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CASANA 26-29:Layout 1 13-02-2013 3:54 Pagina 26 CASANA 26-29:Layout 1 13-02-2013 3:54 Pagina 27 Arte e Cultura Giorgio Caproni nel centenario della nascita di Matteo Lo Presti “È una eredità difficile da gestire, lo ho amato profondamente, è stato un grande amico, non mi ha mai insegnato niente e mi ha insegnato tutto”. Così Silvana Caproni, gli occhi pieni di lacrime, rievoca la bella figura del padre Giorgio in una delle tante manifestazioni che ricordano il centenario della nascita di uno dei grandi autori della lirica italiana del Novecento. “Eravamo poveri, si viveva con poco - continua Silvana - ma con grande attenzione ai valori della vita. Non ci portava mai al cinema, piuttosto ai concerti e alle mostre. Una volta davanti ad un quadro di difficile lettura di Burri espressi un giudizio negativo. Mi ammonì duramente spiegandomi che nella vita bisogna sempre tacere e sempre imparare”. Di uguale intensità i ricordi del fratello Attilio Mauro. “Ho paura, nelle celebrazioni di mio padre, di dire cose sciocche e l’idea che siano passati cento anni dalla sua nascita rende la sua immagine per i critici letterari in bianco e nero, invece per me è rimasto un padre colorato, pieno di intensità affettuose che ci hanno lasciato in eredità intelligenza, cultura e valori in una collana di amicizie nelle quali Genova brilla per una sua affettuosità rara”. E il poeta in gita a Parigi così descrive la figlia nella poesia Au coin du coeur: “Le bateau-mouche. Silvana / rimasta con la voglia. / Io che al Luxembourg ho raccolto / nel portafoglio una foglia”. Livornese di nascita, ebbe con la Liguria e con Genova un A fronte Il panorama di Genova dalla stazione dell’ascensore di levante di Spianata Castelletto a Genova. rapporto forte e intenso prima come maestro in un piccolo paese sperduto della val Trebbia e poi ancora come partigiano, in quelle stesse zone dove racconta di avere visto avvenimenti “di indicibile dolore”. Raccontava di essere diventato maestro elementare per caso ”Facevo tutt’altri studi, suonavo e buttai via la musica, il violino e poi mi impiegai da un avvocato”. Con l’armistizio dell’8 settembre ’43, racconta Caproni, “dovevo scegliere: o Salò o rimanere lì con i partigiani. Naturalmente non ebbi esitazioni”. Poi con grande onestà morale scriverà: “Non sono stato un partigiano nel senso eroico della parola, la mia parte, in quella lotta, fu molto modesta”. E quasi a non volere nulla rivendicare aggiungeva: “partigiano senza sparare nemmeno un colpo”. Il suo nome è stato inserito nell’elenco dei collaboratori civili della brigata Jori da Antonio Testa, partigiano autentico (con il nome “Baffo”), che ha ricostruito le azioni di lotta in un bel libro intitolato “Partigiani in val Trebbia. La Brigata Jori” ed. AGA,1980. Nell’elenco dei giovani partigiani si legge in un refuso innocente “Caprone (sic!) Giorgio (maestro) di Loco”. E di questa esperienza alla quale non rimase estranea la moglie Rosa Rettagliata chiamata Rina e i due piccoli figli, Giorgio Caproni ha lasciato testimonianza bella e intensa nel libro “Racconti scritti per forza” ed. Garzanti. Era un bravo maestro, non autoritario. Da chi l’ha avuto davanti in cattedra sono venute solo testimonianze di una grande riconoscenza per una strategia didattica inconsue- 27 CASANA 26-29:Layout 1 13-02-2013 3:54 Pagina 28 ta e fantasiosa. Sfuggiva con abilità alla burocrazia della programmazione scolastica, era capace di zelo rispettoso delle convenzioni, ma pronto a buttare tutto all’aria nel maggiore interesse e amore per le fresche menti dei suoi alunni. Scriveva: “Sono in classe davanti a 29 adorabili frugoli che mi fanno la testa come un pallone e non mi lasciano scrivere. Sono tutti di 8 anni. Mi salgono sulle spalle, sulle ginocchia, finiranno per saltarmi anche in testa come i piccioni di piazza Grande. Sono morto di fatica, ma mi trovo bene tra i piccioni”. Fu in cattedra alla scuola Giovanni Pascoli di Trastevere, poi in sede provvisoria a Loco di Rovegno e poi ad Arenzano, per finire la carriera nella scuola Francesco Crispi di Monteverde Vecchio. Suo alunno fu l’architetto Massimiliano Fuksas, che rimasto orfano a soli sei anni, spesso solo in casa veniva invitato a pranzo dal maestro Caproni. La casa era in via dei Quattro Venti dalle parti del Gianicolo dove si erano consumati i tragici fatti della Repubblica Romana nel 1849, non lontano dalla collina dove si sono spente giovani vite per difendere gli ideali mazziniani e risorgimentali. Antonio Debenedetti, che lo ebbe come istitutore in casa, ha detto che era un maestro “sulfureo”. Non perché diabolico, ma c’è da pensare per il metodo creativo e candido con cui cercava di stimolare il rapporto con la cultura. Ecco alcuni versi del “maestro” Caproni indirizzati al suo giovanissimo alunno: “Cosa mai studi Antonio / ora che aprile trema / ai vetri, e una mosca / minuta arpa-vibra / delicata sul tema? / perimetro per apotema / diviso due, dà l’area / dell’esagono, l’area del prato / la dà la mosca / posatasi anche sul problema”. Così scriveva il maestro che agli alunni non parlava mai dei suoi versi ed ai curiosi della sua poesia non diceva di fare il maestro. Mondi che teneva separati con innocente durezza. Gli alunni gli volevano bene perché si presentava “senza autorità”. E insegnava recitando la parte del maestro incolto. Raccontò: “Qualche volta entravo in classe arrabbiato “Che hai sor maestro?” chiedevano. “Oggi sono adirato perché il direttore vuole che faccia una lezione su Napoleone, ma se io avessi una classe di bravi bambini, questi saprebbero già e mi risparmierebbero la fatica di spiegare. Il giorno dopo tornavano sapendo tutto”. Questi ed altri aneddoti “magistrali” sono rievocati in un importante ricco volume di Marcella Bacigalupi e Piero Fossati “Giorgio Caproni maestro” ed. Il Melangolo. Sapeva di essere sulle tracce maieutiche di Socrate, tutto teso a fare dimenticare che egli era il maestro, preferiva suggerire la strada attraverso la quale (metodo!) fossero loro a scoprire e ad inventare. La burocrazia ovviamente lo assillava. Feroce la sua vendetta mite. “Un direttore non fa che abbassarmi la qualifica: Angelo si chiama di nome e Tiberi di coglione”. Giurò in una lettera all’amico Carlo Betocchi che era stato un lapsus involontario. “Volevo scrivere cognome”. Maestro di libertà sbarazzava l’aula dai banchi per montare i binari del trenino elettrico, con il quale portava gioia, aiuto e solidarietà ai suoi alunni preferiti: i bambini disagiati, i trovatelli, gli ultimi. Diventato famoso avrebbe potuto trovare impieghi economicamente più vantaggiosi, ma non lasciò mai la scuola. È stato un suo amico illustre poeta Libero Bigiaretti che ha cercato di trovare una sintesi tra la professione di maestro e il mestiere di poeta. Non il rapporto tra due astrazioni scuola e poesia, bensì la tensione tra scolari e poesia. Gli interrogativi che i bambini, cioè gli scolari, ponevano a Caproni, le risposte che davano alle sue garbate provocazioni, ai suoi stimoli, in tutto questo sostenne Bigiaretti “Caproni trova il suo compenso. Ammette che il trentennio dato alla scuola non è stato sottratto alla poesia” (in “Profili al tratto” ed. Aracne 2003). Si racconta che nell’anno scolastico 1959-60 i bambini della scuola romana, dopo averlo visto in televisione leggere alcune poesie della sua raccolta “Il seme del piangere” con la quale aveva vinto il premio Viareggio, lo assillarono con le loro domande piene di curiosità. Di ciò Caproni lascia traccia nel registro di classe: “Ho subito smontato i miei piccoli ammiratori, sono il vostro maestro e vogliatemi bene come tale, il resto è letteratura”. Già la letteratura, l’altro elemento fondamentale e identitario della vita di Caproni. “Il poeta è incapace per natura di distrarsi, lui che per sua disLa stazione dell’ascensore di levante in Spianata Castelletto, Genova. A fronte Flavio Costantini, Giorgio Caproni, Genova, collezione privata. 28 Arte e Cultura CASANA 26-29:Layout 1 13-02-2013 3:54 Pagina 29 grazia vede uomini e cose non dall’esterno, ma dentro, come se cose ed uomini fossero trasparenti, con in più il dono di amare, di vedere e antivedere”. Con interpretazione profonda e ricca di intuizione metodologica Stefano Verdino, professore di letteratura italiana presso l’ateneo genovese, in una sua relazione presso l’istituto della Enciclopedia Italiana a Roma ha detto: “Caproni è squisito maestro di contrappunto e geniale stratega del paradosso; proprio perché l’istanza è così alta, tanto da adire al sacro, il correttivo ironico sui contenuti è fondamentale per evitare l’accesso alla retorica di cui Caproni, diversamente da altri poeti, anche del suo tempo era inimicissimo e questo fu forse il più suo genuino fondo ligure (filtrato da Camillo Sbarbaro soprattutto) contro altri fecondi commerci di poesia e retorica da Luzi a Sanguineti”. Indimenticabili la sua semplicità, la sua ironia “Tutti i luoghi che ho visto / che ho visitato / ora so-ne sono certo- / non ci sono mai stato”. E ancora “non porterà nemmeno / la lanterna, là / il buio è così buio / che non c’è oscurità”. E sul mestiere del poeta “Imbrogliare le carte / far perdere la partita / è il compito del poeta? / lo scopo della sua vita?”. La poetica di Caproni, sottolinea Stefano Verdino, esibiva questi valori di autenticità, di sapienza creativa proprio in un tempo di passioni e di ideologie e di scontri violenti in un elogio della lentezza della buona poesia contro i drammatici eventi di una velocità temporale, che non impediscono al poeta di “essere accumulatore di tempo” o come piaceva ancora a Caproni “Il poeta è un gran raccatta tutto come l’uomo col sacco sul mucchio delle spazzature”. Mite combattente solitario Caproni cerca di farsi “maestro” della società di massa di cui avverte i continui stordimenti “Il nostro paese assomiglia a un animale antidiluviano: un Arte e Cultura corpaccione numericamente massiccio e un cervello piuttosto non in proporzione. La media (la cultura media, il tono medio) dove trovarli in simile stato di cose?”. La storia della critica ha individuato nella voce di Caproni la sapiente suggestione di tante figure da lui amate: il cacciato e il cacciatore, il fuggiasco e il viaggiatore. Alla ricerca della comprensione dei misteri della vita, della morte e delle assenze. Luigi Surdich, anche egli docente di letteratura italiana presso l’ateneo genovese, ha ricordato in una recente lettura il tormentato itinerario poetico che Caproni imbastisce con il ricordo della madre Anna Picchi alla ricerca di sapere se la sua mamma più bella del mondo “è ancora viva tra i vivi” in nude parole e in affettuosi versi nei quali “per lei torni in onore/la rima in cuore e amore”. E il tormento personale di dovere limare le tensioni dei rimorsi e delle complicità, nella scultura della parola che nella poesia trova immagini che respirano la musica della poesia. Di Genova diceva “È una città che mi ha stregato: nemmeno ora che vivo a Roma riesco la levarmela di dentro, me la sogno di notte, la sospiro di giorno. Per dirla alla francese, “je suis malade de Genes”. Ed è risaputo che in paradiso avrebbe voluto andarci con l’ascensore di Castelletto. Mentre nella poesia dedicata a via Pio Foà, strada romana dove abitava, scrisse “Una giornata di vento / di vento genovesardo / Via Pio Foà: il mio sguardo / di fulminato spavento”. E ancora con emozionata ammissione “Genova da me-nel forzato esilio-poi sempre rimpianta e sospirata fino allo spasimo”. Nella famosa poesia “Litania”, maestosa cattedrale di liricità intensa dedicata alla città della sua giovinezza e mai dimenticata, ci piace ricordare i versi dedicati ai figli “Genova lunga e lontana/patria della mia Silvana”. E più avanti “Genova mio domicilio / dove m’è nato Attilio”. Giorgio Caproni poeta innocente che guida i sogni verso non-luoghi, in un contrasto come ha scritto Italo Calvino non tra il nulla e il tutto, ma tra il nulla e il poco. A Trieste passeggiando per la città capita di imbattersi in mezzo alle folate della bora nelle statue di Italo Svevo e di James Joyce. Sarebbe bello che tra le folate della tramontana si posizionasse una statua di Montale in Corso Dogali, una di Sbarbaro a piazza Manin e una di Caproni a Castelletto. Questi famosi poeti hanno acceso onori nei confronti della città già “Superba”. La “Superba” accenda ora e ancora onori duraturi ai sui poeti. 29