Re-Arch e quindi lei si è costruito la casa da solo? Mah si, vede, visti

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Re-Arch e quindi lei si è costruito la casa da solo? Mah si, vede, visti
Re-Arch
e quindi lei si è costruito la casa da solo?
Mah si, vede, visti i tempi, mi è parsa una scelta obbligata. Come lei ben sa
l'architetto è svanito nel calderone esigenziale della crisi, abbattuto con una
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sequela di colpi ai fianchi: prima la specializzazione, la triennale, il design di
interni, il paesaggismo, tutte discipline nobili, ma che, per dirla breve, hanno
ucciso Vitruvio, si ricorda quel passaggio del De Architettura
sapere di tutto...”.
confortante
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quella
“l'architetto deve
Non che io sia un passatista, eppure ho sempre trovato
accezione
da
sovrintendente
implicita
nella
figura
del
progettista, perchè se dobbiamo progettare spazi per la gente, dobbiamo essere in
grado di capirla, la gente, e per farlo almeno un po' di cultura generale ci vuole.
Un altro colpo è stato poi l'accessibilità della tecnica, non del sapere, ma del
saper fare: il fatto è che è rinata e si è imposta con violenza la figura del
disegnatore cad, alla stregua di operai, messo in catena di montaggio su progetti
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di cui non sa nulla; e quindi il saper fare, non si accompagna più al sapere, cioè
al conoscere, di quello che si fa. Non che non si sia sempre fatto, il galoppino di
fatto è un ruolo fondamentale, anche solo per il valore della gavetta, ma è
scomparsa la prospettiva di crescita nel lavoro e fare “l'operaio”, è diventato un
obiettivo di sopravvivenza, malpagato, sottopagato, sfruttato e così se n’è andata
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anche la qualità legata alla responsabilità del proprio lavoro. Il problema è che
nel nostro mestiere, la trasmissione della qualità è sempre avvenuta attraverso la
condivisione della pratica, costruendo collaboratori capaci per migliorare il
proprio operato. Ma nel momento in cui il collaboratore non si pone più in
continuità col proprio datore di lavoro, ma si pone ai margini, diventa uno spreco
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di potenziale, che vale come una matita spuntata nei grandi studi, e come un
affondo economico in quelli piccoli.
L'ultimo colpo è stato la moria dei prezzi,
sdoganati con gli sconti assurdi, legata all'inesistenza degli ordini. La qualità del
lavoro, la tutela della qualità, l'ordine era l'organo preposto a mantenerli, ma da
associazione nobile tra colleghi, è diventato “cappella” massonica tra avversari, e
non è servito più a nulla.
E così la figura dell’architetto è stata semplificata, da un lato geometri ben armati
e dall'altro le star isolate nel loro bisogno di stile, il professionista, quello serio,
quello ancora legato alla conoscenza olistica della materia, Vitruvio, il bisogno di
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cultura… siamo diventati clandestini, in parte anacronistici, in parte legati a
vivere la professione in quelle sacche autonome che Hakim Bey chiamava zone
t e m p o r a n e a m e n t e a u t o n o m e , l e T. A . Z . p e r n o i e r a n o e v e n t i d i c o n c e t t o , d i d a t t i c a
autoprodotta, workshop di autocostruzione. Insomma per resistere abbiamo dovuto
reinventarci, ripartendo ovviamente dal tema della sostenibilità; se ricorda allora
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si parlava di bio di eco di green, quasi indiscriminatamente, come se fosse ovvio
che dovesse essere una disciplina distinta dalla pratica ordinaria. C'erano, e ci
sono ancora, i protocolli, le classi A, B, C, il LEED con tutta la trafila sul costo
delle risorse, con i relativi tecnici, ben istruiti, tendenzialmente svizzeri...tutti
sistemi di semplificazione di un problema complesso, che necessitava per essere
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trasmesso, di essere ridotto ai minimi termini, in un caso più minimi che nell'altro,
ma sa di cosa parlo. Il punto è che a furia di codificare nomi per definire la
commercializzazione di un concetto, ci si è dimenticati la ragione di tanto lottare,
ovvero la reale scarsità delle risorse, ed è a quel punto che abbiamo scoperto dei
nuovi pionieri, dei nuovi maestri. Ripartendo da situazioni estreme, di emergenza,
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di cooperazione, l’architettura si è dovuta adattare ad essere necessaria, e
soprattutto ad essere giudicata per questo suo valore, e allora guarda caso si è
t o r n a t o a f a r e r i c e r c a . P e n s o a F a t h y, c o n l a s u a r i s c o p e r t a i n E g i t t o d e l l a v o l t a
nubiana, a Caravatti e Carola, con il loro lavoro in Mali sulla terra cruda.
L'obiettivo
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era
il
sapere,
e
la
trasmissione
del
sapere,
dimostrando
che
l'architettura, ancor più dell'architetto, avesse bisogno di respirare. Pensi a
Francis Kerè, con le sue scuole in mattoni di terra cruda, affiancate ai doppi tetti,
che come onde sovrastavano quegli edifici massicci, volando su un reticolo di
tubolari in acciaio sottili. Pensi a Michael Reynolds, e a quell'esegesi della
spazzatura che furono le sue Earthship, si ricorda, negli anni '80, le case
completamente auto-costruite e completamente indipendenti energeticamente:
gomme, bottiglie, lattine, serra bioclimatica, recupero delle acque piovane,
energia solare... un abaco di soluzioni di “architettura sostenibile” e riciclo. E poi
finalmente il tentativo di coniugare l'eccezione con la normalità (se esiste), e le
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teorie di Aravena sull'architettura a rustico, sul non finito, mediando tra pubblico
e privato, anzi tra popolo e impresa. Le tecniche del passato sono diventate le
avanguardie del presente, ma senza una teoria codificata alle spalle, senza la
definizione
di
un
know
h o w,
che
rimaneva
legato
alla
pratica
diretta,
all'esperienza, un po' come le favole raccontate oralmente, migliorate e diffuse e
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rese popolari. O se vuole, un costruire open source, col grado di implementazione
infinito che l'open source permetteva. Però faccio un inciso, l'approccio non è mai
stato quello mormonico di negazione della società e del progresso, non si ignora
la domotica o l'elettricità, è piuttosto una riflessione sul costruire l'hardware della
case, integrando poi software a piacere, facendo una riflessione proprio sulla
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scarsità delle risorse. La sostenibilità che ricomincia dal passivo, dal grado zero,
dal riuso. I principi di ventilazione naturale, di massa termica, applicata a
materiali naturali o che hanno concluso il loro ciclo di vita e vengono riscoperti,
r i u s a t i . Tu t t o q u e s t o n o n n e g a l a g e s t i o n e i n f o r m a t i c a d e g l i s p a z i a b i t a b i l i , n o n
rinuncia ad un’interpretazione della casa cibernetica, non in un senso high tech,
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ma piuttosto da un punto di vista letterale, una casa in grado di rispondere, di
dare un feedback agli imput immessi da chi la abita.
Per questo l'architetto oggi, come l'artigiano in bottega ha dovuto ricominciare
d a l l ' i n v e n z i o n e , m a i l l a v o r o c r e a t i v o s i è s t a c c a t o d a l g e s t o t e a t r a l e d e l l a s t a r,
tornando a nascondersi nell'armonia dei dettagli e delle forme. Si ricorda quella
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memorabile pellicola di Myazaki, dove il giovane meccanico, scartato proprio per
la sua età, chiedeva al pilota esperto quale fosse la qualità più importante per un
pilota, se l'esperienza, il coraggio o cosa altro... e la risposta era l'ispirazione, la
capacità di vedere l'invisibile, la capacità di leggere in maniera diversa le cose,
c h e p o i s o n o i s a s s i d i M u n a r i , t r a s f o r m a t i c o n u n g e s t o i n i s o l e , e l a f o g l i a d i Va n
Eyck, che è un albero, e una foglia e un albero.
Capisce che è lì che il riciclo, il low tech e l'architettura han trovato terreno
comune, la sostenibilità è diventata lavoro creativo, l'esigenza è diventata pratica
comune e l'architettura è diventata l'architettura del fare. All'inizio si lavorava
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solo sul costruito ex novo. C'era il bisogno quasi fisico di riflettere sul linguaggio,
di sviscerare quelle tecniche così ricche di contenuto, così corrette, dal bagaglio
estetico vernacolare che le accompagnava. Pensi alla paglia, che è stato uno dei
materiali più diffusi, si è passati dalle case rotonde di Barbara Jones, ai pannelli
p r e f a b b r i c a t i t r e n t i n i , p e r a r r i v a r e a l t e a t r o t e m p o r a n e o d i Ta l l i n , c o n l a p a g l i a a
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vista dipinta di nero, che definisce sagoma e linguaggio. Oppure pensi alla terra
cruda, ai lavori di Max Rauch, la terra squadrata, liberata dall'organicismo
implicito delle case dei Dogon. Oppure pensi ai sacchi di terra, liberati nella
scuola di Gaza degli Arcò, dalla dinamica a trullo di cui si erano caricati nei vari
Ecodome della Cal Architecture. Insomma, dopo l'acquisizione del principio, e
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l'ingresso in un mondo di tecniche e materiali, c'è stata una rivoluzione nel
linguaggio, che ripartendo dal vernacolare, ha inseguito l'estetica architettonica
svincolandola dai principi statici, senza negarli, è ovvio, anzi enfatizzandoli. E
infatti, se ci pensa, è cambiato anche il rapporto della triade struttura-spazioinvolucro. Lavorando con queste nuove-vecchie tecniche, si è smesso di cercare
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di sconfiggere la gravità. La mela di Newton, invece che un sasso da scagliare il
più lontano possibile, per dimostrare la leggerezza della materia sconfitta dalla
forma, è diventata un testimone essenziale dell'atto costitutivo dell'edificio.
Costruire con le gomme, costruire con i sacchi di terra, sono sistemi statici basici,
che funzionano sfruttando la propria forza peso, e che quindi trovano perfetta
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chiusura in un tetto pesante, una copertura carica di gravità, che schiaccia e
consolida l'edificio. Helmut Newton soddisfatto con la sua mela in mano. Però,
vede, il punto critico era applicare questa architettura in un contesto lontano dalla
spinta propulsiva della necessità. La realtà costruttiva a cui eravamo abituati,
quella in cui avevamo studiato, era quella del mattone cotto, delle imprese edili,
del cemento, quella delle grandi e medie città occidentali, dove l'architettura, pur
rispondendo ad un bisogno contingente, ad una domanda concreta, era ben
lontana dalle dinamiche costruttive dettate dai contesti di emergenza. E quindi,
crogiolandosi in un calderone di tradizione era decisamente chiusa verso una
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sperimentazione, di fatto inutile da un punto di vista locale, che minasse alla base
u n s i s t e m a c o s t r u t t i v o e d e c o n o m i c o c o n s o l i d a t o . Tu t t o è c a m b i a t o c o n l a c r i s i . E
nel marasma generale, con un pizzico di panico, in cui siamo finiti dopo, tutti si
sono dimostrati più attenti nell'ascoltare nuove soluzioni. Il passaggio successivo
è stato quindi quello di provare ad inserirsi in quel sistema che ci aveva sempre
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evitato, provando a spingere in quella crepa economica che si era venuta a
creare. C'è da dire che il costruire ex novo era un punto di approccio troppo
estremo, ed inoltre in contrasto con una certa idea di sostenibilità che prevedeva
ad esempio la cessione del consumo del suolo, soprattutto tenendo conto che la
verticalizzazione era uno degli scogli più duri da superare per il low tech.
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Per
questo abbiamo iniziato a lavorare sul recupero edilizio, abbiamo sostituito i
mattoni cotti e la lana di roccia con paglia e legno, con mattoni di canapa e calce,
con mattoni di carta. La casa non è ermetica, respira, ha freddo e caldo, ma
funziona bene, perchè non ha bisogno di riscaldamento ne di raffreddamento; i
muri sono più grandi, c'è meno spazio, ma c'è meno bisogno di spazio, la vita
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igienica del 2029 ci ha permesso di rivedere gli standard, le camere da 9, le
matrimoniali da 14, i bagni da 4, tutto è stato rivisto, un sacrificio di classe in
funzione della qualità del costruire, e quindi del vivere meglio.