Daniele Cocomazzi, L`"Orfeo vedovo" di Alberto Savinio

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Daniele Cocomazzi, L`"Orfeo vedovo" di Alberto Savinio
L’ Orfeo Vedovo di Alberto Savinio
Daniele Cocomazzi
“L’uscio del mio studio si aprì e apparve Orfeo. Questo il mio privilegio
maggiore, di poter entrare, quando e come voglio, in rapporti diretti con i
personaggi più illustri del passato, e con que lli ancora in attesa dietro la porta
del futuro.”1
Così, Alberto Savinio, nella traduzione metafisica dell’incontro che ebbe a dieci giorni
dalla prima dell’ Orfeo Vedovo, con il cantante Mario Borriello, alias Orfeo. Savinio
firma questo articolo il 14 ottobre 1950 sul “Corriere d’informazione”. E’ Mario
Borriello che bussa alla porta del suo studio, il baritono che interpreterà Orfeo di lì a
poco, ma Savinio ha il privilegio di vedere al di là delle apparenze mondane. Per lui, in
un continuo gioco di rimandi tra passato, presente e futuro, la realtà si manifesta e si
svela all’improvviso, in un’epifania meravigliosa di ciò che si nasconde dietro ai
semplici fenomeni. Prosegue Savinio:
“Tra pochi giorni, in un teatro di Roma, Orfeo canterà un’avventura che gli è
capitata come vedovo di Euridice, e di questa avventura ho scritto io stesso le
parole e la musica. Ecco perché Orfeo stamattina è venuto da me. Alcune note
erano troppo alte per la sua voce.”2
Abbiamo scoperto il motivo della visita: Alberto Savinio è l’autore del libretto
oltre che il compositore della musica di Orfeo Vedovo, e può quindi ritoccarla per
adattarla perfettamente al registro del suo cantante Mario Borriello. Un clima culturale,
quello della prima metà del ‘900, in cui la rilettura dei miti classici in chiave moderna
era molto frequente. È Savinio stesso a firmare i costumi e le scenografie per la prima di
Oedipus Rex di Strawinsky-Cocteau alla Scala di Milano nel 1948. Tuttavia questo
dialogo col mito ha radici ben più salde nel nostro artista, radici che affondano fin
nell’infanzia.
Alberto Savinio nasce ad Atene il 25 agosto del 1891 con il nome di battesimo di
Andrea de Chirico, terzogenito dell’ingegnere ferroviario Evaristo de Chirico e della
nobildonna genovese Gemma Cervetto. Il fratello maggiore, Giorgio, nato a Volos tre
anni prima, diventerà uno degli artisti più importanti del ‘900. A causa della professione
del padre, la famiglia de Chirico sarà costretta a continui spostamenti e il piccolo
Andrea trascorrerà la sua infanzia tra Atene e Volos. La nascita in Grecia rappresenta un
aspetto fondamentale nella vita di Savinio e il suo universo artistico vi farà costante
riferimento. Ecco allora apparire sulle tele dipinte, nelle pagine scritte, il centauro
Chirone con il suo discepolo Achille, gli Argonauti salpati alla conquista del Vello
d’oro, i Dioscuri Castore e Polluce, simbolo dell’amore fraterno. Proprio per la
peculiarità della sua vicenda biografica, il suo dialogo con l’antica Grecia si trasforma
in un costante ritorno all’infanzia:
“Il ricordo della mia infanzia, è come una sorgente di acqua poetica che irriga
tutta la mia vita. L’infanzia è veramente il tempo mitico della mia storia.”3
Vengono così a sovrapporsi il mondo mitologico della Grecia che, a livello collettivo,
rappresenta l’infanzia della cultura occidentale, e la vita del nostro poeta irrigata
costantemente dal ricordo di quegli anni. È evidente la funzione del ricordo nella
poetica saviniana. Nell’articolo “Primi saggi di filosofia delle arti” apparso sulla rivista
diretta da Mario Sbroglio “Valori Plastici” nel 1920, così si esprime Savinio a riguardo:
“La memoria è il nostro passato(…)La memoria è la nostra cultura. È
l’ordinata raccolta dei nostri pensieri. (…)dal crudo e dolorosissimo ricordo di
ciò che fu, nacque il desiderio che ciò che fu ritorni(…) Nove figlie generò
l’amore di Giove a Mnemosine. Le quali, scese che furono sulla terra, questa
ne sospirò di gioia e di consolazione. L’arte dunque è sorta dal fecondo grembo
della Memoria(…) Se la Memoria non soccorre, se l’arte non deriva dalla
Memoria, l’arte è ignobile e plebea, ristretta e piena di noia: vana come i
sogni.”4
Dunque, il nostro Orfeo, figlio di una musa, pratica la mousiké, l’arte delle
muse, che a loro volta sono le nove figlie di Mnemosyne-Memoria e di Zeus. L’arte non
può che derivare dalla Memoria, sì come Orfeo- l’artista non può che essere figlio di una
musa e nipote di Mnemosyne. Ascoltiamo Savinio ricostruire il mito di Orfeo per noi:
“Orfeo era figlio del re Olagro e della musa Calliope. Nacque in Tracia un
secolo prima della guerra di Troia. Discepolo di Lino sonava la cetra sui
vascelli dei navigatori. (…)Orfeo insegnò ai Traci suoi connazionali la musica,
la poesia, l’astronomia, la medicina, le leggi morali e religiose. Artista,
filosofo, viaggiatore, addolcì i costumi di quei popoli, e, col suono della sua
cetra, ammansava le fiere. Sposò Euridice, ma costei, morsa da un serpente,
morì. Orfeo, disperato, scese all’inferno per ritrovarla. Plutone gli consentì di
ricondurla a sé, a patto che non si voltasse indietro prima di essere ritornato
sulla terra. Orfeo violò la promessa e perdè la sua sposa per sempre.”5
Un elemento importante del mito non sottolineato da Savinio è ciò che accade a
Orfeo dopo aver perduto Euridice per la seconda volta. Virgilio ci racconta, nel quarto
libro delle Georgiche, che la disperazione di Orfeo diviene totale; il poeta si allontana
da ogni consorzio umano per continuare a vivere nel suo dolore, nei boschi (non
dimentichiamoci che Euridice era una driade, una ninfa dei boschi, appunto). Ed è in
quei boschi, in solitudine, che ogni animale, albero, pianta oppure sasso si commuove al
suono delle sue melodie. Ovidio, invece, nei libri X e XI delle Metamorfosi, è meno
drastico; la rottura di Orfeo con la società non è così netta; semplicemente smette di
cercare la compagnia delle donne e si dedica ad amori omosessuali. Ad ogni modo,
questo suo atteggiamento di isolamento dalla società scatena la furia delle Menadi che
lo uccidono, smembrandolo. È l’unica volta in cui il suo canto non riesce ad avere gli
effetti incantatori che conosciamo. Il mito non termina neanche qui, perché la sua testa
mozzata cade nelle acque del fiume Ebro e risale la corrente fino al lido di Metimna,
nell’isola di Lesbo, dove diviene oracolo e, interrogato, fornisce vaticini, fino a che
Apollo non glielo vieta. Vi è inoltre una parte della storia del nostro mitico cantore non
compresa nella versione vulgata del mito ma attestata nel periodo più antico; è la storia
di come Orfeo accompagnò gli Argonauti nel loro avventuroso viaggio alla ricerca e
alla conquista del Vello d’oro; Savinio dimostra di conoscerla assai bene. Ascoltiamo
direttamente le sue parole:
“…i suoi maggiori miracoli musicali Orfeo li compie durante la crociera della
nave Argo. Nel porto di Jolco, l’attuale Volos, città nativa di Giorgio De
Chirico, l’Argo non si staccava dall’approdo. Orfeo prende la lira, comincia a
sonare: la nave salpa. A Lenno i naviganti erano stremati di forze e coraggio.
Orfeo prende la lira, comincia a sonare: i nàuti si tirano su, pieni di forza e di
speranza. A Cizico la lira di Orfeo placa la collera di Rea; più in là clama
l’agitazione delle Simplègadi; ancora più in là rende Ecate propizia e
addormenta il drago; infine vince il canto delle Sirene e salva gli Argonauti da
una morte per manducazione (le Sirene erano antropofaghe) dal che si inferisce
che per fascinoso che fosse il canto delle Sirene, il suono della lira di Orfeo era
più fascinoso ancora.”6
Ci preme dire che, oltre a Orfeo, tra l’equipaggio della nave Argo sono presenti
anche Castore e Polluce, i Dioscuri che tanta parte avranno nella produzione poetica dei
fratelli De Chirico. Giorgio e Andrea infatti, amavano identificarsi con i Dioscuri,
simbolo dell’amore fraterno e della comunanza d’intenti. Questo è indice della profonda
affinità intellettuale che legava i due artisti. Inoltre, i continui riferimenti alle avventure
della nave Argo, stanno indubbiamente ad indicare il tema del viaggio come cifra
interpretativa tra le più importanti della poetica saviniana; viaggio come scoperta
intellettuale, come ricerca di una realtà metafisica che si colloca al di là di quella
comunemente intesa. Un ulteriore elemento da aggiungere è la figura del pastore
Aristeo, che, accecato dal desiderio, insegue Euridice e, indirettamente, è causa della
sua morte (Euridice muore per il morso velenoso del serpente, ma inciampa perché sta
fuggendo da Aristeo).
Passiamo ora alla trama dell’Orfeo Vedovo. In un salotto borghese interamente a
lutto, Orfeo, con una rivoltella in mano si dispera per la perdita di Euridice. Bussa alla
porta l’Agente dell’IRD, Istituto Ricostituzione Defunti, ma Orfeo, tutto preso com’è
dalla sua vedovanza, non se ne accorge nemmeno. L’Agente si presenta e spiega che il
compito dell’IRD è quello di restituire i defunti ai loro cari dopo l’ufficio delle pompe
funebri. Orfeo, sulle prime, crede ad uno scherzo di pessimo gusto. Cercando di
convincerlo, l’Agente spiega come questo possa avvenire grazie alla Cinecronoplastica,
una nuova scienza che riesce a cogliere le immagini dei corpi in un punto del tempo e
restituirli in un altro. Orfeo si lascia convincere ed entra in scena il macchinario
dell’IRD. Naturalmente, spiega l’Agente, si tratta di un prototipo ancora in via di
perfezionamento,
gli
scienziati
stanno
lavorando
al
modello
definitivo,
e
l’inconveniente che potrebbe verificarsi è quello di una non perfetta sincronia fra il
presente di Orfeo e quello della persona ricostituita. Dopo questa precisazione mette in
moto la macchina, non senza alcuni intoppi, ed esce di scena. Si passa così al momento
della ricostituzione di Euridice. Tuttavia, ad operazione ultimata, Orfeo si accorge che
Euridice sta parlando con qualcuno che lui non riesce a vedere… con l’Orfeo
appartenente al segmento temporale in cui Euridice è stata ricostituita! Così la scena
surreale che ci si presenta è quella di un Orfeo che vede Euridice ma non è visto da lei,
ed Euridice che vede un Orfeo a noi invisibile. Orfeo si dispera per l’indifferenza di
Euridice non riuscendo a capire di che cosa si tratti (non ha assolutamente ricollegato
quello che sta succedendo con l’avvertenza fattagli poco prima dall’Agente sul possibile
malfunzionamento della macchina). Intanto Euridice, sedutasi su un divano, si lamenta
per la noia che la divora, quando, ad un tratto, guardando l’orologio, si alza di scatto e si
dà a frenetici preparativi. Il macchinario torna a funzionare questa volta ricostituendo
l’immagine di Maurizio Mezzetti, il dattilografo di Orfeo. Segue un dialogo tra quelli
che evidentemente sono due amanti o stanno per diventarlo. Orfeo resta attonito, quando
i due, ad un certo punto, si baciano. Allora il nostro poeta impugna la rivoltella e spara,
senza naturalmente sortire alcun effetto; l’Agente cerca di spiegare ad Orfeo che le sue
pallottole non possono avere effetto sul tempo di Euridice e del suo amante. Orfeo,
tuttavia, crede che la sua rivoltella sia difettosa, e la prova su di sé sparandosi un colpo
alla tempia; così si uccide. L’Agente resta contrariato da quello a cui ha appena
assistito. Guarda disgustato i due amanti, comunque ignari di tutto, e li fa scomparire. A
questo punto cerca di ristabilire le cose com’erano prima che lui arrivasse e riesce a
restituire Orfeo al momento in cui era determinato a raggiungere Euridice suicidandosi.
Tuttavia fa calare il sipario, si rivolge al pubblico, e dichiara che il momento è solenne,
poiché quello che sta per accadere è molto di più che il ricongiungersi di due sposi; è il
Poeta che torna ad incontrare la Poesia! Fin qui l’opera.
Diverse sono le analogie e le differenze che possiamo tracciare tra il mito
classico e la rilettura saviniana. Tanto per cominciare Savinio preferisce prendere il
mito in un momento successivo alla morte di Euridice, che comunque non viene
raccontata. La catabasi di Orfeo è sostituita qui, dalla tecnologia che bussa alla porta
nella persona dell’Agente dell’IRD. Non è più Orfeo che scende agli inferi, ma la
tecnologia che riconduce a lui la sua amata. L’Orfeo-vittima del suo voltarsi indietro,
responsabile quindi del suo gesto e della seconda perdita di Euridice è sostituito da un
Orfeo- vittima della civiltà delle macchine contro cui non può nulla. Inoltre in Savinio
c’è l’elemento aggiunto al mito del tradimento di Euridice. Torna ora utile la figura cui
accennavamo prima, il pastore Aristeo. Nel mito classico Euridice non cede alla
bramosia di Aristeo; qui invece tradisce Orfeo con il suo dattilografo Maurizio
Mezzetti, un uomo qualunque, banale, come si può arguire dal suo nome. Questo, oltre
agli sfasamenti temporali di cui i protagonisti sono vittime, svela uno dei temi più cari
a Savinio: quello dell’incomunicabilità fra i coniugi, e quindi dell’illusione dell’amore.
Infine, un elemento davvero importante da sottolineare è quello dell’assenza in
Orfeo della sua caratteristica principale: il canto. Da sempre, nella storia della musica
occidentale, ciò che ha giustificato la messa in scena del mito di Orfeo, era la possibilità
di comporre e di riprodurre le bellezze del suo canto dai poteri straordinari. In Savinio,
Orfeo è ridotto ad uno scrittore, un poeta d’occasione. Tuttavia crediamo che qui si
nasconda l’intera cifra dell’opera. È Savinio stesso a parlarcene in una conversazione
tenuta alla radio presso la Rai di Roma due settimane dopo la prima dell’Orfeo Vedovo,
il 9 novembre 1950:
“La parola del poeta è propriamente la voce della sua anima. (…) Mai la voce
della mia anima aveva parlato così direttamente come in Orfeo Vedovo. (…)
Preciso: direttamente, la voce della mia anima parla nel monologo di Orfeo: e
soltanto lì.”7
È così che veniamo a scoprire quello che per Savinio non ha addirittura veli:
“Orfeo è l’uomo. L’uomo superiore. L’uomo completo: il poeta. Indovinate?
Orphèe c’est moi. E Orfeo non può fingere, non può velarsi. La sua parola,
formulata come parola, ampliata e prolungata nel canto, è direttamente
collegata alla radice. Troppo “pesante di profondità” da tollerare veli.”8
A nostro avviso, nell’identificazione di Orfeo con se stesso, crediamo che
Savinio voglia dirci di non aver affatto rinunciato alla prerogativa principale di Orfeo, il
suo canto. L’ha composto lui stesso, e allora l’opera si fa metaopera, autoreferenziale,
come l’intera produzione di Savinio, costantemente in dialogo con se stessa, in un
continuo gioco di rimandi dalle fitte pagine dei romanzi, dei racconti e degli scritti ai
dipinti e alle musiche composte.
Inoltre l’aspetto della vedovanza mette in luce una nuova prospettiva: Orfeo
vedovo di Euridice è metafora dell’artista vedovo della sua ispirazione, della Poesia.
“(…)Vedovo Orfeo non è di moglie: di quella Euridice che lo spettatore vede
sulla scena; (…)vedovo è Orfeo, vedovo momentaneo, della Poesia. Ed è in
quanto momentaneo vedovo della Poesia, e dunque momentaneamente
minorato, che Orfeo cade momentaneamente nello sciocchismo degli uomini e
della vita. Quanto alle pallottole che la sua rivoltella spara, esse non lui, Orfeo,
uccidono, ma, intorno a lui, lo sciocchismo degli uomini e della vita. A lui
anzi, Orfeo, consentono di ritrovare l’ “altra” Euridice, la vera Euridice: la
Poesia. Più esattamente il complemento di se stesso.”9
Tutto il percorso che Orfeo comp ie per riabbracciare Euridice rappresenta ad un
livello più elevato la difficile gestazione dell’opera d’arte da parte dell’artista, il suo
continuo perdere e ritrovare l’ispirazione, il suo amore. Come altrove dice Savinio:
“…Ma in fondo, in fondo in fondo, anche Euridice Orfeo l’amava
“traversamene”, e attraverso Euridice egli amava se stesso; per meglio dire
amava Euridice in se stesso. Perché Orfeo era artista. Era l’artista. E l’artista è
l’uomo solo per eccellenza. Come dice anche il suo nome che deriva dal greco
orfanos e dal latino orbus: il Solitario.”10
Ecco perché alla fine è così importante invitare il pubblico alla solennità: Orfeo
si ricongiunge alla Poesia. È l’artista che ha ritrovato se stesso.
Note
1
A.Savinio, Orfeo Vedovo, in «Corriere d’informazione» 14-15 ottobre 1950, ora in
Scritti dispersi 1943-1952, a cura di Paola Italia, Milano, Adelphi, 2004 p.1442
2
A.Savinio, Orfeo Vedovo, in Scritti dispersi 1943-1952, cit., p.1442-1443
3
A.Savinio, Segreto della montagna, in «L’illustrazione del Medico», 83, giugno
1947, ora in Scritti dispersi 1943-1952, cit., p.622
4
A.Savinio, Primi saggi di filosofia delle arti, p.III, in «Valori Plastici», 1920, n.5
5
A.Savinio, Orfeo Vedovo, in Scritti dispersi 1943-1952, cit., p.1443
6
A.Savinio, Perché Orfeo piaceva alle donne, in «Corriere d’informazione» 24-25
dicembre 1948, ora in Scritti dispersi 1943-1952, cit., p.989-990
7
A.Savinio, Parlo di Orfeo Vedovo, Conversazione radiofonica, RAI, Roma, 9
novembre 1950, ora in Scatola sonora, Torino, Einaudi, 1977, p.443
8
A.Savinio, Parlo di Orfeo Vedovo, ora in Scatola sonora, cit., p.443-444
9
A.Savinio, Parlo di Orfeo Vedovo, ora in Scatola sonora, cit., p.444
10
A.Savinio, Perché Orfeo piaceva alle donne, in Scritti dispersi 1943-1952, cit.,
p.992
1
A.Savinio, Orfeo Vedovo, in «Corriere d’informazione» 14-15 ottobre 1950, ora in
Scritti dispersi 1943-1952, a cura di Paola Italia, Milano, Adelphi, 2004 p.1442
2
A.Savinio, Orfeo Vedovo, in Scritti dispersi 1943-1952, cit., p.1442-1443
3
A.Savinio, Segreto della montagna, in «L’illustrazione del Medico», 83, giugno
1947, ora in Scritti dispersi 1943-1952, cit., p.622
4
A.Savinio, Primi saggi di filosofia delle arti, p.III, in «Valori Plastici», 1920, n.5
5
A.Savinio, Orfeo Vedovo, in Scritti dispersi 1943-1952, cit., p.1443
6
A.Savinio, Perché Orfeo piaceva alle donne, in «Corriere d’informazione» 24-25
dicembre 1948, ora in Scritti dispersi 1943-1952, cit., p.989-990
7
A.Savinio, Parlo di Orfeo Vedovo, Conversazione radiofonica, RAI, Ro ma, 9
novembre 1950, ora in Scatola sonora, Torino, Einaudi, 1977, p.443
8
A.Savinio, Parlo di Orfeo Vedovo, ora in Scatola sonora, cit., p.443-444
9
A.Savinio, Parlo di Orfeo Vedovo, ora in Scatola sonora, cit., p.444
10
A.Savinio, Perché Orfeo piaceva alle donne, in Scritti dispersi 1943-1952, cit.,
p.992