Si trova in piazza Aquileia, a Milano, la prima delle tre abitazioni di
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Si trova in piazza Aquileia, a Milano, la prima delle tre abitazioni di
Si trova in piazza Aquileia, a Milano, la prima delle tre abitazioni di Mario Bellini - da questo momento in poi sempre affacciate su un giardino – per le quali lui stesso ha disegnato gli interni. La prima casa Ho preso in affitto un appartamento in un condominio milanese nel quale non so quanto tempo abiterò. Non ho mai «arredato» le case nelle quali ho abitato prima di questa, e le ho lasciate sempre prima di averle «finite»; cioè non ho mai fissato, in modo che potesse essere duraturo, l'involucro di spazio interno a mia disposizione e gli accessori per vivere che questo conteneva. lo non credo nella nozione di architettura degli interni - come operazione posticcia - di ristrutturazione di un ambiente architettonico preesistente, né quando questo sia anonimo, né quando sia più o meno spazialmente caratterizzato. Si è trattato di volta in volta di correggere semplicemente, dove possibile, qualche errore di disposizione planimetrica e di collocarvi liberamente quanto ora necessario al mio modo di abitare del momento. Sono quindi completamente d'accordo con Vittorio Gregotti (Ottagono n.9, 1968, nel quale viene presentata la casa di Sergio Asti arredata da Asti stesso, ndr) quando dice che in queste condizioni «un buon architetto fa architettura degli interni con cattiva coscienza». La consapevolezza di questa situazione spiega forse il fatto che io non abbia mai fatto arredamenti di case private e la sostanziale riluttanza o incapacità a portare a termine la sistemazione dei miei appartamenti. O lo spazio interno in cui vivere è creato dall'architetto conducendo un discorso ininterrotto per cui non esiste soluzione di continuità, di linguaggio fra l'architettura vera e propria e quella degli interni, oppure è facile cadere nell'arredamento come operazione posticcia di carattere scenografico o come ricostruzione di una situazione nuova creata da mobili che ricostruiscono nuovi spazi. Preferisco dimenticare l'architettura interna quando non può far parte di una operazione integrate, e attrezzare semplicemente la casa con gli arredi immobili, fissi, che al limite potrebbero essere addirittura costruiti nel muro, e collocare negli ambienti ciò che realmente è «mobile», come tavolini, seggiole e poltrone, con una sistemazione aperta e modificabile quando fosse impossibile raggiungere una soluzione spazialmente più integrata e precisa. Nella mia casa ho collocato per lo più arredi da me disegnati; poltrone per Cassina e la grande lampada “Chiara” della Flos. Questi sono entrati nella produzione di serie da uno studio e da una necessità mia di disegnarli, fondamentalmente basata su questi concetti e proiettata già per una possibile fruizione negli ambienti della mia casa. In questa desidero che gli arredi, le suppellettili, e gli accessori siano inseriti smitizzando al massimo la loro qualità di personaggi, per lasciare che soprattutto l'uomo possa vivere fra essi non condizionato della loro presenza ma semmai stimolato ad essere il vero interprete nella scena della sua abitazione. (“La casa di un designer. Interni di Mario Bellini”, Ottagono n.12, gennaio 1969)