La febbre - 10 righe dai libri

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La febbre - 10 righe dai libri
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LE TORPEDINI
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ISBN:
97-888-7615-235-1
I edizione: marzo 2011
© 2011 Alberto Castelvecchi Editore srl
Via Isonzo, 34
00198 Roma
Tel. 06.8412007 - fax 06.85865742
www.castelvecchieditore.com
[email protected]
Cover: Sandokan Studio
Francesca Genti
La febbre
L’ovale dove stavano nascosti i sogni
è chiuso da tre morse che lo cingono da tre parti
come uno specchio schiacciato, tutte fatte a forma di zampa di rapace.
VITTORIO RETA
Tutte le idee si disfano ed entrano in natura.
MARIO MERZ
I cani
Ci sono dei cani che si suicidano. Si buttano giù, nel
vuoto, senza un latrato. Calmi.
Ce ne sono dappertutto, in ogni edificio che affaccia
sui quattro lati della piazza.
Noi siamo al centro della piazza, al centro della scena.
Seduti su una panchina osserviamo quello che succede.
Giochiamo con i cani: il primo di noi che conta cento
cani morti vince.
Io sono a ottantasette, sto vincendo.
Andrej è a quota trenta.
Il vecchio Astrologo ne ha contati dodici, ma lui non
fa testo, è cieco.
Conta i cani in base ai tonfi che percepisce. Il rumore
è come di cachi giganti che si spiaccicano dolcemente a
terra.
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Il silenzio ci avvolge, è facile cogliere il rumore dei cani più vicini.
Non è più tempo di guardare il cielo notturno, cercare
stelle cadenti, esprimere desideri.
Questo per due ragioni.
La prima è che da un bel pezzo non esiste più la notte.
Il cielo un giorno si è ribellato. Il sole si è incastrato rimanendo appena sopra la linea dell’orizzonte.
Sono anni che viviamo in un perenne tramonto.
La seconda è che, al pari del cielo stellato, anche il futuro non esiste più. O meglio: è drasticamente diminuito, abbiamo quasi esaurito la nostra razione di futuro.
Siamo rimasti in pochi qui ai margini della città e tutti con le ore contate. Esprimere un desiderio? L’unico
sensato sarebbe quello di essere catturati e uccisi il prima possibile. Ma non possiamo farlo perché non vogliamo morire.
È contro ogni logica, ma è così.
Cosa rimane da fare allora se non giocare ai cani, ricordare il passato, cercare di stare su?
Andiamo con ordine.
Siamo in tre. Io, Andrej e l’Astrologo.
Siamo esseri umani di sesso maschile, adulti, di età
avanzata.
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La città negli ultimi tempi è cambiata molto.
Ho già detto che viviamo nell’eterno del tramonto. Da
quanto? Non lo so, senza l’alternanza di giorno e notte si
perde velocemente la cognizione del tempo.
Non abbiamo orologi. Una volta se ne trovavano disseminati per le strade, ora non più. È tutto finito, molte
case sono crollate, altre stanno per crollare. Oltre a noi
tre, ci sono pochissimi ribelli, la maggior parte delle
persone infatti ha firmato per diventare connivente e se
ne sta ben protetta al centro della città. Daremmo un
braccio per incontrarli. «Darei la vita per incontrarvi!»,
è solito urlare lugubremente Andrej.
Non è facile, se ne stanno tutti nascosti.
Per usare un eufemismo, non è una buona idea andarsene in giro per le strade.
Sono terra di nessuno, anzi, qualcuno c’è.
Ci sono molti poliziotti. Le sembianze sono quelle
umane: hanno braccia, gambe, piedi, mani, occhi incastrati nei bulbi oculari, capelli di vario colore e lunghezza, sono vestiti con divise e non girano mai soli. Ognuno
di loro porta al guinzaglio un cane-babbuino. Sono feroci. Ne esistono di tre razze.
I babbu-bull, incrocio tra babbuini alfa e pit-bull, gli
alababbu, babbuini alfa incrociati con alani e i mastibuini, mastini più babbuini alfa.
Hanno selezionato razze molto intelligenti e molto
aggressive, poi ’è stato l’addestramento, un lunghissimo
film horror, ed eccoli pronti per la loro missione, la soli9
ta dall’alba dell’umanità, riassumiamola così: estirpare
l’erba cattiva.
Noi tre resistiamo, non ci hanno ancora preso e questo è quasi un miracolo.
Infatti, a differenza degli altri, noi non ci nascondiamo proprio per niente.
Per quanto mi riguarda, il totale sprezzo del pericolo
deriva dal mio passato, dalla mia vita, da quello che sono stato.
Mi presento, io sono il Poeta.
Naturalmente è un nome d’arte. Non ho mai scritto
mezzo verso in vita mia, per quello c’è Andrej.
C’è stato un tempo in cui facevano la fila per intervistarmi. Caccia al Poeta. Volevano rubarmi l’anima e non solo.
Sono diventato famoso in una settimana.
Mi annoiavo molto in questa città.
Il piattume della sua vita notturna e culturale era insopportabile.
Così ho comprato un pennarello, un biglietto della
metro e con pazienza ho cominciato con i miei graffiti, i
miei slogan.
Di cosa potevo scrivere? Il sesso era ormai dappertutto, totalmente depotenziato, alla violenza chiunque si
era già assuefatto, allora ho pensato alla religione, un
grande classico, un intramontabile evergreen.
«BELZEBÙ MAIALE TERMINALE».
«BAAL STRACCIONE».
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«SATANA FETICISTA DEI PIEDI CON VESCICA».
«THOT LAVORA IN UN CALL CENTER».
Con pazienza ho coperto tutte le fermate con le scritte.
Sono bastati pochi giorni che giornalisti, scrittori,
galleristi, videomaker mi erano alle calcagna.
Tutti cercavano Il Poeta dei Graffiti, così mi aveva soprannominato un critico d’arte scrivendo un articolo
sul mio lavoro.
Insomma sono diventato famoso con il mio neograffitismo concettuale. E ricco. Ho girato il mondo facendo
mostre in tutte le più importanti gallerie, ma di nuovo
mi annoiavo terribilmente.
Finché in uno scantinato di Giurgiu ho scoperto la più
estrema e segreta forma di body art.
Consisteva nel tagliarsi parti del corpo e sostituirle
con parti di animali.
Ho cominciato tagliandomi una mano e inserendo al
suo posto una zampa di rapace.
Sono andato avanti così per molto tempo, inventando
la body animal art, diventandone l’unico, ricercato, riveritissimo esponente.
Nel corso della mia carriera mi sono spinto oltre i limiti immaginabili, trasformandomi in un Frankestein
all’ennesima potenza, in un terribile zoo ambulante.
Vedendo come stanno le cose adesso, ho trasformato
il mio corpo in un oracolo.
Sono diventato un mostro. È stato un successo planetario.
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Ho subìto talmente tante operazioni e mi sono inflitto
talmente tanto dolore che il pensiero di venire sbranato
da un cane-babbuino non mi fa né caldo né freddo.
Sono i miei ultimi giorni, voglio viverli allegramente.
L’Astrologo ha un sussulto, con il suo bastone di ebano colpisce tre volte il suolo. È un segnale. Significa che
stanno arrivando.
Con calma Andrej e io ci alziamo e adagiamo il vecchio sulla sua sedia a rotelle.
«Dove andiamo?».
L’Astrologo rotea il bastone in aria, poi lo poggia a terra e disegna sull’asfalto morbido come cera un cerchio
irregolare.
«Vuole andare al mare», dice Andrej.
Lentamente ci avviamo, io davanti e Andrej dietro,
portando la carrozzina.
Sono la loro sentinella, la loro guardia del corpo.
Il motivo è molto semplice: le mie sembianze sono talmente mostruose che i poliziotti e i loro cani-babbuino,
almeno di primo acchito, rimangono terrorizzati.
Quei pochi attimi di spaesamento sono preziosi per la
nostra fuga.
Come ho già detto, l’idea di essere catturato non mi
spaventa particolarmente, ma l’idea di fargliela ancora
una volta, quella sì che mi eccita.
È un altro gioco, come contare i cani.
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Dice la saggezza popolare: più si invecchia, più si torna bambini.
E io ormai sono proprio vecchio, decrepito addirittura.
Ai miei occhi tutta la città è un enorme, sterminato,
tremendo Luna Park.
C’è un altro motivo per il quale non voglio farmi prendere: non voglio morire prima di Andrej e l’Astrologo,
mi sento responsabile per entrambi.
E poi, anche se non l’ho mai confessato, in fondo al
mio cuore, in un angolo della mia mente, penso che Andrej abbia ancora qualcosa da fare prima di tirare le
cuoia: incontrare una donna e fare un bambino.
Sarebbe un gesto assurdo, data la situazione in cui
siamo? Non certo più assurdo di mettersi in marcia, sfidando eserciti di poliziotti, per andare a fare il bagno
nel mare di catrame che giorno dopo giorno avanza,
mangiandosi un altro pezzo della periferia Nordest della città.
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Il Poeta dei Graffiti
Ricordo la prima volta che incontrai Andrej.
È stato proprio qua, in questa città. Mancavo da molto
tempo.
Ero nella seconda stagione della mia carriera, avevo
già inventato la body animal art.
La mia performance era attesissima, erano passati
anni prima che accettassi l’invito del gallerista. Mi ero
fatto pregare molto e alla fine di un lungo corteggiamento, avevo acconsentito.
Tutta la città, tutti i ricchi della città erano in fibrillazione. Il ritorno del Poeta dei Graffiti.
Mi avevano conosciuto da ragazzino, portato a cena, a
letto, in vacanza.
Avevano cercato di sedurmi con quello che avevano a
disposizione: soldi, corpi, palazzi. Mi avevano disgustato.
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Ora tornavo per disgustarli io, anche se conoscendoli
sarebbe stato molto difficile, forse impossibile.
La performance, One Man Zoo, era fissata per le 19.
Li spiavo dal magazzino adiacente alla galleria.
Centinaia di figure si muovevano lente, risaltando sul
bianco abbacinante dei muri appena intonacati.
Chiudevo gli occhi: sentivo il rumore di tacchi alti sul
marmo del pavimento, il frusciare dei tessuti appesi ai
loro corpi. Dilatavo le narici per avvertire l’odore della
carne, i profumi raffinati.
Captavo brandelli di discorsi, ma non mi arrivava il senso delle loro parole, allora mi concentravo sul suono delle
voci: latrati, pigolii, squittii, gorgheggi, ragli, grugniti. Le
loro voci mi sembrava non avessero niente di umano.
Aprivo di nuovo gli occhi per guardarli, c’erano nuovi
giovani, figli e figlie. E poi c’erano loro, i vecchi, i miei
ex amanti, padroni.
Non erano molto diversi da me, anche loro si erano trasformati molto, nella speranza di conservare quello che
in passato avevano avuto in abbondanza: la bellezza.
Ero attratto soprattutto dalle bocche delle donne. Mi
colpivano come un pugno. Erano come foglie di rare
piante grasse, tropicali, ora chiuse, ora dilatate. Poi c’erano i colli: rugosi, cadenti, la parte più vera di loro.
Appoggiato a una parete c’era un giovane uomo sulla
trentina: Andrej Babilonia, lo scrittore.
Anche lui, come me da dietro la porta, osservava la
scena. Vicino a lui, c’era un uomo anziano su una sedia
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a rotelle, era piccolo, rinsecchito, portava occhiali da sole, era l’Astrologo, già decrepito molti anni fa, esattamente come ora. Li guardai pochi secondi e avvertii che
erano inseparabili, legati da un loro speciale matrimonio, da un indistruttibile filo telepatico.
Alle 19 in punto entrai in scena. Spalancai la porta del
magazzino cacciando un ululato assordante.
Tutti si azzittirono, rimanendo immobili, centinaia di
occhi puntati su di me.
Il Poeta è tornato.
Mi presentavo così: al posto della mano destra una
zampa di rapace, in corrispondenza dell’osso sacro una
lunga coda di scimmia, le gambe nude, coperte di squame. Il mio viso era, allora, ancora intatto, riconoscibile.
Cominciai a muovermi tra gli astanti, a studiare quegli strani animali intorno a me. Respiravo a pieni polmoni l’aria pesante, mista di attesa, paura, eccitazione.
Anche io mi eccitai, mi venne duro. Avrei potuto tirarlo
fuori, poi pensai che il gesto era vecchio e che non
avrebbe suscitato la benché minima reazione, ci voleva
ben altro pour épater le bourgeois e comunque non era
quella la mia intenzione; roba passata, intemperanze di
gioventù.
Dagli altoparlanti partirono le note de La morte del cigno e mi misi a danzare sublimemente sulla musica.
Mentre eseguivo il balletto vidi gli occhi di alcuni decrepiti oligarchi luccicare per la commozione. Alla fine del-
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la performance ci fu un lunghissimo applauso a cui risposi scodinzolando, arricciando e dimenando la mia
flessuosa coda. Dopo scomparii nel magazzino.
Mentre mi riposavo bussarono alla porta e prima che
avessi dato un segnale di permesso entrò Andrej.
Con grande semplicità mi fece i complimenti per il
mio lavoro. Fu breve, gentile, formale. Mi colpì molto. A
quel tempo era ancora timido. Scambiammo poche parole, poi arrivò il gallerista pregandomi di andare di là,
di unirmi alla festa, tutti mi aspettavano.
Che noia le feste, uguali in ogni parte del mondo, zuppe di conformismo come tutto il resto. Ma non potevo
sottrarmi, facevano parte del mio lavoro. Al di là di quella porta ognuno di loro spasimava per me, pronto a scaricarmi addosso il fuoco dei suoi fantasmi, desideri, pulsioni, paure.
Uscii, mi diedi in pasto alla folla, ai flash, alle domande.
Mi è sempre piaciuto mangiare e il buffet allestito dal
gallerista era all’altezza delle mie aspettative. La vista di
tutto quel cibo così fresco, così buono, così bello, mi mise subito di ottimo umore, divorai ogni cosa. E dopo vari bicchieri di champagne quasi mi divertivo, diventando gradualmente più ciarliero. Abbracciavo con autentico trasporto gente che avevo sempre disprezzato. Nessuno era particolarmente impressionato dai miei inserti
animaleschi. Una ragazza mi regalò un anello infilandomelo direttamente nella coda, gli ex amanti facevano la
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fila per salutarmi, toccarmi, strapparmi un appuntamento. Mi sentivo appagato.
Tutto questo grazie a qualche tartina al salmone innaffiata da una congrua dose di champagne.
Sono sempre stato un uomo superficiale.
La festa era movimentata, gente andava e veniva in
continuazione. Di tanto in tanto controllavo con la coda
dell’occhio dove fosse Andrej.
Era sempre dove l’avevo visto prima che cominciasse
la performance, appoggiato al muro e vicino a lui c’era
sempre l’Astrologo. Provai antipatia per quel vecchio,
mi sembrava avesse un guinzaglio invisibile con il quale
rendeva suddito Andrej, si vedeva che non voleva farselo
scappare e si vedeva che Andrej non ne aveva nessuna
intenzione. Di tanto in tanto qualche bella ragazza gli si
avvicinava, attaccava bottone, lui sorrideva con grazia,
parlavano un po’, bevevano vino. Quel ragazzo mi incuriosiva sempre di più, avrei voluto parlargli, ma la mia
vanità me lo impediva.
Io ero la star, l’artista, il Poeta. Toccava a lui venire da
me, non il contrario. Certo non era facile avvicinarmi,
ovunque mi spostassi un muro di carne umana mi seguiva, accerchiandomi.
Ormai era l’alba e la festa stava finendo. Stanco, sbocconcellavo gli avanzi del ricco buffet. Fu allora che Andrej mi parlò per la seconda volta, porgendomi un foglio
di carta ripiegato in quattro.
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«Ho scritto una poesia dedicata a lei», mi disse.
Sgranocchiando una fetta di crostata presi il foglio e
lo congedai con un mugugno. Lui mi salutò portando
con sé il vecchio infermo.
La poesia si intitolava Il corpo del poeta.
Fu l’inizio di una grande amicizia.
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Il mare
Camminare sul marciapiede non è affatto un’impresa
facile. L’asfalto fonde sotto i nostri piedi, sembra di stare in mezzo a una palude, tra le sabbie mobili.
Andrej cammina lento, a fatica. Lui ha il compito di
accudire l’Astrologo. Le ruote della carrozzella fanno attrito sulla melma d’asfalto, lasciando dietro di noi una
sinuosa traccia del nostro passaggio.
Imbocchiamo un lungo viale che porta fuori città. Un
tempo era un viale commerciale, negozi di ogni genere
si susseguivano per chilometri.
Ora non rimangono che vetrine rotte, a parte un cinema che proietta ancora film, frequentato essenzialmente da poliziotti in cerca di un po’ di svago nelle ore di
pausa. È un cinema porno, ma il concetto è molto lontano da quello che significava in origine.
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Mi spiego meglio: niente è più proibito, basta dare
un’occhiata alle creature che girano in città. Ibridi, nati
da accoppiamenti bestiali.
La nuova frontiera del porno è l’amore.
Nella sala vengono proiettati film che grondano stucchevole romanticismo. Pura melassa. Questa è la nuova
frontiera, il nuovo proibito, il sogno più estremo.
Passiamo davanti al cinema. Entro nell’atrio, prendo
il programma, lo consulto: Matrimonio sull’isola, La torta della mamma, Il primo bacio, i titoli delle pellicole che
vengono proiettate.
Mi avvicino alla cassiera, che mi guarda spaventata.
«Quale proiezione mi consiglia?».
Rimane interdetta, non sa in che categoria incasellarmi.
«Vendete giornalini?».
«Sì», mi dice, tirando fuori un pacco di giornaletti da
sotto il bancone, «abbiamo “Amore, Amore e ancora
Amore”, “L’anello di fidanzamento”, “Nozze d’oro”,
“Fiocchi e cicogne”, “Eterno diamante”».
Li compro tutti, saluto ed esco.
Cosa c’è di meglio di una gita al mare tra amici con un
bel pacco di giornali porno? Li leggeremo tra un tuffo e
l’altro, mentre ci riposiamo prendendo il sole.
Il tragitto per arrivare al mare è ancora lungo, ma certamente più breve dell’ultima volta che ci siamo andati.
Giorno dopo giorno, il mare avanza, inesorabilmente
mangia la città, metro per metro, come un colloso melanoma.
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Scordatevi l’azzurrità e la freschezza dell’acqua, il sapore del sale, l’effervescenza delle onde, questo nuovo
mare è nero, composto quasi esclusivamente da catrame, tuttavia, se si vince la pigrizia e ci si spinge al largo
se ne incontrano porzioni più pulite, non più nero catrame, ma fango e detriti.
Ci si mette un po’ ad abituarsi, ma poi ci si fa il callo e
non si rinuncia, di tanto in tanto, a una bella nuotata.
Avere la fortuna di possedere una maschera a raggi infrarossi e guardare il fondale è un’esperienza unica. Sotto c’è la città che il mare ha mangiato.
Case, fabbriche, centri commerciali completamente
ricoperti, annegati nel catrame, sono diventati le tane di
creature che si sono adattate velocemente al nuovo ecosistema.
Camminiamo e camminiamo senza incontrare nessuno, ci investe un’intensa zaffata di bruciato che ci segnala che siamo vicini alla meta.
«Dall’ultima volta sarà avanzato di un chilometro»,
osserva Andrej.
Siamo arrivati. In fondo alla strada c’è il mare.
Guardiamo l’orizzonte nero con il sole basso, fermo,
appeso al cielo: è un panorama affascinante.
Ci sistemiamo sul tetto del capannone di una fabbrica, un luogo ideale per oziare, sdraiarsi a prendere il tenue sole.
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Io sono completamente coperto di peli, a parte le
gambe che hanno le squame. L’abbronzatura non è il
primo dei miei pensieri.
Da quando lo conosco non ho mai visto il corpo dell’Astrologo scoperto a parte il viso e le mani, Andrej invece è
vanitoso, subito si spoglia, rimanendo in mutande; benché non più giovane ha ancora un bel corpo atletico.
L’Astrologo si immerge nella lettura di un giornaletto
porno: «Nozze d’oro».
Anche io gli do uno sguardo: foto di anziani sorridenti, davanti a una torta, intorno a loro una numerosa famiglia con figli e nipoti, cani e gatti. Alcune foto raffigurano i vecchi coniugi in giardino, altre nel loro appartamento arredato con gusto squisitamente piccolo borghese. C’è da eccitarsi, ma mi trattengo, mi siedo, guardando l’orizzonte, perdendomi nei miei pensieri.
Andrej si tuffa in mare.
Dopo un po’ che sono assorto nei miei ragionamenti
vengo distratto da un rumore, è l’Astrologo: con il bastone batte per terra, mi giro allarmato, ma capisco che
non è un segnale di fuga.
Disegna la silhouette di una donna. Possibile? Vuole
dirmi che ha avvertito la presenza di una donna ribelle
nelle vicinanze?
Comincio a guadarmi intorno, non vedo nessuno oltre noi due.
L’Astrologo mi fa un cenno con la testa, come a dirmi:
va a cercarla. Ubbidisco.
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Seguo il perimetro del mare per qualche chilometro,
non incontro nessuno se non una colonia felina, gatti
mutanti con le ali. Sono tutti mollemente accoccolati
sul terrazzo di una casa per metà a bagno nel catrame,
quando mi vedono cominciano a miagolare forte, con
aggressività, non capisco se sono spaventati o vogliono
attaccarmi, comunque mi levo velocemente di torno.
Prendo una piccola strada, comincio a correre, poi la
vedo, mi fermo. Sarà a duecento metri da dove mi trovo
io. È bella, giovane, in bikini, sdraiata su una stuoia, il
corpo è bianco e riluce sotto i raggi bassi del tramonto.
Prende il sole sui gradini di una chiesa mezza distrutta. Silenziosamente mi nascondo, non voglio che mi veda, si spaventerebbe.
Mi accovaccio dietro un’auto cappottata e spio i suoi
movimenti. Passa del tempo, lei rimane quasi immobile,
di tanto in tanto con la mano si tocca i capelli neri.
Latrati selvaggi interrompono il silenzio, la ragazza si
alza in piedi di scatto, spaventata raccoglie le sue cose.
Nel giro di pochi secondi, dalla via opposta a quella dove
mi trovo io, compare un manipolo di poliziotti, vedono
la ragazza e le sguinzagliano contro i loro mastibuini.
Senza pensarci mi muovo verso gli animali, corro inferocito verso di loro. La ragazza vedendomi urla terrorizzata, ai mastibuini è abituata, ma una creatura brutta
come me non l’ha mai vista.
Alla vista di questo grande essere non immediatamente identificabile anche i mastibuini si spaventano, si fer25
mano, indietreggiano, infine scappano dai loro padroni.
Mi giro verso la ragazza, non c’è più, ha avuto il tempo di fuggire. A questo punto penso sia meglio seguire
il suo esempio, i mastibuini sono ingenui, ma non stupidi, la vista può ingannarli per qualche secondo, ma
non gli altri sensi, molto velocemente si rendono conto
che, seppur con qualche modifica alla carrozzeria, la
miserabile accozzaglia animalesca che hanno davanti
non è altro che un fragile essere umano.
Corro per un bel pezzo, fino a quando mi ritrovo nuovamente immerso nel silenzio. Mi siedo sui gradini che
non portano più a niente. Respiro profondamente, sorrido. Sono contento di avere salvato la ragazza. Ma soprattutto di averla incontrata: questo significa speranza.
Al solo pensiero che la parola speranza mi si sia materializzata nel cranio scoppio a ridere.
La ragazza è semplicemente un nuovo gioco: cercarla,
incontrarla nuovamente, magari parlarle, un altro gioco
per passare il tempo, prima che il tempo finisca.
Si è fatto tardi, anche se il concetto in questa perenne
luce serotina perde di molto il suo peso. Torno sui miei
passi per raggiungere gli amici.
Andrej è sdraiato, qua e là il suo corpo è coperto di
chiazze di catrame, l’Astrologo si è appisolato sulla sedia a rotelle, ha la testa reclinata e russa piano.
Mi stendo vicino ad Andrej.
«Non ci crederai mai».
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Andrej non è un espansivo, non dà grandi soddisfazioni, non muove un muscolo, non si gira a guardarmi, fa
cadere la mia frase nel silenzio.
«Non vuoi sapere cosa ho visto?».
Sbadiglia. «Che cosa?».
Sto per cominciare il resoconto, ma mi ferma con un
gesto della mano.
«Prima di raccontarmi aiutami a togliere queste macchie».
Accetto di buon grado, comincio a strofinarlo: «Prima
sono stato quasi attaccato da una colonia felina mutante, decine di gatti di taglia piccola, tutti neri con ali da
pipistrello».
«Non li ho mai visti, gli ultimi gatti mutanti che abbiamo incontrato erano quelle carcasse di siamesi con
gli zamponi da orso, ti ricordi?».
«Sì, ma non è questa la cosa interessante: ho incontrato una ragazza».
Appena pronuncio ragazza sento il corpo di Andrej
tendersi sotto le mie zampe, i muscoli guizzano piacevolmente come allegri pesciolini impigliati nella rete
della carne.
«In bikini addirittura, bel corpo… prendeva il sole
sdraiata su una stuoia».
Andrej ghigna dispettosamente: «Forse è meglio che
tu la smetta di comprare quei giornalini, eccitano troppo la tua fantasia».
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«Ti assicuro che non è una fantasia, né un’allucinazione, la ragazza esiste, prendeva il sole e il sottoscritto l’ha
salvata da una muta di mastibuini».
Andrej continua con il sarcasmo, è un uomo sensibile,
è il suo modo di difendersi: «… e dopo averla salvata? Le
hai chiesto la mano?».
«Molto divertente, oltre che auspicabile, ma forse sei
tu che devi smettere di leggere quei pornacci da due lire.
Quando mi ha visto è scappata, era quasi più spaventata
da me che dalla polizia».
L’Astrologo interrompe la nostra conversazione con
uno sbadiglio somigliante a un ruggito. Si è svegliato.
Attira la nostra attenzione nel solito modo: battendo imperiosamente il bastone a terra.
Andrej gli va allegramente incontro: «Maestro».
Il vecchio sembra di cattivo umore. Emette strani suoni che non riusciamo a decifrare. Andrej gli si avvicina e
lo abbraccia con tenerezza, con un fazzoletto gli pulisce
la bocca bavosa.
«Cosa desideri, maestro? Siamo a tua disposizione».
L’Astrologo disegna per terra quella che ha tutta l’aria
di essere una pizza.
«Ha fame, vuole andare a mangiare».
Ottima idea, anche se non di facile realizzazione.
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Indice
La febbre
I cani
Il Poeta dei Graffiti
Il mare
La metropolitana
Vita e opere di Andrej Babilonia
La Cattedrale
Il pianto
Tema natale dell’Astrologo
I sotterranei
La notte
Valentina
Il cuore del Poeta
Il bosco
La festa
La febbre
I ricordi
L’incendio
La fuga
7
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29
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63
73
79
83
91
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