il caso del Mezzogiorno d`Italia
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CENTRO DI SERVIZI PER IL VOLONTARIATO DI PALERMO CRESCITA ENDOGENA E MISURAZIONE DEL CAPITALE UMANO: il caso del Mezzogiorno d’Italia COLLANA «STUDI E RICERCHE» DIRETTA DA FERDINANDO SIRINGO 2 Pubblicazione realizzata con il contributo del Comitato di Gestione del Fondo Speciale per il Volontariato della Regione Siciliana finanziato dalle Fondazioni: - Compagnia di S. Paolo - Monte dei Paschi di Siena - Cariplo - Banco di Sicilia Printed in Italy © 2008 Centro di Servizi per il Volontariato di Palermo Barbara Gatto CRESCITA ENDOGENA E MISURAZIONE DEL CAPITALE UMANO: il caso del Mezzogiorno d’Italia Prefazione di Vincenzo Borruso Centro di Servizi per il Volontariato di Palermo INDICE Prefazione . . Introduzione . . . . . . . . . . . . . 5 . . . . . . . . . . . . . . pag. 7 » 11 CAP. 1 - Le teorie della crescita economica . . . . . 1. I modelli neoclassici . . . . . . . . 1.1. Il modello di Solow . . . . . . . 1.2. Il modello di Cass-Koopmans-Ramsey . . 1.3. Le predizioni dei due modelli . . . . 2. Ruolo dell'innovazione e modelli di crescita endogena 2.1. Il modello di Romer . . . . . . . 2.2. Il modello di Lucas . . . . . . . 2.3. Equilibrio in presenza di esternalità . . . 2.4. Il modello logistico di Nelson-Phelps . . 3. Alcuni risultati empirici . . . . . . . 4. La misurazione del Capitale Umano . . . . 4.1. Quantità e qualità dell'istruzione . . . . » » » » » » » » » » » » » 13 13 13 17 18 21 22 27 30 31 34 37 38 CAP. 2 - Istruzione al Sud: dati Istat e Test di apprendimento . » 43 1. Dati Istat e Tasso di scolarizzazione . . . . » 45 2. Qualità dell’istruzione siciliana . . . . . » 60 2.1. L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema scolastico. . . . . . . . . . » 60 3. Dove il nostro sistema è davvero carente? Le indagini internazionali . . . . . . . » 72 3.1. TIMSS 2003 (The Third International Mathematics and Science Study) . . . . . . . » 74 3.2. ALL (Adult Literacy and Life skills) . . . » 77 3.3. PISA (Programme for International Student Assessment) . . . . . . . » 90 4. Implicazioni di politica economica . . . . » 99 Conclusioni . . . . . . . . . . . . »102 Bibliografia . . . . . . . . . . . . »103 Analisi sul campo a proposito di «Crescita endogena e misurazione del capitale umano: il caso del Mezzogiorno d’Italia» . . . . . »105 Interviste ai volontari delle associazioni che lavorano con i giovani . . . . . . . . . . »107 Prefazione La ricerca sui motivi che determinano la crescita economica di una popolazione, di Barbara Gatto, sembra che parta da considerazioni quasi scontate. Ma ci si accorge presto della necessità che ricerche simili siano avviate anche quando la sensazione rimane quella di trovare risposte già conosciute poiché l’approfondimento di una tesi, senza pregiudizi, sui fattori che influenzano l’aumento della ricchezza di una popolazione, riserva sorprese non facili da cogliere di primo acchito. Sono state diverse le teorie elaborate alla ricerca di caratteristiche alla base di un incremento della ricchezza e quali siano i fattori che permettono un incremento di lungo periodo del reddito, sia sul piano individuale che sociale. Le più recenti teorie, sottolinea la ricercatrice, evidenziano come in tali processi sia determinante il fattore umano, molto più di quanto possano essere efficaci politiche di investimento per infrastrutture o iniziative di tipo capitalistico. Ci viene in mente la critica dei nostri storici post-risorgimentali, da Pasquale Villari a Guido Dorso, da Giustino Fortunato a Gaetano Salvemini che, affrontando la questione meridionale, misero in evidenza la situazione delle masse contadine meridionali estranee allo Stato italiano creato dal Risorgimento. Alla politica di investimenti dei governi postunitari, ad esempio, tesa a dotare il Mezzogiorno di strade, ferrovie e porti (assieme al problema giustizia, furono le più frequenti richieste di amministratori e imprenditori siciliani), fu rimproverato, oltre che il mancato sostegno alle realtà industriali già presenti nel regno borbonico e a un programma di lavori pubblici insufficiente e motivo di malaffari, la mancanza di un progetto di miglioramento dei livelli di istruzione delle popolazioni del Sud, in modo che divenissero arbitri coscienti di una loro crescita civile e reddituale. La politica crispina, tra l’altro, anche con la repressione dei Fasci contadini che reclamavano la terra ma anche una crescita culturale e democratica della vita civile, tolse ai siciliani ogni possi- 8 PREFAZIONE bilità di crescita endogena alla quale nessun vantaggio furono in grado di dare gli insufficienti investimenti nell’ambito delle infrastrutture. Nel 1878, il prefetto di Trapani in un suo rapporto riferisce: «Nessuno spinge i contadini ad istruirsi. Le stesse amministrazioni comunali si astengono dall’invitarli a frequentare le scuole per tema di doverne aprire delle nuove». Nel 1877/78, i Comuni siciliani in grado di garantire l’obbligo scolastico furono 110 su 359. Come scrive Giuseppe Barone (Le regioni dall’Unità ad oggi, Einaudi, Torino 1987, p. 260) l’assemblea dei proprietari riuniti a Palermo nel 1894 «denunciò nella diffusione della scuola pubblica l’origine del malessere sociale»; qualche anno più tardi (1896-97), il tentativo di ridurre drasticamente le spese per la scuola elementare al fine di arrestare le falle dei bilanci comunali fu duramente stigmatizzato alla Camera da Giustino Fortunato. Anche se la situazione negli anni più vicini alla nostra epoca sarà profondamente modificata, non v’è chi non veda in questi peccati originali il permanere di una questione meridionale che, fino ai nostri giorni, si caratterizza in modo eclatante anche per questo gap culturale della nostra isola rispetto alle regioni del Nord italiano. Illuminanti, sulle motivazioni che hanno guidato Barbara Gatto, le righe che concludono l’introduzione alla sua ricerca: «L’elemento che si vuole qui evidenziare è dunque il ruolo che i livelli d’istruzione possono avere per favorire lo sviluppo economico e di conseguenza come, incentivando l’educazione, si possa ridurre il divario tra i paesi più ricchi e quelli più poveri, verificando in particolare il ruolo che potrebbe avere il capitale umano per superare il ritardo in termini di sviluppo del Mezzogiorno d’Italia». Notevole, quindi, appare la concordanza fra queste considerazioni e l’analisi sul campo che dei temi affrontati nella ricerca ha voluto fare Giovanna Di Benedetto (vedi la seconda parte del volume). Analisi che si è svolta somministrando un questionario, che ha ripreso i temi della ricerca, ai volontari di dieci associazioni che in Sicilia lavorano con i giovani. Degne di citazione, non togliendo nulla al resto delle risposte date da tutti, calzanti e spietate nel tratteggiare un quadro deprimente della gioventù appartenente a quartieri marginali di grandi città siciliane e a Comuni dell’interno, alcune di seguito riportate e che si riferiscono all’item: Quanto incide il livello di istruzione sul disagio sociale? Che PREFAZIONE 9 titolo di studio hanno le persone seguite dall’associazione? Quanti sono gli universitari e i laureati? - Trapani (Gruppo Volontariato Vincenziano): «Parte dei giovani di cui si occupa l’associazione non sa scrivere, altri hanno il minimo livello di istruzione, cioè si fermano alle elementari. C’è molta dispersione scolastica tra i bambini delle famiglie delle case popolari della periferia di Trapani». - Caltanissetta (Nuovi orizzonti, ente morale): «I nostri utenti sono persone con disturbi, che necessitano di insegnanti di sostegno e, al massimo, hanno un diploma di scuola media... Le ragazze madri delle comunità alloggio non hanno titolo di studio». - Palermo (Arte insieme, associazione di volontariato con sede nella città storica): «Il livello di istruzione incide moltissimo sul disagio sociale. I giovani delle realtà difficili non considerano i vantaggi che potrebbero ricavare dalla formazione, non conoscono i propri diritti, ma hanno una concezione di obbligo che dà fastidio ottemperare. Hanno un atteggiamento di sfida nei confronti di ciò che li circonda». - Palermo (Madre Serafina Farolfi, associazione di volontariato che opera al quartiere Capo, nella città storica): «Ci occupiamo dei minori a rischio del Capo... Molti ragazzi delle medie non sanno leggere. La scuola da sola non riesce a colmare queste lacune». - Monreale (Il quartiere, associazione di volontariato): «L’istruzione incide profondamente sullo stato sociale. Chi sa parlare si difende con le parole e con l’ingegno. Chi non lo sa fare, spesso ha reazioni violente… La cultura è basilare». - Palermo (Arciragazzi): «La scuola, nella migliore delle ipotesi, riesce a trasferire contenuti di tipo teorico e la difficoltà che i giovani si trovano ad affrontare è trasformarli in cose da fare». - Palermo (Laboratorio Zen insieme, associazione di volontariato): «Lavoriamo allo Zen 2, quartiere della periferia degradata di Palermo, dove l’evasione scolastica è del 30%. Chi si ferma alla terza media non è padrone neanche della lingua italiana». - Gela (Cittadella culturale dei giovani, associazione di volontariato): «L’istruzione incide moltissimo sul disagio sociale. In una scala di 1 a 10, direi 10». 10 PREFAZIONE Dalle rimanenti risposte emerge un quadro che riguarda soprattutto la inadeguatezza della scuola siciliana, la mancanza di professionalità in numerosi docenti, la distanza esistente fra scuola e società, una scuola che è quasi un fastidio e una inutile perdita di tempo. Naturalmente, non tutta la realtà giovanile e non tutto il corpo insegnante impegnato in Sicilia è quello illustrato dal questionario raccolto da Giovanna Di Benedetto. Tuttavia, risulta doloroso constatare come esistano ancora nella nostra regione marginalità sociali dalle quali le vie per un cambiamento, economico, stanno spesso nell’aggregarsi a bande di spacciatori o nel fornire una manovalanza incosciente ai grandi fenomeni criminali ancora presenti nella nostra isola. Da quanto illustrato dalle nostre due autrici, invece, la speranza che operatori sociali ed economici, in uno con la pubblica amministrazione, leggano e comprendano meglio quanto c’è da fare se vorranno che la nostra gente migliori i propri livelli di vita. Vincenzo Borruso Introduzione A partire dagli anni ’50, osservando la crescita di alcuni Paesi (rappresentata dalle variazioni del prodotto pro-capite, ovvero del PIL – che misura la produzione di nuova ricchezza – diviso la popolazione), si nota per alcuni di essi un miglioramento notevole del tenore di vita. Dagli anni ’70 si riscontra inoltre una tendenza alla convergenza dei valori dei livelli di reddito pro-capite dei Paesi più ricchi. Osservando però il fenomeno della crescita economica in maniera più approfondita si nota che i Paesi che negli anni ’50 erano più poveri, non sono cresciuti altrettanto rapidamente; conseguentemente per essi non si è verificata alcuna convergenza, e il divario con i Paesi più sviluppati è ancora esistente. Al fine di comprendere i fattori che determinano la crescita economica sono state elaborate diverse teorie che cercano di interpretare le caratteristiche dell’incremento del reddito di lungo periodo all’interno di ogni sistema economico nazionale e dell’economia mondiale, quali siano i fattori in grado di garantire che tale incremento sia persistente e duraturo, analizzando quali possono essere le cause delle differenze intercorrenti nei tassi di crescita tra Paese e Paese. I modelli più recenti evidenziano come, in tale processo, abbia un ruolo fondamentale il cosiddetto capitale umano,1 elemento a cui le teorie precedenti non avevano dato valore. Livelli di istruzione più elevati, dai quali consegue uno sviluppo delle competenze e capacità professionali dei lavoratori, vengono adesso considerate variabili fondamentali per la crescita economica di un Paese. 1 L’OCSE definisce il capitale umano come l’insieme delle «conoscenze, le abilità, le competenze e gli altri attributi propri degli individui, che contribuiscono al benessere personale, sociale ed economico». 12 INTRODUZIONE Tali variabili inoltre assumono un ruolo tanto più importante quanto più rilevante è il peso delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie, poiché queste richiedono un uso intensivo di particolari capacità. Se si dimostra dunque la rilevanza del capitale umano per la crescita economica, le scelte di politica economica in materia di sviluppo della conoscenza e di sostegno all’educazione diventano fondamentali poiché queste possono essere determinanti nell’influenzare i livelli di capitale umano e dunque la crescita e lo sviluppo di un Paese. L’elemento che si vuole qui evidenziare è dunque il ruolo che i livelli d’istruzione possono avere per favorire lo sviluppo economico e di conseguenza come, incentivando l’educazione, si possa ridurre il divario tra i Paesi più ricchi e quelli più poveri, verificando in particolare il ruolo che potrebbe avere il capitale umano per superare il ritardo in termini di sviluppo del Mezzogiorno d’Italia. CAPITOLO 1 Le teorie della crescita economica Nell’ambito dei recenti dibattiti sulla crescita, i modelli teorici che hanno riscontrato maggior interesse possono essere classificati in due principali categorie: § Modelli neoclassici o di crescita esogena. § Modelli di crescita endogena. 1. I modelli neoclassici Negli anni ’50 ebbero origine le prime teorie che ancora oggi, nonostante i loro limiti, rappresentano un punto di partenza per affrontare la questione della crescita economica. Nel periodo in cui tali teorie si svilupparono, l’incremento del prodotto degli Stati Uniti aveva mostrato una certa stabilità; i modelli neoclassici di crescita esogena si incentrarono dunque sull’analisi dei meccanismi e fattori che potessero condurre il sistema economico a mantenersi in uno stato di crescita stazionaria di equilibrio di lungo periodo. 1.1. Il modello di Solow Nell’analisi di Solow un’economia tende a collocarsi all’interno di un sentiero di crescita equilibrata e stabile; utilizzando un modello di tipo meccanico, egli evidenzia infatti come non sia possibile avere un tasso di crescita del prodotto pro-capite positivo nel lungo periodo senza che vi sia un aumento delle conoscenze tecnologiche. 14 CAPITOLO 1 In altri termini il modello conduce ad un tasso di crescita del prodotto che tende ad essere costante nel tempo, così come quello dei fattori produttivi (capitale e lavoro) che determinano la produzione complessiva dell’economia. Quando l’economia percorre questo sentiero il suo tasso di crescita non dipende da quello dei fattori che possono essere accumulati, ma piuttosto dall’evoluzione di elementi non controllabili dal sistema economico, come la dinamica della popolazione o delle scoperte scientifiche e tecnologiche. Analiticamente (Aghion - Howitt, 1997) il modello è descritto da una funzione di produzione inizialmente data da: Y = F(K) che esprime la relazione tra l’output Y e lo stock di capitale K, dato un certo stato della tecnologia. La caratteristica principale di tale funzione è che l’accumulazione di capitale ha rendimenti decrescenti (determina, cioè, incrementi di prodotto via via minori). Ma, poiché in questa prima formulazione il lavoro e la tecnologia non fanno parte del modello, la crescita del reddito nazionale può essere guidata solo dall’accumulazione del capitale. Analizzando gli elementi che determinano la crescita di tale fattore, che dipende da investimenti e ammortamento dello stock di capitale stesso, si ipotizza che tutti gli individui risparmino una frazione costante del reddito, ovvero: i = sY dove i rappresenta l’investimento ed s corrisponde alla frazione di reddito che il consumatore decide di risparmiare. Tale funzione esprime, dunque, il tasso di accumulazione del capitale. Si ipotizza inoltre che ogni anno si perda una frazione costante ä dello stock di capitale a causa del deprezzamento (o ammortamento). Pertanto il tasso di crescita dello stock di capitale è dato dalla funzione: K = sF(K) – äK LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 15 La figura 1 mostra l’effetto di quest’ultima funzione (Basu Kaushik, 1997). Figura 1 Il tasso di incremento dello stock di capitale, rappresentato dalla distanza tra la curva del risparmio (sf(k)/k) e quella del deprezzamento * del capitale (ä + n), è positivo fino a un certo punto K , punto in cui le due curve si incontrano, e negativo oltre questo punto. La spiegazione di ciò sta nel fatto che, nella situazione in cui l’output è basso, l’accumulazione del capitale determina un aumento del tasso di crescita della produzione, ma questo effetto positivo si va riducendo man mano che l’output cresce, fino a quando l’economia converge nel cosiddetto stato stazionario (K* ). Pertanto la crescita economica è solo un fenomeno temporaneo. In sostanza, l’accumulazione di capitale è un fattore determinante solo nella fase transitoria di aggiustamento dell’economia verso il sentiero di crescita bilanciata. Ma, una volta che tale sentiero è stato raggiunto, la crescita del capitale deve adeguarsi a quella degli altri fattori esogenamente determinati. Il passo successivo del modello è quello di introdurre il secondo fattore di produzione, il lavoro. La funzione diventa allora: Y = F(K, L) 16 CAPITOLO 1 con rendimenti di scala costanti, ovvero un aumento dei fattori produttivi dà luogo ad un aumento proporzionale del prodotto (ipotesi che deriva dall’assunzione di un livello della tecnologia dato). Il modello presuppone che qualsiasi agente offra una unità di lavoro per unità di tempo, di conseguenza la dinamica del fattore lavoro può essere rappresentata da quella della popolazione. L’accumulazione del lavoro avviene, dunque, con l’aumentare della popolazione che si ipotizza crescere ad un tasso annuo costante pari ad n. Introducendo il fattore lavoro, diventa importante studiare la funzione di produzione pro-capite y che misura quanto aumenta l’output, ovvero la ricchezza, per ciascun individuo. Per ottenere valori pro-capite ciascuna variabile deve essere rapportata alla quantità di lavoro L: Y = Fì K — L Þ ì y=— —, y = f(k) L L L î î dove l’output per persona dipenderà dallo stock di capitale per persona. Anche in questa formulazione i rendimenti decrescenti imporranno un limite alla crescita. In stato stazionario l’output e lo stock di capitale aumentano al tasso di crescita della popolazione, e il prodotto pro-capite rimane costante e la crescita cesserà nel lungo periodo. Solamente introducendo il progresso tecnologico si può spiegare un incremento della produzione nel lungo periodo, nonostante i rendimenti decrescenti dei fattori. Prendendo in considerazione tale fattore la funzione di produzione diventa: 1a a Y = (AL) K in cui il parametro produttivo A (che riflette lo stato della conoscenza tecnologica) cresce al tasso g, valore esogeno che esprime il progresso scientifico. La «popolazione effettiva» AL cresce pertanto al tasso n+g. Anche in questo caso l’offerta di capitale per «persona effettiva», K — , convergerà in uno stato stazionario in cui l’output e il capitale creAL scono allo stesso tasso l n+g. LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 17 La differenza rispetto alle formulazioni precedenti sta nel fatto che anche l’output e il capitale pro-capite cresceranno in proporzione al tasso esogeno del progresso tecnologico, g. Nel modello di Solow pertanto l’unica spiegazione alla crescita di lungo periodo, osservabile empiricamente, è legata al cambiamento tecnologico che, costantemente, controbilancia l’effetto negativo dei rendimenti decrescenti del capitale e del lavoro; è possibile dunque che vi sia una crescita economica di lungo periodo, ma solo grazie ad una variabile, il progresso tecnologico, che viene considerata elemento esogeno e quindi, non influenzabile dal sistema economico. 1.2. Il modello di Cass-Koopmans-Ramsey Un’analisi simile a quella di Solow viene sviluppata da Cass, Koopmans e Ramsey, i quali sviluppano un modello di massimizzazione. Il punto di partenza del modello è lo studio della funzione di utilità del consumatore, considerando un tasso di risparmio costante (ipotesi plausibile in uno studio di lungo periodo). La funzione di utilità (Aghion - Howitt, 1997) è pari a: ¥ r t W=ò eu(c(t))dt L’utilità totale degli individui, W, è funzione del consumo pro-capite c(t), in ciascun istante t, della funzione di utilità istantanea u, con utilità marginale positiva ma decrescente, e del tasso r , positivo, che esprime le preferenze temporali degli individui. La soluzione del modello porta nuovamente ad un sentiero di crescita ottimale che si ottiene massimizzando W, sottoposto al vincolo che il prodotto nazionale netto sia uguale al consumo più l’investimento: K = F(K) – äK – c e soggetto ad un valore del capitale predeterminato. Nel modello il consumo è ricavato dalla massimizzazione della suddetta funzione di utilità che rende la propensione al risparmio s costante nel lungo periodo quando consumo e reddito crescono allo stesso tasso (crescita bilanciata). 18 CAPITOLO 1 Anche nel modello di Cass-Koopmans-Ramsey la crescita non può essere sostenuta all’infinito, poiché il capitale sarà crescente fin quando il suo prodotto marginale è maggiore o uguale al tasso r , e decrescente non appena il suo prodotto marginale diventa minore di r . L’economia convergerà, pertanto, verso uno stato stazionario in cui lo stock di capitale si mantiene costante e la crescita cessa nel lungo periodo. Anche in questo modello occorre introdurre il progresso tecnologico come motore della crescita economica di lungo periodo. Introducendo tale fattore la funzione di produzione diventa: Y = F(K, AL) dove F ha rendimenti di scala costanti e A è un parametro di produttività esogeno che cresce al tasso costante g (lo stato della tecnologia cresce in funzione del progresso scientifico). Assumendo per semplicità che L = 1, la funzione diventa: Y = F(K; A) in cui la quantità costante di input di lavoro viene sostituita da una quantità crescente di conoscenze, rappresentate dal parametro A. Introducendo, dunque, nel modello il fattore tecnologico lo stock di capitale può crescere indefinitamente, poiché l’effetto dei rendimenti decrescenti viene compensato dalla continua crescita della produttività, data dal progresso tecnologico. Anche in questo caso, lungo il sentiero di crescita ottimale, il capitale, i consumi e il prodotto nazionale netto crescono al tasso esogeno g. Ci troviamo pertanto nuovamente in presenza di una teoria esogena, in cui il progresso tecnologico, unico fattore determinante per la crescita, è esterno al sistema economico e quindi non influenzabile da esso. 1.3. Le predizioni dei due modelli Le ipotesi teoriche dei modelli precedenti hanno implicazioni di notevole rilevanza. La prima conseguenza che ne deriva è che, se la dinamica dei fattori esogeni è simile in economie diverse fra loro, tali economie dovrebbero tendere verso un unico e comune tasso di crescita. LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 19 Di conseguenza dovrebbe accadere che i Paesi poveri tendano a crescere più rapidamente dei Paesi ricchi. Tale affermazione appare legata all’ipotesi di rendimenti decrescenti del capitale, poiché i Paesi con un più basso livello iniziale di capitale procapite hanno un tasso di crescita del prodotto pro-capite maggiore. Ci si può aspettare quindi che i Paesi che presentano un basso rapporto capitale/prodotto abbiano un elevato tasso di rendimento del capitale che indurrà una maggiore accumulazione del capitale e conseguentemente un più elevato tasso di crescita dell’output. Si parla dunque di «convergenza non condizionata» (o «assoluta»), secondo la quale in due economie con uguali tecnologie, stessi parametri di risparmio, crescita della popolazione e tasso al quale si deteriora il capitale, nel lungo periodo i livelli di capitale pro-capite tendono a coincidere, poiché il Paese che inizialmente ha un prodotto pro-capite inferiore crescerà più velocemente fino a raggiungere il Paese col prodotto procapite maggiore. Nella realtà, però, queste predizioni non si verificano e l’evidenza empirica mostra che i tassi di crescita sono molto diversi tra Paese e Paese anche nel lungo periodo. La più ovvia debolezza del fenomeno di convergenza non condizionata è l’ipotesi sottostante che tutti i Paesi condividano gli stessi parametri di base del modello di crescita. Se si abbandona tale ipotesi, e si ammette che i Paesi abbiano parametri diversi (e che da tali parametri dipenda la definizione dei livelli di output), si avrà comunque una sorta di convergenza, ma lo stato stazionario sarà diverso nei vari Paesi. In particolare, se per il momento accettiamo che tutte le nazioni sperimentino lo stesso tasso di variazione della tecnologia (dovuta ad una perfetta trasmissione della conoscenza), accade che le economie convergeranno verso lo stesso tasso di crescita del reddito pro-capite ma su sentieri che rappresentano stati stazionari differenti. Tali differenze sono dovute a differenti saggi di risparmio (s) o a differenti dinamiche demografiche (n). 20 CAPITOLO 1 I tassi di crescita possono allora variare da Paese a Paese non solo a causa dei diversi livelli iniziali di output, ma anche in funzione delle differenze nei parametri che determinano i loro stati stazionari; si parla in questo caso di «convergenza condizionata». In sostanza, se tutte le economie fossero intrinsecamente le stesse tranne che per le loro dotazioni iniziali di capitale, allora la convergenza opererebbe in senso assoluto e i Paesi più poveri avrebbero una crescita pro-capite più veloce dei Paesi più ricchi. Se invece le economie differiscono in più aspetti (tra cui la propensione al risparmio, l’accesso alla tecnologia o le politiche governative), la convergenza opera solo in maniera condizionata, e il tasso di crescita tende ad essere alto se il prodotto pro-capite è basso in relazione alla sua posizione di stato stazionario di lungo periodo (il che significa che un Paese povero ma con un basso livello di output di stato stazionario nel lungo periodo non crescerà affatto rapidamente). Nonostante questa spiegazione, i modelli neoclassici non trovano un riscontro empirico, poiché non riescono a spiegare pienamente la variabilità dei tassi di crescita tra i diversi Paesi. Inoltre tali teorie, poiché ipotizzano che la crescita nel lungo periodo si stabilizzi al livello di stato stazionario, non sono coerenti con il riscontro empirico che mostra che il livello del tenore di vita di ciascuna generazione è superiore di quello della generazione precedente. Un altro elemento di criticità delle teorie neoclassiche sta nell’ipotesi che un fenomeno così importante come la crescita economica dipenda esclusivamente da fattori «extra-economici», risultato che appare piuttosto riduttivo in termini di implicazioni di politica economica. LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 21 2. Ruolo dell’innovazione e modelli di crescita endogena I modelli di seguito trattati tentano di superare il principale limite di quelli neoclassici precedentemente esaminati, teorizzando la possibilità di uno sviluppo economico che si «autoalimenta» ed è determinato endogenamente dal sistema. In essi la crescita non è determinata da fattori esterni, bensì da fattori che sono interni e influenzabili dal sistema stesso. Tali modelli vengono perciò definiti «di crescita endogena». La caratteristica più rilevante che differenzia le teorie di crescita endogena rispetto a quelle neoclassiche è che, al contrario del capitale fisico la cui capacità trainante tende a ridursi fino a scomparire via via che l’accumulazione procede, il capitale umano può dar luogo ad una crescita continua nel tempo e dipendente da fattori interni alla logica del funzionamento del sistema economico, poiché determina rendimenti non decrescenti del capitale. La funzione di produzione in questi modelli, data da y = f(k), può essere rappresentata come in figura 2 (Basu Kaushik, 1997). Figura 2 22 CAPITOLO 1 Dall’andamento di questa funzione deriva che il tasso di crescita di y segue l’andamento rappresentato in figura 3. Figura 3 L’andamento della funzione sf(k)/k mostra che ciascuna economia ha un tasso di crescita inizialmente molto alto, ma che decresce fino ad un punto di stato stazionario, in cui diventa costante. Ma intervenendo sulle variabili del sistema s, M, n e ä, varierà anche lo stato stazionario. Pertanto in questi modelli è possibile influenzare il tasso di crescita dell’economia agendo su variabili interne al sistema. Con lo sviluppo delle teorie di crescita endogena il capitale umano conquista il centro della scena insieme allo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. 2.1. Il modello di Romer Il primo modello di Romer (Romer, 1986) fa parte del cosiddetto approccio AK, che supera l’assunto secondo cui la tecnologia e l’impiego di lavoro sono fattori dati (ipotesi che impedisce nei modelli neoclassici la crescita di lungo periodo); tali variabili invece crescono automaticamente in proporzione al capitale. Romer afferma infatti che è possibile considerare il capitale K come combinazione di capitale fisico e del risultato degli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S), ovvero in conoscenza tecnico-scientifica. La varia- LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 23 bile K diviene quindi un aggregato di differenti forme di capitale, compresa la tecnologia, alcune delle quali generano esternalità positive. La funzione di produzione è pertanto del tipo Y = AK, dove A (il livello della conoscenza) è un fattore costante ed endogeno all’economia; in tale funzione viene superato l’effetto dei rendimenti decrescenti, permettendo all’output di crescere in proporzione del capitale. In questo modello la conoscenza può essere conservata e accumulata attraverso l’attività di ricerca e sviluppo, determinando in tal modo un sacrificio attuale di risorse che darà i suoi benefici in futuro. Ciascuna impresa ha una funzione di produzione pari a: Y = ÂKjá Lj1-á dove Kj e Lj sono le dotazioni di capitale e di lavoro per ciascuna impresa. Se si ipotizza che le imprese facciano riferimento ad una stessa tecnologia e agli stessi prezzi dei fattori la funzione di produzione aggregata sarà data da: á 1-á Y = ÂK L Romer presume quindi che il fattore di scala comune a tutte le imprese, Â, sia funzione del tasso capitale/lavoro, poiché lo stock della conoscenza dipende dall’ammontare del capitale pro-capite nell’economia:  = A(K/L)â Sebbene  sia un elemento endogeno al sistema, è considerato come dato per ciascuna impresa, giacchè internalizza soltanto un ammontare irrilevante dell’effetto che le proprie decisioni di investimento hanno sullo stock aggregato del capitale. Mentre a livello di ogni singola impresa i rendimenti sono considerati costanti, a livello aggregato si hanno rendimenti crescenti del capitale. Poiché né le imprese né gli agenti internalizzano gli effetti del capitale individuale sul livello della conoscenza Â, il tasso di crescita di equilibrio è al di sotto del livello socialmente ottimale. Questa ipotesi deriva dalla presenza nel modello della cosiddetta «esternalità positiva»: in generale un’esternalità positiva si verifica quando le scelte di un agente economico provocano dei benefici per un altro agente, senza che il primo riceva alcuna ricompensa. 24 CAPITOLO 1 Nel modello l’esternalità deriva dal fatto che non tutti i benefici derivanti dall’accumulazione di capitale (in particolare quella data dagli investimenti in R&S) sono percepibili istantaneamente dai soggetti economici. Romer considera, nella sua analisi, la massimizzazione dell’utilità intertemporale da parte di un agente rappresentativo che non internalizza le esternalità associate alla crescita della conoscenza, assumendo inoltre che l’offerta di lavoro per le imprese sia unitaria e il tasso di deprezzamento nullo. Il livello della crescita dipende dalla misura dell’esternalità, infatti: § se á + â = 1 l’economia sosterrà un tasso di crescita g strettamente positivo ma finito, in cui i rendimenti individuali decrescenti del capitale sono appena compensati dai miglioramenti esterni della tecnologia  che essi provocano. § Se invece á + â > 1 l’esternalità è abbastanza forte da contrastare la presenza di rendimenti decrescenti del capitale a livello industriale, si parlerà di rendimenti sociali crescenti del capitale e l’economia crescerà indefinitamente. I modelli fin qui presi in considerazione – il modello neoclassico di Solow, quello di Cass-Koopmans-Ramsey e il modello AK nell’accezione di Romer – differiscono riguardo alle ipotesi sui rendimenti del capitale necessari alla crescita economica, decrescenti nei primi e costanti (o crescenti a livello aggregato) nel terzo, e ciò comporta differenti conclusioni riguardo alla possibilità di convergenza nei redditi pro-capite. L’approccio AK, infatti, nel caso in cui á + â = 1 (e, quindi, Y = AK), non conduce alla convergenza condizionata; al contrario vi saranno permanenti differenze nei tassi di crescita delle economie e la distribuzione di reddito tra i Paesi condurrà ad una divergenza. Si riscontrano inoltre delle differenze riguardo alle determinanti del tasso di crescita di lungo periodo: nel modello neoclassico questo è determinato da fattori esterni come la crescita della popolazione, o il progresso tecnologico esogeno, ed è indipendente dalle caratteristiche strutturali dell’economia – come la dimensione o il tasso di preferenza intertempo- LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 25 rale – le quali determinano esclusivamente il livello dello stato stazionario; al contrario nel modello AK vi è una forte influenza delle caratteristiche proprie dell’economia sulla crescita di lungo periodo (in particolare gli investimenti in R&S). In un secondo modello presentato da Romer (Romer, 1987) lo sviluppo nella conoscenza, identificata dal parametro A, dipende non dall’apprendimento legato alle esternalità delle imprese, ma dal continuo aumento nella varietà degli input utilizzati. Il motore della crescita in questo secondo approccio consiste nella produzione di nuove conoscenze tecnologiche. Le conoscenze, nel modello, sono un bene non rivale, nel senso che ciascuna di esse può essere sfruttata da più individui contemporaneamente; in altri termini il costo di produzione di ogni idea deve essere sostenuto una sola volta (cosa che non accade invece con gli altri beni). Questa ipotesi ha notevoli implicazioni, poiché l’incidenza del costo di produzione di nuove idee diminuisce all’aumentare della produzione dei beni che ne fanno uso. Inoltre l’accumulazione delle conoscenze ha l’effetto di rendere più facile e meno costoso lo sviluppo di nuove, per il semplice motivo che le vecchie idee sono il principale input nella produzione delle nuove e possono essere utilizzate senza costi aggiuntivi. Tutto ciò comporta che la produzione di nuove tecnologie può avvenire senza limiti, per cui l’accumulazione di conoscenze non implica la riduzione della loro capacità di creare valore; vale a dire che non vale l’ipotesi di rendimenti decrescenti. Romer formalizza così l’idea secondo cui la crescita è sostenuta dall’aumentare delle specializzazioni nel lavoro, e dunque dall’innovazione. In questo contesto le imprese non saranno disposte a pagare i costi fissi associati allo sviluppo dei prodotti se la produzione avviene in un ambiente competitivo, poiché in questo caso i profitti sarebbero nulli. Per questa ragione Romer riprende il modello di competizione monopolistica proposto da Dixit e Stiglitz; la concorrenza monopolistica è una forma di 26 CAPITOLO 1 mercato che presenta tutti i caratteri della concorrenza perfetta (numerosità degli operatori, trasparenza del mercato, libertà di entrata), tranne il requisito della omogeneità del prodotto. In tale scenario, le imprese vendono beni simili (atti a soddisfare il medesimo bisogno) ma che possono essere differenziati nella qualità. In questo modello le imprese sono, quindi, disposte ad assumersi la spesa dei costi fissi per la produzione di un nuovo bene in quanto ricevono una rendita da monopolio permanente (monopoly rents) nella produzione del prodotto da esse creato. Vi è dunque un continuum di beni intermedi, misurato dall’intervallo [0,A], dove ciascun bene è prodotto da un monopolista locale. La funzione di produzione è data da: 1- á 1 á Y = L ∫0 xj dj dove xj è l’input dell’ i-esimo bene intermedio. - In equilibrio xj = xper ogni i. Il valore di x è determinato ponendo che, per ciascun monopolista, il costo marginale del bene sia uguale al ricavo marginale. Il valore di equilibrio di A è determinato dalla condizione di profitti nulli in caso di libero ingresso nel mercato dei beni intermedi. La funzione di produzione aggregata diventa: á á Y = bL1A1Ká , con b > 0 Tale funzione ha rendimenti crescenti di capitale e lavoro una volta che A ha raggiunto il suo valore di equilibrio. L’equazione del modello rimane, dunque, formalmente identica al primo modello di Romer ma non va sottovalutata la novità dell’introduzione dei rendimenti da monopolio nel settore dei beni intermedi. Questa ipotesi infatti non solo permette di trattare il problema dei rendimenti crescenti in un modello di crescita, ma implica soprattutto che le imprese possano essere impegnate in una attività di ricerca intenzionale in quanto puntata alla creazione di nuova conoscenza e di venir ricompensate, con i rendimenti monopolistici, per le innovazioni di successo. LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 27 L’economia accresce, quindi, la sua produttività in seguito all’introduzione di nuovi beni, che sostituiscono i vecchi input intermedi e che sono frutto dell’investimento di una quota costante dell’output in R&S. La produzione finale avviene attraverso l’utilizzo dei fattori lavoro e beni intermedi, ma il lavoro non è utilizzato solo nella parte manifatturiera (L1) in quanto è presente anche il lato ricerca (L2). Si avrà quindi: L = L1 + L2 La ricerca genera inoltre un certo numero di licenze per nuovi input intermedi, con una rapidità che dipende sia dall’ammontare aggregato della ricerca che dal numero attuale di licenze, secondo la formula: · A ¾ =d L2 A Esistono quindi degli spillovers all’interno dell’attività di ricerca: tutti i ricercatori hanno accesso alla conoscenza A incorporata nelle licenze esistenti e tale conoscenza tecnologica è un bene non rivale, anche se può divenire esclusiva nel momento in cui un’impresa nel settore dei beni intermedi paga per l’esclusiva nell’utilizzo della nuova creazione. Le fonti di incremento nei rendimenti considerate dal modello sono quindi due: differenziazione dei prodotti e spillovers nella ricerca. Dunque l’elemento fondamentale nel guidare la crescita economica è l’innovazione. 2.2. Il modello di Lucas Lucas nel suo lavoro On the mechanics of economic development – 1988 (Lucas, 1988), ha formalizzato un processo di crescita endogeno strettamente collegato all’accumulazione di conoscenza, nella forma di capitale umano, che consente di determinare l’evoluzione dei sistemi economici senza l’intervento di fattori esogeni. Il modello considera due fattori di produzione: il capitale fisico e il capitale umano. 28 CAPITOLO 1 Gli agenti sono considerati omogenei e aventi lo stesso livello di qualificazione e di competenze. Essi, inoltre, dedicano una frazione del tempo di lavoro alla produzione di beni di consumo e dedicano il resto all’attività di formazione e studio. Il modello risolve il problema di scelta ottima di ciascun individuo, che in ogni istante deve stabilire come allocare il suo tempo tra la produzione dei beni di consumo e l’attività di formazione (schooling), tenendo conto che la seconda accresce la produttività nei periodi futuri. Si formalizza, dunque, un’economia in cui sono presenti due settori: nel primo si produce il capitale fisico e nel secondo il capitale umano. Per produrre il capitale fisico si utilizza sia lo stesso capitale fisico che il capitale umano, mentre per produrre il capitale umano non si utilizza capitale fisico ma solo altro capitale umano. Il primo settore permette all’agente rappresentativo di produrre beni di consumo per mezzo di una tecnologia Cobb-Douglas2 a rendimenti di scala costanti. È soprattutto nella forma funzionale della tecnologia utilizzata dal secondo settore, quello in cui si determina l’accumulazione di capitale umano, che si estrinseca la peculiarità del modello. In questo settore, infatti, è specificata una tecnologia lineare dove non compare il capitale fisico. Un aspetto particolarmente rilevante del modello attiene ancora una volta alla presenza di esternalità. Il significato generale è analogo a quello proposto da Romer, ma nel modello di Lucas il capitale umano produce esternalità positiva giacchè l’investimento di ogni singolo individuo in capitale umano aumenta la produttività degli altri individui, introducendo così un cuneo tra il rendimento del capitale (come viene percepito dall’agente rappresentativo) e il 2 La funzione di produzione Cobb-Douglas è impiegata per descrivere tipi di produzioni che non richiedono l’impiego dei fattori produttivi in proporzioni fisse. Supponendo che l’impresa impieghi come input il lavoro (L) e il capitale (K) la funzione di produzione è rappresentata dall’espressione: Y = AKa Lb . LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 29 rendimento che lo stesso fattore produttivo dispiega a livello sociale o complessivo dell’intero sistema economico. Per avere crescita endogena, in questo modello non è necessario introdurre dei fattori esterni al sistema poiché questa è assicurata dal fatto che il capitale umano ha una produttività marginale costante nella produzione dello stesso capitale umano. Nella generazione del reddito, invece, la funzione di produzione esibisce rendimenti decrescenti rispetto a ciascun fattore singolarmente considerato e rendimenti costanti di scala. La funzione di produzione, infatti, è definita da: á Y = AKá (uhL)1háb che, in termini pro capite, diventa: á y = Aká (uh)1háb dove A è il livello tecnologico dell’economia (supposto costante), K è il capitale fisico (e k il capitale fisico pro-capite), L è la quantità di lavoro (anche essa supposta costante), u (con 0 < u< 1) è il tempo di lavoro dedicato a produrre il reddito (per cui 1 u è il tempo di lavoro dedicato a produrre capitale umano), h è il capitale umano, inteso come livello medio di istruzione dei lavoratori, háb è l’esternalità. Tale esternalità è una misura dell’influenza che il livello medio delle capacità (o capitale umano) ha sulla produttività di tutti i fattori della produzione. La seconda equazione fondamentale del modello è quella relativa all’accumulazione del capitale umano, data da: · h=d h(1 u) con d > 0 che dipende dal tempo dedicato all’istruzione e ha rendimenti costanti. Il consumatore massimizza una funzione di utilità H, tenendo conto · dei due vincoli h (l’accumulazione di capitale fisico deriva dalla diffe· renza tra produzione e consumo) e h, con livelli iniziali di k e h dati. Da qui si ottiene un tasso di crescita in stato stazionario pari a: · g=d (1 u) 30 CAPITOLO 1 · dove u è l’allocazione ottimale per gli individui del loro tempo tra produzione ed educazione. In presenza di esternalità, però (analogamente a quanto avviene nel modello di Romer), il sentiero di crescita di equilibrio non coincide con quello socialmente ottimale, a causa del minor valore che i singoli agenti attribuiscono all’accumulazione di capitale umano. L’effetto esterno dell’accumulazione in capitale umano comunque fa sì che questa, interagendo con l’evoluzione delle conoscenze tecnologiche, diviene il motore di una crescita costante nel tempo e interamente determinata dalle decisioni degli agenti economici, dunque una crescita endogena. 2.3. Equilibrio in presenza di esternalità Abbiamo visto nei precedenti paragrafi che sia in Lucas che in Romer l’elemento caratteristico è la presenza di esternalità positiva che introduce una differenza tra il rendimento del capitale – così come viene percepito dal singolo agente economico – e il rendimento che lo stesso fattore dispiega a livello sociale. Si hanno quindi due implicazioni fondamentali. La prima è che, essendo presente una forma di imperfezione del mercato, non vi è una sola «traiettoria» di equilibrio verso lo stato stazionario. Pertanto due economie con condizioni iniziali identiche, in termini di variabili di stato, avranno lo stesso tasso di crescita di lungo periodo ma la dinamica di transizione, e quindi il livello di stato stazionario delle variabili, dipenderà dal valore iniziale scelto per le variabili di controllo. La seconda implicazione è che, in presenza di un fattore distorsivo come l’esternalità, si può introdurre una soluzione non più affidata al mercato ma «centralizzata», in cui le politiche economiche intervengono per portare l’economia verso la soluzione socialmente ottimale. Inoltre il modello di Lucas predice che, prendendo in considerazione un’economia aperta in cui è ammessa la mobilità del lavoro, gli individui «emigreranno» dai Paesi più poveri ai Paesi più ricchi, in cui la produttività del lavoro (e quindi i salari) sono più alti. LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 31 Questo è dovuto al fatto che, in presenza di esternalità, la produttività per ogni aumento del livello di capacità della forza lavoro aumenta al crescere del livello di benessere del Paese in cui tale lavoro viene impiegato. Pertanto, in una economia aperta e in presenza di esternalità, le differenze nei livelli di reddito tra i Paesi non cessano di esistere; in sostanza, come dimostrano i risultati empirici, non si verifica alcuna convergenza tra le economie. 2.4. Il modello logistico di Nelson-Phelps Con i modelli di crescita endogena il capitale umano assume il ruolo di elemento trainante della crescita economica. Nei modelli precedentemente analizzati però la crescita è determinata dall’accumulazione di capitale; in sostanza l’educazione viene considerata come vero e proprio fattore della produzione, e questo fa sì che la crescita dell’output sia causata dal tasso di crescita del capitale umano. A queste teorie, che vengono definite modelli «esponenziali» di diffusione tecnologica, si contrappone il modello «logistico» di NelsonPhelps (Nelson-Phelps, 1966), che considera invece determinante lo stock di capitale umano che in ciascun istante determina la capacità di ogni Paese di creare innovazione (l’educazione è vista come produttore di nuove idee). Secondo tale approccio le differenze tra i Paesi sono dovute dalla capacità di innovare e quindi dallo stock di conoscenza. Nelson e Phelps infatti, al contrario di Lucas, mettono in evidenza il ruolo che l’educazione ha nell’incrementare la capacità degli individui non solo ad innovare, ma anche ad «adattarsi» a nuove tecnologie, favorendo così la diffusione tecnologica tra i Paesi. La loro analisi è di tipo cross-country, poiché cerca di dare una spiegazione ai fenomeni (e alle possibilità) di trasferire le innovazioni tecnologiche dai Paesi sviluppati a quelli più arretrati. In sostanza non sempre il motore della crescita sta nella capacità di sviluppare nuove tecnologie all’interno di una economia; per molti Paesi (i più poveri e meno dotati sul piano tecnologico) è cruciale invece la 32 CAPITOLO 1 capacità di imitare le tecnologie sviluppate altrove e di adattarle alle proprie specifiche esigenze. Affinché questo avvenga è però necessaria ancora una volta la presenza di capitale umano dotato di adeguate competenze, in grado di portare avanti i processi di imitazione delle tecnologie sviluppate nei Paesi avanzati. La spiegazione della crescita economica ha due componenti: secondo la prima, mentre la crescita della tecnologia di frontiera avviene al tasso al quale vengono fatte le nuove scoperte, la crescita della produzione totale dipende invece dall’attuazione di queste scoperte, e varia positivamente con la distanza tra la tecnologia di frontiera e il livello di produttività corrente; la seconda esprime l’ipotesi secondo la quale il gap tra la tecnologia di frontiera e il livello di produttività corrente di un Paese si riduce in funzione del livello di capitale umano. La prima predizione del modello è che la crescita della produttività e il tasso di innovazione dovrebbero crescere con il livello dell’educazione. Inoltre la produttività marginale dell’educazione è funzione crescente del tasso del progresso tecnologico che, a sua volta, riflette l’innovazione e la velocità con la quale le imprese adottano le nuove tecnologie; non è, come avveniva nel modello di Lucas, l’accumulazione del capitale a determinare la produttività marginale dell’educazione. Le due predizioni hanno forti implicazioni di politica economica. Le politiche macroeconomiche che riguardano il tasso di innovazione e gli investimenti possono influire, secondo il modello, anche sul livello di capacità aggregata e quindi sulla distribuzione dell’occupazione e dei salari. In altre parole il governo può incrementare il livello medio di educazione non solo direttamente, ma anche indirettamente attraverso l’attività di R&S. Inoltre i sussidi del governo a favore dell’educazione incrementano la redditività della ricerca e quindi accelerano il progresso tecnologico. La conseguenza più rilevante è che, attraverso lo sviluppo dell’educazione, i Paesi tecnologicamente (e perciò economicamente) meno sviluppati, possono apprendere dai Paesi più avanzati. LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 33 In sostanza, poiché il processo logistico di diffusione della tecnologia è più forte di quello esponenziale, secondo tale approccio è ammissibile che vi sia una convergenza dei Paesi più poveri verso quelli più ricchi. Solo grazie ad adeguate capacità si possono però imitare le tecnologie di tali Paesi; ancora una volta, dunque, l’elemento fondamentale della crescita economica è rappresentato da un elevato livello di capitale umano. 34 3. CAPITOLO 1 Alcuni risultati empirici La verifica empirica della relazione tra capitale umano e crescita economica ha fornito fino ad ora risultati tra loro contrastanti. Alcuni autori hanno riscontrato che vi è effettivamente una forte influenza del capitale umano sui processi di crescita. Il modello di Barro (Barro, 1997) ad esempio è un’applicazione empirica del modello di Lucas. In esso viene evidenziata l’importanza del ruolo del capitale umano nelle politiche di sviluppo economico, nonostante il modello riprenda l’ipotesi di convergenza condizionata tipica del modello neoclassico. Il modello è rappresentato dall’equazione del tasso di crescita dell’output pro-capite: * Dy = f(y, y ) dove Dy è il tasso di crescita dell’output pro-capite, y è il livello corrente * di output pro-capite e y è il livello di reddito pro-capite di lungo periodo (ovvero di stato stazionario). * Il tasso di crescita è decrescente all’aumentare di y (con y dato), e * crescente all’aumentare di y (con y dato). L’aspetto più importante dell’analisi è che la crescita dei Paesi può essere determinata agendo su variabili interne al sistema economico e modificabili attraverso corrette azioni di politica economica. Il valore di y* (che è l’elemento che differenzia tale modello da quello neoclassico) dipende infatti da una serie di decisioni (sia individuali che di politica economica) e di variabili di contesto. Le scelte del settore privato riguardano principalmente il saggio di risparmio, l’offerta di lavoro, il tasso di crescita della popolazione, ciascuna delle quali dipende da preferenze individuali e dai costi relativi alle variabili di interesse. Le scelte di governo sono relative alle politiche fiscali, alla destinazione dei sussidi governativi, a misure volte a controllare le distorsioni dei mercati e le decisioni economiche, alla salvaguardia delle leggi e dei diritti di proprietà e in generale al contesto politico e al suo carattere più o LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 35 meno liberista. Un altro elemento rilevante è il ruolo del commercio che, per i Paesi piccoli, è una tipica variabile esogenamente data. Quindi, variando tali condizioni (anche una sola), si ottiene un mag* gior livello di prodotto pro-capite di stato stazionario y e il tasso di crescita del prodotto pro-capite Dy aumenta. In sostanza si può ottenere un incremento del tasso di crescita dell’economia agendo su variabili interne al sistema economico. * Considerando poi che, per valori costanti di y e quindi per dati contesti ambientali e date scelte private e governative, un minor livello corrente di prodotto pro-capite y determina un tasso di crescita maggiore (ipotesi che si può paragonare a quella di rendimenti decrescenti del capitale nel modello di Solow), il modello prevede anche un effetto di convergenza condizionata. Tale convergenza è dovuta al minor livello di prodotto corrente, ma è condizionata poiché un Paese povero non cresce affatto se il suo contesto (rappresentato da y*) non gli consente un livello di steady state abbastanza elevato. Il modello mostra la coerenza di tale predizione con dati empirici relativi ad un ampio numero di Paesi negli anni tra il 1960 e il 1990, evidenziando una correlazione tra il tasso di crescita delle nazioni e una serie di variabili di stato, tra le quali vi sono il loro iniziale livello di PIL procapite e il capitale umano, rappresentato dalla scolarizzazione e dal livello di benessere. Analizzando le determinanti di y*, variabile che abbiamo visto essere rilevante nel determinare il tasso di crescita economica di un Paese, il modello mostra due risultati fondamentali: 1. il primo è che il livello di educazione di un Paese è positivamente correlato con y*, e quindi col conseguente tasso di crescita. 2. Il secondo è che la spesa pubblica volta a sostenere l’educazione stessa ha anche essa un giovamento significativo sul tasso di crescita. In sostanza, Barro dimostra empiricamente una correlazione tra il tasso di crescita e il livello iniziale del PIL pro-capite da un lato, e il capitale umano, rappresentato dal livello di scolarizzazione e dallo stato di 36 CAPITOLO 1 benessere di ciascun Paese, dall’altro. Altre analisi empiriche giungono però a conclusioni diverse. M. Bils e P. Klenow (Bils-Klenow, 2000) ad esempio, riscontrano che l’impatto della scolarizzazione, rispetto a quello delle altre variabili del sistema influenza per meno di un terzo i risultati empirici sulla crescita economica. Tale relazione appare piuttosto debole. I due autori ipotizzano che il legame più intenso tra istruzione e crescita riscontrato in altri studi empirici possa essere determinato da altre variabili implicitamente presenti nei modelli. A proposito della relazione ottenuta da Barro ad esempio ipotizzano che il legame potrebbe essere inverso: sarebbe cioè la crescita ad influenzare i livelli di scolarizzazione e non viceversa. L’evidenza empirica dunque non fornisce sempre indicazioni chiare e univoche circa il ruolo del capitale umano nella crescita economica, ma la difformità dei risultati non deve condurre ad affermare l’infondatezza della relazione tra l’output e il capitale umano. Vedremo nel prossimo paragrafo infatti che, trovando una misura adeguata a rappresentare il capitale umano negli studi empirici, una relazione tra istruzione e crescita economica può essere dimostrata. LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 4. 37 La misurazione del Capitale Umano L’incertezza dei risultati empirici può essere giustificata dal fatto che si cerca di analizzare una variabile molto complessa e non semplice da misurare quale il capitale umano. Sappiamo infatti che, abbandonati i modelli neoclassici, il capitale umano non è rappresentato semplicemente dal fattore lavoro (elemento che poteva facilmente essere misurato dai livelli di popolazione di ciascun Paese). Con le teorie di crescita endogena vengono infatti messe in risalto caratteristiche ben più complesse del capitale umano, fattore profondamente astratto che deve racchiudere tutte le risorse immateriali (principalmente rappresentate dalle competenze e capacità) dei singoli individui. Pertanto, prima di effettuare un’analisi empirica, ci si trova di fronte alla scelta di stabilire quale sia l’indicatore più adatto a rappresentare nel modo più completo tutti questi elementi. La variabile che viene di solito presa in considerazione è data dai livelli di istruzione dei Paesi, poiché si ritiene che sia proprio l’educazione a fornire agli individui le competenze che in un secondo momento della loro vita utilizzeranno in campo professionale. Ma tale soluzione non è ancora univoca. Per prima cosa anche l’istruzione ha bisogno di essere quantificata e, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una variabile la cui misurazione non è affatto semplice e univoca. Inoltre è chiaro che, quando ci si trova di fronte a Paesi in condizioni di forte arretratezza, non è facile ottenere dei dati attendibili sul sistema scolastico. Bisogna quindi cercare di stabilire in che modo possa essere misurata effettivamente l’istruzione. 38 CAPITOLO 1 4.1. Quantità e qualità dell’istruzione Nella maggior parte degli studi empirici per rappresentare lo stock di capitale umano sono stati scelti indicatori che esprimono la quantità di istruzione di ciascun Paese. Nel lavoro di Barro ad esempio come livello iniziale di capitale umano vengono presi in considerazione gli anni medi di scuola conseguiti dagli individui di venticinque anni e oltre. Per valutare poi l’impatto di tale variabile sulla crescita economica, Barro evidenzia l’effetto di un aumento di tale livello di scolarità sul tasso di crescita. Una relazione positiva si presenta quando l’aumento della scolarizzazione riguarda la scuola media e superiore (upper levels schooling), e non la scuola elementare. Nel modello di Bils e Klenow lo stock di capitale umano individuale è rappresentato da: s) h(a,t) = h(a + n,t)F e f(s) + g(a," a> s dove a rappresenta l’età degli individui al tempo t, F ³ 0 riproduce l’influenza del livello di capitale umano degli insegnanti, la parte esponenziale della funzione comprende gli anni di scolarizzazione degli individui, s, e la loro esperienza, (a-s). Dalla forma funzionale potrebbe sembrare che l’istruzione sia qui rappresentata anche da elementi qualitativi (ad esempio il livello di capitale umano degli insegnanti). Ma tale variabile è a sua volta rappresentata dagli anni di scuola del corpo docente, ed è dunque anche essa una misura quantitativa. Nell’analisi empirica l’istruzione è rappresentata dal tasso di iscrizione, derivante dagli anni medi di scolarizzazione nei tre livelli elementare, medio e superiore. In entrambi gli studi, quindi, si parla di tasso di scolarità, ovvero di anni di scuola conseguiti dalla popolazione. Tenuto conto che l’istruzione è già di per sé un indicatore che non rappresenta perfettamente la complessità del concetto di capitale umano, è ancora più riduttivo quantificarla mediante i tassi di scolarizzazione di LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 39 ciascun Paese. Il tasso di iscrizione scolastica può infatti rappresentare dinamiche molto differenti dei livelli di istruzione. Ad esempio, dieci anni di scuola di un Paese arretrato non possono certamente essere confrontabili con gli stessi anni di scuola di un Paese economicamente sviluppato. Pertanto è necessario abbandonare il concetto di quantità dell’istruzione, per analizzarne invece la qualità. Solo valutando l’apprendimento effettivo degli individui si può ottenere una misura rappresentativa delle loro capacità. Negli ultimi anni sta crescendo la consapevolezza dell’importanza che può avere una valutazione della qualità dei sistemi scolastici e si stanno sempre di più diffondendo studi volti ad apprezzare i livelli di apprendimento effettivo in quasi tutto il mondo (di tali indagini si tratterà in maniera approfondita nel capitolo successivo). I dati raccolti da queste ricerche sono di fondamentale importanza per effettuare delle analisi comparative sui livelli di apprendimento delle diverse nazioni partecipanti, e per valutare gli effetti delle diverse politiche di sostegno all’educazione. Tali studi hanno fornito una banca dati che permette di valutare l’apprendimento, anche in termini qualitativi, degli studenti a livello internazionale, consentendo ai Paesi partecipanti di confrontare i propri livelli di educazione con la media di tutti gli altri Paesi e nello stesso tempo di confrontare i dati raccolti anno per anno, per verificare eventuali progressi raggiunti a livello locale. Di qualità dell’istruzione si sta iniziando a parlare anche in recenti studi empirici sulla crescita economica. Un lavoro che mostra a pieno tale concetto è quello di E. Hanushek e D. Kimko (Hanushek-Kimko, 2000). Essi effettuano un’applicazione empirica della teoria della crescita endogena, valutando l’impatto del capitale umano sui livelli di reddito pro-capite delle nazioni non più mediante quantificazioni dei livelli di istruzione dei Paesi ma cercando di individuare delle variabili che possano esprimerne la qualità. In particolare viene evidenziata l’importanza delle competenze in due discipline, la Matematica e le Scienze. 40 CAPITOLO 1 Infatti, poiché l’elemento rilevante nei modelli di crescita endogena è la capacità di innovare, l’attività che deve essere potenziata è quella di ricerca e sviluppo, e sono proprio le capacità relative alle discipline sopra citate quelle più adatte a generare nuove idee e invenzioni. Nel modello la qualità della forza lavoro viene misurata direttamente, mediante i risultati di test di apprendimento ottenuti dalle indagini internazionali precedentemente citate. Analizzando contemporaneamente le variabili che rappresentano sia la quantità (school inputs) che la qualità dell’istruzione, si nota che la seconda ha un impatto molto più forte sulla crescita rispetto alla prima. Tale relazione è evidenziata dalla regressione effettuata su dati relativi a 31 Paesi nel periodo 1960-1990 (tabella 1). Tabella 1 - Crescita dei Paesi e qualità del capitale umano * Initial per capita income (Y60) [$ 1.000] Quantity of schooling (S) (1) (2) (3) (4) (5) (6) 0.609 (0.186) 0.548 (0.209) 0.472 (0.096) 0.103 (0.126) 0.460 (0.103) 0.100 (0.146) 0.745 (0.181) 0.519 (0.195) –0.713 (0.224) 0.481 (0.093) 0.106 (0.119) –0.038 (0.215) 0.133 (0.024) 0.517 (0.112) 0.116 (0.139) –0.250 (0.211) Annual population growth (GPOP) Labor-force quality (QL1) 0.134 (0.023) Labor-force quality (Ql2) Constant R2 2.2.65 (0.863) 0.33 0.098 0.104 (0.015) (0.015)–0 . . 7 5 61 –1 . 9 0 0 –0 . 9 8 94 . 0 9 2–1 5 1 (1.004) 1 . 3 4 6 )( ( 0 . 9 1 0 )( 0 . 9 7 4 )( 1 . 1 4 2 ) 0.73 0.68 0.41 0.73 0.69 Nella colonna (1) è riportata la relazione tra l’incremento del reddito pro-capite (Y60) e una misura quantitativa del capitale umano, rappresentata dalla scolarizzazione (S); in colonna (4) viene inserita la crescita annuale della popolazione (GPOP). *Fonte: HANUSHEK–KIMKO, 2000. LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA 41 Queste due variabili spiegano solamente il 33% e il 44% della variazione delle performance economiche dei 31 Paesi considerati. Nelle altre colonne è stimato invece l’effetto di variabili rappresentative della qualità della forza lavoro (QL1 e QL2), che mostrano una forte influenza sui tassi di crescita. I dati evidenziano come, introducendo tali variabili, il coefficiente di regressione R2 aumenta sostanzialmente, arrivando anche al 73%. Pertanto vi è una forte influenza della qualità del capitale umano sulla crescita. Sicchè, valutando il capitale umano nel modo più adeguato attraverso variabili qualitative piuttosto che quantitative, ovvero con delle misure che possano al meglio rappresentare le capacità effettive degli individui, è possibile dare un supporto empirico alle teorie di crescita endogena e ammettere, quindi, il ruolo fondamentale che il capitale umano ha per lo sviluppo delle nazioni. CAPITOLO 2 Istruzione al Sud: dati ISTAT e Test di Apprendimento La teoria della crescita endogena potrebbe consentire di interpretare il ritardo che strutturalmente caratterizza lo sviluppo di alcune aree del Mezzogiorno, e la Sicilia in particolare, rispetto alle aree più avanzate d’Italia. Per verificare tale interpretazione occorre stabilire se vi siano delle differenze significative nei livelli di capitale umano presenti nelle regioni del Nord e del Sud d’Italia, e, ove possibile, nel particolare contesto della nostra regione siciliana. Abbiamo visto nel capitolo precedente come la misura più frequentemente usata per valutare il capitale umano sia rappresentata dai dati relativi all’istruzione. Abbiamo anche detto, però, che tale variabile non è di semplice ed univoca interpretazione e misurazione. L’analisi del caso siciliano conferma tale difficoltà e, in alcuni casi, sembra condurre a risultati contrastanti. Da una prima analisi (paragrafi 1 e 2) si potrebbe infatti dedurre che il livello di istruzione del Sud non sia al di sotto di quello del Nord d’Italia e di conseguenza che il sistema scolastico siciliano non presenti significative inefficienze rispetto alla media nazionale. Effettuando, però, un’analisi più approfondita e aggregata di un numero maggiore di dati a disposizione la realtà che ne scaturisce è piuttosto diversa e complessa. Occorre, perciò, acquisire delle informazioni attendibili analizzando il maggior numero di dati possibile e, soprattutto, come detto in precedenza, non bisogna limitarsi ad un’analisi quantitativa dell’istruzione in Sicilia ma occorre comparare dati che possano far apprezzare i livelli qua- 44 CAPITOLO 2 litativi relativi all’apprendimento reale degli studenti nelle diverse regioni d’Italia. Solo in questo modo si può verificare se effettivamente vi siano delle carenze nel sistema scolastico siciliano e se possa quindi essere utile investire in esso per migliorarlo, al fine di agevolare il decollo economico della Sicilia e del Mezzogiorno più in generale. 45 ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO Dati ISTAT e Tasso di Scolarizzazione 1. Nonostante i limiti evidenziati nel capitolo precedente in riferimento alla misurazione quantitativa del capitale umano, è comunque necessario prendere come punto di partenza i dati relativi ai livelli di scolarità nazionale, rilevando eventuali divergenze a livello territoriale, al fine di verificare il legame tra differenti tassi di crescita economica nel nostro Paese e livelli di istruzione. Le fonti di riferimento sono l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) e il Ministero della Pubblica Istruzione (ex MIUR) che si è occupato a partire dall’anno scolastico 1993 - 94 delle rilevazioni. I dati più recenti sono pubblicati nel Rapporto Annuale ISTAT 2006, e si riferiscono all'anno scolastico 2004-2005. 3 Prendendo in considerazione la scuola dell’obbligo (tabella 2) si notano risultati positivi relativamente ai tassi di scolarità (rappresentati dalla percentuale di iscritti per 100 giovani di età teorica corrispondente alla classe di riferimento) della scuola elementare e media, sia a livello nazionale che per le singole macroaree geografiche. Si evidenzia infatti una frequenza praticamente totale della popolazione nelle scuole elementari e medie (a livello nazionale le percentuali sono del 103,1% per le elementari e 104,7% per le medie - dati superiori a 100 a causa di eventuali ritardi o ripetenze). Questo dato si riflette anche nelle realtà delle singole aree geografiche (Nord-ovest, Nord-est, Centro, Mezzogiorno), dove le percentuali si attestano intorno al 100%. 3 Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale 2006. 46 CAPITOLO 2 Tabella 2 - Il sistema scolastico: indicatori relativi a scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado per ripartizione geografica Anno scolastico 2004/2005 Ripartizioni geografiche Italia INDICATORI Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno ANNO SCOLASTICO 2004/2005 Scuola dell’infanzia (a) Scuole Bambini Insegnanti (b) Bambini per insegnante Bambini per sezione Bambini stranieri per 1.000 iscritti Tasso di scolarità (c) 24.889 1.654.833 140.646 11,8 23,0 44,9 101,6 5.372 404.291 32.468 12,5 24,3 75,0 99,2 4.354 295.540 24.878 11,9 23,3 70,0 98,5 4.383 297.359 25.657 11,6 23,3 58,0 103,0 10.780 657.643 57.643 11,4 22,0 9,3 104,1 18.351 2.771.247 293.187 9,5 18,3 53,3 0,2 0,2 0,4 103,1 4.515 660.756 72.048 9,2 18,6 83,2 0,2 0,2 0,3 102,1 3.565 482.482 53.248 9,1 18,1 89,2 0,2 0,1 0,3 101,8 3.255 500.040 52.385 9,5 18,7 70,3 0,2 0,1 0,3 105,4 7.016 1.127.969 115.505 9,8 18,2 13,0 0,3 0,2 0,4 103,2 7.890 1.792.244 211.078 8,5 20,9 47,9 3,3 2,0 4,1 …. 104,7 1.944 406.640 49.266 8,3 21,1 77,5 3,0 1,9 3,8 …. 104,3 1.395 293.148 34.171 8,6 21,2 82,4 2,7 1,5 3,3 …. 103,9 1.340 319.155 35.717 8,9 21,2 66,4 2,9 1,7 3,6 …. 106,5 3.211 773.301 91.924 8,4 20,5 11,7 3,7 2,3 4,8 …. 104,6 Scuola primaria (d) Scuole Alunni Insegnanti (b) Alunni per insegnante Alunni per classe Alunni stranieri per 1.000 iscritti Ripetenti per 100 iscritti Ripetenti femmine per 100 iscritte Ripetenti al 1° anno per 100 iscritti al 1° anno Licenziati per 100 esaminati Tasso di scolarità (c) Scuola secondaria di primo grado (d) Scuole Alunni Insegnanti (b) Alunni per insegnante Alunni per classe Alunni stranieri per 1.000 iscritti Ripetenti per 100 iscritti Ripetenti femmine per 100 iscritte Ripetenti al 1° anno per 100 iscritti al 1° anno Licenziati per 100 esaminati Tasso di scolarità (c) Fonte: Ministero della pubblica istruzione (Mpi) per l'anno scolastico 1990/2000; Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur) (a) Con la legge n. 30 del 10 febbraio 2000 la scuola materna ha assunto la denominazione di scuola dell'infanzia. (b) Esclusi i docenti collocati fuori ruolo. (c) Tasso di scolarità: iscritti per 100 giovani di età teorica corrispondente (3-5 anni per la scuola dell'infanzia; 6-10 anni per la scuola primaria; 11-13 anni per la scuola secondaria di primo grado). Può essere superiore a 100 a causa di ritardi e ripetenze. (d) Con la legge n. 53 del 28 marzo 2003 la scuola elementare ha assunto la denominazione di scuola primaria e la scuola media quella di scuola secondaria di primo grado. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 47 4 Passando ad analizzare la scuola secondaria superiore (tabella 3), la situazione cambia leggermente a livello nazionale, ma l’abbassamento del tasso di scolarità è una diretta conseguenza della non obbligatorietà di tali studi. Tra le singole aree geografiche non sembrano ancora emergere differenze significative. Nel Mezzogiorno infatti il tasso di scolarità è del 92% circa (leggermente superiore a quello degli anni precedenti), e risulta praticamente identico alla media nazionale. Solo il dato aggregato per il Centro sembra discostarsi (in positivo) dagli altri in modo rilevante (98,8%). Un dato interessante è anche quello che riguarda la percentuale di diplomati in relazione alla popolazione di 19 anni. In Italia conseguono la licenza superiore circa il 77% dei diciannovenni, mentre nel Mezzogiorno la percentuale è del 79%. L’aumento della scolarizzazione sembra dunque aver prodotto un innalzamento del livello di istruzione della popolazione giovane e adulta, senza particolari divergenze a livello geografico. 4 Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale 2006. 48 CAPITOLO 2 Tabella 3 - Il sistema scolastico: indicatori relativi a scuole secondarie di secondo grado Anno scolastico 2004/2005 Ripartizioni geografiche Italia INDICATORI Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno ANNO SCOLASTICO 2004/2005 Scuola secondaria di secondo grado (a) Scuole Studenti Insegnanti Studenti per insegnante Studenti per classe Studenti iscritti ai licei (%) Studenti iscritti agli istituti tecnici (%) Studenti iscritti agli istituti professionali (%) Studenti iscritti ad altre scuole (%) Studenti femmine (%) Studenti stranieri per 1.000 iscritti 6.577 2.654.222 305.383 8,7 20,9 31,4 36,0 20,9 11,7 49,0 24,1 1.439 568.198 66.644 8,5 20,9 30,2 37,9 20,8 11,2 49,5 40,1 1.064 414.015 49.120 8,4 20,7 28,7 37,8 22,4 11,1 50,1 44,1 1.250 496.114 57.321 8,7 20,7 35,9 33,8 19,7 10,7 49,0 34,5 2.824 1.175.895 132.298 8,9 21,2 31,1 35,3 20,9 12,6 48,4 5,1 Ripetenti per 100 iscritti 6,5 6,5 5,9 6,4 6,7 Ripetenti femmine per 100 iscritte 4,5 4,6 3,8 4,4 4,8 8,5 77,3 73,5 81,3 92,2 8,7 70,7 64,8 77,0 88,5 8,2 74,4 68,8 80,3 90,6 8,3 83,7 80,5 87,1 98,8 8,6 79,1 76,9 81,4 92,1 Ripetenti al 1° anno per 100 iscritti al 1° anno Diplomati per 100 19enni Diplomati per 100 19enni - Maschi Diplomati per 100 19enni - Femmine Tasso di scolarità (c) Fonte: Ministero della pubblica istruzione (Mpi) - Istat, Rilevazione delle scuole secondarie superiori per l'anno scolastico 1998/1999; Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur) per i dati sulle scuole secondarie relativi all'anno 2003/2004 (a) Con la legge n. 53 del 28 marzo 2003 la scuola secondaria superiore ha assunto la denominazione di scuola secondaria di secondo grado. (c) Tasso di scolarità: iscritti per 100 giovani di età teorica corrispondente (14-18 anni). 49 ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 5 Diversa appare invece la realtà universitaria (tabella 4a). Nonostante, rispetto agli anni precedenti, si riscontri un aumento delle iscrizioni (probabilmente in seguito alla modifica del sistema universitario, che prevede adesso corsi triennali e non più quadriennali o quinquennali come in precedenza), il tasso di iscrizione risulta comunque molto basso. A livello nazionale infatti solamente il 39,9% dei giovani tra i 19 e i 25 anni è iscritto all’Università. La percentuale è ancora più bassa se si osserva il dato per il Mezzogiorno (solo il 33% circa dei giovani meridionali sono universitari) e cominciano inoltre a presentarsi delle divergenze rispetto alle zone più sviluppate della nazione. Al Centro infatti il tasso di iscrizione è del 57,3%, ovvero più di 20 punti percentuali rispetto a quello del Mezzogiorno. Una situazione anomala si ha nel Nord-ovest, dove il dato aggregato è del 35,91% (inferiore alla media nazionale e vicino al dato del Mezzogiorno). 5 Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale 2006. 50 CAPITOLO 2 Tabella 4a - Indicatori dell'istruzione universitaria - Anno accademico 2004-2005 Ripartizioni geografiche Italia INDICATORI Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno ANNO SCOLASTICO 2004/2005 Università (d) 79 18 13 23 25 1.800.428 368.173 317.675 464.055 650.525 Immatricolati (e) 347.700 76.495 61.325 86.857 123.023 Docenti (f) 107.114 26.271 23.951 28.243 28.649 16,8 14,0 13,3 16,4 22,7 22.790 20.454 24.437 20.176 26.021 Atenei Studenti Studenti per docente Studenti per ateneo Iscritti ai corsi di diploma per 100 iscritti all'università 0,3 0,3 0,2 0,3 0,4 Femmine per 100 iscritti in totale 55,7 53,0 54,9 55,4 58,0 Studenti stranieri per 1.000 iscritti 21,3 24,5 35,8 28,9 7,0 Studenti fuori corso per 100 iscritti 38,9 30,7 36,3 38,7 44,9 Laureati (anno solare 2004) 264.900 66.679 56.945 66.465 74.811 Laureati per 100 25enni 37,5 40,4 46,9 50,9 26,0 Laureati fuori corso per 100 laureati 62,7 56,0 60,4 62,0 70,9 Tasso di passaggio dalle scuole superiori (g) 76,8 82,9 88,7 99,1 60,4 Tasso di iscrizione (h) 39,9 35,9 43,1 57,3 33,6 (d) Ove non diversamente indicato, i dati si riferiscono al totale dei corsi di diploma, scuole dirette a fini speciali e corsi di laurea. (e) I dati si riferiscono agli studenti che si sono immatricolati per la prima volta al sistema universitario. (f) I dati sui docenti si riferiscono rispettivamente al 1999 e al 2004. Sono inclusi sia i docenti di ruolo (ordinari, associati, ricercatori, assistenti e incaricati di ruolo), sia quelli a contratto (incaricati non di ruolo, esperti, collaboratori, lettori). (g) Tasso di passaggio dalle scuole superiori: immatricolati per 100 diplomati dell'anno precedente. (h) Tasso di iscrizione: iscritti per 100 giovani di età teorica corrispondente (19-25 anni). Analizzando però dati disaggregati a livello regionale (v. tabella 4b)6 si nota una forte variabilità tra le singole regioni settentrionali. Agli elevati tassi di iscrizione presenti in Friuli-Venezia Giulia e in Liguria si contrappone la presenza di regioni che hanno tassi molto bassi, quali il Trentino Alto-Adige, la Lombardia, la Valle d’Aosta, il Veneto e il Piemonte. 6 Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale 2006. 51 ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO Tabella 4b - Indicatori dell'istruzione universitaria per regione (a) Anno accademico 2004-2005 REGIONI Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Bolzano-Bozen (f) Trento Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Tasso di passaggio dalla scuola superiore (b) Tasso di iscrizione (c) Mancate reiscrizioni per 100 iscritti (d) M Laureati per 100 persone di 25 anni (e) M F MF M F MF F MF M F MF 63,7 67,3 65,1 72,5 85,6 74,6 68,3 77,5 70,1 30,0 29,7 28,2 38,5 43,5 36,1 34,2 36,2 32,0 3,7 .. 8,1 6,9 .. 5,3 5,4 .. 6,6 17,1 17,8 18,1 25,3 27,1 25,9 21,0 22,2 21,9 60,0 40,1 78,5 63,5 63,5 45,7 80,5 71,5 61,9 43,2 79,6 67,7 22,7 12,4 33,8 30,0 30,9 18,1 44,6 38,3 26,7 15,2 39,0 34,1 6,6 .. 7,4 5,4 2,2 .. 4,5 4,1 4,3 .. 5,9 4,6 13,5 7,3 19,8 17,7 20,1 9,7 30,9 25,5 16,8 8,5 25,3 21,5 65,4 70,4 70,9 66,0 67,6 64,6 65,6 68,2 84,0 62,5 63,6 66,2 72,4 57,1 63,3 74,2 79,7 77,6 75,2 76,9 77,1 80,2 84,0 88,9 76,4 79,6 73,9 87,9 74,9 70,2 70,1 75,3 74,4 70,8 72,4 71,0 72,7 76,1 86,6 69,3 71,7 70,2 80,2 65,9 67,3 36,7 39,3 33,0 37,0 38,3 36,0 44,5 45,4 45,4 33,6 32,3 39,6 40,1 31,5 29,2 47,6 50,0 42,2 48,6 51,7 48,5 57,1 60,9 61,8 44,5 46,6 55,8 54,9 43,7 49,1 41,9 44,6 37,5 42,7 44,7 42,1 50,7 53,0 53,4 39,0 39,3 47,5 47,4 37,5 38,9 16,8 4,9 8,6 8,8 8,0 9,9 8,9 7,1 10,1 9,3 0,5 12,6 9,0 9,4 2,7 4,3 3,7 6,2 5,9 5,8 4,7 6,5 2,1 6,2 6,3 -3,6 8,1 4,5 4,9 0,7 10,4 4,2 7,3 7,2 6,8 7,1 7,5 4,3 8,0 7,6 -2,0 10,2 6,5 6,7 1,4 22,4 24,7 18,9 18,7 21,7 18,5 22,8 21,5 23,4 19,0 18,3 21,2 21,3 16,5 18,1 34,7 34,8 26,9 27,5 38,5 31,4 32,8 33,2 40,8 26,5 28,8 35,1 32,7 23,6 33,0 28,2 29,7 22,8 23,1 29,9 24,8 27,8 27,2 31,9 22,7 23,5 28,0 27,0 20,0 25,4 Fonte: elaborazioni Istat su dati Miur. (a) Ove non diversamente indicato, le regioni si riferiscono alla residenza degli studenti e non alla collocazione geografica della sede universitaria presso cui sono iscritti. (b) Immatricolati per 100 diplomati di scuola secondaria superiore dell’anno scolastico precedente. (c) Iscritti all’università per 100 giovani di 19-25 anni. (d) Le mancate reiscrizioni degli studenti dell’anno accademico t-1/t sono calcolate come segue: (Iscritti t-1/t Laureati/Diplomati t) - (Iscritti t/t+1 - Immatricolati t/t+1). Sono esclusi dal calcolo dell’indicatore gli iscritti e laureati delle lauree specialistiche. Le regioni si riferiscono alla collocazione geografica della sede universitaria presso cui gli studenti sono iscritti. L’indicatore sottostima il fenomeno nelle regioni che registrano molti trasferimenti in entrata da altre regioni e, viceversa, le sovrastima nelle regioni che registrano soprattutto trasferimenti in uscita. (e) Per l’anno accademico t/t+1 i laureati si riferiscono all’anno solare t. L’indicatore è calcolato prendendo in considerazione i laureati del vecchio ordinamento e quelli dei corsi di laurea specialistica a ciclo unico. (f) I valori degli indicatori - più bassi rispetto al resto d’Italia - sono da imputare alla propensione dei giovani residenti a Bolzano ad iscriversi nelle università straniere, soprattutto austriache. 52 CAPITOLO 2 Tale situazione può essere ragionevolmente motivata dalla maggiore facilità per i giovani del Nord nella ricerca di un’occupazione rispetto al Sud. Molto spesso infatti, nelle regioni del Meridione, l’iscrizione all’università può essere un’alternativa allo stato di disoccupazione in cui ci si ritrova terminati gli studi secondari. Al contrario, per chi si diploma in grandi città del Nord, è più semplice trovare un lavoro anche con la sola licenza superiore; tale ipotesi verrà approfondita più avanti, mediante i dati Istat sulla condizione occupazionale. Ad osservazioni analoghe conduce l’analisi del tasso di passaggio dalla scuola superiore all’università, che indica la percentuale di immatricolati per 100 diplomati della scuola superiore dell’anno scolastico precedente. L’indice ha il valore più elevato per il Centro (99,1%), ed è piuttosto basso al Nord e soprattutto nel Mezzogiorno (rispettivamente del 60,4% e del 60,4%). Già da questa prima analisi sui dati quantitativi relativi al numero delle iscrizioni risultano percepibili le carenze del sistema universitario ed emergono le prime divergenze tra le aree del Sud rispetto alla media nazionale. Il ritardo del sistema scolastico meridionale risulta però ancora più evidente se si analizza il fenomeno della dispersione (o drop out) universitaria (tavola 3.b). Tale osservazione può essere effettuata prendendo in considerazione diversi fattori, tra i quali le mancate reiscrizioni e la percentuale di laureati. La percentuale di mancate reiscrizioni è inferiore (e indica dunque una bassa dispersione) rispetto alla media nazionale in Puglia, Sardegna, Liguria, Trentino-Alto Adige, Abruzzo, Veneto, Piemonte, Trento (per lo più regioni del Nord). La dispersione più alta invece si ha in Basilicata, Molise, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Sicilia. La criticità al Sud risulta però ancora più evidente se si analizzano i dati sulla percentuale di laureati. La Sicilia, in cui solo il 20% dei venticinquenni consegue una laurea, è al terzultimo posto seguita solo dal Trentino Alto Adige e dalla ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 53 Provincia di Bolzano, mentre le percentuali più alte si hanno in Molise, Umbria, Liguria e Friuli-Venezia Giulia. La situazione è analoga con riferimento al numero di laureati rispetto 7 al numero di immatricolati sei anni prima. Il Nord ha la percentuale più alta (55,5%), seguita dal Centro (48,1%), e infine dal Sud (39,5%). Questo indicatore rappresenta un’ulteriore misura dell’abbandono dell’istruzione, poiché mostra la percentuale dei diplomati che hanno continuato (e concluso) gli studi (percentuali maggiori indicano una minore dispersione). I dati confermano dunque che al Sud, e in particolare in Sicilia, il fenomeno dell’abbandono universitario è presente in misura particolarmente rilevante. A livello universitario si presenta pertanto una situazione di grave arretratezza della Sicilia (il che è ancora più rilevante se si considera che i dati medi nazionali sono già di per sé mediocri). Lo schema riassuntivo (tabella 5)8 sintetizza tali divergenze, evidenziando le percentuali della popolazione per ogni titolo di studio conseguito. Ovunque è bassissima la percentuale della popolazione che possiede un titolo di laurea (la percentuale più alta si ha nel Lazio col 12,8%); in particolare, in Sicilia e in generale nel Mezzogiorno tale valore è solo del 5% circa. Nonostante i dati sulla scolarità precedentemente esaminati mostravano una scolarizzazione praticamente globale, dalla tavola 4 appare che quasi il 30% della popolazione nazionale ha solo la licenza elementare; in Sicilia tale indicatore raggiunge quasi il 40%. 7 Fonte: ISTAT, Annuario Statistico 2003; dati 2000 – 2001. 8 Fonte: ISTAT, Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro – Media 2005. 54 CAPITOLO 2 Tabella 5 – Popolazione di 15 anni e oltre per titolo di studio, sesso e regione Media 2005 Licenza elementare Licenza media % % Piemonte Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste Lombardia Trentino Alto Adige Bolzano/Bozen Trento Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna 26,7 32,4 7,4 25,3 8,3 100,0 26,8 24,8 35,4 31,3 5,9 8,3 24,1 25,9 8,0 9,6 100,0 100,0 23,0 24,1 21,9 27,8 34,3 38,5 30,4 31,5 12,2 9,7 14,5 8,9 22,0 19,9 23,9 23,1 8,6 7,8 9,3 8,6 100,0 100,0 100,0 100,0 26,3 24,4 29,3 30,5 27,8 29,2 21,2 29,0 30,6 29,1 32,1 32,5 30,8 31,4 28,0 30,6 29,8 28,3 29,6 26,2 28,6 28,1 26,7 29,7 33,9 34,0 28,1 29,4 33,8 38,8 8,0 6,5 6,4 4,1 5,8 4,5 4,5 3,5 2,8 2,9 2,7 4,1 2,2 1,4 2,0 26,0 28,8 26,1 26,0 30,0 27,6 33,5 30,6 27,7 26,0 24,2 28,1 29,1 25,8 24,1 9,0 10,5 9,8 9,8 10,2 10,0 12,8 10,2 9,3 8,2 6,9 7,3 8,5 7,5 7,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Nord Centro Mezzogiorno Italia 26,4 25,8 30,4 27,7 31,0 28,5 33,2 31,3 8,0 4,5 2,4 5,4 25,4 30,0 26,1 26,5 9,2 11,2 7,8 9,1 100,0 100,0 100,0 100,0 REGIONI Diploma di qualifica professionale % Diploma conclusivo di Stato % Fonte: Istat, Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro - Media 2005 Laurea breve, laurea, dottorato % Totale % ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 55 Riguardo al valore dei titoli di studio sul mercato del lavoro, significativi sono i dati sulla condizione occupazionale che rilevano l’inserimento professionale dei giovani in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea. L’obiettivo principale di tali indicatori è quello di effettuare un’analisi comparativa della resa dei diversi titoli di studio sul mercato del lavoro, così da fornire uno strumento per valutare l’efficacia del sistema di istruzione superiore nel suo complesso, consentendo anche di effettuare dei confronti tra le aree geografiche. A poco più di tre anni dal conseguimento del diploma (tabella 6)9 di scuola secondaria superiore, l’88% dei giovani diplomati nel 1999 svolge un’attività lavorativa, quasi l’8% cerca un’occupazione mentre coloro che non lavorano e non cercano un’occupazione sono circa il 4%. A livello territoriale si osservano notevoli differenze: il tasso di occupazione è pari al 92% nelle regioni settentrionali, al 91% in quelle centrali e al 76% nel Mezzogiorno, area in cui la percentuale di coloro che sono in cerca di occupazione sale al 20% (contro il 3,5% del Nord). In Sicilia i valori sono simili a quelli del Mezzogiorno. 10 Per quanto riguarda l’università (tabella 7), i laureati del 2001 che risultano occupati a tre anni di distanza dalla conclusione degli studi sono il 74%, mentre la quota di quanti svolgono un lavoro continuativo iniziato dopo il conseguimento della laurea è del 56% circa. Con riferimento al luogo di residenza, i laureati del Nord che lavorano continuativamente sono l’83%, quelli del Centro il 75% e solo il 59% quelli del Mezzogiorno. Il confronto tra i due titoli di studi superiori mostra, dunque, che in particolare al Sud (e soprattutto in Sicilia) conseguire un titolo di studio accademico si configura come un investimento a tutela della disoccupazione. Resta comunque il fatto che, nonostante l’incremento della percentuale di occupazione di chi possiede un titolo universitario, la percentuale di disoccupati è maggiore in Sicilia e in tutto il Sud d’Italia. 9 Fonte: ISTAT, Annuario Statistico 2005. 10 Ibidem. 56 CAPITOLO 2 Tabella 6 – Diplomati del 1999 (a) per condizione occupazionale nel 2002, regione e sesso (valori assoluti e composizioni percentuali) Lavorano Non lavorano Cercano lavoro Non cercano lavoro Totale Totale Di cui svolgono un lavoro continuativo iniziato dopo il diploma REGIONI Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Liguria Trentino-Alto Adige Bolzano-Bozen Trento Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna 89,6 95,1 93,6 90,5 95,2 98,0 93,8 93,9 90,0 76,4 69,4 84,3 75,0 81,7 88,9 78,1 83,3 79,3 4,5 4,8 3,1 4,2 1,2 1,9 3,2 3,6 5,7 3,1 5,2 3,4 1,9 4,2 2,8 6,3 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 93,3 92,7 87,0 89,2 91,3 81,2 69,4 75,2 75,8 78,0 70,1 76,4 77,6 80,4 77,3 73,2 77,1 74,2 70,6 50,6 55,6 59,6 64,9 55,2 57,7 64,8 3,4 4,4 6,6 7,0 7,0 11,7 23,9 20,5 19,7 18,9 22,6 19,6 17,9 3,2 2,7 6,2 3,6 1,6 7,0 6,6 4,2 4,3 2,9 7,1 3,8 4,4 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 ITALIA Nord Centro Mezzogiorno 88,5 92,7 91,2 76,3 74,7 81,2 75,4 59,7 7,7 3,5 6,3 18,9 3,7 3,9 2,5 4,8 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Istat, Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro - Media 2005 (a) Sono esclusi dall’analisi quanti hanno conseguito un altro titolo universitario prima del 1999. 57 ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO Tabella 7 - Laureati del 2001 per condizione occupazionale nel 2004, regione e sesso (a) (valori assoluti e composizioni percentuali) Lavorano Non lavorano Totale Di cui svolgono un lavoro continuativo iniziato dopo il diploma Cercano lavoro REGIONI Non cercano lavoro Totale Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Liguria Trentino-Alto Adige Bolzano-Bozen Trento Veneto Friuli-Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna 80,0 94,8 85,1 80,1 91,3 90,4 91,6 80,1 62,9 74,0 67,6 57,3 74,1 66,5 77,0 62,6 8,0 1,1 4,6 7,8 2,8 2,3 3,0 6,8 11,9 3,9 10,2 11,9 5,8 7,2 5,3 13,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 81,6 81,3 74,8 73,7 77,4 74,7 60,6 65,1 60,1 54,5 55,1 52,5 59,8 68,7 64,9 62,1 55,9 59,6 56,1 56,0 42,3 44,3 41,7 39,2 34,5 38,3 42,8 53,5 7,5 5,6 8,7 8,6 11,2 11,7 19,9 20,7 25,6 28,3 32,6 29,0 24,6 20,3 10,8 13,0 16,3 17,5 11,3 13,4 19,4 14,1 14,2 17,0 12,1 18,4 15,5 10,8 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 ITALIA Nord Centro Mezzogiorno 74,0 82,6 75,0 59,2 56,3 64,6 56,2 42,3 12,5 5,9 10,6 25,4 13,3 11,5 14,2 15,4 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Istat, Annuario Statistico 2005 - Inserimento professionale dei laureati (a) Sono esclusi dall’analisi quanti hanno conseguito un’altra laurea prima del 2001 e quanti ne hanno conseguita una del nuovo ordinamento (laurea triennale). 58 CAPITOLO 2 Dall’analisi dei dati Istat sull’istruzione (da un punto di vista quantitativo) si può concludere che fino alla scuola secondaria superiore si ha un buon livello di scolarizzazione nazionale e a livello regionale non sembrano esserci differenze. Piuttosto basso appare, invece, il tasso di passaggio all’università soprattutto nel Mezzogiorno e nel Nord d’Italia. Ma i dati relativi alle percentuali di ritiri dall’università e quelli relativi al difficile inserimento dei giovani meridionali nel mondo del lavoro mostrano che la situazione è più critica al Sud rispetto al Nord (da ciò si potrebbe dedurre che la preparazione dei giovani universitari non sia adeguata e non consenta di concludere gli studi con successo). Si potrebbe dunque desumere che le carenze del Mezzogiorno siano presenti nel sistema universitario. Nei paragrafi successivi si vuole invece dimostrare che vi è una correlazione negativa tra il livello di dispersione – al livello n –, e la qualità dell’apprendimento del livello di istruzione precedente – n-1 – (figura 4). Ciò vuol dire che quanto più bassa è la qualità di un livello scolastico, tanto più difficile è per i giovani continuare gli studi e più alto sarà dunque il grado di dispersione del livello successivo. Figura 4 – Correlazione tra dispersione del livello n, e qualità dell'apprendimento del livello n-1 Apprendimento n-1 Dispersione n ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 59 In particolar modo è plausibile che lo scarso successo dei giovani meridionali all’università (livello n), evidente già dall’analisi di dati quantitativi, sia giustificabile da una disfunzione della scuola secondaria (livello n-1). Ciò significa che il livello di preparazione (dato qualitativo) dei giovani diplomati sarebbe piuttosto basso, così da rendere difficile la prosecuzione degli studi. E determinerebbe, quindi, un’alta percentuale di universitari che si ritirano prima di aver conseguito la laurea. Questo fenomeno dovrebbe risultare più significativo nel Mezzogiorno che al Nord. Infatti al Sud la dispersione universitaria è molto alta. Tutto ciò può essere dimostrato dall’analisi dei dati relativi ai livelli di apprendimento che dovrebbero far apparire bassi valori di capacità e di apprendimento già a livello scolastico. In particolare bisogna verificare se, osservando la qualità dell’istruzione scolastica, siano presenti delle disfunzioni (in particolar modo nella scuola superiore), e se, già prima dell’università, vi siano delle differenze consistenti nei livelli di apprendimento della Sicilia rispetto al resto d’Italia. 60 CAPITOLO 2 2. Qualità dell’istruzione siciliana Abbiamo visto nel paragrafo precedente come, già da un’analisi quantitativa sull’istruzione, si notino delle carenze in Sicilia rispetto al resto d’Italia almeno per quanto riguarda il sistema universitario. Tuttavia, come detto in precedenza, un’analisi corretta e completa sull’istruzione deve basarsi sull’osservazione di dati idonei a rappresentare anche la qualità dell’apprendimento. Grazie al diffondersi di Enti volti a valutare i livelli di istruzione, sia a livello nazionale che internazionale, disponiamo di un numero di osservazioni abbastanza elevato. La complessità di tale tipo di indagini, però, determina in alcuni casi delle discordanze o incongruenze dei dati derivanti da analisi diverse. Occorre, perciò, effettuare un’analisi aggregata prendendo in considerazione il maggior numero di dati possibile per giungere ad una valutazione del sistema scolastico, a livello nazionale e regionale, quanto più attendibile e coerente. 2.1. L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Scolastico Nel 2001 è stato costituito con decreto ministeriale il cosiddetto «Gruppo di lavoro», con lo scopo di studiare il sistema dell’istruzione nazionale e soprattutto come strumento di gestione della qualità di tale sistema da parte dei diversi centri decisionali (scuole e Ministero). Il compito di organizzare le osservazioni per la realizzazione degli obbiettivi del Gruppo di lavoro è stato affidato all’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Scolastico) che già da tempo svolgeva un ruolo importante, rappresentando l’Italia nei progetti internazionali cui abbiamo accennato precedentemente e di cui tratteremo in maniera approfondita più avanti. L’esecuzione di sistemi di analisi dell’apprendimento a livello nazionale rappresenta un passo di fondamentale importanza, poiché permette di operare con una disaggregazione dei dati a livello territoriale più completa. Tenuto conto però degli elevati tempi e costi di gestione necessari ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 61 per la realizzazione di tali osservazioni, le indagini a livello nazionale presentano ancora livelli di attendibilità e precisione inferiori rispetto a quelle internazionali. Dal 2002 l’INVALSI ha iniziato a condurre sul territorio nazionale i cosiddetti «Progetti pilota», delle rilevazioni in campioni di scuole mediante la somministrazione di test di apprendimento volti a valutare i livelli di comprensione nel nostro sistema scolastico. Il primo di questi progetti, condotto durante l’anno scolastico 2001/2002, è avvenuto su un gruppo di circa 2.800 scuole, candidatesi volontariamente. L’indagine si è rivolta alla valutazione dell’apprendimento della lingua italiana e della matematica in V elementare, III media e II superiore. Questa prima indagine ha rappresentato una fase ancora sperimentale del progetto, poiché la volontarietà della partecipazione non ha consentito un utilizzo dei risultati per effettuare giudizi a livello globale. Un notevole passo avanti si è fatto con i due successivi progetti pilota, svolti durante gli anni scolastici 2002-2003 e 2003-2004. In queste due ulteriori fasi di sperimentazione l’INVALSI ha selezionato un campione probabilistico (abbandonando dunque il criterio della volontarietà) di scuole, al fine di ottenere dati estendibili a livello generale. Sono però state ammesse anche le scuole che desideravano partecipare volontariamente per una autovalutazione. Le indagini hanno riguardato la somministrazione di test di apprendimento a scelta multipla per l’italiano, la matematica e le scienze, nelle classi I (solo per il PP3) e IV elementare, I media, I e III superiore. Dopo i primi tre anni di sperimentazione svolti mediante i progetti pilota, a partire dall’anno accademico 2004-2005 viene istituito il Servizio Nazionale di Valutazione (SNV). In questa nuova fase di indagini dell’INVALSI emergono alcune importanti caratteristiche di novità che consentono in parte di superare i limiti delle indagini pilota precedenti. Particolarmente significativa è l’obbligatorietà di partecipazione alla indagine per tutte le scuole statali e paritarie per quanto riguarda le scuole di infanzia, primaria e secondaria di 1° grado; il carattere di facoltatività resta invece per le istituzioni scolastiche del secondo ciclo per le 62 CAPITOLO 2 quali l’indagine viene condotta su un campione probabilistico affiancato, dal gruppo degli istituti che hanno aderito volontariamente. Due fattori di forte perplessità che già caratterizzavano i progetti pilota rimangono anche nelle indagini del SNV. Il primo consiste nel prevedere per gli studenti con disabilità intellettive (si tratta di studenti che presentano disturbi intellettivi ed emozionali certificati dalla ASL, tali da non riuscire a seguire le istruzioni previste per la prova) la somministrazione di prove personalizzate elaborate dalla scuola. Le prove personalizzate rimangono agli atti della scuola e non vengono rispedite all’INVALSI. Tale esonero falsa i risultati di alcune realtà particolarmente degradate, quali quelle di molte scuole di quartieri per così dire «disagiati» della realtà palermitana (e non solo), in cui sono moltissimi gli alunni che difficilmente riescono a restare attenti durante lo svolgimento di una prova del genere (d’altronde lo stesso avviene nel corso delle lezioni), non tanto per disturbi psichici quanto per la durissima realtà che sono costretti ad affrontare giornalmente. Escludendo tali alunni dall’esecuzione del test i risultati risultano presumibilmente falsati, poiché, come detto in precedenza, queste realtà non sempre costituiscono delle eccezioni ma in alcuni contesti rappresentano la normalità. La seconda peculiarità consiste nel non tenere conto degli studenti non frequentanti (i criteri per la compilazione degli elenchi degli studenti prevede solo l’indicazione degli alunni ufficialmente ritirati e non di quelli ancora iscritti ma non frequentanti). Anche a tal proposito esistono alcune realtà in cui il numero di alunni che non frequentano o abbandonano la scuola nel corso dell’anno è elevatissimo; risulta, pertanto, piuttosto impreciso non tenere conto di tale fattore in un’indagine volta a valutare il livello di istruzione della popolazione di cui anche chi lascia la scuola fa parte. Passando all’analisi dei risultati del SNV, i dati completi su tutti i 63 ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO livelli scolastici sono disponibili nel rapporto finale dell’ottobre 2005 relativo all’a.s. 2004-2005 (Caputo, 2005). Nella tabella 8 sono riportati i dati relativi al numero delle scuole che hanno partecipato all’indagine: Tabella 8: Dati relativi alla partecipazione all'indagine 2004-2005 Livello Classi Studenti Insegnanti Scuole II primaria 30.440 559.526 68.490 7.547 IV primaria 29.926 538.497 67.334 7.534 27.596 586.492 82.788 5.784 9.495 222.498 28.485 1.717 8.600 182.816 25.800 1.724 106.057 2.089.829 272.897 15.070* I secondaria I grado I secondaria II grado III secondaria II grado Totale Fonte: Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2004-2005 – Sintesi del Rapporto Finale Nonostante il carattere di obbligatorietà, non hanno partecipato all’indagine 40 scuole primarie statali e paritarie che rappresentano lo 0,54% della popolazione corrispondente (7.430 scuole primarie statali e paritarie), e 22 scuole secondarie di I grado statali e paritarie pari allo 0,39% della popolazione corrispondente (5.692 scuole secondarie di I grado statali e paritarie). Per quanto riguarda le classi (casi di astensione dell’intera classe) si è calcolato un tasso di mancata partecipazione dello 0,19% per le II primarie, 0,24% per le IV primarie e 0,29% per la I secondaria di I grado. Inoltre le classi con tasso di partecipazione degli studenti inferiore al 50% raggiungono lo 0,35% per la I secondaria di I grado mentre per le altre discipline e per gli altri livelli si attestano a valori più bassi. 64 CAPITOLO 2 Nella tabella sono riportati i risultati relativi alla IV elementare: Tabella 9 – Classe IV elementare: percentuale di risposte corrette per area geografica e disciplina Area geografica Italiano Matematica Scienze (30 quesiti - 45 min.) (28 quesiti - 45 min.) (28 quesiti - 45 min.) Nord Ovest 62 67 72 Nord Est 63 68 73 Centro 65 72 76 Sud 68 77 81 Sud e Isole 67 75 80 Italia 65 72 77 Fonte: Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2004-2005 – Sintesi del Rapporto Finale Dai dati non emergono differenze significative nei livelli di apprendimento per area geografica. La categoria «Sud e Isole» risulta essere addirittura al di sopra dei livelli del Nord. Le prime carenze nelle aree del Sud, seppur con differenze ancora poco significative, appaiono analizzando i risultati della I media (v. tabella 10). Tabella 10 – Classe I media: percentuale di risposte corrette per area geografica e disciplina Area geografica Italiano Matematica Scienze (30 quesiti - 45 min.) (28 quesiti - 45 min.) (28 quesiti - 45 min.) Nord Ovest 59 60 71 Nord Est 60 61 72 Centro 60 61 72 Sud 57 60 70 Sud e Isole 55 58 69 Italia 58 60 71 Fonte: Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2004-2005 – Sintesi del Rapporto Finale ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 65 Le differenze tra aree geografiche non risultano ancora particolarmente significative, anche se il Sud inizia a presentare valori leggermente al di sotto della media nazionale in tutte le discipline. Osservando i dati disaggregati per la Sicilia e soprattutto per la realtà di Palermo, emergono differenze più accentuate (v. tabella sotto). Tabella 11 - Percentuale di risposte corrette per disciplina nella provincia di Palermo Scuola/Area geografica Italiano Matematica Scienze % % % Palermo 50,4 52,97 51,98 Sicilia 53,84 57,26 50,37 Sud e isole 55 58 69 Italia 58 60 71 I risultati dell’indagine vengono rappresentati come punteggi normalizzati a 100 (il punteggio coincide con la % media di risposte corrette). Per quanto riguarda i risultati in Italiano e in Matematica i risultati divergono per valori ancora trascurabili, sia per la Sicilia che per la provincia di Palermo; quest’ultima però presenta risultati già al di sotto della media regionale. Piuttosto evidenti sono invece le disuguaglianze per la Sicilia e la provincia di Palermo sia in confronto con la media del «Sud e Isole» sia con quelli delle scuole settentrionali (quasi 20% di differenza). Vi è poi un altro aspetto rilevante relativo alle scuole medie palermitane. Se si osservano i risultati di una scuola cosiddetta «a rischio», i punteggi sono notevolmente al di sotto della media e talmente bassi da poter risultare sbalorditivi, almeno per chi non è a conoscenza della realtà di cui fanno parte i bambini che frequentano tali istituti. Per loro la scuola più che un luogo di apprendimento diventa un’opportunità di sfogo. In Italiano tali studenti ottengono in media meno del 30% di risposte esatte, e in Matematica addirittura il 15%. In queste scuole, inoltre, circa 3 alunni su 10 non frequentano neanche le lezioni. È evidente che tali situazioni non sono generalizzabili, ma se pensiamo che le scuole dell’obbligo a rischio a Palermo sono circa il 20% del totale (dati forniti dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Palermo), allora questi risultati appaiono piuttosto allarmanti. 66 CAPITOLO 2 Analizzando, invece, i dati relativi alle scuole superiori, si evidenziano carenze più accentuate già nel dato aggregato «Sud e Isole» (v. tabelle 12 - 15). Tabella 12 – Classe I superiore: percentuale di risposte corrette per tipo di istruzione e disciplina Per matematica e scienze con A si intende rispettivamente la prova di alfabetizzazione matematica o scientifica e con B si intende la prova specialistica. Tipologia d’istruzione11 Italiano Matematica Scienze (30 quesiti - 50 min.) (30 quesiti - 60 min.) (30 quesiti - 60 min.) Istruzione Classica 71 63 66 Istruzione Professionale 45 37 43 Istruzione Artistica 54 44 51 Istruzione Tecnica 57 55 61 Istituti Superiori 60 53 60 Italia 60 54 59 Tabella 13 – Classe I superiore: percentuale di risposte corrette per area geografica e disciplina Per matematica e scienze con A si intende rispettivamente la prova di alfabetizzazione matematica o scientifica e con B si intende la prova specialistica. Area geografica 11 Italiano Matematica Scienze (30 quesiti - 50 min.) (30 quesiti - 60 min.) (30 quesiti - 50 min.) Nord Ovest 63 56 62 Nord Est 62 58 63 Centro 57 51 57 Sud 59 55 58 Sud e Isole 60 49 56 Italia 60 54 59 Classica = tutti i tipi di liceo; Professionale = istituti professionale; Artistica = liceo artistico e istituti d’arte; Tecnico = istituti tecnici; Istituti superiori = istituti di istruzione secondaria di II grado di diverso ordine e tipo. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 67 Ricordiamo che, poiché la partecipazione alla rilevazione per questo livello era facoltativa, i risultati sono riferiti ad un campione probabilistico rappresentativo dell’intera popolazione. Per quanto riguarda la prima superiore, osservando i dati globali (senza suddivisione per tipologia di istruzione) relativi alle macroaree geografiche, non sembrano esserci differenze significative. Il punteggio ottenuto in Italiano dal Sud e Isole è di 60 punti, come la media nazionale e contro un punteggio massimo di 63 punti ottenuti dal Nord Ovest. In Matematica le differenze sono leggermente più evidenti: la categoria Sud e Isole ha un punteggio di 49 punti, contro un massimo di 59 ottenuto al Nord est e una media nazionale di 54 punti. In Scienze il Sud e Isole ha ottenuto 56 punti, mentre il Nord Est, che ancora una volta ha il punteggio massimo, ha 53 punti. Alcune informazioni interessanti si ottengono analizzando i risultati 12 per ciascuna categoria di istituto, disaggregati per area geografica. Osservando tali risultati le prime carenze appaiono all’interno degli istituti professionali (per i quali si contrappongono in Italiano 412 punti del Sud e Isole contro 477 punti del Nord Ovest, in Matematica rispettivamente 418 punti contro 465 e in scienze 421 contro 476) e artistici (in Italiano il Sud e Isole ha ottenuto 442 punti mentre il Nord Ovest 518, in Matematica la differenza è di 419 contro 501 e in Scienze è di 439 contro 524), e, nelle discipline scientifiche, anche in quelli classici (dei quali fanno parte anche i licei scientifici), per i quali la differenza maggiore si ha nei risultati ottenuti in Matematica (514 punti per il Sud e Isole e 566 per il Nord Ovest). La situazione peggiora nel corso degli anni. Analizzando i dati della III superiore, infatti, i limiti sono presenti in ciascuna delle tre discipline e della categorie d’Istituto. 12 Tali informazioni sono disponibili per una delle indagini pilota degli anni precedenti (2002/2003). Fonte: CAPUTO ANNA M., Risultati delle prove di apprendimento e del campione nazionale – Progetto Pilota 2, Valutazione della scuola italiana. 68 CAPITOLO 2 I risultati del Sud e Isole sono significativamente al di sotto di quelli del resto d’Italia con una differenza media per disciplina e tipologia di Istituto rispetto al Nord di circa 10 punti percentuali. Solo gli istituti superiori del Sud si mantengono addirittura al di sopra di quelli settentrionali. Tabella 14 – Classe III superiore: percentuale di risposte corrette per tipo di istruzione e disciplina - Per matematica e scienze con A si intende rispettivamente la prova di alfabetizzazione matematica o scientifica e con B si intende la prova specialistica Italiano* Tipologia d’istruzione * ** (36 quesiti - 60 min.) Matematica** Scienze** (30 quesiti - 60 min.) (30 quesiti - 50 min.) A B A B 56 57 56 Istruzione Classica 62 60 Istruzione Professionale 39 45 - 39 - Istruzione Artistica 44 52 35 49 35 Istruzione Tecnica 47 58 46 50 47 Istituti Superiori 53 53 47 51 45 Italia 53 55 51 52 49 Valori calcolati su un campione probabilistico. Valori calcolati su tutti i presenti alla prova. Tabella 15 – Classe III superiore: percentuale di risposte corrette per area geografica e disciplina - Per matematica e scienze con A si intende rispettivamente la prova di alfabetizzazione matematica o scientifica e con B si intende la prova specialistica Area geografica * ** Italiano* Matematica** Scienze** (30 quesiti - 60 min.) (30 quesiti - 50 min.) (36 quesiti 60 min.) A B Media A-B A B Nord ovest 62 56 51 53,5 54 50 52 Nord est 39 56 55 55,5 54 53 53,5 Centro 44 54 50 52 51 47 49 Sud 47 54 50 52 51 46 48,5 Sud e Isole 53 54 46 50 50 43 46,5 Italia 53 55 51 53 52 49 50,5 Valori calcolati su un campione probabilistico. Valori calcolati su tutti i presenti alla prova. Media A-B 69 ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO I peggiori risultati della III superiore rispetto alla I nel Sud costituiscono un dato particolarmente significativo; valutando infatti anni diversi di una stessa scuola si ottiene il contributo (positivo o negativo) che quella scuola ha dato alla formazione degli studenti. Tabella 16 – Percentuale di risposte corrette e livello di apprendimento per disciplina in un istituto superiore del campione palermitano Classe/Area geografica Italiano Matematica Scienze % % % I superiore Sicilia 60,22 51,21 55,92 I superiore Palermo 60,78 50,37 55,13 Sud e Isole I superiore 60 49 56 Italia I superiore 60 54 59 III superiore Sicilia 49,13 50,79 ^ 46,51 ^ III superiore Palermo 48,47 52 ^ 44,73 ^ Sud e Isole III superiore 49 50 ^ 46,5 ^ Italia III superiore 53 53 ^ 50,5 ^ ^ = media A - B Anche per la scuola superiore abbiamo a disposizione i risultati a livello regionale e per la provincia di Palermo (v. tabella 16); da questi dati non sembra esserci un grande divario rispetto all’andamento della categoria Sud e Isole. Analizzando però anche per la scuola superiore i dati relativi ad una scuola palermitana facente parte del campione (dati 2004), si nota come in tutte e tre le materie la percentuale di risposte corrette non superi il 30%; osservando i risultati delle singole classi, emergono situazioni ancora peggiori, con percentuali in Matematica anche al di sotto del 20%. I numeri forse non rendono bene l’idea, ma se si pensa che avere un punteggio simile (ad esempio del 20%) significa aver risposto corretta- 70 CAPITOLO 2 Tabella 17 – Debito formativo e dispersione scolastica negli istituti superiori in Sicilia Area geografica Debito formativo I. D. G. AG 32,99 19,94 CL 35,38 16,01 CT 31,73 16,02 EN 28,59 14,13 ME 29,33 13,68 PA 33,63 18,47 RG 34,98 24,02 SR 32,55 12,67 TP 24,08 11,09 SICILIA 31,35 16,11 mente in media a 5 domande su un test di 25 quesiti, è evidente che si tratta di risultati molto insoddisfacenti. La debolezza delle scuole superiori della Sicilia è confermata da alcuni dati raccolti dal Provveditorato agli Studi (v. tabella 17). La tabella evidenzia due variabili particolarmente significative. La prima è quella relativa al debito formativo, che rappresenta chiaramente una misura della qualità del diploma. Se la percentuale di diplomati è praticamente la stessa sia al Sud che al Nord d’Italia, rilevante è il fatto che in Sicilia più del 30% degli stessi ha avuto un debito formativo, il che è un sintomo di scarso apprendimento. La seconda variabile è relativa al livello di dispersione scolastica (I.D.G. – Indice di Dispersione Globale). Percentuali così alte (la media siciliana è di circa il 16%, con valori che superano il 20% nelle singole province), sono un po’ in contrasto con i dati Istat, ma possono essere considerate attendibili e costituiscono una prova ulteriore della scarsa qualità delle scuole superiori siciliane. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 71 Si può dunque concludere che i risultati derivanti dalle indagini INVALSI sono ancora solo parzialmente in grado di mostrare la debolezza del sistema scolastico meridionale, ma che accostando tali analisi con dati più dettagliati si evince una realtà ben più grave. Le discordanze tra i vari dati possono essere motivate dal fatto che, come è stato detto in precedenza, condurre questo tipo di indagini è un processo molto complesso e costoso che forse richiede delle procedure di somministrazione dei test più rigorose (a volte gli insegnanti possono sentirsi valutati personalmente e sono indotti a intervenire nello svolgimento dei questionari). Dunque è auspicabile che nell’arco di qualche anno anche le indagini nazionali possano raggiungere livelli di precisione pari a quelle svolte a livello internazionale di cui tratteremo nel prossimo paragrafo. 72 CAPITOLO 2 3. Dove il nostro sistema è davvero carente? Le indagini internazionali Come accennato nei precedenti paragrafi, diventano sempre più frequenti i progetti internazionali volti a valutare i sistemi scolastici di tutto il mondo. In particolare, esistono una serie di enti e cooperative che da anni svolgono questo tipo di indagini. Tra gli organismi più importanti vi sono l’IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), nata con lo scopo di provvedere alla raccolta di dati che consentissero di comparare i risultati conseguiti dai sistemi scolastici dei vari Paesi, e l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Quest’ultima assiste i governi nell’affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali di un’economia globalizzata, e svolge, tra l’altro, un ruolo centrale nel campo della «buona gestione governativa e aziendale». Al momento ne fanno parte 30 nazioni industrializzate. Le analisi che l’OCSE dedica ai vari Paesi membri affiancano agli indicatori economici alcuni indicatori educativi, sottolineando come la qualità e l’efficacia dei sistemi scolastici sia un fattore determinante dello sviluppo economico. Esemplificativo riguardo al ruolo di queste organizzazioni è il riquadro 1: 13 Fonte: Il progetto Ocse-Pisa - Rapporto nazionale a cura di Emma Nardi, 2002. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 73 Riquadro 1. La missione dell’Ocse in campo educativo Il motto comeniano «omnia omnibus omnino» riecheggia nel programma lanciato dall’Ocse in accordo con i ministri della pubblica istruzione e del lavoro dei Paesi membri: apprendimento permanente per tutti è la formula intorno alla quale si struttura l’analisi delle politiche educative elaborata dall’Ocse nel 1998. Approfondendo e articolando il concetto di educazione permanente elaborato negli anni settanta, il programma dell’apprendimento per tutti non può limitarsi ad offrire ulteriori opportunità formative agli adulti, ma deve basarsi su un progetto complessivo le cui radici affondano nell’educazione sequenziale e che si sviluppa coerentemente nell’arco dell’intera esistenza: personale sottoqualificato che vuole migliorare le sue competenze; quadri ad alta qualificazione che devono mantenere il livello delle proprie conoscenze al passo con il progresso tecnologico; lavoratori di un ambito in crisi che desiderano riqualificarsi per rispondere alle esigenze occupazionali di un settore in espansione; persone (generalmente donne) che hanno momentaneamente interrotto l’attività lavorativa per dedicare il proprio tempo a bambini o anziani e che, superata quella fase, vogliono reinserirsi nel mondo produttivo... costituiscono una massa fluida ed eterogenea, in continua evoluzione per numero, tipo di domanda formativa, esigenze di apprendimento, disponibilità allo studio in termini qualitativi e quantitativi. Il denominatore comune sul quale innestare le proposte di educazione permanente deve dunque riferirsi ad un corredo di abilità di base che devono essere assicurate dall’educazione sequenziale. In altri termini, la scuola sequenziale ha in particolare il compito di far acquisire e consolidare agli allievi la capacità di comprensione della lettura e le capacità logico-matematiche. Al di là delle esigenze specifiche di ciascun curricolo, il quadro che si delinea con chiarezza è che in una società in cui le conoscenze sono in continua evoluzione, la tecnologia diventa obsoleta in un arco temporale sempre più breve, le esigenze di riqualificazione si moltiplicano, la scuola è perdente se non affronta come problema prioritario quello dello sviluppo delle competenze di base. Né questa scelta può essere qualificata come una rinuncia o un livellamento su esigenze di basso profilo. Basti considerare che le prove di selezione per accedere alle più prestigiose università internazionali si basano su queste stesse competenze. Tra le indagini internazionali, svolte per un’ampia gamma di materie, quelle che ci possono fornire dati recenti sul sistema scolastico nazionale, con le necessarie disaggregazioni per regione, sono: • il TIMSS (The Third International Mathematics and Science Study), che fornisce risultati relativi al livello di preparazione in matematica e scienze di studenti delle scuole medie e superiori; • l’ALL (Adult Literacy and Life skills), che cerca gli strumenti volti a rilevare, comparare e misurare le abilità/competenze necessarie a tutti gli individui al fine di esercitare, in società sempre più complesse, il diritto fondamentale alla cittadinanza attiva; 74 CAPITOLO 2 • il PISA (Programme for International Student Assessment), che si propone di rilevare le competenze dei quindicenni scolarizzati nei settori della comprensione della lettura, della matematica e delle scienze. Una fondamentale differenza di queste indagini, (in particolare l’ALL e il PISA) rispetto a quelle condotte in Italia dall’INVALSI, è che il loro scopo non è quello di valutare le competenze «curricolari» delle persone, cioè quelle strettamente collegate con i programmi scolastici, quanto la capacità di ragionare in maniera adeguata, elemento indispensabile per un inserimento positivo dei soggetti nel mondo del lavoro e nella società civile. Mediante l’analisi dei risultati di tali progetti vedremo che vi è un significativo divario nel livello di educazione in Italia rispetto ad alcuni dei Paesi economicamente più sviluppati, e un evidente distacco della Sicilia rispetto alle regioni del Centro e Nord d’Italia. 3.1. TIMSS 2003 (The Third International Mathematics and Science Study) Come accennato in precedenza il TIMMS è un progetto di ricerca che si basa su rilevazioni periodiche degli apprendimenti in matematica e scienze degli studenti al quarto e all’ottavo anno di scolarità (rispettivamente la IV classe della primaria e la III classe della secondaria di I grado) con lo scopo di costruire lo stato dell’arte della valutazione in tali discipline e in tali livelli ogni quattro anni. Il TIMSS 2003 è il terzo ciclo di misurazioni: i precedenti hanno avuto luogo nel 1995 e nel 1999; è inoltre in corso il progetto 2007. L’indagine ribadisce l’importanza che le materie scientifiche hanno per l’istruzione generale di ciascuna nazione, e gli operatori del settore riconoscono che i risultati del TIMSS possono dettare standard internazionali ai quali i Paesi dovrebbero almeno adeguare i propri sistemi scolastici se non vogliono rimanere indietro rispetto al contesto mondiale. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 75 Per l’Italia sono a disposizione i risultati in parte disaggregati per area geografica. Il campione di indagine italiano era costituito per entrambi i livelli da 172 scuole; la partecipazione degli studenti all’interno delle scuole ha raggiunto il 97%. 14 I risultati (tabella 18) sono riprodotti sulla base di punteggi medi rappresentati da livelli di apprendimento per ciascuna disciplina indagata. Analizzando i punteggi relativi all’8° anno di scolarità a livello globale, si evidenzia come i Paesi asiatici presentano livelli di apprendimento più alti mentre tra gli ultimi posti vi sono per lo più Paesi africani (Sudafrica per la Matematica e Tunisia e Marocco per le Scienze). L’Italia si colloca poco al di sopra della media internazionale, ma al suo interno sono identificabili tre livelli: il livello del Nord che ha prestazioni simili agli Stati Uniti, Australia, Lettonia e Scozia; un livello del Centro, che ha prestazioni ancora superiori alla media internazionale ed un livello del Sud e Sud e Isole che è al di sotto della media con valori simili a Cipro, Repubblica Moldava, Norvegia e Romania. I punteggi ottenuti in Matematica sono infatti: • per il Nord Ovest (Val D’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia), un livello di apprendimento di 502; • per il Nord Est (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna), un livello di apprendimento di 509; • per il Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), un livello di apprendimento di 487; • per il Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia), un livello di apprendimento di 468; • per il Sud e Isole (Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna), un livello di apprendimento di 460. 14 Fonte: TIMSS 2003: risultati della rilevazione internazionale sugli apprendimenti in matematica e scienze in 50 Paesi. 76 CAPITOLO 2 Tabella 18: TIMSS 2003 - Distribuzione dei livelli di apprendimento in matematica e scienze - 8° anno di scolarità Area geografica Scienze Matematica Punteggio Errore Punteggio Errore Nord Ovest 502 5,4 512 5,2 Nord Est 509 5,6 513 4,9 Centro 487 4,9 492 5,6 Sud 468 6,1 474 6,0 Sud e Isole 460 10,4 470 9,8 Italia 484 3,2 491 3,1 Stati Uniti 504 3,3 527 3,1 Media Internazionale 467 0,5 474 0,6 Fonte: TIMSS 2003: risultati della rilevazione internazionale sugli apprendimenti in matematica e scienze in 50 paesi. Da questi ultimi dati è significativo il fatto che in Sicilia il 75% circa della popolazione rientra nella categorie dei peggiori, mentre solo il 25% fa parte del gruppo dei migliori. Già da questa prima analisi appaiono dunque differenze abbastanza significative, già alla scuola media, sulla qualità dell’apprendimento tra la Sicilia e le regioni del Nord (in Lombardia ad esempio le percentuali sono pari al 30% circa nel gruppo dei peggiori e 70% in quello dei migliori). Vedremo come questo risultato viene confermato e accentuato dalle altre due indagini esaminate. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 77 3.2. ALL (Adult Literacy and Life skills) Tra il 1994 e il 2000 ventuno Paesi, fra cui l’Italia, hanno partecipato alla prima fase pilota dell’indagine comparativa internazionale (IALSSIALS) riguardante la distribuzione delle abilità/competenze (definite come competenze alfabetiche funzionali) nella popolazione adulta. Nella fase successiva viene definita l’indagine ALL (Adult Literacy and Lifeskills, Letteratismo e abilità per la vita). Questo nuovo progetto di ricerca internazionale, iniziato nel 2001 e che si conclude per l’Italia nel 2006 con la pubblicazione del Rapporto Finale nazionale,15 ha l’obiettivo di valutare la competenza alfabetica funzionale (prose e document literacy), la competenza matematica funzionale (numeracy) e la capacità di analizzare e risolvere problemi (problem solving) nella popolazione adulta. Tra tutte le indagini internazionali, l’ALL è quella che più di tutte è orientata verso lo studio e la valutazione delle competenze fondamentali per garantire occupazione e sviluppo nel «mondo globale», dunque strettamente connesse con l’ingresso degli individui in un mondo del lavoro che sempre più sposta le proprie esigenze verso livelli di preparazione sempre più elevati, lasciando ai margini singoli lavoratori, gruppi sociali ed interi Paesi che non riescono a stare al passo con queste trasformazioni. L’indagine ALL mette a fuoco un insieme di variabili che rappresentano un complesso di abilità che sono «utili per la vita» e nello stesso tempo esamina come questo insieme di abilità influisce, non solo sul successo in senso economico e professionale, ma anche su aspetti della vita quotidiana e lavorativa delle persone. 15 2006. Adult Literacy and Life Skills / Letteratismo e abilità per la vita – Rapporto finale, 78 CAPITOLO 2 Riquadro 2. La missione dell’Ocse in campo educativo Prose literacy Le conoscenze e abilità necessarie per capire e usare l’informazione contenuta in testi quali editoriali di giornali, notizie, brochure, manuali di istruzioni, ecc. Document literacy Le conoscenze e le abilità richieste per localizzare e usare informazione contenuta in vari formati, quali formulari per domande di lavoro, busta paga, orari di treni, bus, aerei, carte geografiche e mappe, tabelle e grafici. Numeracy Le conoscenze e le abilità richieste per trattare, attraverso i linguaggi formalizzati della matematica, diverse situazioni. Problem solving* Il problem solving è riferito alla capacità di pensare per obiettivi e agire in situazioni per le quali non sono disponibili procedure di routine. Chi risolve un problema ha un obiettivo più o meno definito, ma non sa immediatamente come raggiungerlo. La difficoltà nasce dalla incongruenza tra obiettivi e scelte ammissibili. La comprensione della situazione problematica e il suo progressivo svilupparsi, passo per passo, basandosi sulla capacità di ragionare e pianificare della persona impegnata in questo compito, costituisce il processo di problem solving. * prove realizzate sulla base di una opzione nazionale. A proposito della valutazione della competenza matematica funzionale, viene descritta più precisamente come la capacità di: • trattare situazioni o risolvere problemi in un contesto reale della vita nel lavoro e in ambito professionale. • Reagire «in situazione» attraverso identificazione, comprensione e comunicazione di informazioni matematiche, di numeri, di dati statistici, di misure, valute, tempi, forme, direzioni, relazioni e strutture. • Identificare «informazioni matematiche» contenute in oggetti e disegni, numeri e simboli, formule, diagrammi, mappe, piante, grafici, tabelle. • Attivare comportamenti e processi che includono sapere matematico e abilità di soluzione di problemi matematici, convinzioni e attitudini. In Italia l’indagine è stata svolta su un campione nazionale e su cinque campioni locali (quattro regioni: Campania, Lombardia, Piemonte, ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 79 Toscana e la Provincia autonoma di Trento), composti da cittadini di età compresa tra i 16 e i 65 anni. A livello nazionale dal Rapporto finale dell’indagine ALL emerge che: 16 · la popolazione adulta italiana, presa nel suo complesso, non possiede una competenza alfabetica funzionale (literacy) adeguata alle esigenze della società della conoscenza; · il possesso di abilità/competenze dei giovani conta molto, perché questi potenzialmente contribuiranno, con le loro competenze, allo sviluppo sociale ed economico del Paese; · conoscere e intervenire sul deficit di competenze è una priorità per il Paese; · l’istruzione è un fattore molto importante per garantire lo sviluppo di competenze di literacy ma non è il solo fattore determinante: il letteratismo si sviluppa e si consolida attraverso processi molto diversi e solo alcuni di questi sono riferibili ai sistemi formali di istruzione; · promuovere il lifelong learning (apprendimento continuo) significa mettere i cittadini in condizione di essere capaci di avere accesso agli ambienti in cui si promuove apprendimento: a casa, sul lavoro, nella comunità sociale; · bassi livelli di competenza alfabetica sono associati con tassi più elevati di disoccupazione e questo si traduce in un costo personale e sociale molto elevato; · dovranno essere sperimentate strategie mirate all’incremento della partecipazione ad attività formative di persone con livelli estremamente bassi di competenza, che nel nostro Paese superano il 40% della popolazione; · molti sono gli ambiti della vita sociale che, pur non configurandosi immediatamente come lavoro e istruzione, sono strettamente correlati ai livelli culturali della popolazione: l’incremento delle 16 2006. Adult Literacy and Life Skills / Letteratismo e abilità per la vita – Rapporto finale, 80 CAPITOLO 2 opportunità di studio e di qualificazione è un fattore essenziale nelle politiche di contenimento della criminalità e in quelle di prevenzione in campo socio-sanitario; · l’obiettivo di operare sulla cultura della popolazione è un elemento trasversale delle politiche rivolte sia ai giovani che ai cittadini più anziani. Nella rappresentazione dei risultati, prendendo come riferimento i quesiti di matematica e problem solving, l’indagine individua rispettivamente 5 e 4 livelli di difficoltà (v. riquadri 3 e 4). ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 81 Riquadro 3. Numeracy Livelli Descrizione Livello 1 Punteggio 0-225 I compiti di questo livello richiedono al rispondente di dimostrare che comprende i concetti aritmetici di base, eseguendo compiti semplici in contesti reali, familiari, in cui il contenuto matematico è indicato esplicitamente e accompagnato da un breve testo. Si tratta di una sola semplice operazione, quale contare, classificare/raggruppare dati, effettuare operazioni aritmetiche semplici o capire delle percentuali di uso corrente del tipo 50%. Livello 2 Punteggio 226-275 Compiti che consistono nel riconoscere e comprendere concetti matematici di base riferiti a diversi contesti quotidiani, in cui il contenuto matematico è esplicitamente visualizzato, sono presenti pochi distrattori. Si tratta in genere di effettuare uno o due calcoli in sequenza e stime da effettuare su numeri interi, percentuali e frazioni, di interpretare rappresentazioni grafiche o spaziali e di effettuare semplici misurazioni. Livello 3 Punteggio 276-325 I compiti di questo livello portano chi risponde a dimostrare che capisce le informazioni matematiche presentate in vari formati: numeri, simboli, carte geografiche, grafici, testi e diagrammi. Le competenze necessarie sono le nozioni di numero e di spazio, la conoscenza dei processi e delle relazioni matematiche e la capacità di interpretare le proporzioni, i dati e le statistiche presentate in testi relativamente semplici, che possono contenere distrattori. I compiti consistono abitualmente nell’effettuare un certo numero di operazioni per risolvere i problemi. Livello 4 Punteggio 326-275 I compiti di questo livello esigono dal rispondente che capisca una quantità di dati matematici di natura astratta, rappresentati in vario modo, cioè in un testo che presenta complessità crescente o in contesti poco familiari. Questi compiti comportano molte tappe allo scopo di trovare soluzioni a problemi e richiedono competenze di ragionamento e di interpretazione, quali la capacità di comprendere e di applicare proporzioni e formule o di spiegare le risposte date. Livello 5 Punteggio 376-500 I compiti di questo livello esigono dal rispondente che capisca delle rappresentazioni complesse e concetti matematici e statistici astratti e formali. Può essere richiesto al rispondente di analizzare e di integrare molti dati matematici contenuti in testi complessi. Alcuni compiti chiedono di fornire una spiegazione matematica delle risposte date. 82 CAPITOLO 2 Riquadro 4. Problem solving Livelli Descrizione Livello 1 Punteggio 0-225 I compiti di questo livello, in genere, portano il rispondente a fare delle semplici deduzioni a partire da informazioni limitate relative a un contesto familiare. Questi compiti sono piuttosto concreti e fanno solo in parte appello al ragionamento. Portano il rispondente a fare semplici accostamenti, senza dover produrre verifiche sistematiche. Il rispondente deve produrre delle conclusioni direttamente, partendo dalla informazione che gli è fornita nel testo e dalle sue conoscenze relative a contesti familiari. Livello 2 Punteggio 226-300 I compiti di questo livello richiedono che il rispondente valuti alcune soluzioni alternative in funzione di criteri ben definiti, trasparenti ed espliciti. Tuttavia il ragionamento è sviluppato per tappe, in sequenza lineare, senza deviazioni, circonvoluzioni o ritorni su tappe precedenti. Per risolvere un problema il rispondente si trova a disposizione diverse fonti di informazione, p.e. le informazioni sono reperibili sia nella sezione del fascicolo che contiene le domande, sia nella sezione del fascicolo che contiene le informazioni generali che descrivono la prova. Livello 3 Punteggio 301-350 I compiti di questo livello richiedono che il rispondente ordini più elementi secondo criteri forniti, determini una sequenza di interventi o di eventi e formuli soluzioni che tengano conto di condizioni interdipendenti diverse, spesso non esplicite e trasparenti. Il processo di ragionamento si sviluppa in modo non lineare e, quindi, necessita di rigore. A questo livello il rispondente si trova a dover far fronte a esigenze molteplici o mal formulate. Livello 4 Punteggio 351-500 I compiti di questo livello richiedono al rispondente di valutare l’esaustività, la coerenza o l’interdipendenza di vari criteri. In molti casi deve spiegare come ha trovato la soluzione e giustificarla. Chi risponde deve ragionare in una meta-prospettiva, tenendo conto di un sistema completo di condizioni di soluzione dei problemi e delle soluzioni possibili. Prima di iniziare a risolvere il problema, spesso, chi risponde deve dedurre criteri e obiettivi a partire dalle informazioni fornite. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 83 Poiché la scala di punteggi ALL è stata studiata anche per valutare il nucleo fondamentale di abilità che si associa con il lavoro in gruppo, questa suddivisione verrà utilizzata, nel commentare i dati italiani, immaginando una squadra di lavoro in cui coloro che rientrano nel livello più alto sono in grado di ragionare, progettare e condurre la squadra stessa; nel secondo gruppo si colloca chi sa lavorare efficientemente, eseguire correttamente le indicazioni impartitegli ed eventualmente affiancare coloro che stanno a capo del gruppo. Del primo livello fanno parte individui le cui capacità di lavoro sono piuttosto deboli o, addirittura, dannose per il resto del gruppo (questa potrebbe sembrare un’esagerazione, ma gli esempi che mostrano il tipo di domande a cui sono in grado di rispondere gli individui del livello A sono abbastanza dimostrativi al riguardo). Per avere un’idea più precisa del grado di abilità associato a ciascun livello, si riportano degli esempi di prove che si collocano in ogni classe (vd. riquadro 5). 84 CAPITOLO 2 Riquadro 5: Numeracy - Esempi di prove per livello e tipologie Livelli Descrizione Livello 1 Si chiede di osservare una foto che rappresenta una confezione piena di bottiglie di Coca Cola e di calcolarne il numero. La confezione contiene due piani di bottiglie, il primo piano è tutto visibile, l’adulto deve immaginare il numero di bottiglie contenute nella parte bassa che non è completamente visibile. Livello 2 Si presenta l’immagine dell’indicatore del livello di benzina nel serbatoio di una macchina. L’indicatore ha tre tacche, quella in alto è segnata con una P e quella in basso con una V, quella centrale non ha nessuna etichetta, la freccia segnala che il livello della benzina si trova a metà tra la tacca mediana e quella che ha l’etichetta P; la consegna informa che il serbatoio contiene 48 litri di benzina e chiede di stabilire quanti litri di benzina sono rimasti nel serbatoio. Il rispondente deve interpretare una immagine che rimanda ad informazioni quantitative, ma che non contiene numeri scritti, l’unica informazione espressa in termini matematici è contenuta nella domanda; il processo richiesto è quello di convertire la posizione della freccia sull’indicatore in una frazione e poi di fare il calcolo e rispondere con un numero. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 85 Livelli 3 e 4 Un breve articolo di giornale intitolato «Il latte materno è sicuro?» composto da un testo di due paragrafi e da un grafico che presenta la percentuale di diossina nel latte materno di donne del Nord Europa nel 1975, 1985, 1995, calcolata in nanogrammi/grammi di grasso. Il testo riferisce della preoccupazione di studiosi che hanno trovato diossina nel pesce pescato nel Baltico e informa che questa tende ad accumularsi nel latte materno. La domanda più semplice chiede di descrivere con parole proprie come è cambiata la quantità di diossina, il grafico mostra che la quantità è diminuita, ma la struttura del testo tende a confondere l’adulto perché, rispondendo, deve tradurre in parole proprie quello che è espresso dall’istogramma oppure deve riferirsi all’orientamento dei valori decimali indicati sull’asse verticale. Una domanda più difficile, fatta sullo stesso stimolo, chiede di fare il confronto tra la percentuale di variazione del livello di diossina tra il 1975 e il 1985 e il 1985 e il 1995, di dire quale variazione è maggiore e di spiegare la risposta. L’informazione necessaria è contenuta nel grafico, la consegna richiede di saperla trasformare e interpretare, chi risponde deve capire che deve esprimere il tasso di variazione in percentuale e non in valore assoluto. Livello 5 L’item più difficile presentato consiste in una pubblicità secondo la quale è possibile, per un investitore, raddoppiare in sette anni una somma investita al tasso fisso del 10% annuo. La consegna chiede di calcolare se è possibile raddoppiare una somma di € 1.000 investita in quel modo e dimostrare la risposta attraverso i calcoli. Chi risponde può fare i calcoli che vuole, ma può anche usare un «tutore finanziario» che accompagna la pubblicità e fornisce una formula da applicare per stimare il valore di un investimento. Tutti possono usare una calcolatrice, il compito è complesso perché richiede di procedere per successive tappe, calcolare percentuali e fare vari tipi di operazioni. Se non si adopera la formuletta bisogna sapere come si calcola l’interesse composto. 86 CAPITOLO 2 Per quanto riguarda il confronto tra le diverse aree territoriali indagate, i risultati rappresentati per area geografica sono disponibili con riferi17 mento alla precedente indagine pilota (ALL, 2003). Poiché i criteri di fondo dell’indagine, la tipologia dei quesiti sono sostanzialmente gli stessi dell’indagine finale, possiamo far riferimento a tali dati per effettuare l’analisi disaggregata a livello territoriale. In questo caso i risultati sono rappresentati suddividendo il campione in 3 fasce di età (16-30 anni, 31-45 anni e 46-65 anni), consentendo in tal modo di confrontare anche i livelli di preparazione delle diverse classi di età (è luogo comune, infatti, che l’ignoranza sia presente nelle vecchie generazioni piuttosto che nei giovani; si evidenzierà più avanti come invece al Sud il divario aumenta nel gruppo 16-30 anni rispetto a quello 45-65 anni). Un quadro sintetico dei risultati nelle tre aree è riportato nel grafico 1, che individua tre profili (bassa performance = profilo A, performance media = profilo B, alta performance = profilo C), in funzione delle abilità e dei comportamenti che evidenziano capacità di ragionamento in età adulta. Grafico 1: Distribuzione delle competenze di problem solving nelle tre Regioni 17 ALL - Letteratismo e abilità per la vita, Rapporto Indagine Pilota, indagine a cura dell’INVALSI, collana Educazione - Studi e Ricerche, 2003. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 87 In tutte e tre le regioni prevale il profilo basso, ma in Campania la differenza tra questo livello e quello più alto (profilo C) è più netta che nelle altre regioni. Per la Campania e per il Piemonte, rappresentanti rispettivamente il Sud e il Nord d’Italia, vengono di seguito (v. grafici 2 - 5) analizzati i risultati più in dettaglio (per fasce di età e disciplina), al fine di evidenziare le diverse capacità di una squadra di lavoro di ciascuna area. Grafico 2: risultati in literacy per il Piemonte per fasce di età. Grafico 3: risultati in literacy per la Campania per fasce di età. 88 CAPITOLO 2 Grafico 4: risultati in numeracy per il Piemonte per fasce d'età. Grafico 5: risultati in numeracy per la Campania per fasce d'età. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 89 Immaginiamo dunque due squadre di lavoro composte da dieci membri, una piemontese e l’altra campana, partendo dai risultati della fascia di età 31- 45 anni (tipicamente quella di chi lavora attualmente). Per semplicità analizziamo solo i dati relativi alla componente matematica che, come detto più volte, rappresenta adeguatamente le competenze nel lavoro. In Piemonte la squadra è composta da due persone in grado di stare a capo e coordinare, altre quattro appartengono al secondo gruppo, sono capaci dunque di lavorare efficientemente e affiancare le prime due, le ultime quattro invece, seguite dalle sei precedenti, possono ricevere ordini precisi sul lavoro da svolgere e quindi lavorare anche esse. In Campania la situazione è molto diversa. Solo un individuo è in grado di dirigere la squadra, soltanto tre possono affiancarlo e, queste quattro persone, dovrebbero riuscire a gestire i restanti sei lavoratori che, se non seguiti adeguatamente, possono essere poco utili o addirittura dannosi per il lavoro del gruppo. È evidente che, mentre la squadra piemontese è nelle condizioni di svolgere un buon lavoro, quella della Campania probabilmente non sarà in grado di fare molto di buono. Questa esemplificazione può spiegare, in un certo modo, anche il più alto livello di disoccupazione presente al Sud. Infatti poichè i sei individui facenti parte del livello basso non possono tutti essere seguiti da un solo capo (appartenente al livello di abilità alto), alcuni di essi rimarranno probabilmente senza un lavoro. In genere è diffuso il luogo comune secondo cui la popolazione più giovane sia più competente delle generazioni passate. Osservando i dati medi italiani questa affermazione è vera, ma è anche vero che il divario Nord-Sud aumenta nella fascia di età 16-30 anni, il che vuol dire che i giovani meridionali si ritrovano in una situazione più critica che in passato. Riprendendo infatti l’esempio della squadra di lavoro (relativa alla fascia di età più bassa), la situazione è la seguente. In Piemonte i responsabili diventano tre, gli aiutanti restano quattro e ci sono solo tre persone da seguire a pieno. 90 CAPITOLO 2 In Campania vi è nuovamente solo un individuo in grado di dirigere il gruppo, solo quattro possono affiancarlo e cinque devono essere guidati. Le conclusioni sono analoghe a quelle precedenti, ma le differenze tra le due squadre sono ancora più evidenti. È chiaro, allora, ciò che emerge da questi dati: le carenze nel sistema dell’istruzione al Sud d’Italia sono evidenti, se si paragonano i rendimenti non solo degli adulti, ma anche dei giovani meridionali rispetto a quelli del Nord. 3.3. PISA (Programme for International Student Assessment) Il progetto PISA si propone di rilevare le competenze dei quindicenni scolarizzati nei settori della comprensione della lettura, della matematica e delle scienze. Il progetto è articolato in diverse fasi; ogni ciclo dell’in-dagine approfondisce in particolare un’area: nel primo ciclo (PISA 2000) è stata la lettura, nel secondo (PISA 2003) è stata la matematica, mentre il terzo ciclo (PISA 2006) approfondisce l’area relativa alle scienze. Caratteristica fondamentale del progetto, analogamente al progetto ALL, è che la ricerca è svincolata dagli aspetti curricolari ma sottopone a verifica le competenze che, a livello internazionale, si considerano indispensabili per un inserimento positivo dei soggetti nel mondo del lavoro e nella società civile. Lo scopo primario dell’indagine PISA è quello di analizzare l’efficacia del sistema scolastico nel preparare i giovani «per la vita»; gli indicatori messi a punto dal progetto PISA riguardano infatti non tanto la padronanza del curricolo da parte degli studenti, ma la loro capacità di utilizzare conoscenze e abilità apprese a scuola per affrontare il tipo di compiti e di problemi che si incontrano nella vita reale, al di fuori della scuola. PISA fornisce, dunque, un criterio di valutazione dell’efficacia del sistema scolastico esterno alla scuola e al tempo stesso cruciale per essa. La ricerca assegna molta importanza, nel valutare le abilità, alle discipline scientifiche in quanto indicatori delle capacità di ragionamento. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 91 È interessante riportare le definizioni che nel progetto vengono assegnate agli ambiti indagati (PISA 2003, 2004):18 · Competenza matematica (Mathematical Literacy): è la capacità di un individuo di identificare e comprendere il ruolo che la matematica gioca nel mondo reale, di operare valutazioni fondate e di utilizzare la matematica e confrontarsi con essa in modi che rispondono alle esigenze della vita di quell’individuo in quanto cittadino che esercita un ruolo costruttivo, impegnato e basato sulla riflessione. · Competenza di lettura (Reading Literacy): è la capacità di un individuo di comprendere e utilizzare testi scritti e di riflettere sui loro contenuti al fine di raggiungere i propri obiettivi, di sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità e di svolgere un ruolo attivo nella società. · Competenza scientifica (Scientific Literacy): è la capacità di utilizzare conoscenze scientifiche, di identificare domande alle quali si può dare una risposta attraverso un procedimento scientifico e di trarre conclusioni basate sui fatti, per comprendere il mondo della natura e i cambiamenti a esso apportati dall’attività umana e per aiutare a prendere decisioni al riguardo. · Problem solving (Problem Solving Skills): è la capacità di un individuo di mettere in atto processi cognitivi per affrontare e risolvere situazioni reali e interdisciplinari per le quali il percorso di soluzione non è immediatamente evidente e nelle quali gli ambiti di competenza o le aree curricolari che si possono applicare non sono all’interno dei singoli ambiti della matematica, delle scienze o della lettura. I risultati delle prove (disponibili per il PISA 2003) sono stati riprodotti, sia per la matematica che per le scienze, in una scala unica, con un punteggio medio di 500 punti e una deviazione standard di 100 punti. 18 Fonte: OCSE (a cura di), PISA 2003 - Valutazione dei quindicenni, Roma, 2004. 92 CAPITOLO 2 La scala viene poi suddivisa in livelli di competenza sulla base dei livelli di difficoltà crescente delle domande e corrispondono a livelli crescenti di capacità, consentendo di descrivere quello che sanno e non sanno fare gli studenti che si collocano a ciascun livello e di identificare per ciascuna area indagata la percentuale di studenti ricadenti in ciascun livello.19 Per la competenza matematica PISA 2003 individua sei livelli della scala per i quali: 668 punti Livello 6 Livello 5 Ai livelli alti (intorno ai 600 Punti) uno studente tipico assume un ruolo attivo e creativo nell’approccio ai problemi matematici. Interpreta e formula i problemi in forma matematica, sa manipolare informazioni complesse e gestire un certo numero di passi nel processo risolutivo. Sa applicare gli strumenti e le cono- 544 punti Livello 4 Livello 3 Ai livelli medi (oltre i 550 punti) uno studente tipico è capace di interpretare, collegare e integrare diverse rappresentazioni di un problema o diverse informazioni singole; sa usare o manipolare un dato modello che spesso implica rappresentazioni algebriche o simboliche. Sa 482 punti Livello 2 Livello 1 Ai livelli bassi della scala (circa 450 punti) lo studente tipico è in grado di eseguire un singolo passo nel percorso riproducendo processi elementari o applicando semplici abilità di calcolo; riconosce le informazioni da diagrammi o testi familiari, in cui la formulazione 358 punti (19) Fonte: OCSE, Prove rilasciate PISA 2003. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 93 Per avere un’idea più chiara dei valori di competenza assegnati a ciascun livello della scala, è interessante osservare alcuni esempi di 20 domande corrispondenti ai diversi punteggi: 20 Fonte: INVALSI (a cura di), Prima sintesi dei risultati di PISA 2003. 94 CAPITOLO 2 Matematica, livello medio (605 punti) - esempio: ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO Matematica, livello basso (464 punti) - esempio: Domanda 23: SKATEBOARDM520Q01a M520Q01b Enrico vuole montare da solo il suo skateboard. In questo negozio, qual è il prezzo minimo e il prezzo massimo degli skateboard «fai da te»? (a) Prezzo minimo: .............................zed (b) Prezzo massimo: ..........................zed 95 96 CAPITOLO 2 Osservando i test si nota come ai punteggi appartenenti al livello più basso corrispondano capacità di rispondere solo a domande molto semplici e dunque abilità bassissime, anche in relazione all’età della popolazione sottoposta al test. Dal punto di vista geografico, il campione italiano è stato stratificato nelle cinque aree consuete: Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud, Isole. Ricordando quanto detto sui livelli di competenze, nella tabella 1921 sono riportati i punteggi medi ottenuti dalle cinque aree geografiche, in cui i livelli di difficoltà sono stati per semplicità aggregati in tre classi di difficoltà, bassa, media e alta. Tabella 19 – Livelli di apprendimento e percentuale di studenti per ciascun livello di competenze in matematica e problem solving per area geografica Matematica Problem solving % studenti per livelli Media Errore standard Basso (1 e 2) Medio (3 e 4) Alto (5 e 6) Media Errore standard Nord Ovest 510 5,1 36,5 49,7 13,8 516 7,3 Nord Est 511 7,7 36,8 49,1 14 510 5,0 Centro 472 5,6 54,3 40,6 5,1 476 6,7 Sud 428 8,2 72,1 25,2 2,7 434 8,3 Sud e Isole 423 6,1 76,2 22,5 1,6 428 5,8 Italia 466 3,1 58,2 35,2 6,5 469 3,1 21 Fonte: INVALSI (a cura di), Prima sintesi dei risultati di PISA 2003. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 97 Le Isole hanno ottenuto un punteggio medio di 423 in matematica e di 428 in problem solving. Inoltre la maggior parte (76%) degli studenti siciliani è in grado di rispondere soltanto ai quesiti del livello di abilità più basso (negli esempi precedenti, circa la metà risponderanno alla domanda da 464 punti, mentre pochissimi, circa il 2%, sono in grado di rispondere alla prima domanda di matematica, da 687 punti). Confrontando tale punteggio con quello del Nord (circa 510 punti di media) vi è una differenza di quasi 100 punti; vale a dire che la media dei ragazzi settentrionali ha livelli di conoscenza che solo il 15% dei ragazzi del Sud riesce a raggiungere. Questo è un risultato abbastanza sbalorditivo. Si possono ipotizzare anche in questo caso dei livelli di abilità che assegnino ciascuno un ruolo in un gruppo di lavoro, in cui ad esempio coloro che superano 550 punti sono in grado di stare a capo del gruppo, chi ottiene da 480 a 550 appartiene ad un grado medio di abilità, cioè può eseguire correttamente i lavori che vengono impartiti dai capi, mentre chi sta al di sotto di 480 punti può essere poco di aiuto per il lavoro del gruppo. Immaginiamo questa volta una squadra di lavoro del Nord, una delle Isole e una giapponese, in modo da poter confrontare il nostro lavoro anche con quello di uno dei Paesi più sviluppati del mondo. 98 CAPITOLO 2 Grafico 6 – livelli di apprendimento in matematica --------------------------------- Giappone (550) ---------------------------------- 550 Nord (510) Italia (466) --------------------------------------------------------------------------------------- 450 Isole (423) Osservando i punteggi ottenuti (v. grafico 6), le tre squadre saranno composte come segue: • la squadra giapponese ha 5 lavoratori su 10 in grado di dirigere, altri 3 sono lavoratori competenti, e solo 2 persone su 10 hanno bisogno di essere capitanate; • la squadra del Nord d’Italia ha 4 individui su 10 che possono stare a capo del gruppo, altri 3 che eseguono correttamente gli ordini, e solamente 3 individui su 10 non sono autosufficienti nel lavoro, ma hanno ben 7 persone competenti a guidarli; • il gruppo siciliano ha solo un elemento su 10 che deve coordinare il lavoro di tutto il gruppo, 3 lavoratori che lavorano efficientemente, e i restanti 6 su 10 che, non avendo adeguato supporto, non apportano nessun aiuto alla squadra. È evidente, dunque, il divario che c’è tra il gruppo del Nord e quello del Sud, poiché il primo è molto simile ad una squadra giapponese, ed è ammissibile che svolga un lavoro efficiente, mentre il secondo è composto in modo tale che è probabile che incontri parecchie difficoltà e quindi scarsi risultati. ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 99 I risultati ottenuti in tutte le indagini internazionali qui prese in considerazione, mostrano, quindi, un profondo gap tra la nostra regione e il resto d’Italia. Questa condizione di arretratezza relativa all’istruzione è resa più chiara quando si osservano non soltanto i punteggi ottenuti, ma se ci si concentra sul tipo di domande a cui sono in grado di rispondere gli studenti medi in Sicilia, oppure sui risultati che può ottenere un gruppo di lavoro medio nella nostra isola. Analizzando tutto ciò, non si può più negare che la Sicilia, e in generale il Mezzogiorno, si trovino in una condizione di forte arretratezza in termini di qualità dell’istruzione e basse competenze. Fatto che, nonostante spesso non venga ammesso, viene in realtà percepito da tutti durante la vita quotidiana in Sicilia. 4. Implicazioni di politica economica Dimostrare che il capitale umano ha effettivamente un’influenza rilevante sui processi di crescita economica e che le carenze educative possono essere in parte causa dell’arretratezza dei sistemi economici, ha notevoli implicazioni sulle politiche di sostegno alla crescita di un Paese. Per molto tempo si è ritenuto che tra i fattori più rilevanti per lo sviluppo imprenditoriale di ciascuna area geografica vi fosse la dotazione di infrastrutture e che dipendesse soprattutto da queste la competitività di un territorio. Soltanto recentemente si sta iniziando a percepire, analizzando contemporaneamente la crescita economica e gli investimenti in infrastrutture, che i benefici derivanti da questi investimenti sono stati spesso praticamente irrilevanti. Un’analisi econometrica (Asmundo, 2003) relativa a questo fenomeno è stata effettuata nel contesto siciliano. Lo studio evidenzia che, nonostante l’economia della Sicilia continui a registrare dinamiche in termini di crescita sensibilmente divergenti rispetto al resto del Paese, contemporaneamente si evidenziano investimenti in beni strutturali (macchinari, costruzioni, ecc.) molto alti, in 100 CAPITOLO 2 seguito ad incentivi e politiche di sviluppo imprenditoriale. Infatti, lo sforzo per dotare il Meridione di infrastrutture ha visto lo Stato impiegare in quest’area risorse che a volte hanno superato la quota destinata al Centro-Nord, mentre solo più di recente la distribuzione degli investimenti è andata a svantaggio del Sud d’Italia. Restano comunque elevatissime le carenze della Sicilia, soprattutto per quanto riguarda la rete di trasporti. L’analisi econometrica condotta mette in relazione la spesa in opere pubbliche, considerata come proxy dell’investimento pubblico in infrastrutture, con le variabili economiche e con alcuni tradizionali indicatori di sviluppo. Dai dati ottenuti si rileva che le infrastrutture hanno certamente un ruolo di rilievo nei processi di sviluppo, ma che i benefici derivanti dagli investimenti in opere pubbliche, nel caso del Mezzogiorno e della Sicilia, non sempre sarebbero tali da giustificarne il costo collettivo. I risultati delle regressioni indicano che la spesa in opere pubbliche ha un ruolo statisticamente significativo ed economicamente rilevante nella misura in cui contribuisce ad allargare la base produttiva e ad elevare il livello dell’attività economica e del reddito in ambito regionale. A parte il modesto contributo fornito nell’area dei trasporti, tuttavia, nell’ambito delle regressioni il contributo della spesa in opere pubbliche non risulta significativo rispetto alle variazioni della produttività del capitale nel settore privato. Sembrerebbe, quindi, esclusa, almeno nella Regione, la possibilità di un effetto moltiplicativo sulla struttura produttiva regionale derivante dal miglioramento delle condizioni di contesto operato dalla spesa in opere pubbliche. Le regressioni, peraltro, confermano il potenziale, ancora inespresso, dei fattori endogeni nel processo regionale di crescita. Se si ammette, infatti, la validità delle teorie di crescita endogena e dunque, l’influenza del capitale umano nei processi di sviluppo economico, tali fallimenti di politica economica possono essere motivati dal fatto che gli effetti attesi in termini di crescita a seguito della destinazione degli ISTRUZIONE AL SUD: DATI ISTAT E TEST DI APPRENDIMENTO 101 investimenti in infrastrutture materiali non si realizzano in contesti che non sono dotati di adeguate risorse immateriali, come le competenze e le capacità degli individui. Pertanto la dinamica della spesa in infrastrutture, oltre a tradursi per la Sicilia in una dotazione nel complesso modesta, sembra paradossalmente aver sottratto notevoli risorse allo sviluppo. È opportuno quindi destinare sussidi sociali anche alla «formazione» (e quindi sostanzialmente all’ istruzione) al fine di promuovere la crescita di un capitale umano adeguato che possa, in relazione alle predizione dei modelli di crescita endogena, costituire il motore per il decollo economico dell’Isola. 102 CAPITOLO 2 Conclusioni Sono stati fino a questo punto riportati una serie di dati, esempi di test, risultati e punteggi ottenuti; ma a che cosa ci conducono concretamente? Innanzitutto è stato smentito il luogo comune secondo cui la Sicilia è una terra molto istruita. Che ci siano siciliani particolarmente bravi che hanno ottenuto una carriera di successo non c’è dubbio, ma qui si sta parlando di apprendimento generale, non di eccezioni. A proposito di istruzione generale si è dimostrato inoltre che il Sud è molto in ritardo rispetto al resto del Paese, e che la media della popolazione meridionale è a stento in grado di rispondere a semplicissime domande di Matematica, di Scienze (o di qualsiasi altra disciplina, non necessariamente scolastica), ma non di più. Si è dimostrato anche che, nonostante sia vero che la Sicilia è carente di infrastrutture materiali, serve però a ben poco dotarsi di strade, edifici, opere pubbliche, se prima non si fa in modo che la popolazione impari a ragionare in maniera adeguata. Se, come sembra, le teorie di crescita endogena hanno un riscontro concreto, probabilmente investire per il miglioramento del sistema dell’istruzione meridionale porterebbe finalmente dei benefici in Sicilia e al Sud, non solo in termini di crescita economica ma, più in generale, in termini di qualità della vita. BIBLIOGRAFIA AA.VV. (2000), La prevenzione della dispersione scolastica nella scuola secondaria di II grado nella provincia di Palermo, Provveditorato agli Studi di Palermo. AA.VV. (2002), Rapporto Finale sul Progetto Pilota sulla Valutazione del Sistema Istruzione, INVALSI. AA.VV. (2006), Adult Literacy and Life Skills / Letteratismo e abilità per la vita – Rapporto finale, in http://www.invalsi.it/ri2003/all/. AA.VV. (2005), Learning a Living: First Results of the Adult Literacy and Life skills survey, OCSE. AA.VV. (2003), ALL - Letteratismo e abilità per la vita, Rapporto Indagine Pilota, INVALSI, collana Educazione-Studi e Ricerche. Adams R. e Wu M. (2002), PISA 2000 Technical Report, OECD. Aghion P. e Howitt P. (1997), Endogenous Growth, MIT Press. Asmundo A. (2003), Crescita endogena, infrastrutture e capitale sociale: il caso della Sicilia, Economia Italiana n. 3, Capitalia. Barro R.J. (1991), Economic Growth in a Cross Section of Countries, Quarterly Journal of Economics, 106. Barro R.J. (1997), Determinants of Economic Growth: A Cross-Country Empirical Study, MIT Press. Barro R.J. (1998), Human Capital and Growth in Cross Country Regressions, Harvard University. Barro R.J. (1993) - Lee J.W., International Comparisons of the Educational Attainment, Journal of Monetary Economics, 32. Barro R.J. e Sala-i-Martin X. (1995), Economic Growth, McGraw-Hill. Basu Kaushik (1997), Analitical Development Economics – The less developed economy revisited, MIT Press. Benhabib J. e Spiegel M.M. (2002), Human Capital and Technology Diffusion, J.E.L., 04. Bils M. e Klenow P.J. (2000), Does Schooling Cause Growth?, The American Economic Review, vol. 90, n. 5. 104 BIBLIOGRAFIA Caputo A.M. (2005), Servizio Nazionale di Valutazione a.s. 2004-2005 – Sintesi del Rapporto Finale, www.invalsi.it. Hanushek E.A. e Kimko D.D. (2000), Schooling, Labor Force Quality, and the Growth of Nations, The American Economic Review, vol. 90, n. 5. ISTAT, Rapporto Annuale 2006. Lucas R.E. (1988), On the mechanics of economic development, Journal of Monetary Economics, 22. Mankiw G.N., Romer P., Weil D. (1992), A Contribution to the Empirics of Economic Growth, Quarterly Journal of Economics, 107. Nardi E. (2002), Il progetto Ocse-Pisa. Rapporto nazionale, in http://www.pisa.oecd.org/NatReports/cntry.htm. Nelson R.R. e Phelps E.S. (1966), Investment in Humans, Technological Diffusion and Economic Growth, American Economic Review, vol. 56. Romer P. (1986), Increasing Returns in Long Run Growth, Journal of Political Economy. Romer P. (1987), Growth based on the increases returns due at specialization, American Economic Review, Vol. 77. Romer P. (1990), Endogenous Technical Change, Journal of Political Economy, vol. 98. Romer P. (1992), Two Strategies for Economic Development: Using Ideas and Producing Ideas, Proceeding of the World Bank Annual Conference on Development Economics. ANALISI SUL CAMPO A PROPOSITO DI «Crescita endogena e misurazione del capitale umano: il caso del Mezzogiorno d’Italia» di Giovanna Di Benedetto Interviste ai volontari delle associazioni che lavorano con i giovani Punto di partenza dell’indagine condotta nell’ambito delle associazioni che lavorano con i ragazzi nelle realtà urbane siciliane più degradate è stato «Crescita endogena e misurazione del capitale umano: il caso del Mezzogiorno d’Italia» di Barbara Gatto. Premessa di questo lavoro è che i modelli più recenti di teorie della crescita di alcuni Paesi evidenziano come, in tale processo, abbia un ruolo fondamentale il cosiddetto capitale umano. Livelli di istruzione più elevati, dai quali consegue uno sviluppo delle competenze e delle capacità professionali dei lavoratori (elementi che rappresentano proprio il livello di capitale umano) sono adesso considerate variabili fondamentali per la crescita di un Paese. L’elemento che si vuole sottolineare è l’importanza che i livelli di istruzione hanno nel promuovere lo sviluppo di un Paese e come, incentivando l’educazione, si possa ridurre il divario tra i paesi più ricchi e quelli meno sviluppati. Se si ammette, infatti, la validità delle teorie di crescita endogena e, dunque, l’influenza del capitale umano nei processi di sviluppo economico, i fallimenti di politica economica in Sicilia vengono motivati dal fatto che non può avere conseguenze positive in termini di crescita la destinazione degli investimenti in infrastrutture materiali in contesti che non sono dotati di adeguate risorse immateriali, come le competenze e le capacità degli individui. Per trovare un riscontro concreto a quanto esposto da Barbara Gatto, abbiamo intervistato i volontari di dieci associazioni che operano in alcune delle zone più degradate delle realtà urbane isolane, dalle periferie ai centri storici, chiedendo loro, in base all’esperienza personale: 1) Quanto incide il livello di istruzione sul disagio sociale? Che titolo di studio hanno le persone seguite dall’associazione? Quanti sono gli universitari e i laureati? 2) Quanto è diffusa la conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere tra i soggetti che compongono la loro utenza? 108 3) Esistono al di fuori della scuola altri punti di riferimento sul territorio (istituzioni, singole persone, associazioni ecc.) che riescono a integrare e a supplire alle carenze formative del sistema scolastico siciliano - messe in luce da ricerche internazionali - che vengono considerate tra le principali cause della mancanza di sviluppo della nostra terra? Come investire sul «capitale umano», cioè sulla formazione ed educazione di giovani e meno giovani? 4) Quali sono i motivi delle lacune della scuola siciliana? Quali i punti deboli che non le consentono di essere competitiva con quelle delle altre aree del Paese? È una questione di soldi o di programmi, di cultura, di mentalità? 5) Partendo dai dati dell’Ufficio Scolastico Regionale, che confermano la debolezza delle scuole superiori siciliane - più del 30% dei diplomati ha avuto un debito formativo (indice di uno scarso apprendimento); alto è l’indice di dispersione scolastica (la media siciliana è del 16% con punte del 20 in provincia) - come si collocano nella società le persone che riportano debiti formativi o abbandonano la scuola? 6) Quanti sono i giovani e gli adulti che uniscono all’attività lavorativa la formazione continua per migliorare la propria posizione? 7) C’è, nelle fasce più disagiate, la percezione dell’importanza di un rafforzamento delle competenze e della capacità professionali per abbandonare lo stato di povertà e degrado? © Anna Maria Guarrasi, responsabile del «Gruppo di Volontariato Vincenziano» di Trapani e referente di delegazione del CeSVoP. 1) Parte dei giovani di cui si occupa l’associazione non sa scrivere, altri hanno il minimo livello di istruzione, cioè si fermano alle elementari. C’è molta dispersione scolastica tra i bambini delle famiglie delle case popolari della periferia di Trapani, dove gira droga con facilità, i genitori non seguono i figli nel percorso formativo e così gli adolescenti si trascinano fino alle medie. Il Gruppo di Volontariato Vincenziano, aggiunge Guarrasi, cerca di sostenere alcuni ragazzi donando libri (ad alcuni studenti dell’Alberghiero sono stati promessi testi e divise, nel caso di promozione). È stato organizzato il doposcuola per i bambini delle elementari. «Cerchiamo di inculcare che la scuola è importante». 109 2) Secondo Guarrasi, la conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere tra i giovani delle periferie è uguale a zero. «L’unico supporto che hanno – precisa – è il telefonino, anche se sono senza soldi. Nessuno ha il computer». 3) La responsabile del Gruppo di Volontariato Vincenziano suggerisce per il territorio un ritorno alle antiche abitudini di una volta, come, ad esempio, favorire l’aggregazione dei ragazzi nelle chiese e organizzare squadre di calcio, per consentire agli adolescenti di uscire dagli ambienti ristretti in cui vivono, delimitati da rione e famiglia, e allargare così il loro spazio mentale. 4) Con riferimento alle carenze del sistema scolastico regionale, Guarrasi punta l’indice contro la preparazione e formazione di molti docenti che non hanno il senso dell’insegnamento e non riescono ad instaurare un rapporto con i ragazzi, al punto da motivarli e farli interessare alle materie. «Se il professore è antipatico – afferma – lo studente non si sforza neanche. Anche gli insegnanti dovrebbero avere i voti, non solo i ragazzi». «Tra i problemi più diffusi – continua – ci sono droga e maternità precoci. Spesso vediamo ragazzine di 15/16 anni che devono affrontare gravidanze difficili, non essendo sposate ed essendo senza soldi né famiglie che le possono seguire. Molte vorrebbero abortire. Noi le aiutiamo fino a un anno di vita del bambino». 5) «I giovani più problematici sono quelli che abbandonano la scuola. Senza un pezzo di carta oggi non vai da nessuna parte. Alcuni di questi ci chiedono un aiuto per trovare un lavoro, spesso come uomini di fatica negli alberghi». 6) «Abbiamo cercato di indirizzare qualche lavoratore a seguire la scuola serale: nella maggior parte dei casi si iscrivono e poi abbandonano». 7) «Nel loro ambiente familiare non esiste la concezione dell’etica del lavoro. Spesso il padre non ha un’occupazione. Perché devono cercarla loro, se spacciando si guadagna di più? Non credono che la scuola li aiuti a trovare una sistemazione. C’è, inoltre, una visione maschilista diffusa, che porta a vedere la donna come colei che deve faticare per portare i soldi a casa. Molti uomini sono fannulloni e non hanno voglia di uscire dalle mura domestiche e di emergere». Filippo Maritati di «Nuovi Orizzonti», Caltanissetta, ente morale che © gestisce centri di socializzazione per disabili e giovani a rischio più due comunità alloggio per donne e minori abusati. 1) «Gli operatori dell’associazione hanno tutti percorsi professionali inerenti al settore sociale (assistenti dell’infanzia, psicologi, operatori e assistenti sociali). La maggior parte è in possesso di un diploma universitario. I 110 nostri utenti, invece, sono persone con disturbi, che necessitano di insegnanti di sostegno e, al massimo, hanno un diploma di scuola media (alcuni frequentano le superiori). Le ragazze madri delle comunità alloggio non hanno titolo di studio». 2) «Debole è la conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere». 3) «Nel territorio dobbiamo seguire ogni caso specifico direttamente con la scuola che in genere fa una selezione: spesso i ragazzi che provengono dalle nostre comunità residenziali non vengono ben accettati dagli insegnanti. I centri di socializzazione sono di frequente scambiati per doposcuola. Non c’è rispetto per la persona umana. Cerchiamo di creare una rete di collegamento con i singoli istituti scolastici, dove i ragazzi vengono ghettizzati e non collaborano. Noi facciamo da ponte tra scuola, famiglia e associazione. A volte invitiamo gli insegnanti delle scuole medie e superiori a venirci a trovare». 4) «I docenti non sono formati. Per molti il posto rappresenta solo una sistemazione e uno stipendio. La cosa più grave riguarda gli insegnanti di sostegno: l’80 per cento fa quel che fa per stare vicino casa e non in virtù di una scelta specifica. Abbiamo organizzato “scuola di volontariato” per i docenti prima che per gli studenti per promuovere la cultura della partecipazione attiva (come si fa a insegnare ai giovani, se i professori non recepiscono il messaggio?). Abbiamo notato che i problemi riguardano la scarsa formazione e l’informazione. Molti insegnanti non conoscono le associazioni che operano sul territorio e difficilmente sanno gestire i nostri ragazzi. Capita che ci chiedano un operatore per aiutarli all’interno delle classi con i giovani “difficili” della nostra comunità. C’è stato un 15enne che non è stato accettato dalla scuola media ed è stato poi preso da un istituto privato. Il caso ha determinato l’invio di un ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione». 5) «Molti studenti chiedono di fare volontariato nelle associazioni solo per avere crediti formativi. Per farli proseguire negli studi superiori, bisogna assicurare una buona preparazione già a livello di scuola media ed è importante che scuola e famiglia siano coinvolte e collaborino». 6) «Sono poche le persone che continuano a formarsi dopo aver iniziato a lavorare. In genere sono ritenuti più interessanti i corsi pratici, come l’alberghiero. A Riesi sono stato minacciato dal padre di un ragazzo perché volevo farlo tornare alle medie e invece il giovane serviva per pascolare le pecore (stavamo portando avanti un progetto contro la dispersione scolastica, che prevedeva la frequentazione delle nostre strutture il pomeriggio, nel caso in cui il giovane fosse andato a scuola di mattina). L’obiettivo era far rispettare le regole e strapparli alla delinquenza». 111 7) «La scuola da sola non può gestire le gravi situazioni di disagio sociale e povertà, in cui si ritrovano famiglie distrutte, spesso mononucleari. Ha bisogno di essere coadiuvata dalle associazioni di volontariato che operano sul territorio. Ci vuole un lavoro di rete e di collaborazione tra più enti e soggetti». Stella Maris Camarda, presidente di «Arte Insieme», associazione di © volontariato con sede in via Maqueda, nel cuore della Palermo antica, che da anni si occupa di adolescenti che vivono nella difficile realtà del centro storico. 1) «Il livello di istruzione incide moltissimo sul disagio sociale. I giovani delle realtà difficili non comprendono i vantaggi che potrebbero ricavare dalla formazione, non conoscono i propri diritti, considerano la scuola e gli studi una costrizione e, come tale, l’accettano con fastidio. Assumono un atteggiamento di sfida nei confronti di ciò che li circonda. A fatica raggiungono la terza media, nonostante il nostro impegno ad organizzare corsi di formazione professionale. Siamo costretti a prelevarli e a portarli in sede e bisogna, inoltre, fare opera di convincimento con le famiglie, che ostacolano tutto ciò che c’è di positivo, mentre plaudono al negativo. Conducono opera di formazione al contrario. Non partiamo da zero, ma da meno uno. Chiediamo aiuto, ma la scuola ci disconosce. Soprattutto negli anni passati, la nostra associazione era costituita da un bel gruppo e abbiamo cercato di avere un rapporto con la scuola, per capire cosa chiedesse». 2) «Non parlano neppure l’italiano, figurarsi una lingua straniera. Cerco di far capire ai giovani che non si possono chiudere nell’angusto perimetro di Ballarò, perché limitano se stessi. L’informatica è più diffusa, ma solo come gioco. Nell’ambito di un progetto, ho fatto comprare il computer per l’associazione, ma è stato arduo riuscire a realizzare un programma di informatica. I ragazzi facevano solo quello che li divertiva di più». 3) «Le associazioni di volontariato, se fossero ascoltate, seguite e supportate, potrebbero fare molto per arginare il disagio sociale. È terribile vedere un ragazzino con l’argento vivo addosso che ci chiede qualcosa e non potergli offrire nulla di quelle attività che non sono solo gioco, ma diventano formazione, non solo complemento ma integrazione. Anche una partita di calcio può rappresentare uno strumento per imparare a giocare e a stare con gli altri, seguendo delle regole. Questi giovani lamentano tante cose, non hanno alle spalle un sistema famiglia. Diffuso è l’analfabetismo dei genitori, che si comportano come se in realtà fossero figli dei loro figli. Mi batto per trovare le risorse per creare una sorta di convitto, per aiutarli nei compiti e coinvolgerli in attività 112 ricreative, non solo nella fascia pomeridiana, al fine di fare uscire le potenzialità di ognuno. Sono ragazzi interessati a una scuola diversa, che non sia solo compiti e insegnanti. Hanno un’età compresa tra i 6 e i 14 anni. C’è chi è stato allontanato dal nostro centro per cattiva condotta, ma abbiamo anche ragazze che, superata l’età, sono rimaste per aiutarci ad assistere i più piccoli, per sentirsi utili». 4) «Ci sono gravi carenze tra gli insegnanti. È una questione di mentalità, anche se esistono “maestri” che instaurano un rapporto bellissimo, perché si aprono umanamente. E’ necessario cercare di superare il proprio modo di pensare per entrare in contatto con il loro modo di vedere le cose. La scuola ha grandi difficoltà a gestire i ragazzi “difficili”. Io stessa non ho trovato dialogo con alcuni presidi e docenti, che dovrebbero modificare il metodo e non insegnare semplicemente la materia. Bisogna impartire una cultura di base. Mi ritrovo casi di ragazzi arrivati in seconda media, senza sapere leggere. C’è una grande disattenzione degli insegnanti sotto tutti i punti di vista. L’aggressività dei giovani è solo un modo di comunicare. Gli adolescenti che frequentano il nostro centro hanno alle spalle storie di grande sofferenza. C’è chi ha il papà in carcere o ubriacone, chi ha subito violenza. Cerchiamo di far uscire i problemi di ognuno. Vogliamo dimostrare loro che tutti lottiamo». 5) «Le ragazzine non hanno rispetto del proprio corpo, che considerano solo da un punto di vista estetico ed è facile che si prostituiscano. Sognano qualcuno che le porti via da una realtà difficile. Non conoscono i loro diritti. La stessa formazione non la vivono come tale. La mancata conoscenza chiude loro molte strade. Non capiscono i vantaggi che hanno dall’assistenza, tipo libri gratuiti, ecc. La usano male. I ragazzi hanno necessità di essere ascoltati e sarebbe utile intervenire prima che i loro bisogni si formino. Ma se aspettano e vedono che nulla cambia e che i loro sogni rimangono tali, si demoralizzano. La scuola non riesce a reggere. Lo studente che disturba viene sospeso e poi reintegrato. La scuola e la tv non aiutano a trovare modelli diversi. C’è molto sesso, devianza, se fumi sei considerato favoloso». 6) «È quasi inesistente la formazione in età adulta. Pochi sono quelli che si promuovono. La famiglia è matriarcale, il padre è sollecitato a intervenire solo quando c’è da punire, spesso con la violenza, la madre è troppo permissiva o esageratamente presente e ostacola il processo di crescita. Le mamme non lavorano. All’inizio avevamo intrapreso iniziative di alfabetizzazione degli adulti (la maggior parte si sono fermati alle elementari). Conosciamo solo una mamma con un diploma che lavora in un bar». 7) «Non c’è alcuna percezione dell’importanza di un rafforzamento delle 113 competenze professionali. I riferimenti di questi ragazzi sono adulti, per lo più donne, madri, zie spesso con problemi, che a loro volta, andrebbero seguite». Aurora Mangano, dell’associazione palermitana «Madre Serafina © Farolfi» che opera al Capo «Ci occupiamo di minori a rischio, tutti di età compresa tra i 6 e i 14 anni, che frequentano le scuole elementari e medie. È poco diffusa tra loro la conoscenza dell’informatica e delle lingue straniere. Le famiglie ci chiedono in tali ambiti un supporto, che a volte è fornito da qualche insegnante». «Molti ragazzi delle medie non sanno leggere. La scuola da sola non riesce a colmare queste lacune, a causa di difficoltà che nascono proprio dall’impostazione del sistema scolastico. Un aiuto potrebbe venire dal volontariato, che porta avanti tanti progetti, anche se in Sicilia non si è ritagliato un grande spazio e, in ogni caso, non può garantire una continuità. I ragazzi, inoltre, si ritrovano soli, senza il supporto delle famiglie, che spesso li ostacolano. Una giovane che frequenta il nostro centro è stata costretta dalla madre a non seguire più le lezioni. A volte arrivano al doposcuola senza zaino o libri. Non abbiamo molti contatti con i genitori, che raramente accompagnano da noi i loro figli». © Gabriella Giacco, responsabile provinciale del «Gruppo di volontariato Vincenziano» di Aragona «Abbiamo un centro ricreativo e di recupero scolastico. Forniamo i libri e supportiamo i ragazzi delle scuole elementari e medie nel loro percorso formativo, facendo doposcuola e affiancando attività culturali e sportive. Il Comune e la scuola si interessano molto al fenomeno della dispersione scolastica. La presenza di immigrati ad Aragona è diffusa e con l’avvento dell’euro si è registrato un aumento della povertà. Spesso i giovani trovano delle difficoltà in ambito familiare, non perché i genitori li ostacolino a proseguire gli studi ma perché proprio non hanno la possibilità di aiutarli ad andare avanti». «Come centro, abbiamo fatto domanda al Comune per avere computer dismessi ma non abbiamo ricevuto risposta. Qualche anno fa, ho fatto un giro delle scuole per cogliere i bisogni dei bambini. Oggi si sta perdendo di vista l’alunno. È un’idea pazzesca lavorare per progetti. Negli ultimi 3 anni ho visto dilagare l’ignoranza. Nel passato c’erano molti studenti, da noi seguiti, che sono riusciti ad andare all’Università, pur senza averne i mezzi e anche chi si trasferiva in altre regioni con le famiglie si distingueva per la preparazione». 114 «L’emigrazione è un fenomeno in crescita. In tanti sono costretti a lasciare Aragona. Conosco ex giovani che si sono sposati, hanno avuto diversi figli e sono andati a lavorare a Milano, pur senza un titolo di studio. I loro figli oggi studiano». «Qui da noi è diffusa la formazione dopo la scuola. Sono molto seguiti i corsi finanziati dall’Unione europea, ma quando i giovani si rendono conto che non c’è lavoro o vanno via o cadono nella devianza (alcol, droga, ecc..). Nei contesti di povertà reale, è difficile far comprendere l’importanza dell’istruzione. La maggior parte delle persone non ne vuole sapere. C’è una ragazza che ha lasciato molto presto la scuola e oggi bussa a tutte le porte per una sistemazione, ma le viene richiesto ovunque un titolo di studio». Sarina Ingrassia, fondatrice dell’associazione «Il quartiere» di Monreale © 1) «L’istruzione incide profondamente sullo stato sociale. Chi sa parlare, si difende con le parole e con l’ingegno. Chi non lo sa fare, spesso ha reazioni violente. Oggi soprattutto che la cultura è potere e il linguaggio usato è elitario. La cultura è basilare. Ho speso tutta la mia vita per rispondere a quest’esigenza. Nella nostra associazione ci sono ragazzi cresciuti che fanno da guida ai più piccoli, in particolar modo, nell’ambito del gruppo sportivo (abbiamo una squadra di calcio composta da una ventina di giovani)». 2) «L’informatica è abbastanza diffusa, soprattutto tra coloro che frequentano l’Università, che hanno i computer. Gli altri posseggono anche più di una televisione e cellulari (persino un bambino di seconda elementare ne ha uno). Sconosciute le lingue straniere». 3) «I problemi che non si risolvono a scuola, non si risolvono neanche fuori. Dal punto di vista dell’istruzione, noi possiamo mettere una pezza. Facciamo opera di alfabetizzazione e cerchiamo di capire perché il ragazzo arriva a quel punto. Ce la mettiamo tutta per superare le difficoltà, ma è arduo. Oggi la scuola è frequentata da due categorie diverse: i piccoli del mio quartiere che non sanno come si chiamano le dita di una mano o come si legge un orologio e i figli dei colleghi insegnanti che conoscono le capitali del mondo ancor prima di iniziare. La scuola ha delle responsabilità. Conosco adolescenti a cui hanno mandato il diploma a casa. Uno di questi non frequentava dalla seconda media e ha fatto gli esami di licenza. Io gli ho detto: “Non è meglio se vai alla scuola serale?”. La preside, invece, l’aveva ignorato. Vogliono allontanarli dalla scuola, perché è difficile gestire certi alunni. Così loro restano quello che sono, analfabeti». 115 4) «In altre zone d’Italia il discorso sociale è stato molto sviluppato. Anni fa a Parma quattro bambini di genitori separati sono stati lasciati a casa con la nonna, che aveva dato incarico a quattro universitari di seguirli. Per dire l’attenzione. Da noi si mandavano in collegio. Questo ci ha rovinato. La politica negli anni 60/70 ha ristrutturato chiese, anziché fare scuole. Non c’è stata attenzione nei confronti delle problematiche sociali. Altra cosa gravissima: le classi numerose. La legge sulle compresenze prevede due classi per tre insegnanti. Per tre giorni la maestra ha venticinque alunni. Come fa a stare dietro a tutti? Non può gestire il particolare, ma solo l’insieme. Con quindici studenti, invece, si potrebbe lavorare ed evitare che diventino emarginati quei quattro/cinque che hanno problemi: il disagio culturale si trasforma in disagio sociale. Perdono la stima in loro stessi». 5) «I ragazzi che seguiamo fanno tutti i garzoni. Un adolescente ha lasciato la scuola media e sta da mezzogiorno a mezzanotte al negozio di polli. Stiamo cercando di fargli riprendere gli studi la mattina». 6) «Non c’è la percezione dell’importanza dell’istruzione. I genitori mandano i loro figli a lavorare come commessi o fattorini per guadagnare qualche soldo. I giovani non sono disperati e non cercano di migliorare la loro posizione frequentando corsi professionali. In queste classi sottosviluppate la colpa si dà al minore: si dice che è distratto, che non vuole andare a scuola, non si indaga sulle cause». Giuseppe Candolfo di «Arciragazzi», Palermo. © 1) «La scuola, nella migliore delle ipotesi, riesce a trasferire contenuti di tipo teorico e gli adolescenti si trovano ad affrontare la difficoltà di trasformarli in cose concrete. Lavoriamo molto a Borgo Nuovo. Il nostro percorso prevede che i progetti siano pensati e gestiti dagli stessi ragazzi. Organizziamo spesso iniziative nelle scuole. Il disagio sociale è diffuso. Nelle famiglie medio-borghesi prevale il consumismo, la noia, il rifugio nella droga o nell’alcol. Tra i più poveri troviamo la violenza e la difficoltà a sopravvivere in contesti difficili. Seguiamo giovani di tutti i tipi». 2) «Mettiamo a disposizione computer con accesso a Internet. È stato attivato anche un “account” a Messanger per facilitare gli scambi con i coetanei di altri Paesi. Sono previste almeno due o tre esperienze all’anno con associazioni straniere per dare la possibilità ai nostri giovani di un confronto diretto. L’anno scorso sono stati in Estonia e Turchia, mentre qui da noi sono arrivati ragazzi dall’Estonia, dalla Francia, dal Portogallo, dalla Spagna e dal Belgio». 116 3) «La mia conoscenza delle realtà al di fuori della scuola si limita al mondo dell’associazionismo. Il doposcuola, per come è strutturato, non so che risultati possa dare. Non è progettuale e non è finalizzato alla crescita dell’adolescente. Ci sono delle associazioni che autonomamente elaborano percorsi formativi e, quindi, di crescita. In generale, temo si ragioni per “tappare i buchi” e non in prospettiva. Anche il terzo settore dovrebbe prepararsi alle sfide europee, prima fra tutte quella del 2010. Ho, invece, la sensazione che i corsi di formazione siano concepiti per chi li fa e non per i destinatari». 4) «Il problema della scuola si colloca su due livelli. Uno riguarda il tessuto economico della Sicilia, per cui un limite è rappresentato dal fatto che i ragazzi non hanno sbocchi e non c’è un collegamento col mondo della produzione. L’altro aspetto riguarda la figura del docente, che dovrebbe essere educatore, avere capacità relazionali, di ascolto, di confronto. Spesso, invece, è come se si arroccasse su posizioni di potere, solo perché ha una cattedra. La scuola è un po’ autoreferenziale, anche se forse negli ultimi dieci anni qualcosa è cambiato». 5) «È molto basso il livello delle scuole superiori siciliane. Oggi viviamo nella società della conoscenza e dell’informazione, in cui le competenze devono essere alte. Purtroppo nella nostra città molte persone si improvvisano. Fanno di tutto, dall’imbianchino all’elettricista, senza approfondire nulla. Così si rischia di essere esclusi». 6) «Nel mio ambiente, quello degli operatori sociali, quasi tutti continuano la formazione al di fuori del normale ciclo di studi per affrontare le dinamiche e i cambiamenti. Se i ragazzi vedono che anche io non mi sento arrivato, si sentono motivati a continuare a formarsi». 7) «Non credo ci sia una consapevolezza dell’importanza dell’istruzione, se qualcuno non ti rende consapevole. In certi contesti, la scuola viene considerata una perdita di tempo. La responsabilità è degli insegnanti che non sanno parlare con i ragazzi difficili, drop out, perché non ne conoscono il linguaggio. Anche il terzo settore ha le sue responsabilità, ma in misura minore rispetto alla scuola che riesce a raggiungere, rispetto a noi, un numero di persone maggiore». Bice Salatiello, associazione «Laboratorio Zen Insieme» © 1) «Lavoriamo allo Zen 2, dove l’evasione scolastica è del 30 per cento. Chi si ferma alla terza media non è padrone neanche della lingua italiana. L’istruzione scarsa e l’abitare in periferia sono fattori che non consentono di entrare nel mercato del lavoro». 117 2) «I nostri giovani si stanno avvicinando all’informatica un po’ grazie alla scuola e in parte grazie a noi. Stiamo, inoltre, cercando di utilizzare il Servizio Civile Internazionale per far conoscere le lingue straniere». 3) «Nel territorio nel quale operiamo, al di fuori della scuola, c’è praticamente solo la nostra organizzazione di volontariato. Non ritengo giusto però che le associazioni si sostituiscano alla scuola. Se questa funzionasse...». 4) «È questione di preparazione di insegnanti, presidi, direttori. Non hanno l’adeguata formazione psicologica, pedagogica, non capiscono gli adolescenti e così la scuola diventa “rifiutante” e tende ad espellerli». 5) «Molti dei giovani che abbandonano gli studi finiscono a spacciare droga». 6) «Non esiste la formazione al di fuori delle aule scolastiche. C’è un rifiuto dell’istruzione, della preparazione professionale legato alla non conoscenza». 7) «Non c’è alcuna percezione dell’importanza dell’istruzione. Noi abbiamo aperto uno sportello informativo per il lavoro. Tutti chiedono un posto come muratore, anche se poi emergono altre competenze (hanno lavorato come elettricisti, falegnami ecc...). Li aiutiamo a compilare i curricula». Enzo Madonia, «Cittadella culturale dei giovani» di Gela. © 1) «L’istruzione incide moltissimo sul disagio sociale. In una scala da 1 a 10, direi 10. La maggior parte dei nostri utenti sono studenti delle superiori. Intorno ai 20 anni, li spingiamo a fare esperienze di servizio fuori dall’associazione (in ambito politico, sindacale, ecclesiale, tramite un impegno sociale che si testimonia dinanzi alla collettività) per evitare di creare legami di dipendenza con gli educatori. Abbiamo notato un allungamento nell’età delle scelte». 2) «L’informatica è abbastanza conosciuta, le lingue straniere pochissimo. Per incrementarne la diffusione, abbiamo organizzato tre campi internazionali di volontariato ed esperienze di servizio in una dimensione interculturale (i settori erano educazione ambientale e legalità). Abbiamo, inoltre, trasformato un parco abbandonato nella “Cittadella culturale dei giovani”, con sala prove, teatro, anfiteatro. Lavoriamo insieme all’università. Vogliamo mettere in evidenza l’importanza della lingua come strumento di comunicazione e come mezzo per allargare il mercato del lavoro». 3) «Sul territorio ci sono gruppi informali che lavorano in modo costante, con educatori adeguatamente formati, oltre a 12 gruppi giovanili, uno per ogni 118 parrocchia, che seguono 1200/1400 ragazzi tra i 14 e i 20 anni, senza contare i bambini che sono molti di più. Sono forme di volontariato al di fuori degli schemi formali, perché non vogliono bilanci né presidenti. Poi ci sono i gruppi costituiti in associazione, come gli scouts. C’è la presenza di un progetto educativo cittadino che si declina nelle forme dell’impegno del territorio, a partire dai quartieri. Di fondo c’è la motivazione cristiana, la visione di una società in chiave solidale e di giustizia». 4) «È una questione di ruoli. Si registra una limitazione di risorse e un aumento dei progetti. La scuola non riesce a essere luogo educativo perché non riesce a catalizzare le esperienze che ha intorno. La scientificità dei progetti sta facendo venir meno l’azione della rete, perché si cercano enti e gruppi per fare partenariato in una visione che punta alla somma di sigle ma non alla rete, che significa condivisione di un percorso educativo. Poi non c’è una relazione educativa con il ragazzo. Il docente rimane formale. Insegnanti e studenti restano due mondi distinti. Chi aiuta i giovani a elaborare l’esperienza?». 5) «Se hanno voglia di imparare, hanno possibilità di inserirsi. Gli uffici Informagiovani sono diventati luoghi e spazi che ospitano computer, non luoghi di animazione in grado di aiutare i ragazzi ad esprimersi e a confrontarsi. C’è mancanza di autonomia da parte dei giovani, che hanno bisogno di qualcuno che li accompagni in un qualunque percorso, anche d’impresa. Il compito degli educatori è quello di accompagnare. Bisognerebbe promuovere Agenzie di sviluppo di politiche giovanili, con educatori capaci di proporre iniziative, non luoghi e spazi fini a se stessi. Manca una strategia educativa per i ragazzi di oggi». 6) «Nelle strutture associative organizzate si diffonde sempre più il concetto di formazione permanente. Cerchiamo di favorire la partecipazione a corsi, seminari. Il problema è che manca l’ultimo start up, qualcuno che dia la possibilità di mettere a frutto l’esperienza acquisita». 7) «Penso che questa consapevolezza non ci sia. Se l’avessero, metterebbero in campo le loro potenzialità. La conoscenza produce conoscenza. I ragazzi, per sviluppare la voglia di andare avanti e uscire dall’ignoranza, devono essere informati. Alcuni giovani, quando hanno saputo dell’esistenza di alcune esperienze di servizio, le hanno seguite con entusiasmo. Bisogna diffondere l’informazione per dare la possibilità di sfruttare le risorse individuali». © Stefania Vella, responsabile «Meter» di Gela 1) «Naturalmente c’è una correlazione tra i livelli di formazione e il disagio sociale, anche se nel caso di abusi sui minori non è così automatico che 119 allo scarso livello di istruzione corrisponda un disagio sociale. Anzi, questo cresce tra le classi medie». 2) «Molto ridotta è la diffusione delle conoscenze informatiche e delle lingue straniere». 3) «Esistono, da un punto di vista quantitativo, differenti realtà sul territorio al di fuori della scuola, tra associazioni di volontariato, parrocchie e oratori, ma non possono sostituirsi ad essa a livello qualitativo». 4) «Sono tante le concause del declino della scuola. È una miscela di risorse, strutture, politica». 5) «Chi abbandona gli studi, ha grosse difficoltà a inserirsi nel tessuto sociale. O emigra o viene assoldato nella realtà malavitosa o diventa un nullafacente». 6) «Si assiste a un incremento di offerta e di domanda di formazione parallela a quella scolastica, dai corsi parascolastici a quelli post diploma, che spaziano dall’informatica al terzo settore». 7) «Solo se incontrano qualcuno che li renda consapevoli dell’importanza dell’istruzione, i giovani aprono gli occhi. Altrimenti, in genere, non ne apprezzano la funzione». Finito di stampare nel mese di marzo 2008 coi tipi della Pittigrafica s.a.s. Tecniche Editoriali Via S. Pelligra, 6 - 90128 Palermo Tel./Fax 091.481521 - Tel. 091.6614212 e-mail: [email protected]