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Guttuso. Inquietudine di un realismo La Crocifissione di Renato Guttuso, la sua opera più famosa, ed uno dei quadri più significativi del Novecento italiano, suscitò in occasione della presentazione al Premio Bergamo, nel 1942, un grande dibattito nel Paese. Ecclesiastici autorevoli, giudicandola blasfema, proibirono ai chierici di guardare l’opera, pena la sospensione a divinis. La pietra dello scandalo derivava dalla posizione delle tre croci, assemblate e non sistemate frontalmente, che ribaltavano lo schema classico della rappresentazione cristiana; ma, soprattutto, dalla nudità delle pie donne, sia quella che abbraccia il corpo crocifisso di Cristo che l’altra, in parte nascosta, dalla croce. Nudità motivata da Guttuso con il desiderio di rappresentare il dramma, e insieme, per attribuirgli una sorta di atemporalità. “Il mio quadro certo non va d’accordo con i canoni della iconografia religiosa, - avrebbe affermato l’artista - ma non per questo è meno religioso, nego poi assolutamente che sia un quadro empio.” La frattura con le autorità ecclesiastiche sarebbe durata nel tempo e, solo nel 1969, quasi trent’anni dopo, Padre David Maria Turoldo sarà il primo religioso a scendere in campo per difendere l’opera, proponendo un’interpretazione di “Guttuso, come un narratore biblico, di una bibbia in fiamme, mai finita che è la nostra storia” dimostrando una perfetta comprensione del messaggio del quadro. “Solo una donna nuda e vera (la grazia non disincarna nessuno, la grazia ti lascia in tutta la tua realtà corporea), solo una donna quasi si arrampica su per il corpo di Cristo, più per salvare se stessa che per consolare la vittima. E non è così anche nella nostra predicazione? Cristo non è lassù per essere consolato ma per salvare, dare un senso e porre una fine ad ogni assassinio e a ogni tradimento dell’uomo sull’uomo. E tutti siamo nudi crocifissi e assassini…” La progressiva apertura che il cardinale Montini, eletto al soglio pontificio con il nome Paolo VI, opera nei confronti dell’Arte Moderna, porta allo storico incontro dell’artista con il Pontefice, nel 1973, in occasione della inaugurazione della Collezione d’Arte Religiosa Moderna nei Musei Vaticani, alla donazione di tre opere, e alla ipotesi di affidare la stessa Crocifissione al Vaticano, con la condizione, inaccettabile per Guttuso, di coprire i nudi femminili. Monsignor Crispino Valenziano, teologo, proprio dalla Crocifissione ha iniziato l’esegesi delle opere dell’artista, proponendo una nuova chiave di lettura e sfatando interpretazioni inesatte: “di Guttuso mi interessa il credere cristiano coimplicato a suo modo nell’opera della sua arte”, Valenziano ci invita a riflettere sulla produzione artistica di Guttuso – sottolineando come – “dalla virtualità religiosa del suo realismo sociale” si giunga “alla sua conoscenza riflessivamente operativa delle Scritture e delle tradizioni connaturate al nostro radicamento culturale”. La mostra che raccoglie i quadri di Renato Guttuso, di ispirazione religiosa, offre un’inedita prospettiva, per penetrare più a fondo le opere dell’artista ed è stata intitolata “Inquietudine di un realismo”, per aderire a quanto affermato dall’artista stesso sul tema. “Nell’arte religiosa quel realismo, che prescinde da un’idea del bello comune a tutti gli uomini, appartiene a momenti e ad attitudini particolari, che si potrebbero definire rivoluzionari. Mi riferisco al Cristo della Crocifissione di Grünewald a Colmar o alla Madonna di Pasolini nel suo film sul Vangelo secondo Matteo.” E’ proprio quella inquietudine che spinge l’artista a tornare sul tema della Crocifissione, dipingendo nel 1980, il Legno della Croce, un omaggio al Cristo della Crocifissione di Grünewald. Dall’opera vengono estrapolati alcuni particolari, in alto a destra, viene riprodotta la mano contratta del Cristo, già dipinta in un altro lavoro, La mano del crocifisso, 1965, pure esposto; mentre, al centro, le mani incrociate tra loro, in un gesto di sofferta preghiera, sono tratte dalla Maddalena. Sono i legni però ad attrarre la nostra attenzione perché sono quelli che, secondo “la leggenda dell’albero secco” ed altri testi sacri, formavano i bracci della Croce: olivo, cedro, noce e cipresso, dipinti da Guttuso dopo un’attenta ricerca iconologica e biblica. Sempre negli anni ottanta, che sono per Guttuso anni in cui la sua pittura apparentemente si fa più piana e narrativa, ma allo stesso tempo ristabilisce un dialogo intenso con la pittura metafisica, troviamo, Il Pane, 1980. Un’opera apparentemente fuori dal tema religioso, eppure centrale in questo percorso e non solo per il nesso che ha il pane con il rito cristiano. Si tratta di un’opera che riprende una fotografia di un forno siciliano, ma trasfigurandola l’artista sottolinea come quelle pale riempite di pani sembrano trovarsi in equilibrio precario simile ad una scala appena accennata che compone un’ambigua prospettiva; la sensazione è di mistero. Il pane è ancora al centro di un’altra opera più marcatamente di tema sacro, La cena di Emmaus, 1981. Il riferimento diretto è il Salvator Mundi di Antonello da Messina, citato attraverso il particolare delle mani e messo in dialogo con la Cena in Emmaus di Caravaggio. L’espediente dell’inserimento della natura morta in primo piano comporta, insieme alla posizione della mano alzata, un ulteriore accentuarsi della profondità e quindi della distanza tra lo spettatore e il Cristo, esaltando il sentimento di mistero che contraddistingue l’intera opera. IL Colosseo, 1972, che insieme alla Mano del Crocifisso, fa parte delle opere donate dall’artista alla Collezione d’Arte Religiosa Moderna nei Musei Vaticani, viene indagato dall’alto, trasformandosi nelle intenzioni dell’artista in “ una carcassa o un cranio rovesciato … metà braciere metà ossario”. La grande allegoria, che già nel titolo richiama San Paolo, Spes contra spem, 1983, è un soggetto complesso che ad un primo sguardo, sembra chiaro; la descrizione dello studio d’artista. Pochi anni prima, nel 1975, Guttuso aveva dipinto Atelier, 1975 cui l’opera può essere avvicinata. “Un triplo autoritratto-scrive Fabio Carapezza Guttuso- che raffigura due volte l’artista al cavalletto, mentre dipinge ed una mentre accende l’eterna sigaretta. Più che il frutto della visione speculare sembra il prodotto della memoria e della immaginazione dell’artista. Non riusciamo a coglierne lo sguardo, totalmente assorto nella fatica del dipingere, ma la geografia dei volti, che corrisponde alla geografia dell’animo, l’atlante delle passioni, si riflette sulle rughe del volto dell’artista.” Lo studio raffigurato in Spes contra spem è molto differente, e mostra subito il carattere allegorico, a partire dai mostri di Villa Palagonia a Bagheria che campeggiano in alto, prendendo il posto del soffitto. In un ambiente che molto deve alla composizione scenica teatrale, attività in cui Guttuso era maestro, troviamo, il ritratto dello scrittore Elio Vittorini, di Rocco Catalano e Nino Marcobi, assistenti e amici di Guttuso. Tra loro un tavolo con gli strumenti del pittore sul quale è appoggiata una tela, la riproduzione dell’opera “Donna in camicia seduta in poltrona” 1913, di Picasso, un omaggio al maestro e amico. In secondo piano, il ritratto di Mimise Guttuso e dell’artista stesso, intenti ad osservare un quadro astratto. Quasi al centro del quadro il nudo di donna affacciata alla finestra che apre la vista su di un panorama marittimo. Nel percorso si incontra una seduta sulla quale è poggiato un tessuto rosso, che troviamo in molte altre opere qui esposte. Anello di congiunzione con la sezione destra del quadro, una bambina corre tenendo in mano un garofano rosso verso un gruppo di tre personaggi. Un quadro, dunque realista e metaforico allo stesso tempo, come le allegorie reali di Courbet, esplicitamente richiamate nell’opera. “L’autonomia e la specificità del disegno di Guttuso- scrive Enrico Crispolti- è nel suo affermarsi subito, non tanto come momento preparatorio, non meramente progettuale cioè, ma interamente esaustivo risolvendo autonomamente in sé stesso per intero il proposito comunicativo. ” In questa prospettiva vanno esaminati i due studi della Crocifissione, del 1940 e del 1941, che contengono soluzioni che saranno abbandonate nell’ultima versione dell’opera, rivelandoci l’uno la prima idea dell’artista, che il supplizio si dovesse svolgere in una stanza; l’altro, l’inconfondibile fisionomia di Hitler, tra i carnefici. L’attenzione al proprio tempo, il radicamento esistenziale di Guttuso nel proprio presente storico, è visibile nell’Esodo di arabi, 1967, dove Guttuso dipinge, quasi in presa diretta, la fuga degli arabi dopo la vittoria israeliana dello stesso anno, e nella La fuga in Egitto, 1983, dove il dramma della fuga della Sacra Famiglia è rappresentato facendo riferimento al dramma dei palestinesi, come racconta l’artista “Avevo visto su un settimanale la fotografia di una famiglia di palestinesi, un esodo… Il racconto evangelico secondo la lettera di Matteo, si ripete ai nostri giorni.” Nella mostra è presente il bozzetto del grande affresco della Fuga in Egitto, il grande affresco di cinque metri per sei, realizzato da Guttuso nella terza cappella del Sacromonte di Varese, un’esperienza straordinaria che lo portò, lungo il mese di settembre e la prima metà di ottobre, a dipingere in piedi su una impalcatura alla presenza di amici, curiosi, fotografi “ mi sentivo” avrebbe scritto “ a momenti un pittore del Rinascimento a momenti un madonnaro”. L’interesse per la Crocifissione avrebbe portato l’artista a misurarsi nuovamente con il drammatico tema, negli Studi di Crocifissione, 1986, dove il riferimento è al suo conterraneo, Antonello da Messina mentre, nella donna che prega, torna l’omaggio a Grünewald. La morte però gli impedirà di completarla.