faccia diversa dal solito
che andare subito ad elezioni,
consegnando di nuovo il paese al
solito Berlusconi. Ma l’elettorato
del Pd non si abbandona a canti
e danze di felicità per il modo in
cui il suo partito ha condotto le
fasi che hanno demarcato il periodo post-voto. Tutt’altro.
Innanzitutto, come è quasi
superfluo sottolineare, il comportamento ondivago tenuto in
occasione dell’elezione del presidente della repubblica è criticato
da oltre la metà degli elettori
Pd.
La scelta di tornare di nuovo
a Giorgio Napolitano ha incontrato il favore di poco più del 50 per
cento tra loro, mentre gli altri
avrebbero preferito che si puntasse su Rodotà o su un altro nome
ancora, visto che quello di Prodi
(il preferito in assoluto) era diventato improponibile. Le stesse manifestazioni di protesta dei giorni
successivi sono state abbastanza
condivise, e giudicate espressione
della maggioranza degli italiani
da una quota vicina al 45 per cento dei democrat.
SEGUE A PAGINA 5
LEADERSHIP PD
Un partito acefalo
per il monocolore Dc
SALVATORE VASSALLO
I
l «monocolore Dc Letta-Alfano» (nei termini in cui ne scrivevo qualche giorno fa) potrebbe
avere il grande merito di chiudere
la transizione avviando finalmente il paese a un bipolarismo più
solido e civile. Se, nei diciotto
mesi indicati dal presidente del
consiglio, riuscirà ad abolire il
finanziamento pubblico dei partiti e completare la riforma delle
province, superare il bicameralismo e dimezzare il numero dei
parlamentari, introdurre l’elezione diretta del presidente della
Repubblica seguendo il modello
francese, cassare il Porcellum riportando i collegi uninominali
E
SEGUE A PAGINA 4
ELETTORATO DEM
C
STEFANO
MENICHINI
maggioritari, tutti i suoi critici
per ora in sonno, dovranno prendere atto che l’intesa di oggi è
davvero nobile, non serve per “inciuciare” in eterno ma per l’esatto contrario.
Rimane tuttavia un interrogativo a cui dovrà cominciare a rispondere l’Assembla nazionale
fissata per l’11 maggio. Il Pd nel
frattempo che fa? Aspetta? Esprimerà un’opinione? O l’affiderà per
intero al “secondo” di Bersani divenuto, grazie alle circostanze,
primo ministro? Com’è noto, dietro le spalle di Alfano (e anche
davanti a lui) c’è Berlusconi.
SEGUE A PAGINA 5
Letta spera, a giugno
vedremo il risultato
«Soddisfatto del viaggio europeo», ma solo il vertice dei governi dirà
se il rigore si allenterà. Merkel stupita dalle elezioni e dal flop di Monti
RAFFAELLA
CASCIOLI
P
arlare il linguaggio europeo
presso le principali cancellerie
del Vecchio Continente a cui far
percepire la natura emergenziale
del governo italiano e il rischio di
una deriva antieuropeista.
In attesa dei dati Eurostat che
oggi dovrebbe sancire con i numeri l’uscita dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo dell’Italia che sarà ratificata dalla Commissione il 29 maggio, il presidente del consiglio Enrico Letta si è
dichiarato soddisfatto. E non solo
perché, al termine della tre giorni
in Europa, ha compattato un fronte abbastanza vasto di stati per
lanciare nel vertice di giugno misure concrete di contrasto alla disoccupazione, in particolare giovanile, e a supporto della crescita.
Non tanto perché – incassato
il sostegno di Francia, Belgio,
Barroso e van Rompuy (dunque
Commissione e Consiglio Ue) –
Letta si accinge lunedì con una
visita lampo a Madrid ad ottenere il sì della Spagna e, in prospettiva, l’ok quasi scontato dell’Inghilterra. Quanto piuttosto per
essere riuscito a far percepire alla
Germania della Merkel, tanto
lontana dagli affari italiani da essere rimasta sconcertata dal risultato elettorale (in particolare
di Monti), che la situazione italiana è particolarmente calda e
che o si rilancia la crescita o sarà
difficile governare la crisi.
Parole che, una volta tanto,
non sono apparse troppo distanti ai tedeschi ai quali il messaggio
inviato è stato chiaro. L’Italia intende essere disciplinata e non
chiedere sconti ma proprio perché
si conforma alle regole comunitarie, queste devono appunto essere
europee.
Vale a dire che se Europa ha
per sillogismo il rigore, tanto caro
a Berlino, significa anche unione
bancaria (fondamentale al riguardo la sponda con Draghi) su cui la
Germania da sempre contraria ad
una vigilanza sulle Sparkasse fa
melina. Quell’unione bancaria che
ieri il presidente della Bce Draghi
ha definito essenziale per ridurre
la frammentazione del credito. Europa vuol dire anche impegno per
la disoccupazione con corsie preferenziali per quegli strumenti che
possono rimettere in moto il continente. Al riguardo l’iniziativa di
Letta potrebbe trovare una sponda
■ ■ ROBIN
Castelgandolfo
L’ex papa è tornato da
Castelgandolfo in Vaticano.
Dite ciò che volete, ma quando il
papa in carica si sposterà dal
Vaticano a Castelgandolfo la
situazione si farà imbarazzante.
forte nel Parlamento europeo visto
che gli eurodeputati di fronte a una
disoccupazione che colpisce un
giovane ogni quattro intendono
usare il Fondo sociale europeo, che
sarà rinnovato per gli anni 20142020.
In un simile quadro in cui tessere la tela è impresa complicata
ma non impossibile, Letta in mattinata a Bruxelles ha incassato da
Barroso giudizi lunsinghieri sulla
credibilità e responsabilità del
nuovo governo e nel pomeriggio ha
ricevuto a palazzo Chigi il segretario generale dell’Ocse Angel
Gurria. A Roma per presentare il
rapporto Ocse sull’Italia, peraltro
datato di qualche mese perché
scritto a inizio anno quando le stime di deficit (3,3%) e di crescita
(-1,5%) non computavano i nuovi
provvedimenti di pagamento dei
debiti della pubblica amministrazione, Gurria ha parlato di luce
alla fine del tunnel per l’Italia e
dello sforzo enorme nel risanamento dei conti.
Nell’annunciare una task force
governo-Ocse per mettere a punto idee sulla disoccupazione giovanile in vista del consiglio Ue di
fine giugno, Letta ha sostenuto
che non c’è tempo da perdere e
che la crisi la si prende dal lato del
lavoro: «Siamo in una corsa contro il tempo: è chiaro a tutti, fa
parte delle nostre regole di ingaggio della nostra missione. Di tempo se ne è perso parecchio in queste settimane e gli altri non stanno ad aspettare ma corrono». Un
aiuto all’euroripresa è arrivato
ieri dalla Bce che ha ridotto il costo del denaro allo 0,5%.
@raffacascioli
ra una delle gag più divertenti
di Diego Bianchi, detto Zoro,
ai tempi del governo Monti: l’antennista, o l’idraulico, che si presenta alla porta di casa a nome del
governo dei “tecnici”.
Alla faccia della rivincita della
politica, la gag potrebbe diventare
realtà in questa legislatura, visto
che nel M5S si pensa, come candidato alla presidenza della commissione vigilanza Rai, appunto a un
tecnico: per la precisione l’ex tecnico video di Saxa Rubra, ora deputato, Stefano Vignaroli.
Nulla di male: un tecnico Rai
non potrebbe fare peggio dei tanti
giornalisti Rai che diventati parlamentari si sono occupati della propria azienda (anche se nessuno ha
mai avuto il cattivo gusto di farli
presidenti della Vigilanza). Ma insomma, siamo sempre lì, Cinquestelle è una continua improvvisazione, un happening permanente.
Sui temi sui quali la politica –
non sempre, non tutta – ha imparato a muoversi con cautela, i grillini si muovono provocando sconquassi. Col carabiniere Giangrande
ancora tra la vita e la morte, l’ormai famigerato professor Becchi
straparla di italiani che prendono il
fucile (contro il ministro Saccomanni, poi). Torniamo al Bossi dei
suoi momenti peggiori. E i gruppi
parlamentari di Grillo (non Grillo
in persona) devono precipitarsi a
prendere le distanze da un personaggio che, per quanto proponga
teorie demenziali, è comunque
ammesso nell’inner circle del blog
del fondatore.
Ogni giorno ne capita una del
genere. Le espulsioni dopo l’allestimento della gogna sul web. I numeri ridicoli della consultazioni sul
Quirinale. Le dinamiche assurde
dei dibattiti a porte chiuse, del
rapporto con l’informazione, delle
relazioni con gli altri partiti. Gli
scontri in periferia, appena attutiti
dal regime di segretezza.
Quando ci si rammarica
dell’alleanza che il Pd ha dovuto
fare col Pdl, bisognerebbe tenere a
mente qual era l’alternativa, peraltro assai ipotetica, proposta durante le convulse discussioni fra
democratici. Davanti a ogni prova,
in occasione di ogni contatto,
quelli di M5S si sono rivelati magari ottime persone ma interlocutori impossibili. Governare l’Italia
insieme a loro, a ogni verifica, rimane sempre ciò che è parso fin
dall’inizio: una pazza idea.
Così ora, per non dover convivere col professor Becchi, il Pd deve adattarsi a trovare qualcosa di
buono nel professor Brunetta. Un
destino difficile, ma anche una
bella lezione.
@smenichini
Chiuso in redazione alle 20,30
venerdì
3 maggio
2013
2
< N E W S
A N A L Y S I S >
TASSA SULLA CASA
Come sarà la moratoria dell’Imu nel 2013. In vista del cambio di pelle e di nome
RAFFAELLA
CASCIOLI
P
otrebbe non chiamarsi più Imu, magari avere una soglia di esenzione elevata ed essere
strettamente legata ai servizi offerti dal territorio.
La soluzione del complicato ruzzle Imu potrebbe
essere l’uovo di Colombo. Che consentirebbe a
Berlusconi di salvare la faccia, contribuirebbe a
placare la smania di visibilità di Brunetta e contemporaneamente a blandire la Lega con la sua
pervicace volontà di mantenere le imposte sul
territorio, senza per questo scontentare il Pd.
Se infatti l’Imu sembra impegnare la dialettica mediatica della maggioranza (e non) di questi giorni, il superamento dello scoglio dell’imposta sulla casa appare con il passare delle ore e dei
giorni non impossibile. Anche se il tema è legato
a filo doppio con quelle riforme, tra cui quella
fiscale, sul quale il presidente del consiglio Enrico Letta ha battuto fin dal suo discorso di insediamento alla camera.
Tuttavia, prima di sciogliere il nodo dell’Imu
c’è la necessità di rivisitare il Def, il documento
di economia e finanza, che attualmente è ancora
in parlamento dove è slittato per consentire a
camera e senato di votare la fiducia al nuovo
governo. I deputati di maggioranza si accingono
la prossima settimana a votare una risoluzione
sul Def che impegni il governo (e quindi il nuovo
ministro) a riscrivere il Documento e a ripresentarlo in parlamento entro la fine di maggio. Tuttavia, spiega Pier Paolo Baretta, vicepresidente
della commissione speciale di Montecitorio che
si scioglierà la prossima settimana con la costituzione delle commissioni permanenti, nella ri-
soluzione sarà chiaro che saranno approvati i
saldi attuali del Def.
Un tema questo su cui è intervenuto ieri in
parlamento lo stesso ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni che ha annunciato la presentazione di «una nota aggiuntiva al Def» perché
nel documento siano recepiti «gli obiettivi strategici espressi dal presidente del consiglio». Modifiche che, si è affrettato ad aggiungere Saccomanni, saranno a saldi invariati.
D’altra parte, se per l’Ocse le priorità italiane
riguardano la crescita e l’occupazione tanto che
«ridurre le tasse sul lavoro è più importante che
ridurre l’Imu», per Baretta si può arrivare
sull’Imu a un accordo con il Pdl: «Credo che il
problema vero sarà la restituzione, non tanto il
2013 e il futuro. Le differenze tra le posizioni di
Pd e Pdl ci sono, ma sono gestibili». Per Baretta,
che ha lavorato lo scorso anno a stretto contatto
proprio con Brunetta per la risoluzione del Def
2012, un punto di mediazione si può trovare: «Noi
abbiamo proposto di arrivare a 500 euro di esenzione, che vuol dire togliere l’Imu a quasi il 90%
delle prime case, il Pdl di toglierla tutta. In quel
10% di differenza ci sono anche i redditi alti,
quindi penso che una valutazione di merito possa essere fatta e una soluzione trovata».
Tanto più che l’Imu potrebbe cambiare nome
e pelle. In ogni caso Letta ha chiarito che deciderà insieme alla maggioranza le coperture per i
tagli di tasse preannunciati in parlamento: «Ho
indicato la direzione di marcia. L’Italia ha una
pressione fiscale assolutamente insostenibile, a
tutto tondo. In prospettiva la pressione deve
scendere, senza però un rilassamento fiscale».
@raffacascioli
IL MOVIMENTO DI GRILLO
Becchi imbarazza i Cinquestelle che hanno un’altra priorità: la Vigilanza
FRANCESCO
MAESANO
S
e l’ideologo perde la testa la situazione è grave. Ma, e qui ancora una volta bisogna dare ragione
a Flaiano, non è seria. Il professor
Paolo Becchi, filosofo del diritto,
l’uomo che sembrava stare al movimento di Grillo come Gianfranco
Miglio alla Lega, ieri ha partorito
queste parole a commento della nomina di Fabrizio Saccomanni al dicastero di via XX settembre: «Se
qualcuno tra qualche mese prende i
fucili non lamentiamoci, abbiamo
messo un altro banchiere all’economia».
La maggioranza è insorta e per
tutto il giorno nel movimento è stata una corsa a distanziarsi dalle parole del filosofo. «Becchi non rappresenta il movimento 5 stelle» ha
twittato laconico Beppe Grillo mentre Vito Crimi l’ha degradato sul
campo: «È solo un simpatizzante».
«Mi dispiace dal profondo del
cuore – ha fatto sapere poi l’ormai
ex ideologo – di aver danneggiato il
M5S. Sono caduto nella trappola
che io stesso avevo previsto. Tolgo il
disturbo».
Il momento è delicato e il movimento non intende farsi lambire dalle polemiche sulla sparatoria di Roma che, finora, è riuscito a gestire
efficacemente. In ballo ora c’è la
partita per la presidenza delle com-
missioni che, tradizionalmente,
spettano alla minoranza. Quella di
vigilanza sulla Rai e quella di controllo sui servizi segreti. Lo spazio
per arrivare al Copasir appare angusto e, più verosimilmente, i Cinquestelle punteranno dritti alla presidenza della commissione di vigilanza Rai. Dopo la capigruppo di ieri il
calendario è segnato e tra i parlamentari c’è la consapevolezza che
occorra battere sul tempo la concorrenza delle altre opposizioni.
Ottenere il Copasir sembra davvero complicato e per quella poltrona ci sarebbe l’auto-candidatura
dell’ambiziosa parlamentare riminese Giulia Sarti. Un desiderio confermato da fonti vicine ai parlamen-
tari che sarebbe germogliato prima
dell’hackeraggio subito dalla Sarti
alla casella di posta elettronica. Una
complicazione ulteriore in una partita già complessa.
La commissione di vigilanza Rai,
invece, rappresenta un risultato afferrabile. Il controllo esercitato dalla politica e la lottizzazione interna
fanno dell’azienda, dal punto di vista dei grillini, la preda perfetta per
la politica dell’apriscatole.
In corsa per la vigilanza c’è Stefano Vignaroli, 36 anni, tecnico
nell’azienda di viale Mazzini. «Vigna! La felicità dei dipendenti Rai!»
gli aveva urlato abbracciandolo il
giornalista del Tg1 Leonardo Metalli, quando i grillini neo eletti si era-
no ritrovati in un bar del centro di
Roma per sciogliere in un cocktail la
felicità per il risultato elettorale di
febbraio.
Vignaroli a Europa conferma:
«Ho dato la mia disponibilità. Sono
tutt’ora un dipendente Rai e sono
affezionato all’azienda». E se dovesse diventare presidente della
commissione di vigilanza? «Promuoverei un cambio di governance,
la Rai non può restare per sempre
sotto il controllo dei partiti». E sul
canale unico del servizio pubblico,
soluzione paventata dai Cinquestelle a marzo, nei giorni per duri e puri del post voto? «Non è la priorità»
chiarisce Vignaroli.
@unodelosBuendia
DUE PONTEFICI IN VATICANO
Vicini di casa
Dopo due mesi di ritiro a
Castelgandolfo Benedetto XVI è
tornato in Vaticano. Ad accoglierlo
nel convento Mater Ecclesiae, che
da oggi lo ospiterà, papa Francesco.
Da oggi vivranno a pochi metri di
distanza. Un evento inedito nella
vita della Chiesa. I due pontefici si
erano già incontrati il 23 marzo
scorso con la visita di papa
Bergoglio al suo predecessore nella
villa pontificia e più volte si sono
sentiti telefonicamente. Ora il papa
emerito vivrà nel piccolo
monastero voluto oltre vent’anni fa
da Giovanni Paolo II nel cuore della
città del Vaticano, appositamente
ristrutturato. Con lui tanti libri, il
pianoforte, monsignor Gaenswein e
le quattro memores Domini.
GAUCHE
Il Pd soffre sulle “larghe intese”. La sinistra, intanto, porta in trionfo Rodotà
FABRIZIA
BAGOZZI
S
ul Pd reo di aver voluto e di guidare
un governo con quel Berlusconi con
cui molti elettori dem pensavano di regolare i conti una volta per tutte, se non
piovono pietre, piovono indubitabilmente fischi e spintoni. È accaduto in occasione della celebrazione del primo maggio a Torino, città sempre sensibile agli
umori della sinistra e della sua base. Dove gruppi vicini ai centri sociali hanno
provato a spintonare fuori dal corteo i
rappresentanti Pd, dove il sindaco dem
Piero Fassino è stato (pur se moderatamente) fischiato e, soprattutto, dove
parte dello storico servizio d’ordine del
partito ha rifiutato di garantire la sicurezza ai parlamentari, in polemica con il
governo Letta, ritenuto la sanzione ufficiale di un governo di large intese. Un
contesto in cui è riuscito a infilarsi –
nell’ala parautonoma dei duri e puri di
Infoaut – uno striscione che inneggia a
Preiti. La base Pd ribolle, ciò che viene
percepito come un “inciucio” fatica ad
essere digerito. Ma per quanto il dissenso sia rientrato e la fiducia al governo
Letta votata da tutti, tranne tre (Civati,
Mattiello e Ricchiuti), anche fra i parlamentari e comunque nel partito – a ricordarlo è proprio Civati, invitato alla
convention organizzata ieri da una delle
riviste di riferimento della sinistra-sinistra, Left, per ragionare della ricostruzione della gauche italiana, guest star
Stefano Rodotà – «esiste un disagio diffuso».
«Il Pd dovrà spiegare che cosa farà
in questo governo», sottolinea Civati,
che ironizza: «Al momento rappresento lo 0, 3% del Pd», ma, appunto, il
disagio c’è, la battaglia congressuale si
apre nei fatti la prossima settimana e
lui non ha alcuna intenzione di levare
le tende, ma di giocare la partita dall’interno. Lasciando aperta l’interlocuzione con la sinistra che prova a riorganizzarsi e di cui il convegno di Left al teatro Eliseo è uno degli appuntamenti.
Idem dicasi per Cofferati che, dice a
Europa, dal Pd non intende certo andar
via, ma intende aprire la discussione:
«Lo facevo quando ero d’accordo, a
maggior ragione ora». Spiega del resto
l’ex segretario Cgil, oggi europarlamentare: «Non temo una scissione, un atto
traumatico, ma un abbandono silenzioso dei nostri elettori».
Il tutto nello scenario dell’Eliseo, che
aveva già ospitato la nascita di Rivoluzione Civile guidata da Ingroia. Il quale
era presente anche ieri, dopo aver pronunciato il De Profundis a Rc e lanciato
la nuova Azione civile, in un tentativo di
recupero della mission originale vocata
ai movimenti, prima che i partiti (Prc,
Verdi, Pdci, Di Pietro) s’impadronissero
di Rc. Ma quella dell’Eliseo di Left è
tutt’altra cosa (in collegamento anche
Sandra Bonsanti, presidente di Libertà
e giustizia), e tutt’altra platea (niente
truppe Prc, per esempio). Rodotà viene
intervistato dal direttore Maurizio Torrealta e portato in trionfo come uomo
della società civile e di sinistra e come
simbolo di ciò che il Pd non avrebbe
capito, del suo “tradimento” dei desiderata di molta della sua base avendo inve-
ce scelto il «monarca» (così Marco Revelli) Napolitano. Ed è certo il Pd il convitato di pietra e l’interlocutore con il suo
«implodere» (copyright Rodotà). Tant’è
che Civati, che porta i saluti di Puppato
assente, viene applaudito di più e con più
trasporto di Vito Crimi, capogruppo
M5S al senato. Quella di Left è una platea
di sinistra critica con il Pd ma non paragrillina. Invitato anche Gennaro Migliore, che lancia la manifestazione di Sel (11
maggio, piazza Santi Apostoli) e che parla di dialogo con i grillini. Sulle questioni concrete. Perché ora, sul piano politico, fra il partito e i Cinque Stelle è competition. Vendola vuole riprendersi i voti,
e non solo i suoi, che sono finiti da quella parte. A sinistra si sono aperte le danze, tenendo gli occhi bene aperti sul
congresso democratico.
@gozzip011
primo piano < N E W S
VALENTINA
LONGO
S
i avvicina il primo anniversario da
presidente della repubblica per il
socialista François Hollande ma i
motivi per festeggiare non sono molti,
vista l’onda lunga di scarsa popolarità
che il presidente francese vive.
Abbiamo chiesto a tre osservatori, il
giornalista jean-Marie Colombani,
l’economista Henry Sterdoniyak e la
sociologa Anne Muxel, di rispondere a
tre domande per comprendere questa
débâcle.
Hollande, un anno da presidente
Domanda numero 1.: Hollande si è
presentato come presidente
“normale”, questa oggi è un’anomalia
o una realtà? 2. La crescita e la
riduzione della disoccupazione sono
due degli impegni che François
Hollandeha preso: deve ancora
puntare su questo per rilanciare la sua
presideza? 3. Hollande ha deluso
perché è stato un po’ timoroso e un
po’ audace scontentando tutti?
Ne emerge un quadro di difficoltà
di un presidente che ha mancato di
coraggio, che superata la fase di scarto
dal precedente Sarkozy – su cui si è
costruito la fortuna nelle urne – e
chiusa la campagna elettorale, non ha
saputo capitalizzare i suoi numeri. Il
ritratto di un uomo stretto tra timori e
debolezze, un “fragile”, un presidente
impopolare (ormai i sondaggi lo
attestano intorno al 26 per cento,
secondo Ipsos) cui serve ancora uno
slancio. Insomma, concordano i tre,
dovrebbe accelerare nell’azione
politica, fare scelte decise in materia
fiscale e che mostrino un presidente
più vicino alla gente e più deciso.
Perché l’etichetta di “normalità” che
lo ha portato all’Eliseo non è bastata
a colmare i vuoti che ora più che mai
c’è necessità di riempire. La fiducia
può conquistarsela con i numeri,
perseguendo nella ricerca di soluzioni
economiche efficace, ma senza cedere
gli spazi di audacia ad altri, o
l’immagine di “uomo debole”
potrebbe non scollarsela più.
@valelongo
Di normale in peggio
JEAN-MARIE COLOMBANI
HENRI STERDYNIAK
ANNE MUXEL
G
E
S
iornalista francese e saggista, già direttore di
Le monde, è il co-fondatore e direttore editoriale di Slate.fr.
1. «Il termine “normale” non corrisponde al
concetto di normalità che hanno i francesi e lo
stesso François Hollande l’aveva scelto in opposizione a Sarkozy: voleva significare “io non sono
diverso dagli altri, io sono come tutti”. Però i francesi non si sono lasciati convincere da questo messaggio, che si è rivelato solo
un’idea di campagna elettorale.
2 La crescita economica è
l’obiettivo principale di Hollande, ma l’errore che ha fatto è stato darsi per questo
biettivo una scadenza troppo
ravvicinata. Se ci riuscirà,
metterà fine a molte delle
tante critiche che gli vengono
mosse, ma in realtà tutto dipende dall’Europa più
che da come agirà lui stesso, e l’Europa con i suoi
meccanismi è lenta nella sua azione. Forse un’accelerazione in questo senso potrebbe darla la nomina di Enrico Letta a presidente del consiglio in
Italia: per il presidente Hollande significa far ripartire un dialogo dopo lo stop di questi mesi,
determinato prima dalla fine dell’alleanza con
Monti decaduto e poi dalla “destabilizzazione” con
Angela Merkel. Per questo ora ha una ragione in
più per pensare al rilancio della Francia e dell’Europa.
3. Questo è più un problema di forma. Hollande è un uomo che fa compromessi, ma si trova in
uno stato e con una Costituzione che invece impongono al presidente di agire da solo. Questo è
indice di un’idea di debolezza, mentre noi siamo
qui e aspettiamo che decida. In effetti da novembre
ad oggi qualche decisione l’ha presa: sul patto di
competitività, sul mercato del lavoro, sulla riforma
fiscale. Ma finché non agirà in maniera decisa sul
fisco, abbassando le tasse che i francesi non sopportano più resterà molto impopolare.
(v.lo)
35
A N A L Y S I S >
conomista esperto di politiche europee e della globalizzazione dell’Ofce di Sciences Po a
Parigi.
1 François Hollande non ha incarnato la strategia forte e risoluta che i francesi si aspettavano,
non si è imposto come un super-presidente ma
non è neanche riuscito a realizzare un profondo
rinnovamento democratico
nel momento in cui cresceva
la domanda di trasparenza e
di democrazia. Di fatto, non
ha aperto alla “democrazia
partecipativa” ed è rimasto
in bilico ma sempre in negativo, senza mostrare né una
forte volontà, né un’apertura a quella che doveva essere
una “ri-democratizzazione”
del sistema. Insomma, il presidente cosiddetto
normal non ha preso grandi decisioni e non è riuscito a mettere un freno alla politica dei tecnocrati nel momento in cui tutti i cittadini chiedevano segnali di cambiamento.
2. Il problema è che il presidente doveva comunque accettare le imposizioni dell’Europa, che
certamente limitano l’autonomia mentre il paese
ha bisogno di crescita: Hollande non è riuscito a
trovare una via per uscire da questi binari, né a
stimolare l’economia, da un punto di vista liberale o parlando di rilancio, e così adesso il paese
è ridotto a sperare in una ripresa che non ci sarà.
Sarà lo choc di una politica troppo morbida.
3. Arrivato dopo la disfatta di Sarkozy, definito un uomo ambiguo, a metà tra liberalismo e
protezionismo, François Hollande ha da un lato
seguito lo stesso schema, ma senza applicare lo
stesso rigore; dall’altro, ha deluso tutti coloro che
l’avevano sostenuto, dagli operai alle classi poplari ai disoccupati, offrendo di fatto alla destra
la possibilità di criticarlo. Il rischio è che, continuando con politiche oscillanti, sta difatto lasciando a Arnaud Montebourg lo spazio dell’audacia.
(v.lo.)
ociologa della politica, esperta di comportamenti, è direttrice di ricerca al Cevipof a
Parigi.
1. Ad oggi Hollande è un “ex-normal”. Un
anno fai, all’epoca della campagna elettorale,
doveva smarcarsi dal suo predecessore Sarkozy,
che nell’immaginario collettivo era certamente
meno normal. Questo aggettivo alla fine si è
imposto anche se intanto il presidente soffre di
una mancanza di sostegno
nell’opinone pubblica: di
fatto, solo nel momento
della campagna si è così caratterizzato come un vero
elemento di differenziazione.
2. Sì, Hollande deve ripartire dagli obiettivi economici che si è dato. Credo
che siano queste le attese
dei francesi, stretti tra un’importante perdita
del potere d’acquisto e l’inerzia del governo e
dello stesso presidente. Il problema sta nel gap
che c’è tra le politiche che aveva annunciato e
quella che è la realtà della sua politica: c’è un
grande divario.
3. Credo che Hollande sia oggi vittima di
qualcosa che accade anche in molti altri paesi:
c’è una distanza molto ampia tra i partiti tradizionali, messi oggi in situazioni difficili, e le
risposte che le società danno. Crescono le proteste e populismi di diversa natura si fanno
largo ovunque e penso, in primis, alla popolarità che sta avendo da noi Marine Le Pen (oggi
la popolarità di Hollande è ferma al 26 per
cento, secondo i dati Ipsos, ndr). Se si votasse
ora, Sarkozy sarebbe in testa, Le Pen sarebbe
subito dietro di lui e solo molto più giù si posizionerebbe Hollande. Quindi posso dire che sì,
c’è un contesto difficile ma c’è anche una debolezza duplice: ai francesi disillusi si presenta un
personaggio percepito come fragile al fianco di
un debole personaggio politico.
(v.lo.)
venerdì
mercoledì
3 maggio
settembre
2012
2013
ELISEO
L’Europa
unica strada
per l’uomo zen
FRANÇOIS
LAFOND
L’
incontro Hollande-Letta all’Eliseo era
molto di più di una mossa, cortese e
intelligente da parte del neo primo ministro
italiano nei confronti del presidente della
repubblica francese, che sta per festeggiare il
suo primo anno di pieno potere. Fresco della
doppia fiducia parlamentare e alla ricerca di un
immediato riconoscimento da parte dei
principali colleghi europei, Letta trovava così a
Parigi il suo migliore alleato politico estero
possibile, per future iniziative nazionali e
europee. Ma sarebbe un modello da seguire?
No, ovviamente. Una fonte di ispirazione, per
fare diversamente e meglio? Di sicuro. In effetti
Hollande si trova oggi in una situazione
stranamente difficile malgrado il suo Ps
controlli tutte le istituzioni nazionali e
regionali. Difficile, non solo perché eletto con il
51,6% dei voti, la sua popolarità è calata al 26%
a un anno dal voto amministrativo ed europeo
che sarà di sicuro il tagliando per il suo primo
ministro, Jean-Marc Ayrault.
Non perché la disoccupazione (nuovo record
a marzo 2013: 12%), il deficit pubblico (4,8% nel
2012 e al 3,7% nel 2013), l’aumento del debito
pubblico (90.2 % nel 2013) e l’assenza di
crescita (0,1% per il 2013, dopo lo 0% nel 2012)
pesano di fronte alle promesse elettorali, del
cambiamento, «maintenant», adesso; in
particolare quella di rilanciare la crescita
dell’economia per offrire nuovi posti di lavoro.
Con il Ps in campagna elettorale, spinto dal
fronte della sinistra e degli ecologisti, c’era il
dolce sogno di aggirare i vincoli Ue con la
rinegoziazione del patto di stabilità, di
aggiungere a questa un patto di crescita
consistente, con una parte della
mutualizzazione dei debiti (eurobond), di
riprovare anche una forte politica industriale e
ovviamente armonizzare la fiscalità nella zona
euro il più presto possibile. Per essere capito
bene Hollande aveva guadagnato il cuore del
suo elettorato di sinistra designando il vero
nemico: «La finanza internazionale». Mah!
Non sarebbe elegante poi insistere sulle vicende
di Jérôme Cahuzac o del tesoriere della sua
campagna Jean-Jacques Augier. L’impatto
esiste e il buzz è certamente negativo. E non
sarebbe promettente per il nuovo governo
italiano guardare da vicino i risultati concreti
ottenuti della Francia di fronte ad una
Cancelliera imperiale, già pronta per il terzo
mandato. Aldilà di questa situazione,
dell’assenza di risultati economici concreti, di
una pratica fin troppo normale del potere che
non impatta per niente sui cittadini, di
un’assenza totale di narrazione politica del
percorso seguito, Hollande rimane zen. Non
sembra preoccupato dall’impopolarità, dai
dissensi espressi nel governo tra ministri, dalle
critiche aperte del presidente dell’Assemblea
Claude Bartolone, che auspica un cambiamento
di politica economica, o delle manifestazioni
(della destra) contro il matrimonio per tutti. In
realtà, il presidente ha un’idea chiara del suo
ruolo, e un uso, machiavellico, del suo potere.
Come dimostra la decisione di intervenire in
Mali, quando i tuareg, terroristi di Aqmi ed altri
banditi volevano prendere la Bamako. Con una
preparazione militare già iniziata dal suo
predecessore, ha saputo prendere la decisione
di entrare in guerra ancora approvata da una
larga maggioranza parlamentare e popolare.
L’ambiguità di Hollande risiede nella sua
difficoltà ad assumere totalmente il modello di
società che vuole per la Francia. Non ha il
coraggio di spiegare che la sua missione politica
è modernizzare la società in un’Europa
fortemente integrata. Di fare il suo coming out
«socialdemocratico» nel partito, vista
l’ambiguità mantenuta per tanti anni.
Conciliare il funzionamento ottimizzato del
mercato con una vera giustizia sociale è
difficilissimo oggi. Ma Hollande sa che quella
europea è la nostra unica strada possibile. Una
parte di demagogia, di populismo per
conquistare il potere ci voleva. Ma di fronte alla
realtà, il coraggio dell’uomo di stato è spiegare
in maniera alta il cammino da percorrere.
Anche a rischio di perdere le prossime elezioni.
Hollande lo sa. E a Letta gliel’ha detto al primo
incontro.
venerdì
3 maggio
2013
lettere e commenti 4
FEDERICO
ORLANDO
RISPONDE
Sveltire la politica, non ucciderla con la Rete
Cara Europa, in un’intervista del 1 maggio, il
ministro per le riforme Gaetano Quagliariello, ex
saggio di Napolitano ma sempre berlusconiano di
ferro (è quello dell’invettiva contro Napolitano sul
caso Englaro, quando il presidente fece sapere che
non avrebbe firmato l’eventuale decreto del governo
per annullare la sentenza della Cassazione che dava
via libera ai medici a “staccare la spina”) ha detto
una cosa saggia, sul giornale più letto da queste
parti: «Non possiamo più immaginare che al tempo
di tweetter servano sette passaggi parlamentari per
approvare una legge». D’accordo. Ma Quagliariello
non dice se, oltre a diventare più svelto, il nuovo
parlamento sarà anche più garante della libertà dei
nostri eletti. Mi riferisco al caso Mastrangeli.
Alfredo Cocco, Frosinone
C
aro Cocco, per comodità del lettore, visto che in
tempo di tweetter le notizie arrivano, sono incalzate da altre, e subito scompaiono, sarà utile ricordare che il caso di cui lei parla è quello del senatore a
5 stelle Marino Mastrangeli, eletto a febbraio nella
vostra circoscrizione e cacciato il 30 aprile da Grillo
perché reo d’aver parlato con alcune tv su questioni
del paese. Cosa che già aveva fatto lo stesso capo dei
senatori grillini, Crimi, intervistato nel supersalotto
di Bruno Vespa, Porta a Porta, senza espulsioni (ci
si è limitati a metterlo sotto sorveglianza di una kapò,
che si esibisce con lui in tv e lo corregge ad libitum).
Il processo a Mastrangeli, definito da quest’ultimo degno della Korea del Nord, è avvenuto in questo
modo: imputato per il “vizio delle comparsate”, è
stato proposto da metà del gruppo per l’espulsione e
sottoposto a giudizio telematico: davanti ai sansepolcristi o antemarcia, come Mussolini aveva battezzato i fedelissimi della prima ora, riuniti in piazza
San Sepolcro di Milano per fondare il primo fascio di
combattimento. Costoro, per dare una parvenza di
democraticità alla decisione del dittatore genovese,
compongono una modestissima falange di 48 mila
aventi diritto. E come già per la scelta del candidato
al Quirinale, la falange si è liquefatta: hanno votato
in 19 mila. Dei quali, 17 mila ha detto sì al dittatore,
e 2000 hanno detto no.
La regola della “maggioranza” è salva e Mastrangeli è stato espulso. Siamo al bis dell’operazione Rodotà, votato per il Quirinale da 5000 sansepolcristi.
La regola della scelta popolare è salva e i grillini
sono contenti. Ma lei ha ragione nel chiedersi se
Quagliariello, volendo adeguare le decisioni del parlamento alla velocità della Rete, preveda per gli eletti del popolo quella tutela della libertà di pensare e
di parlare che la Costituzione garantisce a tutti
(Art.21, a cui l’espulso si è appellato) . La sera del 1
maggio, Mario Morcellini, direttore del dipartimento di scienza della comunicazione della Sapienza, ha
spiegato in un’intervista come un mezzo di moltiplicazione della voce e della libertà di miliardi di persone, possa diventare strumento di persecuzione e d’imbavagliamento (oltreché di plagio collettivo), se a
impadronirsene è un pugno di avventurieri. Mi pare
che l’ipotesi si stia realizzando. Sarà bene farlo sapere a quanti s’illudono che, votando per Grillo e per
le sue non-proposte, si riesca almeno a guadagnare il
pane.
• • • D E M O C R AT I C I • • •
Renzi e la piattaforma alternativa del centrosinistra
FRANCO
D’ALFONSO
Q
uesta idea dei “due partiti” del centrosinistra è la versione farsesca delle divisioni
“tragiche” tra socialisti e comunisti del Ventesimo secolo, non ha alcuna giustificazione che
non sia l’istinto di sopravvivenza personale dei
gruppi dirigenti di partiti, gruppi spesso esistenti solo sulla carta, e va contrastata con ogni
mezzo.
Resto convinto di quanto detto più volte: il
“partito” del centrosinistra esiste, ha un sistema di valori centrato sul bene comune nel quale
si riconosce, è per questo diverso da quello di
centrodestra che è basato sull’individualismo
ideologico. Questo “partito” ha una sua base
militante, un’area di simpatizzanti ed una di
elettori potenziali che si manifesta ogni volta
che viene evocata correttamente, attraverso
primarie che vedono un confronto politico e di
idee attraverso le persone e non tra gruppi e
persone senza molte idee. Un partito che sa essere vincente quando riesce a presentarsi in
positivo, suscitando speranze ed evocando scenari futuri, non mettendosi in scia alle paure
che i demagoghi ed i populisti alla Grillo o alla
Berlusconi sono strutturalmente meglio attrezzati a suscitare e sfruttare.
Mi pare ormai evidente che questo “partito” non sia in grado di darsi un suo gruppo dirigente efficace, soprattutto per la pretesa di
una parte di esso, quello del Pd, di “controllare” persino le novità nate al proprio interno,
come nel caso di Renzi. Mi considero personalmente responsabile, in misura da stabilire, di
questa incapacità perché l’ipotesi “arancione”
di trasferire a livello di gruppo dirigente l’esperienza della campagna elettorale di Milano del
2011 è sostanzialmente fallito. Anche la pur positiva esperienza delle liste civiche ha raggiunto
il suo limite oggettivo e non è stata in grado di
rappresentare una alternativa completa ai partiti, pur riuscendo ad essere – ed è a mio avviso
già moltissimo – il catalizzatore delle energie
nuove che vogliono impegnarsi in politica e che
trovano da molti, troppi anni ostruiti i canali di
accesso che una volta erano garantiti dai partiti
della sinistra.
In sostanza non siamo riusciti ad uscire,
nemmeno nel nostro campo, dalla crisi del modello che ha dato vita alla nostra repubblica. La
legittimazione popolare reale, come i sindaci
condivisione storica, politica e culturale che
eletti che hanno dimostrato anche di saper godiede vita alla nostra Costituzione stava nei
vernare, hanno un ruolo fondamentale di stipartiti e le istituzioni repubblicane nacquero
molo e testimonianza in tal senso. Pisapia, Doper loro impulso: l’innovazione e la parteciparia, Zedda come Fassino e Merola e gli altri prizione, fonte della buona politica, veniva dai
mi cittadini che sono stati capaci di riunire e ripartiti e passava nelle istituzioni, dove trovava
lanciare la sinistra di governo nelle
le maggiori resistenze. Oggi la situaproprie comunità locali devono essere
zione è rovesciata: è dalle istituzioni
i primi a mettere in secondo piano le
ad elezione diretta, dove i cittadini
Il partito
proprie appartenenze partitiche e
scelgono rappresentanti e politiche
riesce ad
rendersi garanti di un processo che in
alternative, che viene la spinta al
cambiamento, mentre i partiti sono
essere vincente realtà si è già avviato, anche se non è
riconosciuto come tale.
almeno tre passi indietro .
quando
Matteo Renzi ha lanciato la sfida
La via per giungere al “partito
per
la leadership della sinistra e, se
della sinistra europea”, che esprima
sa presentarsi
non cadrà nell’errore di riportare i
una sua visione progettuale su un mosuoi passi all’interno dell’antico condello istituzionale europeo e naziona- in positivo
vento, ha un oggettivo vantaggio su
le, che detti una linea di politica ecochiunque altro si farà avanti . Chi conomica precisa e documentata e non si
me chi scrive non è convinto fino in fondo del
balocchi con specificità italiane inesistenti, che
progetto cercherà di contribuire alla nascita di
sia in grado di evocare una speranza condivisa
una piattaforma alternativa, più vicina ai valori
da tutti i popoli europei e non solo da alcuni,
della sinistra europea di quanto non creda sia
passa per una operazione di legittimazione di
attualmente quella del sindaco di Firenze, ma
leadership dal basso, attraverso confronti e
non potrà eludere il problema evocando colleconsultazioni che non siano orientate da gruppi
gialità o sedi competenti di discussione.
dirigenti o presunti tali. I leader che hanno una
• • • L AV O R O • • •
La manutenzione che serve alla riforma Fornero
SEGUE DALLA PRIMA
TIZIANO
TREU
M
isure simili prese in altri paesi (Germania)
hanno funzionato meglio
perché adottate in momenti
di stabilità e di crescita.
È quindi ragionevole tenerne conto e intervenire
sulle norme che più soffrono
del perdurare della crisi.
Questo è il senso delle indicazioni del presidente Letta
e del ministro del lavoro, che
propongono di ridurre le restrizioni nell’uso del contratto a termine, almeno per
il tempo dell’emergenza economica.
Il contratto a termine, se
usato correttamente, è una
flessibilità buona. Renderlo
più accessibile può servire a
dare fiato, anche se temporaneo, all’occupazione specie
giovanile. Il problema dei
INFORMAZIONI
E
ANALISI
www.europaquotidiano.it
ISSN 1722-2052
Registrazione
Tribunale di Roma
664/2002 del 28/11/02
za e tempi rapidi. Questo è
contratti a termine non è
un test decisivo per vedere
tanto la quantità del loro
se le forze politiche che soutilizzo, siamo in linea con le
stengono il governo sono vemedie europee, ma la caparamente d’accordo e credono
cità del sistema di stabilizalla priorità del lazarli. Anche in Gervoro.
mania la percenSe si fanno polituale di assunzioni
Investire nel
tiche efficaci di soa termine è alta,
stegno al lavoro si
più che in Italia, ma lavoro dei
può giustificare ani tempi di stabilizche una maggiore
zazione sono molto giovani è più
più brevi che da
utile che togliere flessibilità in entrata. Le modalità per
noi.
l’Imu sulla
migliorarla si posPer accorciare
sono discutere: ed è
questi tempi servo- prima casa
bene che il governo
no misure specifiricerchi subito un
che: una economia
intesa con le parti
in ripresa che crei
sociali come ha già annunoccupazione, politiche attive
ciato il ministro del lavoro.
che indirizzino le persone in
Altre misure utili per
cerca di lavoro e infine inl’emergenza lavoro sono stacentivi per favorire assunte annunciate dal presidente
zioni stabili.
Letta: introduzione di ulteQueste sono le priorità. E
riori semplificazioni e facilisono tutte presenti nelle intazioni del contratto di aptenzioni del governo. Ora c’è
prendistato, che è uno dei
da darvi seguito con coeren-
punti meno controversi della
riforma Fornero e comune
alle migliori politiche europee; sostenere il lavoro femminile, che è una risorsa preziosa non solo per le donne
ma per il futuro dell’economia, con incentivi alle donne
con figli, con migliori servizi,
con congedi e orari più flessibili per favorire la condivisione degli oneri di cura;
prevedere una maggiore flessibilità nell’età di pensionamento con part time misto a
pensione a favore della assunzione di giovani e con la
possibilità di optare per il
sistema contributivo.
Certo alcune di queste
misure costano. Non tutte.
Ma la destinazione delle risorse deve essere coerente
con le priorità dichiarate.
Investire nel lavoro dei giovani è più utile al paese che
togliere l’Imu alla prima casa dei ricchi.
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agosto 1990 n.250»
< D A L L A
5
P R I M A >
venerdì
3 maggio
2013
••• ELETTORI DEM •••
••• LEADERSHIP PD •••
Quelle larghe intese così difficili da digerire
Un partito acefalo per un monocolore Dc
Certo, il carisma e la personalità di Napolitano,
e anche quelle di Letta, non vengono dimentiPAOLO
NATALE
cate dalla maggioranza del popolo Pd, ma il governo appena formato non desta particolari entusiasmi, nonostante la sua composizione (molti
a soluzione di un governo di larghe intese già
giovani e molte donne) rappresenti effettivamente
nella sua fase embrionale, all’inizio della setuna decisa e positiva svolta, nella percezione
timana scorsa, non incontrava molti favori, a medell’elettorato.
no che non si trattasse di un’operazione in cui si
La speranza condivisa da almeno il 75 per cenlegiferasse sulle principali questioni in sospeso
to degli elettori è che questa fase di connubio con
(soprattutto quelle di natura economica ed elettoil centrodestra non duri molto (al massimo un anrale) per poi tornare presto alle urne, al massimo
no e mezzo), ma il timore altrettanto condiviso è
dopo un anno, in contemporanea con le europee.
che si trascini ben oltre, impedendo al popolo deQuesto breve lasso di tempo avrebbe permesso
mocratico di rinnovare la propria fiducia
l’auspicato cambiamento degli attuali diad una forza che si era presentata come
rigenti del partito, sostituiti con le nuove
alternativa alla parte avversa, e ora si
forze, come Barca, Renzi, Civati, e così
Letta è molto
faccia carico in prima persona di misure
via.
anti-popolari per presentarsi come
Per salvare il Pd, dopo la cattiva per- stimato. Ma
formance sia pre che post-elettorale, il
si spera che il agnello sacrificale alle prossime elezioni.
Infatti, solo un terzo degli elettori Pd
nome maggiormente indicato era ovviasuo governo
pensa che il suo partito avrà qualche
mente quello di Matteo Renzi, anche da
vantaggio, in futuro, dell’azione del gocoloro che non avevano particolare simduri poco, il
verno Letta. Molti hanno al contrario
patia nei suoi confronti. Ma era (ed è)
meno possibile paura che si possa andare incontro ad
giudicato comunque un leader capace di
una probabile sconfitta, come è accadufar dimenticare i tristi accadimenti e di
to allo stesso governo Monti. Il famoso
provocare una decisa svolta nell’immagiindicatore “winner”, la profezia del futune compromessa del partito.
ro vincitore, indica ormai il centro-destra in netto
Il governo di Enrico Letta, infine. Rappresenta
vantaggio, di quasi dieci punti sul centro-sinistra.
l’unico accordo possibile per uscire da questo
Fosche profezie..
stallo politico, per la metà degli elettori Pd; ma
per l’altra metà è invece una scelta sbagliata, che
non porterà a nulla di buono. Nessuna ce l’ha personalmente con Letta, che ottiene infatti una fiducia molto elevata tra i democrat. Ma molti giudicano questa scelta, e soprattutto l’idea che possa diventare un esecutivo stabile per parecchio
tempo, una sorta di tradimento delle promesse
della campagna elettorale e, soprattutto, una resa
quasi incondizionata a Silvio Berlusconi. Il quale
viene infatti giudicato da quasi il 20 per cento come il personaggio che più “comanderà” all’interno
di questo esecutivo.
SEGUE DALLA PRIMA
L
SEGUE DALLA PRIMA
SALVATORE
VASSALLO
E
Letta? Dovrà confrontarsi
con la linea indicata dal
prossimo segretario o la detterà
lui al Pd, in virtù dell’investitura
ottenuta da Napolitano? I gruppi
parlamentari faranno come con
Monti? Subiranno l’agenda Letta-Alfano? Ne presenteranno una
alternativa? Si divideranno su
ogni questione? E se no, chi farà
sintesi? Il consumato Zanda e il
giovane Speranza, indicati da un
segretario che non c’è più? O un
nuovo caminetto?
Proprio per evitare simili
contraddizioni, quando il Pd è
nato si pensò che leader di partito e (candidato) premier dovessero coincidere in una persona
scelta dalla più larga platea possibile. L’elezione diretta da parte
di una larga platea di elettori
serviva anche a rendere la guida
del partito realmente contendibile, rispetto ad oligarchie, apparati, patti di sindacato tra capi-corrente, e strutturare il confronto “congressuale” intorno a
proposte politiche in competizione.
Personalmente, durante il dibattito che precedette la redazione dello Statuto avevo proposto che l’elezione popolare e diretta riguardasse il “presidente”
del partito, immaginando che
sarebbe stato affiancato da una
figura operativa e secondaria,
terie, dipendenti o circoli e ritieeventualmente denominata “sene di poter aspettare il suo mogretario”. Ma prevalse il lessico
mento da Palazzo Vecchio. Tutti
consueto della Prima repubblica
i capi-corrente oggi costretti a
e a quel punto saltò l’idea di una
giocare in difesa preferiscono
divisione funzionale dei ruoli tra
un’elezione depoliticizzata e lileader politico e facilitatore ormitata ai soli iscritti che alteri il
ganizzativo.
meno possibile gli equilibri preiForse anche per questo difetstorici del congresso 2009. Altri
to di fondo, in molti nel Pd, in
sostengono che la scelta per un
buona fede, faticano a cogliere le
segretario-amministratore sia
ragioni sistemiche per cui leaobbligata, in vista di una riforma
dership di partito e di governo,
in senso semipresidenziale alla
al livello nazionale, dovrebbero
francese, dimenticanessere tenute insieme.
do che Sarkozy al moContinuano quindi conmento di entrare
fusamente a oscillare tra Il segretario
all’Eliseo era presiuna visione più vicina
dente dell’Ump e che
alla tradizione Pci in cui “non leader”
il segretario del partito, ha molti alleati, Hollande è stato segretario del Partito
espressione degli iscritma per ragioni socialista dal 1997 al
ti, detta la linea agli
2008. Molti, infine,
eletti, e una in cui il se- di brevissimo
pensano che dopo il
gretario è un allenatore,
governo monocolore,
un mediatore o un arbi- termine
non si può infliggere
tro: il coach del partitoalla base post-comupalestra o l’amministranista già demoralizzatore del condominio.
ta anche un leader di partito
L’ipotesi del “segretariopost-democristiano.
non-leader”, cioè del “partito
Andando avanti così, la Priacefalo”, oggi trova molti alleati,
ma Repubblica ritornerà a passi
per diverse ragioni di brevissimo
da gigante. Se la Grande riforma
termine. Alcuni la vedono di
istituzionale non andrà in porto,
buon occhio per non creare proe magari la montagna partorirà
blemi al «governo di servizio»,
il topolino di una legge elettorale
dimenticando che quel governo è
simil-tedesca, avremo pure tra le
nato perché il Pdl continua ad
mani un Pd inservibile, senza un
avere un leader, che già si prepaleader, uguale nella sua configura per le prossime elezioni. Renzi
razione correntizia interna alla
forse la preferisce perché (e chi
Democrazia cristiana, ma cultulo può biasimare?) non ha voglia
ralmente meno omogeneo e con
di occuparsi di liste per l’assemla metà dei voti.
blea nazionale, direzioni, segre-
FOTO S.GARBINI
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