I cinquanta corvi del Mose

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I cinquanta corvi del Mose
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4
VI
Primo Piano
Sabato 21 Giugno 2014 Corriere del Veneto
La tangentopoli veneta
Gli sviluppi
dell’inchiesta
giudiziaria
Il Riesame
I giudici hanno confermato l’impianto accusatorio
della procura riconoscendo congruità di
testimonianze e verifiche
L’uomo di Condotte
Note le motivazioni che hanno lasciato Tomarelli
in carcere: «Per anni ri è reso protagonista di
episodi corruttivi e complice del sistema»

Luigi Delpino
Chi vuole
raccontare delle
cose su questa
vicenda ci metta la
propria faccia, le
denunce vanno fatte
secondo le regole
I cinquanta corvi del Mose
«Pioggia di esposti anonimi
Indicano corrotti e mazzette»
Il procuratore Delpino: «Metteteci la faccia altrimenti
non li consideriamo». Il caso Tomarelli: «Pericoloso»
VENEZIA - Il procuratore
capo di Venezia, Luigi Delpino, gira e rigira tra le mani un
foglietto. E’ la lettera di Traiano a Plinio, datata 112 dopo
Cristo, e il noto imperatore
romano parlava all’amico della persecuzione dei cristiani,
soprattutto quelli che negavano di esserlo. «Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione - continuava Traiano non devono godere di considerazione in alcun processo;
infatti è prassi di pessimo
esempio, indegna dei nostri
tempi». «E se lo era 1900 anni
fa, tanto più lo è adesso»,
commenta Delpino. L’uscita
del procuratore non avviene a
caso: dal 4 giugno, giorno degli arresti dell’indagine MoseMantovani-Consorzio, in procura è arrivata una pioggia di
esposti anonimi. Una cinquantina, addirittura, sono
stati i «corvi» che hanno scritto al procuratore per dire che
loro sapevano di altri corrotti,
di altre mazzette, di altri illeciti. Il tutto, però, senza mettere una firma in calce.
E così Delpino ha ritenuto
di dover chiarire una volte per
tutte qual è la linea della procura: «E’ inutile mandare let-
tere anonime, per principio
non le prendiamo in considerazione», ha spiegato. E d’altra parte il procuratore ha perfino preparato un modulo
pre-stampato per le archiviazioni dei procedimenti che in
ogni caso la procura deve
aprire nel cosiddetto «registro
anonimi», proprio ricordando che sono lo stesso codice di
procedura penale e anche la
Cassazione a dire che il documento anonimo non può essere utilizzato. «Chi vuole raccontare delle cose su questa
vicenda ci metta la propria
faccia - conclude Delpino - la
stessa Costituzione all’articolo 2 parla della “responsabilità
sociale” a cui siamo tutti tenuti: se si ha una notizia di reato, bisogna andare a denunciarla secondo le regole».
I lavori non di fermano Il deposito dei cassoni Del Mose nell’area di Malamocco
Ieri intanto, dopo l’udienza-fiume di mercoledì, il presidente del tribunale del riesame Angelo Risi ha depositato in cancelleria le motivazioni della conferma del carcere
per Stefano Tomarelli, l’uomo
di Condotte nel comitato di-
rettivo del Consorzio Venezia
Nuova: per questo Tomarelli
era accusato di concorso in
corruzione, visto che secondo
i pm era perfettamente a conoscenza dei meccanismi con
cui, attraverso le false fatture,
si creavano i fondi neri e poi le
I verbali Il grande accusatore Baita ha escluso ogni coinvolgimento del proprietario di Mantovani
«Chiarotto? A lui interessavano solo gli utili»
PADOVA — La domanda è d’obbligo: è possibile che Romeo Chiarotto, proprietario di
Mantovani, non sapesse nulla del giro di mazzette sul Mose?
Gli investigatori lo hanno chiesto allo stesso
Piergiorgio Baita, il quale ha spiegato che
Chiarotto firmava dove c’era da firmare e evitava di fare troppe domande perché quello che
contava erano i risultati. Lo dichiara Baita a
verbale il 28 maggio 2013 rispondendo alla
domanda diretta dei pm.
D: «Di queste vicende (fatture) la famiglia
Chiarotto era a conoscenza?»
Baita: «Non aveva il dettaglio, Chiarotto sul
Consorzio Venezia Nuova interveniva solo in
sede di consiglio direttivo. Era lui che sollevava la questione: “Come mai avete pagato questo importo?”. Allora gli gli facevano capire
con degli ammiccamenti che era meglio che
non approfondisse. E lì finiva».
D: «Le cifre erano consistenti...»
Baita: «Eh, va beh, però erano consistenti
anche gli utili. La Mantovani credo che abbia
fatto un centinaio di milioni di euro di utile
pagando 20 milioni all’anno di tasse».
D: «Lei l’ha mai messo a conoscenza di
qualche pagamento illecito specifico?»
Baita: «No, mai. Me ne guardavo bene. Era
uno dei patti per cui il rapporto era fiduciario».
D: «Quindi nel patto c’era che, se ci fossero
stati degli illeciti da commettere, li avrebbe
commessi lei assumendosene la responsabilità?»
Baita: «Se devo dire, Chiarotto mi ha sempre anzi raccomandato di non espormi per il
Consorzio, anche perché forse Chiarotto non
sapeva del mio rapporto personale Mazzacurati. Lui mi diceva spesso: “Ingegnere, perché
si deve occupare per una questione che non
riguarda solo noi?”. Io gli rispondevo : “Sì, riguarda tutti, ma se noi non rientriamo con i 70
milioni (quelli con cui Mantovani è entrata nel
Consorzio), la banca Mediocredito ci fa neri”».
Nello stesso interrogatorio emerge inoltre
Il mistero
Baita temeva un elemento della procura
padovana che non è un magistrato. Si
tratta di qualcuno che sapeva molte
cose e che è oggetto di nuova indagine
Non indagato Il proprietario Romeo Chiarotto
la forte la preoccupazione da parte di Baita che
tutto andasse a gambe all’aria per colpa delle
verifiche fiscali. Alla domanda del pm che
chiede come Baita intendesse bloccare le indagini, l’ex presidente di Mantovani tira in
ballo l’imprenditore padovano Mirco Voltazza
che dimostra di essere ben informato sulle dinamiche della procura di Padova, all’interno
della quale si muoverebbe un «centro di potere interdisciplinare», dal quale bisognava proteggersi. Proprio a Padova infatti c’era «un nemico» che non è un magistrato e che aveva il
potere di mandare all’aria i piani della Mantovani. Chi sia questa persona e per chi lavorasse
sarà al centro di una nuova indagine.
Roberta Polese
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