Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28230 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: ORILIA LORENZO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI CROTONE
nei confronti di:
ARMINIO RAFFAELINA N. IL 31/08/1930
avverso la sentenza n. 41/2013 TRIBUNALE di CROTONE, del
19/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l'Avv
Udit i difensor Avv.
N.:A./Th(
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Data Udienza: 13/05/2015
RITENUTO IN FATTO
1.
Con sentenza 19.11.2014 il Tribunale di Crotone ha assolto Arminio
Raffaelina, perché il fatto non sussiste, dal reato di omesso versamento di ritenute
previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti nel quarto
trimestre 2006,.nel secondo terzo e quarto trimestre 2007 per un importo complessivo
di C. 2.708,76 e terzo trimestre 2009 per un ammontare di C. 511,04.
Per giungere a tale conclusione, il giudice di merito ha rilevato che, secondo
quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 224/1990, la legge delega
Governo, ma rappresenta una vera e propria fonte di norme giuridiche, con efficacia
erga omnes e con tutte le valenze tipiche delle norme legislative (tra cui quella di poter
essere utilizzate a fin interpretativi da qualsiasi organo chiamato a dare applicazione alle
leggi). Se dunque la legge delega n. 67/2014 non ha provveduto ad una formale
depenalizzazione dell'illecito di cui all'art. 2 della legge del D.L. 463/1983, essa possiede
tuttavia - ad avviso del giudice di merito - l'attitudine ad orientarne l'interpretazione e,
più in particolare, ad integrarne il contenuto precettivo dal punto di vista dell'elemento
costitutivo del reato e in particolare della necessaria offensività al bene giuridico protetto
(o, anche, della soglia di punibilità della condotta), dovendosi ritenere, secondo una
valutazione legale tipica, la non punibilità delle condotte al di sotto del parametro dei
10.000 euro annui evasi.
Ad avviso del Tribunale una siffatta interpretazione non si pone in contrasto col
principio della riserva assoluta di legge, che ha una funzione di garanzia del cittadino
rispetto ad incriminazioni di fatti non sancite dal potere legislativo e quindi da
ampliamenti della sfera di illiceità penale, mentre invece non vige nel caso di
ampliamento della sfera di liceità penale in ossequio al generale principio del favor
libertatis. Ha infine ritenuto non ostativo a tale interpretazione l'eventuale mancato
esercizio della delega da parte del Governo nei diciotto mesi previsti dalla legge,
trattandosi di un fenomeno analogo a quello dei decreti legge non convertiti o delle leggi
ordinarie dichiarate incostituzionali.
Sulla base di tali argomentazioni, poiché nel caso di specie la condotta
dell'imputata non aveva integrato la soglia di necessaria offensività stabilita dall'art. 2
della legge delega n. 67/2014, andava pronunciata l'assoluzione perché il fatto non
sussiste.
2.
Ricorre per saltum in cassazione il Pubblico Ministero denunziando la
violazione dell'art. 2 comma 2 lett. c) della legge n. 67 del 28.4.2014 (Delega al
Governo per la Riforma della disciplina sanzionatoria): il giudice di merito ha attribuito
alla norma giuridica contenuta nella legge delega - nelle more dell'emanazione del
relativo decreto - effetti immediatamente precettivi nell'ambito della fattispecie
incriminatrice sulla scorta di una formulazione dettagliata dei principi e dei criteri
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non è meramente formale e non si limita a disciplinare i rapporti interni tra Parlamento e
direttivi in essa contenuti. Dopo avere riportato il contenuto della norma in questione e
analizzato il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale 224/1990 richiamata dal
Tribunale e, a suo avviso, inconferente nel caso di specie, il ricorrente critica la natura
self executive attribuita dalla sentenza impugnata alla novella del 2014, evidenziando
addirittura un'ipotesi di eccesso di potere censurabile ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett.
a) cpp in quanto si realizzerebbe di fatto l'esercizio da parte del giudice di una potestà
riservata dalla legge all'organo esecutivo. Il Tribunale, secondo la tesi del ricorrente
Pubblico Ministero, ha dedotto in sostanza l'immediata efficacia di una legge delega che,
attuativi, e una tale interpretazione porrebbe evidenti profili di illegittimità costituzionale
della legge delega per violazione dell'art. 76 della Costituzione nella parte della
formulazione in cui porti già scritto il futuro decreto legislativo: in tal caso il delegato si
ridurrebbe ad una mera "longa manus" del potere legislativo.
Altro errore addebitato dal ricorrente al giudice calabrese sta nell'aver
trascurato che il legislatore delegato, per le violazioni "sotto soglia" dei 10.000 euro, ha
comunque previsto una sanzione amministrativa, e dunque non ha inteso ritenere
completamente inoffensiva la condotta omissiva: l'assoluzione dell'imputata senza
neppure disporre la trasmissione degli atti all'amministrazione competente ad irrogare la
sanzione amministrativa crea evidenti disparità di trattamento nei confronti delle stesse
condotte che saranno oggetto di giudizio dopo l'adozione dei decreti di attuazione che
contempleranno, al contrario, sempre una sanzione amministrativa: sussiste dunque la
violazione della riserva assoluta di legge. Richiama infine la giurisprudenza di legittimità
sulla attuale vigenza della fattispecie di reato di cui si discute.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Innanzitutto, va rilevata, ai sensi dell'art. 129 cpp la prescrizione del reato in
relazione alle omissioni contributive fino a giugno 2007.
Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto
di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ha natura di reato
omissivo istantaneo per il quale il momento consumativo coincide con la scadenza del
termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento ed attualmente fissato,
dall'art. 2, comma primo, lett. b) del D.Lgs. n. 422 del 1998, al giorno sedici del mese
successivo a quello cui si riferiscono i contributi (v., tra le varie, Sez. III n. 20251, 14
maggio 2009). Va poi considerato il periodo di sospensione legale di tre mesi (ai sensi
del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1 quater, convertito nella L. 11
novembre 1983, n. 638).
Ebbene, nel caso di specie, prendendo in esame la mensilità giugno 2007, il
momento consumativo va fatto risalire al 16 luglio 2007 (giorno 16 del mese successivo)
e, tenuto contro del trimestre di sospensione legale, il termine prescrizionale ha iniziato
a decorrere il 16 ottobre 2007 sicché, non ravvisandosi periodi di sospensione del
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viceversa, per espressa volontà del legislatore, necessita dei successivi decreti legislativi
procedimento (cfr. atti) il termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi (cfr.
art. 157 cp) è venuto a scadere il 16 aprile 2015.
A maggior ragione la prescrizione è maturata anche per le violazioni relative
alle mensilità precedenti.
Devono trovare applicazione i principi di recente ribaditi dalle Sezioni unite (cfr.
Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Ud. dep. 15/09/2009 Rv. 244274), secondo
cui, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare
sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le
parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente
non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo
appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello
di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o
di approfondimento.
Nel caso di specie, non ricorrendo le anzidette condizioni va senz'altro applicata
la causa estintiva limitatamente alle violazioni dei mesi di aprile e maggio 2007 e la
sentenza impugnata, entro tali limiti, va pertanto annullata senza rinvio.
2. Per le violazioni relative alle mensilità successive, non coperte da
prescrizione, ritiene il Collegio che il ricorso del Pubblico Ministero sia fondato.
L'art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67 ha conferito al Governo la delega per
la riforma del sistema sanzionatorio. Per quel che qui più interessa, l'art. 2 lett. c) del
predetto provvedimento ha sancito la trasformazione in illecito amministrativo del delitto
di cui all'art. 2, comma 1 bis, dl. 12 settembre 1983„ n. 463; purché, stabilisce la legge
delega, il mancato versamento delle ritenute previdenziali non superi la soglia di 10.000
euro annui.
Questa Corte, già con la sentenza Napoli (Sez. F, Sentenza n. 38080 del 31.717.9.2014, non massimata) ha affermato che la fattispecie in esame è tuttora prevista
come reato, limitandosi la legge. 28 aprile 2014, n. 67 a stabilire una delega al governo
in materia di pene detentive non carcerarie, perciò non apportando in nessun modo
modifiche alla figura di reato in oggetto, essendo tale funzione affidata alla futura
decretazione delegata. Analogo principio si trova espresso nella sentenza Sez. 1, n.
44977 del 19/09/2014 - dep. 29/10/2014, P.G. in proc. Ndiaye e altri, Rv. 261124,
riguardante però un'altra ipotesi di reato, e poi, ancora con riferimento nuovamente
all'omissione contributiva, nella sentenza Carnazza (Sez. 3, Sentenza n. 20547 del 14.4
— 19.5.2015). Il principio va senz'altro ribadito.
La questione di diritto che il Collegio è ora chiamato ad affrontare sta nello
stabilire se sia giuridicamente corretta una pronuncia di assoluzione ex art. 129 cpp dal
reato di omesso versamento di contributi previdenziali motivata con l'assenza di idoneità
offensiva dei beni giuridici tutelati in considerazione dell'importo dell'omissione (alla luce
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circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da
della previsione dell'art. 2 della legge delega citata).
La risposta da dare al quesito è negativa.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 139 del 2014 (con cui è stata
dichiarata l'infondatezza della questione di legittimità dell'art. 2 d.l. 463/1983) ha
affermato che "resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare - alla stregua
del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della
condotta concreta - se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in
concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati".
muovendo da tale
"monito",
Camazza,
alcune delle decisioni che hanno optato per l'esito
assolutorio, hanno ritenuto che la disobbedienza dell'imprenditore all'obbligo di versare i
contributi previdenziali non aveva pregiudicato in concreto il bene giuridico oggetto di
tutela dell'art. 2 di. 463/1983 (ossia la tutela previdenziale del lavoro e dei lavoratori).
La mancanza di offensività nell'illecito penale contestato assumerebbe, peraltro, contorni
ancora più netti in forza dei principi enunciati nella legge delega n. 67 del 2014, ove si
prospetta la depenalizzazione del reato di omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali.
Seguendo tale indirizzo, dunque, il Tribunale di Crotone, anche se premette di
condividere il principio di diritto sopra richiamato (e cioè che la legge delega non ha
provveduto ad una formale depenalizzazione del reato di omesso versamento di
contributi previdenziali), finisce però di fatto inevitabilmente per attribuire capacità
normativa immediata ai criteri direttivi impressi nella legge delega in materia di
depenalizzazione, ma - a ben vedere - si spinge addirittura oltre laddove, partendo dal
mero dato quantitativo della soglia dei 10.000 euro, ravvisa, per le violazioni al di sotto
di essa (come quella di cui oggi si discute), una assenza assoluta di inoffensività nei
confronti dei beni giuridici tutelati, che per la verità neppure il legislatore delegante ha
voluto, tant'è che ha previsto la trasformazione del reato in illecito amministrativo con
conseguente applicazione di una sanzione pecuniaria.
Il ragionamento mostra proprio qui il suo punto debole: un'eventuale soluzione
in senso assolutorio perché il fatto non sussiste, in relazione all'art. 2, co. 1 bis, legge n.
638 del 1983, pare, nel momento odierno ai assenza di una precisa norma
depenalizzatoria che volga ad amministrativo un illecito oggi ritenuto penale, del tutto
irragionevole.
Se si dovesse pronunciare proscioglimento (o annullare senza rinvio) per tutti
coloro i quali ad oggi, al ai sotto della quota ritenuta di C 10.000,00, non hanno versato
i contributi previdenziali previsti ex lege, si aprirebbe il campo ad una impunibilità
generale per chi comunque violi un obbligo degno di interesse di tutela (cfr. sentenza n.
20547/2015 cit.).
L'intenzione del Parlamento, infatti, non è quella di dismettere totalmente la
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Come già rilevato da questo Collegio con la citata sentenza
punibilità per i fatti di omesso versamento delle ritenute previdenziali al di sotto dei
10.000,00 euro, bensì di assoggettarli unicamente ad una sanzione amministrativa. La
stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di rilevare come «il mancato adempimento
dell'obbligo di versamento dei contributi previdenziali determina un rischio di pregiudizio
del lavoro e dei lavoratori, la cui tutela è assicurata da un complesso di disposizioni
costituzionali contenute nei principi fondamentali e nella parte della Costituzione (artt. 1,
4, 35, 38 Cost.)» (sentenza n. 139 del 2014, citata).
Ed allora appare del tutto evidente come la disapplicazione del dettato
della reclusione fino a tre anni la multa sino ad G 1.032,00 - lungi dal rispettare il
criterio di inoffensività a cui l'impugnata sentenza si ispira - si prospetta, al contrario
come del tutto lesiva dell'interesse giuridico tutelato. Tale pena è, infatti, l'unica ad oggi
prevista dall'ordinamento giuridico italiano per la violazione degli obblighi previdenziali di
versamento di ritenute, dunque occorre ritenerla tuttora applicabile.
Infine - come pure ben ha sottolineato il Pubblico Ministero ricorrente - con
l'assoluzione
sic et simpliciter
il Tribunale incorre in una evidente disparità di
trattamento rispetto ad analoghe fattispecie che in caso di intervento dei decreti
attuativi verranno invece sanzionate in via amministrativa. E, aggiunge il Collegio, anche
con danno per l'Erario che, in tal modo si verrebbe privato del diritto di incamerare
qualsiasi tipo di sanzione (cosa che la legge delega esclude decisamente perché - lo si
ripete ancora una volta - ha previsto in futuro la punizione con sanzione
amministrativa).
La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte d'Appello di
Catanzaro (ex art. 569 comma 4 cpp) che si uniformerà agli esposti principi.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente agli omessi versamenti fino al
mese di giugno 2007 perché i relativi reati sono estinti per prescrizione e con rinvio alla
Corte d'Appello di Catanzaro in ordine alle restanti omissioni.
Così deciso in Roma, il 115.2015.
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normativo ex art. 2, co. 1-bis, legge n. 638 del 1983, che prevede la sanzione penale