vi chiamo amici

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vi chiamo amici
E D I TO R I A L E *
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E D I TO RIA LE
VI CHIAMO AMICI
Il momento
che dia calore e
NON VI CHIAMO PIÙ SERVI…
finale si avvitoni romantici
MA VI HO CHIAMATO AMICI
cina. Gesù sa
alla nostra fede.
che sarà presto
Certe immagini
Giovanni 15, 15
arrestato e che
del Sacro Cuore
il suo destino
o certe preghiere
è segnato. Ha
edulcorate al mio
bisogno di sentire la vicinanza dei suoi.
caro Gesù rappresentano forme di pietà
Nei discorsi dell’ultima ora gli appelli
che difficilmente si armonizzano con la
alla comunione si moltiplicano. Non
sobrietà del messaggio evangelico. Gesù
si tratta di una rivelazione nuova, ma
non sta giocando con i sentimenti, né
il suo richiamo all’amicizia assume
sta propagando una nuova forma di
un significato speciale in queste ore
pietismo romantico.
finali. Ci potrebbe essere anche un
Nel suo richiamo all’amicizia c’è
sottofondo di rimprovero: ormai sa
innanzi tutto l’invito a operare un
che la risposta dei suoi non assumerà
cambiamento radicale della nostra
affatto i toni dell’amicizia. Quasi tutti
maniera di vedere Dio. Se ci chiama
lo abbandoneranno. La paura, la fuga
all’amicizia, è perché si tratta di un
rimpiazzeranno l’amicizia.
Le parole di Gesù hanno però qualDio altro da quello che ci aspettavacosa di profondo e di solenne. Superano
mo, da quello che era annunciato.
il contesto immediato dei suoi discorsi
d’addio; non definiscono soltanto la sua
Il falegname di Nazareth annuncia
relazione storica con i discepoli. Questo
un Dio benevolo che ha perduto il lato
“vi chiamo amici” e questo “non vi chiamo
minaccioso e tenebroso che abita molpiù servi” sembrano affermazioni che
ta letteratura religiosa: un Dio-Padre
investono la totalità della relazione tra
che instilla nell’anima fiducia e diffonDio e tutti noi.
de serenità. Siamo chiamati amici, perÈ bene prima di tutto mettere in
ché siamo figli e figlie di un Dio dal
chiaro una cosa. Il richiamo di Gesù, volto paterno.
interpretato alla luce dell’insieme del
Vangelo, non è un invito a incamminarsi
verso una sorta di intimismo affettivo
che faccia di Dio un amico del cuore e
Quante volte incontriamo sulla bocca
di Gesù espressioni di questo tipo: “non
temete”, “non abbiate paura”! Sembra
* di Giorgio Gonella, Piccolo Fratello del Vangelo, Ciudad
Hidalgo (Messico)
quasi un ritornello che ritma l’insieme
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dei dialoghi e dei discorsi di Gesù. C’è
da domandarsi se questa esortazione a
vincere la paura non sia il centro della
Buona Notizia. Non sarà che questa
Notizia è proprio Buona perché ci libera
dalla schiavitù della paura? Paura degli
altri, del fallimento, dell’incognito, paura
di perdere. Gesù esorcizza soprattutto
la madre di tutte le paure: la paura di
Dio, un demonio pericoloso che abita
il cuore di tanta religione.
Non parliamo evidentemente di quel
timore di Dio che nella Bibbia è un
legittimo sentimento reverenziale, una
manifestazione di rispetto di fronte al
Grande Mistero; quel timore di Dio
che si manifesta nel gesto simbolico di
togliersi i sandali o inclinare il capo di
fronte all’assoluto divino. Parliamo invece di quella paura che nasce dal timore
di essere distrutti dal faccia a faccia con
un Dio Onnipotente e Signore degli
Eserciti; un Dio pronto ad annientarci
se tradiamo le sue aspettative.
Gesù cambia l’immagine fondamentale della divinità. Dio non è nemico.
Dio non è competitivo. Dio non è
padrone: non ha bisogno di servi. È
Padre: ha bisogno di figli e figlie. Ha
bisogno di chiamarci amici. Si, Lui ne
ha bisogno!
Le parole di Gesù: vi ho chiamato
amici sono un invito ad abbracciare il
Vangelo della Misericordia, l’annuncio
di un Dio che sta dalla nostra parte. Il
figlio prodigo non s’inchina di fronte a un giudice severo che minaccia:
trova nuova vita tra le braccia di un
padre che l’attende senza il minimo
rimprovero sulla bocca; un padre che
dà tutto se stesso perché il figlio abbia
vita, riprenda vita. Sulla croce il ladrone
alla destra di Gesù abbandona il suo
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destino eterno nelle mani di questo re
crocifisso; ha capito che il suo regno è
il dominio della misericordia pura. La
peccatrice scampata alla lapidazione
riceve una nuova vita dalle parole di
Gesù “neanche io ti condanno”.
Tutte queste persone hanno scoperto
che Dio era dalla loro parte. Pensavano
di doversi difendere da Lui, a causa della
vita disgraziata che avevano vissuto.
Invece trovano un Dio amico.
Vi ho chiamato amici è l’invito a sentire che il nostro destino è in buone
mani. È un invito a sdrammatizzare il
potere del peccato. Certo, i problemi
non mancano e neanche le sofferenze,
ma – una volta liberati dalla paura – li
affrontiamo in maniera differente. Un
sentimento di fiducia profonda si installa
nell’anima. Quando c’è la certezza che la
barca arriverà in un buon porto, come è
facile accettare il mare mosso e perfino
le tempeste! Le sofferenze restano, ma
l’angoscia scompare. Magari finiremo
pure per dormire tranquilli nel mezzo
della tempesta, come capitò al Maestro:
basta un cuscino per la testa!
Ma dopo secoli di cristianesimo, è
veramente crollato l’edificio religioso
della paura? Non sopravvive ancora in
forme più o meno celate? Non è ancora
presente in molti lati della nostra realtà
ecclesiale? Quante prese di posizioni ufficiali, nel campo della dottrina
e della morale, tradiscono un tono
profondamente difensivo, figlio della
paura. C’è come una sorta d’angoscia:
se si transigerà su un dettaglio o l’altro
della vita morale tutta la casa crollerà.
La paura domina ancora una grande
parte della vita ecclesiale.
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Senza arrivare a questi casi estremi,
dobbiamo ammetterlo: c’è un po’ del
coniglio in ciascuno di noi. Eppure
San Giovanni è categorico: l’amore
scaccia la paura!
“Vi ho chiamato amici” è anche l’invito
ad avvicinarsi in modo veramente personale al Mistero divino. L’amicizia non
è mai collettiva. La culla dell’incontro
con questo Dio, esule dal Tempio, è il
santuario del nostro io. A volte facciamo
dell’apparato religioso una scusa per
non incontrare Dio nel nostro santuario
interiore. È come se si trattasse di una
miopia spirituale che ci fa guardare
lontano piuttosto che cercare vicino.
Non osiamo troppo calarci nelle grotte
oscure e vuote che portiamo dentro. Non
abbiamo il coraggio dello speleologo
spericolato. Abbiamo paura del nostro
vuoto. Eppure il grido di Sant’Agostino “Non uscire fuori di te; rientra in te
stesso!” attraversa i secoli e continua a
chiamarci all’interiorità.
Il servitore deve tenersi a distanza;
ma l’amico può e deve avvicinarsi.
Ricordo ancora oggi un fatto che
mi è accaduto. Un giorno, ero ancora
adolescente, andai a confessarmi. Il
presbitero, di cui conobbi soltanto la
voce e l’alito da dietro la grata, dopo
un lungo silenzio mi disse una sola
breve frase: “Ti annuncio una buona
notizia: tu sei il figlio prediletto di Dio”.
L’eco di questa frase mi è risuonato
nelle orecchie durante tutta la vita.
“Vi ho chiamato amici” vuol dire: tu sei
il mio prediletto. L’amore vero è infatti
sempre elettivo e personale; nulla a che
vedere con quel sentimento generico e
disincarnato che viene spesso chiamato
”amore cristiano”.
Vi chiamo amici perché vi ho fatto conoscere
tutto ciò che ho udito dal Padre, ecco che
cosa ci dice Gesù. L’amico è colui che
rivela: colui che toglie il velo e ci mette
in contatto con la realtà. E non credo
che Gesù si riferisca soltanto al suo
insegnamento dottrinale, alle rivelazioni
contenute nelle sua parole. È nella sua
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E poi ci sono residui di paura nella
struttura mentale di noi tutti. Non
dobbiamo sempre lottare contro questa
tentazione della paura che sembra riaffiorare dentro di noi come un demonio
mai domato? Non siamo spesso tentati
di tornare alle strutture ben definite
di un edifico basato su chiari doveri
e chiare sanzioni? La chiamata alla
libertà e all’amore che Gesù indirizza
a ciascuno di noi crea responsabilità
adulte che a volte ci spaventano.
Quand’ero giovane vidi un coniglio
scappare dalla sua gabbia. Dopo lunghe
ricerche nei campi tornai a casa e lo
ritrovai rannicchiato in fondo alla sua
stessa gabbia. Mi dissi: “bisogna essere
un coniglio per tornare nel luogo della
propria schiavitù, dopo aver assaporato
la libertà”. Più tardi ho scoperto che
non sono solo i conigli a comportarsi
così. Ho conosciuto uomini che avevano
passato anni in prigione e che erano
diventati completamente “istituzionalizzati”: non potevano tollerare il peso
della libertà. Ormai desideravano soltanto una vita definita e regolata dalle
decisioni altrui. Un pomeriggio uno
di loro mi disse addio, annunziando
che andava a derubare una signora di
fronte agli occhi di un poliziotto per
poter ritornare in carcere. Non l’ho
più rivisto.
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persona e nel suo volto che il nostro
Dio, inconoscibile e misterioso, rivela
finalmente se stesso. Si svela.
“Vi ho chiamato amici” perché vi ho
dato la mia vita di falegname crocifisso
nella quale potrete contemplare sempre
il mistero della compassione divina.
Ho rotto il velo del silenzio divino. E
continuerò a rivelare Dio in mezzo a
voi: nel volto del povero, dell’affamato,
dell’assetato, del prigioniero, del malato, dell’ignudo, dello straniero. Il Dio
senza volto prende in prestito il volto
del povero per mostrarsi a noi e restare
con noi fino alla fine dei tempi.
E allora il suo “vi ho chiamato amici” si
trasforma in una chiamata all’amicizia
con coloro che portano il volto del Dio
invisibile. Si potrebbero parafrasare
le parole di San Giovanni e dire: chi
non vive l’amicizia con il fratello o
la sorella che può vedere, come può
vivere l’amicizia con un Dio che resta
invisibile?
“Non vi chiamo più servi”. Sembra
un’affermazione che va da sé: il seguito
logico della chiamata all’amicizia che
Gesù ci rivolge. Eppure la cosa non è
così semplice! Perché lui, il Maestro,
si è fatto servo e schiavo. Ha lavato i
piedi dei suoi discepoli, adottando la
postura e il ruolo di uno schiavo. Si
è umiliato. E ci ha invitato a fare lo
stesso. Vuole che diventiamo lava-piedi
professionali. “Vi ho dato un esempio,
infatti, perché anche voi facciate come io
ho fatto a voi” (Gv 13,15).
Il fatto è che una volta liberati dalla
paura di Dio e chiamati alla fiducia,
riscopriamo una dimensione differente
del servire. Quando eravamo costretti
a diventare servi sotto la paura di un
padrone potente, subivamo l’umiliazione
più grande. Quando invece decidiamo
di farci servi per amore, incontriamo
l’esaltazione più grande. La differenza
sembra sottile, ma è radicale.
Servire colui o colei che amiamo è
la più sublime realizzazione del nostro
essere persone. È la gioia più grande.
“Vi ho chiamato amici” perché, una
volta liberati dalla paura, possiate scoprire la gioia di farvi amici e servitori
del Povero.
CARI AMICI ABBONATI,
QUESTO È IL SECONDO NUMERO DI FAMIGLIA DOMANI 2012. VIENE
INVIATO A TUTTI COLORO CHE SONO IN REGOLA CON L’ABBONAMENTO. VI RINGRAZIAMO PER LA VOSTRA FEDELTÀ. CERCHEREMO DI
NON DELUDERVI. VI CHIEDIAMO UN FAVORE: AIUTATECI A TROVARE
NUOVI ABBONATI PER CONSENTIRCI DI CONTINUARE A SVOLGERE IL
NOSTRO SERVIZIO DI FORMAZIONE NELLA GIOIA DI UN’AMICIZIA.
GRAZIE.
La redazione di Famiglia Domani
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