INCONTRO CON RAUL ADAMI

Transcript

INCONTRO CON RAUL ADAMI
INCONTRO CON RAUL ADAMI
PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI ITALIANI DI
VERONA
Mercoledì 17 aprile per ricordare il 25 aprile 1945, giorno della liberazione dall’occupazione
nazifascista, tutte le classi III della scuola Betteloni hanno incontrato Raul Adami, Presidente
dell’ANPI di Verona, che ci ha rievocato la dura esperienza di giovane partigiano veronese e ci ha
descritto gli stenti e i pericoli di tanti uomini, donne e ragazzi che, come lui, scelsero di opporsi alla
violenza nazista. Il signor Adami, classe 1929, ha vissuto questa sua esperienza in Lessinia, nella
Divisione Pasubio. Con lui era presente il signor Roberto Bonente, presidente dell’Istituto per la
storia della Resistenza e dell’età Contemporanea.
Ci ha raccontato di come lui, allora quindicenne, proveniente da una famiglia ebrea, si nascose sulle
montagne e si inserì nelle Brigate partigiane. La sua famiglia si era infatti divisa a causa della
persecuzione razziali e parte di essa fu portata nei campi di concentramento di Auschwitz, da dove
non ritornò.
La vita da partigiano sulle montagne veronesi era davvero dura: mancava tutto, c’era freddo, il
clima era spesso avverso, c’era la fame, c’era la sete. L’acqua era indispensabile, ma molto difficile
da trovare: il signor Adami bevve anche dalle pozzanghere e soprattutto mangiò anche tanta erba,
da cui si poteva ricavare un po’ di acqua succhiata dalla parte più umida. Molti si ammalarono e
tornarono con la tubercolosi.
Una cosa molto importante era l’abbigliamento: il vestiario era scarso, ma era indispensabile avere
delle buone scarpe con una suola robusta, adatta ai luoghi impervi di montagna. Le migliori, che
venivano rubate ai tedeschi, andavano spesso ai comandanti di brigata o a quelli più grandi.
Il silenzio era una vera e propria ossessione: non si poteva fare rumore e nemmeno accendere il
fuoco perché anche il fumo li avrebbe resi visibili ai tedeschi.
I nomi dei partigiani venivano mutati, perché non si doveva conoscere il vero nome del compagno,
di modo che nessuno potesse, sotto tortura, svelare il nome di un altro. Il signor Adami ci ha
spiegato che il suo soprannome era “Ami”, ovvero la parte finale del suo cognome.
Comunicavano fra le varie brigate nei modi più impensabili: per esempio si poteva far metter un
messaggio in una pagnotta di pane cotta nel forno. Il messaggio, però, doveva essere in codice: ad
esempio poteva esserci scritto:“2 chili di farina con quattro uova….” perché, anche se fosse stato
aperto, doveva sembrare una distrazione del fornaio, che aveva perduto una ricetta. Le notizie erano
e dovevano essere sempre molto vaghe, imprecise per il bisogno di rimanere ben nascosti. Tutto
questo poteva essere causa dei disguidi. Ad esempio, Adami si ricorda di essere stato mandato a
portare un messaggio ad una brigata. Dopo 5 ore di cammino, arrivato sul posto non trovò nessuno
e dovette stare una notte intera da solo nel bosco, provando una gran paura. Un accorgimento, per
non far sentire il proprio odore ai cani tedeschi, era quello di mettersi la creolina.
Le armi dei partigiani erano molto inferiori a quelle tedesche ed erano di diverso tipo perché
venivano recuperate come si poteva, un po’ qua e un po’ là. In ogni caso Adami ricorda che le
bombe a mano “Balilla” italiane facevano un gran fracasso, ma erano poco efficaci a differenza di
quelli inglesi e soprattutto tedesche che erano molto efficaci. Quando i tedeschi catturavano un
partigiano, lo torturavano per farlo parlare oppure lo ammazzavano. Tanti furono i pericoli e tante le
violenze commesse dai tedeschi dopo i rastrellamenti. Molti i compagni caduti anche giovanissimi
come lui. Lui stesso si salvò miracolosamente: dopo essere stato catturato, mentre viaggiava su un
camioncino, durante una curva molto stretta, cadde e riuscì a fuggire. Ancora oggi, quando
ripercorre quel pezzo di strada, si emoziona molto.
Il momento più bello fu ovviamente il giorno dell’arrivo degli americani: era la fine di aprile e a lui
era stato dato l’ordine di scendere a valle per prendere informazioni. Inaspettatamente vide una fila
di mezzi avanzare: in particolare incontrò una jeep americana, che lo fece salire, ed insieme
andarono a Bosco Chiesa Nuova, che venne liberata intorno al 30 aprile.
Il signor Adami ci ha raccontato diversi episodi di vita vissuta: ad esempio ci ha raccontato di come
salvarono e nascosero la piccola figlia del comandante di Brigata, che era stata presa dai nazisti.
Ci ha ricordato poi il ruolo importante anche delle donne partigiane: in particolare ci ha raccontato
la storia di Rita Rosani, maestra di scuola elementare, che divenuta partigiana, fu catturata ed uccisa
dai tedeschi.
Infine ci ha stupiti quando ci ha raccontato che in una casa sui monti Lessini il 16 maggio del ’45,
pochi giorni dopo la liberazione, assistette al festeggiamento per la nascita di un bambino: era
Massimo Moratti, l’attuale Presidente dell’Inter.
Un momento dell’incontro per noi molto emozionante è stato anche quando la professoressa Torrisi
si è presentata al signor Adami per chiedergli se avesse conosciuto il proprio papà, che era stato
partigiano proprio nella stessa Divisione: gli occhi del signor Adami si sono illuminati perché il
ricordo del giovane papà della professoressa, era ancora chiaro e vivo nella sua memoria.
Il signor Adami ci ha portato anche molte foto della sua vita e dei momenti della liberazione di
Verona, in cui i tedeschi avevano fatto saltare tutti i ponti (come quello della Pietra) nella speranza
di ostacolare la risalita degli anglo- americani.
E’ stato grazie al grande contributo dato dai partigiani come Adami, che noi oggi possiamo godere
della libertà e vivere in uno stato democratico, fondato sulla nostra Costituzione Italiana .