Marzo 2004 - ASL Roma B

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Marzo 2004 - ASL Roma B
Dicembre 2003
Livelli di magnesio ed eventi neurologici
Stroke 2004; 35: 22.
Low Serum Magnesium Predicts Neurological Events in Patients
With Advanced Atherosclerosis
Amighi J, MD; Sabeti S, MD; Schlager O, MD et al.
Poiché è stato ipotizzato che il deficit di magnesio sia un fattore di rischio
per l’aterosclerosi cerebrovascolare e le sue complicazioni, gli Autori
hanno studiato la correlazione tra i livelli di magnesio e l’incidenza di
eventi neurologici nei pazienti con aterosclerosi avanzata.
Sono stati arruolati 323 pazienti con arteriopatia periferica sintomatica e
claudicatio intermittens (di cui 197 uomini, età mediana di 68 anni). Per
tutti è stato valutato il livello sierico di magnesio ed i pazienti sono stati
seguiti per un periodo di 20 mesi, considerando come evento neurologico il manifestarsi di stroke di natura ischemica e/o l’intervento di rivascolarizzazione della carotide. Nell’11% della popolazione campionaria (35
soggetti) si sono verificati eventi neurologici (15 pazienti con stroke, 13
con rivascolarizzazione della carotide, 7 con stroke e conseguente rivascolarizzazione). I pazienti che presentavano livelli sierici di magnesio
meno elevati (< 0.76 mmol/L) hanno presentato un maggiore rischio di
manifestare un evento neurologico; i pazienti con valori sierici compresi
tra 0.76 mmol/L e 0.84 mmol/L non risultavano essere più a rischio della
rimanente popoalzione campionaria. Il livello di magnesio non è stato associato con la mortalità generale o con eventi coronarici durante il followup. Gli Autori sono quindi giunti alla conclusione che bassi livelli sierici di
magnesio indichino un elevato rischio di sviluppare eventi neurologici nei
soggetti arteriopatia periferica sintomatica e che risulta opportuno somministrare terapia sostitutiva con magnesio nei soggetti con avanzata
aterosclerosi.
Rivista disponibile presso le seguenti biblioteche di Roma: Biblioteca
della Facoltà di Medicina e Chirurgia A.Gemelli - Biblioteca dell’Istituto
Superiore di Sanità - Biblioteca Medica Statale - Biblioteca dela II Facoltà di medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi La Sapienza, Ospedale S.Andrea - Biblioteca Area Bio-Medica “P. Fasella” Università Tor
Vergata.
l catalogo Italiano dei Periodici, tramite il quale è possibile conoscere in quali biblioteche sono presenti i periodici, è reperibile all’indirizzo internet: http://acnp.cib.unibo.it/cgi-ser/start/it/cnr/fp.html
Trimestrale di Medicina Preventiva
redatto a cura del
Dipartimento di Prevenzione ASL RmB
Viale Battista Bardanzellu, 8 00155 Roma
tel. 0641434906
fax 0641434957
e-mail: [email protected]
In questo
numero:
Il mobbing nell’ambulatorio
del medico di medicina generale
Proprietà
Azienda Unità Sanitaria Locale Roma B
Direttore responsabile
Fabrizio Ciaralli
• Il mobbing
nell’ambulatorio del medico
di medicina generale
Maria Giuseppina Bosco
Settore Igiene e Sicurezza del Lavoro – ASL Roma B
PREMESSA
Redazione
Maria Giuseppina Bosco,
Matteo Ciavarella, Gaetano Di Pasquale,
Angela Marchetti, Pierangela Napoli,
Sergio Rovetta, Pietro Russo,
• Medicina di famiglia,
disease management
e approccio per processi
(II PARTE)
Barbara Troiani, Massimo Valenti,
Romano Zilli
Hanno collaborato a questo numero
Valter Accomasso, Maria Giuseppina
Bosco, Carlo Calabrese, Marinella
D’Innocenzo, Maurizio Di Nora,
Luca Fersini, Elisabetta Franco,
Gladia Macrì, Valentina Rebella,
• La terapia del dolore
nuove modalità prescrittive
• La prevenzione
delle reazioni allergiche
da anestetici locali
in odontostomatologia
Salvatore Tripodi, Loredana Vasselli
• Nuovi modelli
organizzativi per
l’assistenza infermieristica
in italia: il modello
dell’ambulatorio
infermieristico territoriale
della asl roma B
Note per i collaboratori.
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Marzo 2004 • Vol.1 - fasc.3
“Prevenendo”
IRecensioni a cura di Luca Fersini, Valentina Rebella
Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva Università Tor Vergata - Roma
La collaborazione al giornale è aperta a tutti e gli articoli firmati impegnano
esclusivamente la responsabilità degli autori. La Redazione si riserva in ogni
caso l’accettazione dei lavori. La proprietà letteraria ed artistica di quanto
pubblicato è riservata alla Rivista.
Prevenendo ringrazia tutti i futuri collaboratori che vorranno adeguarsi alle
seguenti indicazioni per la stesura e l’invio del materiale da pubblicare.
Gli articoli dovranno pervenire alla Redazione Prevenendo su supporto cartaceo e magnetico o via e-mail, utilizzando un formato di tipo diffuso (ambiente
Windows). Si riserva, altresì, di proporre le eventuali modifiche che si rendessero necessarie per soddisfare i criteri di uniformità editoriale. Gli eventuali
grafici e le figure dovranno in ogni caso essere accompagnati dai dati grezzi
necessari per la loro realizzazione.
I lavori, inediti, devono essere inviati alla Redazione presso:
Dipartimento di Prevenzione Asl Rm/B
viale Battista Bardanzellu, 8 – 00155 Roma – tel. 0641434906- 0641434619
fax 0641434957 – e-mail: [email protected]
Il materiale inviato, anche se non pubblicato, non verrà restituito.
ISSN 1722-0831
(II PARTE)
Anno III numero 1
Autorizzazione Tribunale di Roma
del 20/12/2001 n.573
chiuso in redazione il 30/03/04
stampato in proprio
• Leishmaniosi
viscerale umana
e leishmaniosi canina
• Influenza: rapporto tra
vaccinazione ed epidemia
• Flash dalla letteratura
internazionale
a problematica del mobbing, inteso
come comportamento aggressivo e
minaccioso di uno o più componenti del
gruppo verso un individuo in ambiente di
lavoro, è venuta prepotentemente alla ribalta in Italia nel corso degli ultimi dieci
anni ed ha visto una crescita esponenziale dell’attenzione da parte di agenzie
sanitarie nazionali e internazionali, enti
di ricerca e servizi territoriali, nonché dei
media e dell’opinione pubblica.
Si assiste ad un continuo aumento delle
richieste di aiuto, da parte di chi ne è vittima, legato sia a fattori strutturali (ristrutturazioni aziendali, nuove forme di lavoro) che ad una maggior consapevolezza
della possibilità di rivolgersi ad enti ed organizzazioni pubbliche o private per valutare e modificare la propria condizione
lavorativa.
Per questo un numero sempre più grande di casi giunge all’osservazione del
medico di medicina generale che diviene
così uno dei professionisti chiamati ad un
compito di accoglienza.
L
DEFINIZIONI
Sull’importanza di questo ruolo torneremo dopo aver tentato di dare alcune definizioni o meglio ridefinizioni del fenomeno, in quanto “se tutto è mobbing nulla è
mobbing” (Gilioli). Il rischio che si corre,
infatti, è quello di attribuire al termine,
oramai entrato irreversibilmente nel linguaggio comune, il significato di disagio
vissuto nell’ambiente di lavoro, di qualunque tipo, origine e di qualunque intensità.
La dimensione del mobbing è invece
quella di uno dei fattori di rischio cosid-
detti “psicosociali” che sono oggi studiati
come rischi lavorativi accanto a quelli tradizionalmente noti (rischi chimici, fisici,
biologici ecc.). Nella tabella 1 i rischi psicosociali sono sintetizzati come aspetti
stressogeni dell’organizzazione del lavoro, legati ai contenuti e al contesto lavorativo, che hanno la capacità di determinare danni a livello fisico e psicologico.
Alcuni di questi rischi, come il sovraccarico lavorativo o il sottocarico fino all’inattività, utilizzati in modo estremo e spesso
intenzionale, diventano azioni di mobbing.
Una definizione interessante del fenomeno è quella contenuta nella legge
francese (Legge n. 2002-73) che si riporta di seguito:
“Azioni ripetute di molestie morali che
hanno per finalità o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro, atto a ledere
i diritti e la dignità, alterare la salute fisica
o mentale o compromettere l’avvenire
professionale”. Una definizione simile è
contenuta nel testo di legge predisposto
dall’apposita commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in Italia.
Le caratteristiche essenziali dell’azione
di mobbing sono
• la ripetitività delle azioni di molestia
• la loro continuità, il protrarsi nel tempo
• l’intenzionalità lesiva, o comunque, al
di là dell’intenzionalità, l’effetto lesivo
delle azioni ripetute di molestia
Tali azioni condizionano il crearsi di un
ambiente di lavoro ostile in misura tale da
provocare danni per la salute oltre che
per l’avvenire professionale delle persone colpite.
Dunque il mobbing è identificabile come
un fattore di rischio occupazionale in gra-
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CONTENUTI
DEL LAVORO
CONTESTO
LAVORATIVO
TABELLA 1 CARATTERISTICHE STRESSANTI DEL LAVORO (rischi psicosociali)
CATEGORIA DI RISCHIO
CONDIZIONI DI RISCHIO
CULTURA ORGANIZZATIVA
Scarsa comunicazione, bassi livelli di sostegno nella risoluzione di problemi
e nello sviluppo personale, carente definizione degli obiettivi organizzativi
RUOLO NELL’ORGANIZZAZIONE
Ambiguità di ruolo, conflitti di ruolo, responsabilità per le persone
STABILITA’ E SVILUPPO DI CARRIERA
Blocco nella carriera, incertezza, mancanza o eccesso di promozioni,
scarsa retribuzione, insicurezza del lavoro, basso valore sociale del lavoro
POSSIBILITA’ DI DECISIONE/ CONTROLLO
Bassa partecipazione al processo decisionale, bassa possibilità
di controllo sul lavoro
RELAZIONI INTERPERSONALI
Isolamento sociale o fisico, scarse relazioni con i superiori, conflitti
interpersonali, scarso sostegno sociale
INTERFACCIA FAMIGLIA - LAVORO
Richieste conflittuali da parte del lavoro e della famiglia, scarso sostegno
in famiglia
AMBIENTE DI LAVORO E ATTREZZATURE
Problemi di affidabilità, disponibilità, appropriatezza, manutenzione
di attrezzature e impianti
COMPITO
Carenza di varietà, cicli di lavoro brevi, lavori frammentati o privi di senso,
incertezza elevata
CARICO / RITMI
Sovraccarico o sottocarico, carenza di controllo sui tempi, alti livelli
di pressione temporale
ORARIO
Turni, programmazione rigida, orari imprevedibili, lunghi o che alterano
i ritmi sociali
(Agenzia Europea per la salute e Sicurezza al Lavoro, 2000)
do di provocare danni anche gravi alla salute dei lavoratori, definiti come sindromi
correlate ad un ambiente di lavoro ostile.
Ma quali sono le azioni, compiute da individui o dal gruppo nei confronti del lavoratore definibili come molestie morali? Si
considerano esempi di azioni di mobbing
i seguenti “attacchi alla persona” (OMS):
• danneggiamento di oggetti personali
• derisione, soprattutto in presenza di
colleghi e di superiori
• diffusione di false informazioni
• esclusione
• intrusioni nella vita privata
• isolamento
• istigazione dei colleghi contro la vittima
• maldicenze
• minacce di violenza fisica
• molestie sessuali
• offese verbali
• provocazioni
• umiliazioni
Rientrano nelle azioni di violenza anche
quelle più strettamente legate alle modalità o ai contenuti del lavoro, come:
• assegnazione di compiti inadatti o pericolosi, anche in relazione a condizioni di diversa abilità
• assegnazione di compiti “impossibili”
senza adeguati strumenti e/o formazione
• assegnazione di compiti privi di significato
• sovraccarico estremo
• inattività forzata
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• eccesso di controllo, critiche ripetute,
azioni disciplinari immotivate
• minacce di retrocessione, licenziamento
• trasferimenti ripetuti e immotivati
• attribuzione di compiti dequalificanti
rispetto alla professionalità
• esclusione sistematica dall’accesso
ad informazioni, attività di formazione
e aggiornamento
GLI ATTORI E LE MOTIVAZIONI
Le azioni di mobbing sono esercitate,
nella maggioranza dei casi, da persone
in posizione gerarchica superiore; non
mancano però i casi agiti dal gruppo dei
colleghi.
La motivazione all’esercizio del mobbing
può essere strategica, quando è direttamente finalizzata all’espulsione del soggetto dal posto di lavoro (ad esempio in
caso di cambio di gestione aziendale con
dirigenti “in esubero”, o di dipendenti
“scomodi” perché sindacalizzati, o di dipendenti con problemi di idoneità al lavoro per motivi di salute) oppure relazionale, quando i capi o i colleghi emarginano
persone in quanto diverse dal punto di vista culturale, religioso, politico o semplicemente diversamente motivate nei confronti del lavoro.Ancora, le azioni di molestia possono essere esercitate da manager e dirigenti aziendali in quanto culturalmente inadeguati al loro compito.
Patologie psichiatriche, coronaropatie ed ipertensione
BMJ, 2004; 328: 939 – 43 (disponibile full-text all’indirizzo internet: http://bmjjournals.com)
Treatment of anxiety and depressive disorders in patients with cardiovascular disease
Simon J C Davies, Peter R Jackson, John Potokar, David J Nutt
La review prende in considerazione la presenza di ansia e depressione in pazienti con malattie cardiovascolari.
E’ stato evidenziato che uno stato di ansia, panico e depressione sono piuttosto comuni in pazienti con coronaropatie ed ipertensione. La base biologica di tale associazione può essere ricondotta al deficit di serotonina, trattabile con SSRI (inibitori del reuptake della serotonina): questi farmaci aumentano la disponibilità della serotonina a livello sinaptico e possono proteggere dal rischio cardiovascolare attraverso la riduzione dell’attivazione
delle piastrine. Dalla review emerge, inoltre, che i disordini psichiatrici non trattati peggiorano la prognosi dei pazienti con patologie cardiovascolari. Il trattamento con SSRI è risultato il più efficace nei pazienti con patologia
cardiovascolare: può infatti aumentare la sopravvivenza dopo infarto nei pazienti depressi. Nel management dei
pazienti con coronaropatie ed ipertensione sarebbe opportuno inserire anche la diagnosi ed il trattamento di
eventuali concomitanti stati di ansia e di depressione.
IL DANNO ALLA PERSONA
Alcuni dei disturbi più frequenti che derivano al paziente dall’incontro quotidiano
e protratto nel tempo con le molestie morali possono essere così sintetizzati:
• disturbi psicopatologici: alterazioni dell’umore, apatia, flashback, incubi ricorrenti, insicurezza, insonnia, iperallerta,
irritabilità, pensiero intrusivo, disturbi di
attenzione e concentrazione, ansia,
reazioni fobiche e di evitamento;
• disturbi psicosomatici: asma, cefalea,
crisi anginose, crisi emicraniche, dermatiti, disturbi dell’equilibrio, dolori articolari e muscolari, gastralgie, ipertensione arteriosa, palpitazioni, perdita di capelli, tachicardia, ulcera;
• disturbi comportamentali: aumento
del consumo di alcool e farmaci, aumento del fumo, disfunzioni sessuali,
disturbi dell’alimentazione, isolamento sociale, reazioni auto ed eteroaggressive.
In particolare riguardo ai disturbi psicologici, accanto alle diagnosi di depressione
e di ansia reattive sono frequenti altri inquadramenti diagnostici, ad esempio sindromi psichiatriche presenti nel DSM IV
(quarta edizione del manuale diagnostico
dell’American Psychiatric Association)
come il Disturbo dell’Adattamento, inteso
come risposta ad un agente stressante
che porta a disagio e alterazioni del comportamento funzionale e il Disturbo Post-
Uso delle statine nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare
Not Ist Super Sanità 2004; 17 (3) Inserto BEN (disponibile full-text sul sito http://www.iss.it alla voce
“Pubblicazioni”)
Appropriatezza di uso delle statine nelle persone a elevato rischio cardiovascolare
Palmieri L, Trojani M, Vannuzzo D, Panico S, Giampaoli S.
Lo studio valuta l’appropriatezza della terapia farmacologica ipocolesterolemizzante in un campione di 4900 uomini e 4800 donne (età compresa tra i 35 ed i 74 anni). Per ciascuna fascia di età, sono stati considerati il n° di pazienti che avevano avuto infarto del miocardio, la % di questi che faceva uso di statine, la proporzione di coloro
che, esenti da infarto, presentavano LDL >160 mg/dl e familiarità per ipercolesterolemia, la % di questi in trattamento ipocolesterolemizzante. Sono stati applicati, per ciascuna classe di età, i calcoli delle carte di rischio cardiovascolare (l’aggiornamento per il 2004 delle carte di rischio e le modalità per il calcolo del punteggio sono disponibili all’indirizzo internet http://www.cuore.iss.it) e valutata la numerosità di persone con un rischio > 20%
eleggibili di terapia. Dai dati a disposizione, il trattamento risulta realizzato solo parzialmente in prevenzione secondaria (23.9% dei casi degli uomini) e nei casi con familiarità (8.6%), per i quali è indicato e consigliato in modo continuativo. Anche in quei soggetti che presentano un rischio >20% a 10 anni, la somministrazione di terapia
risulta molto inferiore a quanto suggerito. L’appropriato utilizzo delle statine sulla popolazione generale appare,
quindi, un obiettivo ancora lontano da raggiungere, guardando i dati, sia pur indiretti, che sono disponibili. È pertanto fondamentale che medici di medicina generale e cardiologi utilizzino il trattamento continuativo, avvalorato da evidenze scientifiche, con statine nei soggetti con patologie cardiovascolari, con dislipidemie familiari e nelle persone ad alto rischio cardiovascolare assoluto, valutate attraverso la carta del rischio.
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Flash dalla letteratura internazionale
Utilizzo della colonscopia virtuale
JAMA 2004; 291: 1713-1719
Computed Tomographic Colonography (Virtual Colonoscopy) - A multicenter comparison with standard colonoscopy for detection of colorectal neoplasia.
Peter B. Cotton et al.
La colonscopia convenzionale è attualmente il migliore metodo disponibile per rivelare le neoplasie colorettali;
è, però, una metodica invasiva e non priva di rischi. Anche la colonscopia virtuale (CTC) è considerata una metodica accurata nella diagnosi di patologie neoplastiche colorettali. L’articolo si propone di valutare l’accuratezza diagnostica della CTC.
Lo studio è stato effettuato, dal 2000 al 2001, su 615 persone con più di 50 anni, alle quali era stata prescritta una
colonscopia in diversi centri diagnostici. Il disegno dello studio ha previsto l’effettuazione sia della colonscopia
convenzionale che della CTC. In particolare sono stati valutati: la sensibilità e la specificità delle due metodiche
per lesioni di ampiezza < 6 mm e di ampiezza < 10 mm; la capacità di verificare la presenza di tutti i tipi di lesioni,
di lesioni avanzate, la presenza di possibili confondimenti tecnici, la preferenza da parte dei partecipanti e il possibile aumento di accuratezza con l’esperienza. Lo studio ha rilevato che mentre la colonscopia convenzionale
ha una sensibilità del 99% per lesioni <6 mm e del 100% per lesioni <10 mm, la CTC ha una sensibilità piuttosto
bassa (39% per lesioni <6 mm, 55% per lesioni <10 mm). La specificità per lesioni <6 mm risulta essere del 95%
per la CTC e del 100% per la tecnica convenzionale; per lesioni <10 mm del 96% per la CTC e del 100% per la colonscopia convenzionale. La CTC non è riuscita a rivelare 2 delle 8 neoplasie presenti nei partecipanti. L’accuratezza della CTC varia in modo considerevole nei diversi centri e non aumenta con il progredire dello studio. I pazienti non hanno espresso preferenze per l’effettuazione di una delle due tecniche. Lo studio dimostra, quindi,
che ancora non è possibile utilizzare la CTC in modo sistematico, poichè è necessario implementare la formazione degli operatori e migliorare la capacità tecnica delle apparecchiature.
Rivista disponibile presso le seguenti biblioteche di Roma:
Biblioteca della Facoltà di Medicina e Chirurgia A.Gemelli - Biblioteca dell’Istituto Superiore di Sanità - Biblioteca del Ministero della Salute - Biblioteca del Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica dell’Università degli
Studi La Sapienza - Biblioteca dell’Ospedale C. Forlanini.
Screening delle principali neoplasie
CA Cancer J Clin 2004; 54: 41-52 (disponibile full-text all’indirizzo internet:
http://caonline.amcancersoc.org/cgi/reprint/54/1/41.pdf)
American Cancer Society Guidelines for the early detection of cancer, 2004.
Smith RA, Cokkinides V, Harmon JE
Ogni gennaio, l’American Cancer Society (ACS) pubblica un riassunto delle raccomandazioni, rivolte alla popolazione americana, per la diagnosi precoce delle neoplasie, includendo gli aggiornamenti e le nuove argomentazioni rilevanti per gli screening. L’articolo, disponibile full-text all’indirizzo internet citato, descrive le principali
metodiche di screening per le neoplasie della mammella, del colon retto, della prostata, della cervice uterina e
dell’endometrio.
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Traumatico da stress. Quest’ultimo è caratterizzato da vissuti ricorrenti ed intrusivi dell’evento stressante, sogni angosciosi, incubi e flashback, evitamento di situazioni che richiamano l’evento, iperattivazione che ostacola il sonno, la concentrazione e favorisce reazioni di soprassalto.
LA DIAGNOSI
I casi di sindrome da mobbing noti e/o
pubblicati portano ad alcune considerazioni generali che è importante riprendere per poter affrontare l’argomento senza
pregiudizi: è chiaro attualmente che la
maggior parte delle persone visitate
presso i centri specialistici non ha disturbi della personalità ed un discorso di “predisposizione” non è significativo per la
generalità del fenomeno.La violenza morale, questa è la conclusione degli esperti, può essere esercitata da chiunque e
contro chiunque.
Si discute sulla figura di colui che esercita il mobbing, l’attore o “mobber”, su cui si
fanno ipotesi che tuttavia non trovano riscontro a causa della difficoltà di osservazione diretta (il mobber non chiede aiuto!).Tratti comuni di personalità sono stati riscontrati nelle vittime, che sono spesso persone motivate al lavoro, impegnate, scrupolose/rigide, sensibili alla critica,
dotate di senso etico e di una certa “ingenuità” nelle relazioni.
La diagnosi delle sindromi mobbing correlate si basa sull’utilizzo di un protocollo
che comprende accertamenti di carattere internistico, neurologico, psichiatrico,
psicologico e di una anamnesi lavorativa
molto dettagliata, con l’ausilio di specifici
questionari.
I criteri diagnostici risiedono nella definizione del quadro clinico e della compatibilità con le situazioni ambientali descritte; si tratta di diagnosi di probabilità, data
l’impossibilità di un riscontro oggettivo
nell’ambiente di lavoro da parte della
struttura diagnostica, cui l’esperienza clinica e l’utilizzo di strumenti raffinati consente tuttavia un alto livello di attendibilità. Gli effetti sulla salute sono valutati anche tramite un’ampia batteria di test psicodiagnostici atti ad evidenziare le risposte emozionali e a valutare il ruolo della
personalità di base.
IL RUOLO DEL MEDICO DI MEDICINA
GENERALE
Il Medico di Medicina Generale rischia di
essere considerato, e di ritenersi, estraneo alla vicenda lavorativa del suo pa-
ziente. Il suo ruolo, tuttavia, è fondamentale, lo è stato in alcuni casi segnalati e
studiati e può essere così definito:
• ascolto accettante: la possibilità di trovare ascolto nello studio del proprio
medico può contrastare l’isolamento
in cui il paziente si viene a trovare nell’ambiente di lavoro e spesso, conseguentemente, nell’ambiente familiare
e sociale quando è depresso, ripiegato su se stesso, ossessivo, riduce le
occasioni di contatto e fa del lavoro
l’argomento dominante, se non esclusivo, di ogni conversazione; inoltre l’ascolto da parte del medico può contrastare l’autocolpevolizzazione e l’idea
di non essere creduto, che spesso
fanno parte del quadro iniziale
• prevenzione di decisioni affrettate e a
volte distruttive, come dimissioni volontarie non sufficientemente ponderate, in quanto rassegnate nei momenti di grave difficoltà emotiva
• facilitazione di azioni costruttive: invito
a rivolgersi al medico competente, ai
rappresentanti del lavoratori per la sicurezza - figure previste dal DLgs
626/94 per la tutela del lavoratore -, alle organizzazioni sindacali, invito a tenere un diario degli eventi, a cercare
alleanze, a raccogliere informazioni e
documentazione utile anche ai fini
eventuali di un riconoscimento di malattia professionale
• gestione di farmaci e giorni di malattia
come strategie da concordare col paziente, per non prolungare eccessivamente l’assenza dal lavoro pur garantendo periodi di recupero
• invio, al bisogno, allo specialista o ai
centri specifici
Lo psichiatra, in casi come questi, eviterà
terapie “pesanti” in quanto il paziente deve sedare l’ansia e recuperare il sonno,
ma deve al contempo mantenere la lucidità e la capacità di sviluppare una reazione costruttiva. In fase iniziale è indicata una psicoterapia centrata sulla sintomatologia, sul contenimento dell’ideazione intrusiva, sul tipo di violenza subita,
la mobilitazione delle risorse del paziente, la realtà extralavorativa.
Anche dopo l’intervento specialistico
eventuale, il medico di medicina generale potrà sostenere il paziente, collaborare
con lo specialista ed il medico competente, eventualmente parlare con i familiari
che possono non attribuire il giusto peso
al problema.
La persona soggetta a mobbing potrà
giungere all’osservazione del medico di
medicina generale in fasi diverse del pro-
cesso di violenza/emarginazione e del
conseguente sviluppo di disagio/patologia.Tale processo evolve in genere con un
crescendo di azioni di molestia morale
che può durare mesi ma, in alcuni casi descritti, arrivare ad alcuni anni. L’intensità
della patologia che ne consegue sarà legata all’intensità dell’azione lesiva ma anche alla sua durata e alla possibilità, da
parte del paziente, di sviluppare azioni di
difesa e costruire alleanze. E’ logico che
un inquadramento precoce del problema,
cui come medici possiamo contribuire,
potrà contrastarne l’evoluzione negativa.
La vicenda della molestia in genere passa
attraverso le fasi di conflitto ingravescente, negazione dei diritti anche da parte
dell’amministrazione di appartenenza
(se non per volontà aziendale almeno per
il mancato riconoscimento del problema e
i mancati provvedimenti nei confronti di
chi esercita la molestia), dequalificazione
delle mansioni fino all’emarginazione, assenza per malattia, licenziamento o induzione alle dimissioni volontarie. A queste
fasi corrisponde, da parte del paziente, lo
sviluppo dei sintomi sopra descritti, dall’ansia alle sindromi strutturate.
In qualsiasi momento del processo l’ascolto da parte del proprio medico può
avere un ruolo importante nell’evoluzione della sindrome da mobbing, favorendo una consapevolezza del problema
che è comunque la premessa di ogni soluzione. Quando il paziente si presenta la
prima volta con i suoi sintomi d’ansia o
psicosomatici, dai disturbi del sonno alla
cefalea alle gastralgie e tutto quanto già
indicato non è detto sia già in grado di collegare il suo stato alle problematiche dell’ambiente di lavoro; l’indagine, da parte
del medico, su quanto di nuovo avviene
nella vita del paziente, senza trascurare il
suo vissuto nei confronti dell’attività quotidiana, serve senz’altro ad offrire uno
spazio altrove negato.
Sono descritti casi nei quali l’isolamento
sul lavoro è anche fisico, come una scrivania vuota davanti ad un muro, e il disorientamento ed il sentimento di umiliazione sono tali da rendere difficile anche
il racconto. In un percorso seguito insieme al suo medico il paziente si sentirà
meno isolato e più compreso, potrà essere indirizzato verso comportamenti di difesa adeguati ma anche usufruire di periodi adeguati di recupero che, affiancati
agli altri provvedimenti diagnostici e terapeutici, gli consentiranno di affrontare la
sua quotidiana vertenza.
Per concludere, spesso il paziente è in
partenza una persona motivata e impe-
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gnata nel lavoro, cui viene a mancare una
parte rilevante dell’identità sociale, quella che appunto il lavoro determina. Non
sarà facile per questo la fase di recupero,
la riabilitazione ed il reinserimento lavorativo, e il medico potrà avere a che fare a
lungo con un paziente “difficile”; tuttavia
l’esperienza clinica insegna che il cessare dell’azione violenta può portare a miglioramenti immediati e rilevanti del quadro sintomatologico.
(la bibliografia completa può essere richiesta alla
redazione- e-mail:[email protected])
A titolo informativo sono riportati gli indirizzi dei centri specialistici di Roma.
CENTRI POLISPECIALISTICI DI RIFERIMENTO DI ROMA
ASL Roma E
Centro Clinico per il mobbing e il disagio lavorativo
Responsabile Dr. Luciano Pastore.
Via Tor di Quinto, 33/a 00191 Roma tel. 0668353576
Ospedale S. Andrea.
Seconda Facoltà di Medicina e Chirurgia Università di Roma “La Sapienza”.
Poliambulatori Specialistici, Medicina del Lavoro.
Direttore Prof. Giovanni Monaco
Via di Grottarossa 1035/1039 00189 Roma tel. 0657857
Tabella 2
Età
Vaccino
Modalità di somministrazione
da 6 mesi
a 35 mesi
split o sub-unità
1/2 dose (0,25 ml) ripetuta a distanza di almeno 4
settimane per bambini che vengono vaccinati
per la prima volta
da 3 anni
a 12 anni
split o sub-unità
1 dose (0,50 ml), ripetuta a distanza di almeno 4
settimane per bambini che vengono vaccinati
per la prima volta
oltre 12 anni intero, split o sub-unità
Medicina di famiglia, disease management
e approccio per processi - (II parte)
Valter Accomasso MMG - Milano
N
ella prima parte abbiamo
considerato i concetti di
qualità, appropriatezza, linee guida e Percorsi Diagnostico-Terapeutici. In particolare si è visto come i processi inputoutput e il ciclo di Deming Plan-DoCheck-Act (figura 1) governino in modo
più o meno esplicito tutte le attività sanitarie, comprese quelle affidate al Medico di Medicina Generale (MMG). Un primo problema sorge quando si prende
atto della inesistente formazione del
MMG in questo senso. Mandato prioritario delle Società Scientifiche di categoria dovrebbe essere di qui in avanti
sanare efficacemente questo gap culturale.
Veniamo ora al problema della relazione
tra medico e assistito o paziente o cliente o utente (che altro ancora?). Non ci
sono parole migliori di quelle utilizzate
da Ancona e Duccoli per illustrare l’asimmetria del rapporto medico-paziente: “il paziente è in un momento di grande fragilità, facilmente manipolabile, totalmente esposto. Non sembra quindi
realistico parlare, nell’ambito dei servizi
sanitari, in modo semplicistico, di utente
o cliente, introducendo la superficiale
equazione: paziente = cliente. Se non si
tiene conto di questa realtà, promuovere
il paziente a soggetto attivo della relazione con il medico può rimanere una
pura finzione che, dietro la maschera di
una maggiore relazionalità (l’utente),
4
1 dose (0,50 ml)
Tabella 3
1. Soggetti di età pari o superiore a 65 anni
2. Soggetti in età infantile ed adulta affetti da
- Malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio (inclusa la malattia
asmatica), circolatorio, uropoietico
- Malattie degli organi emopoietici
- Diabete ed altre malattie dismetaboliche
- Sindromi da malassorbimento intestinale
- Fibrosi cistica
- Malattie congenite o acquisite che comportino carente produzione di anticorpi, inclusa l’infezione da HIV
- Patologie per le quali sono programmati importanti interventi chirurgici
3. Soggetti addetti a servizi pubblici di primario interesse collettivo
4. Personale di assistenza o contatti familiari di soggetti ad alto rischio
5. Bambini reumatici soggetti a ripetuti episodi di patologia disreattiva che richiede prolungata somministrazione di acido acetilsalicilico e a rischio di Sindrome di Reye in caso di infezione influenzale.
aumentano notevolmente le probabilità
di non contrarre la malattia sia perché,
in caso di sviluppo di sintomi influenzali,
questi sono molto meno gravi e, generalmente, non seguiti da ulteriori complicanze.
Il periodo ottimale per l’avvio delle campagne di vaccinazione antinfluenzali è
quello autunnale, dalla metà di ottobre
alla fine di novembre.
Negli anni in cui non si prevedono cambiamenti antigenici maggiori, come nella corrente stagione, poiché la maggior
parte della popolazione è stata, molto
probabilmente, infettata dai virus circolanti nel corso degli anni predcedenti, è
sufficiente una sola dose di vaccino antinfluenzale per i soggetti di tutte le età,
ad eccezione dell’età infantile.
I dosaggi consigliati sono illustrati in tabella 2
La somministrazione è per via intramu-
scolare e, in tutti coloro con età superiore ai 12 anni, l'iniezione va effettuata nel
muscolo deltoide (braccio), mentre per i
più piccoli è consigliato il muscolo antero-laterale della coscia.
La vaccinazione anti-influenzale rappresenta uno strumento efficace per
combattere una malattia che può determinare gravi complicanze e decessi.
Per questo motivo la vaccinazione viene attivamente offerta a tutte le persone
che appartengono a gruppi a rischio di
contrarre una influenza in forma grave
(tabella 3).
L’estensione della vaccinazione alle
persone sane ha una funzione diversa
in quanto è mirata fondamentalmente
alla prevenzione della malattia clinica e
dei disagi ad essa correlati (es. interruzione delle attività quotidiane: andare a
scuola, al lavoro, etc.). (tabella 4).
L’opinione che sia necessario vaccinare
le persone sane è discussa e non condivisa dal mondo medico e non ha trovato
finora molta adesione nell’opinione pubblica. I Centers for Disease Control and
Prevention (CDC), per la prima volta, incoraggiano la vaccinazione anti-influenzale anche per i bambini di età compresa
fra 6 e 23 mesi.Tale ipotesi è emersa dopo la pubblicazione di un articolo di ricercatori giapponesi circa il positivo impatto
che avrebbe questa pratica anche sulla
prevenzione della malattia negli anziani.
Si tratta comunque, per il momento, di un
intervento mirato al singolo e non alla comunità e la decisione rimane al genitore
con il consiglio del pediatra.
L’opportunità di estendere la vaccinazione alle persone non a rischio è stata
posta in discussione anche in seguito al
problema SARS e al rischio che l’influenza dei polli possa trasformarsi in
una forma interumana, ma nessuna istituzione, nazionale o internazionale, ha
mai raccomandato l’uso della vaccinazione a scopo di prevenzione o controllo di queste epidemie.
Tabella 4
Gruppi a rischio
Indicazione Anziani e le persone a rischio
Persone sane
Tutte le persone
Obiettivo
Evitare le complicanze, i ricoveri
e i decessi dovuti all’influenza
Evitare l’influenza e i disagi
che può provocare
Efficacia
70 – 80 % su complicanze e mortalità
70 – 90 % sull’influenza (giovani
e adulti)
Vantaggio
Elevato per il singolo e la comunità
Modesto per il singolo
Necessità
Condivisa dalla comunità scientifica
e dalla opinione pubblica
Controversa
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Marzo 2004
Marzo 2004
Influenza: rapporto tra vaccinazione ed epidemia
Elisabetta Franco, Maurizio Di Nora
Dipartimento Sanità Pubblica e Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università di Roma “Tor Vergata”
L’
L'influenza è una malattia respiratoria acuta dovuta all’infezione da virus che appartengono al genere Orthomixovirus; si conoscono tre tipi
differenti: il virus A e il virus B, responsabili della sintomatologia classica, e il
tipo C, di scarsa rilevanza clinica. L’influenza è una malattia stagionale che
costituisce un serio problema di sanità
pubblica per la sua ubiquità, contagiosità e le possibili gravi complicanze.
In Italia, nella stagione 1999-2000, è
stato realizzato per la prima volta a livello nazionale un sistema sperimentale di
sorveglianza epidemiologica dell’influenza, costituito da una rete di medici
sentinella (medici di medicina generale
e pediatri di libera scelta) con popolazioni di assistiti rappresentative di tutto
il territorio nazionale. I medici inviano
settimanalmente le segnalazioni all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ed al Centro Interuniversitario per la Ricerca sull’Influenza (CIRI) che a loro volta li trasmettono al Ministero della Salute, il
punto finale della rete di sorveglianza
ed il centro per il ritorno delle informazioni. Obiettivi del sistema sono monitorare la frequenza dei casi di sindrome
influenzale osservati, stimare i tassi di
incidenza nel tempo e nello spazio e
disporre, in situazioni di emergenza, di
una rete di medici sentinella in grado di
fronteggiare la diffusione della pandemia influenzale.
Alla base della epidemiologia vi è la
marcata tendenza dei virus influenzali a
variare la propria composizione antigenica di superficie, perciò le difese che
l’organismo ha acquisito contro il virus
che circola in una stagione non garantiscono la protezione contro il virus dell’anno successivo e la composizione del
vaccino deve essere aggiornata. Al fine
di preparare il nuovo vaccino, in base ai
ceppi che hanno avuto maggior diffusione nell'ultimo periodo epidemico, è presente un sistema di sorveglianza virologica mirata a verificare la circolazione
dei diversi ceppi di virus influenzali,
identificando la settimana di inizio e il
16
Tabella 1
Il vaccino raccomandato per la stagione 2003-2004 è un vaccino trivalente contenente i seguenti tipi di antigene:
• antigene analogo al ceppo A/Nuova Caledonia/20/99
(H1N1)
• antigene analogo al ceppo A/Mosca/10/991
(H3N2)
• antigene analogo al ceppo B/Hong Kong/330/20012
1 il ceppo usato per la produzione di vaccino è A/Panama/2007/99
2 i ceppi usati per la produzione includono: B/Shangdong/7/97, B/Hong Kong/330/2001, B/Hong
Kong/1434/2002
periodo di massima circolazione virale.
Il Sistema fornisce agli Organismi Internazionali (OMS, Agenzia Europea del
Farmaco - EMEA) dati utili all’aggiornamento della composizione vaccinale,
verificando il grado di omologia antigenica tra ceppi circolanti nella popolazione e ceppi vaccinali.
Il sistema di sorveglianza epidemiologica e virologica ha stimato, per la stagione 2002-2003, un’incidenza nella popolazione generale pari al 5% (durante le
pandemie l’incidenza può raggiungere
anche il 50% della popolazione generale).
Nella fascia d’età 0 – 14 anni, che è
quella più colpita, l’incidenza è stata circa del 15% e, nella settimana di picco, è
stato osservato un valore massimo di
33,14 casi per 1000 assistiti (valore di
incidenza più alto registrato nelle ultime
quattro stagioni di sorveglianza).
I dati raccolti dal sistema di sorveglian-
za virologica hanno dimostrato che i
principali ceppi di virus, previsti per la
stagione 2003-2004, erano gli stessi
della stagione passata per cui non c’era
motivo di prevedere un’epidemia di influenza peggiore di quella dello scorso
anno, tant’è vero che la composizione
del vaccino è stata molto simile a quella
dell’anno precedente (tabella 1).
In effetti anche i dati del Ministero della
Salute per il corrente anno mostrano
che l’epidemia è stata contenuta, con
un andamento quasi sovrapponibile a
quello della stagione 2000-2001 (figura
1).
Gli anziani risultano i meno colpiti, in assoluto, dal virus, con valori molto più
bassi rispetto al precedente anno.
La vaccinazione antinfluenzale
Vaccinarsi è il modo migliore di prevenire e combattere l'influenza, sia perché
Fig.1
Fonte Ministero
della Salute
non consente il realizzarsi di un autentico dialogo negoziale”. Con ciò siamo tornati alla già considerata questione della
centralità, per ribadire che la posizione
centrale è occupata dalla relazione medico-paziente, la quale a sua volta presuppone una comunicazione efficace tra
l’uno e l’altro.
La maggior parte di chi si occupa del problema, e specialmente politici e funzionari, prediligono mettere al centro del sistema (posto che il sistema abbia un
centro) il “cliente”, imitando il comportamento delle aziende in altri settori commerciali.In realtà il paragone è gratuito e,
come si vedrà nel seguito, inappropriato;
prenderlo per valido conduce a nodi che
poi vengono inesorabilmente al pettine.
Sarebbe preferibile mettere al centro la
relazione medico-paziente o più precisamente la relazione MMG-assistito, dato che:
il MMG è la figura sanitaria cardinale del
SSN, essendo l’interfaccia quotidiana tra
il SSN e l’assistito;
al MMG competono funzioni di medicina
della famiglia e della comunità del tutto
peculiari;
il MMG contratta ogni giorno tra richiesta
di salute e risorse pubbliche disponibili.
Proprio questa contrattazione costituisce l’area grigia prodotta dall’intersezione dei tre insiemi “tecnico”, “relazionale”
e “manageriale” delineati da Donabedian
(Fig.1) (vedi I parte).
Dunque è questa contrattazione il punto
centrale del sistema, con le sue caratteristiche di conflittualità, dinamicità, elasticità. Ovvio che non può essere che il
MMG il depositario e l’esecutore di quell’arte di “modellare il gorgo” in termini per
l’appunto clinici, relazionali e gestionali.
Infine va tenuto presente che questa relazione MMG-assistito deve esplicarsi
con reciproca soddisfazione, ossia con
soddisfazione del “cliente” ma anche dell’operatore (MMG), beninteso nei limiti
delle risorse disponibili. Sul concetto di
“soddisfazione dell’operatore” torneremo nel seguito.
Aspetti problematici della relazione tra
MMG e assistito derivano dalle peculiari
“core competencies” della Medicina di
Famiglia: approccio centrato sulla persona, processi specifici di decision making,
gestione di problemi indifferenziati (“illdefined”), visione bio-psico-sociale. Si
tratta di stabilire se il modello di DM pro-
posto, idoneo al problem-solving di tipo
algoritmico della medicina specialistica,
sia ugualmente applicabile al “lato notturno della vita” e all’”emisfero destro” della
Medicina, ossia al problem solving di tipo
euristico della Medicina di Famiglia. Di
nuovo, il paziente non è un cliente qualsiasi, la relazione medico-paziente è
asimmetrica e, in aggiunta, il mercato
della salute è un mercato imperfetto, non
paragonabile a quello degli usuali beni di
consumo.
Lungi perciò dall’adottare il DM come riferimento prioritario per il setting della
medicina di famiglia, si tratta di calare anche alcune competenze proprie del DM
nel già complesso modus operandi del
MMG, guardandosi dallo stravolgere:
1. gli aspetti clinici: la questione sembra
paradossale ma non lo è. L’applicazione del DM dovrebbe in teoria ottimizzare il percorso clinico, ma spesso bisogna fare i conti con modalità di DM
che non si adattano alle core competencies della Medicina di Famiglia e viceversa. Può accadere, e difatti accade, che il DM sia figlio dell’impostazione ospedalocentrica imperante nella
Medicina occidentale, e lo stesso dicasi delle linee guida (difetto di condivisione!) e dei PDT (difetto di contestualizzazione!), con conseguenze intuibili per il MMG.
2. gli aspetti relazionali: cosa ancora più
grave, la relazione medico-paziente,
centrata sulla persona e come tale core competency della Medicina di Famiglia, già penalizzata sull’altare della
burocrazia, rischia di essere sacrificata definitivamente su quello di un DM
troppo budget-oriented, e con essa
anche la Medicina di Famiglia nel suo
complesso.
Per contro appartengono “geneticamente” alla Medicina di Famiglia due attributi
dell’assistenza che concorrono secondo
Donabedian a definirne il livello di qualità:
l’accessibilità e la continuità. Un terzo attributo, il coordinamento, è ancora lungi
dall’essere raggiunto.
La qualità deve rispondere a precise domande (tabella 1): come mi posiziono?
(qualità paragonata); cosa desidera il
cliente? (qualità prevista) e cosa ritiene di
ricevere? (qualità percepita); cosa voglio
dare e come? (qualità progettata); cosa
erogo/produco realmente? (qualità prestata). La prima domanda introduce il fattore concorrenza, vale a dire chi tenta di
5
Marzo 2004
soffiarti il ruolo e/o il posto e/o la posizione sul mercato e/o il cliente e/o il processo. Più ancora che una necessità, confrontarsi con la concorrenza è un fatto
quotidiano, in quanto è in primo luogo il
paziente-assistito-utente-cliente che
opera confronti sulla base della qualità
prevista e di quella percepita.
A questo punto il cerchio si chiude coll’identificare l’approccio per processi applicato alla Medicina di Famiglia (inclusi
linee guida, EBM, PDT e DM) come potenziale strumento per governare anche
la relazione MMG-assistito, come si è
detto nucleo centrale del Sistema Sanitario Nazionale. Intorno a questa orbitano la soddisfazione del cliente entro i limiti del bilancio, la corretta allocazione
delle risorse, l’appropriatezza delle prestazioni, l’educazione-istruzione-informazione dell’assistito, come pure l’identità professionale, il ruolo e le aspettative del MMG e degli altri operatori, i sistemi incentivanti, l’aggiornamentoeducazione continua professionale eccetera. Da questo punto di vista il PDT
può diventare un poderoso grimaldello
nelle mani del MMG per aprire le porte al
riconoscimento doveroso del ruolo e
della valenza della Medicina di Famiglia
italiana.
Nello stesso tempo va tenuta in debita
considerazione un’osservazione che risale al 1990: “l’esperienza di tanti Paesi
riduce l’illusione di raggiungere l’efficienza e l’efficacia dei sistemi sanitari con la
sola introduzione di gestioni manageriali
e di processi di razionalizzazione. Se
economie sono state realizzate, ciò è avvenuto generalmente a spese dello Stato
sociale e senza che si sia ridotta la tendenza esponenziale alla crescita delle
prestazioni”.
Punti chiave.
• La relazione medico-paziente presuppone una comunicazione efficace.
• Il Disease Management per la Medicina di Famiglia deve essere compatibile con il setting specifico della disciplina.
• L’approccio per processi applicato alla
Medicina di Famiglia (inclusi linee guida, EBM, PDT e DM) può essere uno
strumento potente per governare anche la relazione MMG-assistito.
Esiste un buon grado di consenso, e non
potrebbe essere diversamente, sul fatto
6
GLOSSARIO
appropriatezza: grado di utilità di una prestazione rispetto al problema di partenza
e alle conoscenze disponibili.
audit: modalità di verifica interna di un processo attraverso la discussione di problemi specifici secondo una logica PDCA (vedi).
benchmark: programma di valutazione delle prestazioni di un’azienda rispetto alla
concorrenza.
disease management: in sanità, sistema integrato di interventi disegnati per ottimizzare i risultati clinici ed economici per pazienti con specifiche malattie croniche (2).
EBM: sigla di Evidence-Based Medicine.
esito: modificazione, variazione misurabile indotta da un processo. In senso stretto
non è sinonimo di risultato (vedi).
Evidence-Based Medicine: metodo che utilizza in modo cosciente, esplicito e giudizioso le migliori evidenze disponibili al momento, quando si prendono decisioni riguardanti l’assistenza ai singoli pazienti (10, 21).
FOCUS: acronimo di Find, Organize, Clarify, Understand, Select.
indicatore:parametro che consente di misurare una struttura o un processo o un esito in termini di qualità.
input: letteralmente entrata, ingresso. Inizio della sequenza della attività che costituiscono un processo.
linea guida: insieme di indicatori riferiti a uno o più problemi clinici specifici, elaborati da un gruppo di pari dopo attenta revisione della letteratura esistente, allo scopo di aiutare la decisione medica e di ridurre l’alta variabilità dei comportamenti.
MCQ: sigla di Miglioramento Continuo della Qualità.
outcome: vedi esito.
output: letteralmente uscita, prodotto. Fine della sequenza delle attività che costituiscono un processo.Vedi anche risultato.
PDCA: sigla di Plan, Do, Check, Act, (ciclo di Deming).
PDT: sigla di Piano Diagnostico Terapeutico.
procedura: rappresentazione descrittiva e ideale di un processo, che ne fornisce a
priori le istruzioni per una esecuzione ottimale.
processo: serie di eventi, attività, meccanismi o prassi destinati ad ottenere un esito (5). Anche sequenza di attività collegate l’una all’altra da una o più transizioni (vedi). Può essere rappresentato come flusso input/output.
QA: acronimo di Quality Assurance.
qualità: rapporto tra i miglioramento ottenuti e i miglioramenti massimi raggiungibili sulla base delle conoscenze più avanzate e delle risorse disponibili (5).
RADAR: acronimo di Risultati, Approccio, Dispiegamento, Accertamento, Revisione.
risultato: il grado di raggiungimento di un obiettivo per effetto di un processo (in 19,
modicato); in questa accezione non è sinonimo di esito (vedi).
SMART: acronimo di Specific, Measurable, Agreed upon, Realistic, Time bound.
struttura: caratteristica o proprietà fisica ed organizzativa del sistema, ossia del
contesto ambientale in cui vengono effettuate le prestazioni (5). In senso lato, ogni
risorsa fisica disponibile per svolgere un’attività.
SWOT: sigla di Strenght, Weakness, Opportunity, Threat.
TQM: sigla di Total Quality Management.
transizione: operazione che in un processo conduce da una attività alla successiva per effetto dell’applicazione di istruzioni o regole preventivamente definite.
VRQ: sigla di Verifica e Revisione della Qualità.
Marzo 2004
na B in forma liposomiale che offre il vantaggio, rispetto ai preparati antimoniali, di
risultare efficace in tempi di somministrazione molto più brevi (5+1 gg.); unico inconveniente è il costo elevato del farmaco.
Diffusione della leishmaniosi
viscerale nell’uomo
In Italia la malattia nell’uomo è sporadica
ma ultimamente si è registrato un sensibile aumento dei casi:negli ultimi 5 anni, sono stati diagnosticati 114 casi nel Lazio,
288 in Campania, 188 in Sicilia, 40 in Sardegna, 50 in Puglia, soprattutto a causa
della grande diffusione del serbatoio canino e del vettore. L’individuo immunocompetente manifesta un buon grado di resistenza alla malattia, come provato dal test
di intradermoreazione che risulta positivo
in alta percentuale in popolazioni residenti in aree endemiche; la resistenza è dovuta all’efficacia della risposta immunologica cellulo-mediata associata a fattori
nutrizionali adeguati (in Albania la diffusione della malattia è 20 volte superiore
rispetto al nostro Paese).
CANE
Nel cane gli amastigoti di Leishmania sono presenti prevalentemente nella milza,
midollo osseo, fegato e cute, che rappresenta la principale fonte di infezione per il
flebotomo, dove all’interno dei macrofagi
parassitati si dividono per scissione binaria, originando numerosi altri elementi simili che in seguito fuoriescono dalla cellula per invaderne altre.
Nel cane la malattia può essere definita
come una reticolo-endoteliosi sistemica
e si presenta, nella maggioranza dei casi,
in forma subacuto-cronica e la sua evoluzione è strettamente legata alla risposta
immunitaria del soggetto colpito. Il periodo di incubazione può variare da un mese circa fino ad oltre un anno. L’insorgenza della malattia è spesso subdola con
sintomatologia polimorfa ed aspecifica
caratterizzata inizialmente da progressivo dimagramento e lieve abbattimento,
seguiti da linfoadenomegalia, splenomegalia, dermatite furfuracea, ulcere cutanee, lesioni oculari e grave compromissione epato-renale. Durante la malattia si
susseguono fasi di miglioramento clinico
successive alla terapia, a recidive della
stessa che negli stadi più avanzati conducono alla morte del soggetto colpito.
La distribuzione capillare del parassita in
organi e tessuti del cane, associata ad
una risposta immunologica parzialmente
efficace, sono le principali cause della
cronicità della malattia. Il parassita è presente anche nella cute di soggetti infetti
ma ancora clinicamente sani.
Il cane rappresenta il principale serbatoio
attivo della malattia e non è ancora disponibile un presidio vaccinale valido né una
terapia farmacologia in grado di sterilizzare i soggetti malati.
Diagnosi e terapia
La scarsa specificità dei sintomi clinici e
l’esistenza di un gran numero di soggetti
asintomatici fra i cani infetti, rendono difficile formulare una diagnosi clinica certa; ne consegue che l’ausilio diagnostico
del laboratorio sia di basilare importanza. La diagnosi di laboratorio prevede accertamenti indiretti di tipo sierologico,
mediante l’utilizzo della metodica di immunofluorescenza indiretta, e accertamenti diretti, volti al rilievo del parassita
mediante esame microscopico e/o colturale da prelievi bioptici linfonodali e/o midollari. E’ possibile ricorrere all’utilizzo di
tecniche più complesse quali il Westernblot (WB) o la la polymerase chain reaction (PCR) caratterizzate da elevata sensibilità e specificità ma costose e non idonee per uno screening di massa.
I protocolli terapeutici maggiormente utilizzati nel cane si basano sull’utilizzo di
farmaci antimoniali (antimoniato di n-metilglucamina) in associazione con l’allopurinolo. La terapia è spesso seguita da
miglioramento clinico temporaneo dato
che le recidive, nella specie canina, sono
un evento molto frequente. Al contrario di
ciò che accade nell’uomo, non viene utilizzata l’amfotericina B sia perché non
porta a sterilizzazione parassitaria, ma
soprattutto per evitare la selezione di
ceppi resistenti del parassita dato il suo
utilizzo in terapia umana.
Diffusione della leishmaniosi canina
La diffusione della leishmaniosi, tipicamente a focolaio, in alcune regioni italiane è ormai panendemica. La leishmaniosi canina è presente in forma endemica in
molte zone della regione Lazio soprattutto in ambienti rurali e periurbani della costa tirrenica ma anche in zone collinari
dell’entroterra.In passato la leishmaniosi
era diffusa prevalentemente nelle regioni
centro-meridionali e insulari, oggi focolai
di malattia sono presenti anche in regioni
del nord Italia: negli ultimi anni, infatti, focolai autoctoni di malattia si registrano
anche in aree considerate indenni o a
bassissimo rischio;casi di leishmaniosi si
osservano anche in aree indenni non come focolaio autoctono ma in conseguen-
za di spostamenti in aree endemiche dei
cani a seguito dei proprietari.
Uno studio epidemiologico preciso sulla
prevalenza e l’incidenza della leishmaniosi canina non è sempre facile a causa del
lungo periodo di incubazione e dell’evoluzione cronica della malattia, delle differenze nella risposta immunologica fra gli individui infetti e del lungo periodo di attività del
vettore, che non sempre consentono di caratterizzare con certezza i nuovi casi:infatti per definire puntualmente l’incidenza
della leishmaniosi è necessario individuare un’area endemica circoscritta con una
popolazione canina stabile e seguirla per
una o più stagioni di attività del vettore.Nell’ultimo triennio presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana sono stati esaminati complessivamente più di 20.000 sieri di cane nella provincia di Roma registrando una media di
positività del 25%. Il campione è rappresentato da sieri di cani inviati da veterinari
liberi professionisti e veterinari delle ASL
per controllo sierologico e per sospetto clinico di malattia. E’ opportuno sottolineare
che le percentuali di positività registrate
possono risultare sovrastimate rispetto alla reale prevalenza della leishmaniosi confrontate con i dati ottenuti in passato su sieri di cani custoditi in canili e padronali (prelievi non mirati) dove abbiamo registrato
una percentuale di positività pari al 15%.
Misure di profilassi
Attualmente per il cane non disponiamo,
purtroppo, né di un vaccino né di una terapia in grado di sterilizzare gli animali infetti, quindi gli unici mezzi efficaci per
contenere l’infezione sono le misure di
profilassi individuale ed ambientale che
si possono riassumere nei seguenti principali interventi:
- controllo e sorveglianza del serbatoio
canino mediante l’individuazione dei cani
infetti, sui quali impostare un’idonea terapia o ricorrere all’eutanasia nei casi più
gravi.
- protezione dalle punture del flebotomo
mediante l’uso di appropriati prodotti ad
azione repellente oltre che insetticida.
- mantenere, ove possibile, i cani in luoghi chiusi nelle ore notturne durante la
stagione di attività del vettore utilizzando,
dove e se possibile, zanzariere a maglie
molto strette.
- profilassi ambientale contro il vettore
circoscritta e possibilmente pianificata
da personale specializzato, onde limitare
al massimo il rischio di tossicità per gli
animali presenti per l’uomo e il rischio di
inquinamento ambientale.
15
Marzo 2004
Leishmaniosi viscerale umana
e Leishmaniosi canina
Gladia Macrì
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, sede di Roma
(la bibliografia completa può essere richiesta alla
redazione- e-mail:[email protected])
L
e leishmaniosi sono infezioni
protozoarie ampiamente diffuse nel Vecchio e Nuovo Mondo
sostenute da almeno 20 specie
del genere Leishmania e trasmesse da ditteri ematofagi del genere
Phlebotomus nel Vecchio Mondo e Lutzomyia nel Nuovo Mondo; le specie recettive includono animali domestici, selvatici ed anche l’uomo. In Italia e nei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo è presente la forma zoonotica
sostenuta da Leishmania infantum, che
interessa sia l’uomo che il cane il quale
rappresenta il principale serbatoio della
malattia.
Leishmania nel vertebrato infetto è presente come amastigote di forma tondeggiante o ovalare, immobile, delle dimensioni di 2-5m; nell’insetto vettore invece
troviamo la forma promastigote che presenta un corpo allungato di circa 15-18m,
mobile poiché dotata di un robusto e lungo flagello. Il flebotomo vettore assume il
parassita dall’ospite infetto durante il pasto di sangue che avviene nelle ore crepuscolari-notturne: nell’insetto gli amastigoti si sviluppano in promastigoti moltiplicandosi per scissione binaria longitudinale nel proventricolo dell’insetto e migrano verso l’apparato buccale, divenendo forme infettanti pronte per essere nuovamente inoculate mediante rigurgito.
Nel vertebrato recettivo sviluppano ad
amastigoti colonizzando le cellule del sistema reticolo-istiocitario. Nell’uomo il ciclo biologico si interrompe poiché il
parassita, presente soprattutto a livello
viscerale, è difficilmente assunto dal flebotomo durante il pasto di sangue.
L’infezione attiva una risposta immunologica che a seconda delle specie e degli
individui infettati può essere di tipo prevalentemente cellulo-mediato oppure anticorpale: la risposta cellulo-mediata risulta efficace e protettiva mentre quella anticorpale non offre protezione allo sviluppo
della malattia. Caratteristica è la stagionalità dell’infezione, in Italia inizia da
maggio-giugno fino a settembre-ottobre,
che corrisponde al periodo di attività del
vettore.
14
UOMO
Nell’uomo la diffusione del parassita avviene prevalentemente negli organi emolinfopoietici determinando un’iperplasia istiocitaria diffusa, responsabile di buona parte
della sintomatologia nel paziente.L’infezione nell’individuo immunocompetente non
determina sempre lo sviluppo di una leishmaniosi viscerale: l’assenza di malattia o
l’evoluzione più o meno severa della stessa dipendono dall’interazione uomoparassita ossia tra invasività e tropismo del
parassita e risposta immunologica dell’ospite;la malattia infatti si manifesta in forma
particolarmente aggressiva nei pazienti
immunodepressi.La leishmaniosi viscerale è una patologia anche dell’età pediatrica: in Italia, infatti, circa la metà dei casi registrati vede coinvolti i bambini.
Dopo un periodo di incubazione che varia da 3-4 settimane ad alcuni mesi, la
malattia esordisce gradualmente e in
maniera insidiosa, con febbre irregolare
caratterizzata da picchi febbrili alternati a
periodi di apiressia, che possono simulare una risposta ad una terapia prescritta,
astenia, anoressia e pallore. In seguito
compaiono splenomegalia (milza di consistenza duro-elastica che, in particolar
modo nei bambini, tende ad occupare
tutto l’emiaddome di sinistra), dimagramento, epatomegalia e adenomegalia. In
genere, a causa della aspecificità delle
manifestazioni cliniche,
soprattutto nelle prime fasi
della malattia, il paziente
arriva all’osservazione
specialistica dopo settimane dalla comparsa dei primi sintomi e il ritardo diagnostico
conseguente
comporta una inevitabile
progressione ed aggravamento della malattia.In assenza di terapia specifica
sopravviene l’exitus dovuto a complicanze cardiache, renali, epatiche e per
sovrainfezioni batteriche.
E’ opportuno sottolineare
l’importanza che la leishmaniosi viscerale assume nei pazienti
con infezione da HIV (sono a rischio individui con una conta di linfociti CD4 < 200)
dove la malattia rappresenta un’infezione
opportunistica severa, manifestandosi
con un decorso cronico-recidivante e con
la presenza di leishmanie in sedi atipiche
quali sangue periferico, intestino e cute.In
questi pazienti non sempre si giunge alla
sterilizzazione dal parassita dopo trattamento farmacologico specifico.
Diagnosi e terapia
In seguito a sospetto clinico di leishmaniosi si procede ad accertamenti indiretti
sierologici (mediante metodica di immunofluorescenza indiretta), al fine di rilevare la presenza di anticorpi anti-leishmania, e ad accertamenti diretti, basati sulla
dimostrazione diretta del parassita mediante esame microscopico su strisci da
agoaspirato midollare colorato con May
Grunwald-Giemsa e con tecnica di PCR
per identificare il genoma del protozoo.
L’esame colturale su midollo ha elevata
sensibilità ma richiede tempi lunghi.
La terapia della leishmaniosi per decenni
si è basata sull’utilizzo di farmaci antimoniali (antimoniato di n-metilglucamina) efficaci ma dotati di effetti collaterali quali
tossicità cardiaca e pancreatica; la terapia, inoltre, ha tempi di somministrazione
molto lunghi (28-30 gg.).Oggi il farmaco di
elezione è rappresentato dall’amfoterici-
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che la soddisfazione dell’operatore, al
pari di quella del cliente, sia un criterio
per la valutazione del livello di qualità, almeno di alcuni aspetti e funzioni dell’organizzazione. La questione ha una valenza diretta (un operatore insoddisfatto
costituisce una criticità del sistema) e
una indiretta (di nuovo, l’eventuale posizione centrale, se esiste, non può essere occupata dal solo cliente). Questo
aspetto è chiaramente segnalato sia da
Donabedian sia già negli anni ’70 da
Freeborn e Greenlick e tuttavia pare non
ricevere la dovuta considerazione nell’amministrazione del SSN, non esclusivamente riguardo alla figura del MMG.
Esistono dunque presupposti ben codificati per sostenere la richiesta di un minore aggravio burocratico, di campagne di
educazione-informazione-responsabilizzazione della clientela-utenza, di una
maggiore osservanza delle procedure
proprie del SSN da parte degli Specialisti e degli Accreditati Esterni eccetera. A
buon diritto questa stessa soddisfazione, al pari come sempre di quella del
cliente, dovrebbe essere assunta quale
indicatore di processo e di esito. In realtà
cosa si debba intendere per “qualità” varia a seconda dell’oggetto dell’indagine:
utente, operatore, funzionario amministrativo:
• gli utenti-clienti-pazienti-assistiti tendono a premiare e pretendere l’aspetto interpersonale dell’assistenza, ossia quanto e come il medico dimostra
interesse per la persona, come “spiega le cose” e quanto si dimostra scrupoloso. Per inciso, questo può essere
anche dovuto al fatto che l’aspetto tecnico venga dato per scontato e nello
stesso tempo dà ragione del gradimento accordato sempre dall’assistito al medico di famiglia, anche nei sondaggi più recenti.
• gli “addetti ai lavori”, ossia gli operatori, propendono invece per il processo
dell’assistenza, cioè per le procedure
tecniche, le competenze professionali e l’utilizzo delle risorse.
• infine i funzionari amministrativi prestare più attenzione agli aspetti organizzativi, ossia a come è organizzato
lo studio, agli attributi del personale e
al grado di soddisfazione dell’utente,
oltre naturalmente ai costi.
Tabella 1. Le cinque P della qualità.
ATTORI
DIMENSIONE QUALITÀ
DOMANDE
concorrenza
qualità paragonata
come mi posiziono?
clienti
qualità prevista
cosa desidera il cliente?
qualità percepita
cosa ritiene di ricevere?
qualità progettata
cosa voglio dare e come?
qualità prestata
cosa erogo realmente?
azienda/ente
aspetti come una sala di attesa del MMG
confortevole e tranquilla, un letto comodo e pasti caldi in ospedale, il rispetto
della privatezza eccetera. Donabedian
non considera questa categoria come a
sé stante, ma piuttosto come parte della
gestione del rapporto interpersonale o
suo attributo. Pertanto le aree in cui si
esplica l’assistenza restano tre: tale suddivisione ripropone e ripercorre, la tripartizione 70-20-10 citata nella prima
parte dell’articolo, e non poteva essere
diversamente. Però il peso attribuito a
ciascun ambito varia a seconda del ruolo dell’intervistato. La morale è: quando
si discute di concetti come qualità, appropriatezza e indicatori bisogna fare i
conti con il punto di vista e la prospettiva,
nonché gli interessi di chi conduce il gio-
co (concetto di “stakeholder”), e non è
mai detto che le definizioni di volta in volta chiamate in causa siano univoche né,
a maggior ragione, le migliori tra le disponibili.
Punti chiave.
• La soddisfazione dell’operatore, al pari di quella del cliente, è un criterio per
la valutazione del livello di qualità.
• Un’atmosfera generale di soddisfazione può favorire una migliore prestazione da parte degli operatori.
(la bibliografia completa può essere richiesta alla
redazione- e-mail:[email protected])
Ciao Valter, un saluto ad un amico
Nel mese di marzo è scomparso improvvisamente Valter Accomasso. Qualche
lettore più attento ricorderà i suoi articoli ma ai più apparirà come un nome
sconosciuto.Valter era un medico di medicina generale di Milano ed in queste
poche righe è importante ricordare, senza ritualità e toni celebrativi, il suo contributo da “medico”.Valter aveva un progetto forte e strutturato, era molto impegnato in una ridefinizione del ruolo del medico di famiglia immaginando la
medicina generale in termini di qualità e di appropriatezza. Lavorava alla creazione di una struttura a rete ospedale-territorio con al centro il medico di medicina generale nell’ottica della difesa e del rafforzamento della Sanità Pubblica. In questo numero di Prevenendo si pubblica l’ultimo suo contributo colto
ed appassionato.
Ciao Valter e grazie
Virgilio Calzini MMG-FIMMG
Una ulteriore categoria di valutazione è il
grado o livello di comfort, cui afferiscono
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Marzo 2004
La terapia del dolore nuove modalità prescrittive
Loredana Vasselli
Responsabile Area Farmaceutica Territoriale ASL RMB
L
a Legge n°12 del 08/02/2001
è stata concepita per semplificare la modalità di prescrizione dei farmaci oppiacei più utilizzati nella terapia del “dolore
severo in corso di patologia neoplastica
o degenerativa “ riportati nell’allegato
III – bis della stessa legge (tab 1) che
modifica il DPR 309/90 (Testo unico in
materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). La norma prevede l’utilizzo, in caso di terapia del dolore in corso di malattie neoplastiche o degenerative con tali farmaci, di uno specifico ricettario a fogli autocopianti (a ricalco) che è stato adottato con DM
24/05/2001 e poi modificato con DM
04/04/2003 pubblicato in GU il
28/05/2003. I nuovi ricettari, di colore
bianco, sono predisposti dal Ministero
della Salute, stampati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e distribuiti ai
medici che ne facciano richiesta dalle
ASL di competenza; sono personali e
quindi non possono essere utilizzati da
eventuali sostituti. Per scopi terapeutici
diversi da quelli precedentemente indicati, gli stessi farmaci vanno prescritti
utilizzando i ricettari ministeriali speciali, di colore giallo, distribuiti dall’Ordine
dei Medici Provinciale di competenza,
seguendo le norme previste dal DPR
309/90 (obbligo di indicare l’indirizzo del
paziente, dose e posologia in tutte le lettere, possibilità di prescrivere un solo
farmaco, massima durata della terapia 8
giorni e 3 giorni per la veterinaria e validità della ricetta 30 giorni).
Le specialità medicinali a base di buprenorfina (Temgesic fiale, compresse, cerotti) se usate nel dolore acuto vanno
prescritte con ricetta ministeriale speciale per una cura non superiore ad otto
giorni (ricetta gialla) se si tratta di fiale,
ricetta non ripetibile per una cura non
superiore a trenta giorni se compresse o
sistemi transdermici.
Il nuovo ricettario bianco va utilizzato,
sempre nella terapia del dolore severo
in corso di neoplasia o malattia degenerativa, anche per i farmaci compresi nell’allegato III bis in associazione con altri
principi attivi ad attività analgesica come ad es. codeina-paracetamolo (Tachidol, Coefferalgan, ecc.) compresi
nella tabella V delle sostanze stupefacenti e psicotrope. Nella terapia del dolore acuto sono dispensati dietro presentazione di ricetta non ripetibile.
Norme generali di utilizzo:
_ Ciascuna ricetta può essere utilizzata per la prescrizione di 2 farmaci
diversi o 2 dosaggi o forme farmaceutiche diverse dello stesso farmaco (non più un solo medicinale);
_ Le ricette hanno validità di 30 giorni,
escluso quello di emissione (non
più 8 giorni);
_ Il medico può prescrivere, con ogni
ricetta, una terapia che dura fino a
30 giorni, la posologia indicata deve
comportare che l’assunzione dei
medicinali sia completata entro 30
giorni e, fatti salvi i casi in cui è necessario adeguare la terapia, la
prescrizione non può essere ripetuta prima del completamento della
Tab.1 Farmaci citati nell’allegato III bis della Legge 08/02/2001:
Buprenorfina
Metadone
Codeina
Morfina
Diidrocodeina
Ossicodone
Fentanyl
Ossimorfone
Idrocodone
Idromorfone
8
terapia indicata con la precedente
prescrizione;
_ Sulla ricetta non è più obbligatoria
l’indicazione della residenza del paziente, le lettere per la dose, il modo, il tempo e la quantità del farmaco prescritto (si possono utilizzare i
caratteri numerici e le normali contrazioni); la ricetta deve riportare
l’indirizzo ed il numero di telefono
professionale del medico; la firma è
in originale sulla prima pagina e in
copia sulle altre mentre il timbro va
messo in originale su tutte e tre le
pagine. Non è obbligatorio per il medico conservare copia delle ricette a
sé destinate per sei mesi.
_ Per le prescrizioni a carico del SSN
il medico deve rilasciare all’assistito
l’originale (sarà conservato dal farmacista) e la copia per il SSN; per le
prescrizioni non a carico del SSN rilascia solo la ricetta originale.
_ La ricetta è valida su tutto il territorio
nazionale, anche ai fini del rimborso
da parte del SSN
ascolto sanitario e di orientamento in
grado di favorire l’acquisizione da parte
dei cittadini di una cultura della salute
basata sul self-care.
L’attività svolta dall’ambulatorio prevede
l’erogazione di prestazioni infermieristiche tecnico-scientifiche, educativo-relazionali, di consulenza, di informazione
e di orientamento all’utilizzo dei servizi
sanitari aziendali, di “accompagnamento” all’autogestione della salute in termini preventivi e comportamentali.
Le prestazioni individuate, in via del tutto nuova per il SSN, sono state tariffate
attraverso un processo di valorizzazione economica.
L’organizzazione del lavoro tende a privilegiare la relazione assistenziale infermiere/utente, elemento specifico della
funzione infermieristica, prevedendo un
percorso di accesso alle prestazioni
infermieristiche (Figura 4), definito
da opportune linee guida.
Tale percorso prende in considerazione
le modalità di accesso dell’utente all’ambulatorio infermieristico (orario di
apertura dell’ambulatorio, criteri di accesso e le modalità di pagamento delle
prestazioni) e le modalità di erogazione
delle prestazioni (valutazione del biso-
gno di assistenza infermieristica, apertura della cartella infermieristica e presa
in carico).
L’attività dell’ambulatorio infermieristico
si caratterizza per l’utilizzo di metodologie scientifiche di pianificazione dell’assistenza e di strumenti operativi in grado
di supportare la pratica infermieristica.
È stata, inoltre, elaborata ed introdotta
un’apposita cartella infermieristica per
l’assistenza in ogni ambulatorio infermieristico, ritenendola uno strumento
operativo essenziale per assicurare l’efficacia e l’appropriatezza degli interventi assistenziali forniti ai cittadini.
Attraverso l’uso della cartella infermieristica l’infermiere ha possibilità la possibilità di:
- fare la presa in carico infermieristica
della persona, pianificando e documentando l’assistenza erogata;
- osservare, valutare nel tempo e raccogliere dati significativi sullo stato di
salute della persona;
- instaurare relazione d’aiuto e di sostegno efficace e competente;
- erogare prestazioni infermieristiche
appropriate.
Quali ulteriori strumenti operativi di supporto all’attività infermieristica, sono
state adottati:
Specialisti
La ricetta a ricalco scritta da uno specialista di una struttura sanitaria convenzionata può essere spedita in farmacia a
carico del SSN se indicati il nome e l’indirizzo della struttura dove opera il prescrittore; se lo specialista opera in uno
studio privato, il paziente deve rivolgersi
al medico di medicina generale per avere la ricetta autocopiante a carico del
SSN.
È infine importante sottolineare come la
riorganizzazione e lo sviluppo dei servizi territoriali a partire dalla creazione
della rete degli ambulatori infermieristici, abbia consentito all’Azienda di avviare una concreta politica di ri-orientamento della domanda che ha tra le sue
ricadute maggiormente tangibili la drastica riduzione del ricorso improprio alle
prestazioni Pronto Soccorso presso i
due Presidi Ospedalieri aziendali.
Paziente in dimissione ospedaliera
Un paziente in dimissione ospedaliera
può ricevere la quantità di medicinale
necessaria per continuare la terapia così da avere il tempo per procurarsi i medicinali con la ricetta autocopiante. La
quantità di medicinale fornita deve risultare sul registro di carico e scarico delle
Unità Operative.
Consegna a domicilio del paziente
I farmaci compresi nell’allegato III bis
possono essere trasportati e consegna-
- linee guida per l’accesso alle prestazioni infermieristiche
- protocolli assistenziali specifici (per il
trattamento lesioni cutanee contenenti, per lo screening con emoglucotest capillare nei soggetti a rischio di
diabete, per il trattamento degli utenti
affetti da lesioni vascolari degli arti-inferiori, per la gestione della terapia
marziale pazienti affetti da anemia sideropenica, per l’assistenza agli
utenti portatori di stomia digestiva)
- protocollo per la continuità delle prestazioni assistenziali.
Sono stati inoltre definiti, nell’ambito del
Progetto sulla continuità assistenziale,
alcuni percorsi integrati (ospedale-territorio) multidisciplinari (medico-infermieristici) per assicurare la continuità
delle cure in utenti affetti da particolari
problemi clinico-assistenziali (pazienti
oncologici portatori di port-a-cath, pazienti portatori di tracheotomia, ecc.)
Il bilancio positivo dell’esperienza di
questi primi cinque anni di attività degli
ambulatori mostra come gli infermieri
nell’assistenza infermieristica ambulatoriale siano realmente in grado:
- di assumere decisioni,
- di farsi carico della salute dei cittadini,
- di incanalare e ottimizzare le risorse
disponibili, per “sostenere” i cittadini,
nonché le diverse minoranze etniche
disagiate o in stato di povertà, impossibilitati ad usufruire dei servizi sanitari ed avvalersi delle prestazioni sanitarie offerte dal SSN,
- di orientare i cittadini all’uso e all’accesso appropriato dei servizi sanitari.
Figura 4 - Percorso di accesso alle prestazioni infermieristiche ambulatoriali
(la bibliografia completa può essere richiesta alla
redazione- e-mail:[email protected])
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consente non soltanto al singolo infermiere, ma anche a tutto il personale infermieristico del poliambulatorio, dove
insiste l’ambulatorio infermieristico, di
essere direttamente coinvolto nell’assistenza e nell’attività infermieristica ambulatoriale al fine:
- di assicurare la continuità delle prestazioni attraverso la conoscenza
“reale” del gruppo di utenti in carico;
- di rispondere in modo appropriato alle complesse esigenze di salute della
comunità locale.
La formazione è un aspetto essenziale
per il mantenimento di elevati livelli di
conoscenze e competenze da parte del
personale infermieristico. Sono previsti,
un corso di formazione specifico di base
(articolato su tre moduli) al momento
dell’attivazione dell’ambulatorio infermieristico e diversi corsi e/o giornate
seminariali tematiche individuate nell’ambito del programma formativo del
SAI.
L’assistenza infermieristica, secondo il
modello assistenziale di riferimento
adottato (D. Orem, N. Roper), prende in
considerazione i bisogni specifici (selfcare deficit ) dell’utente/cittadino e si
esplica attraverso “azioni coordinate”
(prestazione infermieristica), che consentono all’infermiere di rispondere in
modo continuativo alle esigenze di salute della persona, assumendo nei confronti di questa un ruolo di sostegno e/o
guida verso l’autogestione della propria
salute al fine di promuoverla e mantenerla.
Le prestazioni infermieristiche erogate
nell’ambulatorio sono del tutto autonome; il che presuppone la completa e diretta responsabilità sulla scelta delle
azioni, sui metodi adottati e sui risultati
raggiunti. Ma questo non esclude livelli
di collaborazione ed integrazione con gli
altri professionisti nell’ambito di percorsi clinico-assistenziali condivisi e predefiniti.
Per quanto riguarda la struttura organizzativa, l’ambulatorio infermieristico è
funzionalmente dipendente dal Servizio
Assistenza Infermieristica e gerarchicamente dipendente dal distretto di riferimento del poliambulatorio ove è situato.
La gestione e l’organizzazione è affidata al gruppo di infermieri assegnati al
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poliambulatorio che a rotazione, in base
alla programmazione dei turni stabilita
dal coordinatore infermieristico, si occupano degli utenti dell’ambulatorio infermieristico.
Gli ambulatori infermieristici sono in rete fra loro e con tutti i servizi aziendali;
inoltre, per esigenze legate alla continuità assistenziale e all’accessibilità alle prestazioni sanitarie da parte degli
utenti, i collegamenti funzionali con alcuni servizi sanitari ospedalieri (Centro
Immunotrasfusionale Ospedaliero, DH
Oncologico, ecc.) e territoriali (Ambulatori di Medicina Generale, Centri di Assistenza Domiciliare, Centri salute Mentale, Centri Diabetologici ecc.) sono sta-
ti regolati formalmente attraverso la definizione dei percorsi di accesso alle
prestazioni infermieristiche e l’adozione
di specifici protocolli integrati tesi ad assicurare l’appropriatezza e l’efficacia
dell’assistenza ad alcune tipologie di
utenti (diabetici, stomizzati, affetti da
anemia sideropenica, oncologici portatori di port-a-cath, ecc.).
Nell’ambito delle competenze specifiche della professione infermieristica,
sancite dalla normativa vigente, gli ambulatori infermieristici svolgono funzioni
di prevenzione, care (inteso come“prendersi cura”), promozione e mantenimento della salute della popolazione locale. Rappresentano inoltre un punto di
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ti a casa del paziente da:
_ personale sanitario che opera nei
distretti sanitari di base o nei servizi
territoriali o negli ospedali pubblici o
accreditati
_ infermieri professionali che effettuano servizi di assistenza domiciliare nell’ambito dei distretti sanitari
di base o nei servizi territoriali delle
ASL
_ familiari del paziente, opportunamente identificati dal medico o dal
farmacista ospedaliero
Coloro che trasportano tali medicinali,
nelle quantità da consegnare, devono
avere una certificazione medica prodotta su carta intestata che ne prescrive la
posologia e l’utilizzazione al domicilio
del paziente. Non si deve utilizzare la ricetta autocopiante perché i medicinali
descritti nella certificazione non saranno dispensati dalla farmacia aperta al
pubblico.
Autoprescrizione
I medici ed i veterinari possono approviggionarsi dei farmaci compresi nell’allegato III bis per uso professionale urgente, mediante autoricettazione compilata su ricetta autocopiante, senza rispettare i limiti quali-quantitativi previsti
per la prescrizione ai propri assistiti. I
farmaci così prescritti non possono essere dispensati a carico del SSN. Il medico o il veterinario deve conservare la
copia della autoprescrizione per 2 anni.
Il medico o il veterinario deve avere un
registro delle prestazioni effettuate, su
cui devono essere annotate le movimentazioni relative ai farmaci in questione e deve conservare tale registro
per 2 anni dalla data dell’ultima registrazione effettuata. Il registro non è di modello ministeriale, non deve essere vidimato dalla autorità competente e non
deve essere assimilato ad altre tipologie
di registri previsti dal DPR 309/90 e successive modificazioni e integrazioni.
Approvviggionamento per strutture
sanitarie sprovviste di farmacia
interna
In base all’art.42 del DPR 309/90, i direttori sanitari di ospedali, ambulatori,
istituti e case di cura in genere, sprovvisti di farmacia interna e titolari di gabinetto per l’esercizio delle professioni sanitarie, possono acquistare dalle farmacie, per il fabbisogno della struttura sanitaria (non per uso professionale urgente
del medico o del veterinario), i medicinali compresi nelle tab. I, II, III, IV delle
sostanze stupefacenti e psicotrope, con
richiesta in triplice copia. Ai sensi dell’art. 64 tali farmaci vanno riportati sul
registro di carico e scarico intestato alla
struttura sanitaria sotto la responsabilità del direttore sanitario o del titolare di
gabinetto e vidimato annualmente dall’autorità sanitaria locale.
(la bibliografia completa può essere richiesta alla
redazione- e-mail:[email protected])
La prevenzione delle reazioni allergiche
da anestetici locali in odontostomatologia
Carlo Calabrese ASL RmB Ospedale “S. Pertini” Responsabile U.O.D. di Odontoiatria
Salvatore Tripodi ASL RmB Ospedale “S. Pertini” Responsabile U.O.D. di Allergologia Pediatrica
Figura 2 - Classificazione delle prestazioni infermieristiche a carico del SSN (pagamento
del ticket)
INTRODUZIONE
egli ultimi anni si è assistito ad un
aumento delle reazioni avverse ai
farmaci (Adverse Drug Reactions) soprattutto nei paesi ad economia industriale avanzata dovute principalmente
al crescente consumo di questi.
Gli effetti indesiderabili costituiscono
uno dei maggiori problemi di salute
pubblica considerando che il 15% della
popolazione generale va incontro a reazioni collaterali, che i decessi per manifestazioni cliniche correlate sono stimati intorno allo 0,1% in ambito medico ed
allo 0,01% in ambito chirurgico, che per
la maggior parte dei farmaci l'incidenza
di reazioni allergiche o pseudoallergiche è pari all’1-3%, che il 3-5% dei ricoveri ospedalieri sono da mettere in correlazione con queste e che il 15-30%
N
Figura 3 - Prestazioni infermieristiche a pagamento per intero
dei pazienti ospedalizzati per altri motivi presentano, nel corso della degenza,
manifestazioni di questo tipo.
Anche gli anestetici locali sono considerati responsabili di reazioni avverse
con una incidenza del 6% ma solo l'1%
di questa è sostenuta da un meccanismo allergico, inteso sia come IgE mediato sia come meccanismo immunologico non IgE, in precedenza denominate pseudoallergiche o, in caso di shock,
reazioni anafilattoidi, come proposto
recentemente dall’EAACI nella nuova
nomenclatura.
SINTOMATOLOGIA
La maggior parte delle reazioni avverse
sono da attribuire ad effetti collaterali
e/o tossici, a reazioni psicomotorie e/o
traumi chirurgici. Le reazioni tossiche
possono dipendere da un sovradosaggio (rapido assorbimento o accidentale
inoculazione dell’anestetico intravascolare), o da una idiosincrasia idiopatica da parte del paziente, cioè un’intolleranza individuale al farmaco assorbito
normalmente. I sintomi sistemici dovuti
ad un meccanismo tossico sono, in genere, eccitazione, euforia, logorrea,
agitazione psicomotoria, nausea, vomito, disorientamento e convulsioni seguite da una depressione delle funzioni
cerebrali che può giungere fino al coma, scompenso cardiorespiratorio e
ipotensione, che, occasionalmente,
porta al decesso. Fenomeni vaso-vagali sono, invece, alla base delle reazioni
psicomotorie quali bradicardia, ipotensione, sudorazione, e sono di gran lunga la causa più frequente di sincope associata ad anestetici locali.
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Le reazioni IgE mediate quali orticaria,
angioedema, broncospasmo e shock
anafilattico sono eccezionali, e ancora
più eccezionale è la dimostrazione che
le reazioni dipendono proprio da un
meccanismo IgE mediato. In altri rari
casi sono state documentate reazioni
da immunocomplessi da IgM anti-anestetico locale con conseguente attivazione del complemento, e, a volte, piastrinopenia, con sintomi quali orticaria
e/o ipotensione.
DIAGNOSTICA ALLERGOLOGICA
Gli anestetici locali si dividono in due
famiglie caratterizzate dal diverso legame (catena intermedia) tra la porzione aromatica lipofila e la porzione idrofila; quella degli Esteri dell’acido paraaminobenzoico (-COO-) e quella degli
Amidi derivati dall’acetanilide (NHCO-).
I primi sono rapidamente metabolizzati dalle pseudocolinesterasi plasmatiche mentre i secondi sono metabolizzati dagli enzimi microsomiali epatici.
La classe di sostanze di maggior impiego è quella degli amidi (Articaina,
Bupivacaina, Lidocaina, Mepivacaina,
Prilocaina) seguita dagli esteri (Butacaina, Procaina, Tetracaina).
La loro azione si esplica mediante il
blocco dei canali voltaggio dipendenti
del sodio (rapid channels), del calcio
(slow channels) mediante la loro modificazione conformazionale ed il trasporto assonale retrogrado che li conduce fino al soma neuronale.
Le reazioni allergiche pur rappresentando una quota numericamente trascurabile, come precedentemente ricordato, sono clinicamente rilevanti
per la loro imprevedibilità e la potenziale letalità, nei casi in cui ci sia un massivo rilascio di mediatori dai basofili e
dai mastociti o per attivazione diretta
del complemento. Queste sono più frequenti con l'uso di molecole appartenenti al gruppo degli amino-esteri in
particolare con quelli che derivano dall'acido para-amino-benzoico (PABA).
Mentre è documentata una reattività
crociata tra esteri, non altrettanto si
può affermare che avvenga tra esteri e
amidi o tra i diversi composti delle amidi.
Nella diagnostica differenziale deve
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essere esclusa una possibile intolleranza agli additivi quali i parabeni, utilizzati come batteriostatici, e i solfiti,
impiegati come antiossidanti nelle preparazioni in cui è presente adrenalina.
E’ raccomandabile l’identificazione dei
pazienti a rischio per eventuali reazioni
anafilattiche agli anestetici locali.
Questi sono tutti coloro che durante o
nelle due ore successive all’anestesia
locale hanno presentato manifestazioni cliniche compatibili con un meccanismo allergico (IgE o non IgE mediato)
quali orticaria/angioedema, broncospasmo, edema della glottide ed anafilassi.
Dovrebbero essere considerati potenzialmente a rischio i soggetti affetti da
malattie atopiche (asma bronchiale allergico, rinite, pollinosi, dermatite atopica), coloro che presentano una
anamnesi familiare di reazione da farmaci o che hanno presentato pregresse reazioni agli antibiotici ed anti-infiammatori, oltre tutti coloro che non
hanno mai effettuato una anestesia loco-regionale. Le prove allergologiche
dovranno essere effettuate esclusivamente da uno specialista allergologo
ed in ambiente ospedaliero in regime di
day hospital, dato il rischio, seppur potenziale, di reazioni severe che possono richiedere un adeguato e tempestivo trattamento. Devono essere evitate
da personale poco esperto tecniche
come il cosiddetto "pomfo di prova" (intradermoreazione con farmaco non diluito) perché gravato di potenziale pericolosità e di scarsa specificità e sensibilità.
La Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica ha stabilito un protocollo diagnostico che rappresenta attualmente nel nostro Paese l'unico riferimento operativo e scientifico cui attenersi; questo prevede in successione
l’impiego di tecniche diverse: skin prick
test, test intradermico e l’inoculo sottocutaneo.
Nel sospetto di una reazione avversa
ai solfiti è possibile attuare uno specifico protocollo di provocazione per inoculo.
Il test di provocazione per gli additivi
può essere effettuato solamente in casi selezionati qualora la storia clinica
sia compatibile con un'intolleranza per
queste molecole dopo ingestione d’al-
colici o di cibi preconfezionati. Peraltro
in un’ampia casistica si conferma l'eccezionalità di tali manifestazioni.
Come già detto in precedenza, un
eventuale test di tolleranza negativo
non esclude categoricamente la possibilità di reazioni anche severe e non
prevedibili dovute a meccanismi diversi da quelli allergici (idiosincrasia, deficit enzimatici, tossicità etc.).
In soggetti con esito negativo del test di
tolleranza per gli anestetici locali ed
additivi ma con una documentata pregressa reazione allergica, che non
possono essere sottoposti per patologie sistemiche ad anestesia generale,
è giustificato l'uso di una premedicazione farmacologica da effettuare tassativamente sempre dopo aver completato il protocollo citato ad opera dello specialista allergologo ed in ambiente ospedaliero.
CONCLUSIONI
Le manifestazioni allergiche o pseudoallergiche nella loro espressione di
massima gravità sono tra gli effetti più
drammatici che possono presentarsi
nel corso di una anestesia locale. Per
questo motivo e’ di fondamentale importanza una accurata anamnesi ed il
ricorso a protocolli diagnostici specifici
nel caso si evidenzino quei fattori che
possano ipotizzare di esporre il soggetto ad un potenziale rischio anafilattico.
(la bibliografia completa può essere richiesta alla
redazione- e-mail:[email protected])
Nuovi modelli organizzativi per l’assistenza
infermieristica in italia: il modello dell’ambulatorio
infermieristico territoriale della Asl Roma B - (II parte)
Marinella D’Innocenzo
Direttore UOC Servizio Assistenza Infermieristica - Azienda USL Roma B
A
fronte dei cambiamenti del sistema socioculturale, politico ed
economico avvenuti negli ultimi
dieci anni, l’Azienda ASL Roma
B, ha ritenuto opportuno attuare
una concreta politica di sviluppo
dei Servizi Sanitari Territoriali e di diversificazione dell'assistenza sanitaria, attraverso la sperimentazione di nuovi
modelli organizzativi per l’assistenza
sanitaria e la diffusione di strutture innovative in grado di rispondere alle complesse esigenze sanitarie (in particolare
quelle infermieristiche) della cittadinanza.
Il Servizio Assistenza Infermieristica, in
linea con gli obiettivi aziendali e con il
“Piano di Intervento sui Servizi Territoriali 1999-2000”, ha realizzato uno studio di fattibilità per l’istituzione di ambulatori infermieristici territoriali (A.I.T.) nei
4 Distretti aziendali e già dalla fine del
’99, tre di essi risultavano attivati, nei distretti I, II, IV presso strutture poliambulatoriali situate in zone del territorio
aziendale, alcune delle quali abbastanza decentrate dai servizi sanitari.
Al 31 dicembre 2003 la rete degli
AA.II.TT. era costituita da sette strutture
dislocate nei quattro distretti aziendali
(v. figura 1). È in programma per il 2004
di completare la costruzione della rete
degli ambulatori infermieristici attraverso l’attivazione di altre 2 strutture che
garantiranno la continuità delle prestazioni infermieristiche sul territorio aziendale.
Gli ambulatori infermieristici costituiscono uno strumento strategico per l’Azienda attraverso cui:
- migliorare l’accessibilità dei servizi
sanitari offerti;
- fornire un punto di ascolto sanitario
che possa costituire una cerniera tra i
servizi ospedalieri, territoriali (di assistenza domiciliare, psichiatrica, ge-
riatria, materno-infantile, specialistica ambulatoriale e di medicina generale) al fine di assicurare la continuità
assistenziale;
- rispondere alle numerose richieste
dell’utenza di prestazioni infermieristiche ambulatoriali.
L’attivazione dei primi ambulatori infermieristici nel ’99, ha infatti richiesto:
- un’intensa campagna pubblicitaria
attraverso incontri informativi con la
popolazione locale (comitati di quartiere, centri anziani, ecc.);
- una campagna di sensibilizzazione e
di informazione rivolta al personale
sanitario e infermieristico aziendale;
nonché la divulgazione di oltre
10.000 pieghevoli e manifesti presso
i medici di base e le farmacie afferenti al territorio aziendale.
Il modello organizzativo
dell’ambulatorio infermieristico
L’ambulatorio infermieristico è un servizio territoriale organizzato e gestito es-
senzialmente e direttamente da personale infermieristico assegnato ai poliambulatori territoriali, responsabile
dell’organizzazione e della gestione
dell’assistenza infermieristica ai sensi
del DMS 739/94 e della legge 251/00,
articolo 1, commi 1 e 3.
La configurazione strutturale degli ambulatori infermieristici rientra nella logica dei modelli organizzativi professionali di Primary care, caratterizzati da
un’organizzazione dell’assistenza per
obiettivi, dalla possibilità di pianificare,
gestire e valutare le prestazioni infermieristiche erogate; e soprattutto dalla
crescita e dallo sviluppo della professionalità infermieristica attraverso la piena
responsabilità e l’autonomia decisionale e operativa sugli ambiti competenza
specifici previsti e regolamentati dalla
normativa vigente in materia di esercizio della professione infermieristica
(l.42/99, C.D./99, Ord. Didattici delle
Classi di Laurea/02, l.251/00, l.1/02).
Questo tipo di modello organizzativo,
Figura 1- Ambulatori Infermieristici Territoriali, ASL Roma B
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