Feltri, Belpietro e le manette

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Feltri, Belpietro e le manette
Feltri, Belpietro e le manette - Massimo Fini
pubblicato su il Fatto
Ho cominciato la mia carriera di giornalista come cronista giudiziario all'Avanti! di Milano nei
primi anni Settanta. Ogni giorno vedevo passare nei grandi androni del Palazzo di Giustizia non
solo qualcuno in manette ma file di detenuti tenuti insieme dagli "schiavettoni" e da catene
sferraglianti come dei deportati alla Cajenna. Ogni tanto quando c'era un delitto particolarmente
importante, in genere rapine perchè allora la classe dirigente non si era ancora così corrotta
come sarebbe stato negli anni Ottanta e dimostrato nei Novanta con le inchieste di Mani Pulite,
arrivavano, oltre ai fotografi, anche le Televisioni. Da neofita me ne stupivo. Non tanto delle
manette, che soprattutto nei trasferimenti di più detenuti sono necessarie, ma dell'esposizione
pubblica di queste persone, senza alcun rispetto , senza ritegno, senza protezione (anche
quando non ci sono le tv non deve essere piacevole farsi vedere in manette dalle centinaia di
persone che transitano ad ogni ora in un grande Palazzo di Giustizia qual è quello di Milano)
ma allora nessuno sembrava curarsene, tantomeno i politici e gli opinionisti. In fondo la cosa
non riguardava che degli stracci. Il 4 marzo del 1993, in piena Mani Pulite, ci fu l'episodio di
Enzo Carra, l'ex portavoce di Forlani, fotografato in manette. I più feroci furono Bibì e Bibò, alias
Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro, direttore e vicedirettore dell'Indipendente, che spararono la
foto in testa alla prima pagina, ingrandendola il più possibile e indicando Carra al ludibrio della
folla inferocita di quei giorni. Il più pietoso fu il "giustizialista" Antonio Di Pietro, ai tempi
pubblico ministero, che ordinò agli agenti penitenziari di togliere immediatamente le manette a
Carra. Del resto allora Bibì e Bibò erano dei forcaioli assatanati, sarebbero diventati dei
"garantisti" a 24 carati quando passarono nella scuderia di Silvio Berlusconi. Se la prendevano
anche coi figli degli imputati. Per esempio quelli di Craxi. Toccò a me scrivere sull'Indipendente
una lettera aperta a Vittorio (Caro direttore, ti sbagli su Stefania Craxi, 11/5/1993) ricordandogli
che i figli non hanno i meriti ma neanche le colpe dei padri. Così come toccò a me, nel
momento della caduta, mentre una legione di improvvisati fiocinatori si accaniva sulla balena
ferita a morte, scrivere, sempre sull'Indipendente, un articolo intitolato "Vi racconto il lato buono
di Bettino" (17/12/92), in cui, benchè tempo prima Craxi mi avesse definito, nientemeno che
dagli Stati Uniti dov'era in visita, "œun giornalista ignobile che scrive cose ignobili", ricordavo
che oltre all'uomo sfigurato , sconciato che vedevamo, con orrore, in quei giorni drammatici, ce
n'era stato anche un altro che aveva suscitato speranze in molti. Passata la stagione euforica di
Mani Pulite, l'immagine di Enzo Carra in manette è passata alla storia come l'emblema della
"gogna mediatica" che non avrebbe dovuto ripetersi mai più (come dopo il "caso Valpreda" si
giurò che mai più nessuno sarebbe stato chiamato "mostro"). Il Garante della privacy emanò
alcune regole di comportamento per i media e parve affermarsi una maggior sensibilità per il
rispetto della dignità dei detenuti. Ma solo per alcuni. Lo dice il recente episodio che ha visto
protagonista Fabio De Santis, l'ex provveditore alle Opere pubbliche toscane, uomo di fiducia di
Angelo Balducci, insomma uno della "cricca". Con un cellulare De Santis è stato portato in
manette, come gli altri quattro detenuti che erano con lui (due spacciatori di droga, un ladro, un
rapinatore) dal carcere fiorentino di Sollicciano al Tribunale del Riesame. Quando è sceso dal
cellulare De Santis ha dovuto percorrere una ventina di metri sotto l'occhio delle telecamere.
Solo due telegiornali però hanno mandato in onda quella scena. La giustificazione più farsesca
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e farisaica è stata quella di Mauro Orfeo, direttore del Tg2: "Volevamo denunciare una gogna
che ricorda certe immagini di Mani Pulite". Denunciava la gogna mentre lo stava mettendo alla
gogna. Il Garante della privacy è intervenuto, molti politici e opinionisti si sono indignati. Molto
giusto. Ma nessun Garante della privacy ha battuto ciglio e nessun politico si è indignato,
nessun opinionista ha alzato il dito quando tutti i telegiornali, solo per fare, fra i tanti possibili ,
l'esempio ricordato ieri da Travaglio, mostrarono, con evidente compiacimento, le immagini di
tre rumeni in manette accusati di stupro (e poi assolti). Molti politici, in particolare donne,
dichiararono: "Per questi soggetti ci deve essere la galera subito e poi, processo o non
processo, buttare via la chiave". Che cosa significa tutto ciò? Che si sta sempre più
affermando in Italia un doppio diritto, di tipo feudale e peggio che feudale. Quello per i "colletti
bianchi", per i vip, per "lorsignori", che oltre ad essersi inzeppati il Codice di procedura penale di
leggi talmente "garantiste" da rendere quasi impossibile l'accertamento dei reati loro propri (fra
poco non potranno nemmeno essere intercettati se non con mille limitazioni - parlo dei limiti
posti alle indagini della polizia giudiziaria e della magistratura , non di quelli, a mio parere
sacrosanti, alla loro divulgazione), van sempre trattati con i guanti. Per tutti gli altri, per coloro
che commettono reati da strada, che sono quelli dei poveracci, non vale nemmeno la
presunzione di innocenza. C'è la "tolleranza zero". Ma questa è la vecchia, cara e infame
giustizia di classe.Massimo Fini
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