La rigenerazione e innovazione organizzativa

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La rigenerazione e innovazione organizzativa
Working Paper
La rigenerazione e innovazione
organizzativa come
questione nazionale:
una proposta per affrontare la crisi
Federico Butera
WP2 / 2012
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1
La rigenerazione e innovazione organizzativa come questione
nazionale: una proposta per affrontare la crisi
di Federico Butera1
Alcune delle emergenze nazionali (crisi e fallimenti delle imprese nella crisi, disoccupazione,
scarse competenze per cambiare lavoro, semplificazione e riduzione dei costi della burocrazia,
corruzione, lentezza della giustizia, costi e qualità della sanità, degrado dei beni ambientali,
mancata difesa e valorizzazione dei beni culturali, inadeguatezza delle scuole e delle università,
difesa sociale, e molte altre) hanno la loro causa originaria nelle inadeguatezze delle
organizzazioni che avrebbero la responsabilità di affrontare tali emergenze e nella loro scarsa
capacità di cambiamento e innovazione. Tuttavia, l’organizzazione delle Pubbliche
Amministrazioni, delle imprese, del terzo settore, delle associazioni non sembra, finora, tra le
priorità dei governi centrali e regionali e della classe dirigente del Paese. Per contribuire ad
affrontare le emergenze antiche e la crisi attuale, formuliamo la proposta di far diventare la
rigenerazione e l’innovazione delle organizzazioni e dei lavori una questione nazionale, attivando
un programma di politiche pubbliche, di sviluppo di servizi, di attivazione di cantieri di
riorganizzazione. Esso deve nascere da un impegno collettivo ampio e condiviso da istituzioni,
imprese, sindacati, centri di ricerca e formazione, lavoratori, studiosi, studenti, cittadini: un
programma che disponga di risorse materiali, culturali e politiche per poter essere attuato.
La sfida e l’opportunità. Inventare e rigenerare organizzazioni di nuova
concezione
Il governo Monti sta tentando di costruire un percorso di messa in sicurezza dei conti in una
prospettiva europea. È dura, ma bisogna farcela sopportando sacrifici che avremmo dovuto fare
prima. Nella seconda fase, si ripropone di affrontare la sfida della crescita sostenibile,
promuovendo efficienza e modernizzazione dell’economia e della società italiana per la
competitività e l’occupazione. Ma come?
Sono state annunciate misure di sistema (fisco, liberalizzazioni, mercato del lavoro, etc.), ma non
vedo molte proposte sulle materie che riguardano le cause profonde della crisi italiana e le forze
per uscirne: la nascita e il rafforzamento di imprese (grandi, medie, piccole) capaci di competere,
la ripianificazione dei territori e delle imprese in rete (come i nuovi distretti o – su scala più elevata
– il Nord o i “Mezzogiorni”) che si misurino con le global city-region forti di tutto il mondo, la
riorganizzazione dei servizi pubblici e delle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali, il
potenziamento delle organizzazioni di difesa sociale contro i rischi ambientali e la criminalità
diffusa e organizzata, il cambiamento dell’organizzazione del lavoro intellettuale e manuale e i
contenuti dei lavori e delle nuove professioni che già toccano oltre il 60% dei posti di lavoro
nell’industria e nei servizi, l’abilitazione delle persone giovani e anziane ad un mondo del lavoro in
radicale cambiamento. Inventare e rigenerare organizzazioni e lavori di nuova concezione non
sembra essere nell’agenda del governo centrale e dei governi regionali. Troppo complicato e
troppo a lungo termine per le agende dei governi e delle politiche che hanno prospettive temporali
a breve? Se non ora, quando?
I dati sulla produzione industriale, sulla produttività, sull’esportazione, sull’occupazione,
sull’attrattività sono sconfortanti. La crisi economica globale si riversa in un sistema di
organizzazioni per lo più fragili. Si sta determinando una “epidemia di organizzazioni malate”:
12.000 imprese, soprattutto piccole, sono fallite nel 2011 e molte di più chiudono o licenziano;
imprese medie di successo si domandano se avranno un futuro e tendono a delocalizzare;
Pubbliche Amministrazioni che costano troppo e forniscono servizi scadenti o inutili non hanno
neanche iniziato a riorganizzarsi; ci sono associazioni che perdono le loro funzioni; settori e
piattaforme produttive in declino cedono marcatamente di fronte alla competizione internazionale;
1
Ordinario di Scienze dell’Organizzazione presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca; Presidente della
Fondazione Irso - Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi.
Una diversa e più ampia versione è pubblicata su Studi Organizzativi n. 2/2011.
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la disoccupazione a febbraio 2012 è al 9,3% (31,9% fra i giovani). Mentre, al contrario, prosperano
le organizzazioni criminali, i club parassitari, i clan che gestiscono senza controllo gran parte
dell’economia e della società italiane.
È largamente condivisa la convinzione che le politiche pubbliche possono attenuare queste
malattie delle organizzazioni attraverso l’aumento degli investimenti in opere pubbliche o in ricerca,
con azioni sul credito, con il recupero dell’evasione fiscale, con incentivi, con la regolazione del
mercato del lavoro e molto altro. È condivisa la necessità di investire sui beni comuni per la
competitività e sui servizi alle organizzazioni e alle persone. Tali manovre, se sostenibili e corrette,
sono necessarie ma non sufficienti, perché non possono far nascere imprese, ridare vita a quelle
imprese che di vita non ne hanno quasi più, dare servizi mirati a quelle “organizzazioni private e
pubbliche che competono”, ristrutturare le Pubbliche Amministrazioni e i servizi resi. Soprattutto
non possono cambiare paradigmi, competenze ed energie diventati obsoleti.
Le buone politiche di cui abbiamo tanto bisogno sono come il calore che fa schiudere le uova: esso
è necessario, ma è solo la biologia dell’uovo sano e fecondato ciò che genera il pulcino. Ed è
proprio della biologia delle organizzazioni e della loro innovazione e rigenerazione che ci
occuperemo in questo saggio.
Ci sono molti esempi positivi in Italia, ma non bastano: le imprese medie internazionalizzate di
Mediobanca (ne occorrerebbero cento volte tante); le Pubbliche Amministrazioni efficienti come
l’Agenzia delle Entrate, gli Uffici Giudiziari di Bolzano, il Comune di Reggio Emilia (ne sono
necessarie mille volte tante).
Occorre allora reinventare e rigenerare le organizzazioni sulla base di nuovi princìpi per renderle
innovative, efficienti, efficaci, socialmente responsabili. La politica considera tutto questo materia
per una intendenza che seguirà alle grandi scelte, al massimo una competenza del mercato o della
gestione amministrativa. Noi sappiamo, al contrario, che l’esplosione dell’economia americana a
inizio secolo è stata legata alla diffusione di modelli organizzativi taylor-fordisti sperimentati nelle
fabbriche Ford; la ripresa giapponese dopo la guerra è stata resa possibile dalle esperienze di lean
production inaugurate alla Toyota e così via; il miracolo economico italiano è stato stimolato dalle
grandi imprese private e a partecipazione statale, a partire dalla Olivetti e dalla Fiat all’Eni, etc.
Sappiamo che il successo della Germania e della Corea del dopoguerra è stato legato ad una
Pubblica Amministrazione efficiente.
Per rimettere al centro l’economia reale delle imprese, delle Amministrazioni e del lavoro non è
necessaria una palingenesi: l’Italia può contare su uno scrigno di competenze straordinarie e su un
processo di innovazione organizzativa già lentamente iniziato da oltre trent’anni. Costretti dalla
crisi, si tratta ora di riconoscerlo, accelerarlo, diffonderlo.
Il problema: organizzazioni eccellenti e organizzazioni malate
Le imprese italiane migliori, da noi studiate e seguite nel programma Italian Way of Doing Industry
(Butera e De Michelis, 2011), hanno affrontato la crisi continuando incessantemente a innovare i
loro prodotti e servizi, il posizionamento di mercato, le strategie, il business model, i processi, la
governance, il dimensionamento, l’organizzazione macro e micro, la tecnologia, le competenze e
soprattutto la loro identità. Esse sono nate piccole e sono cresciute internazionalizzandosi, dai casi
noti di imprese divenute grandi come Luxottica, Armani, Technogym, Geox, Illy, Alessi, Mapei, ai
casi meno noti di imprese di alta tecnologia come IMA, Datalogic, fino a quelli delle macchine
tessili, delle biotecnologie, dell’aerospazio, etc. E tante altre, entro 500 milioni di fatturato, sono
tenute in stretto monitoraggio da Mediobanca. Emerge un paradigma nuovo di imprese italiane che
competono che può essere di esempio a livello internazionale. Esse fanno un’innovazione diversa,
cambiano in sintonia con i loro clienti, trasformano i mercati in cui operano, producono meno a
prezzi più alti facendo cose sempre nuove e fatte ad arte, sono radicate nel territorio, sono anche
nodi di reti molto ampie, hanno come mercato il mondo. Spesso non hanno coscienza di sé. Le
ragioni del loro successo non sono ben note e quindi il loro esempio non si diffonde come
potrebbe. Purtroppo, imprese di questo tipo sono ancora poche.
E le altre? Le medie imprese con una quota modesta di esportazione e più lontane da questo
modello rischiano grosso. Per quelle che ancora respirano, è iniziato uno shopping a prezzi
stracciati.
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Le piccole imprese sono il capitolo più grave. Le migliori hanno eccellenze di prodotto o di servizio,
o nicchie di mercato sicure; hanno una organizzazione sviluppata in modo spontaneo e talvolta
efficace. E le altre, che sono la stragrande maggioranza, sono poco più che forme di lavoro
autonomo o sotto la dimensione minima, non sono capaci di innovarsi, crescere, mettersi in rete,
acquisire nuove competenze manageriali e professionali. Piccolo non è più bello; se mai, lo è
stato.
A fronte delle inefficienze e del burocratismo di gran parte delle Pubbliche Amministrazioni italiane,
molte di esse non hanno nulla da invidiare alle migliori imprese: frugali, efficienti, orientate a fornire
direttamente servizi eccellenti al cittadino, integrate con altri soggetti privati nel fornire i servizi,
generatrici di “beni comuni per la competitività” del territorio. Le chiamiamo Pubbliche
Amministrazioni capaci di servizio e di innovazione. Ma la stragrande maggioranza delle Pubbliche
Amministrazioni centrali e periferiche per lo più costa troppo e spesso non fornisce servizi
adeguati, o offre servizi buoni che non ci possiamo più permettere.
L’Italia è ricchissima di associazioni, alcune delle quali efficaci ed efficienti; altre, invece,
rappresentano incrostazioni costose del passato in cui si annidano perniciose lobby e clan:
insomma, un’area di bonifica.
Il terzo settore in Italia vede un complesso ricchissimo di cooperative sociali, associazioni di
promozione sociale, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, Onlus, etc. Esse
vivono entro un’economia del welfare che si sta radicalmente modificando. Anche per loro si
pongono questioni di riorganizzazione profonda e, nel caso di quelle peggiori, di estinzione.
L’Italia può contare su esperienze straordinarie in corso, su uno scrigno di competenze
professionali di prima grandezza, su un processo di innovazione organizzativa già lentamente
iniziato da oltre trent’anni e che si è accelerato nel decennio trascorso. Questo è il vero sommerso
da far emergere per uscire dalla crisi.
Che cos’è una buona organizzazione e che cosa la ostacola
Le dimensioni di una buona organizzazione sono molte e vanno viste in modo sistemico,
attraverso la progettazione e lo sviluppo continuo dell’organizzazione: la strategia di prodotto o
servizio; la strategia economica e sociale; l’ottimizzazione dei processi, l’eliminazione di attività
inutili o il loro trasferimento alle tecnologie; la capacità della struttura organizzativa formale di
governare le risorse e prendere decisioni; i sistemi di pianificazione e controllo; la leadership e il
funzionamento dei gruppi dirigenti; l’efficienza ed efficacia delle unità organizzative operative
(come stabilimenti, uffici, negozi, centri di ricerca, etc.); la cooperazione dei gruppi di lavoro; il
disegno dei ruoli e dei sistemi professionali che assicurino innovazione, miglioramento continuo e
identità al lavoro; la cultura organizzativa; le competenze; le comunità di pratica; la gestione dei
conflitti; i sistemi di risposta all’inaspettato e i sistemi per l’innovazione; e infine l’eccellenza dei
sistemi operativi (composti da organizzazione, tecnologia e cultura) come la logistica, la qualità, la
sicurezza, etc.
Le piccole imprese, benché non conoscano la burocrazia razionale, hanno tuttavia
un’organizzazione fondata su un modello organico centrato su cooperazione intrinseca basata
esclusivamente sui processi, con scarsa divisione del lavoro; condivisione di conoscenza tacita e
contestuale; comunicazione estesa con il contesto territoriale; comunità di lavoro basata su
comunità di pratiche e team spirit spesso family based.
Queste dimensioni di buona organizzazione sono valide per tutte le imprese, ma con alcune
profonde differenze.
Per le imprese private, la struttura e il funzionamento organizzativo sono influenzate dalle strategie
patrimoniali ed economiche degli azionisti, i cui interessi non sono sempre coincidenti con
l’efficacia e l’efficienza delle organizzazioni. Sono ben note le storie di distruzione di valore di
aziende sane trattate non come soggetto collettivo che accresce il suo valore per tutti gli
stakeholder ma come oggetto economico venduto, spacchettato, chiuso in base a logiche
esclusive di valore per l’azionista.
Per le Pubbliche Amministrazioni, tra i fini fissati dalle autorità politiche e la loro realizzazione, che
dovrebbe essere assicurata dai dirigenti tramite una struttura e un funzionamento organizzativo
efficace ed efficiente, ci sono di mezzo il diritto amministrativo e le norme del pubblico impiego,
che impongono le medesime regole al Ministero della Pubblica Istruzione, al Comune di Pavia,
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all’Ospedale di Caserta. Insomma, è quello che nel linguaggio comune si chiama burocrazia, che
assume una forma a sé e che ha regole più centrate sui diritti che sui servizi.
Per quanto riguarda il terzo settore, l’organizzazione è incapsulata nei propri fini, ideologie e
cultura del welfare, spesso con una base religiosa.
In sintesi, processi di appropriazione del capitale, politica e burocrazia, ideologia e
associazionismo religioso sono spesso i vettori principali che fanno velo e condizionano le
esigenze di efficacia e di efficienza delle organizzazioni.
In una fase di grave crisi del sistema Paese, la proposta è di rimettere le organizzazioni sui loro
piedi, far sì che producano di più e meglio con meno, con l’impegno di tutti orientato ai risultati e
non alle relazioni e agli interessi. Una rivoluzione illuminista e tecnocratica? Forse sì, almeno per
un po’.
La proposta: nuove politiche di sviluppo, cantieri di innovazione, servizi
È necessario avviare una nuova stagione di progettazione di organizzazioni private e pubbliche
basata su nuovi paradigmi e che abbia l’ambizione di incidere su obiettivi rilevanti per l’economia e
la società italiane: lo sviluppo territoriale, la competitività, la Pubblica Amministrazione leggera ed
efficiente, l’occupabilità e la qualità della vita di lavoro, la sicurezza, la sostenibilità ambientale, la
difesa sociale, nuovi modelli di consumo, l’uso sociale del web. Le dimensioni di una buona
organizzazione che possono incidere in modo determinante su questi obiettivi sono molti e vanno
visti in modo sistemico, attraverso la progettazione e lo sviluppo continuo dell’organizzazione: la
strategia di prodotto o servizio, la strategia economica e sociale, l’ottimizzazione dei processi,
l’eliminazione di attività inutili o il loro trasferimento alle tecnologie, la capacità della struttura
organizzativa formale di governare le risorse e prendere decisioni, i sistemi di pianificazione e
controllo, la leadership e il funzionamento dei gruppi dirigenti, l’efficienza ed efficacia delle unità
organizzative operative (come stabilimenti, uffici, negozi, centri di ricerca etc.), la cooperazione dei
gruppi di lavoro, il disegno dei ruoli e dei sistemi professionali che assicurino innovazione,
miglioramento continuo e identità al lavoro, la cultura organizzativa, le competenze, le comunità di
pratica, la gestione dei conflitti e soprattutto i sistemi di risposta all’inaspettato e i sistemi per
l’innovazione, e infine l’eccellenza dei sistemi operativi (fatti di organizzazione, tecnologia e
cultura) come la logistica, la qualità, la sicurezza, etc.
Un’agenda per un movimento culturale e per un programma di
innovazione e rigenerazione delle organizzazioni italiane
La proposta che formulo per affrontare la crisi è quella di suscitare un movimento culturale,
scientifico e professionale per attivare:
a. programmi nazionali e regionali di policy a supporto della creazione e rivitalizzazione delle
organizzazioni;
b. programmi di ristrutturazione dei servizi alle imprese e alle Pubbliche Amministrazioni;
c. cantieri di creazione, sviluppo, rivitalizzazione di specifiche organizzazioni e sistemi di
organizzazioni, basati su nuovi modelli di management privato e pubblico.
Nel prossimo paragrafo illustreremo i caratteri di tale possibile programma che veda istituzioni,
strutture di servizio, imprese e parti sociali lavorare insieme sui tre livelli delle politiche, dei servizi
e dell’organization design.
L’idea di fondo è quella di sostenere la nascita, lo sviluppo e il consolidamento di organizzazioni in
vista di obiettivi cruciali per la ripresa e la crescita dell’economia e della società italiane. Avviare,
cioè, una stagione di progettazione di organizzazioni basate su nuovi paradigmi in vista di fini
importanti per la nostra società, ossia organization design for…
1.
Organization design for development: sviluppare territori e imprese in rete
Infrastrutture fisiche (ferrovie, strade, fiumi, reti telematiche, etc.) e infrastrutture sociali (scuole,
fiere, istituzioni culturali, etc.)) sono componenti di nuovi sistemi di impresa e società “crocevia di
reti globali” vitali, da fare evolvere con una nuova comprensione e nuove politiche. Questo è
l’oggetto del Progetto Nord (Perulli e Pichierri, 2010) che la Fondazione Irso, in collaborazione con
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università, Fondazioni, Regioni, ha avviato per comprendere e potenziare le “governance
funzionali” della global city-region del Nord, in materia di ricerca, istruzione, sistema portuale, Po.
2.
Organization design for competitiveness: rafforzare e diffondere le esperienze delle
imprese dell’Italian Way of Doing Industry
L’emergente modello della Italian Way of Doing Industry (Butera e De Michelis, 2011) è costituito
da imprese e sistemi di imprese di successo con caratteristiche diverse dai loro competitori
internazionali; che rivelano una straordinaria aderenza ai bisogni, alla cultura, alle esperienze dei
clienti; che valorizzano in modo originale risorse come finanza e tecnologia; che hanno
organizzazioni design driven e customer driven basate su cooperazione, condivisione delle
conoscenze, comunicazione, senso di comunità; che hanno sviluppato forme di organizzazione del
lavoro e di professionalità diverse da quelle della tradizione taylor-fordista e sono caratterizzate
dalla passione per la qualità e per la soddisfazione del cliente; che sono economicamente e
socialmente rimarchevoli e spesso sono fondate anche su forti valori.
Sono stati da poco avviati programmi nazionali e regionali per lo sviluppo di reti di impresa. È stato
avviato un programma federativo di ricerca-intervento fra diversi centri di ricerca universitari,
istituzionali e aziendali per mettere in comune i risultati di ricerca sui modi di produrre in Italia e per
formulare concrete proposte sui servizi necessari al sistema economico italiano. È ancora molto
poco rispetto alla magnitudo del cambio di modello produttivo nazionale e internazionale che si
profila.
3.
Organization design for costs and services: cambiare le singole Pubbliche Amministrazioni
L’idea di progetti nazionali per promuovere cantieri di gestione strutturale del cambiamento di
singole Pubbliche Amministrazioni, come nei casi americano e inglese, potrebbe generare un
numero ancora più elevato di progetti virtuosi (Butera e Dente, 2009). È la base del programma
americano Reinventing Government che ha attivato un gran numero di cantieri di Agenzie federali
e di Amministrazioni locali. Un programma nazionale di stimolo e di regìa di riorganizzazioni
localizzate in Italia non è partito e sono poche le Amministrazioni che hanno messo mano alla
propria riorganizzazione.
Intanto, però, si aprono cantieri sviluppati in base a specifici programmi nazionali con fondi europei
gestiti dalle Regioni che attivano progetti locali di best practice. È il caso di Innovagiustizia, un
progetto di riorganizzazione dei processi lavorativi e di ottimizzazione degli Uffici Giudiziari
lombardi, patrocinato dalla Regione Lombardia con l’utilizzo del Fondo Sociale Europeo e che fa
parte del piano nazionale Piano di diffusione delle Best Practice negli Uffici Giudiziari italiani, un
programma condotto da Fondazione Politecnico, Fondazione Irso, Fondazione Alma Mater,
Università Bocconi, Lattanzio e Associati, Ernst & Young.
4.
Organization design for employability and quality of working life: progettare e sviluppare
mestieri della conoscenza e professioni “a banda larga” (broad profession)
L’emergenza occupazione può essere fronteggiata a fondo attraverso un percorso di enterprise e
job creation di tipo nuovo, attivando un percorso virtuoso per riorganizzare le imprese, le
Amministrazioni, il no profit, ripensando all’organizzazione del lavoro mettendo al centro il lavoro
come forza produttiva per innalzare di ordini di grandezza produttività e innovatività. Ciò implica
assegnare alle persone (giovani e anziani) professioni frugali in cui si misurino non solo con
l’apparato cognitivo ma con il sistema delle esperienze fisiche, sociali e relazionali che
tradizionalmente sono associate al lavoro; collocare le persone entro percorsi di broad profession
che sono materia di identità sociale, formazione, regolazione (come le professioni sociali e le
professioni della relazione che abbiamo studiato insieme alle professioni dell’ICT, del management
intermedio, etc. (Butera e Di Guardo, 2010; Cinti, 2010; Di Guardo e Morici, 2012 in corso di
stampa); riconciliare così organizzazioni e professioni di terza generazione. In questo modo, il
progetto organizzativo si incontra con nuovi sistemi di regolazione professionale, come è stato nel
caso delle Isole dell’Olivetti o di Google.
Questo schema è evocato da molti progetti finanziati dal FSE, ma raramente realizzati davvero.
5.
Organization design for safety: sviluppare organizzazioni ad alta affidabilità per la gestione
dell’inaspettato, la prevenzione dei grandi rischi e la gestione delle emergenze
Vi sono organizzazioni che operano in condizioni estreme, come ad esempio il sistema del
traffico aereo, l’aviazione, le missioni spaziali, la Formula Uno, le squadre di soccorso, le unità
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d’emergenza degli ospedali, etc. Queste organizzazioni incontrano un numero elevato e continuo
di eventi inaspettati perché le loro tecnologie sono complesse così come le loro strutture
organizzative, e perché le persone che vi lavorano hanno una comprensione incompleta dei loro
sistemi e di ciò che incontreranno.
Le norme sulla sicurezza in Italia sono allineate a quelle di altri Paesi. Quello che manca, in molti
casi, è l’educazione al rispetto delle regole, la cultura della sicurezza e della cooperazione di fronte
agli eventi avversi, l’etica della sicurezza come caratteristiche dell’organizzazione. Il ruolo
principale lo giocano, però, i singoli sistemi organizzativi e i loro manager che, in modo aderente al
proprio contesto, possono sviluppare processi e strutture orientate all’alta affidabilità e hanno una
pratica manageriale e operativa in grado di preservare la capacità di vedere i segnali deboli e di
dare forti e tempestive risposte a questi segnali. I cantieri di progettazione e sviluppo di nuovi
sistemi complessi – come ferrovie, aeroporti, edifici complessi ed altri –, e soprattutto la loro
gestione, dovrebbero essere condotti puntando ad un alto livello di affidabilità organizzativa e alla
formazione manageriale, costruendo High Reliability Organization (HRO) di cui esistono esempi
ottimi all’estero e anche in Italia. Occorre imparare da loro, diffondendone le best practice a
contesti meno severi che di una elevata affidabilità hanno bisogno.
6.
Organization design for environment: promuovere organizzazioni ecosostenibili e capaci di
risparmio energetico
L’inquinamento, il degrado ambientale e l’esaurimento delle risorse energetiche sono un pericolo
attuale per il pianeta e per l’Italia, un Paese molto industrializzato e ad alta densità di popolazione.
Le soluzioni verranno non solo dalle nuove tecnologie di energie rinnovabili, dai modi diversi di
progettare i processi produttivi e gli edifici industriali e civili, ma soprattutto da un modo diverso dei
cittadini e delle organizzazioni di dotarsi di fonti di energia e di selezionarle, di consumare energia,
di gestire i rifiuti, etc. Insomma, tecnologie, organizzazione e comportamenti dovranno convergere.
Esperienze positive di industrie a bassa emissione, di programmi di risparmio energetico, di case e
quartieri ecologici, di programmi di gestione avanzata dei rifiuti, di sviluppo di comunità ad impatto
zero coinvolgono i decisori politici e industriali e le popolazioni, attraverso esercizi di democrazia
deliberativa (F.M. Butera, 2007).
7.
Organization design for social defence: rafforzare le organizzazioni per la difesa sociale
La criminalità organizzata schiaccia molte regioni del Paese e inquina il resto. Mafia,
’ndrangheta, camorra, sono organizzazioni complesse di grande e nefasta efficienza ed efficacia,
con giro di affari, profitti, connessioni internazionali maggiori delle nostri migliori imprese.
L’evasione fiscale è una delle peggiori malattie del nostro sistema economico e sociale che ha
effetti gravissimi sul fabbisogno dello Stato, costretto così a far pagare agli onesti quello che i
disonesti evadono.
Questi gravi problemi di difesa sociale delle persone e delle imprese solleva, in primo luogo,
problemi di volontà politica e di legislazione per combattere la criminalità organizzata e i fenomeni
di violazione di massa di leggi e regolamenti. Ma non è mai sufficientemente evidenziato il fatto
che i maggiori successi in questa lotta sono stati ottenuti da Uffici Giudiziari coraggiosi ed efficienti,
da strutture di Pubblica Sicurezza di grande qualità, da associazioni di contrasto alle attività
criminali, da giornalisti e scrittori capaci, da istituzioni culturali civilmente impegnate, da scuole con
forte capacità educante, anche in situazioni in cui le risorse erano scarse e gli ostacoli formidabili:
ossia, una rete di organizzazioni e di professionisti capaci di eccellenza e di cooperazione, anche
su scala internazionale.
Un’area cruciale di politiche e progetti organizzativi è quella che si pone l’obiettivo di comprendere
l’organizzazione criminale (come seppe fare Falcone scoprendo l’organizzazione di Cosa Nostra e
attaccandola), rendere visibili la struttura e la cultura di questa rete di difesa sociale e potenziarle
con progetti concreti sui singoli nodi della rete e sui flussi informativi e decisionali che li legano.
8.
Organization design for the new consumer: inventare organizzazioni per nuovi modelli di
consumo
Organizzazioni per la produzione ecosostenibile, per il consumo e la distribuzione solidale sono
alcuni dei termini che registrano nuove relazioni fra produzione di beni e servizi e consumo.
I nuovi modelli non devono essere inventati da zero, ma possono svilupparsi da buone esperienze
che la crisi sta evidenziando e moltiplicando. Essi richiedono organizzazioni e professioni nuove e
un nuovo approccio al mercato (Fabris, 2008): le imprese dovranno fare prodotti nuovi, le forme
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della promozione commerciale dovranno cambiare, il sistema distributivo dovrà essere
profondamente ripensato, una nuova cultura del consumo dovrà essere sviluppata, un nuovo ruolo
della scuola dovrà essere concepito.
Che organizzazioni di produzioni di beni e servizi si svilupperanno? E che cosa sarà della grande
e piccola distribuzione? E del sistema dei trasporti entro una cultura a chilometro zero?
9.
Organization design for web 2.0: moltiplicare e valorizzare le reti di organizzazioni e di
professioni supportate da tecnologie ICT e web 2.0
La diffusione dei social network, l’impiego sofisticato dell’Information and Communication
Technology, l’irrompere pervasivo dalle tecnologie web 2.0 cambiano il modo di gestire i processi
organizzativi nelle imprese e nelle Pubbliche Amministrazioni, cambiando i modi di fare Ricerca e
Sviluppo, produzione, vendite, amministrazione. Si sviluppano, così, organizzazioni basate su
cooperazione autoregolata, condivisione piena della conoscenza, comunicazioni estese, comunità,
contaminando lavoro e vita.
Il web ci insegna le condizioni di base della partecipazione attraverso communities e cioè
l’apertura all’interno e all’esterno (open) contro la chiusura, la libertà di pensare ed agire (free)
contro i vincoli, la parità dei partecipanti (peer) contro le strutture gerarchiche che bloccano la
creatività (Lamborghini, 2010).
Un movimento per attivare un programma interistituzionale per
l’innovazione e rigenerazione delle organizzazioni italiane
Ogni impresa segue la sua strada e usa le sue risorse. Ma sono possibili programmi che, in modo
efficiente e trasparente, supportino la nascita e lo sviluppo delle imprese operando a due livelli: (a)
a livello di sistema Paese e (b) a livello dei singoli sistemi di organizzazione?
La risposta è positiva. Non occorre un nuovo grande programma affidato ad un improbabile
“principe” che ne faccia il proprio programma governo. Basta portare a unità le molte iniziative
disperse oggi già attivate dal governo nazionale, dai governi regionali, dalle associazioni
imprenditoriali, dalle università e dai centri di ricerca, dalle società di informatica e di consulenza.
Basta far emergere l’incalcolabile patrimonio di esperienze, best case, progetti in corso nei sistemi
di organizzazioni private e pubbliche. Nessuno da solo può farlo, ma una convergenza di soggetti
che concordino su fini e mezzi può riuscire.
a. A livello di sistema Paese, facciamo riferimento a programmi e progetti interistituzionali e
collaborativi.
1. Politiche pubbliche tese a migliorare i fattori contestuali per lo sviluppo delle organizzazioni,
ossia la promozione di risorse, beni comuni, infrastrutture. Ciò dovrebbe essere sostenuto da
programmi di ricerche e studi policy oriented, chiamando a collaborare fra loro istituzioni,
imprese, università, centri di ricerca, associazioni imprenditoriali, sistemi di imprese, media.
Occorrerebbe fondare qualcosa di simile all’Italian Institute of Technology (IIT) di Genova per
l’organizzazione, ma non è tempo di nuovi investimenti. Basterebbe aumentare la visibilità, la
trasparenza e il monitoraggio dei tanti programmi di sostegno alle imprese e alle
organizzazioni condotti a livello nazionale e regionale come avviene in Germania, Francia e
Danimarca; rafforzare i legami fra i programmi di ricerca in atto nelle università, anche in
vista di un accesso consistente al programma europeo Horizon 2020 come fa da tempo, per
esempio, il Fraunhofer Institute, collegato a istituzioni e imprese tedesche; fare in modo che
le università e le scuole superiori di ogni facoltà potenzino l’orientamento alla
professionalizzazione e al sostegno delle imprese prendendo ad esempio le esperienze
migliori dei Politecnici italiani, della Bocconi, dell’IFTS e di moltissimi altri; utilizzare i Fondi
Sociali Europei e i Fondi Interprofessionali per fare sviluppo organizzativo, insieme, delle
strutture e delle persone, e molto altro ancora. È possibile pensare, infine, di costituire una
Consulta integerrima e ad altissimo livello di statisti, imprenditori “olivettiani”, studiosi
internazionali, che con una interna divisione del lavoro formuli un master plan condiviso e
monitorato da governo, parti sociali, università (una sorta di Commissione Attali per
l’innovazione organizzativa, ma con raccomandazioni più operative?).
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2. Programmi nazionali e regionali per promuovere servizi nel campo dell’economia,
dell’organizzazione, della tecnologia, delle risorse umane (dalle società di ICT, agli istituti di
credito, alle società di consulenza, ai centri di formazione, etc.), suscitando un rinnovato
impegno di strutture professionali sul piano culturale, tecnico ed etico.
Le società di informatica dovrebbero diventare più capaci di personalizzare i loro servizi; le
società di consulenza dovrebbero innalzare il loro livello di qualità e di centratura sul cliente;
gli istituti di credito dovrebbero davvero offrire consulenza oltre che risorse finanziaria; i centri
di formazione dovrebbero trovare nuovi modelli economici e prestazionali per lavorare con le
Pmi e con le piccole Pubbliche Amministrazioni. Questo è un compito di promozione e di
riorientamento delle Associazioni di categoria, che dovrebbero collaborare con le Pubbliche
Amministrazioni per assicurare correttezza delle gare pubbliche e il contrasto ai cartelli.
3.
Programmi nazionali e regionali di sostegno alla nascita e rigenerazione delle
organizzazioni
 Attivare e sostenere cantieri che abbiano per oggetto nascita, rivitalizzazione e sviluppo di
specifiche imprese, di reti organizzative, di distretti. In questi cantieri si dovrebbero
realizzare progetti esemplari, attività di diffusione di best practice, creazione e
comunicazione di nuove culture e metodi di direzione e di gestione: soprattutto, risultati
tangibili. I cantieri, oggetto dell’autonoma iniziativa di imprenditori e dirigenti, non
dovrebbero ricevere sovvenzioni, ma essere supportati da adeguati servizi pubblici e
privati offerti dalle università e dalle società di consulenza e tecnologia. Il MIT si vanta di
essere il 17° Paese del mondo, perché genera e aiuta lo sviluppo di impresa su una
dimensione superiore al Pil delle nazioni dal 18° posto in giù;
 attivare e sostenere cantieri per riconoscere e promuovere professioni estese entro cui le
persone possano muoversi senza perdere la loro identità Vi sono programmi in atto anche
nel nostro Paese, che il Ministero del Lavoro e gli Assessorati al Lavoro e alla Formazione
professionale dovrebbero monitorare e rivitalizzare, facendo piazza pulita dalle attività
inutili o dannose (Butera e Di Guardo, 2010);
 aprire uno o più programmi nazionali e regionali di riorganizzazione delle Amministrazioni:
promuovere, animare, supportare e diffondere progetti esemplari di riorganizzazione di
singoli “pezzi” delle Amministrazioni dello Stato, che ottengano simultaneamente in tempi
brevi miglioramenti non incrementali: di efficienza (riduzione dei costi e aumento della
produttività), di efficacia (miglioramento delle politiche e dei servizi), di qualità
(soddisfazione dei clienti), di relazioni con il contesto economico e sociale, come è
avvenuto con i programmi Reinventing Government di Clinton e Gore e Next Steps
inglese (Butera e Dente, 2009).
L’attivazione di cantieri per lo sviluppo di progetti esemplari va considerato il baricentro
dell’intero programma. Essi, da una parte, forniscono dati per disegnare meglio le politiche
industriali, territoriali e del lavoro e della formazione e, dall’altra, costituiscono casi concreti,
best practice, narrazioni che contagino, che mostrino non solo il cosa, ma anche il come si
fa, che diffondano una nuova immagine delle organizzazioni e del lavoro. Il cantiere,
soprattutto, consente di attivare cooperazione e cambiamento culturale nelle persone. Il
cambiamento è un percorso progettuale e non solo negoziale, e impone una logica
propositiva che conduce soggetti con visioni, culture, interessi diversi a operare in vista di
obiettivi condivisi, ad affrontare insieme le difficoltà del percorso e a cercare insieme le
soluzioni ai problemi e le innovazioni.
Un programma nazionale o regionale di animazione del cambiamento, infine, consente di
dare senso, diffondere, comunicare i risultati e i metodi dei cambiamenti realizzati,
superando così l’alternativa tra un approccio globale dall’alto – che non riesce ad attivare
cambiamenti effettivi – e un approccio dal basso – basato sulla sopravvalutazione delle best
practice e sulla eccessiva fiducia nella capacità di tutte le organizzazioni di autoriformarsi.
Occorrerà soprattutto:
 studiare: aggregare in grandi progetti di ricerca, anche finanziati da fondi comunitari,
università e centri studi, al fine di progettare le soluzioni e i metodi per sviluppare le aree
di innovazione;
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 comunicare: ricerca e media dovrebbero descrivere, narrare, diffondere le storie di queste
nuove organizzazioni e delle nuove forme del lavoro;
 attivare le persone sulla rete rendendo visibili i siti, i blog, le conversazioni, oggi dispersi
sui social network in cui giovani in attesa di lavoro, lavoratori, manager privati e pubblici
raccontano le loro storie, le loro esperienze, i loro progetti, costituendo così una comunità
di innovatori con l’ausilio di social media, come quelli ormai largamente impiegati nel CRM
o nel Marketing;
 portare l’impresa (privata e pubblica) e il lavoro a scuola e la scuola nell’impresa e nel
lavoro: rendere fruibili agli studenti di ogni ordine e grado le culture delle imprese migliori.
Fare dell’impresa un’istituzione che insegna non solo attraverso i suoi prodotti e i suoi
processi, ma che diventa un centro motore di cultura (Dioguardi, 2010).
b. A livello dei singoli sistemi organizzativi privati e pubblici, la proposta è quella di
raggiungere risultati di classe internazionale attraverso il consolidamento e lo sviluppo dei
modelli di leadership, di organizzazione e di cambiamento delle singole organizzazioni e dei
singoli sistemi di organizzazione che esistono già e che noi abbiamo rilevato nello studio
dell’Italian Way of Doing Industry e delle innovazioni in corso nelle migliori Pubbliche
Amministrazioni.
È un compito affidato all’autonomia degli imprenditori e dei dirigenti, affinché sviluppino e
diffondano un nuovo modello di management privato e pubblico ed efficaci metodi di
innovazione e cambiamento organizzativo. Essi dovranno essere aiutati in ciò dalle
università, dalle scuole di management, dalla consulenza, dai media, che dovranno però
abbandonare l’attitudine ad insegnare cose apprese oltreoceano per estrarre, dalle esperienze
di successo delle organizzazioni italiane, soluzioni, metodi, culture generalizzabili.
I temi di questo rinnovamento organizzativo realizzati attraverso una moltiplicazione di casi di
successo, di best practice, sono due: nuovi princìpi basati su casi di successo, nuovi metodi per
l’innovazione e il cambiamento.
Alla luce delle ricerche di cui oggi disponiamo sull’Italian Way of Doing Industry e sulle migliori
Pubbliche Amministrazioni, dieci sono i princìpi cardine che le altre organizzazioni dovrebbero
perseguire: operare come nodi vitali entro reti e piattaforme produttive; generare strategie di
innovazione a 360 gradi; gestire l’inaspettato; innovare e cambiare rapidamente prodotti e servizi
e, insieme, le proprie capacità organizzative, ossia strutture, processi e culture; generare energia
diffusa; far avvenire davvero le cose; conciliare interessi e visioni diversi; armonizzare risultati
economici, tecnici e sociali; valorizzare le potenzialità di innovazione e cambiamento possedute
dalle persone; generare occupazione che crei valore alle organizzazioni e offra alle persone
reddito e lavoro da cui apprendere.
Il tema dei metodi va centrato su come ritrovare un nuovo rapporto fra strategie e
organizzazione. È facile immaginare strategie innovative, è facile progettare e realizzare buone
operation; più difficile è fare in modo che le strategie si realizzino. È il complesso percorso della
gestione del cambiamento: occorre fare in modo che la strategia stessa sia effettivamente
realizzata, verificata e migliorata, e occorre produrre agenti di cambiamento in grado di guidare
e sviluppare cambiamenti sul lungo periodo.
Perché parliamo di un movimento? Perché un tale programma, per essere concepito e
realizzato, deve essere sostenuto da una forte tensione culturale ed etica, deve essere condiviso
dalle persone, deve essere ampiamente comunicato. Esso richiede innanzitutto di rimettere al
centro dell’intero programma l’orientamento ai risultati economici e sociali delle organizzazioni, la
cultura, il lavoro ben fatto, la professionalità, il merito, l’integrità, la responsabilità sociale, la qualità
della vita, i valori. È necessario un percorso energico che contrasti risolutamente l’impoverimento
del lavoro e dei lavoratori, l’occupazione delle organizzazioni da parte di clan e sistemi di potere, la
corruzione, l’iniquità sociale.
Un movimento che veda protagonisti l’imprenditoria più capace e responsabile, i più
professionali e integri fra manager e civil servant, i membri di un rinnovato modo di fare politica. Un
movimento, soprattutto, che sia compreso e che generi partecipazione da parte dei giovani, anche
attraverso l’impiego dei social network. Un movimento che trovi sostegno da parte delle autorità
morali e intellettuali del Paese. Alla base ci sono tre semplici idee antiche ma umiliate dai molti
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responsabili della crisi in atto: il lavoro come fonte della ricchezza del Paese e dell’identità delle
persone e non come merce; l’impresa come istituzione economica e sociale e non come pedina di
scacchieri finanziari o politici; le Pubbliche Amministrazioni come servizio per la comunità e non
come grumi di burocrazia costosa e arrogante. Subordinare il potere e gli interessi alla
realizzazione di organizzazioni e lavori eccellenti è un’utopia? No, i casi eccellenti che abbiamo
evocato rappresentano esempi robusti in questa direzione.
PS. Ma un movimento quale quello appena accennato, potrebbe essere adottato da chi
compete nell’agone politico e opera entro tempi brevi? Credo proprio di sì. Non voglio fare
nomi italiani contemporanei. Ricordo che Alcide De Gasperi guidò il miracolo economico
italiano sostenendo con vari programmi di respiro internazionale lo sviluppo delle grandi
imprese private e a partecipazione statale, e che Al Gore, dedicatosi a guidare il
programma di riorganizzazione delle Pubbliche Amministrazioni, ha numericamente vinto
le elezioni presidenziali americane, pur senza diventare il Presidente.
PPS. L’innovazione organizzativa del dopoguerra fu guidata da nomi come Enrico Mattei,
Pasquale Saraceno, Oscar Sinigaglia, Adriano Olivetti, Alberto Pirelli, Gaetano Marzotto,
Vittorio Valletta, Agostino Rocca, Guido Carli, Raffaele Mattioli, Enrico Cuccia, Ugo La
Malfa, Giorgio Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi, Bruno Trentin, e da molti studiosi ed
esperti. Quali nomi per l’Italia del 2013?
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