Recordando el pasado... Escribiendo el futuro

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Recordando el pasado... Escribiendo el futuro
“ Premessa”
“Usted preguntara por qué cantamos
Cantamos porque el río está sonando
Y cuando suena el río/suena el río
Cantamos porque el cruel no tiene nombre
Y en cambio tiene nombre su destino
Cantamos porque el niño y porque todo
Y porque algún futuro y porque el pueblo
Cantamos porque los sobrevivientes
Y nuestros muertos quieren que cantemos.”
(Mario Benedetti)
Nelle mie riflessioni sui paradossi della storia argentina le fonti scritte non sempre riuscivano a soddisfare la mia curiosità e in alcuni casi non rispondevano ai quesiti che mi ponevo di
volta in volta. Il Cinema è complesso, profondo ed intuitivo, per cui non può essere suddiviso in
tradizionali categorie “cartesiane”. Ogni film è un insieme di argomenti politici, culturali e mentali. Ma grazie a queste caratteristiche riesce a penetrare nelle complessità della vita umana, trasmettendoci immagini di realtà sconosciute, negate o rimosse.
Secondo Marc Ferro1 il cinema come documento è riuscito a vincere la sfida di scrivere la
storia. In realtà ha contribuito alla formazione di una “contro-storia” di carattere non ufficiale;
lontana dagli archivi scritti, che spesso non sono nient’altro che la memoria conservata dalle istituzioni di una nazione. Inoltre racconta spesso la storia dei vinti, di coloro che non avevano
voce; trasformandosi così in un agente della storia che aiuta a far prendere coscienza alla società, che a sua volta, oltre a captare, produce questi messaggi. È una specie di giochi degli specchi dove il film non è solo un documento, ma a volte “crea” il fatto stesso, che precedentemente era stato ignorato da tutti. Il cinema produce l’effetto di disorganizzare tutto ciò che molte
generazioni di uomini di Stato e pensatori erano riusciti a ordinare in modo equilibrato; esso
distrugge l’immagine che ogni istituzione o individuo, riflettono sulla società. Attraverso l’occhio delle cineprese, svela i segreti, mostrando il volto nascosto della società: In particolare i fallimenti e le contraddizioni, attaccando le proprie strutture. Con una semplice immagine, la musica o il pianto di una bambina, provoca una reazione talmente profonda da realizzare una controanalisi della società stessa, che dimentica persino le proprie radici. Inoltre il cinema dispone
1. Ferro 1995: 31.
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di un certo numero di forme di espressione che non sono una mera trasposizione dei testi scritti,
ma hanno un valore specifico. In questo senso come afferma Robert Rosenstone2, le regole per
valutare un film non possono provenire solo dal mondo letterario, ma hanno origine nel cinema
stesso; nelle proprie strutture e regole, che successivamente analizza attraverso le interazioni con
il passato. Perciò non può essere percepito mediante le parole, ma bisogna captare l’emozioni che
trasmette. In risposta a ciò i detrattori lo accusano di mancare di rigore scientifico. Ma altri studiosi, dei veri pionieri come lo storico francese Marc Ferro, trovano nella “settima arte”, una
fonte fidabile e valida che permette di spiegare il senso delle azioni sociali in contesti storici precisi: “Non bisogna cercare nelle immagini solo la conferma o la smentita delle fonti scritte, ma
vanno considerate per quello che trasmettono. Naturalmente ciò non impedisce il ricorso ad altre
discipline ogni volta che aiuti la comprensione dei fatti”3. Ciò dimostra ampiamente che l’integrazione fra il cinema e le altre fonti storiche, permettono di avere un quadro maggiore ed esauriente riguardo la materia presa in considerazione. In questo modo si ha la possibilità di analizzare i film non come opere d’arte, ma come un insieme di “immagini oggetto”. Cioè immagini
che vanno oltre lo stesso significato cinematografico. Immagini che permettono la relazione col
contesto socio-storico analizzato. Per procedere in questa direzione non è neanche necessario
considerare l’insieme dell’opera, ma ci si può basare su alcuni frammenti e stabilire relazioni fra
i diversi titoli. Inoltre l’analisi non si limita al solo film, ma prende in considerazione il “momento storico” che lo circonda e con il quale è relazionato. I film ci avvicinano in modo diretto e più
efficace rispetto ai libri, rendendoci partecipi delle vite e situazioni di altre epoche. Le immagini
del grande schermo, insieme ai dialoghi e i suoni in generale, ci coinvolgono catturando i nostri
sensi. “È impossibile rimanere distanti dalla narrazione e nel cinema siamo per ore affascinati e
coinvolti dalle storie”.4
Perciò è doveroso che il mio primo ringraziamento sia rivolto al pubblico che con grande sensibilità mi ha incoraggiato e sostenuto durante questo lungo percorso della memoria tra cinema e
storia! Insieme ad Alejandro Angelica, Marcela Gomez e Veronica Boragno abbiamo realizzato
questo primo atto facente parte di un progetto socio- culturale che vuole rinnovare l’antico legame tra l’Italia e l’Argentina attraverso le problematiche e le sfide che ci riservano questo
Ventunesimo Secolo.
Metafore, surrealismo, realismo, ironia, grottesco, umorismo nero, esilio, ricerca dell’identità, sia
individuale che collettiva, politica, economia, giustizia e, problemi sociali, sono i principali argomenti che hanno composto questa selezione di pellicole che raccontano la storia argentina in tutte
le possibili sfaccettature. Per queste ragioni abbiamo presentato uno spaccato degli ultimi trentacinque anni della storia argentina attraverso il linguaggio cinematografico. Infatti il cinema
argentino conta con una lunga e ricchissima storia nata nel 1897 e che annovera fra i propri registi grandi Maestri come Fernando Birri, Fernando “Pino” Solanas e Juan José Campanella recente vincitore del Premio Oscar al miglior film straniero con El Secreto de sus ojos (Il Segreto dei
suoi occhi).
2. Rosenstone 1997: 22.
3. Ferro 1995: 37.
4. Rosenstone 1997: 31.
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Con Kamchatka abbiamo affrontato il dramma dei desaparecidos attraverso lo sguardo tenero
e curioso di un bambino; Con Cómplices del Silencio abbiamo ricordato il perverso intreccio tra
i Mondiali di Calcio del 1978 e la repressione militare sullo sfondo di una storia d’amore che
oltre la morte ci lascia una concreta speranza di vita; alla seconda proiezione fece seguito il
documentario Nietos (Identidad y Memoria) riguardante il ritrovamento della vera identità da
parte dei figli dei desaparecidos rubati e “appropriati” dagli aguzzini dei propri genitori e cercati tuttora dalle Nonne di Piazza di Maggio; Nel quarto appuntamento con la Próxima Estación
abbiamo rilevato le drammatiche conseguenze delle privatizzazioni indiscriminate dettate da
ricette neoliberali che hanno messo in ginocchio l’economia argentina e in particolare il proprio
trasporto pubblico. La distruzione del sistema produttivo e la disgregazione sociale furono sicuramente il disegno finale dell’orrore della dittatura proseguiti anche in democrazia da governi
incapaci e/o corrotti che hanno tradito la fiducia dei propri cittadini. Perciò nel quinto appuntamento con Il Giro della Città, documentario della tournée argentina dello spettacolo Gente come
Uno e alla presenza dell’attore e protagonista Manuel Ferreira, daremo ampio spazio alla voglia
di riscossa dell’Argentina e alle iniziative dei propri cittadini per rifondare un paese che con la
crisi del 2001 sembrava irrimediabilmente alla deriva. Inoltre numerose sono le analogie con
l’Italia non solo per gli antichi vincoli di sangue (più della metà della popolazione argentina è di
origine italiana), ma perché l’attuale crisi economica e di valori che colpisce il mondo intero può
trovare spiegazione e conseguentemente un concreto esempio di speranza e fiducia nel futuro,
nel caso argentino che tristemente per anni è stato il “laboratorio d’occidente” attraverso l’applicazione di ricette economiche che avevano portato alla rovina un paese ricco di risorse materiali e umane, e con delle potenzialità enormi per l’avvenire.
Dal 2003 con la presidenza di Néstor Kirchner (recentemente scomparso) proseguita dall’attuale Presidentessa Cristina Fernández de Kirchner l’Argentina è rinata dando vita a un nuovo
corso politico basato sul recupero della Memoria e sulla tutela e conservazione dei Diritti Umani,
su una maggiore giustizia sociale e una più equa ridistribuzione della ricchezza, sulla valorizzazione delle proprie potenzialità produttive in ogni campo, e su di una ritrovata e approfondita
unità latinoamericana mai vista sin dai tempi dell’indipendenza e della nascita dei paesi del
Nuovo Continente.
Nell’anno del primo Bicentenario della storia della Repubblica Argentina, il Grupo Cultural
Sos Argentino e l’Associazione Culturale Le Ali del Condor con grande passione e attraverso il
Ciclo Cinematografico “Memorias del Silencio”, si sono impegnati nel recupero della memoria e dell’identità da tramandare alle nuove generazioni intorno alla storia recente di questo contraddittorio ed affascinante paese. Poiché come diceva Indro Montanelli “un popolo che ignora
il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente!” È quindi necessario proseguire su
questo lungo e tortuoso percorso “recordando el pasado...........escribiendo el futuro!!”
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“Recordando el Pasado........Escribiendo el Futuro”
“Los viejos amores que no están,
la ilusión de los que perdieron,
todas las promesas que se van,
Y los que en cualquier guerra
se cayeron.
Todo está guardado en la memoria
sueño de la vida y de la historia”
(León Gieco)
“Todo está guardado en la memoria, sueño de la vida y de la historia” (tutto è racchiuso nella
memoria, sogno della vita e della storia); come un’autentica colonna sonora, non ci potevano
essere versi migliori che quelli del cantautore argentino León Gieco per rappresentare lo straordinario evento del 24 marzo 2004. In quel giorno è stato compiuto un passo fondamentale per il
recupero della memoria nella Repubblica Argentina. Con l’inaugurazione del Museo della
Memoria nella vecchia sede dell’Esma (Escuela de Mecánica de la Armada), il campo di concentramento più grande di tutta l’America Latina, si è compiuto un passo straordinario a favore
dell’affermazione della giustizia e al tempo stesso sorprendente, se pensiamo alle misure politiche dei governi democratici che promulgarono leggi di indulti in nome della riconciliazione
nazionale.
Quel giorno, in cui si commemoravano i ventotto anni del golpe militare, si respirò finalmente, aria di giustizia. Soprattutto per coloro che subirono torture, l’esilio o morti orrende,
durante la peggiore e terribile dittatura che governò l’Argentina nel ventesimo secolo. I militari
si erano abituati a detenere il potere talmente tanto, che conoscevano meglio la Casa Rosada
(sede del governo), che le proprie caserme! E le conseguenze a livello politico, economico e
sociale, sembrano essere eterne. Essi lasciarono un paese in ginocchio, caratterizzato da un debito estero dalle dimensioni astronomiche e con una profonda ferita aperta nella dimensione morale. Ferita rappresentata dai trentamila desaparecidos, dalle migliaia di esiliati e dal furto di bambini e neonati, strappati alle proprie mamme e famiglie. Parafrasando il testo della scrittrice e
giornalista argentina María Seoane ? Argentina paesi dei paradossi ? possiamo tranquillamente
affermare che sotto ogni punto di vista è uno dei paesi più contraddittori al mondo. Infatti ad un
paese potenzialmente ricco, considerato una volta “il granaio del mondo”, si contrappone la triste realtà di larghe masse di popolazione povere che sono aumentate vertiginosamente dopo la
crisi dell’anno 2001. Le immagini dei “Cacerolazos” (marcia delle casseruole) fecero il giro del
mondo, impressionando sia i paesi più sviluppati che quelli sottosviluppati. Molti parlarono di
un crack economico-finanziario, ma pochi capirono e tuttora capiscono che non fu altro che il
risultato finale di decenni di crisi e disastri che periodicamente si sono ripetuti nella storia argentina sin dal 6 settembre del 1930. In quel giorno ci fu il primo colpo di Stato, che depose l’anziano presidente, Hipólito Irigoyen. L’Argentina dell’inizio del secolo scorso era un paese pro-4-
spero e in via di sviluppo che rappresentava la speranza di immigrati di tutto il mondo. Più di
cento nazionalità si contavano fra queste genti a cui si aprivano nuove e interessanti prospettive. Buenos Aires era considerata la “Parigi del Sud” e per lo straordinario sviluppo e crescita di
quei tempi lo era per davvero. Da quel momento l’Argentina divenne il paese più “europeo”
dell’America Latina e come è facile supporre e constatare, dall’Europa ha ereditato pregi e
difetti, moltiplicandoli a dismisura. Il commercio con l’Europa e soprattutto con la Gran
Bretagna garantiva capitali e investimenti in infrastrutture. Il paese esportava principalmente
materie prime e semilavorati. Per non parlare della carne, tuttora la punta di diamante delle
esportazioni argentine. Ciò consentì un rapido sviluppo delle principali città. Basti pensare che
Buenos Aires nel 1913 contava la prima linea metropolitana dell’America Latina e molto prima
di tanti paesi europei. A Milano verrà costruita soltanto nei primi anni Sessanta. L’aristocrazia
latifondista, la Chiesa tradizionalista e l’Esercito sanguinario, furono la “triade” che congiurarono e deposero tante volte i presidenti eletti democraticamente. L’obiettivo era quello di conservare il potere acquisito sin dall’Indipendenza avvenuta nel 1816, che favoriva i diritti di
pochi a scapito degli obblighi della maggioranza. Nel Novecento con l’arrivo di tanti immigrati (in maggioranza italiani e spagnoli) e la formazione di una forte classe media gli equilibri
mutarono e ogni qualvolta si minavano i poteri della triade, la reazione non si faceva attendere. E venne perpetuata in modo brutale, antidemocratico e in definitiva disastroso per tutti. A
tutto ciò dobbiamo aggiungere dagli anni Sessanta, le sfortunate congiunture internazionali dettate dallo scontro Est-Ovest e l’influenza del capitale finanziario internazionale, rappresentato
principalmente dalle imprese multinazionali. A partire dal 1976, il processo di deindustrializzazione e di indebitamento estero, sommato all’eccidio, all’esilio e all’imprigionamento di migliaia di argentini, al sacrificio di un’altra generazione nell’avventura militare della guerra per le
isole Malvinas (Falkland) nel 1982, alla repressione selvaggia contro la cultura e la formazione, e alla fuga di cervelli, costruirono la base della tragedia che approdò, nel giro di tre decenni, alla decadenza che oggi il mondo guarda con preoccupazione. Si potrebbe dire che
l’Argentina per le caratteristiche citate in precedenza rappresenta una specie di laboratorio del
mondo occidentale, dove è possibile sperimentare in modo integrale qualsiasi tipo di ricetta da
implementare eventualmente nel Primo Mondo.
Negli anni Novanta con l’arrivo di Carlos Menem al potere si compì la liquidazione finale
per completare l’opera iniziata dalla dittatura. Sotto l’ombrello ideologico del pragmatismo, del
neoliberalismo e delle riforme di mercato, il governo corrotto di Menem, svendette il patrimonio nazionale a prezzo irrisorio e in tempo record, portando all’anomia una società che era candidata al boom dei consumi e a un presunto ingresso nel Primo Mondo. L’Argentina arrivò persino ad alienare il petrolio e tutte le imprese dell’energia, delle telecomunicazioni e dei servizi. L’ultimo decennio del secolo scorso comportò alla fine, un allargamento mai conosciuto
prima del divario fra poveri e ricchi, che raggiunse il livello di quasi 1 a 40, e l’accumulo del
maggior debito estero della storia.
Tutto ciò non poteva che portare all’esplosione del modello economico imposto col fuoco e
col sangue dalla dittatura del 1976, e proseguito dai governi democratici che succedettero a essa,
nel dicembre del 2001. I notiziari di tutto il pianeta mostrarono dai teleschermi la ribellione soprattutto del ceto medio urbano e la repressione che questa volta costò trenta morti e quattrocento feriti. In effetti con il corralito, confisca dei depositi bancari dei piccoli risparmiatori a favore delle
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banche private, in maggioranza straniere, dettate dal ministro dell’economia Domingo Cavallo,
oltre 45 mila milioni di dollari venivano sottratti agli argentini; i Cacerolazos e le marce dei
Piqueteros, furono la rabbia espressa dalla maggioranza di un popolo ancora una volta truffato.
Tra il 2001 e il 2002 l’Argentina ebbe cinque presidenti in una settimana: Fernando de la
Rúa, Ramón Puerta, Adolfo Rodríguez Saá, Eduardo Camaño ed Eduardo Duhalde. E come conseguenza finale dichiarò il fallimento più clamoroso della storia del capitalismo moderno. La
svalutazione selvaggia del peso del 300 per cento significò il passaggio dalla povertà all’indigenza di quasi otto milioni di persone. E come storicamente successe altre volte, a trarre vantaggi dalla svalutazione furono i grandi esportatori legati alle attività dei campi. Gli stessi che
appoggiarono sempre i golpe militari.
Sono passati ormai più di trent’anni da quel 24 marzo del 1976 in cui ci fu Colpo di Stato in
Argentina, da parte dei militari che s’impadronirono del potere e dettero vita alla più crudele e
terribile dittatura a cui dettero il nome di “Processo di Riorganizzazione Nazionale”.
Terrorismo di Stato, sequestri di persone, torture di ogni genere e la sparizione forzata di
esseri umani, furono i tratti più salienti della ferocia dei golpisti. Presto la tragedia dei desaparecidos fece il giro del mondo e le persone scomparse nel 1983 alla fine della dittatura, erano più
di trentamila! Soprattutto giovani e operai, considerati pericolosi e sovversivi per le loro idee
progressiste e il loro impegno sociale e politico per un futuro migliore. Ciò provocò la reazione
dei ceti conservatori (proprietari terrieri, alta borghesia, clero, forze armate) e la loro risposta si
tradusse nella più grande tragedia socio-politica e umana dell’intera storia della Repubblica
Argentina. Un’intera generazione è stata spazzata via per aver semplicemente commesso il peggiore dei peccati dei tempi moderni: pensare ed agire per il bene di tutti!
Per descrivere le crudeltà commesse dai militari ci vorrebbe l’inferno Dantesco! Ma forse
neanche il Sommo Poeta poteva immaginare tanta disumanità verso i propri simili: scariche elettriche ad alto voltaggio prodotte con la famigerata picana eléctrica, specialmente nelle parti più
delicate del corpo (genitali, capezzoli, orecchie, testicoli), ustioni prodotte da accendini o piccoli lanciafiamme, rotture di ossa del corpo, ferimento con spilli, pestaggio a sangue delle vittime.
E poi ancora l’immersione del viso in escrementi fino al soffocamento, corpi appesi a testa in
giù a tempo indefinito, torture inflitte alla vista dei parenti, quindi stupri e pestaggi! Infine veniva applicata la tortura psicologica, ovvero il far stare le vittime bendate per parecchi mesi senza
far sapere nulla della loro sorte. La maggioranza morì tragicamente attraverso la procedura dei
voli della morte, che fecero non meno di tremila vittime (i desaparecidos venivano narcotizzati
e gettati vivi nelle acque dell’Oceano Atlantico).
Ma il delitto peggiore è stato senza alcun dubbio la sottrazione e appropriazione forzata di
minori. E ciò rende assolutamente singolare il caso del genocidio argentino perché a differenza
di altri casi della storia contemporanea (ebrei, armeni), non si propose di eliminare un’etnia, ma
di sopprimere la vita dei genitori, conservando quella dei figli per poterli “modificare e riprogrammare” secondo la loro mentalità e visione del mondo. Si cancella quindi, l’identità naturale dell’individuo per sostituirla con un’altra artificiale, forzata e gradita al potere. La menzogna
trionfa sulla verità e con un tratto di penna vengono cancellate la memoria e le radici del soggetto. Inoltre è un processo fondamentale per il trionfo dei reazionari. In questo modo si assicurano di evitare vendette future e al tempo stesso purificando la propria anima, scambiando l’uccisione dei genitori con l’amore morboso riservato ai bambini. In questo senso gli attori in causa
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sono diversi: i carnefici, gli “appropriatori”, i medici crudeli diretti discendenti di Joseph
Mengele, i sacerdoti e le alte gerarchie della Chiesa argentina che benedirono questi atti, apportando addirittura conforto spirituale a chi commetteva questi crimini (“bisognava separare l’erba cattiva da quella buona e i militari erano la spada del Signore!”).
Mentre i sequestri, le sparizioni, i parti in cattività e le sottrazioni dei minori si susseguivano
(si calcola che fra nascituri e bambini piccoli siano cinquecento gli scomparsi) con la complicità
passiva della maggioranza della popolazione impaurita, soltanto un gruppo di donne disperate
osarono sfidare il potere assoluto dei signori della vita e della morte: nascevano cosi, il 30 aprile del 1977, le Madri di Plaza de Mayo. Il coraggio di una decina di donne si trasformò nella lotta
di centinaia nella ricerca quotidiana e instancabile dei loro cari. E non ebbero paura neanche
quando i militari rapirono e fecero sparire tre di loro tra cui la fondatrice Azucena Villaflor.
Alcune di loro avevano o immaginavano di avere dei nipotini, e temendo o venendo a conoscenza della fine terribile dei loro figli, iniziarono a cercare per mare e monti il sangue del loro
sangue: nascevano cosi, il 30 novembre del 1977, le Abuelas de Plaza de Mayo o semplicemente Abuelas (Nonne).
Per lunghi anni e a rischio della propria vita, ma con una costanza e una determinazione ineguagliabile, si batterono e continuano a battersi per conoscere il destino dei loro nipoti rubati e
consegnati a falsi genitori.
Grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, agli indizi ritrovati e alle confessioni di alcuni
collaboratori, sin dal 1983 con la fine della dittatura ci furono i primi ricongiungimenti con le
famiglie di origine. A tale proposito un’opera molto importante è stata svolta dalla CONADEP,
cioè la Commissione Nazionale sui Desaparecidos che ha raccolto ed elencato il maggior numero di informazioni possibili sui sette folli anni della dittatura militare (tale Commissione presieduta dallo scrittore Ernesto Sábato che nel testo finale Nunca Más/Mai Più, elencò i nomi delle
vittime, i metodi di eliminazione nei centri clandestini, la nascita e appropriazione dei neonati,
facendo luce su sette anni di dittatura, durante i quali le tenebre della menzogna e del mistero
avevano occultato ogni traccia).
Al principio erano in dodici, come gli apostoli, avrebbe detto chi gli vuol bene. Ai tavoli dei
caffè di Buenos Aires, da Richmond, da Tortoni, nella stazione di Retiro, vestendo il meglio del
guardaroba, nascondevano il fine della riunione conversando con voce discreta, come signore
della media borghesia porteña - (dalla parola “porto”, puerto, è l’abitante di Buenos Aires, n.d.r.)
– Specialmente al telefono, rispettando un codice fatto di sinonimi delicati: i nipotini diventavano “gli animaletti”, le figlie “le ragazzine”, loro, le nonne, “le vecchiette”».
Questa è la genesi del movimento che dagli anni ottanta in poi conterà un numero sempre crescente di adesioni: il movimento delle “Nonne”, “le Abuelas di Plaza de Mayo”.
Come ricorda una delle dodici, Raquel Radio de Marizcurrena, “Il primo giovedì che andammo
anche noi a Plaza de Mayo marciavamo dietro uno striscione che recava la foto delle giovani
sequestrate mentre erano incinte e, scritta con i caratteri più evidenti, la nostra denominazione
originaria: Abuelas argentinas con nietos desaparecidos, nonne argentine di nipoti scomparsi”.
Dalla nascita spontanea del movimento delle Abuelas che tuttora si ritrova ogni giovedì nello
stesso luogo, ovvero la Plaza de Mayo (di fronte alla Casa Rosada, ossia il palazzo del governo)
numerosissimi sono stati i problemi che si sono presentati nella ricerca continua e incessante dei
desaparecidos.
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È possibile distinguere due classi diverse di desaparecidos: quelle propriamente dette dei figli
torturati e scomparsi e quella dei nipoti cresciuti in gran segreto da famiglie sconosciute.
E così come cresceva gradualmente la consapevolezza che l’impossibilità di rivedere i propri
figli, torturati e uccisi dai dittatori nelle prigioni argentine, fosse un sogno sempre più lontano
cresceva pari passo nelle Nonne la speranza di rivedere i loro nipoti, anch’essi scomparsi e cresciuti da famiglie inventate, le quali spesso nascondevano la verità agli occhi dei loro figli rapiti in nome di un legame fittizio.
Diverse difficoltà si riscontravano anche nel riconoscimento effettivo dei “nuovi hijos”.
Spesso, infatti, gli stessi nipoti si rifiutavano di accettare l’idea di essere stati cresciuti dagli
assassini dei loro reali genitori e non volevano tornare alle famiglie d’origine, famiglie che non
avevano mai conosciuto e che facevano parte di una vita mai vissuta.
Tuttavia il problema maggiore che si presentava era di natura puramente genetica.
Prima di vent’anni fa, infatti, non era possibile verificare un’effettiva parentela se non sulla base
di supposizioni, ma dall’inizio degli anni ottanta i progressi realizzati nello studio del DNA permettono di accertare con relativa sicurezza i legami genetici tra genitori e figli.
La storia di queste conquiste mediche fa ancora una volta capo al movimento delle Abuelas che
sin dal 1982 cominciarono a fare pressioni in questo senso e dopo un passaparola infinito la voce
giunse alla dottoressa Mary-Claire King che si incontrò con Estela Carlotto (presidente dell’associazione delle Abuelas de Plaza de Mayo) a Berkeley (USA).
La dottoressa aveva intuito, assieme ad altri scienziati, la possibilità di effettuare un particolare
test genetico il cui nome è entrato nel comune linguaggio scientifico spagnolo come “indice di
abuelismo” (nonnità) e che stabilisce la discendenza materna di una persona.
«La genetica umana», osserva il professor Victor B. Penchaszadeh (docente dell’Albert Einstein
College of Medicine che nel 1975 era dovuto fuggire da Buenos Aires per scampare a uno squadrone della morte) «ha saputo rispondere alla richiesta di una realtà sociale drammatica. Le analisi realizzate col massimo rigore possono servire a compensare le ingiustizie commesse durante la dittatura militare. Accertare l’origine dei bambini che furono rubati, porli in una relazione
positiva con le famiglie biologiche, vuol dire restituire i diritti fondamentali della loro identità,
della loro storia».
Da allora molti ospedali argentini si sono attrezzati per effettuare questi tipi di esami ed è nato
una Banca nazionale di dati genetici a cui possono ricorrere i tribunali in caso di conflitti relativi a problemi di filiazione.
«È impossibile» sostiene Estela Carlotto «prevedere quando l’ultimo dei nostri nipoti conoscerla sua autentica identità. Quel giorno ci sarà più nessuna di noi. Ma lui, che magari avrà ormai
cinquant’anni, potrà scoprire dal sangue suo e da quello della nonna chi fu la sua vera mamma».
Nel 1992 per portare avanti questo progetto venne creata la CONADI (Commissione Nazionale
per il Diritto all’Identità). I suoi obiettivi sono la ricerca e localizzazione dei bambini scomparsi durante l’ultima dittatura militare in Argentina e contemporaneamente vigilare il rispetto degli
articoli 7,8 e 11 della Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia. E’ presente in trenta
città argentine e sono state create diverse sedi in Spagna e dalla scorsa primavera anche in Italia.
Con la recente immigrazione argentina è possibile che figli di desaparecidos ormai trentenni si
trovino in Europa senza ancora conoscere la loro vera identità. Numerose associazioni affiancano le ambasciate e i consolati formando una vera e propria rete per l’identità. La CONADI è pre-8-
sieduta da Claudia Carlotto (figlia di Estela e sorella della desaparecida e barbaramente uccisa,
Laura Carlotto). Chiunque dubiti della propria identità può chiamare allo 011.4864.3475, cioè
al numero delle Abuelas che immediatamente metteranno in modo informale il soggetto nelle
condizioni di verificare se sono fondati i propri dubbi. Finora sono stati ritrovati 102 individui
tra bambini nei primi casi e anche adulti negli ultimi che risalgono a pochi mesi fa.
Successivamente ci furono serie difficoltà in seguito alle Leggi di Punto Finale e Obbedienza
Dovuta del 1986-87 promulgati dal Presidente Raúl Alfonsín e agli indulti dei primi anni
Novanta decisi dal Presidente Carlos Menem in seguito alle rivolte di alcuni settori militari, che
minacciavano un nuovo golpe. Con queste misure si garantì l’impunità ai repressori e di conseguenza veniva insabbiata ogni ricerca da parte di una giustizia spesso complice del potere o
comunque spogliata di ogni strumento per perseguire tali reati.
Il 20 dicembre 1996 l’azione legale ripartì con l’unico reato non contemplato dai vari indulti: la sottrazione, appropriazione e adozione illegale di minori! In questo modo furono arrestati e
incriminati nuovamente decine di militari. Dalle cupole militari come i dittatori Videla, Massera
e Galtieri ai vari quadri e forze paramilitari collaborazioniste con la messa in opera di questo
scempio. Ma dal 2004 e con la presidenza di Néstor Kirchner (proseguito dal 2007 dalla
Presidente Cristina Fernández de Kirchner) l’Argentina ha preso un nuovo corso a favore dei
diritti umani. Sono state annullate tutte le leggi che garantivano l’impunità ai repressori, alcuni
sono stati condannati e quasi duecento di loro sono in attesa di giudizio e comunque in stato d’arresto. L’Esma è stata trasformata nel Museo della Memoria e gestito dalle stesse Madri e Nonne
perché nessuno dimentichi mai questa pagina orrenda della storia argentina che nei primi vent’anni di democrazia si è cercata di dimenticare per sempre. Ma la crisi socio-economica del 2001
culminata con il default e le proteste di piazza (cacerolazos) trasmesse da tutte le televisioni del
mondo, dimostrarono ancora una volta che le conseguenze ad ogni livello e le ferite inflitte dalla
dittatura, sono più aperte che mai e che la strada della giustizia è ancora tutta da percorrere.
In questo senso vanno ricordate due sentenze storiche di fondamentale importanza nella costruzione e conservazione della memoria. La prima del 9 dicembre 1985 in cui la Corte presieduta dal
giudice argentino León Arslanián condannò le giunte militari per il piano criminale realizzato e
rifiutando come incostituzionale la stessa legge di amnistia decretata dai repressori in vista di
futuri giudizi. È stato il primo grande processo contro dei comandanti militari per omicidi di
massa successivo al processo di Norimberga. Nel secondo caso ci riferiamo alla sentenza del 6
dicembre 2000 pronunciata dalla Seconda Corte d’Assise di Roma in cui si condannarono diversi imputati all’ergastolo tra cui i generali Santiago Riveros e Carlos Guillermo Suárez Mason sia
per i crimini commessi, che per l’appropriazione e adozione illegale di minori come nel caso del
nipotino della stessa presidente delle Abuelas, Estela de Carlotto, non ancora ritrovato. In questo
modo l’intera comunità internazionale è rimasta coinvolta in questa vicenda umana che non è solo
argentina perché coinvolge diverse nazionalità e analoghi processi si sono tenuti in Francia,
Spagna e Svezia. E la stessa Corte Penale Internazionale è oggi diretta dal Procuratore Generale
Luis Moreno Ocampo, argentino e pubblico ministero nel primo processo alle giunte del 1985.
Il lavoro arduo e costante delle Madri e Nonne, la testimonianza dei sopravvissuti, la divulgazione della verità da parte degli esiliati e l’interesse internazionale mantengono più che mai
viva questa “memoria ostinata”, parafrasando il testo di Benedetta Calandra. Una memoria ostinata che continua a superare dure prove contro i tentativi ripetuti di essere cancellata dall’oblio.
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Se negli anni Ottanta furono la situazione economica e le pressioni dei militari ad archiviare i ricordi, nel decennio successivo, il pragmatismo neoliberale e le politiche economiche del
duo Menem ? Cavallo, causarono un disinteresse generale verso i diritti umani. Fortunatamente
sempre rimane “un guardiano della memoria”; e questo compito è stato svolto in maniera impeccabile dal Cinema, coadiuvato dal Teatro, la Letteratura e la Musica.
La ricostruzione della memoria ha attraversato un cammino lungo e tortuoso che ancora percorre contro la volontà del Processo di Riorganizzazione Nazionale di cancellare persino il minimo ricordo del passato. Inoltre la società spesso preferisce sanare le proprie ferite narcisiste attraverso l’oblio o l’amnesia collettiva: “meglio non ricordare ciò che è successo”. Cosicché la formazione di un’identità che riconosca le dimensioni totalitarie e oppressive del Processo, diventa un
lavoro doloroso, ma necessario, poiché come afferma Eduardo Galeano “non c’è bisogno di essere Freud per sapere che non esiste tappeto che possa nascondere i rifiuti della memoria!”. E la
memoria è il miglior antidoto contro qualsiasi forma di ubbidienza dovuta. Forse i risultati non si
raggiungono immediatamente e richiedono molti anni di lotta, ma come dimostrano la creazione
del Museo della Memoria, l’incarcerazione di centinaia di repressori e i primi pentimenti di alcuni, prima o poi la giustizia trionfa e la luce della verità si fa strada tra le tenebre della menzogna.
Il lavoro inesauribile delle Madri e Nonne della Plaza de Mayo, degli H.I.J.O.S. (Figli per
l’Identità e la Giustizia, contro l’Oblio e il Silenzio) e di tutte le organizzazioni a favore dei diritti
umani, ha preservato la memoria nei terribili anni della dittatura e nella nefasta decade “menemista”, in cui il pragmatismo neoliberale non dava spazio ad un passato che molti preferivano dimenticare per non confrontarsi con una realtà che paradossalmente è conseguenza del passato stesso.
In questo senso non possiamo dimenticare il contributo sistematico fornito al dibattito latinoamericano dalla studiosa della sociologia della memoria, Elizabeth Jelin. In una prima fase,
attraverso una riflessione sul ruolo svolto dai movimenti dei familiari degli scomparsi, in chiave di denuncia e provocazione civile durante la dittatura, e di attivi “custodi della memoria”,
dopo la transizione democratica. Successivamente si è fatta carico di una vasta opera di raccolta e sistematizzazione di studi, raccolti nella collana Memorias de la Represión, all’interno della
quale si ricordano ad esempio analisi sulla costruzione dei “luoghi della memoria”, centrati sul
nesso tra utilizzazione dello spazio pubblico e costruzione di identità collettiva.
Mario Benedetti ha scritto il poema titolato, “Un giorno tutti gli elefanti si riuniranno per
dimenticare. Tutti tranne uno”. Nel nostro caso il primo è stato il capitano Adolfo Francisco
Scilingo, che nel 1995, assalito dai rimorsi, confessò di essere stato protagonista dei famigerati
voli della morte, causando un grande scandalo nell’Argentina di quel tempo (nel 2005 è stato
condannato a 640 anni di carcere da un tribunale di Madrid). Dieci anni dopo è stato il turno del
tenente-colonnello Bruno La borda. Si dimostra così che sempre ci sarà un elefante che non sopporterà la pressione della propria coscienza e racconterà la verità.
E dice ancora Benedetti: “la paura e l’oblio sono antidemocratici! Perché l’oblio nasconde
la memoria, che spinge per mostrare al mondo quanto il primo sia inutile, ipocrita e perverso. La
memoria è così importante, che anche se rimane un solo elefante che ricordi, può persino cambiare la storia di un’intera nazione!”.
La conferma è data dalle prime condanne nei confronti di sinistri personaggi come i repressori Miguel Etchecolatz, Julio “el turco” Simon e del primo prete collaborazionista e torturatore, Christian Von Wernich. Purtroppo il “partito golpista” è ancora vivo e vegeto, in grado di tra- 10 -
mare e produrre atti come la sparizione del principale testimone del “caso Etchecolatz”, Jorge
Julio López. Quest’ultimo dopo essere stato desaparecido, dal 1976 al 1979, è misteriosamente
scomparso dal settembre 2006, dopo la condanna dei suoi repressori. Molte sono le ipotesi al
riguardo, dallo shock traumatico dovuto all’emozione del processo, all’assassinio causato da
gruppi di estrema destra. La questione è molto controversa e in molti casi le ricerche sono state
insabbiate con la complicità degli apparati statali. E ancora più incredibile è la morte per avvelenamento, del repressore, Héctor Febres, che pochi giorni prima di essere giudicato e presumibilmente condannato, avrebbe minacciato di “fare nomi” per incolpare i suoi seguaci. È veramente difficile, immaginare che un detenuto, da solo, riesca a procurarsi e consumare una dose
di cianuro così potente da uccidere un cavallo!
Come si affermava precedentemente l’Argentina è un paese di paradossi: possiede ricchezze naturali di ogni genere, risorse umane, paesaggi e bellezze naturali di tutti i tipi, un’estensione geografica che permette di avere i quattro climi contemporaneamente! A ciò si aggiunge il
fatto che produce cibo per sfamare una popolazione dodici volte più grande della propria, ossia
quasi la metà della popolazione della Cina e quasi l’intera popolazione dell’Europa, a parte la
Russia; perciò il mondo fatica a capire come sia potuto precipitare in una simile crisi, che comprende tutti gli ambiti della nazione. Lo stesso paese noto per talenti come Jorge Luis Borges,
Astor Piazzolla, Diego Armando Maradona o due grandi miti politici di fama mondiale, come
Eva Perón ed Ernesto “Che” Guevara.
Perciò l’obiettivo di questo incontro rivolge una particolare attenzione al lento e tortuoso
percorso della memoria. Non solo la memoria degli archivi di Stato che spesso racchiudono solo
cifre o vengono manomessi o cancellati da chi detiene il potere. Ma la memoria delle testimonianze; la memoria dei vinti; la memoria dei sopravvissuti; la memoria dei pentiti; la memoria
filmata da tramandare ai posteri; la memoria delle Madri e Nonne di Plaza de Mayo che svelarono al mondo la tragedia argentina quando tutti zittivano, e sfidando l’oblio nei tempi dell’amnesia obbligatoria; la memoria che non si arrende; la memoria che sfida il tempo e le mode; poiché come dice Jorge Luis Borges, “il passato ritorna sempre e con esso il progetto di abolire il
passato!” In un percorso che mette in evidenza le relazioni tra storia e memoria, come nel caso
della Shoah, della Guerra Civile Spagnola o del massacro degli Armeni, la peculiarità del caso
argentino, ci permette di recuperare l’identità e le testimonianze della generazione mancante,
attraverso la voce dei sopravvissuti.
Sarebbe impossibile ricordare e dedicare il giusto spazio a tutti, ma va dedicata una citazione speciale al ex Console italiano a Buenos Aires, Enrico Calamai. Come ricorda nelle proprie
memorie – Niente Asilo Politico – nonostante la giovane età e contro il parere di tutti, riuscì a
salvare almeno trecento perseguitati politici, rischiando in prima persona. Richiamato in Italia
nel 1977 e per vent’anni dimenticato da tutti, è stato testimone nel processo contro i repressori
argentini a Roma, e solo allora è stato riconosciuto come un autentico eroe solitario. E ci fa venire in mente la storia di Giorgio Perlasca, che conobbe la stessa sorte dopo aver salvato migliaia
di ebrei ungheresi. Per fortuna la gratitudine dei sopravvissuti ha fatto conoscere al mondo queste storie e sono il miglior esempio per le nuove generazioni.
Memorie e testimonianze hanno giocato un ruolo importante per ricostruire gli eventi e i processi in questione, nonché i percorsi biografici individuali e collettivi dei protagonisti dei movimenti armati dei primi anni Settanta. Allo stesso modo, queste fonti si rivelano utili anche per
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comprendere le molteplici sfumature del processo dell’esilio, inteso non solo come dimensione
esistenziale e privata, ma anche come tassello mancante di un dibattito complessivo sul percorso nazionale argentino, che vede in questo stesso periodo la radicalizzazione di movimenti politici e viene pertanto naturalmente associato all’origine dell’orrore.
Le storie dei sopravvissuti meriterebbero di essere ricordate tutte, per il tormento e la dignità nel superare il trauma e raccontarlo ripetutamente nelle aule dei tribunali, nelle scuole e in
ogni tipo di rassegna culturale.
Le vittime italiane del Terrorismo di Stato in Argentina sono state più di mille perciò il dramma argentino è anche un dramma italiano! E’ dunque di fondamentale importanza che le azioni
legali in Italia nei confronti dei responsabili abbiano seguito sia per rendere giustizia ai desaparecidos e ai pochi sopravvissuti, che per incentivare e sollecitare la stessa giustizia argentina a
una maggiore celerità nel concludere le centinaia di processi in attesa di giudizio.
Nel marzo 2007 la Seconda Corte d’Assise di Roma ha condannato all’ergastolo i cinque ex
ufficiali della Marina argentina, Acosta, Astiz, Febres, Vildoza e Vañek per l’assassinio e la sparizione di tre cittadini italiani: Angela Maria Aieta, Giovanni Pegoraro e sua figlia Susanna che
all’interno dell’Esma nel novembre del 1977 aveva dato alla luce Evelyn, poi ritrovata dalle
Abuelas nel 1999. A partire dal 30 settembre 2009 per lo stesso delitto ebbe inizio il “processo
Massera”. Infatti la perizia psichiatrica del 3 dicembre 2008 realizzata dal Prof. Piero Rocchini
confermò che il repressore Eduardo Emilio Massera (recentemente scomparso nella totale impunità) era “pienamente in grado di stare in giudizio”.
Il 24 marzo del 2007 l’ex Presidente Néstor Kirchner ha stabilito in tale data (anniversario
del Colpo di Stato del 1976) El Día de la Memoria (Giorno della Memoria) affinché nessuna
possa dimenticare perché perdere la memoria è come dimenticare la propria identità!
I desaparecidos non tornano, ma il loro spirito è più vivo che mai. Ed è presente nel ricordo
delle Madres-Abuelas, nel ricordo degli H.I.J.O.S. e nel ricordo di milioni di persone che in tutto
il mondo alla cultura della morte oppongono la cultura della vita e della speranza.
Tanto ha scritto Hannah Arendt sulla Banalità del Male, e sui meccanismi perversi che portano i popoli ha sottomettersi ai regimi, piuttosto che ribellarsi. E’doveroso quindi ricordare i
meccanismi e descriverli dettagliatamente perché non si ripetano in futuro. Non si tratta di vendetta o di fomentare l’odio, ma semplicemente di preservare la memoria per le prossime generazioni, come ben enuncia José Hernández, nel poema Martín Fierro:
“ Es la memoria un gran don,
Calidad muy meritoria;
Y quello que en esta historia
Sospechen que le doy palo
Sepan que olvidar lo malo
También es tener memoria.
Más nadie se crea ofendido,
Pues a ninguno incomodo;
Y si canto de este modo
Por encontrarlo oportuno,
NO ES PARA MAL DE NINGUNO
SINO PARA BIEN DE TODOS”.
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La grande sensibilità del pubblico
in alcuni dei loro commenti sulla rassegna cinematografica:
• Film interessante, importante e soprattutto reale, purtroppo poco conosciuto come genere in
Italia, ma che è ottimo aver portato a conoscenza di tutti coloro che desiderano avvicinarsi ad
argomenti storici, fondamentali per il percorso di ogni persona. Sincere emozioni e nel contempo sprazzi di spensieratezza, come nel gioco “Tattiche e strategie di guerra” ideato dal papà. E a
questo proposito, nelle ultime scene, toccante il momento in cui, poco prima dell’addio definitivo, le mani di nonno, papà e figlio si accarezzano nell’ultimo abbraccio. Ottima idea far seguire il film dal dibattito, rivelatosi molto interessante e coinvolgente grazie all’altissima preparazione culturale e alla simpatia del conduttore Alejandro, che ha intrattenuto piacevolmente e con
stile garbato gli spettatori in quarantacinque minuti ricchi di notizie, aneddoti e fondamentali
informazioni storiche, dando anche spazio a conversazioni con diverse persone che hanno contribuito sensibilmente a catalizzare l’attenzione del pubblico.
Ritengo che avvicinare la gente con il dialogo diretto sia un modo gradevole per esprimere maggiormente l’umanità e la sensibilità che sono state investite nell’organizzazione di questo importante evento.
• La tragedia argentina di quegli anni è anche italiana, non solo di riflesso e non solo per le evidenti discendenze. Il film evidenzia bene questo aspetto, rivelando appunto la “complicità”
dell’Italia. Solo chi è vicino alla conoscenza della dittatura argentina conosce bene gli eventi di
quegli anni, ma per la maggior parte degli italiani credo non sia importante.
• Interessante l’accoppiata mondiale di calcio/desaparecidos e il titolo poco noto; preparato il
commentatore e brava la presentatrice! Bello il confronto con il pubblico.
• Un pugno allo stomaco, un male “necessario”.
• Assolutamente scioccante!
• Commovente. Tragicamente attuale, anche se ci rimanda dal 2010 al 1978 (anche noi, in modo
diverso, non siamo liberi). Nel film c’è però la speranza nelle vesti e nelle veci di una figlia. La
figlia italo- argentina che rappresenta il futuro.
Anche in Italia nel 1994, Berlusconi “scese in campo” e all’epoca si svolgevano i mondiali negli
USA. Usò un linguaggio appartenente al mondo del calcio e lo stesso Pdl si chiamava “Forza
Italia”. Vinse le elezioni grazie ad una campagna mediatica utilizzando le proprie TV e varie connivenze. Da poco ci era stata TANGENTOPOLI e Craxi (P2) era scappato in Tunisia.
Forse non abbiamo una dittatura come quella argentina, ma stiamo vivendo un periodo di grave
crisi economica come in Argentina, o quasi. La non- politica di Berlusconi ha imbarbarito un’alta percentuale di italiani (con il calcio, passione italiana e sudamericana), con la promessa di un
benessere che non c’è stato, illudendo tutto e tutti. Infrangendo leggi e facendo leggi ad personam e ad hoc.
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Siamo anche noi un paese in attesa di giustizia. La mia solidarietà al popolo argentino e a tutti
gli italiani che sono dovuti tornare nella loro Patria, anche per una crisi economica gravissima,
dove le donne, scesero in piazza con pentole vuote e mestoli. Propongo libri agevoli da divulgare anche ai nostri giovani, che, con 20 euro possono “assentarsi dalla realtà” con la cocaina.
• Un documentario, o meglio, un film- documentario di forte impatto. Non avevo mai pensato ai
figli delle ragazze e dei ragazzi desaparecidos. Forse pensavo che fossero molto più giovani.
Il film si snoda fra “pezzi” in bianco e nero, dove “pesa” ancora la dittatura militare, dove tutto
è buio, i bambini desaparecidos cercati dalle nonne, i soldati nelle strade, i carri armati “specie
di olocausto” di argentini contro argentini. Oltre ai genitori dei bimbi rapiti e mai più ritrovati,
anche 500 bambini, 102 dei quali ritrovati. Con tante domande da fare che possono riassumersi
in un perché! Bambini rapiti allora, adulti adesso! E mentre il film si snoda il dolore appare nelle
scene girate nelle case, dove nonne e nipotini si ritrovano, dove una sorella ritrova un fratello,
colore che è amore! I bimbi ritrovati sono cresciuti e sono genitori a loro volta. Il colore è il calore di un’amore universale, “della verità che trionfa sempre”!
• Siendo argentina, habiendo nacido en el ’74 y teniendo en mi familia personas que han vivido
la tortura de la época militar, me ha causado conmoción grande y me ha llevado en la memoria
de 34 años atrás.
• Commovente. Mi ha colpito molto la ragazzina che ricorda quando è stata presa la madre e che
vuole consegnare alla “giustizia” i rapitori per non “diventare come loro…………..”.
• Un film rappresenta sempre un grande lavoro, oltre a raccontare (come nel caso delle proiezioni di questo ciclo di cinema argentino) fatti realmente accaduti. Ci sono sempre la maestria di un
direttore artistico e le capacità recitative di vari attori, dagli affermati agli emergenti.
Ma questo film-documentario suscita molto di più… penso che durante le riprese il regista
Benjamin Avila abbia potuto avvertire molte più sensazioni rispetto a tanti suoi colleghi, avendo a che fare con le molte persone coinvolte direttamente, fissando nella pellicola prima per
arrivare ai nostri sensi poi ogni emozione, ogni espressione dei tanti protagonisti dell’orrendo
periodo 1976-83, quando la dittatura ha strappato più di 500 bambini alle proprie
famiglie.“Nietos” arriva subito al cuore! Una proiezione che più di ogni altra rappresenta il titolo pensato per questo evento cinematografico; un lungo, atroce, sanguinoso ‘silenzio’, interrotto da Madri (e successivamente Nonne) coraggiose, che hanno saputo combattere la crudeltà delle armi e delle parole, la resistenza dei tribunali e militari e lo sprezzo della gente che
semplicemente non avrebbe saputo osare tanto eroismo in nome dell’Amore e della Speranza,
per ricostruire la ‘memoria’ dei loro figli e nipoti. Molte lacrime scorrono nell’ascoltare e guardare le Persone che hanno provato così tanta disperazione e che nonostante questo sanno dosare con grande spontaneità momenti di commozione e aneddoti simpatici riguardo il ritrovamento con fratelli mai conosciuti… toccante la bimba che racconta il suo dolore con grande dignità
e senza desiderio di vendetta, ma una tanto attesa giustizia. Ottima la scelta di proiettare anche
i quattro spot sull’argomento; da sempre il canale pubblicitario è immediato ed efficace e anche
i pochi secondi dei cortometraggi riescono a scatenare forti emozioni.
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• Dibattito molto acceso, durante il quale ci sono stati interventi anche da diversi spettatori, alcuni dei quali non presenti alle altre due proiezioni e quindi meno a conoscenza dei e complessi
argomenti… ma Alejandro, come sempre ottimo oratore, ha saputo – con sorriso gentile e grande pazienza – placare gli animi ‘accesi’ e illustrare nuovamente la complicata e controversa storia Argentina, riuscendo sempre ad appassionare anche il pubblico più esperto.
Grande apprezzamento anche per Flavio Nascimbene, psicologo con una grande dote, non sempre propria dei suoi colleghi: sensibilità profonda che ha dimostrato nel descrivere la terribile
situazione destabilizzante che si crea in una persona che scopre, spesso in età adulta, come è successo in molti casi fra i desaparecidos – di avere un’altra identità e, ancora più tragico, che la
vera famiglia è stata annientata da quella che l’ha cresciuta e di conseguenza il difficile e paziente lavoro che deve essere operato con grande amore e sacrificio, accettandone talvolta dei risultati diversi da quelli sperati.
• Un lungo documentario che vedrei in più puntate, magari alla TV. La ferrovia e il treno sono
la spina dorsale di un grande paese, pieno di tante risorse agricole ed economiche che si integrano fra loro. Nostalgica l’espansione della ferrovia, la figura del ferroviere, professione che si tramanda orgogliosamente da padre in figlio. Nostalgica la rimessa in sesto di una stazione abbandonata, che ospita spettacoli teatrali in attesa che la giustizia umana e divina prevalga su di un
paese che potrebbe espandersi e portare benessere a tutti. Concluderei con l’inizio della poesia:
“Los trenes volverán, como vuelven los días, los meses, las estaciones.....”.Perchè la dgnità dell’uomo sta nel lavoro. “Uccidendo l’espandersi del lavoro, delle scuole, dei contatti, oltre
all’economia e alla cultura, si distruggono città “toccate” dai treni; ferrovieri desiderosi e felici, dignitosamente felici di lavorare sui treni; famiglie di ferrovieri che devono spostarsi nel
paese per sopravvivere, alla ricerca di un altro lavoro. Perché? A chi giova ciò? Al di là della vita
che, comunque continua nelle piccole città abbandonate dai più in cerca di lavoro, notiamo le
solite trame di alti poteri che distruggono un’economia, desiderando soltanto la loro ricchezza.
Non c’è nessun interesse a far crescere il benessere del popolo, ma “degli eletti” di volta in volta.
Perché? Perché tutta questa corruzione, questo disamore per una terra, che per molti immigrati
era mitica. Un bellissimo paese, dalle enormi potenzialità, sfruttato metodicamente dal potente
di turno, con la connivenza, si presume nel passato, dei servizi segreti statunitensi. Questo, forse,
uno di perché….”Los trenes volverán……….” In attesa di giustizia per tutti i paesi ed i popoli
oppressi!
• Bellissimo, i luoghi, la storia, le persone secondo tanti punti di vista combinati in modo esemplare. Tecnicamente un capolavoro. Avvincente, anche se quello che racconta è terribile.
• Forse un po’ troppo “lungo”, ma estremamente dettagliato e onesto secondo me. Ho visto con
i miei occhi, durante un viaggio a Buenos Aires lo stato del trasporto ferroviario e il traffico
perennemente congestionato dai sobborghi al centro. Il film inoltre, offre uno spunto di riflessione sulle privatizzazioni in genere. Emblematica questa frase del film “ un ente pubblico, qualsiasi esso sia, deve produrre per forza un utile o un servizio al cittadino?”.
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•”La Próxima Estación è un documentario di fortissimo impatto emotivo, già dalle prime scene
che vedono protagonisti i pendolari - lavoratori e studenti - privati di ciò che è fondamentale per
la loro realtà quotidiana: il treno, elemento imprescindibile per raggiungere ogni luogo di una
nazione così estesa e conseguentemente diversificata nel proprio territorio come l’Argentina.
Molto bella l’idea del grande regista Fernando Solanas di dividere il film in stazioni, dalle ferrovie nei loro albori, attraverso l’espansione delle linee, fino agli anni Novanta con il drammatico avvento del menemismo, con le tristi decisioni di dirigere il trasporto su ferro vero quello su
gomma per avvantaggiare le grandi case automobilistiche incrementando così il traffico su strada e inesorabilmente ‘uccidere’ la fitta rete ferroviaria Argentina, capace fino a quel tempo di
portare i viaggiatori nel luogo di studio o di lavoro prima e riaccompagnare alle loro case poi in
moltissime località, senza trascurare più piccoli paesi.
È sconcertante osservare quanto il funesto arrivo delle privatizzazioni - raccontato agli utenti
delle ferrovie come un risollevamento e modernizzazione dell’azienda e una risoluzione ai problemi - sia paragonabile a un sadico gioco del domino - con le perdine mosse dai capi di stato portando danni a molte categorie di persone, dai viaggiatori abituali costretti a emigrare e quindi cambiare vita per poter sopravvivere, agli studenti che vedono andare a pezzi i propri sogni,
dal personale delle ferrovie licenziato e abbandonato, alle fasce più deboli come gli anziani delle
campagne, lasciati in totale isolamento dal resto del Paese.
Dopo aver visto la disperazione, i binari fantasma, i paesi isolati e l’abbandono della Gente, il
messaggio finale del regista, pura poesia che traccia un segno di speranza nell’epilogo del documentario, apre gli occhi e il cuore:
“I treni sono come l’acqua, la luce e l’amore: non è possibile vivere senza di loro”
• Bello vedere un pubblico interessato, tranquillo e sinceramente appassionato nell’ascoltare le
parole del grande Sergio di Giorgi, poliedrico critico cinematografico che già personalmente rappresenta una vita affascinante con un percorso inverso rispetto a quello che si è soliti udire: nato
a New York ed emigrato in Italia...
La sua conoscenza diretta del regista, con i conseguenti racconti, confermano ancor più quanto
Fernando Solanas sappia raccontare con cuore e attenzione minuziosa le problematiche della
propria Patria, in questo e in altri film/documentario, dove si avverte il contatto diretto ed emozionale con le Persone realmente protagoniste di drammatiche realtà.
E naturalmente gli interventi sempre ben dosati, gentili e interessanti di Alejandro - dalla preparazione culturale infinita - arricchiscono questo ciclo di eventi sempre più emozionanti!!
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Album dei ricordi
dell'Anno del Bicentenario Argentino
"Facendo Memoria"
Sopra, da sinistra: Muestra Gráfica
de Abuelas de Plaza de Mayo
presso la Sala di Rappresentanza
della Regione Trentino Alto- Adige
del sett./ott. 2009.
30 anni di lotta delle Nonne
di Piazza di Maggio.
A lato: 500 bambini rubati
da ritrovare.
Sopra e in alto: i visi e le storie dei bambini ritrovati.
Sotto: memoria, giustizia, identità: l’impegno delle Nonne!
Sopra e nella pagina a fronte: conferenza di presentazione della Mostra tenuta
da Estela Carlotto (Presidente delle Abuelas de
Plaza de Mayo), Remo
Carlotto (Presidente della
Commissione dei Diritti
Umani del Camera dei
Deputati della Repubblica
Argentina), Horacio Pietragalla Corti (nipote ritrovato
nel 2003), Marina Mantecón Fumadó (Consigliere
per i Diritti Umani e Affari
Politici dell’Ambasciata
Argentina in Italia).
Nelle immagini a sinistra,
dall’alto: i protagonisti insieme ai rappresentanti
dell’Unione delle Famiglie
Trentine all’Estero.
A sinistra Josefina Pace
referente dell’ONG 24
marzo.it per il Trentino
Alto- Adige.
Liliana Callizo
desaprecida
sopravvissuta ai campi
di concentramento in
Argentina durante
la conferenza di
commemorazione della
Giornata Mondiale
della Donna tenutasi
a Trento e organizzata
dalla CGIL.
In alto:
24 marzo 2010
Commemorazione del
Giorno della Memoria
nella Plaza de Mayo.
Sopra: “Mai Più!!”
“Né oblio né perdono!!”
A sinistra: il calore e
l’allegria delle “murgas”
nel Giorno della
Memoria.
A destra: il ripudio ai repressori.
Lo sputtanamento
“escrache”
dei repressori e
collaborazionisti
delle dittatura
militare e delle
privatizzazioni
selvagge degli
Anni ’90.
La Chiesa
collaborazionista
della dittatura.
La sede delle Madres
de Plaza de Mayo.
Il fuoco eterno
dei desaparecidos
e delle Madres
de Plaza de Mayo.
Sede del Teatro del Pueblo e
Fondazione Somigliana (Teatro Abierto).
La Muestra Gráfica de Abuelas de Plaza de Mayo presso il Teatro Frigia 5 di Milano all’interno
dell’evento storico- teatrale “El Silencio es Salud” (Teatro Abierto).
Sopra: Alejandro Librace
insieme
al Vicepresidente
dell’Associazione NuestrAmerica José Luis Tagliaferro e
all’attore impegnato nella difusione dei diritti umani Manuel
Ferreira.
A destra: Francesca Lia ed
Alejandro Librace di “Le Ali del
Condor”, ideatori e organizzatori
dell’evento “El Silencio es
Salud” (Teatro Abierto).
Articolo pubblicato
dal quotidiano “Metro”
presentando l’evento
“El Silencio es Salud”.
Marcela Gomez,
Veronica Boragno,
Alejandro Librace,
Alejandro Angelica,
ideatori e
organizzatori
del Ciclo
Cinematografico
argentino “Memorias
del Silencio”.
Alejandro Librace
e la psicologa
Cristina Contini
durante
l’incontro- dibattito
con il pubblico
successivo alla
proiezione di
“Complici del
Silenzio”.
Lo psicoterapeuta
Flavio Nascimbene incontra
il pubblico in seguito
alla proiezione del
documentario “Nietos”.
A destra: Sergio di Giorgi, grande esperto ed appassionato del
cinema di “Pino” Solanas.
In alto e sotto: incontro con il critico cinematografico Sergio Di
Giorgi dopo la proiezione di “La próxima estación”.
Il Pubblico! Appassionato e vero protagonista del Cineforum!
Fonti Bibliografiche
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Seoane, María 2004, Argentina Paese dei Paradossi, Roma, Editori Laterza.
Vázquez, Enrique, Elisale, Roberto, Alonso, María Ernestina 1998, Historia: La Argentina del
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Verbitsky, Horacio 1995, El vuelo, Buenos Aires, Editorial Planeta.
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http://www.oas.org/main/spanish/ (sito dell’Organización de los Estados Americanos).
http://www.iidh.ed.cr/ (sito dell’Instituto Interamericano de Derechos Humanos).
http://www.un.org/spanish/ (sito delle Nazioni Unite).
http://www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB185/index2.htm (sito del The National
Security Archive degli Stati Uniti d’America).
• A tutti gli interessati per eventuali informazioni e approfondimenti indichiamo gli indirizzi di
posta elettronica dell’autore di questo lavoro :
Alejandro Librace: [email protected]
[email protected]
Ringraziamenti
Intendo ringraziare innanzitutto i miei genitori per avermi trasmesso “la memoria” e per l’insostituibile supporto morale e spirituale senza i quali non avrei potuto portare a termine le mie fatiche.
Ringrazio inoltre la mia famiglia per l’aiuto ed il sostegno nella diffusione della cultura argentina.
Un affettuoso ringraziamento a Giovanna Apostolo curatrice di questo testo e indispensabile
sostegno nella difesa, salvaguardia e diffusione dei Diritti Umani in Argentina.
Uno speciale ringraziamento a: Alejandro Angelica, Marcela Gomez, Veronica Boragno; Marina
Mantecón Fumadó, Mirian Monaco e l’Ambasciata della Repubblica Argentina in Italia, Natalia
Dupuy e il Consolato Generale della Repubblica Argentina; Carmen Canillas e l’Istituto
Cervantes di Milano; Patricia Sosa, Vidal Silva, Mariella Moresco e Radio Marconi; Manuel
Ferreira e la Compagnia Alma Rosé; Sergio Di Giorgi; Flavio Nascimbene; Cristina Contini;
Josefina Pace; Francesca Lia; Patricia Naso; Maura Dimauro; Sara Orsenigo; Francesca Alai;
Beatriz Minerbi;Unione delle Famiglie Trentine all’Estero;
Infine un grazie va a tutti coloro che in ogni angolo della Terra mi hanno supportato durante la
realizzazione di “Memorias del Silencio”con i loro consigli!!
Finito di stampare - Milano, dicembre 2010