L`elezione diretta del Capo dello Stato nella V Repubblica

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L`elezione diretta del Capo dello Stato nella V Repubblica
L’elezione diretta del Capo dello Stato
nella V Repubblica vista dall’Italia nel tempo
Salvatore Bonfiglio
SOMMARIO: 1. Gli anni Ottanta. – 2. La Commissione bicamerale D’Alema. – 3. Le
presidentialisme absolu.
1.
Gli anni Ottanta.
Il tema della possibile adozione in Italia della forma di governo
della V Repubblica francese ha avuto una rilevanza nel dibattito politico a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso; invece, la dottrina costituzionalistica – perlopiù molto scettica sulla possibile importazione del “modello” francese – ha avuto sempre una particolare
attenzione per lo studio della Costituzione del ’58. Del resto, ancora
una volta, l’interesse della dottrina italiana conferma una lunga tradizione di studi miranti ad approfondire gli sviluppi delle istituzioni
politiche francesi e la loro influenza, in alcune fasi storiche, sulla evoluzione delle istituzioni politiche italiane, a cominciare dallo Statuto
albertino1.
Negli anni Ottanta l’attenzione per la forma di governo francese
fu indotta, in alcuni casi, dalla ricerca di nuovi equilibri politici tra i
due partiti della sinistra storica (P.S.I. e P.C.I.)2. Soprattutto dopo il
1 Dopo la sua entrata in vigore, furono condotti alcuni significativi studi comparativi tra le norme dello Statuto e le sue attinenze con le altre Costituzioni, in particolare con quelle francesi. Si vedano: F.P. CONTUZZI, Lo Statuto italiano e le sue attinenze
con le Costituzioni straniere vigenti, in Il Filangieri, 1888, I e II; L. GARELLO, Lo Statuto
fondamentale del Regno - 4 marzo 1848 - Trattazione comparata con le principali Costituzioni vigenti, con note di dottrina e di giurisprudenza, Roux Fossati, Torino, 1898.
2 Già nell’aprile del 1981 a Palermo, al XLII Congresso del PSI, venne approvata
la proposta di Craxi di modifica dello statuto del partito, per cambiare la modalità di
scelta del segretario fino ad allora eletto dalla direzione. Per la prima volta nella storia
del partito socialista fu eletto il segretario direttamente dai delegati. Da questa elezione
emerge una forte personalizzazione della politica e la trasformazione del PSI in uno
strumento del leader, in un vero e proprio partito personale. È qui interessante evidenziare che nel suo discorso al Congresso di Palermo Craxi rilancia l’idea di una grande
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successo di Mitterrand, eletto alla presidenza della Repubblica francese, il leader del P.S.I., Bettino Craxi, ritenne possibile e utile l’elezione a suffragio universale diretto del Capo dello Stato, per ribaltare
i rapporti di forza tra i due principali partiti della sinistra italiana.
Tale strategia politico-costituzionale si manifestava in linea con
un cambiamento delle alleanze politiche e dei rapporti tra maggioranza e opposizione. Questo cambiamento segnava sul piano istituzionale la fine della cosiddetta centralità del Parlamento caratterizzante gli anni Settanta.
Tale orientamento a favore del “modello” francese risultò subito
minoritario, perché avrebbe messo in discussione non soltanto la
forma di governo ma anche il sistema elettorale. È noto, infatti,
quanto siano importanti per il funzionamento della forma di governo
della V Repubblica i sistemi elettorali adottati per l’elezione della Assemblea nazionale e per l’elezione del Capo dello Stato dopo il 1962,
i quali non hanno comunque potuto evitare in passato il fenomeno
delle coabitazioni, prima dell’introduzione del quinquennat e dell’inversion du calendrier électoral. Già nel 1970 nella voce Governo
(forme di) dell’Enciclopedia del diritto, Leopoldo Elia, nel sottolineare
l’importanza del doppio turno per il funzionamento delle istituzioni
della V Repubblica, aveva previsto la possibilità delle coabitazioni e
riteneva utile la riduzione della durata del mandato presidenziale3.
Nel corso del dibattito politico in Italia negli anni Ottanta fu
dunque respinta dalla maggior parte delle forze politiche la proposta
socialista, ma su alcuni temi si registrò un’ampia convergenza, ad
esempio sul problema della attuazione dell’art. 95 u.c. della Costituzione.
Con l’istituzione nel 1983 della Commissione bicamerale presieduta da Bozzi prese finalmente corpo l’aspirazione a riformare le istituzioni – nel quadro di un rafforzamento del ruolo del Presidente del
Consiglio e di una parlamentarizzazione delle crisi ministeriali – ma i
lavori di tale Commissione non approdarono ad un utile risultato.
riforma delle istituzioni, già proposta sull’Avanti! il 27 settembre 1979. Vi era, dunque,
una perfetta combinazione tra la scelta statutaria a favore di una “democrazia interna”
di tipo “immediato” e “plebiscitario”, da un lato, e la strategia politico-costituzionale,
dall’altro, che aveva come suo elemento caratterizzante l’elezione a suffragio universale
diretto del Presidente della Repubblica sul “modello” francese della V Repubblica.
3 L. ELIA, Forme di governo, estratto da Enciclopedia del diritto, vol. XIX, 1970,
Milano, Giuffrè, ristampa del 1985, p. 38 ss.
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Tuttavia, sul finire degli anni Ottanta fu approvata, com’è noto,
la legge 400/1988 che ha dato finalmente attuazione all’art. 95 u.c.
della Costituzione. Così, attraverso l’istituzione del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio si cercò di potenziare gli apparati serventi per rendere effettivo quel ruolo di direzione e coordinamento spettanti al Presidente del Consiglio. Sempre nel 1988 vennero approvate alcune significative modifiche dei regolamenti
parlamentari, per rafforzare l’azione del Governo sia attraverso l’introduzione della ‘corsia preferenziale’ per le iniziative legislative governative sia con l’utilizzazione dello scrutinio palese – per assoggettare i partiti di maggioranza alla volontà del Governo – con alcune
significative eccezioni.
Anche la seconda Commissione bicamerale, istituita all’inizio
della XI legislatura e presieduta prima da De Mita e poi dalla Iotti,
propose un progetto che, per quanto riguardava la forma di governo,
sembrava prospettare l’adozione di una forma attenuata del cancellierato, proponendo nuove regole sulla cosiddetta sfiducia costruttiva e sul procedimento di formazione del governo, con l’elezione a
maggioranza assoluta del Parlamento della nuova figura del Primo
Ministro. Che si trattasse di una forma attenuata di cancellierato risulta chiaro, perché non era previsto lo scioglimento anticipato parlamentare da parte del Primo Ministro nel caso fosse stata respinta
una sua questione di fiducia. Era stato sottratto, dunque, al Governo
il potere di scioglimento anticipato, che secondo l’art. 68 della L.F.
spetta al Cancelliere qualora il Bundestag respinga una sua questione
di fiducia. Non fu tanto a causa della sua debolezza progettuale che
fallì anche la seconda Commissione bicamerale, quanto per l’evidente incapacità da parte delle forze parlamentari di introdurre in
modo contrattato, come ai tempi della Costituente, forti elementi di
innovazione istituzionale.
2.
La Commissione bicamerale D’Alema.
Un ulteriore tentativo di riforma4 fu fatto con la istituzione della
Commissione bicamerale, legge cost. 24 gennaio 1997, n. 1, presie4 Occorre
ricordare che tra le due Bicamerali vi fu l’incarico all’on. Maccanico per
la formazione di un «governo delle riforme» che promuovesse l’adattamento all’Italia
della forma di governo semipresidenziale nella versione francese.
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duta da Massimo D’Alema5. Interessa qui ricordare che la suddetta
Commissione si orientò, nella sua proposta finale trasmessa alle Camere, verso un modello di semipresidenzialismo subito battezzato
“semipresidenzialismo all’italiana”, proprio per evidenziarne meglio
la distanza dal modello francese. Che si trattasse di un modello originale di semipresidenzialismo non vi sono dubbi, così come non vi
è alcun dubbio che questa scelta fosse pienamente consapevole,
come emerge dalla relazione di Cesare Salvi sulla forma di governo6.
La sua originalità, tuttavia, non riesce a mascherare alcune incertezze
e contraddizioni evidenti7.
Mentre il sistema francese, com’è noto, prevede non soltanto
a) l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, ma anche b) un
esecutivo “a due teste” e c) un potere di scioglimento anticipato formalmente e sostanzialmente presidenziale, nel progetto di revisione
costituzionale, invece, era chiaro soltanto che il Capo dello Stato sarebbe stato eletto a suffragio universale diretto, con l’effetto di determinare, quindi, la sua politicizzazione, in contrasto con il ruolo di
garanzia costituzionale che, invece, gli conferisce la Costituzione. Era
previsto che il Presidente della Repubblica non facesse parte del Governo «composto del Primo Ministro e dei ministri». Non si prospettava, dunque, alcun esecutivo “bicefalo”. Né è possibile soste5 V.
ATRIPALDI, R. BIFULCO (a cura di), La Commissione parlamentare per le riforme
costituzionali della XIII legislatura. Cronaca dei lavori e analisi dei risultati, Torino, Giappichelli, 1998; P. COSTANZO et al. (a cura di), La Commissione Bicamerale per le riforme
costituzionali. I progetti, i lavori, i testi approvati, Padova, Cedam, 1998; G. AZZARITI, M.
VOLPI, La riforma interrotta. Riflessioni sul progetto di revisione costituzionale della Commissione Bicamerale, Perugia, Pliniana, 1999.
6 La citazione della relazione sulla forma di governo del senatore Cesare Salvi e le
altre citazioni degli articoli del progetto che seguiranno sono tratte dall’ampia documentazione contenuta nel numero 1/1997 della rivista Nomos interamente dedicato ai
lavori della Commissione bicamerale per riforme costituzionali.
7 F. LANCHESTER, L’innovazione costituzionale e i lavori della Commissione bicamerale, in Nomos, 1997, n. 1, pp. 7-14 e nello stesso fascicolo S. CECCANTI, Forma di governo e Commissione bicamerale: gli itinerari incerti delle riforme, pp. 31-42. Inoltre, P.
Piciacchia, Dal dibattito sulle riforme all’istituzione della Commissione Bicamerale. Interrogativi e prospettive, in Il Politico, 1997, p. 87 ss.; S. GAMBINO, G. MOSCHELLA, La forma
di governo nel progetto di riforma costituzionale: dal ‘parlamentarismo razionalizzato’ al
‘semipresidenzialismo irrazionale’, La riforma della Costituzione nelle prospettive della
Commissione bicamerale per le riforme costituzionali della XIII Legislatura, a cura di
S. Gambino, Roma, Philos, 1998, pp. 25-43.
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nere che vi fosse una qualche forma di bicefalismo legata al fatto che
il Presidente della Repubblica era chiamato a presiedere il Consiglio
supremo per la politica estera e la difesa. Infatti, non essendo indicate le attribuzioni di tale Consiglio si sarebbe potuto pensare ad un
organo simile al già esistente Consiglio supremo di difesa, organo
consultivo e i cui orientamenti sono vincolanti soltanto se fatti propri
dal Consiglio dei ministri. Inoltre, per quanto riguarda l’attribuzione
al Capo dello Stato del comando delle Forze armate non vi era alcun
dubbio sulla natura meramente formale di tale comando.
Più complessa è la riflessione sul ruolo del Primo Ministro e sui
meccanismi di razionalizzazione del rapporto fiduciario fra Parlamento e Governo concepiti dal progetto della terza Bicamerale, al
fine di garantire maggiore stabilità all’esecutivo. Si prevedeva che il
Primo Ministro, sempre di nomina presidenziale, venisse scelto “tenendo conto” dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati.
Su questa formula è utile soffermarsi per evidenziare alcune novità e
ambiguità. La novità è l’esclusione del Senato dal rapporto fiduciario
con il Governo, soluzione ancora oggi auspicabile per mettere fine al
bicameralismo perfetto. Le ambiguità sono legate all’espressione “tenendo conto di”, in quanto questa avrebbe potuto assumere un significato o un altro in base al sistema elettorale adottato.
Come nella V Repubblica francese e diversamente da quanto
stabilito oggi dalla Costituzione italiana, il progetto immaginava una
presunzione di fiducia parlamentare nei confronti del Governo, il
quale si sarebbe dovuto limitare all’esposizione del proprio programma di fronte alle Camere, salva la possibilità di un quinto dei
componenti della Camera dei deputati di presentare, entro ventiquattro ore dall’esposizione delle dichiarazioni programmatiche, una
mozione di fiducia che si prevedeva venisse approvata a maggioranza
assoluta. La previsione di tale maggioranza doveva costituire un elemento di razionalizzazione in funzione della esigenza di una maggiore stabilità del governo in carica. Tuttavia, la stabilità governativa
così intesa rischia di essere fine a se stessa in presenza di un governo
di minoranza che non riesce a governare. Il progetto non soltanto
non prevedeva la sfiducia costruttiva ma, inoltre, non escludeva la
formazione o il perdurare in carica di un governo di minoranza, assistito, come si è detto, dalla presunzione di fiducia. Del resto, il perdurare in carica di un governo di minoranza sarebbe stato favorito
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da un rafforzamento della potestà normativa del Governo. Il progetto della Bicamerale attribuiva al Governo la disciplina con regolamenti dell’organizzazione dell’amministrazione statale, nonché la
possibilità di adottare regolamenti nei limiti in cui la disciplina non
fosse stata stabilita con legge, nelle materie di competenza statale
non riservate dalla Costituzione alla legge. Tale disposizione del progetto, che somigliava in qualche misura a quella contenuta nell’art.
37 della Costituzione francese della V Repubblica, anche se non altrettanto chiara, sembrava affermare, in ultima analisi, una potestà
regolamentare generale del Governo nelle materie non espressamente riservate alla legge. A differenza della Costituzione francese8
mancava, però, nel progetto della Bicamerale una chiara definizione
delle materie riservate alla legge statale o regionale.
Molto significativa era anche la disciplina dello scioglimento
prevista dal progetto. Il fatto che in esso venisse esclusa la controfirma ministeriale per l’atto di scioglimento presidenziale delle Camere, oltre che per altri atti, potrebbe far pensare ad un potere di
scioglimento del tutto simile a quello attribuito al Presidente della
Repubblica dalla Costituzione francese del 1958. In realtà dalla lettura combinata degli artt. 73 e 76 del progetto emergono alcuni limiti al potere del Presidente della Repubblica di indire le elezioni
della Camera dei deputati, art. 73, prima del termine ordinario, «nel
caso di dimissioni del Governo ai sensi dell’art. 76». Secondo quanto
previsto da quest’ultimo: «il Primo Ministro presenta le dimissioni
del Governo al Presidente della Repubblica nei seguenti casi: a) elezione dei deputati; b) mancata approvazione, da parte della Camera
dei deputati, della fiducia chiesta dal Governo; c) approvazione della
mozione di sfiducia cui al terzo comma. Il Primo ministro presenta
altresì le dimissioni del Governo all’atto dell’assunzione delle funzioni da parte del Presidente della Repubblica. Comportano dimissioni del Governo le dimissioni o la morte del Primo ministro ovvero
il suo impedimento permanente, accertato dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica».
Nel complesso sembrava delinearsi nel progetto della terza Bicamerale, una disciplina dell’istituto dello scioglimento abbastanza
8 L. PEGORARO, Il governo in parlamento. L’esperienza della V Repubblica, Padova,
Cedam, 1983.
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coerente con un sistema parlamentare razionalizzato, tranne che nel
caso in cui si prevedevano le dimissioni del Governo all’atto dell’assunzione delle funzioni da parte del Presidente della Repubblica.
Proprio su questo punto Elia evidenziò la seguente contraddizione:
non avendo il Presidente della Repubblica poteri di governo, ma soltanto di garanzia, non avrebbe avuto alcun senso, secondo l’autore,
obbligare il Primo ministro in carica a dimettersi al momento della
elezione di un nuovo Capo dello Stato9. D’altronde quest’ultimo, pur
non avendo poteri di governo, avrebbe potuto sciogliere la Camera
quando in essa vi fosse stata una maggioranza diversa da quella determinante la sua elezione. Il Presidente della Repubblica sarebbe
stato indotto, quindi, ad agire non al fine di garantire la funzionalità
del sistema10, ma per scopi di parte, causando instabilità governativa
e potenziali conflitti politico-istituzionali. Si sarebbe potuto verificare così pure uno scioglimento contro la maggioranza parlamentare,
come più volte è avvenuto nella V Repubblica, anche per evitare la
esperienza delle cohabitations.
9 In
uno dei suoi ultimi scritti Leopoldo Elia ricorda che, nel corso di una riunione
informale della Commissione bicamerale, non riuscì «a convincere il Presidente D’Alema
che prevedere le dimissioni obbligatorie del primo ministro in carica all’atto dell’assunzione delle funzioni da parte del Presidente della Repubblica neoeletto, con la possibilità
per quest’ultimo di nominare un altro primo ministro ed eventualmente di sciogliere la
Camera ritenuta con maggioranza disomogenea rispetto all’indirizzo politico presidenziale, rendeva certa la scelta di un Presidente-leader di una sua maggioranza parlamentare. Insomma l’elezione del Presidente non poteva circoscriversi alla individuazione di
un garante, ma, al contrario, presupponeva che il neoeletto fosse portatore di un proprio
indirizzo politico, a seconda dei casi accettabile o no dalla maggioranza preesistente»
(L. ELIA, La forma di governo, in M. FIORAVANTI (a cura di), Il valore della Costituzione.
L’esperienza della democrazia repubblicana, Bari, Laterza, 2009, cit., p. 70).
10 Scrive Barile sul progetto della Bicamerale: «Una volta inserito il corpo estraneo di un Presidente della Repubblica eletto […] si viene a creare un nuovo organo di
indirizzo politico, distruggendo, in pratica, il Presidente della Repubblica come organo
di garanzia, facendone viceversa l’esponente di una maggioranza elettorale che, dall’altro, può coincidere o no con quella che sarà presente in Parlamento» (P. Barile, Introduzione, in P. CARETTI (a cura di), La riforma della Costituzione nel progetto della Bicamerale, Padova, 1998, p. XI. Ricorda Elia «Come io non persuasi D’Alema, così Paolo
Barile non riuscì a convincere il relatore senatore Salvi che era pericoloso introdurre in
Italia un semipresidenzialismo alla francese; anche se il relatore, per ragioni prevalentemente tattiche, tendeva a presentarlo come un semipresindezialismo «temperato» al fine
di tener conto delle evanescenti tradizioni parlamentari italiane (formula già evocata durante l’incarico Meccanico)» (L. ELIA, op. cit., p. 70).
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3.
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Le presidentialisme absolu.
Non mi soffermo sul disegno di legge costituzionale respinto dal
referendum costituzionale del 26 giugno 2006, nel quale il modello
di riferimento non era direttamente la V Repubblica – che vede sempre più ridimensionato il ruolo del Primo Ministro – ma una sorta di
premierato forte, che tendeva, comunque, «a raggiungere con altri
mezzi gli stessi obbiettivi: invulnerabilità per tutta la legislatura di un
primo ministro dotato di esorbitanti poteri in regime di pratica irresponsabilità politica»11.
In Francia, nonostante l’art. 20 della Costituzione del 1958 disponga altrimenti, è il Presidente della Repubblica che determina la
politica della Nazione, non il Governo12, tranne che nei casi di coabitazione13, ora meno probabili dopo l’introduzione del quinquennat
e l’inversion du calendrier électoral 14. Dopo l’elezione di Nicolas
11 L.
ELIA, op. ult. cit., p. 72.
il Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des institutions de la V République, presieduto da Balladur, aveva proposto la revisione dell’art. 5 e dell’art. 20 della Costituzione. Le modifiche, non accolte dalla legge
costituzionale n. 2008-724 del 23 luglio 2008 pubblicata nel Journal Officiel del 24 luglio 2008, prevedevano che il Presidente della Repubblica, e non il Primo Ministro, definisse la politica della Nazione, e che al Governo spettasse non più determinare l’indirizzo politico, ma condurre la politica della Nazione. Si trattava di una proposta, dunque, che chiariva i ruoli in seno al potere esecutivo a favore del Presidente della
Repubblica, non escludendosi, per una minoranza del Comité, una evoluzione della
forma di governo in senso presidenziale, secondo il modello classico. Tuttavia, il Comité
era stata invitato a fare «plutôt un encadrement de la présidentialisation du régime, et
non pas un retour à un régime parlementaire» (O. SCHRAMECK, in Rapport de la Commission Balladur: libres propos croisés de Pierre Mazeaud et Olivier Schrameck, in Rev. dr.
pub. sc. pol., 2008).
13 M.-A. COHENDET, La cohabitation. Leçon d’une expérience, Paris, Puf, 1993,
p. 20 e pp. 76-77; G. CONAC, F. LUCHAIRE, Le droit constitutionnel de la cohabitation. Bilan juridique d’une expèrience politique (23 mars 1986-8 mai 1988), Paris, Economica,
1989; J. LE GALL, La trosième cohabitation:quelle pratique des institutions de la Cinquième République?, in Rev. dr. pub. sc. pol., 2000, p. 106. Più di recente, E. GROSSO, La
Francia, in P. CARROZZA, A. DI GIOVINE, Diritto costituzionale comparato, Bari, Laterza,
2009, p. 167.
14 M. CALAMO SPECCHIA, Elezioni presidenziali ed elezioni legislative francesi: verso
il definitivo consolidamento del fait majoritaire?, in Dir. pub. comp. eur., 2007. S. CECCANTI, Le istituzioni e il sistema politico dopo il primo «quinquennato», in G. BALDINI,
M. LAZAR (a cura di), La Francia di Sarkozy, Bologna, 2007; F. PALERMO (a cura di), La
12 Anche
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Sarkozy15 e la più recente riforma costituzionale del luglio 2008, con
l’introduzione del limite dei due mandati, si consolida la tendenza
alla presidenzializzazione del sistema di governo della V Repubblica16. Infatti, la limitazione dei due mandati consecutivi conferma
che è il Presidente della Repubblica a determinare la politica della
Nazione; per questa ragione è stato introdotto quel limite.
Nella V Repubblica, tranne che nei casi di coabitazione, in
realtà il Governo è più responsabile di fronte al Presidente della Repubblica che davanti al Parlamento, mentre non vi è alcun reale contrappeso al potere presidenziale da parte del potere legislativo. Negli
Stati Uniti il Presidente della Repubblica non è politicamente responsabile di fronte al Parlamento, ma proprio per questo non può
scioglierlo. In Francia, invece, la «responsabilità non è simmetrica,
nonostante che la forma di governo si definisca parlamentare: il Presidente può sciogliere l’Assemblea ma l’Assemblea non può revocare
il Presidente»17.
Il reale funzionamento della forma di governo della V Repubblica si presenta così come un «présidentialisme absolu»18.
Nel 1970 Leopoldo Elia, soffermandosi sulla forma di governo
della V Repubblica, evidenziava «la necessità di risolvere meglio i
problemi che, peraltro, non sono aperti solo in Francia: uso più equilibrato dell’informazione radiotelevisiva, indipendenza autentica di
“manutenzione” costituzionale, Padova, 2007; F. LANCHESTER (a cura di), La Costituzione
degli altri. Cronache costituzionali di sette ordinamenti stranieri tra il 2000 e il 2004,
Milano, Giuffrè, 2005.
15 S. VENTURA, Nicolas Sarkozy: l’«iperpresidenzialismo» e la riforma delle istituzioni, in Quaderni costituzionali, 2009, n. 1, p. 143 ss.
16 M. VOLPI (2008), La forma di governo in Francia alla luce della riforma costituzionale del luglio 2008, articolo destinato agli Scritti in onore di Angel Antonio
Cervati, pubblicato in http://www.astridonline.it. Su questa tendenza nei principali
paesi europei si veda il volume di A. DI GIOVINE, A. MASTROMARINO (a cura di), La presidenzializzazione degli esecutivi nelle democrazie contemporanee, Torino, Giappichelli,
2007.
17 T.S. RENOUX, L’esperienza francese, in M. LUCIANI, M. VOLPI (a cura di), Il Presidente della Repubblica, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 544.
18 F. LAFFAILLE , Le Comité Balladur et la fonction présidentielle: les apories de “l’accountability à la française”, in Quaderni costituzionali, 2008, n. 2, p. 387; O. DUHAMEL,
Une démocratie à part, in Pouvoirs, 2008 e dello stesso a., Vers une présidenzialisation des
institutions?, in P. PERRINEAU (a cura di), Le vote de rupture, Paris, Presses des Sciences
Po, 2008, p. 272 ss.
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LA V REPUBBLICA FRANCESE
un certo numero di organi di stampa, finanziamento delle campagne
elettorali, specie di quella per l’elezione del Capo dello Stato»19. Non
occorre aggiungere altre parole alla riflessione di Elia ancora molto
“attuale”.
19 L. ELIA, Forme di governo, estratto da Enciclopedia del diritto, vol. XIX, 1970,
Milano, ristampa del 1985, p. 39.