Asilo per tutti i bambini: così il modello tedesco può

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Asilo per tutti i bambini: così il modello tedesco può
Sommario
Il dibattito delle idee
RRR corriere.it/lalettura
L’inserto continua online con il
«Club della Lettura»: community
di idee e opinioni. Le classifiche
dei libri tornano il 1˚settembre
4
5
Il dibattito delle idee
La lingua batte
dove la politica vuole
di CARLO BORDONI
L’incontro
Lo scrittore Yan Lianke:
il sogno cinese non esiste
di MARCO DEL CORONA
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7
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9
Orizzonti
Big Data
Il web è tornato una Babele
di FEDERICO GUERRINI
Letterature
Leggete Neale Hurston
per capire il New Deal
di FLAVIO ALIVERNINI
Scienze
Il dormiglione è più sveglio
di MASSIMO PIATTELLI PALMARINI
Visual Data
La verità del tangentometro
di FIORENZA SARZANINI
10
12
13
14
15
Caratteri
Tendenze
La moltiplicazione dei generi
di CRISTINA TAGLIETTI e IDA BOZZI
Storia e aneddoti
Una squadra soltanto
di numeri 1
di TOMMASO PELLIZZARI
Costumi
C’è sempre una crisi
nei nostri film
di PAOLO BELTRAMIN
Civiltà
Un grattacielo di rape
di SEVERINO COLOMBO
Oltre il giardino
Perché l’agricoltura
è sparita dai romanzi
di ANTONIO PASCALE
16
Sguardi
Dialoghi
La chiesa-palestra
di Marina Abramovic
di VINCENZO TRIONE
18 Le mostre
Rubens globetrotter
delle corti
19
di GIOVANNA POLETTI
Il protagonista
Cabrita Reis: «Niente party,
l’arte è un cantiere»
di STEFANO BUCCI
20
22
Percorsi
Il racconto
Ho visto piangere
Britney Spears
di ROBERTO COSTANTINI
TeleNovelle
Walter White,
il prof senza redenzione
di ALDO GRASSO e CECILIA PENATI
Le dinamiche della politica «women-friendly»
agenda D
Una nuova
Asilo per tutti i bambini:
così il modello tedesco
può riaccendere in Italia
l’occupazione femminile
A
di MAURIZIO FERRERA
lti tassi di inattività (molto spesso non voluta), bassa fertilità, povertà fra i minori ai
massimi della classifica europea: questo
circolo vizioso affligge da almeno due decenni il nostro Paese. Si tratta di una vera
e propria trappola dalla quale è urgente
uscire per imboccare il cammino di una
crescita non solo women-friendly, favorevole alle donne,
ma anche capace di valorizzare e far leva su competenze e
talenti oggi trascurati e discriminati. In Italia non è ancora stata vinta la battaglia della persuasione sul Fattore D
(il lavoro femminile e il suo potenziale di crescita) nei confronti dell’opinione pubblica e di tutti i policy maker, compresi quelli più distratti e lontani dal tema. Due sono, a
mio avviso, i principali scogli da superare.
Il primo è di sostanza e riguarda l’agenda, il «che cosa
fare». Su quali misure puntare per accendere il motore
dell’occupazione femminile? Misure di tipo fiscale (come
sgravi contributivi o incentivi monetari) oppure servizi
(soprattutto quelli per l’infanzia)? È ovvio che servirebbe
tutto. I vincoli di bilancio c’impongono però di scegliere.
L’attuale governo sembra più propenso a imboccare la via
fiscale, ma sarebbe un errore trascurare le politiche di
conciliazione e in particolare l’espansione degli asili nido,
vista la loro triplice ricaduta positiva: nuovi posti di lavoro, sostegno diretto alle madri occupate, promozione delle capacità e delle opportunità delle bambine e dei bambini, soprattutto quelli che nascono in famiglie svantaggiate. Di impulso ai nidi e, più in generale, di conciliazione si
parla da anni. Oltre alle risorse, ciò che manca è una regia, un coordinamento finalizzato da parte di qualche attore politico che condivida la diagnosi generale dei problemi e scelga di farsene carico, anche dal punto di vista
della costruzione istituzionale. Il ministero (senza portafoglio) delle Pari opportunità è sempre stato la cenerentola
dei vari governi (ora le deleghe in materia sono affidate al
ministero del Lavoro). Forse sarebbe opportuno creare
una vera e propria agenzia indipendente: in Spagna l’Instituto de la Mujer ha svolto un ruolo importantissimo nel
promuovere l’agenda donne nel corso dell’ultimo ventennio.
Il secondo scoglio è più insidioso e riguarda non tanto
le (buone) politiche, ma l’azione politica in quanto tale.
Come ha dimostrato un’ampia letteratura politologica,
l’adozione di misure e soprattutto di una strategia a favore delle donne non prende il via senza che ci sia una espli-
RRR
i
Madri e lavoratrici
All’esigenza di far crescere
la partecipazione delle
donne al lavoro in Italia
Maurizio Ferrera ha
dedicato nel 2009 il saggio
«Il fattore D» (Mondadori).
«Conciliare famiglia e
lavoro» è invece il titolo di
un libro di Manuela Naldini
e Chiara Saraceno,
pubblicato dal Mulino nel
2011, sui patti che sorgono
tra i sessi e le generazioni
La politica inospitale
Libri sul ruolo delle donne
nella vita pubblica: Nadia
Maria Filippini e Anna
Scattigno, «Una democrazia
incompiuta» (Franco Angeli,
2010); Mona Lena Krook e
Sarah Childs (a cura di),
«Women, Gender and
Politics», (Oxford University
Press, 2010); Assunta Sarlo
e Francesca Zajczyk, «Dove
batte il cuore delle donne»
(Laterza, 2012)
Manager in rosa
Valore D è un’associazione
di grandi imprese creata per
sostenere la leadership
femminile in azienda. Tale
esperienza viene illustrata
dalle sue protagoniste nel
volume «Verso un nuovo
equilibrio» (Mondadori). Nel
recente saggio «Ad alta
quota» (Marsilio) l’ex
deputata del Pdl Lella Golfo
racconta la sua battaglia
per l’introduzione delle
quote rosa in Italia
Decisiva sia per la domanda che per l’offerta
politica è l’ampiezza della rappresentanza rosa
in associazioni e partiti. Da soli, neppure Blair
e Zapatero avrebbero potuto fare così tanto
sui temi della parità e della conciliazione
cita e riconoscibile «domanda» e senza un qualche soggetto che punti su
questa strategia per orientare e vincere il «gioco politico», ossia per allargare la
propria base di consenso,
per vincere le elezioni, per
stare al governo.
Un fattore chiave sia sul
versante della domanda sia
su quello dell’offerta politica è l’ampiezza e l’efficacia
della rappresentanza femminile nei movimenti, nelle associazioni, nei partiti,
nelle istituzioni. La lezione storico-comparata sul punto è
chiara: l’azione politica per le donne deve essere innanzitutto azione politica delle donne. Serve anche l’azione degli uomini, beninteso: pensiamo a politici women-friendly come il britannico Tony Blair e lo spagnolo José Luis
Zapatero. Ma senza le spinte dei movimenti femminili dei
rispettivi Paesi, senza il contributo delle militanti del New
Labour e del Psoe, delle ministre e parlamentari «rosa» e
così via, è assai improbabile che Blair e Zapatero avrebbero puntato così tanto sui temi della parità e della conciliazione. E senza le pressioni dal basso esercitate dall’associazionismo femminile già negli anni Settanta e Ottanta, i
Paesi nordici non avrebbero imboccato la strada che oggi
li ha condotti ad essere i primi esempi storici del modello
dual earner, dual carer, basato cioè sull’eguale partecipazione dei partner di coppia al lavoro sia professionale sia
domestico.
Il caso tedesco ci fornisce la più recente (e per noi forse
più istruttiva) lezione sulle dinamiche politiche capaci di
far concretamente avanzare l’«agenda donne». Proprio in
questo mese di agosto in Germania entra in vigore una
legge che garantisce a ogni bambino fra uno e tre anni un
posto all’asilo, oppure altre forme di assistenza a casa sostenute dai sussidi dallo Stato. Lo schema è meno generoso di quelli vigenti nei Paesi nordici, ma è molto avanzato
per gli standard europeo-continentali. Il sistema politico
tedesco è riuscito a varare questa riforma grazie a una felice combinazione di fattori. Innanzitutto, da almeno tre legislature la quota di donne in seno al Bundesrat supera il
30%. Secondo gli studiosi, si tratta della soglia minima
per dar voce e forza all’«agenda donne». In secondo luogo, nella sua battaglia per la riforma la ministra del Lavoro, Ursula von der Leyen (cristiano democratica) ha trovato una sponda efficacissima nelle colleghe socialdemocratiche e in particolare in Renate Schmidt, che aveva occupato la sua stessa posizione nel governo Schröder dei primi
anni 2000.
Grazie all’intesa fra le due donne, il potenziamento delle politiche di conciliazione e assistenza all’infanzia era
stato indicato come punto fondamentale della prima
Grande Coalizione tra cristianodemocratici e socialdemocratici (2005-2009) e confermato poi nella seconda
(2009-2013). La terza condizione è stata infine l’appoggio
esplicito e genuino di Angela Merkel. La cancelliera ha
non solo favorito il formarsi di una coalizione trasversale
Il progetto della ministra
Uguaglianza per legge
Ora ci prova la Francia
di MARIA SERENA NATALE
S
iamo alla terza generazione, la terza svolta
nel percorso per la parità effettiva. Dopo le
conquiste civili del primo Novecento e le
rivendicazioni socio-economiche degli anni
Settanta, il prossimo traguardo è l’eguaglianza
reale che passa dal riconoscimento dell’intreccio
tra pubblico e privato. Ora che le donne hanno
dimostrato di potercela fare, tocca al legislatore
eliminare gli ostacoli che le frenano. Ci prova la
Francia, dove il mese scorso la ministra
trentacinquenne Najat Vallaud-Belkacem ha
depositato in Senato il «progetto di legge per
l’eguaglianza tra donne e uomini». Un testo che
pone in rapporto diretto parità domestica e
lavorativa, chiamando in causa il nesso tra
maternità e marginalizzazione professionale
secondo l’impostazione del modello scandinavo.
La legge quadro postula per la prima volta la
necessità di un intervento integrato e trasversale
in virtù della correlazione tra stereotipi culturali,
sovraccarico di compiti, disparità di retribuzione e
rappresentanza politica, violenza di genere. Le
misure per incidere su scuola, famiglia, istituzioni e
lavoro vanno dall’ampliamento del sistema delle
quote al raddoppio del congedo parentale
vincolato a un’equa divisione dei mesi tra i genitori,
dal sostegno dopo il divorzio all’inasprimento delle
sanzioni contro le discriminazioni fino
all’introduzione di asili che sperimentino
l’abolizione delle distinzioni di genere. Uno sforzo
di emancipazione che investe l’intera società.
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fra donne, ma si è schierata con fermezza dalla parte della
sua ministra, difendendola dai numerosi attacchi dell’ala
conservatrice e maschilista di Cdu (i cristianodemocratici, appunto) e Csu (i cristianosociali bavaresi). Valorizzando le biografie personali di von der Leyen e Schmidt (entrambe madri, professioniste di successo e infine ministre) Merkel ha saputo collegare il tema dei congedi e dei
nidi a quello della conciliazione, e dunque dell’occupazione femminile. Si è così avviato un circolo virtuoso, che ha
convinto (quasi) tutti.
Vi sono oggi nel nostro Paese le precondizioni per
l’azione politica a favore delle donne? Sul piano della rappresentanza femminile l’Italia è stata a lungo il fanalino di
coda dei Paesi europei, ma le elezioni del febbraio 2013
hanno segnato un punto di svolta: le donne parlamentari
sono oggi 291, ossia il 30,8% del totale (erano il 20,2% nella passata legislatura). La soglia del 30% è stata superata
anche in seno all’esecutivo: al suo insediamento il governo Letta contava 7 donne su un totale di 21 ministri. L’adozione delle cosiddette «quote rosa» nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa rappresenta un
altro passo importante, così come la formazione, negli ultimi anni, di nuovi soggetti nell’associazionismo femminile e di nuove iniziative mediatiche di aggregazione (come
il blog La 27ma ora del «Corriere»).
Quali sono i margini di manovra, le «leve» che possono
essere sfruttate oggi dalle donne per rafforzare la propria
presenza politica e promuovere la propria agenda? E che
cosa ci si può aspettare dalla nuova fase politica delle «larghe intese»?
Per quanto riguarda il primo interrogativo, la risposta
va cercata soprattutto in due direzioni: verso il basso e
verso l’alto. Verso le Regioni e gli enti locali, da un lato,
dove già a partire dagli anni Novanta si è consolidata
un’ampia rete di strutture istituzionali «per la parità»,
con competenze più o meno formalizzate su molte politiche che hanno proprio a che fare con il welfare, la conciliazione, il mercato del lavoro. Il livello regionale è stato
in Spagna una importantissima palestra per l’azione politica femminile, prima del salto di qualità avvenuto con il
governo Zapatero. E il sostegno della maggioranza dei
Länder è stato decisivo anche per la recente riforma tede-
ILLUSTRAZIONE
DI PIERLUIGI LONGO
sca. Dall’altro lato, è opportuno guardare verso l’Unione Europea, che da tempo
offre all’azione politica delle donne una vasta gamma
di risorse finanziarie, normative, organizzative, e di
consulenza tecnica, non
sempre conosciute e adeguatamente utilizzate nel
contesto italiano. Il sostegno dell’Ue ha giocato un
ruolo cruciale persino nei
Paesi nordici: i congedi di
paternità sono stati introdotti in Svezia grazie a un
intelligente gioco di sponda fra alcune leader nazionali e i
tecnici della Commissione europea. Il nuovo contesto di
governance «multilivello» ha aperto in tutti i Paesi nuovi
spazi e nuove opportunità di azione politica: la sfida per
le donne italiane (soprattutto quelle del Mezzogiorno) è
quella di imparare a giocare meglio in queste nuove arene
(nonché quella di fare un gioco di squadra).
Quali prospettive si delineano, infine, con la nuova fase
politica delle larghe intese? La risposta dipende, in primo
luogo, dalla stabilità dell’attuale governo e in secondo luogo dall’effettiva emergenza nel governo e nel Parlamento
di una coalizione pro-donne. Enrico Letta è un sincero
fautore dell’agenda «donne e bambini»: chi conosce la
sua storia e ha letto i suoi scritti non può avere dubbi. Per
ora, tuttavia, sui temi del lavoro e del welfare abbiamo
sentito poco la voce delle ministre e delle parlamentari di
sesso femminile. Sono passati pochi mesi, molte parlamentari sono delle neofite (pensiamo al Movimento Cinque Stelle), le vicende di Berlusconi hanno per l’ennesima
volta polarizzato il clima politico. Ma, come ha dimostrato da ultimo il caso tedesco, senza un fattivo asse bipartisan fra donne, le riforme non si riescono a fare e i circoli
virtuosi del lavoro femminile non si attivano. L’Italia rischia così di perdere una grande occasione: quella di trasformare l’anomalia forse più vistosa del nostro modello
economico e sociale — l’enorme capitale umano femminile inattivo — in un grande atout da giocare nella partita
dello sviluppo, del riposizionamento italiano sui terreni
della competitività economica e della qualità sociale.
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RRR
A Roma le parlamentari sono oggi oltre il 30
per cento del totale, rispetto al 20 per cento
della passata legislatura. E il premier Enrico
Letta è un sincero fautore di programmi
che sostengano progetti per «donne e bambini»