LA SCUOLA DEL “DOLCE STIL NOVO”

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LA SCUOLA DEL “DOLCE STIL NOVO”
LA SCUOLA DEL “DOLCE STIL NOVO”
Premessa: sviluppi del modello cortese
"Nella storia della letteratura europea si fissarono
successivamente tre sistemi (o convenzioni) di poesia d'amore,
ciascuno dei quali prevede, là dove si forma e ha le sue radici,
− una specifica situazione dei rapporti sociali,
− una concezione del mondo (ideologia) e
− una peculiare espressione poetica (forma).
A tali sistemi corrispondono:
a) l'amore cortese
b) l'amore petrarchesco
c) l'amore romantico
Tutt'e tre produssero un modello letterario e un modello di comportamento.
In Italia, nel XIII secolo, i poeti in lingua volgare accolsero la convenzione dell'amore cortese,
apportandovi tuttavia innovazioni e adattamenti.
Un elemento di continuità è costituito dalla finzione letteraria, per cui un tema (l'amore) e un
oggetto privilegiato di raffigurazione (la donna) sono astratti dalle situazioni reali. I testi ci
introducono -e questa caratteristica perdurò anche nel modello petrarchesco- in un universo
dominato dalle donne, visto attraverso gli occhi di uomini che amano e adorano: la finzione
compensa una realtà del tutto diversa, in cui il mondo era dell'uomo, e violentemente tale.
Inoltre ancora una volta nelle dottrine d'amore confluì la coscienza di un gruppo sociale. La donna
fu, come dai trovatori, eletta a "segno" rappresentativo di ogni bellezza, bene e piacere, fu
considerata una forza capace di provocare, attraverso Amore, ogni sorta di effetti, positivi o
negativi: parlando del suo rapporto con la donna l'uomo perciò parla, allusivamente, con la totalità
dell'esperienza vissuta.
Le peculiarità della cultura urbana e le vicende storiche del tardo Duecento determinarono,
all'interno della concezione dell'amore cortese, alcune modificazioni, che ci appaiono
principalmente in funzione
− dell'azione svolta dalla Chiesa, che con interventi a vari livelli, dotti e popolari (predicazione
degli ordini mendicanti, movimenti antiereticali, condanna dei maestri "averroisti"
dell'Università di Parigi, ecc.), recuperava il controllo sull'elaborazione intellettuale, posto in
crisi nel XII secolo dal primo affermarsi tra i laici della scrittura in volgare;
− dei contenuti dottrinali, della nuova sistemazione del sapere, dei particolari interessi che
furono proposti dai centri universitari;
− della dinamica delle forze sociali, quale si manifestò nelle città a regime comunale. La poesia
d'amore fu praticata inizialmente in zone periferiche dell'Italia, o da rimatori che ne adottarono
anche la lingua originaria (verseggiarono in lingua d'oc, nell'Italia settentrionale, autori
bolognesi, mantovani, genovesi, veneziani), o da quei poeti "siciliani" che per primi
trasferirono in un volgare italiano schemi e temi dei provenzali. Nella seconda metà del XIII
secolo le varie sperimentazioni convergevano verso l'area bolognese e toscana. in cui si ebbero
gli sviluppi più significativi: qui, nell'ambiente urbano, i manoscritti trovarono chi trascriveva
e chi comprava (ci fu un "mercato"), i testi ebbero un pubblico di lettori non circoscritto a una
corte ed espressero contenuti che possiamo confrontare con dati sociologici abbastanza
precisi." (Ceserani-De Federicis, Il materiale e l'immaginario, vol. I, pp. 758-759)
Il "dolce stil novo"
"Dalla lezione della poesia siciliana e toscana, approfondita in un più ampio contesto culturale,
nasce il più importante movimento letterario del secolo, quello del "dolce stil novo".
E` Dante stesso, in un noto passo del Purgatorio (c. XXIV, vv. 52-60), che ne precisa, oltre al
nome, la più interessante novità: l'ispirazione. Giunto alla sesta cornice della montagna che
"dismala" e richiesto da Bonaggiunta di Orbicciano s'egli fosse colui che aveva tratto le "nuove
rime" d'amore, risponde senza esitazione:
...Io mi son un che quando
amore spira, noto, e a quel modo
che ditta dentro, vo significando,
al che il poeta lucchese ribatte prontamente:
...O frate, issa veggi'io... il nodo
che il Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch'io odo.
Non più quindi cieca osservanza di aridi schemi, ma fedele obbedienza al proprio dittatore, cioè ad
Amore; per udire quanto egli "dettava" occorreva al poeta, assorto in umile adorazione della
bellezza femminile, un profondo raccoglimento, meglio, una facoltà introspettiva assolutamente
ignota alla poesia antecedente che gli permettesse di analizzare gli improvvisi smarrimenti, le
sùbite gioie, gli accasciamenti ed i tremori derivanti dalla vista della sua donna innalzata a creatura
paradisiaca.
Ed è proprio questa interiorità che rompe con i passato della poesia siciliana e toscana, e
caratterizza singolarmente la poesia del Guinizelli, del Cavalcanti dell'Alighieri: ad essa va
aggiunta la nuova concezione che i poeti stilnovisti hanno della nobiltà.
- Già la poesia provenzale della seconda metà del secolo aveva cominciato a rinnegare la
tradizionale concezione feudale di una nobiltà trasmessa da padre in figlio, in una ristretta cerchia
di signori predestinati;
- la filosofia scolastica aveva poi operato una vera ribellione a qualsiasi prerogativa di sangue;
- il "dolce stil novo", continuando e completando artisticamente questo processo di pensiero,
trasporta in poesia il principio della nobiltà individuale dell'anima, la cui diretta ed immediata
conseguenza è la gentilezza di cuore, non dono di natura, ma virtù acquisita.
Che altro però è tale gentilezza se non amore in potenza? Con l'amore si giunge alla conoscenza,
cioè a Dio, ma il solo tramite è la bellezza della donna amata, mezzo e stimolo indispensabili alla
elevazione spirituale.
Questa improvvisa apparizione della donna pareggiata ad un angelo opera un radicale mutamento
nella letteratura: la lirica fredda e convenzionale di tipo aulico e cortigiano cede il passo ad una
nuova poesia interiorizzata, e la donna angelicata perde ogni traccia di materialità: non solo non è
più elemento pericoloso alla salvezza dell'uomo -'null'om pò mal pensar fin che la vede"
(Guinizelli)- ma discende in terra, angelo umano, ad additare con la sua bellezza meravigliosa la
potenza del Creatore ed a sollevare al cielo i mortali infelici. Dal suo sguardo emanano gentilezza
ed amore che raggentiliscono quanti vengono a contatto con lei, ed una beatitudine senza pari si
impossessa di colui cui giunge il suo saluto.
Indubbia la novità d'una tale poetica, ed indubbi gli esiti artistici da essa raggiunti con i poeti più
validi della scuola stilnovistica: sorta in un ambiente di cultura raffinata quale era quello di
Bologna, essa non fu però immune da elementi intellettualistici, i quali contribuirono, specie nei
poeti meno validi, ad indulgere in minute e talvolta fastidiose analisi psicologiche, in sottili
teorizzazioni sulla natura dell'amore, in vuote ed aride personificazioni dei sentimenti.
Al bolognese Guido Guinizelli (nato fra il 1230 e il `40, morto prima del 1276) è ascritto il merito
di avere per la prima volta espresso i concetti dottrinali della scuola nella canzone "Al cor gentil
repara sempre amore", che per comune consenso viene considerata il manifesto del "dolce stil
novo". Imitatore dapprima della maniera siciliana-guittoniana, Guinizelli abbandonò presto quei
freddi modelli incapaci di parlare al suo spirito. Voltosi alle nuove concezioni, ne afferrò subito
l'intima essenza poetica e la tradusse in versi aggraziati e pulsanti di giovinezza: la sua passione
amorosa fluì attraverso immagini di una trasparenza e di una levità così delicate, e nello stesso
tempo così piene di vita, da fargli meritare l'appellativo di poeta visivo. Nella canzone su accennata
le similitudini dell'Amore che "ripara" nel cuore gentile come l'augello nella selva, della donna che
dà valore al cuore gentile come la stella alla pietra preziosa, dell'amore che brilla nel cuore gentile
come la fiamma "in cima del doppiero" (candelabro per due candele; n.d.c.); l'alterezza paragonata
al fango e la nobiltà al sole; l'identificazione della bellezza angelica in quella della donna amata,
formano un tutto di una efficacia e di un calore notevoli, e conservano, anche a distanza di tempo,
il fascino della spontaneità della concezione e della immediatezza della versificazione.
Se a ciò aggiungiamo la capacità di ripiegamento su se stesso in una minuta indagine psicologica
dei sentimenti che si alternano nell'estasi amorosa, capacità ancor più evidente in taluni sonetti del
suo non ampio Canzoniere, e l'accoglimento dell'istanza religiosa del tempo in un sapiente accordo
dell'amore terreno con quello divino, avremo un quadro completo della poesia del Guinizelli.
I rimatori fiorentini ne raccolsero la dottrina non senza operare su di essa un lungo processo di
ampliamento e di superamento.
Primo in ordine di tempo e figura assai complessa per la varietà dei motivi ispiratori della sua vita
e della sua poesia è Guido Cavalcanti (1258 circa-1300). Alla canzone guinizelliana "Al cor
gentil", tutta immagini e gentilezza, contrappose "Donna mi prega perch'io voglia dire", vero
trattato filosofico nel quale, per mezzo di continue definizioni, distinzioni, sillogismi, vuole
risolvere i numerosi problemi che nascono dall'amore, ma non in essa, benché abbia avuto fama
sproporzionata al suo valore artistico, è da ricercare il vero Cavalcanti: egli si distingue soprattutto
per la capacità di scrutare e di rappresentare drammaticamente il suo mondo interiore, anticipando
sotto certi aspetti la poesia petrarchesca quale storia delle infinite variazioni sentimentali dello
spirito umano.
L'esempio più ragguardevole è la nota ballata "Perch'io no spero di tornar giammai", in cui il
nostalgico rimpianto della patria lontana si fonde nel doloroso e patetico ricordo dell'amata ch'egli
dispera di rivedere: lo sbigottimento del poeta per la presentita e temuta morte immatura si tramuta
in una estatica contemplazione ed adorazione della donna, cui sono sconosciuti i confini di tempo:
Anima, e tu l'adora
sempre nel su' valore.
Questa ballata contrasta vivacemente con la briosa festosità di altre rime, volte tutte alla
celebrazione, oltre che della bellezza dell'amata, della giovinezza e della primavera. Qui per taluni
sta la migliore poesia del Cavalcanti, fatta di semplicità e delicatezza, come di melodia e di grazia.
Leggendo il sonetto "Chi è questa che vien, ch'ogn'om la mira", o la ballata "Fresca rosa novella",
o più ancora la nota pastorella "In un boschetto trovai pasturella" scorgiamo un Cavalcanti dotato
di grande spontaneità, capace di creare immagini indimenticabili.
Lodi significative furono rivolte da Dante e dal Petrarca a Cino da Pistoia (1270 circa-1337),
giurista insigne della nobile famiglia dei Sigibuldi. Poeta disuguale, fu autore di canti manierati ed
astrusi e di altri forti e concettosi, ma soprattutto fu poeta d'amore. In Selvaggia, la donna da lui
amata, Cino vede la bellezza femminile spoglia in gran parte della spiritualità stilnovistica: l'ama
nella pienezza degli affetti e riesce a rappresentare 2l'infinita gamma di sentimenti che gli si
agitano nell'animo alla sua vista, dalla gioia al tedio, dalla noia all'angoscia. Tuttavia l'intonazione
malinconica del verso, che scaturisce dall'alternanza della gioia e del dolore per la fierezza e
l'alterigia di Selvaggia o per l'esilio che lo priva della sua vista, se spesso risponde a reale
commozione dell'animo, a volte è ricercata come puro gioco letterario.
L'importanza storica della scuola del dolce stil novo sta nel fatto
− di aver creato una prima vera tradizione letteraria italiana, e
− di avere, accogliendo l'ideale siciliano di una lingua illustre, nobilitato e raffinato nel lessico e
nello stile il volgare toscano, quel volgare cioè destinato ad assumere, dopo la comparsa dei
grandi trecentisti, il ruolo di lingua nazionale." (De Bernardi-Lanza-Barbero, Letteratura
italiana, vol. I, pp 18-20).
Lettura I: IL MANIFESTO DEL DOLCE STIL NOVO:
AL COR GENTIL REPARA SEMPRE AMORE
"Ciò che costituisce l'essenza dello "stil novo", ciò che lo caratterizza di fronte alla lirica italiana
che l'ha preceduto, dal Notaro a Guittone a Bonaggiunta, è, come notò Dante, la spirazione
d'amore; che si comunica ancor viva e vibrante della sua interiore verità, attraverso la parola
strettamente aderente al movimento dell'animo...
La poesia non è più un vano stillarsi dell'intelletto in formule; non è più una mera finzione
letteraria. Essa si stringe alla realtà psicologica scaturisce dalla vita del sentimento individuale; ne
ascolta le parole e le trascrive, fermandole ancora col fremito col quale esse sono balzate s dal
profondo.
In tal senso la poesia del Guinizelli è quella che rompe una stanca tradizione letteraria e dà alla
lirica italiana un nuovo stile; non di colori retorici attinti alla consueta tavolozza, ma di franca
adesione alla schietta spirazione d'amore. La novità della sua celebre e celebrata canzone "Al cor
gentil" non è nel suo astratto contenuto dottrinale. E` vero, noi vi troviamo inscindibilmente strette
fra loro, per la prima volta, le teorie
− dell'amante naturalmente incline all'amore,
− dell'amore che giace in potenza in ogni cuor gentile,
− della vera gentilezza che è nobiltà morale,
− della donna che con la sua bellezza trae l'amore dalla potenza all'atto.
Sono le stesse teorie che hanno dato fondamento razionale alla concezione dell'amore cortese...
Ma il Guinizelli le rinnova tutte, entro la sua esperienza personale, col fervore di un pensiero che le
scruta e le analizza e cerca contemporaneamente di illuminarle con doviziosa compiacenza di
paragoni e di immagini.
Il valore della canzone sta nell'affermazione sentimentale degli ultimi versi: la quale conferisce
serietà e poetico entusiasmo al concetto che nelle varie stanze si svolge e si ragiona. Non vi si nega
il "vano amore" verso la donna; anzi lo si conferma dicendo che essa "tenea d'angel sembianza";
cioè fu un'illusione, ma illusione benefica per i mirabili effetti che nei cuori gentili esso produce...
Il Guinizelli coordina in sistema i concetti tradizionali che tendevano a conferire all'amore cortese
un valore assoluto di spiritualità. Egli muove dalla identificazione di amore e cor gentile per
specificare l'impulso naturale della volontà, che in un cuore nobile non può mirare che al bene.
L'amante cortese per la qualità del suo amore non può essere che virtuoso e puro. E` la formula
intorno alla quale si è aggirata la ispirazione lirica dei grandi trovatori. Il Guinizelli prosegue
paragonando la bella donna a Dio. "Come Dio nella sua giustizia fa beata l'Intelligenza che
mirando direttamente nella sua luce, lo serve, volgendo il cielo affidato alle sue cure; così la donna
dovrebbe fare veramente beato l'uomo gentile, che mirando nella sua bellezza le manifesta con lo
sguardo la volontà di obbedirla operando". Ma di tanto amore che idoleggia il suo oggetto e che
sarebbe, avverandosi, beatifico e beato, il poeta sente che dovrà renderne conto a Dio nel giorno
del giudizio e se ne scagiona dinanzi a lui:
Tenea d'angel sembianza
che fosse del tuo regno:
non mi fue fallo s'eo li posi amanza.
Ecco: l'amore che pullula dalle oscure sorgenti della vita si giustifica, o se si vuole, si scagiona,
soltanto quando è volontà buona di cuore gentile." (M. Casella, Il dolce stil novo, in Studi
danteschi, vol. XVIII, pp. 107 sgg.).
Lettura II: LE FONTI DEL DOLCE STIL NUOVO
"È certo che, nonostante la novità de' sentimenti e la nobiltà dell'espressione (onde i suoi poeti
s'innalzano sull'arte troppo più rozza ed inefficace degli altri rimatori), il dolce stil nuovo si
riattacca con stretti e robusti vincoli non pur alla letteratura del Dugento, ma a tutta la cultura
filosofica e religiosa del Medioevo; e non d'Italia soltanto. Centro del mondo poetico degli
stilnovisti, oggetto di discorsi e di discussioni, quando non di confessioni liriche, è, come ci
avverte ancor Dante, l'Amore. E questo Amore è, senza dubbio, un amore umano: non come altri
ha pensato, un simbolo soltanto, un'idealità, un'astrazione filosofica. Sennonché, per intender
appieno la ricchezza e la complessità dei fatti psicologici che al concetto d'amore si ricollegano
nella poesia degli stilnovisti, giova ricostruire, sia pure in sommario, nella sua formazione storica,
la varia e raffinata cultura che quella poesia presuppone.
Fin dagli inizi del Cristianesimo, e poi sempre più nel mondo medievale, i moti gli atti dello spirito
diventano oggetto d'uno studio analitico attento e sottile, che s'affatica a costruire classificazioni e
distinzioni, a stabilire riferimenti e somiglianze, ad esprimere insomma, con chiarezza almeno
apparentemente scientifica, le oscure, intricate e talora inesprimibili vicende della coscienza
individuale. Gli scolastici portano, in questa indagine difficile, il rigore logico e la passione
speculativa che son loro propri: ma i loro concetti, spogliati della veste sistematica originaria,
riaffiorano nelle opere medievali didattiche e poetiche, mescolati d'altronde a idee di derivazione
talora diversissima e trasportati anche a significare cose molto lontane da quelle che essi
primamente avevan dovuto esprimere.
− Le immagini e le formule della letteratura biblica e latina,
− le discussioni dei metafisici greci, arabi e scolastici,
− l'esperienza stessa varia e ricca degli uomini (cui la fede cristiana ha insegnato ed imposto una
più frequente e assidua attenzione ai fatti della coscienza), e massime degli uomini
-studiosi o letterati- dotati d'una maggiore sensibilità affettiva,
confluiscono a creare nel Medioevo quel patrimonio complesso ed eterogeneo di definizioni e di
divisioni, di paragoni e di riferimenti, quella scienza psicologica insomma, la quale poi non rimane
ristretta a' dotti, bensì diventa a poco a poco, sia pure in modo inconsapevole e non senza
confusione, bene pubblico; e già a' tempi di Dante era largamente diffusa, anche in ambiente di non
altissima cultura.
Questo lavoro di indagine psicologica, portato ne' terreni più diversi e lontani, acquista un più
singolare rilievo e diviene oggetto d'una curiosità pi estesa e varia quando s'attacca a studiare e
definire la passione d'amore... La casistica delle vicende erotiche viene regolata con precisione
dottrinaria...; s'intuisce la fondamentale identità del sentimento d'amore in tutti i suoi gradi e
s'istituiscono rapporti, più o meno consapevoli, fra la passione umana e terrena e la charitas rivolta
a Dio... I documenti di questa storia intricata e varia del concetto d'amore nel Medioevo voglion
essere ricercati in molti e diversi campi:
− nelle summae degli scolastici...;
− ne' mistici della scuola vittoriana e francescana...;
− nella lirica religiosa...;
− ne' trattati d'Amore...;
− nella letteratura, francese e provenzale, siciliana e toscana...;
A tutta questa varia e vasta letteratura psicologica, che qui s'è tentato di descrivere in modo rapido
e sommario, vuol esser ricollegato lo "stil nuovo": e l'Amore, di cui Dante parla nel passo così
famoso del Purgatorio, e dietro la dettatura del quale "sen vanno strette" le penne de' giovani
rimatori, vien ad esser dunque, così illuminato, quasi una sintesi di tutta la vita multiforme e
segreta della coscienza." (N. Sapegno, Il Trecento, Milano, 1955, II ed., pp. 13-14 passim).
Lettura III: L'EREDITÀ SICULO-PROVENZALE
NEL MOVIMENTO STILNOVISTA
"La poesia siciliana offre il modello ai poeti toscani -lucchesi, pisani, aretini- del `200, che
precorrono e preparano l'opera dei grandi fiorentini; e non occorre qui farne parola.
Non ai "siciliani", ma direttamente ai trovatori provenzali si rifà colui che della letteratura del
secondo Duecento, prima del trionfo fiorentino, appare il dittatore: Guittone d'Arezzo, che dei
trovatori si mostra conoscitore espertissimo e profondo e imitatore fedelissimo.
Dei provenzali imita Guittone specialmente il "trobar clus", cioè la maniera difficile, l'espressione
ermetica sottilmente elaborata, costruita con sapiente artificio, intessuta di rime equivoche, di
forme oscure, lambiccate, contorte. provenzalismi in gran copia, accanto ai copiosi latinismi e
idiotismi, trovan posto nell'ibrida lingua poetica guittoniana.
Direttamente ai provenzali si rifanno anche alcuni verseggiatori dell'Italia Superiore, indipendenti
dalla tradizione letteraria che muove dalla Magna Curia Gerardo Patecchio e Ugo de Persico
autore di alcune Noie (componimenti didattici e satirici, in cui si elencano le cose che rendono
fastidiosa la vita), che imitano evidentemente quelle del Monaco di Montaldone.
E la tradizione provenzaleggiante si continua anche in quei movimenti letterari del Duecento che
pure appaiono un'insurrezione contro il gelido accademismo della tradizione "siciliana": intendo il
movimento "stilnovista" e il suo preludio guinizelliano; che rappresentano, senza dubbio, un
atteggiamento nuovo del gusto, ma nei quali, ad ogni modo,
- sia per quanto riguarda i moduli tecnici,
- sia per quanto riguarda i temi poetici,
l'eredità siculo provenzale appare evidente.
La novità d'indirizzo, di atteggiamento, di esigenze della scuola poetica cui appartiene, Dante,
com'è noto, afferma solennemente nelle parole che pone in bocca a Bonagiunta da Lucca nel XXIV
del Purgatorio; ed è novità, essenzialmente, di stile e di tono (dolce stil novo; rime dolci e
leggiadre dir poi in altro luogo; e dolcezza e leggiadria sono, appunto, le note che riguardan lo stile
e il tono della nuova poesia), per cui la poesia sua e dei suoi compagni d'arte e del maestro di tutti,
il primo Guido, si contrappone nettamente così a quella della prima scuola, come a quella di
Guittone. Parla Dante, appunto, di un nodo che ritiene la poesia di Jacopo da Lentini, di
Bonagiunta, di Guittone di qua dal novo stile.
La novità è, specialmente, nella compiacenza per i toni delicati e vaghi, di incantevole trasparenza
e levità: dipende cioè, insistiamo, da nuovi atteggiamenti del gusto; che si riflettono nella creazione
di una lingua poetica che certo profondamente innova la lingua tradizionale, ma conserva, tuttavia,
elementi importanti di essa.
La vecchia critica riteneva che lo stil novo avesse fatto luogo anche a un rinnovamento della
materia poetica; all'introduzione, nella poesia, di un contenuto filosofico-teologico-mistico,
suggerito dall'ambiente scolastico italiano ed estraneo alla tradizione cortese.
Una nozione nuova, veramente, della donna e dell'amore, si rifletterebbe nella poesia stilnovista: la
nozione della donna-angelo, che guida l'amante all'attingimento del supremo bene: e dell'amore
come slancio d'elevazione alla perfezione prima. Gentile miracolo, la donna: segno di virtù e di
purezza; e il suo assenso dà beatitudine e la sua presenza esclude e allontana ogni malo pensiero e
per lei entra nel cuore dell'amante un bisogno infinito di purità; un anelare ansioso alla virtù.
Ora, questa nozione filosofico-mistica dell'amore -e, occorre notare, il contenuto dottrinale di essa
è molto più modesto di quanto non ritenesse la vecchia critica: salvo, forse, nella canzone
cavalcantiana "Donna mi prega"- non è conferita alla scuola stilnovista dalla speculazione
filosofica italiana del XIII secolo; ma deriva anch'essa dalla tradizione trobadorica che fa capo al
Montanhagol: di cui abbiamo riconosciuti i riflessi nella poesia d'amore di due trovatori italiani, il
Cigala e Sordello.
Se già presso i trovatori classici l'amore per la donna è posto come causa e fonte d'elevazione
morale, nel Montanhagol e nei suoi seguaci è proprio sentito come tramite all'amore celeste, come
via sicura alla virtù, come scala mistica che conduce alla santità.
Ed è proprio Guglielmo di Montanhagol (+1258) quegli che trova la formula nuova amore è fonte
di castità. L'amore che il Montanhagol celebra è remoto da ogni umana passione ed esclude nel
modo più assoluto l'accensione dei sensi. E` un amore che non comporta attentati alla purezza,
nemmeno nel segreto pensiero, né minaccia l'onore della dama, di cui, anzi, l'amante perfetto è
custode vigile e sincero: "Io mi son dato a voi senza turpi pensieri, con amore leale, per vegliare
sul vostro onore... Amore non è peccato, anzi virtù, che rende buoni i malvagi e migliori i buoni.
Da amore nasce castità: perché non può male agire chi pone in esso i suoi pensieri..."
Le formule e i motivi stessi, come ognuno vede, che si trovano con svolgimenti nuovi e con nuovo
gusto atteggiati nella poesia del Guinizelli e del cenacolo cavalcantiano.
Per quanto riguarda la materia, dunque, anche la poesia stilnovista si rilega alla tradizione
trobadorica; o, meglio, ai moduli offerti dagli ultimi trovatori." (A. Viscardi, La poesia trobadorica
e l'Italia, in Letterature comparate, Marzorati, 1948).
Lettura IV: LE VARIE INTERPRETAZIONI CRITICHE
DEL "DOLCE STIL NUOVO"
"Non è il caso, è vero, di essere troppo semplicisti. Una frase simile enunciata adesso, dando alle
parole il valore corrente di oggi, sarebbe evidente fin quasi alla banalità: Io noto quel che mi ispira
Amore e scrivo com'egli mi detta. Una professione, cioè, di sincerità poetica, fatta nei termini più
consueti. Ma in Dante codesta professione assumeva un significato più complesso E il fine
polemico di essa poteva implicare qualche intenzione più riposta? Qui entrano in campo le varie
interpretazioni del "dolce stil nuovo", accumulatesi nelle pagine dei critici disputanti.
Ripetiamo la definizione del Flora: "una scuola creata dai posteri". E della scuola i posteri ci
offrono non una, ma parecchie interpretazioni.
− C'è chi l'ha ricondotta a un movimento filosofico, in cui la teoria dell'amore ideale dei
Provenzali si univa ai principi della scolastica, saldandosi nell'allegoria;
− e c'è chi ha portato la questione su diverso terreno, riconoscendo nello "stil nuovo"
l'affermazione di una libera creazione italiana sostituita all'imitazione provenzale: al che si è
risposto dimostrando che tutta le premesse dottrinali e teoriche della scuola erano già
nell'ultima poesia di Provenza.
− Il Rossi sostenne che i caratteri della scuola vanno ricercati soprattutto nello stile, inteso non
nel significato retorico ma"come espressione fedele e diretta degli stati d'animo, lucidamente
intuiti dalla fantasia, dolce espressione dei dolci stati, aspra degli aspri, grave dei gravi,
turbinosa e sconvolta dei turbinosi e sconvolti": opinione che piacque al Parodi e ad altri.
− Più di recente il Sapegno propose d'intendere il "dolce stil nuovo" come il fissarsi di un gusto,
per opera di alcune menti interessate ai problemi della poesia, con passione creativa e
coscienza critica: erano menti innovatrici nel senso di un approfondimento dell'analisi
psicologica, e perciò credevano di possedere più intimamente la realtà della vita amorosa e in
genere psicologica, e di saperne dare una rappresentazione più adeguata.
− Si accosta a lui il Figurelli, per il quale la scuola non può essere ridotta a un principio unico,
seguito da tutti i poeti, perché l'unico punto d'incontro di essi è il carattere spirituale e il valore
etico dell'amore, ma diversamente sentito esso pure ed espresso piuttosto teoricamente che non
poeticamente come esperienza sentimentale.
− Sennonché il compianto Gerolamo Lazzeri, arrivato a questo punto del suo riassunto, di cui mi
sono servito, e prima di elencare altre decine di scritti sull'argomento, in una di quelle dotte e
preziose note con cui ha accompagnato la sua edizione della "Storia della letteratura italiana"
del De Sanctis, osserva:
"Tutte queste definizioni o non definizioni, in sede critica non servono a molto, perché quello che
conta è esclusivamente la personalità artistica dei singoli poeti: la loro poesia, non le loro teorie.
Sicché accade che quanti si sono occupati del dolce stil nuovo abbiano tutti, per quanto sia diverso
il loro punto di vista, un minimo di ragione, perché lo stil novo, come tutti i movimenti di coltura,
ha molteplici aspetti, filosofici, etici, psicologici, formali.
La novità, infine, dello stil novo non può essere a parer nostro costituita se non da qualità formali,
di limpidezza, di levità, di purezza d'espressione, che fece apparir subito, esternamente, le rime di
questi poeti assai diverse da quelle involute e ancor semibarbare de' loro predecessori. Non la
materia, il contenuto, era nuovo, ché questo non era che sviluppo di un già preesistente contenuto;
ma l'accento".
Anche il Lazzeri, dunque, parla di un movimento di cultura, a cui sono da riferire gli elementi
filosofici, etici, psicologici, formali; ma formali, io penso, in quanto costituiscono appunto un
formalismo, una ricetta, in quanto cioè riflettono la parte intellettuale della forma stilnovistica, cioè
la parte impersonale, uniforme, estranea all'arte, perché la forma artistica sarà una sola cosa con
l'arte dei singoli poeti. Vi è insomma una poetica e vi è una poesia. E come in tutti i movimenti
aristocratici raffinati, la poetica nel "dolce stil nuovo" ha grande parte, tanto da invadere e
corrompere qua e là la poesia. Per fortuna chi è veramente poeta spezza d'istinto gli schemi della
poetica, e canta: canta appunto al modo che Amore gli detta dentro.
Certo la novità del dolce stile non era nella teoria dell'amore. L'amore aveva già nel Medioevo,
come tema filosofico e religioso e come tema poetico, una storia complessa. Ne aveva una anche
più lunga, s'intende, che risaliva ai primordi della poesia umana: ma si vuol dire che il Medioevo vi
aveva lavorato attorno con sottigliezza analitica, esplorandone gli aspetti morali, religiosi,
edificanti, tentando di tracciare una linea su cui l'amore per la creatura potesse incontrarsi con
l'amore per il Creatore, e l'amore per la creatura femminile, la donna, col culto della Vergine.
La lirica provenzale, nel fiore della sua produzione, aveva piegato l'amore a un senso feudale,
inventando il concetto di "servire" la donna amata, e immaginando questa come una sovrana altera
per cui era dolce umiliarsi, ardere e soffrire. E la donna era maritata, ma il marito non doveva esser
geloso. Sennonché sotto questa innocenza si nascondeva un sentimento ambiguo, e soprattutto
questo amore innocente poteva rimanere una pura finzione letteraria una consuetudine verbale e
immaginativa, un'accademia insomma e un artificio, fuori dei quali rimanevano libere, ed escluse
dal mondo dell'arte, le forme brutali della passione che non volevano confessare. Tutto l'idealismo
nella pagina, tutto il realismo nella vita: situazione che è ammissibile in un poeta (e la storia
letteraria ce ne offre non pochi esempi), ma non è ammissibile in un'intera scuola poetica, senza
che si pensi a una grande fiera dell'ipocrisia: dell'ipocrisia morale e artistica insieme.
Dalla Provenza questo modo di concepire e di poetare passò in Sicilia, serbando su per giù gli
stessi atteggiamenti, e perfino un eguale repertorio d'immagini: e s'intende che eccezioni, voci più
schiette e persuasive non mancarono né in Provenza né in Italia. In Provenza anzi l'ultima
generazione dei trovatori, vissuta nella seconda metà del secolo XIII, aveva espresso un idealismo
più sincero, meno formalistico, specie con Guilhem Montanagol e col Cigala.
La donna per costoro dev'essere amata con gentilezza di cuore, e non importa se l'amante non è
nobile per sangue, giacché la nobiltà nasce appunto da quella gentilezza intima e dalle altre virtù
che s'accompagnano ad essa.
Era non solo un modo di rinfrescare l'ispirazione della poesia, ma anche, e soprattutto, di spezzare
in un punto il cerchio che imprigionava la poesia in un sortilegio di convenzionalismi concettuali e
formali. Naturalmente il cerchio si spezzava nel punto di minore resistenza: in quel punto del
privilegio feudale, che pretendeva di monopolizzare non solo le ricchezze materiali ma anche la
superiorità… spirituale, per effetto del sangue nobile, e che era stato ormai smantellato dalla
scolastica, specialmente da Alberto Magno. Spezzato il cerchio, si poté aprire il varco a una
corrente di poesia nuova, non più obbediente agli schemi inerti tramandati di terra in terra e di
scuola in scuola, ma animata da movenze più libere e spontanee, da una vera libertà interiore.
Che su codeste conquiste del "dolce stil nuovo" influisse appunto l'ultima poesia provenzale (che in
Sicilia non giunse a tempo a diffondersi), attraverso poeti minori di transizione, come i toscani
Monte Andrea e Chiaro Davanzati, è opinione del Sapegno e di altri: può darsi (ma non sappiamo
neppure quando il Davanzati morisse, e cioè finisse di poetare). Io preferisco pensare col Bertoni
che la somiglianza delle condizioni intellettuali e spirituali abbia prodotto, in Provenza e in Italia,
effetti analoghi. Aggiungerei per l'Italia, o meglio per la Toscana, le condizioni sociali.
Il nostro "dolce stil nuovo" fu un movimento essenzialmente borghese, e la borghesia fiorentina
rappresentava ormai tale forza sociale, da ripudiare per sempre gli accaparramenti della società
feudale. D'altra parte aveva tali numeri, la borghesia fiorentina, da considerarsi eguale a
un'aristocrazia: aristocrazia, per gli uomini di governo e di affari, del denaro e dell'intraprendenza
produttiva: aristocrazia, per la gente di studio, dell'ingegno, della dottrina, della gentilezza d'animo.
Perciò i rimatori del "dolce stil nuovo", giunti al possesso di una cultura profonda e di un gusto
raffinato, furono tratti a considerarsi i depositari della vera poesia, conquistata attraverso
un'elaborazione sottile, attraverso analisi difficili e complesse: si sentirono investiti di un verbo
privilegiato, accessibile soltanto agli iniziati. Modularono i loro canti in un'atmosfera rarefatta,
lontana dalle ventate indiscrete della vita di tutti: crearono una specie di confraternita di poeti,
accomunati da un rito medesimo, assuefatti alle stesse estasi e contemplazioni, cullati dalle stesse
musiche: e questo modo di poetare fu anche il loro modo di celebrare l'amore. Se tutto questo ebbe
un giorno da Dante la definizione di "stile", è perché in questa iniziazione e, diciamo pure,
convenzione comune la vocazione di uno stile era ovvia, dal momento che stile è anche regola e
limite. E se i poeti di questa scuola guardarono con dispregio a Guittone e ai suoi seguaci, era
perché quei rimatori mancavano appunto di un programma di stile nobile e comune (se mai,
Guittone rivelava nei momenti di grazia una personalità interessante, ma la affermava fuori di un
gusto vigilato e riconosciuto, e per esempio in materia di lingua faceva d'ogni erba un fascio: due
ragioni per riuscire sospetto ai suoi successori e antagonisti), e potevano apparire a Dante e ai suoi
compagni rozzi dilettanti. Piuttosto si offriva al loro interessamento la poesia siciliana, chiusa
anch'essa in un chiaro limite di scuola, attività anch'essa riservata agli adepti e regolata da principi
e sorretta da forme convenute. Aggiungiamo che l'idealizzazione cavalleresca della donna non
poteva andare perduta: e a trarne partito, sia pure per adattarla a concezioni nuove, bisognava
risentire in sé la poesia siciliana.
S'è detto questo non con l'intenzione di mettere avanti, neppure in apparenza, un'ennesima e inutile
interpretazione del "dolce stil nuovo" da aggiungere alle troppe acquisite alla storia dell'erudizione
letteraria, ma soltanto per concludere che la stilizzazione delle forme poetiche non può portare alla
poesia se non quando irrompa, a dominarla o ad assorbirla o anche a scompigliarla, quell'altro stile
che è tutt'uno con la personalità del poeta, e che viene dalla vita: e la vita di uno spirito di poeta sta
nel sentimento. Il sentimento aveva salvato dall'aridità accademica, in qualche momento felice,
qualche poeta della scuola siciliana: il sentimento animò la poesia migliore del "dolce stil nuovo".
Credevano, quei "dicitori per rima", di rendere onore alla novità dei loro concetti, affinati e
meditati a lungo: la donna angelo, scesa "di cielo in terra a miracol mostrare", la gentilezza del
cuore condizione dell'amore, l'amore via e viatico alla perfezione e alla salute spirituale: e invece
questi concetti erano già noti ai rimatori precedenti. Quella che assaporavano e di cui si
compiacevano era la nuova espressione che quei concetti avevano assunto sotto il segno pacato e
vigilato della loro penna: un'espressione superiore a cui avevano sì cooperato il gusto educatissimo
e l'obbedienza a certe esigenze di scrittura, ma più il sentimento individuale che animava e
rinnovava, volta per volta, quel gusto e quegli schemi.
Concludendo, il "dolce stil nuovo" si afferma come poesia ogni volta che, nel conflitto fra la
convenzione e l'ispirazione, vince questa. E quanto al rivendicare al Guinizelli o a Dante la
paternità della scuola, è chiaro che ad avviare una convenzione bastava anche l'arte non grande del
Guinizelli, ma Dante di fronte a lui è quello che alla scuola conquista, né più né meno, la grande
poesia: e la grande poesia come tale può fare scuola anch'essa, ma in tutt'altro significato" (A.
Pompeati, Storia della letteratura italiana, vol. I, pp. 323-327).
A cura di Amato Maria Bernabei
www.dettaglitv.com

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