il caso del Mezzogiorno d`Italia

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il caso del Mezzogiorno d`Italia
CENTRO DI SERVIZI PER IL VOLONTARIATO DI PALERMO
CRESCITA ENDOGENA
E MISURAZIONE
DEL CAPITALE UMANO:
il caso del Mezzogiorno d’Italia
COLLANA «STUDI E RICERCHE» DIRETTA DA FERDINANDO SIRINGO
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Pubblicazione realizzata con il contributo
del Comitato di Gestione del Fondo Speciale
per il Volontariato della Regione Siciliana
finanziato dalle Fondazioni:
- Compagnia di S. Paolo
- Monte dei Paschi di Siena
- Cariplo
- Banco di Sicilia
Printed in Italy
© 2008
Centro di Servizi per il Volontariato
di Palermo
Barbara Gatto
CRESCITA ENDOGENA
E MISURAZIONE
DEL CAPITALE UMANO:
il caso del Mezzogiorno d’Italia
Prefazione di Vincenzo Borruso
Centro di Servizi per il Volontariato di Palermo
INDICE
Prefazione . .
Introduzione .
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pag. 7
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CAP. 1 -
Le teorie della crescita economica . . . .
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1. I modelli neoclassici . . . . . . .
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1.1. Il modello di Solow . . . . . .
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1.2. Il modello di Cass-Koopmans-Ramsey .
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1.3. Le predizioni dei due modelli . . .
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2. Ruolo dell'innovazione e modelli di crescita endogena
2.1. Il modello di Romer . . . . . .
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2.2. Il modello di Lucas . . . . . .
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2.3. Equilibrio in presenza di esternalità . .
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2.4. Il modello logistico di Nelson-Phelps .
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3. Alcuni risultati empirici . . . . . .
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4. La misurazione del Capitale Umano . . .
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4.1. Quantità e qualità dell'istruzione . . .
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CAP. 2 -
Istruzione al Sud: dati Istat e Test di apprendimento
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1. Dati Istat e Tasso di scolarizzazione . . .
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2. Qualità dell’istruzione siciliana . . . .
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2.1. L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema
scolastico. . . . . . . . .
. » 60
3. Dove il nostro sistema è davvero carente?
Le indagini internazionali . . . . . .
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3.1. TIMSS 2003 (The Third International Mathematics
and Science Study) . . . . . .
. » 74
3.2. ALL (Adult Literacy and Life skills) . .
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3.3. PISA (Programme for International
Student Assessment) . . . . . .
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4. Implicazioni di politica economica . . .
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Conclusioni
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Bibliografia
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Analisi sul campo a proposito di «Crescita endogena e misurazione del
capitale umano: il caso del Mezzogiorno d’Italia» . . . .
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Interviste ai volontari delle associazioni
che lavorano con i giovani . . . . . . . . .
. »107
Prefazione
La ricerca sui motivi che determinano la crescita economica di una
popolazione, di Barbara Gatto, sembra che parta da considerazioni quasi
scontate. Ma ci si accorge presto della necessità che ricerche simili siano
avviate anche quando la sensazione rimane quella di trovare risposte già
conosciute poiché l’approfondimento di una tesi, senza pregiudizi, sui
fattori che influenzano l’aumento della ricchezza di una popolazione,
riserva sorprese non facili da cogliere di primo acchito. Sono state diverse
le teorie elaborate alla ricerca di caratteristiche alla base di un incremento
della ricchezza e quali siano i fattori che permettono un incremento di
lungo periodo del reddito, sia sul piano individuale che sociale.
Le più recenti teorie, sottolinea la ricercatrice, evidenziano come in
tali processi sia determinante il fattore umano, molto più di quanto possano essere efficaci politiche di investimento per infrastrutture o iniziative
di tipo capitalistico.
Ci viene in mente la critica dei nostri storici post-risorgimentali, da
Pasquale Villari a Guido Dorso, da Giustino Fortunato a Gaetano Salvemini che, affrontando la questione meridionale, misero in evidenza la
situazione delle masse contadine meridionali estranee allo Stato italiano
creato dal Risorgimento. Alla politica di investimenti dei governi postunitari, ad esempio, tesa a dotare il Mezzogiorno di strade, ferrovie e porti
(assieme al problema giustizia, furono le più frequenti richieste di amministratori e imprenditori siciliani), fu rimproverato, oltre che il mancato
sostegno alle realtà industriali già presenti nel regno borbonico e a un
programma di lavori pubblici insufficiente e motivo di malaffari, la mancanza di un progetto di miglioramento dei livelli di istruzione delle popolazioni del Sud, in modo che divenissero arbitri coscienti di una loro crescita civile e reddituale. La politica crispina, tra l’altro, anche con la repressione dei Fasci contadini che reclamavano la terra ma anche una crescita culturale e democratica della vita civile, tolse ai siciliani ogni possi-
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PREFAZIONE
bilità di crescita endogena alla quale nessun vantaggio furono in grado di
dare gli insufficienti investimenti nell’ambito delle infrastrutture.
Nel 1878, il prefetto di Trapani in un suo rapporto riferisce: «Nessuno
spinge i contadini ad istruirsi. Le stesse amministrazioni comunali si
astengono dall’invitarli a frequentare le scuole per tema di doverne aprire
delle nuove». Nel 1877/78, i Comuni siciliani in grado di garantire
l’obbligo scolastico furono 110 su 359. Come scrive Giuseppe Barone
(Le regioni dall’Unità ad oggi, Einaudi, Torino 1987, p. 260) l’assemblea
dei proprietari riuniti a Palermo nel 1894 «denunciò nella diffusione della
scuola pubblica l’origine del malessere sociale»; qualche anno più tardi
(1896-97), il tentativo di ridurre drasticamente le spese per la scuola elementare al fine di arrestare le falle dei bilanci comunali fu duramente
stigmatizzato alla Camera da Giustino Fortunato.
Anche se la situazione negli anni più vicini alla nostra epoca sarà
profondamente modificata, non v’è chi non veda in questi peccati originali
il permanere di una questione meridionale che, fino ai nostri giorni, si
caratterizza in modo eclatante anche per questo gap culturale della nostra
isola rispetto alle regioni del Nord italiano.
Illuminanti, sulle motivazioni che hanno guidato Barbara Gatto, le
righe che concludono l’introduzione alla sua ricerca: «L’elemento che si
vuole qui evidenziare è dunque il ruolo che i livelli d’istruzione possono
avere per favorire lo sviluppo economico e di conseguenza come, incentivando l’educazione, si possa ridurre il divario tra i paesi più ricchi e quelli
più poveri, verificando in particolare il ruolo che potrebbe avere il capitale
umano per superare il ritardo in termini di sviluppo del Mezzogiorno
d’Italia».
Notevole, quindi, appare la concordanza fra queste considerazioni e
l’analisi sul campo che dei temi affrontati nella ricerca ha voluto fare
Giovanna Di Benedetto (vedi la seconda parte del volume). Analisi che si è
svolta somministrando un questionario, che ha ripreso i temi della ricerca,
ai volontari di dieci associazioni che in Sicilia lavorano con i giovani.
Degne di citazione, non togliendo nulla al resto delle risposte date da
tutti, calzanti e spietate nel tratteggiare un quadro deprimente della gioventù appartenente a quartieri marginali di grandi città siciliane e a
Comuni dell’interno, alcune di seguito riportate e che si riferiscono
all’item: Quanto incide il livello di istruzione sul disagio sociale? Che
PREFAZIONE
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titolo di studio hanno le persone seguite dall’associazione? Quanti sono
gli universitari e i laureati?
- Trapani (Gruppo Volontariato Vincenziano): «Parte dei giovani di
cui si occupa l’associazione non sa scrivere, altri hanno il minimo livello
di istruzione, cioè si fermano alle elementari. C’è molta dispersione scolastica tra i bambini delle famiglie delle case popolari della periferia di
Trapani».
- Caltanissetta (Nuovi orizzonti, ente morale): «I nostri utenti sono
persone con disturbi, che necessitano di insegnanti di sostegno e, al massimo, hanno un diploma di scuola media... Le ragazze madri delle comunità
alloggio non hanno titolo di studio».
- Palermo (Arte insieme, associazione di volontariato con sede nella
città storica): «Il livello di istruzione incide moltissimo sul disagio sociale. I giovani delle realtà difficili non considerano i vantaggi che potrebbero ricavare dalla formazione, non conoscono i propri diritti, ma hanno una
concezione di obbligo che dà fastidio ottemperare. Hanno un atteggiamento di sfida nei confronti di ciò che li circonda».
- Palermo (Madre Serafina Farolfi, associazione di volontariato che
opera al quartiere Capo, nella città storica): «Ci occupiamo dei minori a
rischio del Capo... Molti ragazzi delle medie non sanno leggere. La scuola
da sola non riesce a colmare queste lacune».
- Monreale (Il quartiere, associazione di volontariato): «L’istruzione incide profondamente sullo stato sociale. Chi sa parlare si difende con
le parole e con l’ingegno. Chi non lo sa fare, spesso ha reazioni violente…
La cultura è basilare».
- Palermo (Arciragazzi): «La scuola, nella migliore delle ipotesi,
riesce a trasferire contenuti di tipo teorico e la difficoltà che i giovani si
trovano ad affrontare è trasformarli in cose da fare».
- Palermo (Laboratorio Zen insieme, associazione di volontariato):
«Lavoriamo allo Zen 2, quartiere della periferia degradata di Palermo,
dove l’evasione scolastica è del 30%. Chi si ferma alla terza media non è
padrone neanche della lingua italiana».
- Gela (Cittadella culturale dei giovani, associazione di volontariato): «L’istruzione incide moltissimo sul disagio sociale. In una scala di 1 a
10, direi 10».
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PREFAZIONE
Dalle rimanenti risposte emerge un quadro che riguarda soprattutto la
inadeguatezza della scuola siciliana, la mancanza di professionalità in
numerosi docenti, la distanza esistente fra scuola e società, una scuola che
è quasi un fastidio e una inutile perdita di tempo.
Naturalmente, non tutta la realtà giovanile e non tutto il corpo insegnante impegnato in Sicilia è quello illustrato dal questionario raccolto da
Giovanna Di Benedetto. Tuttavia, risulta doloroso constatare come esistano ancora nella nostra regione marginalità sociali dalle quali le vie per un
cambiamento, economico, stanno spesso nell’aggregarsi a bande di spacciatori o nel fornire una manovalanza incosciente ai grandi fenomeni
criminali ancora presenti nella nostra isola.
Da quanto illustrato dalle nostre due autrici, invece, la speranza che
operatori sociali ed economici, in uno con la pubblica amministrazione,
leggano e comprendano meglio quanto c’è da fare se vorranno che la
nostra gente migliori i propri livelli di vita.
Vincenzo Borruso
Introduzione
A partire dagli anni ’50, osservando la crescita di alcuni Paesi (rappresentata dalle variazioni del prodotto pro-capite, ovvero del PIL – che
misura la produzione di nuova ricchezza – diviso la popolazione), si nota
per alcuni di essi un miglioramento notevole del tenore di vita.
Dagli anni ’70 si riscontra inoltre una tendenza alla convergenza dei
valori dei livelli di reddito pro-capite dei Paesi più ricchi.
Osservando però il fenomeno della crescita economica in maniera più
approfondita si nota che i Paesi che negli anni ’50 erano più poveri, non
sono cresciuti altrettanto rapidamente; conseguentemente per essi non si è
verificata alcuna convergenza, e il divario con i Paesi più sviluppati è
ancora esistente.
Al fine di comprendere i fattori che determinano la crescita economica sono state elaborate diverse teorie che cercano di interpretare le caratteristiche dell’incremento del reddito di lungo periodo all’interno di ogni
sistema economico nazionale e dell’economia mondiale, quali siano i
fattori in grado di garantire che tale incremento sia persistente e duraturo,
analizzando quali possono essere le cause delle differenze intercorrenti
nei tassi di crescita tra Paese e Paese.
I modelli più recenti evidenziano come, in tale processo, abbia un
ruolo fondamentale il cosiddetto capitale umano,1 elemento a cui le teorie
precedenti non avevano dato valore.
Livelli di istruzione più elevati, dai quali consegue uno sviluppo delle
competenze e capacità professionali dei lavoratori, vengono adesso considerate variabili fondamentali per la crescita economica di un Paese.
1
L’OCSE definisce il capitale umano come l’insieme delle «conoscenze, le abilità, le
competenze e gli altri attributi propri degli individui, che contribuiscono al benessere
personale, sociale ed economico».
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INTRODUZIONE
Tali variabili inoltre assumono un ruolo tanto più importante quanto
più rilevante è il peso delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie,
poiché queste richiedono un uso intensivo di particolari capacità.
Se si dimostra dunque la rilevanza del capitale umano per la crescita
economica, le scelte di politica economica in materia di sviluppo della
conoscenza e di sostegno all’educazione diventano fondamentali poiché
queste possono essere determinanti nell’influenzare i livelli di capitale
umano e dunque la crescita e lo sviluppo di un Paese.
L’elemento che si vuole qui evidenziare è dunque il ruolo che i livelli
d’istruzione possono avere per favorire lo sviluppo economico e di conseguenza come, incentivando l’educazione, si possa ridurre il divario tra i
Paesi più ricchi e quelli più poveri, verificando in particolare il ruolo che
potrebbe avere il capitale umano per superare il ritardo in termini di sviluppo del Mezzogiorno d’Italia.
CAPITOLO 1
Le teorie della crescita economica
Nell’ambito dei recenti dibattiti sulla crescita, i modelli teorici che
hanno riscontrato maggior interesse possono essere classificati in due
principali categorie:
§
Modelli neoclassici o di crescita esogena.
§
Modelli di crescita endogena.
1. I modelli neoclassici
Negli anni ’50 ebbero origine le prime teorie che ancora oggi, nonostante i loro limiti, rappresentano un punto di partenza per affrontare la
questione della crescita economica.
Nel periodo in cui tali teorie si svilupparono, l’incremento del prodotto degli Stati Uniti aveva mostrato una certa stabilità; i modelli neoclassici di crescita esogena si incentrarono dunque sull’analisi dei meccanismi e fattori che potessero condurre il sistema economico a mantenersi in uno stato di crescita stazionaria di equilibrio di lungo periodo.
1.1. Il modello di Solow
Nell’analisi di Solow un’economia tende a collocarsi all’interno di
un sentiero di crescita equilibrata e stabile; utilizzando un modello di tipo
meccanico, egli evidenzia infatti come non sia possibile avere un tasso di
crescita del prodotto pro-capite positivo nel lungo periodo senza che vi
sia un aumento delle conoscenze tecnologiche.
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CAPITOLO 1
In altri termini il modello conduce ad un tasso di crescita del prodotto
che tende ad essere costante nel tempo, così come quello dei fattori produttivi (capitale e lavoro) che determinano la produzione complessiva
dell’economia.
Quando l’economia percorre questo sentiero il suo tasso di crescita
non dipende da quello dei fattori che possono essere accumulati, ma
piuttosto dall’evoluzione di elementi non controllabili dal sistema economico, come la dinamica della popolazione o delle scoperte scientifiche e
tecnologiche.
Analiticamente (Aghion - Howitt, 1997) il modello è descritto da una
funzione di produzione inizialmente data da:
Y = F(K)
che esprime la relazione tra l’output Y e lo stock di capitale K, dato un
certo stato della tecnologia.
La caratteristica principale di tale funzione è che l’accumulazione di
capitale ha rendimenti decrescenti (determina, cioè, incrementi di
prodotto via via minori).
Ma, poiché in questa prima formulazione il lavoro e la tecnologia non
fanno parte del modello, la crescita del reddito nazionale può essere guidata solo dall’accumulazione del capitale.
Analizzando gli elementi che determinano la crescita di tale fattore,
che dipende da investimenti e ammortamento dello stock di capitale
stesso, si ipotizza che tutti gli individui risparmino una frazione costante
del reddito, ovvero:
i = sY
dove i rappresenta l’investimento ed s corrisponde alla frazione di reddito che il consumatore decide di risparmiare.
Tale funzione esprime, dunque, il tasso di accumulazione del capitale.
Si ipotizza inoltre che ogni anno si perda una frazione costante ä
dello stock di capitale a causa del deprezzamento (o ammortamento).
Pertanto il tasso di crescita dello stock di capitale è dato dalla funzione:
K = sF(K) – äK
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
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La figura 1 mostra l’effetto di quest’ultima funzione (Basu Kaushik,
1997).
Figura 1
Il tasso di incremento dello stock di capitale, rappresentato dalla
distanza tra la curva del risparmio (sf(k)/k) e quella del deprezzamento
*
del capitale (ä + n), è positivo fino a un certo punto K , punto in cui le due
curve si incontrano, e negativo oltre questo punto.
La spiegazione di ciò sta nel fatto che, nella situazione in cui l’output
è basso, l’accumulazione del capitale determina un aumento del tasso di
crescita della produzione, ma questo effetto positivo si va riducendo man
mano che l’output cresce, fino a quando l’economia converge nel cosiddetto stato stazionario (K* ). Pertanto la crescita economica è solo un
fenomeno temporaneo.
In sostanza, l’accumulazione di capitale è un fattore determinante
solo nella fase transitoria di aggiustamento dell’economia verso il sentiero di crescita bilanciata. Ma, una volta che tale sentiero è stato raggiunto,
la crescita del capitale deve adeguarsi a quella degli altri fattori esogenamente determinati.
Il passo successivo del modello è quello di introdurre il secondo
fattore di produzione, il lavoro.
La funzione diventa allora:
Y = F(K, L)
16
CAPITOLO 1
con rendimenti di scala costanti, ovvero un aumento dei fattori produttivi
dà luogo ad un aumento proporzionale del prodotto (ipotesi che deriva
dall’assunzione di un livello della tecnologia dato).
Il modello presuppone che qualsiasi agente offra una unità di lavoro
per unità di tempo, di conseguenza la dinamica del fattore lavoro può
essere rappresentata da quella della popolazione. L’accumulazione del
lavoro avviene, dunque, con l’aumentare della popolazione che si ipotizza crescere ad un tasso annuo costante pari ad n.
Introducendo il fattore lavoro, diventa importante studiare la funzione di produzione pro-capite y che misura quanto aumenta l’output,
ovvero la ricchezza, per ciascun individuo.
Per ottenere valori pro-capite ciascuna variabile deve essere rapportata alla quantità di lavoro L:
Y = Fì
K —
L Þ
ì
y=—
—,
y = f(k)
L
L L
î
î
dove l’output per persona dipenderà dallo stock di capitale per persona.
Anche in questa formulazione i rendimenti decrescenti imporranno
un limite alla crescita. In stato stazionario l’output e lo stock di capitale
aumentano al tasso di crescita della popolazione, e il prodotto pro-capite
rimane costante e la crescita cesserà nel lungo periodo.
Solamente introducendo il progresso tecnologico si può spiegare un
incremento della produzione nel lungo periodo, nonostante i rendimenti
decrescenti dei fattori.
Prendendo in considerazione tale fattore la funzione di produzione
diventa:
1a
a
Y = (AL) K
in cui il parametro produttivo A (che riflette lo stato della conoscenza
tecnologica) cresce al tasso g, valore esogeno che esprime il progresso
scientifico. La «popolazione effettiva» AL cresce pertanto al tasso n+g.
Anche in questo caso l’offerta di capitale per «persona effettiva»,
K
— , convergerà in uno stato stazionario in cui l’output e il capitale creAL
scono allo stesso tasso l n+g.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
17
La differenza rispetto alle formulazioni precedenti sta nel fatto che
anche l’output e il capitale pro-capite cresceranno in proporzione al
tasso esogeno del progresso tecnologico, g.
Nel modello di Solow pertanto l’unica spiegazione alla crescita di
lungo periodo, osservabile empiricamente, è legata al cambiamento
tecnologico che, costantemente, controbilancia l’effetto negativo dei
rendimenti decrescenti del capitale e del lavoro; è possibile dunque che vi
sia una crescita economica di lungo periodo, ma solo grazie ad una variabile, il progresso tecnologico, che viene considerata elemento esogeno e
quindi, non influenzabile dal sistema economico.
1.2. Il modello di Cass-Koopmans-Ramsey
Un’analisi simile a quella di Solow viene sviluppata da Cass, Koopmans e Ramsey, i quali sviluppano un modello di massimizzazione.
Il punto di partenza del modello è lo studio della funzione di utilità
del consumatore, considerando un tasso di risparmio costante (ipotesi
plausibile in uno studio di lungo periodo).
La funzione di utilità (Aghion - Howitt, 1997) è pari a:
¥
r
t
W=ò
eu(c(t))dt
L’utilità totale degli individui, W, è funzione del consumo pro-capite
c(t), in ciascun istante t, della funzione di utilità istantanea u, con utilità
marginale positiva ma decrescente, e del tasso r
, positivo, che esprime le
preferenze temporali degli individui.
La soluzione del modello porta nuovamente ad un sentiero di crescita
ottimale che si ottiene massimizzando W, sottoposto al vincolo che il
prodotto nazionale netto sia uguale al consumo più l’investimento:
K = F(K) – äK – c
e soggetto ad un valore del capitale predeterminato.
Nel modello il consumo è ricavato dalla massimizzazione della
suddetta funzione di utilità che rende la propensione al risparmio s costante nel lungo periodo quando consumo e reddito crescono allo stesso
tasso (crescita bilanciata).
18
CAPITOLO 1
Anche nel modello di Cass-Koopmans-Ramsey la crescita non può
essere sostenuta all’infinito, poiché il capitale sarà crescente fin quando il
suo prodotto marginale è maggiore o uguale al tasso r
, e decrescente non
appena il suo prodotto marginale diventa minore di r
.
L’economia convergerà, pertanto, verso uno stato stazionario in cui
lo stock di capitale si mantiene costante e la crescita cessa nel lungo periodo. Anche in questo modello occorre introdurre il progresso tecnologico
come motore della crescita economica di lungo periodo.
Introducendo tale fattore la funzione di produzione diventa:
Y = F(K, AL)
dove F ha rendimenti di scala costanti e A è un parametro di produttività
esogeno che cresce al tasso costante g (lo stato della tecnologia cresce in
funzione del progresso scientifico).
Assumendo per semplicità che L = 1, la funzione diventa:
Y = F(K; A)
in cui la quantità costante di input di lavoro viene sostituita da una quantità crescente di conoscenze, rappresentate dal parametro A.
Introducendo, dunque, nel modello il fattore tecnologico lo stock di
capitale può crescere indefinitamente, poiché l’effetto dei rendimenti
decrescenti viene compensato dalla continua crescita della produttività,
data dal progresso tecnologico.
Anche in questo caso, lungo il sentiero di crescita ottimale, il capitale, i consumi e il prodotto nazionale netto crescono al tasso esogeno g.
Ci troviamo pertanto nuovamente in presenza di una teoria esogena,
in cui il progresso tecnologico, unico fattore determinante per la crescita,
è esterno al sistema economico e quindi non influenzabile da esso.
1.3. Le predizioni dei due modelli
Le ipotesi teoriche dei modelli precedenti hanno implicazioni di
notevole rilevanza.
La prima conseguenza che ne deriva è che, se la dinamica dei fattori
esogeni è simile in economie diverse fra loro, tali economie dovrebbero
tendere verso un unico e comune tasso di crescita.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
19
Di conseguenza dovrebbe accadere che i Paesi poveri tendano a
crescere più rapidamente dei Paesi ricchi.
Tale affermazione appare legata all’ipotesi di rendimenti decrescenti
del capitale, poiché i Paesi con un più basso livello iniziale di capitale procapite hanno un tasso di crescita del prodotto pro-capite maggiore.
Ci si può aspettare quindi che i Paesi che presentano un basso rapporto capitale/prodotto abbiano un elevato tasso di rendimento del capitale
che indurrà una maggiore accumulazione del capitale e conseguentemente un più elevato tasso di crescita dell’output.
Si parla dunque di «convergenza non condizionata» (o «assoluta»),
secondo la quale in due economie con uguali tecnologie, stessi parametri
di risparmio, crescita della popolazione e tasso al quale si deteriora il
capitale, nel lungo periodo i livelli di capitale pro-capite tendono a coincidere, poiché il Paese che inizialmente ha un prodotto pro-capite inferiore
crescerà più velocemente fino a raggiungere il Paese col prodotto procapite maggiore.
Nella realtà, però, queste predizioni non si verificano e l’evidenza
empirica mostra che i tassi di crescita sono molto diversi tra Paese e Paese
anche nel lungo periodo.
La più ovvia debolezza del fenomeno di convergenza non condizionata è l’ipotesi sottostante che tutti i Paesi condividano gli stessi parametri di base del modello di crescita.
Se si abbandona tale ipotesi, e si ammette che i Paesi abbiano parametri diversi (e che da tali parametri dipenda la definizione dei livelli di
output), si avrà comunque una sorta di convergenza, ma lo stato stazionario sarà diverso nei vari Paesi.
In particolare, se per il momento accettiamo che tutte le nazioni
sperimentino lo stesso tasso di variazione della tecnologia (dovuta ad una
perfetta trasmissione della conoscenza), accade che le economie convergeranno verso lo stesso tasso di crescita del reddito pro-capite ma su
sentieri che rappresentano stati stazionari differenti.
Tali differenze sono dovute a differenti saggi di risparmio (s) o a
differenti dinamiche demografiche (n).
20
CAPITOLO 1
I tassi di crescita possono allora variare da Paese a Paese non solo a
causa dei diversi livelli iniziali di output, ma anche in funzione delle
differenze nei parametri che determinano i loro stati stazionari; si parla
in questo caso di «convergenza condizionata».
In sostanza, se tutte le economie fossero intrinsecamente le stesse
tranne che per le loro dotazioni iniziali di capitale, allora la convergenza opererebbe in senso assoluto e i Paesi più poveri avrebbero una crescita pro-capite più veloce dei Paesi più ricchi.
Se invece le economie differiscono in più aspetti (tra cui la propensione al risparmio, l’accesso alla tecnologia o le politiche governative),
la convergenza opera solo in maniera condizionata, e il tasso di crescita
tende ad essere alto se il prodotto pro-capite è basso in relazione alla sua
posizione di stato stazionario di lungo periodo (il che significa che un
Paese povero ma con un basso livello di output di stato stazionario nel
lungo periodo non crescerà affatto rapidamente).
Nonostante questa spiegazione, i modelli neoclassici non trovano
un riscontro empirico, poiché non riescono a spiegare pienamente la
variabilità dei tassi di crescita tra i diversi Paesi. Inoltre tali teorie,
poiché ipotizzano che la crescita nel lungo periodo si stabilizzi al livello
di stato stazionario, non sono coerenti con il riscontro empirico che
mostra che il livello del tenore di vita di ciascuna generazione è superiore di quello della generazione precedente.
Un altro elemento di criticità delle teorie neoclassiche sta nell’ipotesi che un fenomeno così importante come la crescita economica dipenda esclusivamente da fattori «extra-economici», risultato che appare piuttosto riduttivo in termini di implicazioni di politica economica.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
21
2. Ruolo dell’innovazione e modelli di crescita endogena
I modelli di seguito trattati tentano di superare il principale limite di
quelli neoclassici precedentemente esaminati, teorizzando la possibilità
di uno sviluppo economico che si «autoalimenta» ed è determinato endogenamente dal sistema.
In essi la crescita non è determinata da fattori esterni, bensì da fattori
che sono interni e influenzabili dal sistema stesso. Tali modelli vengono
perciò definiti «di crescita endogena».
La caratteristica più rilevante che differenzia le teorie di crescita
endogena rispetto a quelle neoclassiche è che, al contrario del capitale
fisico la cui capacità trainante tende a ridursi fino a scomparire via via che
l’accumulazione procede, il capitale umano può dar luogo ad una crescita
continua nel tempo e dipendente da fattori interni alla logica del funzionamento del sistema economico, poiché determina rendimenti non decrescenti del capitale.
La funzione di produzione in questi modelli, data da y = f(k), può
essere rappresentata come in figura 2 (Basu Kaushik, 1997).
Figura 2
22
CAPITOLO 1
Dall’andamento di questa funzione deriva che il tasso di crescita di y
segue l’andamento rappresentato in figura 3.
Figura 3
L’andamento della funzione sf(k)/k mostra che ciascuna economia ha
un tasso di crescita inizialmente molto alto, ma che decresce fino ad un
punto di stato stazionario, in cui diventa costante. Ma intervenendo sulle
variabili del sistema s, M, n e ä, varierà anche lo stato stazionario.
Pertanto in questi modelli è possibile influenzare il tasso di crescita
dell’economia agendo su variabili interne al sistema.
Con lo sviluppo delle teorie di crescita endogena il capitale umano
conquista il centro della scena insieme allo sviluppo delle conoscenze
scientifiche e tecnologiche.
2.1. Il modello di Romer
Il primo modello di Romer (Romer, 1986) fa parte del cosiddetto
approccio AK, che supera l’assunto secondo cui la tecnologia e l’impiego
di lavoro sono fattori dati (ipotesi che impedisce nei modelli neoclassici la
crescita di lungo periodo); tali variabili invece crescono automaticamente
in proporzione al capitale.
Romer afferma infatti che è possibile considerare il capitale K come
combinazione di capitale fisico e del risultato degli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S), ovvero in conoscenza tecnico-scientifica. La varia-
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
23
bile K diviene quindi un aggregato di differenti forme di capitale, compresa la tecnologia, alcune delle quali generano esternalità positive. La
funzione di produzione è pertanto del tipo
Y = AK,
dove A (il livello della conoscenza) è un fattore costante ed endogeno
all’economia; in tale funzione viene superato l’effetto dei rendimenti
decrescenti, permettendo all’output di crescere in proporzione del capitale.
In questo modello la conoscenza può essere conservata e accumulata
attraverso l’attività di ricerca e sviluppo, determinando in tal modo un
sacrificio attuale di risorse che darà i suoi benefici in futuro.
Ciascuna impresa ha una funzione di produzione pari a:
Y = ÂKjá Lj1-á
dove Kj e Lj sono le dotazioni di capitale e di lavoro per ciascuna impresa.
Se si ipotizza che le imprese facciano riferimento ad una stessa tecnologia e agli stessi prezzi dei fattori la funzione di produzione aggregata
sarà data da:
á
1-á
Y = ÂK L
Romer presume quindi che il fattore di scala comune a tutte le imprese, Â, sia funzione del tasso capitale/lavoro, poiché lo stock della conoscenza dipende dall’ammontare del capitale pro-capite nell’economia:
 = A(K/L)â
Sebbene  sia un elemento endogeno al sistema, è considerato come
dato per ciascuna impresa, giacchè internalizza soltanto un ammontare
irrilevante dell’effetto che le proprie decisioni di investimento hanno
sullo stock aggregato del capitale.
Mentre a livello di ogni singola impresa i rendimenti sono considerati costanti, a livello aggregato si hanno rendimenti crescenti del capitale.
Poiché né le imprese né gli agenti internalizzano gli effetti del capitale individuale sul livello della conoscenza Â, il tasso di crescita di equilibrio è al di sotto del livello socialmente ottimale.
Questa ipotesi deriva dalla presenza nel modello della cosiddetta
«esternalità positiva»: in generale un’esternalità positiva si verifica
quando le scelte di un agente economico provocano dei benefici per un
altro agente, senza che il primo riceva alcuna ricompensa.
24
CAPITOLO 1
Nel modello l’esternalità deriva dal fatto che non tutti i benefici
derivanti dall’accumulazione di capitale (in particolare quella data
dagli investimenti in R&S) sono percepibili istantaneamente dai soggetti economici.
Romer considera, nella sua analisi, la massimizzazione dell’utilità
intertemporale da parte di un agente rappresentativo che non internalizza le esternalità associate alla crescita della conoscenza, assumendo
inoltre che l’offerta di lavoro per le imprese sia unitaria e il tasso di deprezzamento nullo.
Il livello della crescita dipende dalla misura dell’esternalità, infatti:
§
se á + â = 1 l’economia sosterrà un tasso di crescita g strettamente positivo ma finito, in cui i rendimenti individuali decrescenti
del capitale sono appena compensati dai miglioramenti esterni
della tecnologia  che essi provocano.
§
Se invece á + â > 1 l’esternalità è abbastanza forte da contrastare
la presenza di rendimenti decrescenti del capitale a livello industriale, si parlerà di rendimenti sociali crescenti del capitale e
l’economia crescerà indefinitamente.
I modelli fin qui presi in considerazione – il modello neoclassico di
Solow, quello di Cass-Koopmans-Ramsey e il modello AK nell’accezione di Romer – differiscono riguardo alle ipotesi sui rendimenti del
capitale necessari alla crescita economica, decrescenti nei primi e costanti
(o crescenti a livello aggregato) nel terzo, e ciò comporta differenti conclusioni riguardo alla possibilità di convergenza nei redditi pro-capite.
L’approccio AK, infatti, nel caso in cui á + â = 1 (e, quindi, Y = AK),
non conduce alla convergenza condizionata; al contrario vi saranno permanenti differenze nei tassi di crescita delle economie e la distribuzione
di reddito tra i Paesi condurrà ad una divergenza.
Si riscontrano inoltre delle differenze riguardo alle determinanti del
tasso di crescita di lungo periodo: nel modello neoclassico questo è determinato da fattori esterni come la crescita della popolazione, o il progresso
tecnologico esogeno, ed è indipendente dalle caratteristiche strutturali
dell’economia – come la dimensione o il tasso di preferenza intertempo-
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
25
rale – le quali determinano esclusivamente il livello dello stato stazionario; al contrario nel modello AK vi è una forte influenza delle caratteristiche proprie dell’economia sulla crescita di lungo periodo (in particolare
gli investimenti in R&S).
In un secondo modello presentato da Romer (Romer, 1987) lo sviluppo nella conoscenza, identificata dal parametro A, dipende non
dall’apprendimento legato alle esternalità delle imprese, ma dal continuo
aumento nella varietà degli input utilizzati.
Il motore della crescita in questo secondo approccio consiste nella
produzione di nuove conoscenze tecnologiche.
Le conoscenze, nel modello, sono un bene non rivale, nel senso che
ciascuna di esse può essere sfruttata da più individui contemporaneamente; in altri termini il costo di produzione di ogni idea deve essere sostenuto
una sola volta (cosa che non accade invece con gli altri beni).
Questa ipotesi ha notevoli implicazioni, poiché l’incidenza del costo
di produzione di nuove idee diminuisce all’aumentare della produzione
dei beni che ne fanno uso.
Inoltre l’accumulazione delle conoscenze ha l’effetto di rendere più
facile e meno costoso lo sviluppo di nuove, per il semplice motivo che le
vecchie idee sono il principale input nella produzione delle nuove e possono essere utilizzate senza costi aggiuntivi.
Tutto ciò comporta che la produzione di nuove tecnologie può avvenire senza limiti, per cui l’accumulazione di conoscenze non implica la
riduzione della loro capacità di creare valore; vale a dire che non vale
l’ipotesi di rendimenti decrescenti.
Romer formalizza così l’idea secondo cui la crescita è sostenuta
dall’aumentare delle specializzazioni nel lavoro, e dunque
dall’innovazione.
In questo contesto le imprese non saranno disposte a pagare i costi
fissi associati allo sviluppo dei prodotti se la produzione avviene in un
ambiente competitivo, poiché in questo caso i profitti sarebbero nulli. Per
questa ragione Romer riprende il modello di competizione monopolistica
proposto da Dixit e Stiglitz; la concorrenza monopolistica è una forma di
26
CAPITOLO 1
mercato che presenta tutti i caratteri della concorrenza perfetta (numerosità degli operatori, trasparenza del mercato, libertà di entrata), tranne il
requisito della omogeneità del prodotto.
In tale scenario, le imprese vendono beni simili (atti a soddisfare il
medesimo bisogno) ma che possono essere differenziati nella qualità.
In questo modello le imprese sono, quindi, disposte ad assumersi la
spesa dei costi fissi per la produzione di un nuovo bene in quanto ricevono
una rendita da monopolio permanente (monopoly rents) nella produzione
del prodotto da esse creato.
Vi è dunque un continuum di beni intermedi, misurato dall’intervallo
[0,A], dove ciascun bene è prodotto da un monopolista locale.
La funzione di produzione è data da:
1- á
1
á
Y = L ∫0 xj dj
dove xj è l’input dell’ i-esimo bene intermedio.
-
In equilibrio xj = xper ogni i. Il valore di x è determinato ponendo
che, per ciascun monopolista, il costo marginale del bene sia uguale al
ricavo marginale.
Il valore di equilibrio di A è determinato dalla condizione di profitti
nulli in caso di libero ingresso nel mercato dei beni intermedi.
La funzione di produzione aggregata diventa:
á
á
Y = bL1A1Ká , con b > 0
Tale funzione ha rendimenti crescenti di capitale e lavoro una volta
che A ha raggiunto il suo valore di equilibrio.
L’equazione del modello rimane, dunque, formalmente identica al
primo modello di Romer ma non va sottovalutata la novità dell’introduzione dei rendimenti da monopolio nel settore dei beni intermedi.
Questa ipotesi infatti non solo permette di trattare il problema dei rendimenti crescenti in un modello di crescita, ma implica soprattutto che le
imprese possano essere impegnate in una attività di ricerca intenzionale in quanto puntata alla creazione di nuova conoscenza e di venir ricompensate, con i rendimenti monopolistici, per le innovazioni di successo.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
27
L’economia accresce, quindi, la sua produttività in seguito all’introduzione di nuovi beni, che sostituiscono i vecchi input intermedi e che sono frutto dell’investimento di una quota costante
dell’output in R&S.
La produzione finale avviene attraverso l’utilizzo dei fattori lavoro e
beni intermedi, ma il lavoro non è utilizzato solo nella parte manifatturiera (L1) in quanto è presente anche il lato ricerca (L2).
Si avrà quindi:
L = L1 + L2
La ricerca genera inoltre un certo numero di licenze per nuovi input
intermedi, con una rapidità che dipende sia dall’ammontare aggregato
della ricerca che dal numero attuale di licenze, secondo la formula:
·
A
¾
=d
L2
A
Esistono quindi degli spillovers all’interno dell’attività di ricerca:
tutti i ricercatori hanno accesso alla conoscenza A incorporata nelle licenze esistenti e tale conoscenza tecnologica è un bene non rivale, anche se
può divenire esclusiva nel momento in cui un’impresa nel settore dei beni
intermedi paga per l’esclusiva nell’utilizzo della nuova creazione.
Le fonti di incremento nei rendimenti considerate dal modello sono
quindi due: differenziazione dei prodotti e spillovers nella ricerca. Dunque l’elemento fondamentale nel guidare la crescita economica è
l’innovazione.
2.2. Il modello di Lucas
Lucas nel suo lavoro On the mechanics of economic development –
1988 (Lucas, 1988), ha formalizzato un processo di crescita endogeno
strettamente collegato all’accumulazione di conoscenza, nella forma di
capitale umano, che consente di determinare l’evoluzione dei sistemi
economici senza l’intervento di fattori esogeni.
Il modello considera due fattori di produzione: il capitale fisico e il
capitale umano.
28
CAPITOLO 1
Gli agenti sono considerati omogenei e aventi lo stesso livello di
qualificazione e di competenze.
Essi, inoltre, dedicano una frazione del tempo di lavoro alla produzione di beni di consumo e dedicano il resto all’attività di formazione e studio.
Il modello risolve il problema di scelta ottima di ciascun individuo,
che in ogni istante deve stabilire come allocare il suo tempo tra la produzione dei beni di consumo e l’attività di formazione (schooling), tenendo
conto che la seconda accresce la produttività nei periodi futuri.
Si formalizza, dunque, un’economia in cui sono presenti due settori:
nel primo si produce il capitale fisico e nel secondo il capitale umano.
Per produrre il capitale fisico si utilizza sia lo stesso capitale fisico
che il capitale umano, mentre per produrre il capitale umano non si utilizza capitale fisico ma solo altro capitale umano.
Il primo settore permette all’agente rappresentativo di produrre beni
di consumo per mezzo di una tecnologia Cobb-Douglas2 a rendimenti di
scala costanti.
È soprattutto nella forma funzionale della tecnologia utilizzata dal
secondo settore, quello in cui si determina l’accumulazione di capitale
umano, che si estrinseca la peculiarità del modello. In questo settore,
infatti, è specificata una tecnologia lineare dove non compare il capitale fisico.
Un aspetto particolarmente rilevante del modello attiene ancora una
volta alla presenza di esternalità.
Il significato generale è analogo a quello proposto da Romer, ma nel
modello di Lucas il capitale umano produce esternalità positiva giacchè
l’investimento di ogni singolo individuo in capitale umano aumenta la
produttività degli altri individui, introducendo così un cuneo tra il rendimento del capitale (come viene percepito dall’agente rappresentativo) e il
2
La funzione di produzione Cobb-Douglas è impiegata per descrivere tipi di
produzioni che non richiedono l’impiego dei fattori produttivi in proporzioni fisse.
Supponendo che l’impresa impieghi come input il lavoro (L) e il capitale (K) la funzione di
produzione è rappresentata dall’espressione: Y = AKa
Lb
.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
29
rendimento che lo stesso fattore produttivo dispiega a livello sociale o
complessivo dell’intero sistema economico.
Per avere crescita endogena, in questo modello non è necessario
introdurre dei fattori esterni al sistema poiché questa è assicurata dal fatto
che il capitale umano ha una produttività marginale costante nella produzione dello stesso capitale umano.
Nella generazione del reddito, invece, la funzione di produzione
esibisce rendimenti decrescenti rispetto a ciascun fattore singolarmente
considerato e rendimenti costanti di scala.
La funzione di produzione, infatti, è definita da:
á
Y = AKá (uhL)1háb
che, in termini pro capite, diventa:
á
y = Aká (uh)1háb
dove A è il livello tecnologico dell’economia (supposto costante), K è il
capitale fisico (e k il capitale fisico pro-capite), L è la quantità di lavoro
(anche essa supposta costante), u (con 0 <
u<
1) è il tempo di lavoro dedicato a produrre il reddito (per cui 1 u è il tempo di lavoro dedicato a
produrre capitale umano), h è il capitale umano, inteso come livello medio di istruzione dei lavoratori, háb
è l’esternalità.
Tale esternalità è una misura dell’influenza che il livello medio delle
capacità (o capitale umano) ha sulla produttività di tutti i fattori della
produzione.
La seconda equazione fondamentale del modello è quella relativa
all’accumulazione del capitale umano, data da:
·
h=d
h(1 u) con d
>
0
che dipende dal tempo dedicato all’istruzione e ha rendimenti costanti.
Il consumatore massimizza una funzione di utilità H, tenendo conto
·
dei due vincoli h (l’accumulazione di capitale fisico deriva dalla diffe·
renza tra produzione e consumo) e h, con livelli iniziali di k e h dati.
Da qui si ottiene un tasso di crescita in stato stazionario pari a:
·
g=d
(1 u)
30
CAPITOLO 1
·
dove u è l’allocazione ottimale per gli individui del loro tempo tra produzione ed educazione.
In presenza di esternalità, però (analogamente a quanto avviene nel
modello di Romer), il sentiero di crescita di equilibrio non coincide con
quello socialmente ottimale, a causa del minor valore che i singoli agenti
attribuiscono all’accumulazione di capitale umano.
L’effetto esterno dell’accumulazione in capitale umano comunque fa
sì che questa, interagendo con l’evoluzione delle conoscenze tecnologiche, diviene il motore di una crescita costante nel tempo e interamente
determinata dalle decisioni degli agenti economici, dunque una crescita
endogena.
2.3. Equilibrio in presenza di esternalità
Abbiamo visto nei precedenti paragrafi che sia in Lucas che in Romer
l’elemento caratteristico è la presenza di esternalità positiva che introduce una differenza tra il rendimento del capitale – così come viene percepito dal singolo agente economico – e il rendimento che lo stesso fattore
dispiega a livello sociale.
Si hanno quindi due implicazioni fondamentali.
La prima è che, essendo presente una forma di imperfezione del
mercato, non vi è una sola «traiettoria» di equilibrio verso lo stato stazionario. Pertanto due economie con condizioni iniziali identiche, in termini
di variabili di stato, avranno lo stesso tasso di crescita di lungo periodo ma
la dinamica di transizione, e quindi il livello di stato stazionario delle
variabili, dipenderà dal valore iniziale scelto per le variabili di controllo.
La seconda implicazione è che, in presenza di un fattore distorsivo
come l’esternalità, si può introdurre una soluzione non più affidata al
mercato ma «centralizzata», in cui le politiche economiche intervengono
per portare l’economia verso la soluzione socialmente ottimale.
Inoltre il modello di Lucas predice che, prendendo in considerazione
un’economia aperta in cui è ammessa la mobilità del lavoro, gli individui
«emigreranno» dai Paesi più poveri ai Paesi più ricchi, in cui la produttività del lavoro (e quindi i salari) sono più alti.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
31
Questo è dovuto al fatto che, in presenza di esternalità, la produttività
per ogni aumento del livello di capacità della forza lavoro aumenta al crescere del livello di benessere del Paese in cui tale lavoro viene impiegato.
Pertanto, in una economia aperta e in presenza di esternalità, le differenze nei livelli di reddito tra i Paesi non cessano di esistere; in sostanza,
come dimostrano i risultati empirici, non si verifica alcuna convergenza
tra le economie.
2.4. Il modello logistico di Nelson-Phelps
Con i modelli di crescita endogena il capitale umano assume il ruolo
di elemento trainante della crescita economica.
Nei modelli precedentemente analizzati però la crescita è determinata dall’accumulazione di capitale; in sostanza l’educazione viene considerata come vero e proprio fattore della produzione, e questo fa sì che la
crescita dell’output sia causata dal tasso di crescita del capitale umano.
A queste teorie, che vengono definite modelli «esponenziali» di
diffusione tecnologica, si contrappone il modello «logistico» di NelsonPhelps (Nelson-Phelps, 1966), che considera invece determinante lo
stock di capitale umano che in ciascun istante determina la capacità di
ogni Paese di creare innovazione (l’educazione è vista come produttore di
nuove idee).
Secondo tale approccio le differenze tra i Paesi sono dovute dalla
capacità di innovare e quindi dallo stock di conoscenza.
Nelson e Phelps infatti, al contrario di Lucas, mettono in evidenza il
ruolo che l’educazione ha nell’incrementare la capacità degli individui
non solo ad innovare, ma anche ad «adattarsi» a nuove tecnologie, favorendo così la diffusione tecnologica tra i Paesi.
La loro analisi è di tipo cross-country, poiché cerca di dare una spiegazione ai fenomeni (e alle possibilità) di trasferire le innovazioni tecnologiche dai Paesi sviluppati a quelli più arretrati.
In sostanza non sempre il motore della crescita sta nella capacità di
sviluppare nuove tecnologie all’interno di una economia; per molti Paesi
(i più poveri e meno dotati sul piano tecnologico) è cruciale invece la
32
CAPITOLO 1
capacità di imitare le tecnologie sviluppate altrove e di adattarle alle
proprie specifiche esigenze.
Affinché questo avvenga è però necessaria ancora una volta la presenza di capitale umano dotato di adeguate competenze, in grado di portare avanti i processi di imitazione delle tecnologie sviluppate nei Paesi
avanzati.
La spiegazione della crescita economica ha due componenti: secondo la prima, mentre la crescita della tecnologia di frontiera avviene al
tasso al quale vengono fatte le nuove scoperte, la crescita della produzione totale dipende invece dall’attuazione di queste scoperte, e varia positivamente con la distanza tra la tecnologia di frontiera e il livello di produttività corrente; la seconda esprime l’ipotesi secondo la quale il gap tra la
tecnologia di frontiera e il livello di produttività corrente di un Paese si
riduce in funzione del livello di capitale umano.
La prima predizione del modello è che la crescita della produttività
e il tasso di innovazione dovrebbero crescere con il livello dell’educazione.
Inoltre la produttività marginale dell’educazione è funzione crescente del tasso del progresso tecnologico che, a sua volta, riflette l’innovazione e la velocità con la quale le imprese adottano le nuove tecnologie;
non è, come avveniva nel modello di Lucas, l’accumulazione del capitale
a determinare la produttività marginale dell’educazione.
Le due predizioni hanno forti implicazioni di politica economica.
Le politiche macroeconomiche che riguardano il tasso di innovazione e gli investimenti possono influire, secondo il modello, anche sul
livello di capacità aggregata e quindi sulla distribuzione dell’occupazione e dei salari. In altre parole il governo può incrementare il livello
medio di educazione non solo direttamente, ma anche indirettamente
attraverso l’attività di R&S.
Inoltre i sussidi del governo a favore dell’educazione incrementano
la redditività della ricerca e quindi accelerano il progresso tecnologico.
La conseguenza più rilevante è che, attraverso lo sviluppo dell’educazione, i Paesi tecnologicamente (e perciò economicamente)
meno sviluppati, possono apprendere dai Paesi più avanzati.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
33
In sostanza, poiché il processo logistico di diffusione della tecnologia è più forte di quello esponenziale, secondo tale approccio è ammissibile che vi sia una convergenza dei Paesi più poveri verso quelli più ricchi.
Solo grazie ad adeguate capacità si possono però imitare le tecnologie di tali Paesi; ancora una volta, dunque, l’elemento fondamentale
della crescita economica è rappresentato da un elevato livello di capitale
umano.
34
3.
CAPITOLO 1
Alcuni risultati empirici
La verifica empirica della relazione tra capitale umano e crescita
economica ha fornito fino ad ora risultati tra loro contrastanti.
Alcuni autori hanno riscontrato che vi è effettivamente una forte
influenza del capitale umano sui processi di crescita.
Il modello di Barro (Barro, 1997) ad esempio è un’applicazione
empirica del modello di Lucas. In esso viene evidenziata l’importanza del
ruolo del capitale umano nelle politiche di sviluppo economico, nonostante il modello riprenda l’ipotesi di convergenza condizionata tipica del
modello neoclassico.
Il modello è rappresentato dall’equazione del tasso di crescita
dell’output pro-capite:
*
Dy = f(y, y )
dove Dy è il tasso di crescita dell’output pro-capite, y è il livello corrente
*
di output pro-capite e y è il livello di reddito pro-capite di lungo periodo
(ovvero di stato stazionario).
*
Il tasso di crescita è decrescente all’aumentare di y (con y dato), e
*
crescente all’aumentare di y (con y dato).
L’aspetto più importante dell’analisi è che la crescita dei Paesi può
essere determinata agendo su variabili interne al sistema economico e
modificabili attraverso corrette azioni di politica economica.
Il valore di y* (che è l’elemento che differenzia tale modello da quello
neoclassico) dipende infatti da una serie di decisioni (sia individuali che
di politica economica) e di variabili di contesto.
Le scelte del settore privato riguardano principalmente il saggio di
risparmio, l’offerta di lavoro, il tasso di crescita della popolazione, ciascuna delle quali dipende da preferenze individuali e dai costi relativi alle
variabili di interesse.
Le scelte di governo sono relative alle politiche fiscali, alla destinazione dei sussidi governativi, a misure volte a controllare le distorsioni
dei mercati e le decisioni economiche, alla salvaguardia delle leggi e dei
diritti di proprietà e in generale al contesto politico e al suo carattere più o
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
35
meno liberista.
Un altro elemento rilevante è il ruolo del commercio che, per i Paesi
piccoli, è una tipica variabile esogenamente data.
Quindi, variando tali condizioni (anche una sola), si ottiene un mag*
gior livello di prodotto pro-capite di stato stazionario y e il tasso di crescita del prodotto pro-capite Dy aumenta.
In sostanza si può ottenere un incremento del tasso di crescita
dell’economia agendo su variabili interne al sistema economico.
*
Considerando poi che, per valori costanti di y e quindi per dati contesti ambientali e date scelte private e governative, un minor livello corrente di prodotto pro-capite y determina un tasso di crescita maggiore
(ipotesi che si può paragonare a quella di rendimenti decrescenti del
capitale nel modello di Solow), il modello prevede anche un effetto di
convergenza condizionata.
Tale convergenza è dovuta al minor livello di prodotto corrente, ma
è condizionata poiché un Paese povero non cresce affatto se il suo contesto (rappresentato da y*) non gli consente un livello di steady state abbastanza elevato.
Il modello mostra la coerenza di tale predizione con dati empirici
relativi ad un ampio numero di Paesi negli anni tra il 1960 e il 1990, evidenziando una correlazione tra il tasso di crescita delle nazioni e una serie
di variabili di stato, tra le quali vi sono il loro iniziale livello di PIL procapite e il capitale umano, rappresentato dalla scolarizzazione e dal
livello di benessere.
Analizzando le determinanti di y*, variabile che abbiamo visto essere
rilevante nel determinare il tasso di crescita economica di un Paese, il
modello mostra due risultati fondamentali:
1. il primo è che il livello di educazione di un Paese è positivamente
correlato con y*, e quindi col conseguente tasso di crescita.
2. Il secondo è che la spesa pubblica volta a sostenere l’educazione stessa
ha anche essa un giovamento significativo sul tasso di crescita.
In sostanza, Barro dimostra empiricamente una correlazione tra il
tasso di crescita e il livello iniziale del PIL pro-capite da un lato, e il capitale umano, rappresentato dal livello di scolarizzazione e dallo stato di
36
CAPITOLO 1
benessere di ciascun Paese, dall’altro.
Altre analisi empiriche giungono però a conclusioni diverse.
M. Bils e P. Klenow (Bils-Klenow, 2000) ad esempio, riscontrano
che l’impatto della scolarizzazione, rispetto a quello delle altre variabili
del sistema influenza per meno di un terzo i risultati empirici sulla crescita economica.
Tale relazione appare piuttosto debole.
I due autori ipotizzano che il legame più intenso tra istruzione e crescita riscontrato in altri studi empirici possa essere determinato da altre
variabili implicitamente presenti nei modelli.
A proposito della relazione ottenuta da Barro ad esempio ipotizzano
che il legame potrebbe essere inverso: sarebbe cioè la crescita ad influenzare i livelli di scolarizzazione e non viceversa.
L’evidenza empirica dunque non fornisce sempre indicazioni chiare
e univoche circa il ruolo del capitale umano nella crescita economica, ma
la difformità dei risultati non deve condurre ad affermare l’infondatezza
della relazione tra l’output e il capitale umano.
Vedremo nel prossimo paragrafo infatti che, trovando una misura
adeguata a rappresentare il capitale umano negli studi empirici, una relazione tra istruzione e crescita economica può essere dimostrata.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
4.
37
La misurazione del Capitale Umano
L’incertezza dei risultati empirici può essere giustificata dal fatto
che si cerca di analizzare una variabile molto complessa e non semplice
da misurare quale il capitale umano.
Sappiamo infatti che, abbandonati i modelli neoclassici, il capitale
umano non è rappresentato semplicemente dal fattore lavoro (elemento
che poteva facilmente essere misurato dai livelli di popolazione di ciascun Paese).
Con le teorie di crescita endogena vengono infatti messe in risalto
caratteristiche ben più complesse del capitale umano, fattore profondamente astratto che deve racchiudere tutte le risorse immateriali
(principalmente rappresentate dalle competenze e capacità) dei singoli
individui.
Pertanto, prima di effettuare un’analisi empirica, ci si trova di fronte
alla scelta di stabilire quale sia l’indicatore più adatto a rappresentare nel
modo più completo tutti questi elementi.
La variabile che viene di solito presa in considerazione è data dai
livelli di istruzione dei Paesi, poiché si ritiene che sia proprio
l’educazione a fornire agli individui le competenze che in un secondo
momento della loro vita utilizzeranno in campo professionale.
Ma tale soluzione non è ancora univoca.
Per prima cosa anche l’istruzione ha bisogno di essere quantificata
e, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una variabile la cui misurazione non è affatto semplice e univoca.
Inoltre è chiaro che, quando ci si trova di fronte a Paesi in condizioni
di forte arretratezza, non è facile ottenere dei dati attendibili sul sistema
scolastico.
Bisogna quindi cercare di stabilire in che modo possa essere misurata effettivamente l’istruzione.
38
CAPITOLO 1
4.1. Quantità e qualità dell’istruzione
Nella maggior parte degli studi empirici per rappresentare lo stock di
capitale umano sono stati scelti indicatori che esprimono la quantità di
istruzione di ciascun Paese.
Nel lavoro di Barro ad esempio come livello iniziale di capitale umano vengono presi in considerazione gli anni medi di scuola conseguiti
dagli individui di venticinque anni e oltre.
Per valutare poi l’impatto di tale variabile sulla crescita economica,
Barro evidenzia l’effetto di un aumento di tale livello di scolarità sul tasso
di crescita.
Una relazione positiva si presenta quando l’aumento della scolarizzazione riguarda la scuola media e superiore (upper levels schooling), e
non la scuola elementare.
Nel modello di Bils e Klenow lo stock di capitale umano individuale è
rappresentato da:
s)
h(a,t) = h(a + n,t)F
e f(s) + g(a,"
a>
s
dove a rappresenta l’età degli individui al tempo t, F
³
0 riproduce
l’influenza del livello di capitale umano degli insegnanti, la parte esponenziale della funzione comprende gli anni di scolarizzazione degli
individui, s, e la loro esperienza, (a-s).
Dalla forma funzionale potrebbe sembrare che l’istruzione sia qui
rappresentata anche da elementi qualitativi (ad esempio il livello di capitale umano degli insegnanti). Ma tale variabile è a sua volta rappresentata
dagli anni di scuola del corpo docente, ed è dunque anche essa una misura
quantitativa.
Nell’analisi empirica l’istruzione è rappresentata dal tasso di iscrizione, derivante dagli anni medi di scolarizzazione nei tre livelli elementare, medio e superiore. In entrambi gli studi, quindi, si parla di tasso di
scolarità, ovvero di anni di scuola conseguiti dalla popolazione.
Tenuto conto che l’istruzione è già di per sé un indicatore che non
rappresenta perfettamente la complessità del concetto di capitale umano,
è ancora più riduttivo quantificarla mediante i tassi di scolarizzazione di
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
39
ciascun Paese. Il tasso di iscrizione scolastica può infatti rappresentare
dinamiche molto differenti dei livelli di istruzione. Ad esempio, dieci anni
di scuola di un Paese arretrato non possono certamente essere confrontabili con gli stessi anni di scuola di un Paese economicamente sviluppato.
Pertanto è necessario abbandonare il concetto di quantità dell’istruzione, per analizzarne invece la qualità. Solo valutando l’apprendimento
effettivo degli individui si può ottenere una misura rappresentativa delle
loro capacità.
Negli ultimi anni sta crescendo la consapevolezza dell’importanza
che può avere una valutazione della qualità dei sistemi scolastici e si
stanno sempre di più diffondendo studi volti ad apprezzare i livelli di
apprendimento effettivo in quasi tutto il mondo (di tali indagini si tratterà
in maniera approfondita nel capitolo successivo).
I dati raccolti da queste ricerche sono di fondamentale importanza
per effettuare delle analisi comparative sui livelli di apprendimento delle
diverse nazioni partecipanti, e per valutare gli effetti delle diverse politiche di sostegno all’educazione.
Tali studi hanno fornito una banca dati che permette di valutare
l’apprendimento, anche in termini qualitativi, degli studenti a livello
internazionale, consentendo ai Paesi partecipanti di confrontare i propri
livelli di educazione con la media di tutti gli altri Paesi e nello stesso
tempo di confrontare i dati raccolti anno per anno, per verificare eventuali
progressi raggiunti a livello locale.
Di qualità dell’istruzione si sta iniziando a parlare anche in recenti
studi empirici sulla crescita economica.
Un lavoro che mostra a pieno tale concetto è quello di E. Hanushek e
D. Kimko (Hanushek-Kimko, 2000).
Essi effettuano un’applicazione empirica della teoria della crescita
endogena, valutando l’impatto del capitale umano sui livelli di reddito
pro-capite delle nazioni non più mediante quantificazioni dei livelli di
istruzione dei Paesi ma cercando di individuare delle variabili che possano esprimerne la qualità.
In particolare viene evidenziata l’importanza delle competenze in
due discipline, la Matematica e le Scienze.
40
CAPITOLO 1
Infatti, poiché l’elemento rilevante nei modelli di crescita endogena
è la capacità di innovare, l’attività che deve essere potenziata è quella di
ricerca e sviluppo, e sono proprio le capacità relative alle discipline sopra
citate quelle più adatte a generare nuove idee e invenzioni.
Nel modello la qualità della forza lavoro viene misurata direttamente, mediante i risultati di test di apprendimento ottenuti dalle indagini
internazionali precedentemente citate.
Analizzando contemporaneamente le variabili che rappresentano sia
la quantità (school inputs) che la qualità dell’istruzione, si nota che la
seconda ha un impatto molto più forte sulla crescita rispetto alla prima.
Tale relazione è evidenziata dalla regressione effettuata su dati relativi a 31 Paesi nel periodo 1960-1990 (tabella 1).
Tabella 1 - Crescita dei Paesi e qualità del capitale umano *
Initial per capita income (Y60)
[$ 1.000]
Quantity of schooling (S)
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
0.609
(0.186)
0.548
(0.209)
0.472
(0.096)
0.103
(0.126)
0.460
(0.103)
0.100
(0.146)
0.745
(0.181)
0.519
(0.195)
–0.713
(0.224)
0.481
(0.093)
0.106
(0.119)
–0.038
(0.215)
0.133
(0.024)
0.517
(0.112)
0.116
(0.139)
–0.250
(0.211)
Annual population growth
(GPOP)
Labor-force quality (QL1)
0.134
(0.023)
Labor-force quality (Ql2)
Constant
R2
2.2.65
(0.863)
0.33
0.098
0.104
(0.015)
(0.015)–0
.
.
7
5
61
–1
.
9
0
0
–0
.
9
8
94
.
0
9
2–1
5
1
(1.004)
1
.
3
4
6
)(
(
0
.
9
1
0
)(
0
.
9
7
4
)(
1
.
1
4
2
)
0.73
0.68
0.41
0.73
0.69
Nella colonna (1) è riportata la relazione tra l’incremento del reddito
pro-capite (Y60) e una misura quantitativa del capitale umano, rappresentata dalla scolarizzazione (S); in colonna (4) viene inserita la crescita
annuale della popolazione (GPOP).
*Fonte: HANUSHEK–KIMKO, 2000.
LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA
41
Queste due variabili spiegano solamente il 33% e il 44% della variazione delle performance economiche dei 31 Paesi considerati.
Nelle altre colonne è stimato invece l’effetto di variabili rappresentative della qualità della forza lavoro (QL1 e QL2), che mostrano una forte
influenza sui tassi di crescita.
I dati evidenziano come, introducendo tali variabili, il coefficiente di
regressione R2 aumenta sostanzialmente, arrivando anche al 73%. Pertanto vi è una forte influenza della qualità del capitale umano sulla crescita.
Sicchè, valutando il capitale umano nel modo più adeguato attraverso variabili qualitative piuttosto che quantitative, ovvero con delle misure che possano al meglio rappresentare le capacità effettive degli individui, è possibile dare un supporto empirico alle teorie di crescita endogena e ammettere, quindi, il ruolo fondamentale che il capitale umano ha
per lo sviluppo delle nazioni.
CAPITOLO 2
Istruzione al Sud:
dati ISTAT e Test di Apprendimento
La teoria della crescita endogena potrebbe consentire di interpretare
il ritardo che strutturalmente caratterizza lo sviluppo di alcune aree del
Mezzogiorno, e la Sicilia in particolare, rispetto alle aree più avanzate
d’Italia.
Per verificare tale interpretazione occorre stabilire se vi siano delle
differenze significative nei livelli di capitale umano presenti nelle regioni
del Nord e del Sud d’Italia, e, ove possibile, nel particolare contesto della
nostra regione siciliana.
Abbiamo visto nel capitolo precedente come la misura più frequentemente usata per valutare il capitale umano sia rappresentata dai dati relativi all’istruzione.
Abbiamo anche detto, però, che tale variabile non è di semplice ed
univoca interpretazione e misurazione.
L’analisi del caso siciliano conferma tale difficoltà e, in alcuni casi,
sembra condurre a risultati contrastanti.
Da una prima analisi (paragrafi 1 e 2) si potrebbe infatti dedurre che il
livello di istruzione del Sud non sia al di sotto di quello del Nord d’Italia e
di conseguenza che il sistema scolastico siciliano non presenti significative inefficienze rispetto alla media nazionale.
Effettuando, però, un’analisi più approfondita e aggregata di un numero maggiore di dati a disposizione la realtà che ne scaturisce è piuttosto
diversa e complessa.
Occorre, perciò, acquisire delle informazioni attendibili analizzando
il maggior numero di dati possibile e, soprattutto, come detto in precedenza, non bisogna limitarsi ad un’analisi quantitativa dell’istruzione in
Sicilia ma occorre comparare dati che possano far apprezzare i livelli qua-
44
CAPITOLO 2
litativi relativi all’apprendimento reale degli studenti nelle diverse regioni d’Italia.
Solo in questo modo si può verificare se effettivamente vi siano delle
carenze nel sistema scolastico siciliano e se possa quindi essere utile investire in esso per migliorarlo, al fine di agevolare il decollo economico
della Sicilia e del Mezzogiorno più in generale.
45
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
Dati ISTAT e Tasso di Scolarizzazione
1.
Nonostante i limiti evidenziati nel capitolo precedente in riferimento
alla misurazione quantitativa del capitale umano, è comunque necessario
prendere come punto di partenza i dati relativi ai livelli di scolarità nazionale, rilevando eventuali divergenze a livello territoriale, al fine di verificare il legame tra differenti tassi di crescita economica nel nostro Paese e
livelli di istruzione.
Le fonti di riferimento sono l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica)
e il Ministero della Pubblica Istruzione (ex MIUR) che si è occupato a partire dall’anno scolastico 1993 - 94 delle rilevazioni.
I dati più recenti sono pubblicati nel Rapporto Annuale ISTAT 2006, e
si riferiscono all'anno scolastico 2004-2005.
3
Prendendo in considerazione la scuola dell’obbligo (tabella 2) si
notano risultati positivi relativamente ai tassi di scolarità (rappresentati
dalla percentuale di iscritti per 100 giovani di età teorica corrispondente
alla classe di riferimento) della scuola elementare e media, sia a livello
nazionale che per le singole macroaree geografiche.
Si evidenzia infatti una frequenza praticamente totale della popolazione nelle scuole elementari e medie (a livello nazionale le percentuali
sono del 103,1% per le elementari e 104,7% per le medie - dati superiori a
100 a causa di eventuali ritardi o ripetenze).
Questo dato si riflette anche nelle realtà delle singole aree geografiche (Nord-ovest, Nord-est, Centro, Mezzogiorno), dove le percentuali si
attestano intorno al 100%.
3
Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale 2006.
46
CAPITOLO 2
Tabella 2 - Il sistema scolastico: indicatori relativi a scuole dell’infanzia,
primarie e secondarie di primo grado per ripartizione geografica
Anno scolastico 2004/2005
Ripartizioni geografiche
Italia
INDICATORI
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Mezzogiorno
ANNO SCOLASTICO 2004/2005
Scuola dell’infanzia (a)
Scuole
Bambini
Insegnanti (b)
Bambini per insegnante
Bambini per sezione
Bambini stranieri per 1.000 iscritti
Tasso di scolarità (c)
24.889
1.654.833
140.646
11,8
23,0
44,9
101,6
5.372
404.291
32.468
12,5
24,3
75,0
99,2
4.354
295.540
24.878
11,9
23,3
70,0
98,5
4.383
297.359
25.657
11,6
23,3
58,0
103,0
10.780
657.643
57.643
11,4
22,0
9,3
104,1
18.351
2.771.247
293.187
9,5
18,3
53,3
0,2
0,2
0,4
103,1
4.515
660.756
72.048
9,2
18,6
83,2
0,2
0,2
0,3
102,1
3.565
482.482
53.248
9,1
18,1
89,2
0,2
0,1
0,3
101,8
3.255
500.040
52.385
9,5
18,7
70,3
0,2
0,1
0,3
105,4
7.016
1.127.969
115.505
9,8
18,2
13,0
0,3
0,2
0,4
103,2
7.890
1.792.244
211.078
8,5
20,9
47,9
3,3
2,0
4,1
….
104,7
1.944
406.640
49.266
8,3
21,1
77,5
3,0
1,9
3,8
….
104,3
1.395
293.148
34.171
8,6
21,2
82,4
2,7
1,5
3,3
….
103,9
1.340
319.155
35.717
8,9
21,2
66,4
2,9
1,7
3,6
….
106,5
3.211
773.301
91.924
8,4
20,5
11,7
3,7
2,3
4,8
….
104,6
Scuola primaria (d)
Scuole
Alunni
Insegnanti (b)
Alunni per insegnante
Alunni per classe
Alunni stranieri per 1.000 iscritti
Ripetenti per 100 iscritti
Ripetenti femmine per 100 iscritte
Ripetenti al 1° anno per 100 iscritti al 1° anno
Licenziati per 100 esaminati
Tasso di scolarità (c)
Scuola secondaria di primo grado (d)
Scuole
Alunni
Insegnanti (b)
Alunni per insegnante
Alunni per classe
Alunni stranieri per 1.000 iscritti
Ripetenti per 100 iscritti
Ripetenti femmine per 100 iscritte
Ripetenti al 1° anno per 100 iscritti al 1° anno
Licenziati per 100 esaminati
Tasso di scolarità (c)
Fonte: Ministero della pubblica istruzione (Mpi) per l'anno scolastico 1990/2000; Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur)
(a) Con la legge n. 30 del 10 febbraio 2000 la scuola materna ha assunto la denominazione di scuola dell'infanzia.
(b) Esclusi i docenti collocati fuori ruolo.
(c) Tasso di scolarità: iscritti per 100 giovani di età teorica corrispondente (3-5 anni per la scuola dell'infanzia; 6-10
anni per la scuola primaria; 11-13 anni per la scuola secondaria di primo grado). Può essere superiore a 100 a
causa di ritardi e ripetenze.
(d) Con la legge n. 53 del 28 marzo 2003 la scuola elementare ha assunto la denominazione di scuola primaria e
la scuola media quella di scuola secondaria di primo grado.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
47
4
Passando ad analizzare la scuola secondaria superiore (tabella 3),
la situazione cambia leggermente a livello nazionale, ma l’abbassamento del tasso di scolarità è una diretta conseguenza della non obbligatorietà di tali studi.
Tra le singole aree geografiche non sembrano ancora emergere differenze significative.
Nel Mezzogiorno infatti il tasso di scolarità è del 92% circa (leggermente superiore a quello degli anni precedenti), e risulta praticamente
identico alla media nazionale.
Solo il dato aggregato per il Centro sembra discostarsi (in positivo)
dagli altri in modo rilevante (98,8%).
Un dato interessante è anche quello che riguarda la percentuale di
diplomati in relazione alla popolazione di 19 anni.
In Italia conseguono la licenza superiore circa il 77% dei diciannovenni, mentre nel Mezzogiorno la percentuale è del 79%.
L’aumento della scolarizzazione sembra dunque aver prodotto un
innalzamento del livello di istruzione della popolazione giovane e adulta,
senza particolari divergenze a livello geografico.
4
Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale 2006.
48
CAPITOLO 2
Tabella 3 - Il sistema scolastico:
indicatori relativi a scuole secondarie di secondo grado
Anno scolastico 2004/2005
Ripartizioni geografiche
Italia
INDICATORI
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Mezzogiorno
ANNO SCOLASTICO 2004/2005
Scuola secondaria di secondo grado (a)
Scuole
Studenti
Insegnanti
Studenti per insegnante
Studenti per classe
Studenti iscritti ai licei (%)
Studenti iscritti agli istituti tecnici (%)
Studenti iscritti agli istituti professionali (%)
Studenti iscritti ad altre scuole (%)
Studenti femmine (%)
Studenti stranieri per 1.000 iscritti
6.577
2.654.222
305.383
8,7
20,9
31,4
36,0
20,9
11,7
49,0
24,1
1.439
568.198
66.644
8,5
20,9
30,2
37,9
20,8
11,2
49,5
40,1
1.064
414.015
49.120
8,4
20,7
28,7
37,8
22,4
11,1
50,1
44,1
1.250
496.114
57.321
8,7
20,7
35,9
33,8
19,7
10,7
49,0
34,5
2.824
1.175.895
132.298
8,9
21,2
31,1
35,3
20,9
12,6
48,4
5,1
Ripetenti per 100 iscritti
6,5
6,5
5,9
6,4
6,7
Ripetenti femmine per 100 iscritte
4,5
4,6
3,8
4,4
4,8
8,5
77,3
73,5
81,3
92,2
8,7
70,7
64,8
77,0
88,5
8,2
74,4
68,8
80,3
90,6
8,3
83,7
80,5
87,1
98,8
8,6
79,1
76,9
81,4
92,1
Ripetenti al 1° anno per 100 iscritti al 1° anno
Diplomati per 100 19enni
Diplomati per 100 19enni - Maschi
Diplomati per 100 19enni - Femmine
Tasso di scolarità (c)
Fonte: Ministero della pubblica istruzione (Mpi) - Istat, Rilevazione delle scuole secondarie superiori per l'anno
scolastico 1998/1999; Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur) per i dati sulle scuole secondarie relativi all'anno 2003/2004
(a) Con la legge n. 53 del 28 marzo 2003 la scuola secondaria superiore ha assunto la denominazione di scuola
secondaria di secondo grado.
(c) Tasso di scolarità: iscritti per 100 giovani di età teorica corrispondente (14-18 anni).
49
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
5
Diversa appare invece la realtà universitaria (tabella 4a).
Nonostante, rispetto agli anni precedenti, si riscontri un aumento
delle iscrizioni (probabilmente in seguito alla modifica del sistema universitario, che prevede adesso corsi triennali e non più quadriennali o
quinquennali come in precedenza), il tasso di iscrizione risulta comunque molto basso.
A livello nazionale infatti solamente il 39,9% dei giovani tra i 19 e i
25 anni è iscritto all’Università.
La percentuale è ancora più bassa se si osserva il dato per il
Mezzogiorno (solo il 33% circa dei giovani meridionali sono universitari) e cominciano inoltre a presentarsi delle divergenze rispetto alle zone
più sviluppate della nazione.
Al Centro infatti il tasso di iscrizione è del 57,3%, ovvero più di 20
punti percentuali rispetto a quello del Mezzogiorno.
Una situazione anomala si ha nel Nord-ovest, dove il dato aggregato
è del 35,91% (inferiore alla media nazionale e vicino al dato del
Mezzogiorno).
5
Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale 2006.
50
CAPITOLO 2
Tabella 4a - Indicatori dell'istruzione universitaria - Anno accademico 2004-2005
Ripartizioni geografiche
Italia
INDICATORI
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Mezzogiorno
ANNO SCOLASTICO 2004/2005
Università (d)
79
18
13
23
25
1.800.428
368.173
317.675
464.055
650.525
Immatricolati (e)
347.700
76.495
61.325
86.857
123.023
Docenti (f)
107.114
26.271
23.951
28.243
28.649
16,8
14,0
13,3
16,4
22,7
22.790
20.454
24.437
20.176
26.021
Atenei
Studenti
Studenti per docente
Studenti per ateneo
Iscritti ai corsi di diploma per 100 iscritti all'università
0,3
0,3
0,2
0,3
0,4
Femmine per 100 iscritti in totale
55,7
53,0
54,9
55,4
58,0
Studenti stranieri per 1.000 iscritti
21,3
24,5
35,8
28,9
7,0
Studenti fuori corso per 100 iscritti
38,9
30,7
36,3
38,7
44,9
Laureati (anno solare 2004)
264.900
66.679
56.945
66.465
74.811
Laureati per 100 25enni
37,5
40,4
46,9
50,9
26,0
Laureati fuori corso per 100 laureati
62,7
56,0
60,4
62,0
70,9
Tasso di passaggio dalle scuole superiori (g)
76,8
82,9
88,7
99,1
60,4
Tasso di iscrizione (h)
39,9
35,9
43,1
57,3
33,6
(d) Ove non diversamente indicato, i dati si riferiscono al totale dei corsi di diploma, scuole dirette a fini speciali e
corsi di laurea.
(e) I dati si riferiscono agli studenti che si sono immatricolati per la prima volta al sistema universitario.
(f) I dati sui docenti si riferiscono rispettivamente al 1999 e al 2004. Sono inclusi sia i docenti di ruolo (ordinari,
associati, ricercatori, assistenti e incaricati di ruolo), sia quelli a contratto (incaricati non di ruolo, esperti,
collaboratori, lettori).
(g) Tasso di passaggio dalle scuole superiori: immatricolati per 100 diplomati dell'anno precedente.
(h) Tasso di iscrizione: iscritti per 100 giovani di età teorica corrispondente (19-25 anni).
Analizzando però dati disaggregati a livello regionale (v. tabella 4b)6
si nota una forte variabilità tra le singole regioni settentrionali.
Agli elevati tassi di iscrizione presenti in Friuli-Venezia Giulia e in
Liguria si contrappone la presenza di regioni che hanno tassi molto bassi,
quali il Trentino Alto-Adige, la Lombardia, la Valle d’Aosta, il Veneto e il
Piemonte.
6
Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale 2006.
51
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
Tabella 4b - Indicatori dell'istruzione universitaria per regione (a)
Anno accademico 2004-2005
REGIONI
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino-Alto
Adige
Bolzano-Bozen (f)
Trento
Veneto
Friuli-Venezia
Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Tasso di passaggio
dalla scuola
superiore (b)
Tasso
di iscrizione (c)
Mancate
reiscrizioni
per 100 iscritti (d)
M
Laureati
per 100 persone
di 25 anni (e)
M
F
MF
M
F
MF
F
MF
M
F
MF
63,7
67,3
65,1
72,5
85,6
74,6
68,3
77,5
70,1
30,0
29,7
28,2
38,5
43,5
36,1
34,2
36,2
32,0
3,7
..
8,1
6,9
..
5,3
5,4
..
6,6
17,1
17,8
18,1
25,3
27,1
25,9
21,0
22,2
21,9
60,0
40,1
78,5
63,5
63,5
45,7
80,5
71,5
61,9
43,2
79,6
67,7
22,7
12,4
33,8
30,0
30,9
18,1
44,6
38,3
26,7
15,2
39,0
34,1
6,6
..
7,4
5,4
2,2
..
4,5
4,1
4,3
..
5,9
4,6
13,5
7,3
19,8
17,7
20,1
9,7
30,9
25,5
16,8
8,5
25,3
21,5
65,4
70,4
70,9
66,0
67,6
64,6
65,6
68,2
84,0
62,5
63,6
66,2
72,4
57,1
63,3
74,2
79,7
77,6
75,2
76,9
77,1
80,2
84,0
88,9
76,4
79,6
73,9
87,9
74,9
70,2
70,1
75,3
74,4
70,8
72,4
71,0
72,7
76,1
86,6
69,3
71,7
70,2
80,2
65,9
67,3
36,7
39,3
33,0
37,0
38,3
36,0
44,5
45,4
45,4
33,6
32,3
39,6
40,1
31,5
29,2
47,6
50,0
42,2
48,6
51,7
48,5
57,1
60,9
61,8
44,5
46,6
55,8
54,9
43,7
49,1
41,9
44,6
37,5
42,7
44,7
42,1
50,7
53,0
53,4
39,0
39,3
47,5
47,4
37,5
38,9
16,8
4,9
8,6
8,8
8,0
9,9
8,9
7,1
10,1
9,3
0,5
12,6
9,0
9,4
2,7
4,3
3,7
6,2
5,9
5,8
4,7
6,5
2,1
6,2
6,3
-3,6
8,1
4,5
4,9
0,7
10,4
4,2
7,3
7,2
6,8
7,1
7,5
4,3
8,0
7,6
-2,0
10,2
6,5
6,7
1,4
22,4
24,7
18,9
18,7
21,7
18,5
22,8
21,5
23,4
19,0
18,3
21,2
21,3
16,5
18,1
34,7
34,8
26,9
27,5
38,5
31,4
32,8
33,2
40,8
26,5
28,8
35,1
32,7
23,6
33,0
28,2
29,7
22,8
23,1
29,9
24,8
27,8
27,2
31,9
22,7
23,5
28,0
27,0
20,0
25,4
Fonte: elaborazioni Istat su dati Miur.
(a) Ove non diversamente indicato, le regioni si riferiscono alla residenza degli studenti e non alla collocazione
geografica della sede universitaria presso cui sono iscritti.
(b) Immatricolati per 100 diplomati di scuola secondaria superiore dell’anno scolastico precedente.
(c) Iscritti all’università per 100 giovani di 19-25 anni.
(d) Le mancate reiscrizioni degli studenti dell’anno accademico t-1/t sono calcolate come segue: (Iscritti t-1/t Laureati/Diplomati t) - (Iscritti t/t+1 - Immatricolati t/t+1). Sono esclusi dal calcolo dell’indicatore gli iscritti e laureati
delle lauree specialistiche. Le regioni si riferiscono alla collocazione geografica della sede universitaria presso cui
gli studenti sono iscritti. L’indicatore sottostima il fenomeno nelle regioni che registrano molti trasferimenti in
entrata da altre regioni e, viceversa, le sovrastima nelle regioni che registrano soprattutto trasferimenti in uscita.
(e) Per l’anno accademico t/t+1 i laureati si riferiscono all’anno solare t. L’indicatore è calcolato prendendo in
considerazione i laureati del vecchio ordinamento e quelli dei corsi di laurea specialistica a ciclo unico.
(f) I valori degli indicatori - più bassi rispetto al resto d’Italia - sono da imputare alla propensione dei giovani
residenti a Bolzano ad iscriversi nelle università straniere, soprattutto austriache.
52
CAPITOLO 2
Tale situazione può essere ragionevolmente motivata dalla maggiore facilità per i giovani del Nord nella ricerca di un’occupazione rispetto
al Sud.
Molto spesso infatti, nelle regioni del Meridione, l’iscrizione
all’università può essere un’alternativa allo stato di disoccupazione in cui
ci si ritrova terminati gli studi secondari.
Al contrario, per chi si diploma in grandi città del Nord, è più semplice trovare un lavoro anche con la sola licenza superiore; tale ipotesi
verrà approfondita più avanti, mediante i dati Istat sulla condizione occupazionale.
Ad osservazioni analoghe conduce l’analisi del tasso di passaggio
dalla scuola superiore all’università, che indica la percentuale di immatricolati per 100 diplomati della scuola superiore dell’anno scolastico precedente.
L’indice ha il valore più elevato per il Centro (99,1%), ed è piuttosto
basso al Nord e soprattutto nel Mezzogiorno (rispettivamente del 60,4% e
del 60,4%).
Già da questa prima analisi sui dati quantitativi relativi al numero
delle iscrizioni risultano percepibili le carenze del sistema universitario
ed emergono le prime divergenze tra le aree del Sud rispetto alla media
nazionale. Il ritardo del sistema scolastico meridionale risulta però ancora più evidente se si analizza il fenomeno della dispersione (o drop out)
universitaria (tavola 3.b).
Tale osservazione può essere effettuata prendendo in considerazione
diversi fattori, tra i quali le mancate reiscrizioni e la percentuale di laureati.
La percentuale di mancate reiscrizioni è inferiore (e indica dunque una
bassa dispersione) rispetto alla media nazionale in Puglia, Sardegna,
Liguria, Trentino-Alto Adige, Abruzzo, Veneto, Piemonte, Trento (per lo
più regioni del Nord). La dispersione più alta invece si ha in Basilicata,
Molise, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria e
Sicilia. La criticità al Sud risulta però ancora più evidente se si analizzano i
dati sulla percentuale di laureati.
La Sicilia, in cui solo il 20% dei venticinquenni consegue una laurea,
è al terzultimo posto seguita solo dal Trentino Alto Adige e dalla
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
53
Provincia di Bolzano, mentre le percentuali più alte si hanno in Molise,
Umbria, Liguria e Friuli-Venezia Giulia.
La situazione è analoga con riferimento al numero di laureati rispetto
7
al numero di immatricolati sei anni prima.
Il Nord ha la percentuale più alta (55,5%), seguita dal Centro
(48,1%), e infine dal Sud (39,5%).
Questo indicatore rappresenta un’ulteriore misura dell’abbandono
dell’istruzione, poiché mostra la percentuale dei diplomati che hanno
continuato (e concluso) gli studi (percentuali maggiori indicano una minore dispersione).
I dati confermano dunque che al Sud, e in particolare in Sicilia, il
fenomeno dell’abbandono universitario è presente in misura particolarmente rilevante.
A livello universitario si presenta pertanto una situazione di grave
arretratezza della Sicilia (il che è ancora più rilevante se si considera che i
dati medi nazionali sono già di per sé mediocri).
Lo schema riassuntivo (tabella 5)8 sintetizza tali divergenze, evidenziando le percentuali della popolazione per ogni titolo di studio conseguito.
Ovunque è bassissima la percentuale della popolazione che possiede
un titolo di laurea (la percentuale più alta si ha nel Lazio col 12,8%); in
particolare, in Sicilia e in generale nel Mezzogiorno tale valore è solo del
5% circa.
Nonostante i dati sulla scolarità precedentemente esaminati mostravano una scolarizzazione praticamente globale, dalla tavola 4 appare che
quasi il 30% della popolazione nazionale ha solo la licenza elementare; in
Sicilia tale indicatore raggiunge quasi il 40%.
7
Fonte: ISTAT, Annuario Statistico 2003; dati 2000 – 2001.
8
Fonte: ISTAT, Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro – Media 2005.
54
CAPITOLO 2
Tabella 5 – Popolazione di 15 anni e oltre per titolo di studio, sesso e regione
Media 2005
Licenza
elementare
Licenza
media
%
%
Piemonte
Valle d’Aosta/
Vallée d’Aoste
Lombardia
Trentino
Alto Adige
Bolzano/Bozen
Trento
Veneto
Friuli-Venezia
Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
26,7
32,4
7,4
25,3
8,3
100,0
26,8
24,8
35,4
31,3
5,9
8,3
24,1
25,9
8,0
9,6
100,0
100,0
23,0
24,1
21,9
27,8
34,3
38,5
30,4
31,5
12,2
9,7
14,5
8,9
22,0
19,9
23,9
23,1
8,6
7,8
9,3
8,6
100,0
100,0
100,0
100,0
26,3
24,4
29,3
30,5
27,8
29,2
21,2
29,0
30,6
29,1
32,1
32,5
30,8
31,4
28,0
30,6
29,8
28,3
29,6
26,2
28,6
28,1
26,7
29,7
33,9
34,0
28,1
29,4
33,8
38,8
8,0
6,5
6,4
4,1
5,8
4,5
4,5
3,5
2,8
2,9
2,7
4,1
2,2
1,4
2,0
26,0
28,8
26,1
26,0
30,0
27,6
33,5
30,6
27,7
26,0
24,2
28,1
29,1
25,8
24,1
9,0
10,5
9,8
9,8
10,2
10,0
12,8
10,2
9,3
8,2
6,9
7,3
8,5
7,5
7,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
26,4
25,8
30,4
27,7
31,0
28,5
33,2
31,3
8,0
4,5
2,4
5,4
25,4
30,0
26,1
26,5
9,2
11,2
7,8
9,1
100,0
100,0
100,0
100,0
REGIONI
Diploma
di qualifica
professionale
%
Diploma
conclusivo
di Stato
%
Fonte: Istat, Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro - Media 2005
Laurea breve,
laurea,
dottorato
%
Totale
%
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
55
Riguardo al valore dei titoli di studio sul mercato del lavoro, significativi sono i dati sulla condizione occupazionale che rilevano l’inserimento professionale dei giovani in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea.
L’obiettivo principale di tali indicatori è quello di effettuare
un’analisi comparativa della resa dei diversi titoli di studio sul mercato
del lavoro, così da fornire uno strumento per valutare l’efficacia del sistema di istruzione superiore nel suo complesso, consentendo anche di effettuare dei confronti tra le aree geografiche.
A poco più di tre anni dal conseguimento del diploma (tabella 6)9 di
scuola secondaria superiore, l’88% dei giovani diplomati nel 1999 svolge
un’attività lavorativa, quasi l’8% cerca un’occupazione mentre coloro
che non lavorano e non cercano un’occupazione sono circa il 4%.
A livello territoriale si osservano notevoli differenze: il tasso di occupazione è pari al 92% nelle regioni settentrionali, al 91% in quelle centrali
e al 76% nel Mezzogiorno, area in cui la percentuale di coloro che sono in
cerca di occupazione sale al 20% (contro il 3,5% del Nord).
In Sicilia i valori sono simili a quelli del Mezzogiorno.
10
Per quanto riguarda l’università (tabella 7), i laureati del 2001 che
risultano occupati a tre anni di distanza dalla conclusione degli studi sono
il 74%, mentre la quota di quanti svolgono un lavoro continuativo iniziato
dopo il conseguimento della laurea è del 56% circa.
Con riferimento al luogo di residenza, i laureati del Nord che lavorano continuativamente sono l’83%, quelli del Centro il 75% e solo il 59%
quelli del Mezzogiorno.
Il confronto tra i due titoli di studi superiori mostra, dunque, che in
particolare al Sud (e soprattutto in Sicilia) conseguire un titolo di studio
accademico si configura come un investimento a tutela della disoccupazione.
Resta comunque il fatto che, nonostante l’incremento della percentuale di occupazione di chi possiede un titolo universitario, la percentuale
di disoccupati è maggiore in Sicilia e in tutto il Sud d’Italia.
9
Fonte: ISTAT, Annuario Statistico 2005.
10
Ibidem.
56
CAPITOLO 2
Tabella 6 – Diplomati del 1999 (a) per condizione occupazionale nel 2002,
regione e sesso (valori assoluti e composizioni percentuali)
Lavorano
Non lavorano
Cercano
lavoro
Non
cercano
lavoro
Totale
Totale
Di cui svolgono
un lavoro
continuativo
iniziato
dopo il diploma
REGIONI
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Liguria
Trentino-Alto Adige
Bolzano-Bozen
Trento
Veneto
Friuli-Venezia
Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
89,6
95,1
93,6
90,5
95,2
98,0
93,8
93,9
90,0
76,4
69,4
84,3
75,0
81,7
88,9
78,1
83,3
79,3
4,5
4,8
3,1
4,2
1,2
1,9
3,2
3,6
5,7
3,1
5,2
3,4
1,9
4,2
2,8
6,3
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
93,3
92,7
87,0
89,2
91,3
81,2
69,4
75,2
75,8
78,0
70,1
76,4
77,6
80,4
77,3
73,2
77,1
74,2
70,6
50,6
55,6
59,6
64,9
55,2
57,7
64,8
3,4
4,4
6,6
7,0
7,0
11,7
23,9
20,5
19,7
18,9
22,6
19,6
17,9
3,2
2,7
6,2
3,6
1,6
7,0
6,6
4,2
4,3
2,9
7,1
3,8
4,4
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
ITALIA
Nord
Centro
Mezzogiorno
88,5
92,7
91,2
76,3
74,7
81,2
75,4
59,7
7,7
3,5
6,3
18,9
3,7
3,9
2,5
4,8
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: Istat, Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro - Media 2005
(a) Sono esclusi dall’analisi quanti hanno conseguito un altro titolo universitario prima del 1999.
57
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
Tabella 7 - Laureati del 2001 per condizione occupazionale nel 2004,
regione e sesso (a)
(valori assoluti e composizioni percentuali)
Lavorano
Non lavorano
Totale
Di cui svolgono
un lavoro
continuativo
iniziato
dopo il diploma
Cercano
lavoro
REGIONI
Non
cercano
lavoro
Totale
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Liguria
Trentino-Alto Adige
Bolzano-Bozen
Trento
Veneto
Friuli-Venezia
Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
80,0
94,8
85,1
80,1
91,3
90,4
91,6
80,1
62,9
74,0
67,6
57,3
74,1
66,5
77,0
62,6
8,0
1,1
4,6
7,8
2,8
2,3
3,0
6,8
11,9
3,9
10,2
11,9
5,8
7,2
5,3
13,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
81,6
81,3
74,8
73,7
77,4
74,7
60,6
65,1
60,1
54,5
55,1
52,5
59,8
68,7
64,9
62,1
55,9
59,6
56,1
56,0
42,3
44,3
41,7
39,2
34,5
38,3
42,8
53,5
7,5
5,6
8,7
8,6
11,2
11,7
19,9
20,7
25,6
28,3
32,6
29,0
24,6
20,3
10,8
13,0
16,3
17,5
11,3
13,4
19,4
14,1
14,2
17,0
12,1
18,4
15,5
10,8
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
ITALIA
Nord
Centro
Mezzogiorno
74,0
82,6
75,0
59,2
56,3
64,6
56,2
42,3
12,5
5,9
10,6
25,4
13,3
11,5
14,2
15,4
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: Istat, Annuario Statistico 2005 - Inserimento professionale dei laureati
(a) Sono esclusi dall’analisi quanti hanno conseguito un’altra laurea prima del 2001 e quanti ne hanno
conseguita una del nuovo ordinamento (laurea triennale).
58
CAPITOLO 2
Dall’analisi dei dati Istat sull’istruzione (da un punto di vista quantitativo) si può concludere che fino alla scuola secondaria superiore si
ha un buon livello di scolarizzazione nazionale e a livello regionale non
sembrano esserci differenze.
Piuttosto basso appare, invece, il tasso di passaggio all’università
soprattutto nel Mezzogiorno e nel Nord d’Italia.
Ma i dati relativi alle percentuali di ritiri dall’università e quelli
relativi al difficile inserimento dei giovani meridionali nel mondo del
lavoro mostrano che la situazione è più critica al Sud rispetto al Nord (da
ciò si potrebbe dedurre che la preparazione dei giovani universitari non
sia adeguata e non consenta di concludere gli studi con successo).
Si potrebbe dunque desumere che le carenze del Mezzogiorno siano
presenti nel sistema universitario.
Nei paragrafi successivi si vuole invece dimostrare che vi è una correlazione negativa tra il livello di dispersione – al livello n –, e la qualità dell’apprendimento del livello di istruzione precedente – n-1 –
(figura 4).
Ciò vuol dire che quanto più bassa è la qualità di un livello scolastico, tanto più difficile è per i giovani continuare gli studi e più alto sarà
dunque il grado di dispersione del livello successivo.
Figura 4 – Correlazione tra dispersione del livello n,
e qualità dell'apprendimento del livello n-1
Apprendimento
n-1
Dispersione n
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
59
In particolar modo è plausibile che lo scarso successo dei giovani
meridionali all’università (livello n), evidente già dall’analisi di dati quantitativi, sia giustificabile da una disfunzione della scuola secondaria (livello n-1).
Ciò significa che il livello di preparazione (dato qualitativo) dei giovani diplomati sarebbe piuttosto basso, così da rendere difficile la prosecuzione degli studi. E determinerebbe, quindi, un’alta percentuale di universitari che si ritirano prima di aver conseguito la laurea.
Questo fenomeno dovrebbe risultare più significativo nel Mezzogiorno che al Nord. Infatti al Sud la dispersione universitaria è molto
alta.
Tutto ciò può essere dimostrato dall’analisi dei dati relativi ai livelli
di apprendimento che dovrebbero far apparire bassi valori di capacità e di
apprendimento già a livello scolastico.
In particolare bisogna verificare se, osservando la qualità
dell’istruzione scolastica, siano presenti delle disfunzioni (in particolar
modo nella scuola superiore), e se, già prima dell’università, vi siano delle differenze consistenti nei livelli di apprendimento della Sicilia rispetto
al resto d’Italia.
60
CAPITOLO 2
2. Qualità dell’istruzione siciliana
Abbiamo visto nel paragrafo precedente come, già da un’analisi quantitativa sull’istruzione, si notino delle carenze in Sicilia rispetto al resto
d’Italia almeno per quanto riguarda il sistema universitario.
Tuttavia, come detto in precedenza, un’analisi corretta e completa
sull’istruzione deve basarsi sull’osservazione di dati idonei a rappresentare anche la qualità dell’apprendimento.
Grazie al diffondersi di Enti volti a valutare i livelli di istruzione, sia
a livello nazionale che internazionale, disponiamo di un numero di osservazioni abbastanza elevato.
La complessità di tale tipo di indagini, però, determina in alcuni casi
delle discordanze o incongruenze dei dati derivanti da analisi diverse.
Occorre, perciò, effettuare un’analisi aggregata prendendo in considerazione il maggior numero di dati possibile per giungere ad una valutazione del sistema scolastico, a livello nazionale e regionale, quanto più
attendibile e coerente.
2.1. L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Scolastico
Nel 2001 è stato costituito con decreto ministeriale il cosiddetto
«Gruppo di lavoro», con lo scopo di studiare il sistema dell’istruzione
nazionale e soprattutto come strumento di gestione della qualità di tale
sistema da parte dei diversi centri decisionali (scuole e Ministero).
Il compito di organizzare le osservazioni per la realizzazione degli
obbiettivi del Gruppo di lavoro è stato affidato all’INVALSI (Istituto
Nazionale per la Valutazione del Sistema Scolastico) che già da tempo
svolgeva un ruolo importante, rappresentando l’Italia nei progetti internazionali cui abbiamo accennato precedentemente e di cui tratteremo in
maniera approfondita più avanti.
L’esecuzione di sistemi di analisi dell’apprendimento a livello nazionale rappresenta un passo di fondamentale importanza, poiché permette
di operare con una disaggregazione dei dati a livello territoriale più completa. Tenuto conto però degli elevati tempi e costi di gestione necessari
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
61
per la realizzazione di tali osservazioni, le indagini a livello nazionale
presentano ancora livelli di attendibilità e precisione inferiori rispetto a
quelle internazionali.
Dal 2002 l’INVALSI ha iniziato a condurre sul territorio nazionale i
cosiddetti «Progetti pilota», delle rilevazioni in campioni di scuole mediante la somministrazione di test di apprendimento volti a valutare i livelli di comprensione nel nostro sistema scolastico.
Il primo di questi progetti, condotto durante l’anno scolastico
2001/2002, è avvenuto su un gruppo di circa 2.800 scuole, candidatesi
volontariamente.
L’indagine si è rivolta alla valutazione dell’apprendimento della lingua italiana e della matematica in V elementare, III media e II superiore.
Questa prima indagine ha rappresentato una fase ancora sperimentale del
progetto, poiché la volontarietà della partecipazione non ha consentito un
utilizzo dei risultati per effettuare giudizi a livello globale.
Un notevole passo avanti si è fatto con i due successivi progetti pilota, svolti durante gli anni scolastici 2002-2003 e 2003-2004.
In queste due ulteriori fasi di sperimentazione l’INVALSI ha selezionato un campione probabilistico (abbandonando dunque il criterio della
volontarietà) di scuole, al fine di ottenere dati estendibili a livello generale. Sono però state ammesse anche le scuole che desideravano partecipare
volontariamente per una autovalutazione.
Le indagini hanno riguardato la somministrazione di test di apprendimento a scelta multipla per l’italiano, la matematica e le scienze, nelle
classi I (solo per il PP3) e IV elementare, I media, I e III superiore.
Dopo i primi tre anni di sperimentazione svolti mediante i progetti
pilota, a partire dall’anno accademico 2004-2005 viene istituito il
Servizio Nazionale di Valutazione (SNV). In questa nuova fase di indagini dell’INVALSI emergono alcune importanti caratteristiche di novità che
consentono in parte di superare i limiti delle indagini pilota precedenti.
Particolarmente significativa è l’obbligatorietà di partecipazione
alla indagine per tutte le scuole statali e paritarie per quanto riguarda le
scuole di infanzia, primaria e secondaria di 1° grado; il carattere di facoltatività resta invece per le istituzioni scolastiche del secondo ciclo per le
62
CAPITOLO 2
quali l’indagine viene condotta su un campione probabilistico affiancato,
dal gruppo degli istituti che hanno aderito volontariamente.
Due fattori di forte perplessità che già caratterizzavano i progetti
pilota rimangono anche nelle indagini del SNV.
Il primo consiste nel prevedere per gli studenti con disabilità intellettive (si tratta di studenti che presentano disturbi intellettivi ed emozionali
certificati dalla ASL, tali da non riuscire a seguire le istruzioni previste
per la prova) la somministrazione di prove personalizzate elaborate dalla
scuola.
Le prove personalizzate rimangono agli atti della scuola e non vengono rispedite all’INVALSI.
Tale esonero falsa i risultati di alcune realtà particolarmente degradate, quali quelle di molte scuole di quartieri per così dire «disagiati» della
realtà palermitana (e non solo), in cui sono moltissimi gli alunni che difficilmente riescono a restare attenti durante lo svolgimento di una prova del
genere (d’altronde lo stesso avviene nel corso delle lezioni), non tanto per
disturbi psichici quanto per la durissima realtà che sono costretti ad affrontare giornalmente.
Escludendo tali alunni dall’esecuzione del test i risultati risultano
presumibilmente falsati, poiché, come detto in precedenza, queste realtà
non sempre costituiscono delle eccezioni ma in alcuni contesti rappresentano la normalità.
La seconda peculiarità consiste nel non tenere conto degli studenti
non frequentanti (i criteri per la compilazione degli elenchi degli studenti
prevede solo l’indicazione degli alunni ufficialmente ritirati e non di quelli ancora iscritti ma non frequentanti).
Anche a tal proposito esistono alcune realtà in cui il numero di alunni
che non frequentano o abbandonano la scuola nel corso dell’anno è elevatissimo; risulta, pertanto, piuttosto impreciso non tenere conto di tale fattore in un’indagine volta a valutare il livello di istruzione della popolazione di cui anche chi lascia la scuola fa parte.
Passando all’analisi dei risultati del SNV, i dati completi su tutti i
63
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
livelli scolastici sono disponibili nel rapporto finale dell’ottobre 2005
relativo all’a.s. 2004-2005 (Caputo, 2005).
Nella tabella 8 sono riportati i dati relativi al numero delle scuole che
hanno partecipato all’indagine:
Tabella 8: Dati relativi alla partecipazione all'indagine 2004-2005
Livello
Classi
Studenti
Insegnanti
Scuole
II primaria
30.440
559.526
68.490
7.547
IV primaria
29.926
538.497
67.334
7.534
27.596
586.492
82.788
5.784
9.495
222.498
28.485
1.717
8.600
182.816
25.800
1.724
106.057
2.089.829
272.897
15.070*
I secondaria
I grado
I secondaria
II grado
III secondaria
II grado
Totale
Fonte: Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2004-2005 – Sintesi del Rapporto Finale
Nonostante il carattere di obbligatorietà, non hanno partecipato
all’indagine 40 scuole primarie statali e paritarie che rappresentano lo
0,54% della popolazione corrispondente (7.430 scuole primarie statali e
paritarie), e 22 scuole secondarie di I grado statali e paritarie pari allo
0,39% della popolazione corrispondente (5.692 scuole secondarie di I
grado statali e paritarie).
Per quanto riguarda le classi (casi di astensione dell’intera classe)
si è calcolato un tasso di mancata partecipazione dello 0,19% per le II
primarie, 0,24% per le IV primarie e 0,29% per la I secondaria di I grado.
Inoltre le classi con tasso di partecipazione degli studenti inferiore al
50% raggiungono lo 0,35% per la I secondaria di I grado mentre per le
altre discipline e per gli altri livelli si attestano a valori più bassi.
64
CAPITOLO 2
Nella tabella sono riportati i risultati relativi alla IV elementare:
Tabella 9 – Classe IV elementare: percentuale di risposte corrette
per area geografica e disciplina
Area geografica
Italiano
Matematica
Scienze
(30 quesiti - 45 min.) (28 quesiti - 45 min.) (28 quesiti - 45 min.)
Nord Ovest
62
67
72
Nord Est
63
68
73
Centro
65
72
76
Sud
68
77
81
Sud e Isole
67
75
80
Italia
65
72
77
Fonte: Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2004-2005 – Sintesi del Rapporto Finale
Dai dati non emergono differenze significative nei livelli di apprendimento per area geografica. La categoria «Sud e Isole» risulta essere
addirittura al di sopra dei livelli del Nord.
Le prime carenze nelle aree del Sud, seppur con differenze ancora
poco significative, appaiono analizzando i risultati della I media (v.
tabella 10).
Tabella 10 – Classe I media: percentuale di risposte corrette
per area geografica e disciplina
Area geografica
Italiano
Matematica
Scienze
(30 quesiti - 45 min.) (28 quesiti - 45 min.) (28 quesiti - 45 min.)
Nord Ovest
59
60
71
Nord Est
60
61
72
Centro
60
61
72
Sud
57
60
70
Sud e Isole
55
58
69
Italia
58
60
71
Fonte: Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2004-2005 – Sintesi del Rapporto Finale
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
65
Le differenze tra aree geografiche non risultano ancora particolarmente significative, anche se il Sud inizia a presentare valori leggermente
al di sotto della media nazionale in tutte le discipline.
Osservando i dati disaggregati per la Sicilia e soprattutto per la realtà
di Palermo, emergono differenze più accentuate (v. tabella sotto).
Tabella 11 - Percentuale di risposte corrette per disciplina nella provincia di Palermo
Scuola/Area
geografica
Italiano
Matematica
Scienze
%
%
%
Palermo
50,4
52,97
51,98
Sicilia
53,84
57,26
50,37
Sud e isole
55
58
69
Italia
58
60
71
I risultati dell’indagine vengono rappresentati come punteggi normalizzati a 100 (il punteggio coincide con la % media di risposte corrette).
Per quanto riguarda i risultati in Italiano e in Matematica i risultati
divergono per valori ancora trascurabili, sia per la Sicilia che per la provincia di Palermo; quest’ultima però presenta risultati già al di sotto della
media regionale.
Piuttosto evidenti sono invece le disuguaglianze per la Sicilia e la
provincia di Palermo sia in confronto con la media del «Sud e Isole» sia
con quelli delle scuole settentrionali (quasi 20% di differenza).
Vi è poi un altro aspetto rilevante relativo alle scuole medie palermitane. Se si osservano i risultati di una scuola cosiddetta «a rischio», i punteggi sono notevolmente al di sotto della media e talmente bassi da poter
risultare sbalorditivi, almeno per chi non è a conoscenza della realtà di cui
fanno parte i bambini che frequentano tali istituti. Per loro la scuola più
che un luogo di apprendimento diventa un’opportunità di sfogo.
In Italiano tali studenti ottengono in media meno del 30% di risposte esatte, e in Matematica addirittura il 15%. In queste scuole,
inoltre, circa 3 alunni su 10 non frequentano neanche le lezioni.
È evidente che tali situazioni non sono generalizzabili, ma se pensiamo che le scuole dell’obbligo a rischio a Palermo sono circa il 20% del
totale (dati forniti dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Palermo), allora
questi risultati appaiono piuttosto allarmanti.
66
CAPITOLO 2
Analizzando, invece, i dati relativi alle scuole superiori, si evidenziano carenze più accentuate già nel dato aggregato «Sud e Isole» (v. tabelle 12 - 15).
Tabella 12 – Classe I superiore: percentuale di risposte corrette
per tipo di istruzione e disciplina
Per matematica e scienze con A si intende rispettivamente la prova di
alfabetizzazione matematica o scientifica e con B si intende la prova specialistica.
Tipologia
d’istruzione11
Italiano
Matematica
Scienze
(30 quesiti - 50 min.) (30 quesiti - 60 min.) (30 quesiti - 60 min.)
Istruzione Classica
71
63
66
Istruzione Professionale
45
37
43
Istruzione Artistica
54
44
51
Istruzione Tecnica
57
55
61
Istituti Superiori
60
53
60
Italia
60
54
59
Tabella 13 – Classe I superiore: percentuale di risposte corrette
per area geografica e disciplina
Per matematica e scienze con A si intende rispettivamente la prova di
alfabetizzazione matematica o scientifica e con B si intende la prova specialistica.
Area
geografica
11
Italiano
Matematica
Scienze
(30 quesiti - 50 min.) (30 quesiti - 60 min.) (30 quesiti - 50 min.)
Nord Ovest
63
56
62
Nord Est
62
58
63
Centro
57
51
57
Sud
59
55
58
Sud e Isole
60
49
56
Italia
60
54
59
Classica = tutti i tipi di liceo; Professionale = istituti professionale; Artistica = liceo
artistico e istituti d’arte; Tecnico = istituti tecnici; Istituti superiori = istituti di istruzione
secondaria di II grado di diverso ordine e tipo.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
67
Ricordiamo che, poiché la partecipazione alla rilevazione per questo
livello era facoltativa, i risultati sono riferiti ad un campione probabilistico rappresentativo dell’intera popolazione.
Per quanto riguarda la prima superiore, osservando i dati globali
(senza suddivisione per tipologia di istruzione) relativi alle macroaree
geografiche, non sembrano esserci differenze significative.
Il punteggio ottenuto in Italiano dal Sud e Isole è di 60 punti, come la
media nazionale e contro un punteggio massimo di 63 punti ottenuti dal
Nord Ovest.
In Matematica le differenze sono leggermente più evidenti: la categoria Sud e Isole ha un punteggio di 49 punti, contro un massimo di 59
ottenuto al Nord est e una media nazionale di 54 punti.
In Scienze il Sud e Isole ha ottenuto 56 punti, mentre il Nord Est, che
ancora una volta ha il punteggio massimo, ha 53 punti.
Alcune informazioni interessanti si ottengono analizzando i risultati
12
per ciascuna categoria di istituto, disaggregati per area geografica.
Osservando tali risultati le prime carenze appaiono all’interno degli
istituti professionali (per i quali si contrappongono in Italiano 412 punti
del Sud e Isole contro 477 punti del Nord Ovest, in Matematica rispettivamente 418 punti contro 465 e in scienze 421 contro 476) e artistici (in
Italiano il Sud e Isole ha ottenuto 442 punti mentre il Nord Ovest 518, in
Matematica la differenza è di 419 contro 501 e in Scienze è di 439 contro
524), e, nelle discipline scientifiche, anche in quelli classici (dei quali
fanno parte anche i licei scientifici), per i quali la differenza maggiore si
ha nei risultati ottenuti in Matematica (514 punti per il Sud e Isole e 566
per il Nord Ovest).
La situazione peggiora nel corso degli anni.
Analizzando i dati della III superiore, infatti, i limiti sono presenti in
ciascuna delle tre discipline e della categorie d’Istituto.
12
Tali informazioni sono disponibili per una delle indagini pilota degli anni precedenti
(2002/2003). Fonte: CAPUTO ANNA M., Risultati delle prove di apprendimento e del
campione nazionale – Progetto Pilota 2, Valutazione della scuola italiana.
68
CAPITOLO 2
I risultati del Sud e Isole sono significativamente al di sotto di quelli
del resto d’Italia con una differenza media per disciplina e tipologia di
Istituto rispetto al Nord di circa 10 punti percentuali.
Solo gli istituti superiori del Sud si mantengono addirittura al di sopra di quelli settentrionali.
Tabella 14 – Classe III superiore: percentuale di risposte corrette per tipo di istruzione
e disciplina - Per matematica e scienze con A si intende rispettivamente la prova di
alfabetizzazione matematica o scientifica e con B si intende la prova specialistica
Italiano*
Tipologia
d’istruzione
*
**
(36 quesiti - 60 min.)
Matematica**
Scienze**
(30 quesiti - 60 min.)
(30 quesiti - 50 min.)
A
B
A
B
56
57
56
Istruzione Classica
62
60
Istruzione Professionale
39
45
-
39
-
Istruzione Artistica
44
52
35
49
35
Istruzione Tecnica
47
58
46
50
47
Istituti Superiori
53
53
47
51
45
Italia
53
55
51
52
49
Valori calcolati su un campione probabilistico.
Valori calcolati su tutti i presenti alla prova.
Tabella 15 – Classe III superiore: percentuale di risposte corrette per area geografica
e disciplina - Per matematica e scienze con A si intende rispettivamente la prova di
alfabetizzazione matematica o scientifica e con B si intende la prova specialistica
Area
geografica
*
**
Italiano*
Matematica**
Scienze**
(30 quesiti - 60 min.)
(30 quesiti - 50 min.)
(36 quesiti
60 min.)
A
B
Media
A-B
A
B
Nord ovest
62
56
51
53,5
54
50
52
Nord est
39
56
55
55,5
54
53
53,5
Centro
44
54
50
52
51
47
49
Sud
47
54
50
52
51
46
48,5
Sud e Isole
53
54
46
50
50
43
46,5
Italia
53
55
51
53
52
49
50,5
Valori calcolati su un campione probabilistico.
Valori calcolati su tutti i presenti alla prova.
Media
A-B
69
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
I peggiori risultati della III superiore rispetto alla I nel Sud costituiscono un dato particolarmente significativo; valutando infatti anni diversi di una stessa scuola si ottiene il contributo (positivo o negativo) che
quella scuola ha dato alla formazione degli studenti.
Tabella 16 – Percentuale di risposte corrette e livello di apprendimento per disciplina
in un istituto superiore del campione palermitano
Classe/Area
geografica
Italiano
Matematica
Scienze
%
%
%
I superiore Sicilia
60,22
51,21
55,92
I superiore Palermo
60,78
50,37
55,13
Sud e Isole
I superiore
60
49
56
Italia
I superiore
60
54
59
III superiore Sicilia
49,13
50,79 ^
46,51 ^
III superiore Palermo
48,47
52 ^
44,73 ^
Sud e Isole
III superiore
49
50 ^
46,5 ^
Italia
III superiore
53
53 ^
50,5 ^
^ = media A - B
Anche per la scuola superiore abbiamo a disposizione i risultati a
livello regionale e per la provincia di Palermo (v. tabella 16); da questi
dati non sembra esserci un grande divario rispetto all’andamento della
categoria Sud e Isole.
Analizzando però anche per la scuola superiore i dati relativi ad una
scuola palermitana facente parte del campione (dati 2004), si nota come
in tutte e tre le materie la percentuale di risposte corrette non superi il
30%; osservando i risultati delle singole classi, emergono situazioni ancora peggiori, con percentuali in Matematica anche al di sotto del 20%.
I numeri forse non rendono bene l’idea, ma se si pensa che avere un
punteggio simile (ad esempio del 20%) significa aver risposto corretta-
70
CAPITOLO 2
Tabella 17 – Debito formativo e dispersione scolastica negli istituti superiori in Sicilia
Area geografica
Debito formativo
I. D. G.
AG
32,99
19,94
CL
35,38
16,01
CT
31,73
16,02
EN
28,59
14,13
ME
29,33
13,68
PA
33,63
18,47
RG
34,98
24,02
SR
32,55
12,67
TP
24,08
11,09
SICILIA
31,35
16,11
mente in media a 5 domande su un test di 25 quesiti, è evidente che si tratta
di risultati molto insoddisfacenti.
La debolezza delle scuole superiori della Sicilia è confermata da alcuni dati raccolti dal Provveditorato agli Studi (v. tabella 17).
La tabella evidenzia due variabili particolarmente significative.
La prima è quella relativa al debito formativo, che rappresenta chiaramente una misura della qualità del diploma.
Se la percentuale di diplomati è praticamente la stessa sia al Sud che
al Nord d’Italia, rilevante è il fatto che in Sicilia più del 30% degli stessi
ha avuto un debito formativo, il che è un sintomo di scarso apprendimento.
La seconda variabile è relativa al livello di dispersione scolastica
(I.D.G. – Indice di Dispersione Globale).
Percentuali così alte (la media siciliana è di circa il 16%, con valori
che superano il 20% nelle singole province), sono un po’ in contrasto con i
dati Istat, ma possono essere considerate attendibili e costituiscono una
prova ulteriore della scarsa qualità delle scuole superiori siciliane.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
71
Si può dunque concludere che i risultati derivanti dalle indagini
INVALSI sono ancora solo parzialmente in grado di mostrare la debolezza del sistema scolastico meridionale, ma che accostando tali analisi con dati più dettagliati si evince una realtà ben più grave.
Le discordanze tra i vari dati possono essere motivate dal fatto che,
come è stato detto in precedenza, condurre questo tipo di indagini è un
processo molto complesso e costoso che forse richiede delle procedure di
somministrazione dei test più rigorose (a volte gli insegnanti possono
sentirsi valutati personalmente e sono indotti a intervenire nello svolgimento dei questionari).
Dunque è auspicabile che nell’arco di qualche anno anche le indagini
nazionali possano raggiungere livelli di precisione pari a quelle svolte a
livello internazionale di cui tratteremo nel prossimo paragrafo.
72
CAPITOLO 2
3. Dove il nostro sistema è davvero carente?
Le indagini internazionali
Come accennato nei precedenti paragrafi, diventano sempre più
frequenti i progetti internazionali volti a valutare i sistemi scolastici di
tutto il mondo.
In particolare, esistono una serie di enti e cooperative che da anni
svolgono questo tipo di indagini.
Tra gli organismi più importanti vi sono l’IEA (International
Association for the Evaluation of Educational Achievement), nata con
lo scopo di provvedere alla raccolta di dati che consentissero di comparare i risultati conseguiti dai sistemi scolastici dei vari Paesi, e l’OCSE
(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
Quest’ultima assiste i governi nell’affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali di un’economia globalizzata, e svolge, tra
l’altro, un ruolo centrale nel campo della «buona gestione governativa
e aziendale».
Al momento ne fanno parte 30 nazioni industrializzate.
Le analisi che l’OCSE dedica ai vari Paesi membri affiancano agli
indicatori economici alcuni indicatori educativi, sottolineando come la
qualità e l’efficacia dei sistemi scolastici sia un fattore determinante dello
sviluppo economico.
Esemplificativo riguardo al ruolo di queste organizzazioni è il riquadro 1:
13
Fonte: Il progetto Ocse-Pisa - Rapporto nazionale a cura di Emma Nardi, 2002.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
73
Riquadro 1. La missione dell’Ocse in campo educativo
Il motto comeniano «omnia omnibus omnino» riecheggia nel programma lanciato dall’Ocse in
accordo con i ministri della pubblica istruzione e del lavoro dei Paesi membri: apprendimento
permanente per tutti è la formula intorno alla quale si struttura l’analisi delle politiche educative
elaborata dall’Ocse nel 1998.
Approfondendo e articolando il concetto di educazione permanente elaborato negli anni settanta,
il programma dell’apprendimento per tutti non può limitarsi ad offrire ulteriori opportunità
formative agli adulti, ma deve basarsi su un progetto complessivo le cui radici affondano
nell’educazione sequenziale e che si sviluppa coerentemente nell’arco dell’intera esistenza:
personale sottoqualificato che vuole migliorare le sue competenze; quadri ad alta qualificazione
che devono mantenere il livello delle proprie conoscenze al passo con il progresso tecnologico;
lavoratori di un ambito in crisi che desiderano riqualificarsi per rispondere alle esigenze
occupazionali di un settore in espansione; persone (generalmente donne) che hanno
momentaneamente interrotto l’attività lavorativa per dedicare il proprio tempo a bambini o
anziani e che, superata quella fase, vogliono reinserirsi nel mondo produttivo... costituiscono una
massa fluida ed eterogenea, in continua evoluzione per numero, tipo di domanda formativa,
esigenze di apprendimento, disponibilità allo studio in termini qualitativi e quantitativi. Il
denominatore comune sul quale innestare le proposte di educazione permanente deve dunque
riferirsi ad un corredo di abilità di base che devono essere assicurate dall’educazione sequenziale.
In altri termini, la scuola sequenziale ha in particolare il compito di far acquisire e consolidare
agli allievi la capacità di comprensione della lettura e le capacità logico-matematiche. Al di là
delle esigenze specifiche di ciascun curricolo, il quadro che si delinea con chiarezza è che in una
società in cui le conoscenze sono in continua evoluzione, la tecnologia diventa obsoleta in un arco
temporale sempre più breve, le esigenze di riqualificazione si moltiplicano, la scuola è perdente
se non affronta come problema prioritario quello dello sviluppo delle competenze di base. Né
questa scelta può essere qualificata come una rinuncia o un livellamento su esigenze di basso
profilo. Basti considerare che le prove di selezione per accedere alle più prestigiose università
internazionali si basano su queste stesse competenze.
Tra le indagini internazionali, svolte per un’ampia gamma di materie, quelle che ci possono fornire dati recenti sul sistema scolastico nazionale, con le necessarie disaggregazioni per regione, sono:
• il TIMSS (The Third International Mathematics and Science
Study), che fornisce risultati relativi al livello di preparazione in
matematica e scienze di studenti delle scuole medie e superiori;
• l’ALL (Adult Literacy and Life skills), che cerca gli strumenti
volti a rilevare, comparare e misurare le abilità/competenze
necessarie a tutti gli individui al fine di esercitare, in società
sempre più complesse, il diritto fondamentale alla cittadinanza
attiva;
74
CAPITOLO 2
• il PISA (Programme for International Student Assessment), che si
propone di rilevare le competenze dei quindicenni scolarizzati nei
settori della comprensione della lettura, della matematica e delle
scienze.
Una fondamentale differenza di queste indagini, (in particolare
l’ALL e il PISA) rispetto a quelle condotte in Italia dall’INVALSI, è che il
loro scopo non è quello di valutare le competenze «curricolari» delle
persone, cioè quelle strettamente collegate con i programmi scolastici,
quanto la capacità di ragionare in maniera adeguata, elemento indispensabile per un inserimento positivo dei soggetti nel mondo del lavoro e
nella società civile.
Mediante l’analisi dei risultati di tali progetti vedremo che vi è un
significativo divario nel livello di educazione in Italia rispetto ad alcuni
dei Paesi economicamente più sviluppati, e un evidente distacco della
Sicilia rispetto alle regioni del Centro e Nord d’Italia.
3.1. TIMSS 2003 (The Third International Mathematics and
Science Study)
Come accennato in precedenza il TIMMS è un progetto di ricerca che
si basa su rilevazioni periodiche degli apprendimenti in matematica e
scienze degli studenti al quarto e all’ottavo anno di scolarità (rispettivamente la IV classe della primaria e la III classe della secondaria di I grado)
con lo scopo di costruire lo stato dell’arte della valutazione in tali discipline e in tali livelli ogni quattro anni.
Il TIMSS 2003 è il terzo ciclo di misurazioni: i precedenti hanno
avuto luogo nel 1995 e nel 1999; è inoltre in corso il progetto 2007.
L’indagine ribadisce l’importanza che le materie scientifiche
hanno per l’istruzione generale di ciascuna nazione, e gli operatori del
settore riconoscono che i risultati del TIMSS possono dettare standard
internazionali ai quali i Paesi dovrebbero almeno adeguare i propri
sistemi scolastici se non vogliono rimanere indietro rispetto al contesto mondiale.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
75
Per l’Italia sono a disposizione i risultati in parte disaggregati per
area geografica. Il campione di indagine italiano era costituito per entrambi i livelli da 172 scuole; la partecipazione degli studenti all’interno
delle scuole ha raggiunto il 97%.
14
I risultati (tabella 18) sono riprodotti sulla base di punteggi medi
rappresentati da livelli di apprendimento per ciascuna disciplina indagata.
Analizzando i punteggi relativi all’8° anno di scolarità a livello globale, si evidenzia come i Paesi asiatici presentano livelli di apprendimento più alti mentre tra gli ultimi posti vi sono per lo più Paesi africani (Sudafrica per la Matematica e Tunisia e Marocco per le Scienze).
L’Italia si colloca poco al di sopra della media internazionale, ma al
suo interno sono identificabili tre livelli: il livello del Nord che ha prestazioni simili agli Stati Uniti, Australia, Lettonia e Scozia; un livello del
Centro, che ha prestazioni ancora superiori alla media internazionale ed
un livello del Sud e Sud e Isole che è al di sotto della media con valori
simili a Cipro, Repubblica Moldava, Norvegia e Romania.
I punteggi ottenuti in Matematica sono infatti:
• per il Nord Ovest (Val D’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia),
un livello di apprendimento di 502;
• per il Nord Est (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia
Giulia, Emilia Romagna), un livello di apprendimento di 509;
• per il Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), un livello di
apprendimento di 487;
• per il Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia), un livello di
apprendimento di 468;
• per il Sud e Isole (Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna), un
livello di apprendimento di 460.
14
Fonte: TIMSS 2003: risultati della rilevazione internazionale sugli apprendimenti
in matematica e scienze in 50 Paesi.
76
CAPITOLO 2
Tabella 18: TIMSS 2003 - Distribuzione dei livelli di apprendimento
in matematica e scienze - 8° anno di scolarità
Area geografica
Scienze
Matematica
Punteggio
Errore
Punteggio
Errore
Nord Ovest
502
5,4
512
5,2
Nord Est
509
5,6
513
4,9
Centro
487
4,9
492
5,6
Sud
468
6,1
474
6,0
Sud e Isole
460
10,4
470
9,8
Italia
484
3,2
491
3,1
Stati Uniti
504
3,3
527
3,1
Media
Internazionale
467
0,5
474
0,6
Fonte: TIMSS 2003: risultati della rilevazione internazionale sugli apprendimenti in matematica e scienze in 50 paesi.
Da questi ultimi dati è significativo il fatto che in Sicilia il 75%
circa della popolazione rientra nella categorie dei peggiori, mentre
solo il 25% fa parte del gruppo dei migliori.
Già da questa prima analisi appaiono dunque differenze abbastanza
significative, già alla scuola media, sulla qualità dell’apprendimento
tra la Sicilia e le regioni del Nord (in Lombardia ad esempio le percentuali sono pari al 30% circa nel gruppo dei peggiori e 70% in quello dei
migliori).
Vedremo come questo risultato viene confermato e accentuato dalle
altre due indagini esaminate.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
77
3.2. ALL (Adult Literacy and Life skills)
Tra il 1994 e il 2000 ventuno Paesi, fra cui l’Italia, hanno partecipato
alla prima fase pilota dell’indagine comparativa internazionale (IALSSIALS) riguardante la distribuzione delle abilità/competenze (definite
come competenze alfabetiche funzionali) nella popolazione adulta.
Nella fase successiva viene definita l’indagine ALL (Adult Literacy
and Lifeskills, Letteratismo e abilità per la vita).
Questo nuovo progetto di ricerca internazionale, iniziato nel 2001 e
che si conclude per l’Italia nel 2006 con la pubblicazione del Rapporto
Finale nazionale,15 ha l’obiettivo di valutare la competenza alfabetica
funzionale (prose e document literacy), la competenza matematica funzionale (numeracy) e la capacità di analizzare e risolvere problemi (problem solving) nella popolazione adulta.
Tra tutte le indagini internazionali, l’ALL è quella che più di tutte è
orientata verso lo studio e la valutazione delle competenze fondamentali per garantire occupazione e sviluppo nel «mondo globale», dunque
strettamente connesse con l’ingresso degli individui in un mondo del
lavoro che sempre più sposta le proprie esigenze verso livelli di preparazione sempre più elevati, lasciando ai margini singoli lavoratori, gruppi
sociali ed interi Paesi che non riescono a stare al passo con queste trasformazioni.
L’indagine ALL mette a fuoco un insieme di variabili che rappresentano un complesso di abilità che sono «utili per la vita» e nello stesso
tempo esamina come questo insieme di abilità influisce, non solo sul
successo in senso economico e professionale, ma anche su aspetti della
vita quotidiana e lavorativa delle persone.
15
2006.
Adult Literacy and Life Skills / Letteratismo e abilità per la vita – Rapporto finale,
78
CAPITOLO 2
Riquadro 2. La missione dell’Ocse in campo educativo
Prose
literacy
Le conoscenze e abilità necessarie per capire e usare l’informazione
contenuta in testi quali editoriali di giornali, notizie, brochure,
manuali di istruzioni, ecc.
Document
literacy
Le conoscenze e le abilità richieste per localizzare e usare informazione contenuta in vari formati, quali formulari per domande di lavoro,
busta paga, orari di treni, bus, aerei, carte geografiche e mappe,
tabelle e grafici.
Numeracy
Le conoscenze e le abilità richieste per trattare, attraverso i linguaggi
formalizzati della matematica, diverse situazioni.
Problem
solving*
Il problem solving è riferito alla capacità di pensare per obiettivi e
agire in situazioni per le quali non sono disponibili procedure di
routine. Chi risolve un problema ha un obiettivo più o meno definito,
ma non sa immediatamente come raggiungerlo. La difficoltà nasce
dalla incongruenza tra obiettivi e scelte ammissibili. La comprensione della situazione problematica e il suo progressivo svilupparsi,
passo per passo, basandosi sulla capacità di ragionare e pianificare
della persona impegnata in questo compito, costituisce il processo di
problem solving.
* prove realizzate sulla base di una opzione nazionale.
A proposito della valutazione della competenza matematica funzionale, viene descritta più precisamente come la capacità di:
• trattare situazioni o risolvere problemi in un contesto reale della
vita nel lavoro e in ambito professionale.
• Reagire «in situazione» attraverso identificazione, comprensione
e comunicazione di informazioni matematiche, di numeri, di dati
statistici, di misure, valute, tempi, forme, direzioni, relazioni e
strutture.
• Identificare «informazioni matematiche» contenute in oggetti e
disegni, numeri e simboli, formule, diagrammi, mappe, piante,
grafici, tabelle.
• Attivare comportamenti e processi che includono sapere matematico e abilità di soluzione di problemi matematici, convinzioni e
attitudini.
In Italia l’indagine è stata svolta su un campione nazionale e su cinque campioni locali (quattro regioni: Campania, Lombardia, Piemonte,
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
79
Toscana e la Provincia autonoma di Trento), composti da cittadini di età
compresa tra i 16 e i 65 anni.
A livello nazionale dal Rapporto finale dell’indagine ALL emerge che: 16
·
la popolazione adulta italiana, presa nel suo complesso, non possiede una competenza alfabetica funzionale (literacy) adeguata alle esigenze
della società della conoscenza;
·
il possesso di abilità/competenze dei giovani conta molto, perché
questi potenzialmente contribuiranno, con le loro competenze,
allo sviluppo sociale ed economico del Paese;
·
conoscere e intervenire sul deficit di competenze è una priorità per
il Paese;
·
l’istruzione è un fattore molto importante per garantire lo sviluppo
di competenze di literacy ma non è il solo fattore determinante: il
letteratismo si sviluppa e si consolida attraverso processi molto
diversi e solo alcuni di questi sono riferibili ai sistemi formali di
istruzione;
·
promuovere il lifelong learning (apprendimento continuo) significa mettere i cittadini in condizione di essere capaci di avere
accesso agli ambienti in cui si promuove apprendimento: a casa,
sul lavoro, nella comunità sociale;
·
bassi livelli di competenza alfabetica sono associati con tassi più
elevati di disoccupazione e questo si traduce in un costo personale
e sociale molto elevato;
·
dovranno essere sperimentate strategie mirate all’incremento
della partecipazione ad attività formative di persone con livelli
estremamente bassi di competenza, che nel nostro Paese superano
il 40% della popolazione;
·
molti sono gli ambiti della vita sociale che, pur non configurandosi immediatamente come lavoro e istruzione, sono strettamente
correlati ai livelli culturali della popolazione: l’incremento delle
16
2006.
Adult Literacy and Life Skills / Letteratismo e abilità per la vita – Rapporto finale,
80
CAPITOLO 2
opportunità di studio e di qualificazione è un fattore essenziale
nelle politiche di contenimento della criminalità e in quelle di
prevenzione in campo socio-sanitario;
·
l’obiettivo di operare sulla cultura della popolazione è un elemento trasversale delle politiche rivolte sia ai giovani che ai cittadini
più anziani.
Nella rappresentazione dei risultati, prendendo come riferimento i
quesiti di matematica e problem solving, l’indagine individua rispettivamente 5 e 4 livelli di difficoltà (v. riquadri 3 e 4).
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
81
Riquadro 3. Numeracy
Livelli
Descrizione
Livello 1
Punteggio 0-225
I compiti di questo livello richiedono al rispondente di dimostrare
che comprende i concetti aritmetici di base, eseguendo compiti
semplici in contesti reali, familiari, in cui il contenuto matematico è indicato esplicitamente e accompagnato da un breve testo. Si
tratta di una sola semplice operazione, quale contare, classificare/raggruppare dati, effettuare operazioni aritmetiche semplici o
capire delle percentuali di uso corrente del tipo 50%.
Livello 2
Punteggio 226-275
Compiti che consistono nel riconoscere e comprendere concetti
matematici di base riferiti a diversi contesti quotidiani, in cui il
contenuto matematico è esplicitamente visualizzato, sono presenti pochi distrattori. Si tratta in genere di effettuare uno o due
calcoli in sequenza e stime da effettuare su numeri interi, percentuali e frazioni, di interpretare rappresentazioni grafiche o spaziali e di effettuare semplici misurazioni.
Livello 3
Punteggio 276-325
I compiti di questo livello portano chi risponde a dimostrare che
capisce le informazioni matematiche presentate in vari formati:
numeri, simboli, carte geografiche, grafici, testi e diagrammi. Le
competenze necessarie sono le nozioni di numero e di spazio, la
conoscenza dei processi e delle relazioni matematiche e la capacità di interpretare le proporzioni, i dati e le statistiche presentate in
testi relativamente semplici, che possono contenere distrattori. I
compiti consistono abitualmente nell’effettuare un certo numero
di operazioni per risolvere i problemi.
Livello 4
Punteggio 326-275
I compiti di questo livello esigono dal rispondente che capisca
una quantità di dati matematici di natura astratta, rappresentati in
vario modo, cioè in un testo che presenta complessità crescente o
in contesti poco familiari. Questi compiti comportano molte
tappe allo scopo di trovare soluzioni a problemi e richiedono
competenze di ragionamento e di interpretazione, quali la capacità di comprendere e di applicare proporzioni e formule o di spiegare le risposte date.
Livello 5
Punteggio 376-500
I compiti di questo livello esigono dal rispondente che capisca
delle rappresentazioni complesse e concetti matematici e statistici astratti e formali. Può essere richiesto al rispondente di analizzare e di integrare molti dati matematici contenuti in testi complessi. Alcuni compiti chiedono di fornire una spiegazione
matematica delle risposte date.
82
CAPITOLO 2
Riquadro 4. Problem solving
Livelli
Descrizione
Livello 1
Punteggio 0-225
I compiti di questo livello, in genere, portano il rispondente a
fare delle semplici deduzioni a partire da informazioni limitate
relative a un contesto familiare. Questi compiti sono piuttosto
concreti e fanno solo in parte appello al ragionamento. Portano
il rispondente a fare semplici accostamenti, senza dover produrre verifiche sistematiche. Il rispondente deve produrre delle
conclusioni direttamente, partendo dalla informazione che gli è
fornita nel testo e dalle sue conoscenze relative a contesti
familiari.
Livello 2
Punteggio 226-300
I compiti di questo livello richiedono che il rispondente valuti
alcune soluzioni alternative in funzione di criteri ben definiti,
trasparenti ed espliciti. Tuttavia il ragionamento è sviluppato per
tappe, in sequenza lineare, senza deviazioni, circonvoluzioni o
ritorni su tappe precedenti. Per risolvere un problema il rispondente si trova a disposizione diverse fonti di informazione, p.e. le
informazioni sono reperibili sia nella sezione del fascicolo che
contiene le domande, sia nella sezione del fascicolo che contiene
le informazioni generali che descrivono la prova.
Livello 3
Punteggio 301-350
I compiti di questo livello richiedono che il rispondente ordini
più elementi secondo criteri forniti, determini una sequenza di
interventi o di eventi e formuli soluzioni che tengano conto di
condizioni interdipendenti diverse, spesso non esplicite e
trasparenti. Il processo di ragionamento si sviluppa in modo non
lineare e, quindi, necessita di rigore. A questo livello il rispondente si trova a dover far fronte a esigenze molteplici o mal
formulate.
Livello 4
Punteggio 351-500
I compiti di questo livello richiedono al rispondente di valutare
l’esaustività, la coerenza o l’interdipendenza di vari criteri. In
molti casi deve spiegare come ha trovato la soluzione e giustificarla. Chi risponde deve ragionare in una meta-prospettiva,
tenendo conto di un sistema completo di condizioni di soluzione
dei problemi e delle soluzioni possibili. Prima di iniziare a
risolvere il problema, spesso, chi risponde deve dedurre criteri e
obiettivi a partire dalle informazioni fornite.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
83
Poiché la scala di punteggi ALL è stata studiata anche per valutare il
nucleo fondamentale di abilità che si associa con il lavoro in gruppo,
questa suddivisione verrà utilizzata, nel commentare i dati italiani, immaginando una squadra di lavoro in cui coloro che rientrano nel livello più
alto sono in grado di ragionare, progettare e condurre la squadra stessa;
nel secondo gruppo si colloca chi sa lavorare efficientemente, eseguire
correttamente le indicazioni impartitegli ed eventualmente affiancare
coloro che stanno a capo del gruppo. Del primo livello fanno parte individui le cui capacità di lavoro sono piuttosto deboli o, addirittura, dannose
per il resto del gruppo (questa potrebbe sembrare un’esagerazione, ma gli
esempi che mostrano il tipo di domande a cui sono in grado di rispondere
gli individui del livello A sono abbastanza dimostrativi al riguardo).
Per avere un’idea più precisa del grado di abilità associato a ciascun
livello, si riportano degli esempi di prove che si collocano in ogni classe
(vd. riquadro 5).
84
CAPITOLO 2
Riquadro 5: Numeracy - Esempi di prove per livello e tipologie
Livelli
Descrizione
Livello 1
Si chiede di osservare una foto che rappresenta una confezione piena di
bottiglie di Coca Cola e di calcolarne il numero. La confezione contiene
due piani di bottiglie, il primo piano è tutto visibile, l’adulto deve immaginare il numero di bottiglie contenute nella parte bassa che non è completamente visibile.
Livello 2
Si presenta l’immagine dell’indicatore del
livello di benzina nel serbatoio di una macchina. L’indicatore ha tre tacche, quella in
alto è segnata con una P e quella in basso con
una V, quella centrale non ha nessuna etichetta, la freccia segnala che il livello della benzina si trova a metà tra la tacca mediana e quella
che ha l’etichetta P; la consegna informa che
il serbatoio contiene 48 litri di benzina e chiede di stabilire quanti litri di benzina sono
rimasti nel serbatoio. Il rispondente deve
interpretare una immagine che rimanda ad
informazioni quantitative, ma che non contiene numeri scritti, l’unica informazione
espressa in termini matematici è contenuta
nella domanda; il processo richiesto è quello
di convertire la posizione della freccia sull’indicatore in una frazione e
poi di fare il calcolo e rispondere con un numero.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
85
Livelli 3 e 4
Un breve articolo di giornale intitolato «Il latte materno è sicuro?»
composto da un testo di due paragrafi e da un grafico che presenta la
percentuale di diossina nel latte materno di donne del Nord Europa nel
1975, 1985, 1995, calcolata in nanogrammi/grammi di grasso. Il testo
riferisce della preoccupazione di studiosi che hanno trovato diossina
nel pesce pescato nel Baltico e informa che questa tende ad accumularsi nel latte materno. La domanda più semplice chiede di descrivere con
parole proprie come è cambiata la quantità di diossina, il grafico
mostra che la quantità è diminuita, ma la struttura del testo tende a
confondere l’adulto perché, rispondendo, deve tradurre in parole proprie quello che è espresso dall’istogramma oppure deve riferirsi
all’orientamento dei valori decimali indicati sull’asse verticale. Una
domanda più difficile, fatta sullo stesso stimolo, chiede di fare il confronto tra la percentuale di variazione del livello di diossina tra il 1975
e il 1985 e il 1985 e il 1995, di dire quale variazione è maggiore e di
spiegare la risposta. L’informazione necessaria è contenuta nel grafico, la consegna richiede di saperla trasformare e interpretare, chi
risponde deve capire che deve esprimere il tasso di variazione in percentuale e non in valore assoluto.
Livello 5
L’item più difficile presentato consiste in una pubblicità secondo la
quale è possibile, per un investitore, raddoppiare in sette anni una somma investita al tasso fisso del 10% annuo. La consegna chiede di calcolare se è possibile raddoppiare una somma di € 1.000 investita in quel
modo e dimostrare la risposta attraverso i calcoli. Chi risponde può fare
i calcoli che vuole, ma può anche usare un «tutore finanziario» che
accompagna la pubblicità e fornisce una formula da applicare per stimare il valore di un investimento. Tutti possono usare una calcolatrice,
il compito è complesso perché richiede di procedere per successive
tappe, calcolare percentuali e fare vari tipi di operazioni. Se non si adopera la formuletta bisogna sapere come si calcola l’interesse composto.
86
CAPITOLO 2
Per quanto riguarda il confronto tra le diverse aree territoriali indagate, i risultati rappresentati per area geografica sono disponibili con riferi17
mento alla precedente indagine pilota (ALL, 2003). Poiché i criteri di
fondo dell’indagine, la tipologia dei quesiti sono sostanzialmente gli
stessi dell’indagine finale, possiamo far riferimento a tali dati per effettuare l’analisi disaggregata a livello territoriale.
In questo caso i risultati sono rappresentati suddividendo il campione
in 3 fasce di età (16-30 anni, 31-45 anni e 46-65 anni), consentendo in tal
modo di confrontare anche i livelli di preparazione delle diverse classi di
età (è luogo comune, infatti, che l’ignoranza sia presente nelle vecchie
generazioni piuttosto che nei giovani; si evidenzierà più avanti come
invece al Sud il divario aumenta nel gruppo 16-30 anni rispetto a quello
45-65 anni).
Un quadro sintetico dei risultati nelle tre aree è riportato nel grafico
1, che individua tre profili (bassa performance = profilo A, performance media = profilo B, alta performance = profilo C), in funzione delle
abilità e dei comportamenti che evidenziano capacità di ragionamento
in età adulta.
Grafico 1: Distribuzione delle competenze di problem solving nelle tre Regioni
17
ALL - Letteratismo e abilità per la vita, Rapporto Indagine Pilota, indagine a cura
dell’INVALSI, collana Educazione - Studi e Ricerche, 2003.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
87
In tutte e tre le regioni prevale il profilo basso, ma in Campania la
differenza tra questo livello e quello più alto (profilo C) è più netta che
nelle altre regioni.
Per la Campania e per il Piemonte, rappresentanti rispettivamente il
Sud e il Nord d’Italia, vengono di seguito (v. grafici 2 - 5) analizzati i
risultati più in dettaglio (per fasce di età e disciplina), al fine di evidenziare le diverse capacità di una squadra di lavoro di ciascuna area.
Grafico 2: risultati in literacy per il Piemonte per fasce di età.
Grafico 3: risultati in literacy per la Campania per fasce di età.
88
CAPITOLO 2
Grafico 4: risultati in numeracy per il Piemonte per fasce d'età.
Grafico 5: risultati in numeracy per la Campania per fasce d'età.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
89
Immaginiamo dunque due squadre di lavoro composte da dieci membri, una piemontese e l’altra campana, partendo dai risultati della fascia di
età 31- 45 anni (tipicamente quella di chi lavora attualmente).
Per semplicità analizziamo solo i dati relativi alla componente matematica che, come detto più volte, rappresenta adeguatamente le competenze nel lavoro.
In Piemonte la squadra è composta da due persone in grado di stare a
capo e coordinare, altre quattro appartengono al secondo gruppo, sono
capaci dunque di lavorare efficientemente e affiancare le prime due, le
ultime quattro invece, seguite dalle sei precedenti, possono ricevere
ordini precisi sul lavoro da svolgere e quindi lavorare anche esse.
In Campania la situazione è molto diversa.
Solo un individuo è in grado di dirigere la squadra, soltanto tre possono affiancarlo e, queste quattro persone, dovrebbero riuscire a gestire i
restanti sei lavoratori che, se non seguiti adeguatamente, possono essere
poco utili o addirittura dannosi per il lavoro del gruppo.
È evidente che, mentre la squadra piemontese è nelle condizioni di
svolgere un buon lavoro, quella della Campania probabilmente non sarà
in grado di fare molto di buono.
Questa esemplificazione può spiegare, in un certo modo, anche il più
alto livello di disoccupazione presente al Sud. Infatti poichè i sei individui facenti parte del livello basso non possono tutti essere seguiti da un
solo capo (appartenente al livello di abilità alto), alcuni di essi rimarranno
probabilmente senza un lavoro.
In genere è diffuso il luogo comune secondo cui la popolazione più
giovane sia più competente delle generazioni passate.
Osservando i dati medi italiani questa affermazione è vera, ma è
anche vero che il divario Nord-Sud aumenta nella fascia di età 16-30 anni,
il che vuol dire che i giovani meridionali si ritrovano in una situazione più
critica che in passato.
Riprendendo infatti l’esempio della squadra di lavoro (relativa alla
fascia di età più bassa), la situazione è la seguente.
In Piemonte i responsabili diventano tre, gli aiutanti restano quattro e
ci sono solo tre persone da seguire a pieno.
90
CAPITOLO 2
In Campania vi è nuovamente solo un individuo in grado di dirigere il
gruppo, solo quattro possono affiancarlo e cinque devono essere guidati.
Le conclusioni sono analoghe a quelle precedenti, ma le differenze
tra le due squadre sono ancora più evidenti.
È chiaro, allora, ciò che emerge da questi dati: le carenze nel sistema
dell’istruzione al Sud d’Italia sono evidenti, se si paragonano i rendimenti non solo degli adulti, ma anche dei giovani meridionali rispetto a quelli
del Nord.
3.3. PISA (Programme for International Student Assessment)
Il progetto PISA si propone di rilevare le competenze dei quindicenni scolarizzati nei settori della comprensione della lettura, della matematica e delle scienze. Il progetto è articolato in diverse fasi; ogni ciclo
dell’in-dagine approfondisce in particolare un’area: nel primo ciclo
(PISA 2000) è stata la lettura, nel secondo (PISA 2003) è stata la matematica, mentre il terzo ciclo (PISA 2006) approfondisce l’area relativa alle
scienze.
Caratteristica fondamentale del progetto, analogamente al progetto
ALL, è che la ricerca è svincolata dagli aspetti curricolari ma sottopone a
verifica le competenze che, a livello internazionale, si considerano indispensabili per un inserimento positivo dei soggetti nel mondo del lavoro e
nella società civile.
Lo scopo primario dell’indagine PISA è quello di analizzare l’efficacia del sistema scolastico nel preparare i giovani «per la vita»; gli indicatori messi a punto dal progetto PISA riguardano infatti non tanto la
padronanza del curricolo da parte degli studenti, ma la loro capacità di
utilizzare conoscenze e abilità apprese a scuola per affrontare il tipo di
compiti e di problemi che si incontrano nella vita reale, al di fuori della
scuola. PISA fornisce, dunque, un criterio di valutazione dell’efficacia del
sistema scolastico esterno alla scuola e al tempo stesso cruciale per essa.
La ricerca assegna molta importanza, nel valutare le abilità, alle
discipline scientifiche in quanto indicatori delle capacità di ragionamento.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
91
È interessante riportare le definizioni che nel progetto vengono
assegnate agli ambiti indagati (PISA 2003, 2004):18
·
Competenza matematica (Mathematical Literacy): è la capacità
di un individuo di identificare e comprendere il ruolo che la matematica gioca nel mondo reale, di operare valutazioni fondate e di
utilizzare la matematica e confrontarsi con essa in modi che rispondono alle esigenze della vita di quell’individuo in quanto
cittadino che esercita un ruolo costruttivo, impegnato e basato
sulla riflessione.
·
Competenza di lettura (Reading Literacy): è la capacità di un
individuo di comprendere e utilizzare testi scritti e di riflettere sui
loro contenuti al fine di raggiungere i propri obiettivi, di sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità e di svolgere un ruolo attivo
nella società.
·
Competenza scientifica (Scientific Literacy): è la capacità di
utilizzare conoscenze scientifiche, di identificare domande alle
quali si può dare una risposta attraverso un procedimento scientifico e di trarre conclusioni basate sui fatti, per comprendere il
mondo della natura e i cambiamenti a esso apportati dall’attività
umana e per aiutare a prendere decisioni al riguardo.
·
Problem solving (Problem Solving Skills): è la capacità di un
individuo di mettere in atto processi cognitivi per affrontare e
risolvere situazioni reali e interdisciplinari per le quali il percorso
di soluzione non è immediatamente evidente e nelle quali gli ambiti di competenza o le aree curricolari che si possono applicare non
sono all’interno dei singoli ambiti della matematica, delle scienze
o della lettura.
I risultati delle prove (disponibili per il PISA 2003) sono stati riprodotti, sia per la matematica che per le scienze, in una scala unica, con un
punteggio medio di 500 punti e una deviazione standard di 100 punti.
18
Fonte: OCSE (a cura di), PISA 2003 - Valutazione dei quindicenni, Roma, 2004.
92
CAPITOLO 2
La scala viene poi suddivisa in livelli di competenza sulla base dei
livelli di difficoltà crescente delle domande e corrispondono a livelli
crescenti di capacità, consentendo di descrivere quello che sanno e non
sanno fare gli studenti che si collocano a ciascun livello e di identificare
per ciascuna area indagata la percentuale di studenti ricadenti in ciascun
livello.19
Per la competenza matematica PISA 2003 individua sei livelli della
scala per i quali:
668 punti
Livello
6
Livello
5
Ai livelli alti (intorno ai 600 Punti) uno studente
tipico assume un ruolo attivo e creativo
nell’approccio ai problemi matematici.
Interpreta e formula i problemi in forma matematica, sa manipolare informazioni complesse e
gestire un certo numero di passi nel processo
risolutivo. Sa applicare gli strumenti e le cono-
544 punti
Livello
4
Livello
3
Ai livelli medi (oltre i 550 punti) uno studente
tipico è capace di interpretare, collegare e
integrare diverse rappresentazioni di un problema o diverse informazioni singole; sa usare o
manipolare un dato modello che spesso implica
rappresentazioni algebriche o simboliche. Sa
482 punti
Livello
2
Livello
1
Ai livelli bassi della scala (circa 450 punti) lo
studente tipico è in grado di eseguire un singolo
passo nel percorso riproducendo processi
elementari o applicando semplici abilità di
calcolo; riconosce le informazioni da diagrammi
o testi familiari, in cui la formulazione
358 punti
(19)
Fonte: OCSE, Prove rilasciate PISA 2003.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
93
Per avere un’idea più chiara dei valori di competenza assegnati a
ciascun livello della scala, è interessante osservare alcuni esempi di
20
domande corrispondenti ai diversi punteggi:
20
Fonte: INVALSI (a cura di), Prima sintesi dei risultati di PISA 2003.
94
CAPITOLO 2
Matematica, livello medio (605 punti) - esempio:
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
Matematica, livello basso (464 punti) - esempio:
Domanda 23: SKATEBOARDM520Q01a M520Q01b
Enrico vuole montare da solo il suo skateboard. In questo negozio, qual è il
prezzo minimo e il prezzo massimo degli skateboard «fai da te»?
(a) Prezzo minimo: .............................zed
(b) Prezzo massimo: ..........................zed
95
96
CAPITOLO 2
Osservando i test si nota come ai punteggi appartenenti al livello più
basso corrispondano capacità di rispondere solo a domande molto semplici e dunque abilità bassissime, anche in relazione all’età della popolazione sottoposta al test.
Dal punto di vista geografico, il campione italiano è stato stratificato
nelle cinque aree consuete: Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud, Isole.
Ricordando quanto detto sui livelli di competenze, nella tabella 1921
sono riportati i punteggi medi ottenuti dalle cinque aree geografiche, in
cui i livelli di difficoltà sono stati per semplicità aggregati in tre classi di
difficoltà, bassa, media e alta.
Tabella 19 – Livelli di apprendimento e percentuale di studenti per ciascun livello
di competenze in matematica e problem solving per area geografica
Matematica
Problem solving
% studenti per livelli
Media
Errore
standard
Basso
(1 e 2)
Medio
(3 e 4)
Alto
(5 e 6)
Media
Errore
standard
Nord
Ovest
510
5,1
36,5
49,7
13,8
516
7,3
Nord
Est
511
7,7
36,8
49,1
14
510
5,0
Centro
472
5,6
54,3
40,6
5,1
476
6,7
Sud
428
8,2
72,1
25,2
2,7
434
8,3
Sud e
Isole
423
6,1
76,2
22,5
1,6
428
5,8
Italia
466
3,1
58,2
35,2
6,5
469
3,1
21
Fonte: INVALSI (a cura di), Prima sintesi dei risultati di PISA 2003.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
97
Le Isole hanno ottenuto un punteggio medio di 423 in matematica e di
428 in problem solving.
Inoltre la maggior parte (76%) degli studenti siciliani è in grado di
rispondere soltanto ai quesiti del livello di abilità più basso (negli esempi
precedenti, circa la metà risponderanno alla domanda da 464 punti, mentre pochissimi, circa il 2%, sono in grado di rispondere alla prima domanda di matematica, da 687 punti).
Confrontando tale punteggio con quello del Nord (circa 510 punti di
media) vi è una differenza di quasi 100 punti; vale a dire che la media dei
ragazzi settentrionali ha livelli di conoscenza che solo il 15% dei ragazzi
del Sud riesce a raggiungere.
Questo è un risultato abbastanza sbalorditivo.
Si possono ipotizzare anche in questo caso dei livelli di abilità che
assegnino ciascuno un ruolo in un gruppo di lavoro, in cui ad esempio
coloro che superano 550 punti sono in grado di stare a capo del gruppo,
chi ottiene da 480 a 550 appartiene ad un grado medio di abilità, cioè
può eseguire correttamente i lavori che vengono impartiti dai capi,
mentre chi sta al di sotto di 480 punti può essere poco di aiuto per il
lavoro del gruppo.
Immaginiamo questa volta una squadra di lavoro del Nord, una delle
Isole e una giapponese, in modo da poter confrontare il nostro lavoro
anche con quello di uno dei Paesi più sviluppati del mondo.
98
CAPITOLO 2
Grafico 6 – livelli di apprendimento in matematica
--------------------------------- Giappone (550) ---------------------------------- 550
Nord (510)
Italia (466)
--------------------------------------------------------------------------------------- 450
Isole (423)
Osservando i punteggi ottenuti (v. grafico 6), le tre squadre saranno
composte come segue:
• la squadra giapponese ha 5 lavoratori su 10 in grado di dirigere,
altri 3 sono lavoratori competenti, e solo 2 persone su 10 hanno
bisogno di essere capitanate;
• la squadra del Nord d’Italia ha 4 individui su 10 che possono stare
a capo del gruppo, altri 3 che eseguono correttamente gli ordini, e
solamente 3 individui su 10 non sono autosufficienti nel lavoro,
ma hanno ben 7 persone competenti a guidarli;
• il gruppo siciliano ha solo un elemento su 10 che deve coordinare
il lavoro di tutto il gruppo, 3 lavoratori che lavorano efficientemente, e i restanti 6 su 10 che, non avendo adeguato supporto, non
apportano nessun aiuto alla squadra.
È evidente, dunque, il divario che c’è tra il gruppo del Nord e quello
del Sud, poiché il primo è molto simile ad una squadra giapponese, ed è
ammissibile che svolga un lavoro efficiente, mentre il secondo è composto in modo tale che è probabile che incontri parecchie difficoltà e quindi
scarsi risultati.
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
99
I risultati ottenuti in tutte le indagini internazionali qui prese in considerazione, mostrano, quindi, un profondo gap tra la nostra regione e il
resto d’Italia.
Questa condizione di arretratezza relativa all’istruzione è resa più
chiara quando si osservano non soltanto i punteggi ottenuti, ma se ci si
concentra sul tipo di domande a cui sono in grado di rispondere gli studenti medi in Sicilia, oppure sui risultati che può ottenere un gruppo di lavoro
medio nella nostra isola.
Analizzando tutto ciò, non si può più negare che la Sicilia, e in generale il Mezzogiorno, si trovino in una condizione di forte arretratezza in
termini di qualità dell’istruzione e basse competenze. Fatto che, nonostante spesso non venga ammesso, viene in realtà percepito da tutti durante la vita quotidiana in Sicilia.
4. Implicazioni di politica economica
Dimostrare che il capitale umano ha effettivamente un’influenza
rilevante sui processi di crescita economica e che le carenze educative
possono essere in parte causa dell’arretratezza dei sistemi economici, ha
notevoli implicazioni sulle politiche di sostegno alla crescita di un Paese.
Per molto tempo si è ritenuto che tra i fattori più rilevanti per lo sviluppo imprenditoriale di ciascuna area geografica vi fosse la dotazione di
infrastrutture e che dipendesse soprattutto da queste la competitività di un
territorio.
Soltanto recentemente si sta iniziando a percepire, analizzando
contemporaneamente la crescita economica e gli investimenti in infrastrutture, che i benefici derivanti da questi investimenti sono stati spesso
praticamente irrilevanti.
Un’analisi econometrica (Asmundo, 2003) relativa a questo fenomeno è stata effettuata nel contesto siciliano.
Lo studio evidenzia che, nonostante l’economia della Sicilia continui a registrare dinamiche in termini di crescita sensibilmente divergenti
rispetto al resto del Paese, contemporaneamente si evidenziano investimenti in beni strutturali (macchinari, costruzioni, ecc.) molto alti, in
100
CAPITOLO 2
seguito ad incentivi e politiche di sviluppo imprenditoriale.
Infatti, lo sforzo per dotare il Meridione di infrastrutture ha visto lo
Stato impiegare in quest’area risorse che a volte hanno superato la quota
destinata al Centro-Nord, mentre solo più di recente la distribuzione degli
investimenti è andata a svantaggio del Sud d’Italia.
Restano comunque elevatissime le carenze della Sicilia, soprattutto
per quanto riguarda la rete di trasporti.
L’analisi econometrica condotta mette in relazione la spesa in opere
pubbliche, considerata come proxy dell’investimento pubblico in infrastrutture, con le variabili economiche e con alcuni tradizionali indicatori
di sviluppo.
Dai dati ottenuti si rileva che le infrastrutture hanno certamente un
ruolo di rilievo nei processi di sviluppo, ma che i benefici derivanti dagli
investimenti in opere pubbliche, nel caso del Mezzogiorno e della Sicilia,
non sempre sarebbero tali da giustificarne il costo collettivo.
I risultati delle regressioni indicano che la spesa in opere pubbliche
ha un ruolo statisticamente significativo ed economicamente rilevante
nella misura in cui contribuisce ad allargare la base produttiva e ad elevare il livello dell’attività economica e del reddito in ambito regionale.
A parte il modesto contributo fornito nell’area dei trasporti, tuttavia,
nell’ambito delle regressioni il contributo della spesa in opere pubbliche non risulta significativo rispetto alle variazioni della produttività
del capitale nel settore privato.
Sembrerebbe, quindi, esclusa, almeno nella Regione, la possibilità di
un effetto moltiplicativo sulla struttura produttiva regionale derivante dal
miglioramento delle condizioni di contesto operato dalla spesa in opere
pubbliche.
Le regressioni, peraltro, confermano il potenziale, ancora inespresso, dei fattori endogeni nel processo regionale di crescita.
Se si ammette, infatti, la validità delle teorie di crescita endogena e
dunque, l’influenza del capitale umano nei processi di sviluppo economico, tali fallimenti di politica economica possono essere motivati dal fatto
che gli effetti attesi in termini di crescita a seguito della destinazione degli
ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO
101
investimenti in infrastrutture materiali non si realizzano in contesti che
non sono dotati di adeguate risorse immateriali, come le competenze e le
capacità degli individui.
Pertanto la dinamica della spesa in infrastrutture, oltre a tradursi per la Sicilia in una dotazione nel complesso modesta, sembra paradossalmente aver sottratto notevoli risorse allo sviluppo.
È opportuno quindi destinare sussidi sociali anche alla «formazione»
(e quindi sostanzialmente all’ istruzione) al fine di promuovere la crescita
di un capitale umano adeguato che possa, in relazione alle predizione dei
modelli di crescita endogena, costituire il motore per il decollo economico dell’Isola.
102
CAPITOLO 2
Conclusioni
Sono stati fino a questo punto riportati una serie di dati, esempi di
test, risultati e punteggi ottenuti; ma a che cosa ci conducono concretamente?
Innanzitutto è stato smentito il luogo comune secondo cui la Sicilia è
una terra molto istruita.
Che ci siano siciliani particolarmente bravi che hanno ottenuto una
carriera di successo non c’è dubbio, ma qui si sta parlando di apprendimento generale, non di eccezioni.
A proposito di istruzione generale si è dimostrato inoltre che il Sud è
molto in ritardo rispetto al resto del Paese, e che la media della popolazione meridionale è a stento in grado di rispondere a semplicissime domande
di Matematica, di Scienze (o di qualsiasi altra disciplina, non necessariamente scolastica), ma non di più.
Si è dimostrato anche che, nonostante sia vero che la Sicilia è carente
di infrastrutture materiali, serve però a ben poco dotarsi di strade, edifici,
opere pubbliche, se prima non si fa in modo che la popolazione impari a
ragionare in maniera adeguata.
Se, come sembra, le teorie di crescita endogena hanno un riscontro
concreto, probabilmente investire per il miglioramento del sistema
dell’istruzione meridionale porterebbe finalmente dei benefici in Sicilia
e al Sud, non solo in termini di crescita economica ma, più in generale, in
termini di qualità della vita.
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ANALISI SUL CAMPO
A PROPOSITO DI
«Crescita endogena e misurazione
del capitale umano:
il caso del Mezzogiorno d’Italia»
di
Giovanna Di Benedetto
Interviste ai volontari delle associazioni
che lavorano con i giovani
Punto di partenza dell’indagine condotta nell’ambito delle associazioni
che lavorano con i ragazzi nelle realtà urbane siciliane più degradate è stato
«Crescita endogena e misurazione del capitale umano: il caso del Mezzogiorno
d’Italia» di Barbara Gatto.
Premessa di questo lavoro è che i modelli più recenti di teorie della crescita
di alcuni Paesi evidenziano come, in tale processo, abbia un ruolo fondamentale
il cosiddetto capitale umano. Livelli di istruzione più elevati, dai quali consegue
uno sviluppo delle competenze e delle capacità professionali dei lavoratori
(elementi che rappresentano proprio il livello di capitale umano) sono adesso
considerate variabili fondamentali per la crescita di un Paese. L’elemento che si
vuole sottolineare è l’importanza che i livelli di istruzione hanno nel promuovere lo sviluppo di un Paese e come, incentivando l’educazione, si possa ridurre il
divario tra i paesi più ricchi e quelli meno sviluppati.
Se si ammette, infatti, la validità delle teorie di crescita endogena e, dunque, l’influenza del capitale umano nei processi di sviluppo economico, i fallimenti di politica economica in Sicilia vengono motivati dal fatto che non può
avere conseguenze positive in termini di crescita la destinazione degli investimenti in infrastrutture materiali in contesti che non sono dotati di adeguate
risorse immateriali, come le competenze e le capacità degli individui.
Per trovare un riscontro concreto a quanto esposto da Barbara Gatto, abbiamo intervistato i volontari di dieci associazioni che operano in alcune delle zone
più degradate delle realtà urbane isolane, dalle periferie ai centri storici, chiedendo loro, in base all’esperienza personale:
1) Quanto incide il livello di istruzione sul disagio sociale? Che titolo di
studio hanno le persone seguite dall’associazione? Quanti sono gli universitari e i laureati?
2) Quanto è diffusa la conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere tra i soggetti che compongono la loro utenza?
108
3) Esistono al di fuori della scuola altri punti di riferimento sul territorio (istituzioni, singole persone, associazioni ecc.) che riescono a integrare e
a supplire alle carenze formative del sistema scolastico siciliano - messe in
luce da ricerche internazionali - che vengono considerate tra le principali
cause della mancanza di sviluppo della nostra terra? Come investire sul
«capitale umano», cioè sulla formazione ed educazione di giovani e meno
giovani?
4) Quali sono i motivi delle lacune della scuola siciliana? Quali i punti
deboli che non le consentono di essere competitiva con quelle delle altre
aree del Paese? È una questione di soldi o di programmi, di cultura, di mentalità?
5) Partendo dai dati dell’Ufficio Scolastico Regionale, che confermano
la debolezza delle scuole superiori siciliane - più del 30% dei diplomati ha
avuto un debito formativo (indice di uno scarso apprendimento); alto è
l’indice di dispersione scolastica (la media siciliana è del 16% con punte del
20 in provincia) - come si collocano nella società le persone che riportano
debiti formativi o abbandonano la scuola?
6) Quanti sono i giovani e gli adulti che uniscono all’attività lavorativa
la formazione continua per migliorare la propria posizione?
7) C’è, nelle fasce più disagiate, la percezione dell’importanza di un
rafforzamento delle competenze e della capacità professionali per abbandonare lo stato di povertà e degrado?
©
Anna Maria Guarrasi, responsabile del «Gruppo di Volontariato Vincenziano» di Trapani e referente di delegazione del CeSVoP.
1) Parte dei giovani di cui si occupa l’associazione non sa scrivere, altri
hanno il minimo livello di istruzione, cioè si fermano alle elementari. C’è molta
dispersione scolastica tra i bambini delle famiglie delle case popolari della
periferia di Trapani, dove gira droga con facilità, i genitori non seguono i figli nel
percorso formativo e così gli adolescenti si trascinano fino alle medie.
Il Gruppo di Volontariato Vincenziano, aggiunge Guarrasi, cerca di sostenere alcuni ragazzi donando libri (ad alcuni studenti dell’Alberghiero sono stati
promessi testi e divise, nel caso di promozione). È stato organizzato il doposcuola per i bambini delle elementari. «Cerchiamo di inculcare che la scuola è importante».
109
2) Secondo Guarrasi, la conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere tra i giovani delle periferie è uguale a zero. «L’unico supporto che hanno –
precisa – è il telefonino, anche se sono senza soldi. Nessuno ha il computer».
3) La responsabile del Gruppo di Volontariato Vincenziano suggerisce per
il territorio un ritorno alle antiche abitudini di una volta, come, ad esempio,
favorire l’aggregazione dei ragazzi nelle chiese e organizzare squadre di calcio,
per consentire agli adolescenti di uscire dagli ambienti ristretti in cui vivono,
delimitati da rione e famiglia, e allargare così il loro spazio mentale.
4) Con riferimento alle carenze del sistema scolastico regionale, Guarrasi
punta l’indice contro la preparazione e formazione di molti docenti che non
hanno il senso dell’insegnamento e non riescono ad instaurare un rapporto con i
ragazzi, al punto da motivarli e farli interessare alle materie. «Se il professore è
antipatico – afferma – lo studente non si sforza neanche. Anche gli insegnanti
dovrebbero avere i voti, non solo i ragazzi».
«Tra i problemi più diffusi – continua – ci sono droga e maternità precoci.
Spesso vediamo ragazzine di 15/16 anni che devono affrontare gravidanze
difficili, non essendo sposate ed essendo senza soldi né famiglie che le possono
seguire. Molte vorrebbero abortire. Noi le aiutiamo fino a un anno di vita del
bambino».
5) «I giovani più problematici sono quelli che abbandonano la scuola.
Senza un pezzo di carta oggi non vai da nessuna parte. Alcuni di questi ci chiedono un aiuto per trovare un lavoro, spesso come uomini di fatica negli alberghi».
6) «Abbiamo cercato di indirizzare qualche lavoratore a seguire la scuola
serale: nella maggior parte dei casi si iscrivono e poi abbandonano».
7) «Nel loro ambiente familiare non esiste la concezione dell’etica del
lavoro. Spesso il padre non ha un’occupazione. Perché devono cercarla loro, se
spacciando si guadagna di più? Non credono che la scuola li aiuti a trovare una
sistemazione. C’è, inoltre, una visione maschilista diffusa, che porta a vedere la
donna come colei che deve faticare per portare i soldi a casa. Molti uomini sono
fannulloni e non hanno voglia di uscire dalle mura domestiche e di emergere».
Filippo Maritati di «Nuovi Orizzonti», Caltanissetta, ente morale che
©
gestisce centri di socializzazione per disabili e giovani a rischio più due
comunità alloggio per donne e minori abusati.
1) «Gli operatori dell’associazione hanno tutti percorsi professionali
inerenti al settore sociale (assistenti dell’infanzia, psicologi, operatori e assistenti sociali). La maggior parte è in possesso di un diploma universitario. I
110
nostri utenti, invece, sono persone con disturbi, che necessitano di insegnanti di
sostegno e, al massimo, hanno un diploma di scuola media (alcuni frequentano
le superiori). Le ragazze madri delle comunità alloggio non hanno titolo di
studio».
2) «Debole è la conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere».
3) «Nel territorio dobbiamo seguire ogni caso specifico direttamente con
la scuola che in genere fa una selezione: spesso i ragazzi che provengono dalle
nostre comunità residenziali non vengono ben accettati dagli insegnanti. I centri
di socializzazione sono di frequente scambiati per doposcuola. Non c’è rispetto
per la persona umana. Cerchiamo di creare una rete di collegamento con i singoli
istituti scolastici, dove i ragazzi vengono ghettizzati e non collaborano. Noi
facciamo da ponte tra scuola, famiglia e associazione. A volte invitiamo gli insegnanti delle scuole medie e superiori a venirci a trovare».
4) «I docenti non sono formati. Per molti il posto rappresenta solo una
sistemazione e uno stipendio. La cosa più grave riguarda gli insegnanti di sostegno: l’80 per cento fa quel che fa per stare vicino casa e non in virtù di una scelta
specifica. Abbiamo organizzato “scuola di volontariato” per i docenti prima che
per gli studenti per promuovere la cultura della partecipazione attiva (come si fa
a insegnare ai giovani, se i professori non recepiscono il messaggio?). Abbiamo
notato che i problemi riguardano la scarsa formazione e l’informazione. Molti
insegnanti non conoscono le associazioni che operano sul territorio e difficilmente sanno gestire i nostri ragazzi. Capita che ci chiedano un operatore per
aiutarli all’interno delle classi con i giovani “difficili” della nostra comunità.
C’è stato un 15enne che non è stato accettato dalla scuola media ed è stato poi
preso da un istituto privato. Il caso ha determinato l’invio di un ispettore del
Ministero della Pubblica Istruzione».
5) «Molti studenti chiedono di fare volontariato nelle associazioni solo
per avere crediti formativi. Per farli proseguire negli studi superiori, bisogna
assicurare una buona preparazione già a livello di scuola media ed è importante
che scuola e famiglia siano coinvolte e collaborino».
6) «Sono poche le persone che continuano a formarsi dopo aver iniziato a
lavorare. In genere sono ritenuti più interessanti i corsi pratici, come l’alberghiero. A Riesi sono stato minacciato dal padre di un ragazzo perché volevo farlo
tornare alle medie e invece il giovane serviva per pascolare le pecore (stavamo
portando avanti un progetto contro la dispersione scolastica, che prevedeva la
frequentazione delle nostre strutture il pomeriggio, nel caso in cui il giovane
fosse andato a scuola di mattina). L’obiettivo era far rispettare le regole e strapparli alla delinquenza».
111
7) «La scuola da sola non può gestire le gravi situazioni di disagio sociale
e povertà, in cui si ritrovano famiglie distrutte, spesso mononucleari. Ha bisogno di essere coadiuvata dalle associazioni di volontariato che operano sul
territorio. Ci vuole un lavoro di rete e di collaborazione tra più enti e soggetti».
Stella Maris Camarda, presidente di «Arte Insieme», associazione di
©
volontariato con sede in via Maqueda, nel cuore della Palermo antica, che da
anni si occupa di adolescenti che vivono nella difficile realtà del centro
storico.
1) «Il livello di istruzione incide moltissimo sul disagio sociale. I giovani
delle realtà difficili non comprendono i vantaggi che potrebbero ricavare dalla
formazione, non conoscono i propri diritti, considerano la scuola e gli studi una
costrizione e, come tale, l’accettano con fastidio. Assumono un atteggiamento
di sfida nei confronti di ciò che li circonda. A fatica raggiungono la terza media,
nonostante il nostro impegno ad organizzare corsi di formazione professionale.
Siamo costretti a prelevarli e a portarli in sede e bisogna, inoltre, fare opera di
convincimento con le famiglie, che ostacolano tutto ciò che c’è di positivo,
mentre plaudono al negativo. Conducono opera di formazione al contrario. Non
partiamo da zero, ma da meno uno. Chiediamo aiuto, ma la scuola ci disconosce.
Soprattutto negli anni passati, la nostra associazione era costituita da un bel
gruppo e abbiamo cercato di avere un rapporto con la scuola, per capire cosa
chiedesse».
2) «Non parlano neppure l’italiano, figurarsi una lingua straniera. Cerco di
far capire ai giovani che non si possono chiudere nell’angusto perimetro di
Ballarò, perché limitano se stessi. L’informatica è più diffusa, ma solo come
gioco. Nell’ambito di un progetto, ho fatto comprare il computer per l’associazione, ma è stato arduo riuscire a realizzare un programma di informatica. I
ragazzi facevano solo quello che li divertiva di più».
3) «Le associazioni di volontariato, se fossero ascoltate, seguite e supportate, potrebbero fare molto per arginare il disagio sociale. È terribile vedere un
ragazzino con l’argento vivo addosso che ci chiede qualcosa e non potergli
offrire nulla di quelle attività che non sono solo gioco, ma diventano formazione,
non solo complemento ma integrazione. Anche una partita di calcio può rappresentare uno strumento per imparare a giocare e a stare con gli altri, seguendo
delle regole. Questi giovani lamentano tante cose, non hanno alle spalle un
sistema famiglia. Diffuso è l’analfabetismo dei genitori, che si comportano
come se in realtà fossero figli dei loro figli. Mi batto per trovare le risorse per
creare una sorta di convitto, per aiutarli nei compiti e coinvolgerli in attività
112
ricreative, non solo nella fascia pomeridiana, al fine di fare uscire le potenzialità
di ognuno. Sono ragazzi interessati a una scuola diversa, che non sia solo compiti
e insegnanti. Hanno un’età compresa tra i 6 e i 14 anni. C’è chi è stato allontanato
dal nostro centro per cattiva condotta, ma abbiamo anche ragazze che, superata
l’età, sono rimaste per aiutarci ad assistere i più piccoli, per sentirsi utili».
4) «Ci sono gravi carenze tra gli insegnanti. È una questione di mentalità,
anche se esistono “maestri” che instaurano un rapporto bellissimo, perché si
aprono umanamente. E’ necessario cercare di superare il proprio modo di pensare per entrare in contatto con il loro modo di vedere le cose. La scuola ha grandi
difficoltà a gestire i ragazzi “difficili”. Io stessa non ho trovato dialogo con
alcuni presidi e docenti, che dovrebbero modificare il metodo e non insegnare
semplicemente la materia. Bisogna impartire una cultura di base. Mi ritrovo casi
di ragazzi arrivati in seconda media, senza sapere leggere. C’è una grande disattenzione degli insegnanti sotto tutti i punti di vista. L’aggressività dei giovani è
solo un modo di comunicare. Gli adolescenti che frequentano il nostro centro
hanno alle spalle storie di grande sofferenza. C’è chi ha il papà in carcere o
ubriacone, chi ha subito violenza. Cerchiamo di far uscire i problemi di ognuno.
Vogliamo dimostrare loro che tutti lottiamo».
5) «Le ragazzine non hanno rispetto del proprio corpo, che considerano
solo da un punto di vista estetico ed è facile che si prostituiscano. Sognano
qualcuno che le porti via da una realtà difficile. Non conoscono i loro diritti. La
stessa formazione non la vivono come tale. La mancata conoscenza chiude loro
molte strade. Non capiscono i vantaggi che hanno dall’assistenza, tipo libri
gratuiti, ecc. La usano male. I ragazzi hanno necessità di essere ascoltati e sarebbe utile intervenire prima che i loro bisogni si formino. Ma se aspettano e vedono
che nulla cambia e che i loro sogni rimangono tali, si demoralizzano. La scuola
non riesce a reggere. Lo studente che disturba viene sospeso e poi reintegrato. La
scuola e la tv non aiutano a trovare modelli diversi. C’è molto sesso, devianza, se
fumi sei considerato favoloso».
6) «È quasi inesistente la formazione in età adulta. Pochi sono quelli che si
promuovono. La famiglia è matriarcale, il padre è sollecitato a intervenire solo
quando c’è da punire, spesso con la violenza, la madre è troppo permissiva o
esageratamente presente e ostacola il processo di crescita. Le mamme non
lavorano. All’inizio avevamo intrapreso iniziative di alfabetizzazione degli
adulti (la maggior parte si sono fermati alle elementari). Conosciamo solo una
mamma con un diploma che lavora in un bar».
7) «Non c’è alcuna percezione dell’importanza di un rafforzamento delle
113
competenze professionali. I riferimenti di questi ragazzi sono adulti, per lo più
donne, madri, zie spesso con problemi, che a loro volta, andrebbero seguite».
Aurora Mangano, dell’associazione palermitana «Madre Serafina
©
Farolfi» che opera al Capo
«Ci occupiamo di minori a rischio, tutti di età compresa tra i 6 e i 14 anni,
che frequentano le scuole elementari e medie. È poco diffusa tra loro la conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere. Le famiglie ci chiedono in tali
ambiti un supporto, che a volte è fornito da qualche insegnante».
«Molti ragazzi delle medie non sanno leggere. La scuola da sola non riesce
a colmare queste lacune, a causa di difficoltà che nascono proprio dall’impostazione del sistema scolastico. Un aiuto potrebbe venire dal volontariato, che
porta avanti tanti progetti, anche se in Sicilia non si è ritagliato un grande spazio
e, in ogni caso, non può garantire una continuità. I ragazzi, inoltre, si ritrovano
soli, senza il supporto delle famiglie, che spesso li ostacolano. Una giovane che
frequenta il nostro centro è stata costretta dalla madre a non seguire più le lezioni. A volte arrivano al doposcuola senza zaino o libri. Non abbiamo molti contatti con i genitori, che raramente accompagnano da noi i loro figli».
©
Gabriella Giacco, responsabile provinciale del «Gruppo di volontariato
Vincenziano» di Aragona
«Abbiamo un centro ricreativo e di recupero scolastico. Forniamo i libri e
supportiamo i ragazzi delle scuole elementari e medie nel loro percorso formativo, facendo doposcuola e affiancando attività culturali e sportive. Il Comune e la
scuola si interessano molto al fenomeno della dispersione scolastica. La presenza di immigrati ad Aragona è diffusa e con l’avvento dell’euro si è registrato un
aumento della povertà. Spesso i giovani trovano delle difficoltà in ambito familiare, non perché i genitori li ostacolino a proseguire gli studi ma perché proprio
non hanno la possibilità di aiutarli ad andare avanti».
«Come centro, abbiamo fatto domanda al Comune per avere computer
dismessi ma non abbiamo ricevuto risposta. Qualche anno fa, ho fatto un giro
delle scuole per cogliere i bisogni dei bambini. Oggi si sta perdendo di vista
l’alunno. È un’idea pazzesca lavorare per progetti. Negli ultimi 3 anni ho visto
dilagare l’ignoranza. Nel passato c’erano molti studenti, da noi seguiti, che sono
riusciti ad andare all’Università, pur senza averne i mezzi e anche chi si trasferiva in altre regioni con le famiglie si distingueva per la preparazione».
114
«L’emigrazione è un fenomeno in crescita. In tanti sono costretti a lasciare
Aragona. Conosco ex giovani che si sono sposati, hanno avuto diversi figli e
sono andati a lavorare a Milano, pur senza un titolo di studio. I loro figli oggi
studiano».
«Qui da noi è diffusa la formazione dopo la scuola. Sono molto seguiti i
corsi finanziati dall’Unione europea, ma quando i giovani si rendono conto che
non c’è lavoro o vanno via o cadono nella devianza (alcol, droga, ecc..). Nei
contesti di povertà reale, è difficile far comprendere l’importanza
dell’istruzione. La maggior parte delle persone non ne vuole sapere. C’è una
ragazza che ha lasciato molto presto la scuola e oggi bussa a tutte le porte per una
sistemazione, ma le viene richiesto ovunque un titolo di studio».
Sarina Ingrassia, fondatrice dell’associazione «Il quartiere» di Monreale
©
1) «L’istruzione incide profondamente sullo stato sociale. Chi sa parlare,
si difende con le parole e con l’ingegno. Chi non lo sa fare, spesso ha reazioni
violente. Oggi soprattutto che la cultura è potere e il linguaggio usato è elitario.
La cultura è basilare. Ho speso tutta la mia vita per rispondere a quest’esigenza.
Nella nostra associazione ci sono ragazzi cresciuti che fanno da guida ai più
piccoli, in particolar modo, nell’ambito del gruppo sportivo (abbiamo una
squadra di calcio composta da una ventina di giovani)».
2) «L’informatica è abbastanza diffusa, soprattutto tra coloro che frequentano l’Università, che hanno i computer. Gli altri posseggono anche più di
una televisione e cellulari (persino un bambino di seconda elementare ne ha
uno). Sconosciute le lingue straniere».
3) «I problemi che non si risolvono a scuola, non si risolvono neanche
fuori. Dal punto di vista dell’istruzione, noi possiamo mettere una pezza.
Facciamo opera di alfabetizzazione e cerchiamo di capire perché il ragazzo
arriva a quel punto. Ce la mettiamo tutta per superare le difficoltà, ma è arduo.
Oggi la scuola è frequentata da due categorie diverse: i piccoli del mio quartiere
che non sanno come si chiamano le dita di una mano o come si legge un orologio
e i figli dei colleghi insegnanti che conoscono le capitali del mondo ancor prima
di iniziare. La scuola ha delle responsabilità. Conosco adolescenti a cui hanno
mandato il diploma a casa. Uno di questi non frequentava dalla seconda media e
ha fatto gli esami di licenza. Io gli ho detto: “Non è meglio se vai alla scuola
serale?”. La preside, invece, l’aveva ignorato. Vogliono allontanarli dalla scuola, perché è difficile gestire certi alunni. Così loro restano quello che sono,
analfabeti».
115
4) «In altre zone d’Italia il discorso sociale è stato molto sviluppato. Anni
fa a Parma quattro bambini di genitori separati sono stati lasciati a casa con la
nonna, che aveva dato incarico a quattro universitari di seguirli. Per dire
l’attenzione. Da noi si mandavano in collegio. Questo ci ha rovinato. La politica
negli anni 60/70 ha ristrutturato chiese, anziché fare scuole. Non c’è stata attenzione nei confronti delle problematiche sociali. Altra cosa gravissima: le classi
numerose. La legge sulle compresenze prevede due classi per tre insegnanti. Per
tre giorni la maestra ha venticinque alunni. Come fa a stare dietro a tutti? Non
può gestire il particolare, ma solo l’insieme. Con quindici studenti, invece, si
potrebbe lavorare ed evitare che diventino emarginati quei quattro/cinque che
hanno problemi: il disagio culturale si trasforma in disagio sociale. Perdono la
stima in loro stessi».
5) «I ragazzi che seguiamo fanno tutti i garzoni. Un adolescente ha lasciato la scuola media e sta da mezzogiorno a mezzanotte al negozio di polli. Stiamo
cercando di fargli riprendere gli studi la mattina».
6) «Non c’è la percezione dell’importanza dell’istruzione. I genitori
mandano i loro figli a lavorare come commessi o fattorini per guadagnare qualche soldo. I giovani non sono disperati e non cercano di migliorare la loro posizione frequentando corsi professionali. In queste classi sottosviluppate la colpa
si dà al minore: si dice che è distratto, che non vuole andare a scuola, non si
indaga sulle cause».
Giuseppe Candolfo di «Arciragazzi», Palermo.
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1) «La scuola, nella migliore delle ipotesi, riesce a trasferire contenuti
di tipo teorico e gli adolescenti si trovano ad affrontare la difficoltà di trasformarli in cose concrete. Lavoriamo molto a Borgo Nuovo. Il nostro percorso
prevede che i progetti siano pensati e gestiti dagli stessi ragazzi. Organizziamo spesso iniziative nelle scuole. Il disagio sociale è diffuso. Nelle famiglie
medio-borghesi prevale il consumismo, la noia, il rifugio nella droga o
nell’alcol. Tra i più poveri troviamo la violenza e la difficoltà a sopravvivere in
contesti difficili. Seguiamo giovani di tutti i tipi».
2) «Mettiamo a disposizione computer con accesso a Internet. È stato
attivato anche un “account” a Messanger per facilitare gli scambi con i coetanei
di altri Paesi. Sono previste almeno due o tre esperienze all’anno con associazioni straniere per dare la possibilità ai nostri giovani di un confronto diretto.
L’anno scorso sono stati in Estonia e Turchia, mentre qui da noi sono arrivati
ragazzi dall’Estonia, dalla Francia, dal Portogallo, dalla Spagna e dal Belgio».
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3) «La mia conoscenza delle realtà al di fuori della scuola si limita al
mondo dell’associazionismo. Il doposcuola, per come è strutturato, non so che
risultati possa dare. Non è progettuale e non è finalizzato alla crescita
dell’adolescente. Ci sono delle associazioni che autonomamente elaborano
percorsi formativi e, quindi, di crescita. In generale, temo si ragioni per “tappare
i buchi” e non in prospettiva. Anche il terzo settore dovrebbe prepararsi alle sfide
europee, prima fra tutte quella del 2010. Ho, invece, la sensazione che i corsi di
formazione siano concepiti per chi li fa e non per i destinatari».
4) «Il problema della scuola si colloca su due livelli. Uno riguarda il
tessuto economico della Sicilia, per cui un limite è rappresentato dal fatto che i
ragazzi non hanno sbocchi e non c’è un collegamento col mondo della produzione. L’altro aspetto riguarda la figura del docente, che dovrebbe essere educatore,
avere capacità relazionali, di ascolto, di confronto. Spesso, invece, è come se si
arroccasse su posizioni di potere, solo perché ha una cattedra. La scuola è un po’
autoreferenziale, anche se forse negli ultimi dieci anni qualcosa è cambiato».
5) «È molto basso il livello delle scuole superiori siciliane. Oggi viviamo
nella società della conoscenza e dell’informazione, in cui le competenze devono
essere alte. Purtroppo nella nostra città molte persone si improvvisano. Fanno di
tutto, dall’imbianchino all’elettricista, senza approfondire nulla. Così si rischia
di essere esclusi».
6) «Nel mio ambiente, quello degli operatori sociali, quasi tutti continuano la formazione al di fuori del normale ciclo di studi per affrontare le dinamiche
e i cambiamenti. Se i ragazzi vedono che anche io non mi sento arrivato, si sentono motivati a continuare a formarsi».
7) «Non credo ci sia una consapevolezza dell’importanza dell’istruzione, se qualcuno non ti rende consapevole. In certi contesti, la scuola viene
considerata una perdita di tempo. La responsabilità è degli insegnanti che non
sanno parlare con i ragazzi difficili, drop out, perché non ne conoscono il linguaggio. Anche il terzo settore ha le sue responsabilità, ma in misura minore
rispetto alla scuola che riesce a raggiungere, rispetto a noi, un numero di persone
maggiore».
Bice Salatiello, associazione «Laboratorio Zen Insieme»
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1) «Lavoriamo allo Zen 2, dove l’evasione scolastica è del 30 per cento.
Chi si ferma alla terza media non è padrone neanche della lingua italiana.
L’istruzione scarsa e l’abitare in periferia sono fattori che non consentono di
entrare nel mercato del lavoro».
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2) «I nostri giovani si stanno avvicinando all’informatica un po’ grazie
alla scuola e in parte grazie a noi. Stiamo, inoltre, cercando di utilizzare il
Servizio Civile Internazionale per far conoscere le lingue straniere».
3) «Nel territorio nel quale operiamo, al di fuori della scuola, c’è praticamente
solo la nostra organizzazione di volontariato. Non ritengo giusto però che le associazioni si sostituiscano alla scuola. Se questa funzionasse...».
4) «È questione di preparazione di insegnanti, presidi, direttori. Non
hanno l’adeguata formazione psicologica, pedagogica, non capiscono gli adolescenti e così la scuola diventa “rifiutante” e tende ad espellerli».
5) «Molti dei giovani che abbandonano gli studi finiscono a spacciare
droga».
6) «Non esiste la formazione al di fuori delle aule scolastiche. C’è un
rifiuto dell’istruzione, della preparazione professionale legato alla non conoscenza».
7) «Non c’è alcuna percezione dell’importanza dell’istruzione. Noi
abbiamo aperto uno sportello informativo per il lavoro. Tutti chiedono un posto
come muratore, anche se poi emergono altre competenze (hanno lavorato come
elettricisti, falegnami ecc...). Li aiutiamo a compilare i curricula».
Enzo Madonia, «Cittadella culturale dei giovani» di Gela.
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1) «L’istruzione incide moltissimo sul disagio sociale. In una scala da 1 a
10, direi 10. La maggior parte dei nostri utenti sono studenti delle superiori.
Intorno ai 20 anni, li spingiamo a fare esperienze di servizio fuori dall’associazione (in ambito politico, sindacale, ecclesiale, tramite un impegno sociale che
si testimonia dinanzi alla collettività) per evitare di creare legami di dipendenza
con gli educatori. Abbiamo notato un allungamento nell’età delle scelte».
2) «L’informatica è abbastanza conosciuta, le lingue straniere pochissimo. Per incrementarne la diffusione, abbiamo organizzato tre campi internazionali di volontariato ed esperienze di servizio in una dimensione interculturale (i
settori erano educazione ambientale e legalità). Abbiamo, inoltre, trasformato
un parco abbandonato nella “Cittadella culturale dei giovani”, con sala prove,
teatro, anfiteatro. Lavoriamo insieme all’università. Vogliamo mettere in evidenza l’importanza della lingua come strumento di comunicazione e come
mezzo per allargare il mercato del lavoro».
3) «Sul territorio ci sono gruppi informali che lavorano in modo costante,
con educatori adeguatamente formati, oltre a 12 gruppi giovanili, uno per ogni
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parrocchia, che seguono 1200/1400 ragazzi tra i 14 e i 20 anni, senza contare i
bambini che sono molti di più. Sono forme di volontariato al di fuori degli schemi formali, perché non vogliono bilanci né presidenti. Poi ci sono i gruppi costituiti in associazione, come gli scouts. C’è la presenza di un progetto educativo
cittadino che si declina nelle forme dell’impegno del territorio, a partire dai
quartieri. Di fondo c’è la motivazione cristiana, la visione di una società in
chiave solidale e di giustizia».
4) «È una questione di ruoli. Si registra una limitazione di risorse e un
aumento dei progetti. La scuola non riesce a essere luogo educativo perché non
riesce a catalizzare le esperienze che ha intorno. La scientificità dei progetti sta
facendo venir meno l’azione della rete, perché si cercano enti e gruppi per fare
partenariato in una visione che punta alla somma di sigle ma non alla rete, che
significa condivisione di un percorso educativo. Poi non c’è una relazione
educativa con il ragazzo. Il docente rimane formale. Insegnanti e studenti restano due mondi distinti. Chi aiuta i giovani a elaborare l’esperienza?».
5) «Se hanno voglia di imparare, hanno possibilità di inserirsi. Gli uffici
Informagiovani sono diventati luoghi e spazi che ospitano computer, non luoghi
di animazione in grado di aiutare i ragazzi ad esprimersi e a confrontarsi. C’è
mancanza di autonomia da parte dei giovani, che hanno bisogno di qualcuno che
li accompagni in un qualunque percorso, anche d’impresa. Il compito degli
educatori è quello di accompagnare. Bisognerebbe promuovere Agenzie di
sviluppo di politiche giovanili, con educatori capaci di proporre iniziative, non
luoghi e spazi fini a se stessi. Manca una strategia educativa per i ragazzi di oggi».
6) «Nelle strutture associative organizzate si diffonde sempre più il concetto di formazione permanente. Cerchiamo di favorire la partecipazione a
corsi, seminari. Il problema è che manca l’ultimo start up, qualcuno che dia la
possibilità di mettere a frutto l’esperienza acquisita».
7) «Penso che questa consapevolezza non ci sia. Se l’avessero, metterebbero in campo le loro potenzialità. La conoscenza produce conoscenza. I ragazzi, per sviluppare la voglia di andare avanti e uscire dall’ignoranza, devono
essere informati. Alcuni giovani, quando hanno saputo dell’esistenza di alcune
esperienze di servizio, le hanno seguite con entusiasmo. Bisogna diffondere
l’informazione per dare la possibilità di sfruttare le risorse individuali».
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Stefania Vella, responsabile «Meter» di Gela
1) «Naturalmente c’è una correlazione tra i livelli di formazione e il
disagio sociale, anche se nel caso di abusi sui minori non è così automatico che
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allo scarso livello di istruzione corrisponda un disagio sociale. Anzi, questo
cresce tra le classi medie».
2) «Molto ridotta è la diffusione delle conoscenze informatiche e delle
lingue straniere».
3) «Esistono, da un punto di vista quantitativo, differenti realtà sul territorio al di fuori della scuola, tra associazioni di volontariato, parrocchie e oratori,
ma non possono sostituirsi ad essa a livello qualitativo».
4) «Sono tante le concause del declino della scuola. È una miscela di
risorse, strutture, politica».
5) «Chi abbandona gli studi, ha grosse difficoltà a inserirsi nel tessuto
sociale. O emigra o viene assoldato nella realtà malavitosa o diventa un nullafacente».
6) «Si assiste a un incremento di offerta e di domanda di formazione
parallela a quella scolastica, dai corsi parascolastici a quelli post diploma, che
spaziano dall’informatica al terzo settore».
7) «Solo se incontrano qualcuno che li renda consapevoli dell’importanza
dell’istruzione, i giovani aprono gli occhi. Altrimenti, in genere, non ne apprezzano la funzione».
Finito di stampare
nel mese di marzo 2008
coi tipi della Pittigrafica s.a.s. Tecniche Editoriali
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