Carlo Ceresa - Galleria Lorenzelli
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Carlo Ceresa - Galleria Lorenzelli
U n incontro bergamasco: C E R E S A - B A S C H L N I S C A R L O CERESA (1609-1679) il più grande r i t r a t t i s t a italiano del Seicento. A l viaggio d i Carlo Ceresa i n M i l a n o fa esplicito r i f e r i m e n t o i l Tassi ( 1 7 9 3 ) : «ma per meglio potersi incamminare per la via di questa professione, si mise sotto la direzione di Daniello Crespi pittor Milanese di primo grido, che in quel tempo non poche miglia lontano dimorava ». D o c u m e n t i non esistono; ma doveva tramandarsi memoria nell'ambiente artistico bergamasco, tanto più che i l Ceresa era i n b u o n i rapporti con alcune famiglie d i censo illustre, per mecenatismo o, per via d i donne, parentela: i Zignoni nonché i Boselli, che lo aiutarono fin dai p r i m i passi. M a se è vero che le opere contano come documenti i n o p p u g n a b i l i , a saperle leggere, esse parlano chiaro e appunto d i una derivazione personale dal Crespi. I l Tassi f u un biografo scrupoloso, amava disegnare i n p r o p r i o e da quando divisò d i scrivere le storie dei p i t t o r i bergamaschi, ebbe l'ausilio d i a l t r i e r u d i t i e collezionisti locali: lo zio teatino, i l conte Giacomo Carrara, il Marenzi, si presume anche i l Pasta, che andava preparando la sua guida di Bergamo, stampata nel 1774. Su questa informazione precisa del Tassi, i l Locatelli ( 1869) individuò la Certosa d i Garegnano, « non poche miglia lontano », dove nel 1629 Daniele conduceva g l i affreschi delle storie certosine. N o n si esclude che i l giovane, « da se stesso studiando e disegnando » come attesta an- cora i l Tassi, tenesse conto d i alcuni p i t t o r i locali del seguito m o r o n i a n o : i l Salmeggia, i l Cavagna, e d i più modesta levatura i l G r i f o n i , lo Zucco, i l Ronzelli. M a nel Salmeggia c e sempre un che d i esibito anche quando affronta la realtà, d i esteriore e, nel suo eroicismo, d i teatralmente impaginato. Più solido i l Cavagna, specie laddove badava con maggior impiego alla lezione del M o r o n i , da cui apprese ( d o p o essere stato « nella fioritissima stanza d i Tiziano » ) qualcosa d i più che « l'impasto dei colori », e cioè i l rapporto franco con la realtà, attuandolo anzi i n i n c o n t r i plebei, « quasi da compagno del Caravaggio », dice il Tcstori ( 1953 ). M a pure i l Cavagna, deviando a u n certo m o m e n t o sui veneti, e precisamente sul Bassano, annacquò quel suo t e n t a t i v o d i innovazione i n ambiente bergamasco. Dagli a l t r i , i l Ceresa aveva capito che non c'era più nulla da spremere, scialbi com'erano; e scomparsi il Salmeggia nel '26, i l Cavagna nel 1627, quando più, a diciott'anni, aveva bisogno d i innesti feraci, si decise a cercare altrove. La sua partenza f u , q u i n d i , u n atto d i scelta responsabile. Milano faceva parte d i un altro Ducato; ma era prossima, poco al d i là d e l l ' A d d a , e d i là venivano notizie d i gran fervore d i opere. Spentasi la morìa della peste d i San Carlo, che mezzo secolo prima aveva devastato la città, e preso nuovamente vigore, si era data a costruire, ad abbellire. L o stesso Salmeggia v i si era recato più v o l t e e lasciato numerosi d i p i n t i , persino i n D u o m o , regno incontrastato del Cerano, per u n altare del quale dipinse nel 1 6 0 1 , avendone 180 ducatoni d i compenso, l'ancona dello « Sposalizio della Vergine », per tanto tempo ritenuta d i Federico Zuccari, finché g l i venne restituita dall ' A r s l a n , che trovò le ricevute d i pagamento ( 1 9 6 0 ) . D i quel gran daffare a M i l a n o c'è una precisa e contemporanea testimonianza a stampa del 1619, il « Supplimento » d i G i r o l a m o Borsieri al termine della nuova edizione della « Nobiltà d i M i l a n o » pubblicata primamente da Paolo M o r i g i a nel 1595. Dice dunque il Borsieri: « Grande occasione di proseguir le fabriche Eclesiastiche, e di farne anco di nuove dentro Milano in questo corso d'anni ha data, e dà tutta volta la pace, che regnar vi si è veduta sotto lo imperio de' Re della Spagna, Filippo il padre, e Filippo il figliuolo, con la politica introdotta, e conservata nelle chiese da' Chierici Regolari e da' Frati, che in ciò cominciano imitarli. Dall'anno dunque 1595 fino al presente, ch'è il 1619, si è finita la cupola di S. Lorenzo al Carohbio, opera degna d'esser paragonata con qual si sia altra, che si habbiano fatta gli antichi in Roma si per lo artificio, e per la spesa, come anco per la magnificenza, e per lo decoro, havendo tale architetto ne' tempi passati, che giudicava impossibile impresa il ridurla a stato di perfezione. Si sono abbellite le Chiese di S. Antonio, secondo il vulgo de' Teatini, di S. Maria Secreta de' Chierici della Somasca, e di S. Alessandro de' Bamabini, con capelle adorne di stucchi, di colonne tratte da' migliori e più fini marmi e porfidi che hoggi si cavino e di pitture fatte de' più eccellenti maestri » ( pag. 20 ). E con non poco orgoglio, però anche con preciso senso critico, i l Borsieri prosegue col dire che « la Lombardia hoggi non ha bisogno de' Pittori che fioriscono in Roma, haven- 2. Sacra Famiglia: collezione 1. Pala di Pianca, 1630: S . G i o v a n n i Bianco, Bergamo. done anch'ella di quei che possono niere trovate privata. da M. Angiolo annoverarsi da Caravaggio, fra i principali, che seguano e dalla Scola de Carati) anco le ma- » {pag. 73 ). I n pari tempo, i l cardinale Federigo aprì agli studiosi la Biblioteca Ambrosiana ( 1 6 0 7 ) , per la quale faceva incetta d i incunaboli e d i l i b r i r a r i i n ogni parte, e poco segui che, iniziata i n Roma l'Accademia d i San Luca nel 1593, d i cui era protettore, volle che fosse imitata, aprendone un'altra i n M i l a n o accanto alla Biblioteca. Da Bologna giungevano le lodi per i m e r i t i dell'Accademia carraccesca; e Federigo ne chiese al cardinale Paleotti, che g l i rispose allegando una lettera d i L u d o v i c o Carracci. E come donò i l i b r i , così cedette le raccolte delle opere d'arte ( 1 6 1 8 ) , chiamandovi a insegnare i l Cerano la p i t t u r a , G i o . Andrea Biffi la scultura e Fabio Mangone l'architettura. Per conoscere le idee artistiche del cardinale, uomo d i profonda e moderna cultura, si legga i l « M u s e u m », dato alle stampe nel 1625, dove elenca tutte le opere donate, non solo, ma le vaglia e giudica. Si intuisce che le sue preferenze vanno al Tiziano d e l l ' A d o razione dei M a g i , d i p i n t o per i l card. I p p o l i t o d'Este che lo voleva donare a E n r i c o I I d i Francia, e riscattato dal cardinale Borromeo per una grossa somma, a pubblico godim e n t o ; per i l L u i n i , d i cui apprezzava « certa affettuosa e devota delicatezza, le movenze e l'aria dei volti »: una condizione che, i n accordo al Concilio d i T r e n t o , andava rac- comandando a t u t t i g l i artisti della sua diocesi. Nella munifica donazione era compresa anche la natura morta del Caravaggio, e i l Cardinale ben ne comprendeva i l nuovo e persino sconvolgente m o t i v o poetico: « Ne di poco pregio con dei fiori a tinte vivaci. Lo fece Michelangelo in Roma, voluto porgli nessuno lo avrei raggiungere la bellezza accanto ed è un canestro, da Caravaggio un altro canestro eccellenza incomparabile che gli sta che si acquistò simile, di gran ma non avendo questo, rimase presso, nome potuto solo ». Questo « canestro » gli f u donato dal cardinale D e l M o n t e a Roma, e dalle parole del Ritratto di famiglia: collezione privata. Borromeo è lecito presumere che avesse scritto per averne almeno u n a l t r o , da far coppia con quello da l u i estimato incomparabile. Forse ci siamo tardati alquanto su queste vicende milanesi; ma veda ognuno che c e r a quanto bastasse a mettere Tali ai piedi d i u n giovane d i talento, che n o n voleva pestare acqua nel mortaio d i una tradizione pittorica i n patria dissugata. Vediamo q u i n d i i l Ceresa a M i l a n o nel 1629, sulle orme d i Daniele a Garegnano. Chiamando a modello i frati del cenobio, i l Crespi compiva un'operazione difficile nel tentativo d i accordare le « catastrofi liturgiche » del Cerano (che nel 1621 l'ebbe allievo a l l ' A m b r o s i a n a ) con la concretezza del reale quotidiano. Fatto sta che sui m u r i della chiesa v i andava svolgendo un racconto p i t t o r i c o a colori grigio-violacei, bianco-verdi, che i l D e l l ' A c q u a non esita a definire un « romanzo psicologico » ( 1957 ). Quelle « storie », da vicenda sacra, si trasformano in documentari d i vita contemporanea con squarci d i natura cosi freschi, tanto pregnanti, da risolversi in novità per l'ambiente milanese; e quei santi d e l l ' O r d i n e dentro le finte nicchie, in bianco e così i m m i n e n t i quasi stessero per scendere a dire i salmi col coro dei confratelli, costituiscono una vera galleria d i r i t r a t t i . I l Ceresa arriva p r o p r i o sul fare d i tali affreschi, e guarda a quel realismo che, dal M o r o n i , nessuno i n patria seppe curare, e studia, e confronta. I l Testori presume persino che vi abbia messo anche le sue mani sulla volta. Questo, per u n ventenne, se davvero avvenne, era u n bell'impiego oltre che una prova d i precocità. M a ci si chiede se i l Ceresa si accontentasse d i quell'esempio, o non andasse i n giro a vedere altro. I n t a n t o quel « canestro » del M e r i s i , fonte p r i m a della svolta clamorosa al Manierismo, e segno d i una diversa moralità fatta d i sangue più che d i convenzioni, anche peritissime. I l Testori suggerisce ancora i l Cerano, che aveva t e r m i n a t o da circa un ventennio i « q u a d r o n i » della vita e dei m i r a c o l i d i San Carlo per i l D u o m o . Prese p o i , certamente, la via alla Passione, dove Daniele aveva t e r m i n a t o le contorte e ferali ante degli organi. V i trovò anche due vaste tele del conterraneo Salmeggia, datate 1609. A l l a Passione c'era l ' U l t i m a Cena d i Gaudenzio, che anche Daniele prenderà a prestito per la sua « Cena » ora a Brera e a quel tempo presso le Benedettine d i San Pietro d i B r u gora, i n Brianza. I n altri l u o g h i c'era sull'altare d i San Lazzaro (e dal 1805 a Brera) la « Madonna del Rosario » del Cerano: e q u i n d i i bianchi e i n e r i del saio domenicano, Io schema a piramide, e quel v o l t o d'afflizione amorosa, che vedremo tornare più volte nelle pale del Ceresa, quasi letteralmente nella pala d i A l m e . M a è facile arguire che mosse i suoi passi verso la Passione per vedervi i l « D i g i u n o d i San Carlo », che Daniele aveva c o m p i u t o pochi mesi a v a n t i : un sorprendente quadro d i verità quotidiana, un memorabile incontro d i s p i r i t o lombardo e d i rigorismo spagnolo che, date alla mano, i n crocia col realismo d i Velasquez, caravaggesco già dagli anni d i Siviglia e venuto i n Italia giusto nel '28, nonché con i tempi m a t u r i d i Z u r b a r a n . N o n sorprenda. E ' o r m a i provato che le notizie, se non p r o p r i o i disegni, circolavano presto tra g l i artisti che ne avevano interesse. C'era anche d e l l ' a l t r o da vedere, in M i l a n o , e mettere a p r o f i t t o . Si può pensare con molta verosimiglianza che i l Ceresa trasse schizzi a memoria d i quel che vedeva. I l San Carlo che appare nella pala i n Santa Caterina i n Borgo a Bergamo, del 1653, è troppo simile a quello del « D i g i u n o », e vero, quasi palpitante, perché non l'abbia cavato da un disegno conservato da quel viaggio milanese. Una puntata alla Pace, e lì trovava gli affreschi or ora c o m p i u t i dal Tanzio: quei bianchi lunari e quella cronaca rustica dei pastori svegliati dagli angeli. Tanzio era stato a Roma p r o p r i o negli anni del clamore caravaggesco e ne portava i n Lombardia stigmate profonde: « una mistura bellissima di naturalezza caravaggesca e di estremo manierismo lombardo », come scrisse Roberto L o n g h i nel 1943. Sarà appena una coincidenza; ma è significante i l fatto che nel 1911 a Firenze i l r i t r a t t o dell ' A r m i g e r o (tavola I I a c o l o r i ) venisse scambiato p r o p r i o per uno del Tanzio. Che fermento nella memoria del giovane bergamasco, e quale saccheggio con gli occhi ansiosi di apprendere. La sosta d i M i l a n o n o n dovette durare m o l t o . La peste batteva la campagna già durante quell'estate e sul cominciamento dell'autunno giunse in M i l a n o . I l capitolo X X X I dei Promessi Sposi, così grave nel crescere luttuoso del morbo che si annuncia e nessuno crede e poi impazza, « grassante lue » inarrestabile, ci dice che i l Sellala f u preso a sassate dalla folla per aver riferito dell'avanzante moria. Sulla base del T a d i n o , testimonio d i quei f a t t i , il Manzoni cita il misero che la introdusse in M i l a n o , « soldato italiano al servizio di Spagna... di quartiere nel territorio di Lecco », g i u n t o i n M i l a n o il 22 ottobre 1629. Dalla terra d i Chiuso, ultima del t e r r i t o r i o d i Lecco e confinante col Bergamasco, ove i l Settala avverti i l contagio, la peste passò anche nelle terre d i Bergamo. Le cronache registrano che alla fine del m o r b o , nel 1630, nel Milanese, secondo il Cappuccino padre Felice che ebbe in cura il Lazzaretto, m o r i r o n o 120.000 persone; secondo il Cusani 86.000. Sempre una carneficina. I l G h i r a r d e l l o ci fa sapere nell'« H i s t o ria del memorabile contagio » ( 1 681 ) che nel Bergamasco, « raccolto il computo de' morti, si trovorno fra la Città e il territorio mancavano 56.897 persone, delle quali 9.550 alla città e il rimanente fuori ». Una popolazione quasi dimezzata. Nel 1630 i l Ceresa, in fuga da M i l a n o assalita, è sicuramente in Val Brembana, a San G i o v a n n i Bianco, dove — secondo i l Tassi — era nato nel 1609. A l l a frazione d i Pianca, sopra i m o n t i , tra forre e boschi, si trova la paletta firmata e datata 1630. E ' u n ricordo d i quella peste. A chiare lettere sul quadro, al modo che i l Ceresa userà spesso, c'è la scritta dedicatoria: « Ex v o t o - comunitatis », e i santi che v i ha d i p i n t o , Sebastiano e Rocco, sono i santi della peste. N o n so chi abbia visto questa paletta giovanile. I l luogo dove si t r o v a , bellissimo, è però impervio e v i conduce una strada che spesso si muta i n mulattiera. O r a è stata f o t o grafata (tavola 1 ). Se fosse stata vista, e non soltanto citata da l i b r o a l i b r o , il cominciamento dell'arte del Ceresa sarebbe apparso più chiaro ed evitate supposizioni d i cronologia da lasciare perplessi. Misura circa cm. 1 5 0 x 1 0 0 e sta all'altare d i destra, i santi allineati e come c o n f i t t i dentro il ristretto spazio. E ' chiaramente d i cultura palmesca: abbondanti i panni, serpentine le figure. Se contano i r i f e r i m e n t i , la contorsione d i San Sebastiano legato all'albero è da confrontare con la figura a sinistra della « Trinità » d i Nese d i p i n t a da Palma i l G i o vane; e i l gonfiore delle vesti pesanti. C e da concludere che i l viaggio a M i l a n o non fruttificò subito nella p i t t u r a del ventenne p i t t o r e . I n simile situazione stilistica si trovano in V a l Brembana altre palette firmate dal Ceresa: la « Visitazione » d i San G a l l o , la « Sacra Famiglia » d i San Pietro d ' O r z i o , i l cui arcaismo non fa superare d i m o l t o quella data precoce. Si rimanda per i c h i a r i m e n t i alle più estese « Considerazioni sulla cronologia », più innanzi. Però, a ben guardare, sia pure arcora acerbo, già traspare quel che sarà i l vero Ceresa: il San Rocco così i n t e n t o , così vivace d i sguardo, non si può più d i r e uno stile r i p e t u t o , bensì è un anticipo d i evoluzione i n corso. M a già da queste palette sperse nelle frazioni si possono trarre grosse conseguenze. Teniamo d'occhio i santi d i Pianca, ed è impossibile trovare una collocazione vicina, o add i r i t t u r a anteriore, al « R i t r a t t o d i giovinetta » della Carrara (n. 737). I l T e s t o r i , cui spettano tanti meriti per la storia del Ceresa, ne deduce che « potrebbe, salvo la qualità della materia più sostanziosa, dirsi di Carlo Francesco Nuvoloni; mentre è del Ceresa e forse, a tutt'oggi, il primo suo » ( 1953, p. 2 4 ) . E ' un quadro che intriga un poco t u t t i i critici. Per la O t t i n o della Chiesa i r i t r a t t i ceresiani « ci mostrano legittima una discendenza Moroni-Cavagna, con una leggera intrusione di mestiere da Daniele Crespi e, nei più giovanili, come questo di aristocratica e un poco sussiegosa fanciulla, dal Nuvolone ». T u t t a l t r o che « leggera intrusione di mestiere », quello d i Daniele ( e lo si vede tenendo conto della pala di Pianca ) fu un incontro destinato a diventare determinante e revulsivo. Comincia proprio da l u i il discorso sulla realtà; e se all'origine sta, come è giusto i l M o r o n i , essa è una fonte che s'era disseccata o per lo meno persa i n Bergamo, dove pure nacque. I l viaggio a M i l a n o glie la fece ritrovare fresca e zampillante, oltre i t i m i d i accenni d i natura del Salmeggia e i rischi d e v i a m i sul Bassano del Cavagna. Nel 1630 è presumibilmente ancora t r a m o r t i t o da quel che vide a M i l a n o . M a nel '33 è digià sbocciato, è un p i t t o r e n u o v o , come dimostra i l « R i t r a t t o d i ragazzo » datato e firmato dei Musei Civici milanesi. La pala della sacrestia d i San G i o v a n n i Bianco, che si aggira su quell'anno, reca, segno anch'esso della revulsione avvenuta in senso naturalistico, la Madonna i n effige d i Caterina Z i g n o n i , sua moglie. Era cioè avvenuta quella f u sione d i iconografìa sacra e d i iconografia mondana, che tentò sia i l Cavagna che i l Salmeggia, con esiti meno c o m p i u t i , meno fusi. Per tornare alla « G i o v i n e t t a » della Carrara, essa è i l f r u t t o d i una serra preziosa, che non ha nulla da spartire con la schiettezza d i u t u r n a del Ceresa. Semmai bisognerebbe salire nel tempo, verso i l settimo decennio d i sua attività. M a pur durante i l periodo ultimi», quando i l Ceresa riprende l'evidenza tangibile crespiana come u n r i t o r n o d i fiamma, cresciuta però d i t u t t e le malinconie accumulate e delle consapevolezze morali che la sua lunga pratica d i u o m i n i e d i eventi aveva a p p r o f o n d i t o , c'è sempre una t o r n i t u r a , una levigatezza che rianima, i n senso moderno, i grandi esempi del M o r o n i . P r o p r i o alla Carrara si veda l'identità non soltanto iconologica fra i l r i t r a t t o crespiano d i « Iacopo firaboschi » ( n . 14 alla Carrara, tav. 40 del nostro catalogo) e i l « R i t r a t t o d i vecchio s i g n o r e » del M o r o n i ( n. 13 alla C a r r a r a ) , ambedue severi e quasi a q u i l i n i d i g r i n t a . Invece la « G i o v i n e t t a » è d i p i n t a con u n colore soffice, da petalo muschioso, che appartiene a p i t t o r e d i t u t t ' a l t r a estrazione più compiaciuta e mondana: Carlo Francesco N u v o l o n e , i l nome che è affiorato i n quasi t u t t i i c r i t i c i . D i f a t t i l'autore della contigua, alla Carrara, « Madonna col Bambino » è i l nome ben più conveniente a questo bel r i tratto « un poco sussiegoso », al quale bisognerà r e s t i t u i r l o . Occorre, q u i n d i , d'ora in avanti, tener d i s t i n t i i due g r u p p i d i opere della V a l Brembana; quelle acerbe e giovanili d i Pianca, d i San G a l l o , ecc., e le altre bellissime e meditate, con 9. Madonna coi S S . Alessandro e Luiiù re di F r a n c i a : collezione privata. ascendenze d i finezza cromatica verso G i u l i o Cesare Procaccini, del santuario della Costa 0 d i San Pellegrino, databili al 1650/5. I l Ceresa le mandò su da Bergamo, oppure tornò al paese per dipingerle. Che ritornasse d i quando i n quando i n valle, alla sua cara luce montanina, alle rive aspre ma m o r m o r a n t i del Brembo, lo dimostra una sua lettera del 28 maggio 1667 da San G i o v a n n i Bianco a MafTìo Tassis d i Brescia ( B i b l . A c c , B e r g a m o ) . Protetto dai Boselli, che a San G i o v a n n i Bianco possedevano una casa sul fiume a dominio della valle, imparentato con i Z i g n o n i d i cui sposò una Caterina, sorella o cugina di Laura Z i g n o n i ( tav. I I I a c o l o r i ) andata sposa a u n Boselli, i l Ceresa scese presto a Bergamo. Passato lo spavento della peste, trovò i sopravvissuti animati da una volontà 12. D o n n a col ventaglio: collezione privata. 13. Gentiluomo col fazzoletto: collezione privata d i vita, e le chiese da un fervore attivo, che si riscontra nel grande numero di r i t r a t t i entrati nelle case avite e d i altrettante pale salite sugli altari. Si è già citato i l « R i t r a t t o d i ragazzo » d i M i l a n o ( tav. 4 ) datato 1633. L'artista ha preso il suo avvìo su Daniele e ha già trovato i l modello per tanti suoi r i t r a t t i con uno scatto d i verità fìsica e psicologica inconsueta anche nei grandi modelli cinquecenteschi del M o r o n i . Nella serie dei quadri religiosi si incontra subito una paletta con la Sacra Famiglia, 14. Duma col fazzoletto bianco: Pinacoteca Brera, 15. Bambina con la rosa: collezione privata. Milano. d i chiesa o d i casa privata non si sa, perché da tempo nella raccolta d i u n collezionista. Risulta ancora arcaica e q u i n d i giovanile. Essa permette d i osservare quanto rapido vada maturando in l u i i l « naturale » del Crespi, anche nel gusto del racconto. C'è un'aria confidenziale nei personaggi, sorpresi i n u m i l i azioni quotidiane. V i e n da pensare al tono rustico del Tanzio, se quel drammatico e tanto più esplicito p i t t o r e d i r i t i penitenziali e d i crudeli m a r t i r o l o g i avesse d i p i n t o una scena d i altrettale commovente verità plebea. I n t a n t o , c'è da crederlo, i l Tanzio avrebbe t o l t o , come i l Caravaggio, le aureole, per una santità che è più dentro le persone e nel l o r o patire, e tanto meno avrebbe collocato quel breve n i m b o d i angeli sfarfallanti. M a quanta verità d i u t u r n a , quale umana terrestrità, e tepore da stalla i n quell'ombra densa d i fiati della paletta ceresiana. Le clausole t r i d e n t i n e hanno ancora scarsa presa. E ' ben vero che, i n opere d i maggior impiego ecclesiastico — i l « San Vincenzo in D u o m o ( t a v . 8 ) o la pala del Rosario per Almè ( tav. 11 ) , per citare qualche esempio — i l Ceresa v i acconsente con larghezza, e colloca con divozione i personaggi, introduce angeli e p u t t i . M a non è u n cedere remissivo; piuttosto è da vedere un tentativo spesso felice d i innestare la concretezza del reale sulla convenzione liturgica. 16. Ritratto di Bernardo G r i t t i , 1646: Rijksmuscum, Amsterdam 18. Ritratto di G i o v a n n i Pesenti, 1650; coli, privala. 17. Ritratto di Battista Pesenti, 1650: coli, privata. P r o p r i o nel « San Vincenzo » c'è quel sorprendente paesaggio che riflette l'ora e la luce sulle t o r r i e le cupole d i Città A l t a , e i l santo, permettendo la compunzione della sua gloria celeste, è u n bel giovine i n dalmatica rossa visto passeggiare i n piazza e preso come modello. I I Tassi, occhio fino, rileverà con giustezza i l suo piacere d i fare « li pattini assai carnosi e ritondi, e che molto dilettano per le loro idee belle e ridenti ». Rimettendo in circolo terreno le figure e le azioni della santità, veniva ad o f f r i r e un ausilio più che un c o n f o r t o a c h i , scampata la m o r t e , tornava a vivere la sua cronaca giornaliera, e la chiesa era d i nuovo una società d i esseri v i v e n t i , coinvolta nell'umiltà dei g i o r n i , anziché rimanere estranea nei f u m i degli incensi. H a ragione L u i g i Salerno ( 1 9 5 6 , pag. 2 0 ) quando dice che « la Controriforma lombarda guidata dal Borromeo, fedele ai testi sacri e amica della povertà e della penitenza », si differenzia, quasi contrastando col suo m o n d o morale cresciuto nelle lacrime d i fronte alle m o r t i , con Roma, « dove la Controriforma era esteriore e politica ». I m m e t t e r e le donne e gli u o m i n i che incontrava nelle strade e dentro le case nei suoi quadri d'altare, u m i l i , concreti, corposi e l'occhio v i v o anche se assorti e compresi nei r i t i d i cui reggono i simboli (la palma, la graticola, i seni tagliati, la ruota, le chiav i , l'ascia), voleva significare per i l Ceresa che la natura umana, persi i p r i v i l e g i e g l i ideali del Rinascimento, ne aveva acquisiti a l t r i f o n d a t i su quella coscienza della soffe- renza comune. Faceva ressa una società nuova, consapevole delle sue sorti, e t u t t i gli strumenti voleva che si adeguassero alla sua nuova condizione. Anche quelli della fede, tanto più che le piaghe appena lenite o che potevano riaprirsi per improvviso e furente contagio, non erano d i f f e r e n t i da quelle dei santi Rocco e Sebastiano e o f f r i v a n o la precisa cognizione d i una identità comune, rifattasi carne e patimento q u o t i d i a n i , da ideale e dogmatica che era. I l Caravaggio, lombardo pure l u i e cresciuto a M i l a n o in frangenti non dissimili a causa della peste d i San Carlo, ritroverà la natura reale per « concentrazione morale sulla storia » ( Salerno ) e nel realismo umile della gente povera, nei panni laceri dei popolani, tra gli oggetti plebei d i taverna e d i cucina, calerà i simboli dell'antica fede, ridonandole una sostanza che non era soltanto quella del disquisire teologico. I l Ceresa non si può certo dire un realista spinto, né tanto meno v o l t o ai ferali spettacoli penitenziali del Tanzio e alle morbose complessità d i D e l Cairo. Da quel « canestro di f r u t t a » all'Ambrosiana e dalle versioni che Tanzio e Daniele portavano nella pittura 22. Ritratto di Lorenzo G h i r a r d e l l o : Museum of F i n e A r i s , Boston. milanese, egli prese quel tanto che g l i servì a ricreare una verità domestica, una mistione personalissima d i maniera ideale e d i realtà tangibile. N o n f u u n r i v o l u z i o n a r i o . M a nei c o n f r o n t i delle ripetizioni retoriche e spesso vacue consumate in Bergamo anche dagli onorati Salmeggia e Cavagna che lo precedettero, f u un deciso r i f o r m i s t a . N o n raccoglie il l u m i n i s m o drammatico che nel conterraneo Caravaggio è specchio d i spasimante rivelazione p r o p r i o tramite il conflitto tra luce che folgora e tenebra che sommerge. A questo proposito si può trascrivere ancora una v o l t a i l Tassi, quando ammette che « nell'inventare fu piuttosto aggiustato, che ferace ». D ' a l t r o canto le clausole t r i d e n t i n e in verità n o n f u r o n o mai categoriche al p u n t o da precludere agli artisti che l i sapessero affrontare, sugli esempi del Caravaggio, i temi del reale giornaliero. L o Zeri ha già indagato questa situazione dell'arte italiana dopo i l 1570 nel suo bel l i b r o sul Pulzone romane ( 1 9 5 7 ) e d i m o s t r a t o che la crisi era insita nello stesso svolgimento del Manierismo italiano, sullo sfondo d i un'inarrestabile i n v o l u zione della società italiana. G l i scrittori d'arte l'andavano r i v e l a n d o , quella crisi, nelle loro discussioni e nei l o r o t r a t t a t i a stampa. 23. Donna seduta: collezione privata. 24. Ritratto di dama: collezione Suida, New York Nel 1564 appare quello del G i l i o : « Due dialoghi... degli errori de' p i t t o r i » dedicato al card. Alessandro Farnese; nel 1584 appare a Firenze « I l Riposo » del B o r g h i n i ; nel 1590 a M i l a n o pubblica la sua frondosa « Idea del Tempio della pittura » i l Lomazzo; lo stesso anno esce a M a n t o v a i l « Figino ovvero del fine della pittura » del Comanini; e nel 1607 Federigo Zuccaro dedica a Carlo Emanuele d i Savoia la sua « Idea dei p i t t o r i , scultori e architetti ». T u t t i indici d i una crisi crescente e sempre più irrimediabile. Anche Bernardino Campi pubblicò a Cremona nel 1584 i l suo libro d i « Pareri sulla pittura ». Quale esempio delle idee allora in discussione tra g l i scrittori e g l i artisti, proviamo a riportare una pagina del G i l i o , anti-Michelangelo feroce. N e l suo rigido conservatorismo iconografico, raccomandava d i ridare forza all'antica consuetudine. « Qual è questa antica consuetudine? E' il dipingere le sacre immagini honeste, e devote, con que' segni che gli sono stati dati da gli antichi per privilegio della santità; il che è paruto a moderni vile, goffo, plebeo, antico, humile, senza ingegno e arte; per questo essi anteponendo l'arte al honestà, lasciando l'uso di fare le figure vestite l'hanno fatte, e le fanno nude, lasciando l'uso di farle devote l'hanno fatte sforzate, ponendogli gran fatto di torcerli il capo, le braccia, le gambe, e parer che, gli atti, che chi sta in contemplazione più tosto rapresentino chi fa le moresche, e ». Tali l i b r i circolavano senza d u b b i o anche a Bergamo, dove esisteva una classe d i clero e d i n o b i l i c o l t i , d i u o m i n i d i studio. Ne è prova i l fatto che Io stesso Salmeggia scrisse nel 1607 un trattato, g i u n t o a n o i solo in qualche brano. I l Concilio T r i d e n t i n o ( 1563) f u abbastanza generico nelle disposizioni concernenti l'arte per le chiese, lasciando ai vescovi la tutela e la sorveglianza della dignità delle opere da porre sugli altari. I n particolare si preoccupava d i vietare « t u t t e le lascivie d i una sfacciata bellezza dalle sacre figure ». N e l trattato « De pictura sacra » che Federigo Borromeo pubblicò a M i l a n o nel 1624, un capitolo i n t e r o è dedicato al n u d o e alla verecondia degli atteggiamenti, e un altro ai r i t r a t t i al naturale: « Mentre lodiamo e raccomandiamo l'usanza e la premura di ritrarre le fisionomie dei vivi, non possiamo poi non rimproverare quegli artisti che scelgono persone di fama perduta per appioppare i volti e gli aspetti loro alle immagini dei Santi ». I n v i t a v a infine a non i n t r o d u r r e figure d i laici nelle sacre rappresentazioni, e tanto meno d i c o m m i t t e n t i e i l o r o o r n a t i stemmi. Sicché non d a p p e r t u t t o i l rigore ispirò l'azione dei vescovi. N e l Bergamasco la curia dovette essere tollerante, se questa disposizione non risulta applicata alla lettera. N o n fu per lassismo; piuttosto è da ritenere che non dubitasse della fede religiosa dei bergamaschi e non parve o p p o r t u n o infierire laddove mancava ogni intenzione perversa o intinta d i eresia riformistica. Su questo p u n t o specifico lo stesso cardinale Federigo nel suo trattato o f f r i v a un certo margine d i libertà: « Io esorto quindi caldamente gli artisti a non effigiare alcuno al vivo se non di fama costumata ed onesta, e far in modo che non siano maledetti per il loro pennello, non tocchino cioè loro i biasimi e i danni che sogliono guadagnarsi le penne velenose degli scrittori ». E ' ben nota la serie dei santi nei quadri del Ceresa, naturali fino all'esattezza fisionomica. N o n si conoscono i personaggi; ma certi v o l t i sono cavati dalle persone amiche. I santi del Ceresa giungono alla cronaca laica dei r i t r a t t i e dei costumi adorni. T u t t e le 29. Pala del Rosario: Parrocchiale sul M o n t e di Breno, Bergamo. Madonne delle sue pale, chi non lo sa?, sono repliche d i r i t r a t t i della moglie Caterina, peraltro vezzosa e amabile; e succede spesso d i veder sbucare dal margine delle pale anche le teste degli o f f e r e n t i i n atteggiamento devoto. Una devozione che non impedisce tuttavia al personaggio r i t r a t t o al piede della paletta d i San Pietro d ' O r z i o , d i voltarsi a guardare verso l'esterno. Forse u n vecchio d i casa Boselli o d i casa Z i g n o n i col pizzetto bianco, e guarda con un piglio da padrone d i casa uso al comando. Però una volta concesso quel margine d i « decoro » e d i « devozione », d'altra parte corrispondente, lo si vede bene, a una sua inclinazione religiosa e al suo carattere malinconico e silenzioso, quale libertà d i rappresentazione, quale schietto ricorso all'evidenza oggettiva. Un'umiltà premanzoniana, la considera i l T e s t o r i ( 1953, p. 2 6 ) . N o n per nulla in un periodo in cui « l'artificio barocco » invade la p i t t u r a veneziana, smagliante e polposo con lo Strozzi, rilegato d i classicismo più o meno pagano col Padovanino, il L i b e r i , i l C a r p i o n i , scintillante d i fantasia tra i l bizzarro e l ' i n q u i e t o col M a f f e i e il Mazzoni, nella Bergamasca periferica ma t u t t a l t r o che tagliata f u o r i dal grande respiro culturale, i personaggi del Ceresa nei quadri sacri appaiono « d i una certa espressione e naturalezza, che parevano v i v i » (Tassi, 2 4 1 ) . Fu una r i f o r m a sul serio e non agghindata sui cànoni tradizionali. L'antica cultura moroniana, già così franca e cordiale, trovò negli innesti milanesi un nuovo sangue v i v o e ne vennero, L i a Ceresa e Baschenis, conseguenze d i tale novità, che la critica accademica e classicheggiante dell'Ottocento, perdutisi g l i entusiasmi degli e r u d i t i settecenteschi, non seppe più valutare appieno e giunse fino a disperdere un p a t r i m o n i o prezioso ricevuto in dono. Si è già visto come l'esempio d i Daniele fruttificasse nel « Ragazzo » del 1633. I l ritratto d i Laura Z i g n o n i Boselli, al confronto con i r i t r a t t i alla Passione d i M i l a n o , e ben 33. Gentiluomo in nero: collezione privata. 32. G i o v a n e gentiluomo: collezione privata. inteso con q u e l l i , pochi, che appartengono al Crespi, non cede d i un palmo per vigoria espressiva e sostanza d i colore. A n z i , f u o r i d i l i t u r g i a , concentra meglio la sua d i u t u r n a esistenza con u n memorabile riscontro psicologico senza forzare l ' i m m a g i n e , tenendola al contrario sul massimo d i semplicità e d i concisione. Disceso a Bergamo, mano a mano i l g r u p p o dei r i t r a t t i si accresce; famiglie intere posano davanti a l u i e studiandole dal naturale, veniva piano piano completando i pantheon domestici delle varie casate: i M a r e n z i , i L u p i , i Boselli, i Sala, i Secco Suardo, i Cavalier i , i Pesenti, i Z i g n o n i , i Camozzi; una folla d i u o m i n i e donne, anche d i ragazzi, che t u t t i insieme ricreano una società serena nei suoi decori, legata da a f f e t t i , forte nelle imprese e non solo orgogliosa dei blasoni, delle genealogie dichiarate sui quadri come fossero l a p i d i ; ma anche delle attività quotidiane: i l c h i r u r g o , i l notaio, i l cancelliere, lo scrittore, i filandieri, d i cui è testimonianza la bella e inattesa natura m o r t a con la seta nei vari stadi d i lavorazione i n filanda ( t a v . V i l i a c o l o r i ) . Della felicità paesaggistica del Ceresa si è già parlato a p r o p o s i t o del « r i t r a t t o d i città » inserito nella pala d i San Vincenzo; ed è u n rammarico che non sia tornato su quel- 35. Ritratto di Pietro Maria Pesenti, 1657: privata. collezione 34. Ritratto di Maria Passi, 1657: collezione privata, l'esempio, almeno per quel che si sa fino ad oggi. Era prevedibile che la cura spesa nel dipingere g l i oggetti o la f r u t t a o i fiori dentro i quadri sacri e laici, dovesse dare qualche quadro d i « oggetti d i ferma » come si chiamavano allora le nature morte. Si badi alla fiasca d i vetro nel r i t r a t t o d i Anna Maria Pesenti ( tavola X I V a colori ), omaggio memore, dopo tanti anni, al Caravaggio; e ancora ai l i b r i , ai gioielli, alla f r u t t a in mano ai pargoli, alla rosa dell'altro memorabile r i t r a t t o di bambina (tavola 1 5 ) , alle else delle spade, alla tavola imbandita del quadro d i famiglia ( tavola V I I a colori ). La natura morta della filanda e l'altra degli s t r u m e n t i musicali che q u i si propongono, non giungono improvvise. Una perlustrazione i n questa direzione dovrebbe dare altre scoperte: « miscellanee » d i f r u t t a o d i cucina o d i s t r u m e n t i . E ' un'operazione critica da farsi con molta cautela e con riscontri letterali, ma non tanto d i iconologia per serie, quanto d i espressione pittorica e di verità poetica, ben conoscendo quanto sia infido i l campo, dove gli i m i t a t o r i del Baschenis, che queste nature morte del Ceresa dovette tener in gran conto, sono più d'uno e se non p r o p r i o dozzinali, certo d i più corsive immagini. Con i v o l t i , con i costumi e le case dei v i v i , anche gli oggetti d i pratica quotidiana. Quanto ai r i t r a t t i , sappiamo già della « sua cura nel concretarli quasi ossessivamente come "oggetti" fra luci e ombre a contrasto, assai simile alla lunga pazienza con cui Evaristo Baschenis... colloca le sue miscellanee di oggetti al traguardo dell'immobilità, sotto la luce protratta dei pomeriggi estivi » ( L o n g h i , 1953, p. I X ) . Q u i si apre i l quesito dei d e b i t i e c r e d i t i fra Ceresa e Baschenis, e si rimanda alle singole schede d i catalogo. Una situazione che si capovolge, rispetto a quanto sin q u i r i t e n u t o , a largo favore del Ceresa: problema che rimandiamo alcune pagine più a v a n t i . La ritrattistica del Ceresa prende notevole spicco nella p i t t u r a europea del Seicento. Si è visto a quali f r u t t i portò l'avvio preso su Daniele Crespi. I l Carrara, per spiegarsi ai suoi anni, cioè sul finire del Settecento, donde venisse quel robusto « macchiare » ceresiano. dovette ricorrere al G u e r c i n o . L ' A r m i g e r o ( t a v . I I a c o l o r i ) dice invece apertamente Io scambio col Tanzio; e da questa parte, o l t r e che dalla « canestra » d e l l ' A m b r o siana, Ceresa attinge al Caravaggio. I l traversone d i luce alle spalle del personaggio i n piedi ricorda da vicino quello della « Maddalena » D o r i a con la fiasca d i v e t r o posata accanto alle perle. La qualità d i resa p i t t o r i c a d i questi r i t r a t t i è già al d i là degli e f f e t t i r i p e t i t i v i ; è maturazione personale. I rapporti con la p i t t u r a spagnola, dato i l f i t t o scambio di quadri e d i artisti con M a d r i d . 39. L'uomo grasso: collezione privata. 38. Gentildonna con libro chiuso in mano: collezione privata. Siviglia c M i l a n o , non sono soltanto un'ipotesi. Due anni fa, al Cason del Buen Retiro a M a d r i d , nell'occasione del 150° anniversario del Prado si fece un'esposizione d i quadri italiani del Seicento. Duecento g i u n t i d'ogni parte della Spagna sono u n bel b o t t i n o oltre che un'efficace antologia. E quanti milanesi, dal Cerano a Daniele, ai Procaccini; ed è solo una parte d i ciò che la Spagna conserva. Q u a n t o basta per sollevare non pochi veli su quegli scambi d i cultura e d i arte. Alcune opere giovanili d i Caravaggio v i giunsero presto, per l'acume collezionistico d i Camillo Contreras, che f u priore all'ospedale della Consolazione a Roma, dove i l giovane Caravaggio f u ricoverato; e per quella strada giunsero a Siviglia. La « Salomè » dell'Escoriai, degli u l t i m i anni del Caravaggio, si ritrova già a M a d r i d i n u n inventario del 1686. M a quando v i giunse? I primi quadri di Velasquez sono stigmatizzati in profondo dall'arte del maestro lombardo, anche per a l t r i apporti i n d i r e t t i , dal Borgianni ai napoletani. Venne i n Italia nel 1629 e nel settembre, da Genova, Velasquez procedette fino a M i l a n o , dove presiedeva, governatore e generale delle truppe spagnole, lo Spinola. I r i t r a t t i i n piedi del duca d i Olivares con la mezza tenda alzata d i lato, quello del re F i l i p p o I V o d e l l ' I n f a n t e don Carlos, si collocano t u t t i tra i l 1624 e i l '28. I l Ceresa non l i vide; ma stampe e disegni dovettero esse- 40. Ritratto di Jacopo Tiraboschi Bergamo. Accademia Carrara. 41. Vecchio gentiluomo in poltrona: Roberto Longhì, Firenze. Fondi re f r e q u e n t i i n I t a l i a e i n special modo nel Ducato d i M i l a n o guidato dalla Spagna. Le s i m i l i t u d i n i coi r i t r a t t i i n piedi del Ceresa sono numerose per non indiziare un'attrazione del p i t t o r e bergamasco. I l r i t r a t t o della madre con tre figli ( tav. 5 ) sembra collocarsi a ridosso, se n o n i n anticipo, del tempo m a t u r o d i Z u r b a r a n . Una v o l t a che del r i t r a t t o d i Lorenzo Sala ( tav. X V I a c o l o r i ) si perse la paternità, f u giocoforza ricercarla nel g i r o dei maestri internazionali, e si tentò i l nome del fiammingo Sustermans, abilissimo apparatore d i r i t r a t t i c o r t i g i a n i . N o n si vuol dire a l t r o , per i l m o m e n t o , che sono t u t t e coincidenze, e affinità e scambi e assimilazioni, t r o p p o numerose perché si possano ritenere soltanto causali. Per lo meno rivela un Ceresa dentro i l grande giro dei maestri. N e l c o n f r o n t o con Sustermans, le figure del fiammingo sembrano d i cera agghindata, mentre quelle del Ceresa giungono al caldo del sangue per i l colore che vuole essere carne v i v a . Fra i l '50 e i l '60 il r i t r a t t o ceresiano non allenta la sua presa, anche se la sostanza del colore, al d i là del nero preferito per i costumi che permettono i l gioco alterno e spalancato dei bianchi, diventa solivo, trasparente d i lievi fiati sulle carnagioni chiare: i l « Gen- 42. Dama di casa Benaglia: collezione privata. t i l u o m o con i guanti » ( tav. X I I I a colori ) , i l « G e n t i l u o m o i n nero » ( tav. X V a colori ) , i l giovane « Lorenzo Sala » ( t a v . X V I a c o l o r i ) d i un pallore malinconico. E i l momento i n cui anche nelle pale religiose i l colore si schiara. Parlarono i vecchi e r u d i t i d i G u i d o Reni e dipese da quel filato prezioso d i colore i n luce d'argento: i l bianco-violaceo degli affreschi certosini a Garegnano, i l contrapporsi del bianco avorio col nero d'onice degli abiti domenicani nella pala a San Lazzaro del Cerano. E semmai, volendo allargare l'orizzonte, filtrava da Brescia l'aria d'argento del M o r e t t o . M a in quello schieramento d i tinte del sesto decennio, uno schiarimento che ne accentua i l tono quieto e g l i accordi d i s t i l l a t i , si potrebbe tener conto d i u n ricordo d i G i u l i o Cesare Procaccini, che ora veniva anch'esso a maturazione lungo la fronda robusta d i Daniele. E ' un periodo i n cui i l Ceresa compie non dico un ripensamento, ma un riscontro formale, se ha tenuto persino a copiare, a modo suo, una Madonna d i Raffaello, come si vede alla Carrara ( n . 779 ). 1 G l i anni però galoppano e la c u l t u r a , con la società, compie variazioni continue. Tenere il passo senza cedere, è la prova più ardua per un pittore e un segno della sua conti- nuità d i i n t e l l e t t o e d i fantasia. Da t r e n t a n n i i l Ceresa accompagna le f o r t u n e d i questa gente e ne condivide i pensieri e mano a mano i l gusto per l o sfarzo e la posa u n poco spettacolare. N e l « R i t r a t t o d i cavaliere » ( t a v . X V I I a c o l o r i ) , e siamo verso i l 1660, i l v o l t o incarnato e pieno, i l colore t u r g i d o sotto la chioma soffice, p a r m i accordato sul San C r i s t o f o r o che lo Strozzi mandò ad A l m e n n o San Salvatore. N e l r i t r a t t o d i « Caterina G i r o n d a » ( t a v . X V I I I a c o l o r i ) addensa lo scuro perché b r i l l i i l rosso della veste e 45. Carlo Francesco Nuvolone (1608-1661), Ritratto di giovinetta: Accademia Carrara, Bergamo. 46. Antonio Cifrondi ( 1657-1730), Ritratto di prelato: Accademia Carrara, Bergamo. dei granati attorno al collo. Se la luce disegna le ombre dietro le figure i n piedi, le tende d i v e l l u t o si alzano come sipari a creare una cavità più profonda (tavola X X a c o l o r i ) . Si preparano tempi diversi e tra poco adatti al Galgario. Recuperando la cordiale concentrazione realistica del M o r o n i ( i l « Tiraboschi » della Carrara ne è palmare esempio) il Ceresa si pone come anello d i congiunzione con l'impetuosa verità carnale e pittorica d i Fra Galgario, come dimostra i l r i t r a t t i n o i n corazza (tavola X X I a c o l o r i ) , dove sembra esserci una sovrapposizione d i mani fra i due maestri, u n o al termine della sua carriera, l'altro al cominciamento. Quando muore i l 10 febbraio 1679 ( e d è una data controllata nel « L i b r o dei M o r t i » d i San Alessandro della C r o c e ) , n o n lascia certo un'eredità dissanguata al Galgario e al Cer u t i , quale ricevette quando ebbe vent'anni. E ciò anche senza a t t r i b u i r g l i r i t r a t t i che non sono del suo pennello. D i f a t t i , come si è proposto d i togliere la « Giovinetta » del N u volone, si tolga dall'elenco del Ceresa i l « R i t r a t t o d i prelato » (Carrara n . 719 ) : i l colore l i v i d o e la smorfia terrea, le mani verdastre dalle grosse vene, appartengono a l l ' A n t o n i o C i f r o n d i d i Clusone, sul finire del secolo, quando i l Ceresa, p u r i m i t a t o ancora nel modo d i « tagliare » i l r i t r a t t o , n o n esisteva più da almeno u n ventennio.