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Edizioni Simone - Vol. 12/3 Compendio di scienza delle finanze
Parte primaTeorie dell’economia e della finanza pubblica
Capitolo 3Finalità dell’intervento pubblico
Sommario1. Introduzione. - 2. Elementi fondamentali. - 3. I soggetti della finanza
pubblica. - 4. Il finanziamento dell’attività pubblica (Rinvio).
1.Introduzione
Nei moderni Stati le forme che assume l’intervento pubblico sono sorprendentemente
uniformi (BROSIO), soprattutto se si pongono a confronto paesi con livelli di reddito
e di sviluppo analoghi.
Altrettanto uniformi possono essere considerati gli obiettivi generali che l’operatore
pubblico persegue:
— l’efficiente allocazione delle risorse;
— una distribuzione della ricchezza o del reddito prodotto socialmente «più equa»;
— la stabilità della crescita economica;
— l’equilibrio dei conti con l’estero;
— lo sviluppo economico.
A quelli qui elencati si affiancano, poi, numerosi altri obiettivi speciali che, però, possono essere
considerati come obiettivi intermedi, di specificazione e qualificazione degli obiettivi generali
(LECCISOTTI).
2.Elementi fondamentali
Mentre nel campo dell’economia di mercato le scelte dei singoli sono frutto di libera
determinazione individuale, nel campo dell’attività finanziaria pubblica abbiamo un
soggetto attivo, l’operatore pubblico, che fa le sue scelte in condizioni di superiorità,
e dei soggetti passivi, i privati, cui tali scelte vengono imposte.
Possiamo, quindi, individuare quattro elementi fondamentali nell’attività finanziaria:
— l’esistenza di soggetti attivi, dotati di potestà finanziaria;
— la natura coercitiva dei rapporti finanziari, la quale comporta che il soggetto passivo
(che paga il tributo) non sia in condizione di negoziare con l’ente impositore;
— l’esistenza di un sistema di rapporti economici basato sul principio di libera iniziativa economica, che consente allo Stato di tassare tutti i proventi derivanti dall’uso
dei fattori produttivi (rendite, interessi, salari, profitti);
— la sottoposizione dello Stato e degli altri soggetti impositori alla legge, nell’esercizio
dell’attività finanziaria (principio di legalità dell’azione amministrativa in genere
ex art. 97 Cost. e impositiva in particolare ex art. 23 Cost.).
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Parte prima Le principali teorie dell’economia e della finanza pubblica
3.I soggetti della finanza pubblica
Alla prestazione dei pubblici servizi provvede lo Stato ed anche, per sua delega, altri
enti pubblici e, più precisamente, gli enti autarchici territoriali (Comuni, Province,
Regioni), gli altri enti istituzionali (esempio: gli enti previdenziali ed assicurativi), le
imprese pubbliche.
È opinione corrente che lo Stato e gli enti pubblici debbano sia assicurare la continuità dell’ordinamento e la pace sociale dei cittadini sia elevare il benessere sociale:
tale funzione deve tendere alla massimizzazione, dati certi vincoli (ad es. la struttura
dell’economia e il livello di reddito nazionale).
Funzioni degli enti pubblici
Gli enti pubblici:
a) esplicano le attività che tendono a realizzare l’efficacia dell’ordinamento, cioè a garantire la
sicurezza sociale; rientrano tra tali funzioni la difesa interna ed esterna dello Stato, nonché
l’amministrazione della giustizia;
b) assumono le iniziative che, se fossero rimesse alle scelte dei privati, sarebbero condotte in modo
incompatibile con il fine stesso perseguito, ossia il raggiungimento di posizioni di dimensione
ottimale per la collettività (es.: gestione privata di un’azienda filotranviaria);
c) intervengono in tutti quei settori riguardanti servizi essenziali, dominati da situazioni di monopolio,
per evitare che il monopolista, forte della sua posizione, consegua un extraprofitto a danno della
collettività (e ciò spiega, in parte, i motivi che hanno portato in alcuni periodi alla nazionalizzazione dell’energia elettrica e degli altri servizi di pubblica necessità), mentre negli ultimi decenni
si assiste alla tendenza opposta cioè alla privatizzazione di taluni servizi pubblici essenziali;
d) producono tutti quei servizi che presentano carattere di indivisibilità nel consumo (così, ad
esempio, la costruzione di una diga che salvaguardi una città da un’inondazione può essere
affrontata solo dallo Stato dal momento che nessun cittadino di quella città sarebbe in grado di
sostenere tale spesa);
e) tendono, infine, ad intervenire in tutti quei settori che presentano rilevanza sociale (così la vendita
diretta, il controllo dei prezzi di alcuni beni e servizi basilari etc.).
4.Il finanziamento dell’attività pubblica (Rinvio)
L’operatore pubblico dispone, principalmente, di cinque fonti di finanziamento: i
prezzi o tariffe pubbliche, le imposte, il debito pubblico, la stampa di moneta, la vendita
di beni del proprio patrimonio.
Rimandando alla Parte II, Cap. 1 per approfondimenti, basterà qui ricordare che:
— la tariffa o prezzo pubblico è il prezzo base di beni e servizi offerti dall’operatore pubblico. Non sempre tale prezzo copre i costi di finanziamento dell’attività;
spesso, infatti, per valutazioni di carattere sociale o politico l’operatore pubblico
può applicare prezzi più contenuti (prezzi politici) o discriminare il prezzo fra le
diverse categorie di utenti;
— l’imposta è un prelevamento coattivo di ricchezza effettuato dallo Stato o da un ente
pubblico allo scopo di ottenere i mezzi necessari alla produzione di servizi pubblici
indivisibili, servizi cioè di cui si avvantaggia la collettività nel suo insieme.
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Capitolo 3 Finalità dell’intervento pubblico
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Da tale definizione appare evidente che la sua funzione è quella di far concorrere alle
spese pubbliche tutti coloro che sono interessati all’esistenza ed al funzionamento
dello Stato e degli altri enti pubblici;
— il debito pubblico è il debito che lo Stato contrae verso singoli sottoscrittori. Considerato per lungo tempo una modalità di entrata eccezionale, è oggi utilizzato in
tutti i paesi come normale mezzo di copertura delle spese;
— l’emissione di carta-moneta addizionale consiste nella diffusione di biglietti aventi
valore legale di pagamento. Dato l’alto rischio di innescare fenomeni inflattivi,
l’emissione è una misura cui gli Stati ricorrono solo come extrema ratio;
— l’alienazione di beni patrimoniali consiste nella vendita dei beni del patrimonio
pubblico. Si tratta, ancora una volta, di un’entrata straordinaria.
Questionario
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Quali sono le finalità dell’attività finanziaria pubblica? (§1)
Quali sono i soggetti dell’attività finanziaria pubblica? (§2)
Quali sono i quattro elementi fondamentali dell’attività finanziaria? (§2)
Su quale principio deve essere basato un sistema di rapporti economici? (§2)
Quali sono le funzioni degli enti pubblici? (§3)
La difesa interna ed esterna dello Stato tra quali funzioni rientra? (§3)
Quante sono le fonti di finanziamento di cui dispone l’operatore pubblico? (§4)
Qual è il nome del prezzo base di beni e servizi offerti dall’operatore pubblico? (§4)
Quale funzione è evincibile dalla definizione d’imposta? (§4)
Edizioni Simone - Vol. 12/3 Compendio di scienza delle finanze
Parte primaTeorie dell’economia e della finanza pubblica
Capitolo 4L’economia del benessere
Sommario1. Definizione. - 2. Modello di puro scambio. - 3. Efficienza nella produzione e
frontiera delle possibilità produttive. - 4. I due teoremi dell’economia del benessere.
1.Definizione
L’economia del benessere studia la desiderabilità sociale di allocazioni economiche
alternative e dei possibili interventi dello Stato. Tale disciplina si basa su due criteri:
l’efficienza nell’allocazione delle risorse e l’equità della loro distribuzione fra gli
individui componenti la collettività.
Secondo Pareto (economista e sociologo italiano vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il
Novecento) si ha un’efficiente allocazione delle risorse quando non è possibile alcuna
riallocazione per accrescere il benessere di un individuo senza diminuire quello di un
altro (allocazione Pareto-efficiente).
2.Modello di puro scambio
Consideriamo un sistema economico molto semplice, in cui due individui A e B consumano due beni X e Y disponibili in quantità fisse. Possiamo analizzare le allocazioni
realizzabili attraverso la cosiddetta scatola di Edgeworth: si tratta di un rettangolo le cui
dimensioni rappresentano le quantità dei due beni disponibili nel sistema economico. Ciascun punto del rettangolo individua una possibile allocazione di tali beni tra gli individui.
bene Y
B
xB
yB
O
yA
A
xA
bene X
Fig. 1 - La scatola di Edgeworth

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Capitolo 4 L’economia del benessere
bene Y
Così il punto O indica una situazione in cui l’individuo A possiede una quantità xA del bene
X e yA del bene Y, mentre B ne possiede rispettivamente xB del bene X e yB del bene Y.
I punti situati all’interno della scatola di Edgeworth rappresentano tutte le allocazioni
realizzabili, lasciando invariata la quantità dei beni nell’economia. Ora, disegniamo
la mappa delle curve di indifferenza relative agli individui A e B: esse indicano le
preferenze dei due consumatori riguardo al bene X e al bene Y.
B1
B2
B
B3
O
A3
A1
A2
A
bene X
Fig. 2 - La mappa delle curve d’indifferenza
Curve di indifferenza con un numero di pedice più alto indicano livelli di soddisfazione
maggiori: per esempio, l’individuo A migliora la sua condizione passando dalla curva A1
alla curva A2 e da questa alla A3. Un ragionamento analogo si può fare per l’individuo B.
A questo punto ci chiediamo a quali condizioni avviene lo scambio tra i due soggetti:
esso avrà luogo solo se arrecherà ad entrambi un miglioramento in termini di utilità.
bene Y
B
M
N
A
bene X
Fig. 3 - Lo scambio tra i soggetti A e B
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Parte prima Le principali teorie dell’economia e della finanza pubblica
I punti collocati all’interno dell’area colorata (si veda la fig. 3) rappresentano una
situazione in cui entrambi i soggetti passano su una curva di indifferenza più elevata.
I due consumatori continueranno a scambiarsi quantità di beni finché non raggiungono
un punto in cui non saranno più realizzabili ulteriori incrementi di utilità né per l’uno
né per l’altro. Dunque, lo scambio continua fino a quando la curva di indifferenza
dell’individuo A sarà tangente a quella dell’individuo B (punto M della fig. 3). In questo
caso, per accrescere l’utilità di A, dovrà diminuire quella di B: pertanto, l’allocazione
rappresentata dal punto M è Pareto efficiente.
All’interno della scatola di Edgeworth si individuano una serie di punti Pareto-efficienti
(punti di tangenza tra le curve di indifferenza dei due individui) che differiscono tra loro
per la quantità di risorse assegnata a ciascun consumatore. Il luogo a cui appartengono
tutti questi punti si definisce curva dei contratti, perché individua tutti i possibili esiti
finali dei processi di contrattazione tra gli agenti (fig. 4).
bene Y
B
A
bene X
Fig. 4 - La curva dei contratti
Questa curva (fig. 4), che unisce l’origine di A all’origine di B, è composta da un numero infinito di punti, ognuno dei quali individua una diversa distribuzione di utilità
tra i due individui. Spostandosi verso destra, si va da allocazioni che rappresentano
un’utilità molto bassa per A ed elevata per B ad allocazioni con un’utilità elevata per
A e bassa per B.
In economia, il valore assoluto della pendenza della curva di indifferenza indica il
saggio marginale di sostituzione (SMS), cioè la quantità di un bene a cui il consumatore è disposto a rinunciare in cambio di un’unità dell’altro bene. La condizione
di tangenza tra le curve di indifferenza dei due soggetti considerati esprime, allora,
l’uguaglianza tra i saggi marginali di sostituzione dei due individui, che realizza
l’efficienza paretiana:
SMSA = SMSB
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Capitolo 4 L’economia del benessere
3.Efficienza nella produzione e frontiera delle possibilità produttive
Finora abbiamo supposto che le quantità di beni disponibili nel sistema economico
siano fisse; vediamo che cosa accade quando diventano variabili.
Un’allocazione dei fattori produttivi di due beni è Pareto efficiente se non è possibile, riallocando i fattori, aumentare la produzione di un bene senza diminuire quella dell’altro.
Anche questa proposizione può essere illustrata mediante la scatola di Edgeworth, in
cui alle curve di indifferenza si sostituiscono gli isoquanti di produzione.
L2
B Bene 2
K1
a
d
b
c
K2
A
L1
Bene 1
Fig. 5 - L’efficienza nella produzione
Analogamente a quanto risultava dall’analisi dell’allocazione dei beni fra i due consumatori, l’allocazione ottimale dei due prodotti fra due imprese, date le loro dotazioni
iniziali di fattori produttivi (capitale K e lavoro L), è pari al tratto cd della curva dei
contratti (fig. 5). Ciascun punto di questo tratto verifica la condizione:
SMST1 = SMST2
dove SMST sta per saggio marginale di sostituzione tecnica (marginal rate of technical substitution).
Generalizzando al caso in cui esiste un paniere di M beni, possiamo affermare che il
saggio marginale di sostituzione tecnica fra capitale e lavoro deve essere uguale in tutte
le imprese che producono gli M beni.
Le allocazioni ottimali dei fattori produttivi nella produzione degli M beni sono
infinite e si possono rappresentare graficamente con una curva, detta «frontiera delle
possibilità produttive» (vedi fig. 6).
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Parte prima Le principali teorie dell’economia e della finanza pubblica
c
bene Y
w
y
c
o
x
z
bene X
Fig. 6 - La frontiera delle possibilità produttive
Ad ogni punto di tale curva corrisponde un punto della curva dei contratti.
La frontiera delle possibilità produttive indica la quantità massima del bene X che
si può produrre in corrispondenza di una data quantità del bene Y.
Supponiamo che nel sistema considerato si produca una quantità Ow del bene Y e Ox
del bene X. Se aumentiamo la produzione del bene X da Ox a Oz, dobbiamo necessariamente sottrarre input alla produzione del beneY. Quindi, se la produzione del bene
X aumenta della quantità xz, quella del bene Y si ridurrà della quantità wy. Il rapporto
wy/xz è detto saggio marginale di trasformazione (SMT), perché indica il rapporto al
quale il sistema economico può trasformare il bene X in bene Y. Esso misura il valore
assoluto della pendenza della frontiera delle possibilità produttive.
Il saggio marginale di trasformazione può anche esprimersi in termini di costo marginale (CMa), che è il costo aggiuntivo di produzione di un’unità del bene considerato.
La distanza xz rappresenta il costo marginale del bene X e la distanza wy quello del
bene Y.
Pertanto: xz = CMax e wy = CMay
Ricordando che il rapporto wy/xz misura la pendenza della frontiera delle possibilità
produttive ed è anche uguale al saggio marginale di trasformazione, avremo:
wy/xz = SMT = CMay /CMax
Quindi, in presenza di produzione variabile, la condizione di efficienza paretiana diventa:
SMTyx = SMSyx
Ciò vuol dire che lo scambio è sempre possibile fin quando il saggio marginale di
sostituzione non è uguale a quello di trasformazione. Solo quando le pendenze delle
curve di indifferenza e della frontiera delle possibilità produttive sono uguali, è possi-
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Capitolo 4 L’economia del benessere
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bile ottenere un miglioramento paretiano (riallocazione delle risorse che migliora la
condizione di un individuo senza peggiorare quella di un altro individuo).
Il tasso a cui si possono trasformare unità del bene X in unità del bene Y (SMTyx) deve
essere pari a quello a cui i consumatori sono disposti a scambiare unità del bene X per
unità del bene Y (SMSyx).
4.I due teoremi dell’economia del benessere
Se ci troviamo in condizioni di concorrenza perfetta e se esiste un mercato per tutti
i beni, il primo teorema dell’economia del benessere afferma che l’allocazione
delle risorse è Pareto efficiente in corrispondenza del punto di equilibrio del sistema.
Un’economia concorrenziale alloca «automaticamente» le risorse in modo efficiente,
senza bisogno di alcun intervento esterno.
La caratteristica principale della concorrenza perfetta è che sia i produttori che i consumatori sono price takers, cioè incapaci di influenzare l’andamento del prezzo. Pertanto,
un’impresa che opera in tale regime massimizzerà il proprio profitto in corrispondenza
del punto in cui il prezzo si eguaglia al costo marginale: P = CMa.
Per concludere, in un mercato di concorrenza perfetta, se tutti i consumatori hanno
come obiettivo la massimizzazione dell’utilità e i produttori quella del profitto, si ottiene
un’allocazione efficiente delle risorse.
Cosa s’intende per concorrenza perfetta?
La concorrenza perfetta è quella forma di mercato caratterizzata dall’alto numero di venditori e compratori e dall’omogeneità del prodotto offerto. In tale forma di mercato non è possibile per alcun soggetto
economico influire sulla determinazione del prezzo che, invece, è il risultato della libera contrattazione
tra offerenti e acquirenti.
Il secondo teorema dell’economia del benessere afferma che modificando opportunamente le dotazioni iniziali con strumenti di redistribuzione (imposte o sussidi)
e lasciando gli agenti liberi di contrattare, un’economia concorrenziale consente di
raggiungere qualsiasi allocazione Pareto-efficiente sulla curva delle utilità possibili.
In altre parole, il libero operare del mercato concorrenziale, unito all’equa distribuzione del reddito da parte dello Stato, fa sì che la collettività raggiunga allocazioni
Pareto-efficienti ed eque.
Limiti dell’economia del benessere
I limiti principali dell’economia del benessere sono i seguenti:
— si adotta una visione troppo individualistica della società, assumendo che i suoi membri siano
sempre razionali e capaci di giudicare al meglio il proprio operato;
— lo Stato non viene considerato un’autonoma fonte di valori, ma la sua volontà risulta dalla semplice aggregazione delle volontà degli individui che ne fanno parte;
— il principio dell’ottimo paretiano può essere facilmente messo in discussione: può darsi che non
tutti siano d’accordo sul fatto che il benessere della società aumenta se aumenta la ricchezza di
chi è già ricco, pur senza modificare quella degli altri soggetti.
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
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Parte prima Le principali teorie dell’economia e della finanza pubblica
Questionario
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
Cosa studia l’economia del benessere? (§1)
Quali sono i criteri su cui si basa l’economia del benessere? (§1)
Quando si ha un’allocazione Pareto-efficiente? (§1)
Cosa possiamo rappresentare con la scatola di Edgeworth? (§2)
Quali punti si trovano lungo la curva dei contratti? (§2)
Cosa rappresenta il saggio marginale di sostituzione? (§2)
Quando è possibile definire un’allocazione dei fattori produttivi Pareto-efficiente?
(§3)
Cosa indica il saggio marginale di sostituzione tecnica? (§3)
Cosa indica la curva detta frontiera delle possibilità produttive? (§3)
Ad ogni punto sulla frontiera delle possibilità produttive corrisponde un punto
su quale curva? (§3)
Cosa afferma il primo teorema dell’economia del benessere? (§4)
Con quali strumenti bisogna intervenire per modificare le dotazioni iniziali
nell’economia, secondo quanto recita il secondo teorema dell’economia del
benessere? (§4)
Quali sono i limiti dell’economia del benessere? (§4)
Edizioni Simone - Vol. 12/3 Compendio di scienza delle finanze
Parte primaTeorie dell’economia e della finanza pubblica
Capitolo 5I fallimenti del mercato
Sommario1. Introduzione. - 2. L’intervento pubblico. - 3. L’assenza di un mercato di
libera concorrenza. - 4. L’esistenza di rendimenti crescenti. - 5. L’esistenza
di esternalità. - 6. I beni pubblici. - 7. La carenza di informazioni. - 8. I
merit goods o beni meritori.
1.Introduzione
Sin qui abbiamo analizzato l’attività svolta dall’operatore pubblico, i fini cui essa è
diretta nonché gli strumenti impiegati per raggiungere tali fini.
Nulla, però, è stato detto circa l’opportunità dell’intervento pubblico nell’economia.
Ciò che si può affermare è che esso è socialmente ed economicamente auspicabile
quando accresce il benessere collettivo.
Per Pareto un sistema è efficiente se non è possibile aumentare il benessere di un
individuo senza diminuire il benessere di qualcun altro. Finché tale situazione di
efficienza non è raggiunta sarà sempre possibile un miglioramento paretiano, ovvero
sarà possibile migliorare la situazione di un individuo senza danneggiare nessun altro.
2.L’intervento pubblico
Scopo dell’intervento pubblico nella vita economica è, essenzialmente, quello di
accrescere il benessere collettivo. Le condizioni perché il benessere collettivo sia
massimizzato sono state individuate dalla teoria walrasiana e paretiana nell’equilibrio
di concorrenza perfetta. In particolare, Pareto dimostrò che un sistema economico in
condizioni di concorrenzialità perfetta è in grado di effettuare un’allocazione efficiente
delle risorse e di massimizzare il benessere collettivo.
L’analisi paretiana, però, partiva da alcune assunzioni che finivano col renderla irrealistica e troppo teorica. Tali assunzioni possono essere così riassunte:
— il sistema economico agisce in regime di concorrenza perfetta;
— non esistono rendimenti di scala;
— non si verificano fenomeni di esternalità;
— non esistono beni pubblici;
— tutti gli operatori economici sono perfettamente informati.
Se il sistema economico (e ciò accade spesso, come è facile riscontrare) si allontana
anche solo da una di queste condizioni, il mercato non è più in grado di realizzare
la condizione di ottimo postulata dal Pareto, si verificano cioè i cd. «fallimenti del
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
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Parte prima Le principali teorie dell’economia e della finanza pubblica
mercato». In questo caso, l’operatore pubblico dovrebbe, secondo alcuni economisti,
intervenire al fine di correggere le imperfezioni del mercato.
3.L’assenza di un mercato di libera concorrenza
Nell’analisi paretiana l’ottima allocazione delle risorse è determinata dall’uguaglianza
prezzo-costo marginale (costo dell’ultima unità prodotta), uguaglianza cui un mercato
di libera concorrenza perfetta naturalmente tende. In tale situazione si verifica che:
— ogni fattore produttivo viene remunerato nella stessa misura, per cui si realizza
l’uguaglianza fra i saggi marginali di sostituzione dei fattori produttivi (ottimo
della produzione);
— ogni bene venduto nel mercato ha il medesimo prezzo, per cui tutti i membri della
collettività traggono lo stesso vantaggio dallo scambio (ottimo nello scambio);
— la libertà di iniziativa assicura che si produca e si scambi la quantità di beni necessaria per la realizzazione dell’ottima allocazione delle risorse (ottimo sociale).
Nella realtà, però, un mercato di concorrenza perfetta costituisce più l’eccezione che
la regola, e il verificarsi della condizione di ottimo prezzo = costo marginale è un
fenomeno altrettanto raro: in situazioni di oligopolio o di concorrenza monopolistica,
situazioni molto più rappresentative della realtà rispetto all’ipotesi della concorrenza
perfetta, il prezzo può divergere anche in misura rilevante dal costo marginale. In tutti
questi casi, un intervento pubblico volto a ripristinare condizioni più vicine a quelle
ottimali può essere teoricamente giustificato (LECCISOTTI).
Un approfondimento merita il regime di monopolio (in cui, cioè, vi è un solo produttore). Una tale situazione può verificarsi per motivi naturali (unicità di un particolare
fattore produttivo) o tecnici (rendimenti di scala decrescenti) e comporta, comunque,
l’accentramento di un enorme potere di mercato, accentramento tanto più pericoloso
se esso avviene in settori di rilevante interesse pubblico (informazione, trasporti etc.).
L’operatore pubblico, anche in questo caso, può intervenire regolamentando il prezzo
o il saggio di profitto del monopolista, oppure direttamente acquistando o espropriando
l’azienda monopolista (gestendola tramite un’impresa pubblica o affidando la concessione del servizio ad un’impresa privata): proprio l’esistenza di monopoli privati, naturali
o tecnici, ha costituito una delle prime giustificazioni a sostegno dell’impresa pubblica.
4.L’esistenza di rendimenti crescenti
Il formarsi di prezzi diversi dai costi marginali non deriva solo dal comportamento di
imprese dotate di potere di mercato: a volte, infatti, possono esservi ostacoli oggettivi
al marginal cost pricing (alla pratica, cioè, di uguagliare il prezzo al costo marginale).
Nel modello paretiano l’esistenza di rendimenti decrescenti di scala è uno dei requisiti
per il raggiungimento di un’ottima allocazione delle risorse. Per rendimenti decrescenti si intende la circostanza in cui all’aumento nell’utilizzo di un fattore produttivo
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Capitolo 5 I fallimenti del mercato
corrisponde un aumento meno che proporzionale della quantità prodotta. Nel mondo
reale, però, vi sono casi in cui i rendimenti si presentano crescenti. Ciò comporta due
ordini di problemi:
— la possibilità che all’aumentare dei fattori produttivi aumenti il prodotto,
avvantaggiando le imprese di dimensioni maggiori (economie di scala) e ponendo
le basi per un processo di concentrazione produttiva;
— poiché ad un aumento delle quantità di fattori impiegati corrisponde un aumento più
che proporzionale del prodotto, la curva del costo medio (CM) a prezzi costanti
risulta sempre decrescente; ciò implica che la curva del costo marginale CMa (costo
dell’ultima unità prodotta) giace sempre al di sotto del costo medio (vedi fig. 1).
Prezzi,
costi
CM
CMa
P
O
Quantità prodotta
x
Fig. 1 - Il costo medio e il costo marginale
Se l’impresa volesse eguagliare il prezzo al costo marginale in queste condizioni, non
riuscirebbe a coprire i costi totali, per cui in un mercato concorrenziale non vi sarebbe
alcuna convenienza a produrre (con conseguente rinuncia ad un potenziale beneficio
per la collettività). Se tale beneficio totale supera i costi di produzione (se, cioè, la
produzione è ritenuta socialmente utile), l’operatore pubblico potrebbe accollare alla
collettività la copertura dei costi, aumentando contemporaneamente il benessere sociale.
5.L’esistenza di esternalità
Un’esternalità può essere definita come l’insieme degli effetti — positivi o negativi —
che l’attività economica di un individuo comporta per altri agenti economici. Nel
caso di esternalità positive si parla anche di economie esterne; si definiscono, invece,
diseconomie esterne le esternalità negative.
Un esempio classico di economia esterna è costituito dal beneficio che un apicoltore
ricava dalla presenza di frutteti adiacenti e non di sua proprietà.
Un esempio, altrettanto classico, di diseconomia esterna è costituito dal fumo della
ciminiera di una fabbrica che inquina l’ambiente circostante.
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Parte prima Le principali teorie dell’economia e della finanza pubblica
Se chi beneficia dell’effetto positivo non paga per esso e se chi arreca un danno non
compensa il danneggiato, l’allocazione delle risorse non può più essere quella ottimale.
Nel caso della fabbrica inquinante, ad esempio, il costo marginale della produzione
sarà inferiore al costo marginale sociale, poiché non comprenderà la valutazione dei
danni arrecati alla collettività. Ancora una volta, dunque, il mercato risulta inefficiente.
L’origine delle esternalità va ricercata, quasi sempre, nella mancata, o imperfetta, definizione dei diritti di proprietà: una loro attribuzione precisa permetterebbe di eliminare
le esternalità; infatti, se la fabbrica avesse il diritto ad inquinare o se i vicini potessero
sempre far valere un loro diritto a non essere danneggiati, sarebbe possibile giungere
ad un accordo compensativo e dunque ad una soluzione efficiente. Questo è, in sintesi,
la conclusione cui giunge l’economista statunitense Ronald H. Coase nel suo famoso
teorema. Ma va notato che, nella sua costruzione formalmente elegante, Coase non
tiene conto né dei costi di contrattazione (che possono essere elevati in presenza di un
alto numero di parti in causa) né delle difficoltà legate ad un’efficace tutela dei diritti.
La mancata definizione dei diritti di proprietà (il che comporta che l’utilizzo di risorse
scarse non ha prezzo, con conseguenti sprechi ed inefficienze), la presenza di costi di
transazione troppo elevati, giustificherebbero, secondo i più, un intervento dell’operatore
pubblico. Tale intervento può assumere le forme di:
— un sistema di imposte e sussidi, con cui eguagliare il costo marginale sociale al
beneficio marginale sociale;
— regolamentazione (la soluzione più adottata), fissando limiti massimi alle diseconomie e standard di produzione.
Rispetto all’adozione di imposte ad hoc, tale sistema presenta però lo svantaggio
di non tener conto di situazioni diverse e di comportare costi amministrativi (per
controlli e sanzioni) molto elevati.
Perché le esternalità portano al fallimento del mercato?
In caso di esternalità gli individui operano con riferimento a costi e benefici privati che non coincidono
con i costi e benefici sociali. Nell’esempio della fabbrica di carta, infatti, i costi privati del disboscamento non comprendono i costi sociali dello squilibrio ecologico. L’allocazione delle risorse, quindi,
non è quella ottimale.
6.I beni pubblici
Nel paradigma paretiano (un sistema è efficiente se non è possibile aumentare il
benessere di un individuo senza diminuire il benessere di qualcun altro) si assume
l’assenza di beni pubblici. Questi ultimi sono caratterizzati dalla non-rivalità e dalla
non-escludibilità (si veda il Cap. 1 par. 2).
La non-esclusione può avere motivazioni tecniche o economiche:
— un esempio di non esclusione tecnica è offerto dalle trasmissioni radiofoniche: se si installa
un ripetitore non è possibile escludere alcuni cittadini piuttosto che altri dalla ricezione;

Capitolo 5 I fallimenti del mercato
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— la non escludibilità economica, invece, trova giustificazione negli elevati costi che un sistema
di sorveglianza e controllo comporterebbe; discriminare il consumo di un bene (un parco
pubblico, ad esempio) può avere costi così alti da rendere antieconomica questa attività.
La presenza o meno di queste due caratteristiche (non rivalità, non escludibilità) definisce i beni pubblici puri ed i beni privati puri. Tra questi due estremi, però, trovano
posto infinite varietà di beni e servizi che, in vario modo, combinano le caratteristiche
di rivalità ed escludibilità.
Si determina così una vasta gamma di beni che si è soliti definire beni pubblici impuri o,
nel caso in cui la non rivalità valga per un numero limitato di consumatori, «beni collettivi».
È evidente come un bene pubblico puro sia incompatibile con l’analisi paretiana: se
non è possibile escludere chi non paga (free rider) e se tutti godono egualmente del
bene, non vi è alcuna convenienza economica privata alla loro produzione. Si è dunque
di fronte ad un’inefficiente allocazione delle risorse, dovuta al fatto che il beneficio
privato è inferiore al costo, pur essendo il beneficio sociale superiore al costo stesso.
Ed ecco spiegata la necessità dell’intervento pubblico: obbligando i cittadini a pagare
le tasse, lo Stato può disporre delle risorse per finanziare la produzione di un bene o
servizio che altrimenti non sarebbe prodotto.
7.La carenza di informazioni
L’ultimo aspetto, e non il meno importante, dell’irrealtà dell’ipotesi paretiana, è costituito dalla situazione di incertezza che caratterizza tutti gli operatori nel mondo reale. Un
efficace funzionamento del mercato presuppone necessariamente un adeguato livello
di informazioni. Queste ultime, però, come ogni altro bene, sono scarse e costose e
ciò può provocare un’inefficiente allocazione delle risorse.
Se poi vi è asimmetria nelle informazioni, ovvero se alcuni hanno a disposizione un
maggior numero di informazioni rispetto ad altri, verrà a mancare una delle condizioni
fondamentali del mercato di libera concorrenza perfetta: la trasparenza del mercato.
Moral hazard e adverse selection
Dalla asimmetria delle informazioni derivano due distinti fenomeni: il moral hazard e l’adverse
selection.
Si parla di moral hazard (comportamento sleale) quando una delle parti, dopo la stipulazione di un
contratto, ha la possibilità di agire in modo tale da ledere gli interessi dell’altro contraente, poiché
quest’ultimo non è nelle condizioni di osservare i comportamenti del primo.
In un contratto di assicurazione contro incendio, ad esempio, l’assicurato, dopo la stipula, potrebbe
mostrarsi meno diligente o meno vigile di prima. L’impresa di assicurazione, non potendo osservare
direttamente il comportamento di ciascun assicurato, si troverà allora nell’impossibilità di discriminare
efficacemente il premio di assicurazione.
La selezione avversa (o antiselezione), invece, rappresenta una situazione in cui, data la distribuzione
delle probabilità del verificarsi di un determinato evento, ad esempio il furto d’auto, un aumento di
tale incidenza provoca le seguenti conseguenze:
— i soggetti che corrono un rischio mediamente più elevato (hanno ad esempio, un’auto nuova),
tenderanno maggiormente ad assicurarsi;
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
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Parte prima Le principali teorie dell’economia e della finanza pubblica
— il rischio medio sopportato dall’assicuratore aumenta e, conseguentemente, lievitano i premi
pagati dai clienti per assicurarsi contro il furto;
— i soggetti che hanno un’auto usata tenderanno a rinunciare all’assicurazione a causa di un eccessivo
ed indiscriminato aumento dei premi pagati alle compagnie di assicurazione.
In un tale contesto, in cui i rischi di furto aumentano, aumentano i premi e si riduce il numero di
soggetti disposti ad assicurarsi, il mercato delle assicurazioni contro i furti d’auto tenderà, nel lungo
periodo, a scomparire completamente.
La carenza o asimmetria di informazioni può essere corretta dall’intervento pubblico:
regolamentando l’offerta di informazioni di più difficile accesso individuale (es.: gli
standard tecnici o qualitativi cui determinati prodotti devono sottostare), o offrendo
fonti di informazione alternative a quelle di mercato.
8.I merit goods o beni meritori
Fin qui sono state esaminate le cause classiche del fallimento del mercato: l’esistenza
nella realtà di beni pubblici, rendimenti crescenti di scala, esternalità, forme di mercato
diverse dalla libera concorrenza, carenza di informazioni, che hanno da sempre costituito la base teorica per ogni critica del laissez-faire e, dunque, per la giustificazione
dell’intervento dello Stato nella vita economica. Non può, però, dimenticarsi che per
molti (BROSIO, LECCISOTTI) l’intervento pubblico è, soprattutto, determinato da
valutazioni sociali, da giudizi espressi dalla società sull’opportunità o meno di perseguire determinati obiettivi.
Strettamente collegati ad una valutazione sociale sono quei beni che l’americano
Richard Musgrave nel 1959 ha definito merit goods o beni meritori (si veda per
approfondimenti il Cap. 1 par. 2).
Che tipo di politica attua lo Stato riguardo i beni meritori?
I beni meritori sono quei beni che lo Stato decide di produrre indipendentemente dalla loro domanda,
ritenendoli socialmente indispensabili e, quindi, sostituendosi ai consumatori nelle loro scelte. In questo
caso la politica messa in atto è di tipo paternalista.
Questionario
1. Quando un sistema è efficiente secondo Pareto? (§1)
2. Quali sono le assunzioni di base dell’analisi paretiana? (§2)
3.
4.
5.
6.
Quando si verifica un fallimento del mercato? (§2)
Qual è la condizione perché si verifichi l’ottimo nello scambio? (§3)
Quando si può dire di essere in una situazione di ottimo sociale? (§3)
Quali problemi derivano dalla presenza di rendimenti di scala decrescenti? (§4)

Capitolo 5 I fallimenti del mercato
 41
In cosa va ricercata l’origine di una esternalità? (§5)
Possono esistere casi di esternalità negative? (§5)
Perché l’esistenza di beni pubblici causa un fallimento del mercato? (§6)
La mancanza di un adeguato livello di informazioni può provocare un’inefficiente
allocazione delle risorse? (§7)
11. Cosa si intende per asimmetria delle informazioni? (§7)
12. Cosa si intende per selezione avversa? (§7)
13. Chi ha dato una definizione di beni meritori? (§8)
7.
8.
9.
10.
Edizioni Simone - Vol. 12/3 Compendio di scienza delle finanze
Parte terzaIl diritto tributario
Capitolo 2I principi giuridici dell’imposta
e le fonti del diritto tributario
Sommario1. Costituzione e principi giuridici in materia tributaria. - 2. Le altre fonti
del diritto tributario. - 3. L’efficacia della norma tributaria nel tempo e nello
spazio. - 4. Lo Statuto del contribuente. - 5. Interpretazione e integrazione
delle norme finanziarie. - 6. La lotta all’elusione e il diritto di interpello.
1.Costituzione e principi giuridici in materia tributaria
A) Generalità
Nell’ordinamento italiano fonte primaria del diritto tributario è la Costituzione.
La Carta Costituzionale differenzia i prelievi dalle altre limitazioni della proprietà,
ponendo le norme relative sotto la rubrica rapporti politici e non in quella inerente i
rapporti economici. Quanto detto, comunque, non significa che l’imposizione tributaria determini restrizioni della libertà personale, perché si tratta di norme idonee ad
assicurare la collaborazione e la solidarietà all’interno dello Stato.
Gli articoli fondamentali, in materia di imposte, sono:
— l’art. 23 che sancisce la riserva di legge in materia tributaria accogliendo un principio tipico dello «Stato di diritto» che è quello della legalità delle imposte;
— l’art. 53 secondo il quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva e il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Il dettato costituzionale, pertanto, contiene i tre fondamentali
principi dell’universalità dell’imposta, della progressività del sistema tributario e
dell’uguaglianza del carico tributario.
Altri principi in materia sono contenuti negli articoli 75 e 119 della Costituzione.
L’art. 75 afferma che non è ammesso il referendum abrogativo per le leggi tributarie;
l’art. 119, invece, demanda agli Enti territoriali una autonomia finanziaria, che è stata
estesa per effetto delle modifiche apportate all’articolo citato dalla legge costituzionale
n. 3 del 18-10-2001.
Inoltre l’attività legislativa nazionale in materia tributaria è vincolata dalle norme del­
l’Unione Europea (direttive, regolamenti e decisioni) che, pur non potendo istituire
nuovi tributi, tendono a realizzare importanti obiettivi comuni come l’armonizzazione
di sistemi fiscali di Paesi membri, la neutralità di alcune imposte e la lotta alle frodi
ed elusioni fiscali.

Capitolo 2 I principi giuridici dell’imposta e le fonti del diritto tributario
 145
B) Il principio della riserva di legge
In base all’art. 23 della Costituzione «nessuna prestazione personale o patrimoniale
può essere imposta se non in base alla legge».
Dottrina
La dottrina tradizionale, nonché la giurisprudenza costituzionale, attribuiscono all’art. 23 della
Costituzione la funzione di tutelare la libertà e la proprietà dei singoli (giannini) tipici dello Statoliberale. Ma la riserva di legge, oltre che di garanzia per i singoli, è espressione di democrazia.
Nella Costituzione l’imposizione tributaria è vista quale aspetto e strumento di politica sociale
e di redistribuzione del reddito, per cui la disciplina delle imposte non può che essere attribuita
al Parlamento o alle Assemblee rappresentative, organi più direttamente rappresentativi della
volontà popolare (F. TESAURO).
Va ricordato che l’espressione in base alla legge ha dato luogo a molteplici problemi.
Il primo e più importante riguarda il contenuto minimo che deve avere la legge che
istituisce un tributo.
La riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. deve essere considerata una riserva relativa e non assoluta: da ciò deriva che la legge (o gli atti aventi forza di legge) può non
regolare integralmente il rapporto tributario, demandando ad un regolamento (o ad altra
fonte subordinata) la disciplina specifica degli elementi fissati in generale dalla legge.
Quanto al contenuto minimo che la legge deve avere, esso si identifica negli elementi
necessari per individuare il nuovo tributo e cioè:
— il presupposto di fatto;
— i soggetti passivi;
— i principi di determinazione delle aliquote;
— le sanzioni.
C) Il principio della generalità del tributo
Il principio della generalità del tributo si ricava dall’art. 53 della Costituzione, in base
al quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche.
Il termine «tutti» si riferisce tanto ai cittadini italiani quanto agli stranieri e agli apolidi
che operano sul territorio dello Stato e che realizzano i presupposti di legge necessari
per essere soggetti all’imposizione fiscale.
Tale termine, inoltre, si rivolge sia alle imprese individuali che collettive, sia nazionali
che straniere.
Le eccezioni al principio di generalità
La generalità dell’imposta pone il problema della legittimità delle eccezioni; se, infatti, l’art. 53 parla
di tutti, si dovrebbe escludere la possibilità di esenzioni, a favore di alcuni soggetti.
Tuttavia, il legislatore può derogare al principio dell’universalità dell’imposta esentando quei cittadini che si trovino in determinate condizioni. Queste deroghe possono avere natura temporanea o
permanente, in relazione a particolari ragioni di giustizia sociale o di politica economica.
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Parte terza Il diritto tributario
Di particolare rilevanza sono le deroghe permanenti accordate ai contribuenti titolari di redditi minimi.
In questo caso, infatti, rispetto al principio della generalità dell’imposta, prevalgono motivazioni di
giustizia sociale, in quanto il reddito dei contribuenti meno abbienti è già di per sé tanto basso da
non tollerare il prelevamento dell’imposta.
D)Il principio dell’eguaglianza del carico fiscale
Il principio dell’eguaglianza, se appare chiaro nel suo significato più generale, è di
difficile realizzazione dal punto di vista sostanziale: mentre, infatti, tutti sono concordi
nel ritenere che le imposte debbano essere distribuite equamente, nel senso che a parità
di condizioni economiche i soggetti debbono sopportare parità di gravami tributari, si
discute sul come attuare praticamente tale principio.
Il principio dell’eguaglianza, se appare chiaro nel suo significato più generale, è di difficile realizzazione dal punto di vista sostanziale: mentre, infatti, tutti sono concordi nel
ritenere che le imposte debbano essere distribuite equamente, nel senso che a parità
di condizioni economiche i soggetti debbono sopportare parità di gravami tributari, si
discute sul come attuare praticamente tale principio.
E) Il principio della capacità contributiva
In base all’art. 53 della Costituzione «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche
in ragione della loro capacità contributiva».
L’art. 53 in sostanza pone una garanzia per i soggetti passivi disponendo che il legislatore nel determinare i tributi deve tener conto della loro capacità contributiva ponendo
pertanto un limite alla potestà impositiva in materia fiscale.
Dottrina
Il criterio mira a stabilire che un soggetto può essere tenuto ad adempiere una data prestazione
solo nel caso in cui il sorgere dell’obbligo posto in rapporto con un fatto, una circostanza, sia
suscettibile di valutazione economica (MICHELI). In definitiva — come osserva ABBAMONTE — può essere sottoposto a tributo solo ciò che indica l’esistenza di capacità contributiva
(non si possono tassare, ad esempio, le persone perché celibi o sposate, ma solo le situazioni
economicamente valutabili).
LUPI afferma che accanto alla funzione garantista, l’art. 53 è considerato anche una specificazione dei doveri di solidarietà economica e sociale sanciti dall’art. 2 della Costituzione: sotto
questo profilo la norma costituzionale indica al legislatore ordinario che tra i doveri di solidarietà
economica e sociale rientra anche quello di contribuire alle spese pubbliche in base alla capacità
economica, a prescindere da quanto si riceve in termini di servizi pubblici, divisibili o indivisibili.
Ne esce così rafforzato il punto di vista solidaristico (paga chi ha le disponibilità economiche)
rispetto al cosiddetto principio del «beneficio» in cui le spese pubbliche divisibili dovrebbero
essere di preferenza addossate a chi utilizza i relativi servizi.
Il principio della capacità contributiva, costituzionalmente sancito, può essere veramente
rispettato solo tenendo conto del sistema fiscale nel suo complesso: infatti, in un sistema tributario ove siano presenti in misura diversa imposte dirette ed imposte indirette, la prevalenza
di quest’ultime viene a ledere tale principio, in quanto le imposte indirette non tengono conto
della capacità contributiva dei singoli ed in tal modo possono incidere in misura maggiore sui
redditi dei meno abbienti.

Capitolo 2 I principi giuridici dell’imposta e le fonti del diritto tributario
 147
Alcuni autori (FALSITTA e LUPI) hanno posto l’accento sulla duplice funzione solidaristica e
garantista del principio di capacità contributiva. In particolare FALSITTA afferma che la capacità
contributiva opera:
— quale presupposto per la contribuzione. Non vi può essere obbligo di contribuzione se
manca del tutto la capacità economica;
— quale parametro dell’imposizione. Tanto maggiore è la capacità economica del soggetto,
tanto più elevato è il contributo che a tale soggetto può e deve essere richiesto;
— quale limite massimo all’imposizione.
F) Il principio della progressività
Quando il carico tributario cresce in rapporto diretto con il crescere della ricchezza considerata imponibile (es.: Tizio, che ha un reddito doppio di Caio, paga un’imposta pari
a due volte quella pagata da quest’ultimo), diciamo che la tassazione è proporzionale.
Quando il carico tributario cresce in misura più che proporzionale col crescere della
ricchezza imponibile (es.: Tizio paga un’imposta pari a tre volte quella di Caio, pur
avendo questi un reddito pari alla metà del suo), la tassazione è definita progressiva.
La tassazione progressiva, pertanto, è una tassazione ad aliquote (marginali) crescenti.
Il principio della progressività del sistema tributario è affermato dal secondo comma
dell’art. 53 della Costituzione. Tale principio:
— si riferisce non solo a tutto il sistema tributario statale, ma anche ai prelievi effettuati a
tutti i livelli della pubblica amministrazione (tributi locali, contributi previdenziali etc.);
— non indica alcun grado specifico di progressività che può, quindi, assumere valori
assoluti differenti e scarti di aliquota molto diversificati.
2.Le altre fonti del diritto tributario
Le fonti diverse dalla Costituzione sono ad essa subordinate, nel senso che debbono
uniformarsi ai principi sanciti dalla stessa.
A) Le norme del Trattato dell’Unione europea
Con l’entrata in vigore del Trattato del funzionamento dell’UE in materia economica
e finanziaria che tocca, in primis, la concorrenza e l’andamento del libero mercato e
lo sviluppo coerente ed ordinato delle attività economiche sul territorio dell’Unione,
si pongono problemi di limitazione della sovranità fiscale nazionale e di rispetto del
principio di dominio riservato della sfera statale (F. Amatucci) affidando, così, un
ruolo di primaria importanza alle fonti esterne derivanti dall’Unione europea che trovano
specificamente nell’art. 11 Cost. il loro fondamento costituzionale.
I principi europei — attraverso gli artt. 10, 11 e 117 Cost. — vincolano il legislatore
nazionale, l’Amministrazione finanziaria, e il potere giudiziario e si distinguono in:
— fonti primarie se contenute nei trattati istitutivi dell’Unione;
— fonti derivate se derivano dalla statuizione degli organi dell’Unione (direttive,
regolamenti).
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Parte terza Il diritto tributario
La giurisprudenza comunitaria vaglia situazioni di diritto interno offrendo un parametro unitario e comune che condiziona l’apparato ordinamentale nazionale e talvolta
può portare alla disapplicazione del diritto nazionale, fatti salvi i principi inderogabili
delle Costituzioni nazionali.
B) La legge
La norma tributaria, secondo l’art. 23 Cost., ha come fonte di produzione primaria la
legge che può creare, modificare, estinguere norme tributarie. Nessun tributo, dunque,
può essere creato con atto normativo diverso dalla legge (o da atto con forza di legge).
Tra i principi generali dell’ordinamento tributario, codificati nella L. 212/2000 (Statuto
del contribuente), particolarmente rilevante è quello che fissa l’irretroattività delle
leggi tributarie.
C) Decreti legislativi e decreti legge
Entrambi sono emanati dal Governo ed hanno la stessa forza della legge.
I decreti legge, in particolare, sono emanati dal Governo di propria iniziativa per motivi
di necessità ed urgenza (art. 77 Cost.) salvo, poi, la conversione in legge da parte delle
Camere entro 60 giorni dalla loro emanazione.
Nell’ambito delle modalità di legislazione previste dallo Statuto del contribuente (L.
212/2000) è sancito che nessun tributo può essere introdotto con decreto legge e che
la legislazione di urgenza non può individuare soggetti passivi di tributi già esistenti.
Attualmente, quindi, è molto più frequente il ricorso ai decreti legislativi i quali invece,
presuppongono una delega delle Camere al Governo con preventiva determinazione dei
principi e criteri direttivi che il Governo è tenuto a seguire (art. 76 della Costituzione).
D)Decreti ministeriali, dirigenziali e provvedimenti
I decreti ministeriali sono atti di normazione secondaria, adottati dai singoli ministeri,
in virtù di una legge che espressamente disponga in ordine a tale potere, nell’ambito
dei rispettivi settori di competenza.
In campo fiscale è assai frequente anche il ricorso a decreti interministeriali, trattandosi
di materie che investono le competenze e le responsabilità di più dicasteri.
I decreti dirigenziali sono atti adottati dai dirigenti generali finalizzati all’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale.
Per effetto del varo delle Agenzie fiscali i capi di queste ultime possono emanare appositi provvedimenti per l’organizzazione interna delle proprie strutture: attivazione
degli uffici locali, attribuzioni di competenze etc.
E) La potestà legislativa delle Regioni
Accanto allo Stato, anche le Regioni godono di potestà impositiva.
In particolare le Regioni a statuto ordinario, pur nel silenzio dell’art. 117 della Costituzione, godono di competenza normativa tributaria, limitata ai tributi cosiddetti
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Capitolo 2 I principi giuridici dell’imposta e le fonti del diritto tributario
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propri, in virtù dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 in base al quale le regioni
«stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e
secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»,
pur rimanendo fissa la competenza statale per la fissazione dei principi generali.
La potestà legislativa delle Regioni esclusiva non trova applicazione con riferimento ai
cd. tributi impropri, cioè quei tributi che pur denominati come regionali e il cui gettito
è attribuito alle Regioni, sono stati istituiti con legge dello Stato (es. IRAP). Tali tributi
non possono essere comunque modificati da legge regionale (FALSITTA).
Le Regioni a statuto speciale prevedono, nei rispettivi statuti, la loro autonomia, che va tuttavia
temperata con le norme nazionali.
L’accresciuta autonomia finanziaria degli enti locali — estesa per effetto delle modifiche apportate al titolo V della Costituzione dalla legge costituzionale 3/2001 — si
riflette nell’ampliamento della potestà regolamentare degli stessi in campo tributario.
Con la L. 42/2009 (legge delega sul federalismo fiscale) si è voluto accrescere l’autonomia delle Regioni, Comuni e Province. Successivamente sono stati emanati il D.Lgs.
23/2011 sulla fiscalità municipale e il D.Lgs. 68/2011 sull’autonomia finanziaria delle
Regioni e delle Province.
F) Istruzioni ministeriali
Sono atti contenenti disposizioni per gli uffici inferiori, per indirizzarne l’attività secondo i criteri dettati dall’organo superiore.
La forza delle circolari, atti amministrativi a rilevanza interna, è data dal vincolo
gerarchico; esse, pertanto, non possono considerarsi fonti di diritto oggettivo, né possono modificare norme preesistenti. Hanno, tuttavia, una forza normativa indiretta, in
quanto costituiscono condizione di legittimità degli atti emanati degli uffici inferiori.
G)Gli usi
Sono fonti di diritto non scritte in quanto sono regole costantemente osservate da parte
dei singoli. L’uso non può modificare o estinguere la norma tributaria, né completare
la norma stessa.
Degli usi è dubbia la rilevanza normativa.
3.L’efficacia della norma tributaria nel tempo e nello spazio
A) Efficacia nel tempo
Per quanto riguarda il termine iniziale dell’entrata in vigore delle norme tributarie,
non esistono difformità dai principi del diritto in generale.
Con l’art. 3 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente) il legislatore ha riaffermato il
principio della certezza giuridica anche in campo fiscale, stabilendo che le disposizioni
tributarie non possono avere effetto retroattivo.
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Parte terza Il diritto tributario
Per quanto attiene la cessazione di efficacia delle leggi tributarie la materia trova disciplina nell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale. Sono perciò possibili sia
l’abrogazione espressa che quella tacita: quest’ultima si verifica quando viene emanata
una legge che contenga disposizioni incompatibili con la precedente o ridisciplina
interamente la materia già regolata dalla legge anteriore.
Inoltre, le leggi tributarie cessano di avere efficacia qualora la Corte costituzionale,
con sentenza, riconosca l’incostituzionalità della norma.
Referendum
Le leggi possono essere abrogate mediante referendum, ma il referendum abrogativo non è ammesso
per le leggi tributarie.
Tra le leggi tributarie sottratte al referendum sono ricomprese sia le norme tributarie sostanziali
(ossia quelle che istituiscono e regolano un tributo) sia quelle strumentali (quali quelle relative alla
riscossione).
B) Efficacia nel tempo delle norme sanzionatorie
Il principio della ultrattività, già venuto meno per le sanzioni di carattere amministrativo a seguito della riforma operata dal D.Lgs. 472/1997, in vigore dal 1° aprile 1998, è
scomparso anche con riferimento alle leggi penali tributarie in seguito all’emanazione
del D.Lgs. 507/1999.
Il citato decreto legislativo ha, infatti, abrogato la norma della legge n. 4 del 1929 la
quale sanciva che «le disposizioni penali delle leggi finanziarie si applicano ai fatti
commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime
siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione».
In seguito all’abrogazione di tale norma si applica, sia per le sanzioni amministrative
sia per quelle penali, il principio di legalità in base al quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non ai sensi di una legge in vigore prima della commissione della
violazione e per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione
punibile (art. 3, co. 1 e 2, D.Lgs. 472/1997).
Tale principio è tuttavia mitigato da quello del favor rei, che consiste nell’applicazione
della legge più favorevole al contribuente nell’ipotesi in cui la violazione nel corso
del tempo sia stata punita con sanzioni di diversa entità, salvo che il provvedimento di
irrogazione sia divenuto definitivo (art. 3, co. 3, D.Lgs. 472/1997).
C) Efficacia nello spazio
La legge tributaria statale esplica la sua efficacia in tutto il territorio dello Stato. Il
legislatore può, tuttavia, configurare come presupposto di un’imposta da applicare in
Italia, un fatto che è avvenuto all’estero (ad es.: possesso di un bene all’estero).
Ciò crea un problema nei rapporti fra gli Stati rispetto all’imposizione fiscale, non
esistendo il principio del ne bis in idem in campo internazionale, si creano conflitti
di norme ed il medesimo fatto può essere colpito da diverse leggi fiscali emanate in
diversi Stati (cd. doppia imposizione).
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Capitolo 2 I principi giuridici dell’imposta e le fonti del diritto tributario
 151
Le leggi regionali, provinciali e comunali esercitano efficacia nell’ambito dei confini
dell’ente locale che le ha emanate.
Per quanto concerne le fonti normative sovranazionali, solo i regolamenti dell’Unione europea sono direttamente applicabili in ciascuno Stato membro senza necessità di recepimento.
4.Lo Statuto del contribuente
Nel tentativo di mutare radicalmente il quadro dei rapporti tra cittadino e fisco, improntandoli a principi di collaborazione e buona fede, è stato approvato, con L. 27-7-2000,
n. 212, lo Statuto dei diritti del contribuente.
Obiettivi primari della normativa sono:
— da un lato stabilire regole precise che vincolino il legislatore fiscale, riducendo il
caotico e disordinato flusso di disposizioni tributarie;
— dall’altro tutelare il contribuente contro disposizioni inique, vessatorie e predisposte
unicamente a vantaggio della pubblica amministrazione.
La piena attuazione dello Statuto è, tuttavia, subordinata all’emanazione di una serie di regolamenti,
relativi soprattutto a quelle disposizioni normative che prevedono un ruolo attivo dell’amministrazione finanziaria.
Le disposizioni dello Statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e in quanto tali richiedono deroga e modifica espressa: solo in casi eccezionali si
consente il ricorso a leggi interpretative.
L’art. 10 dello Statuto sancisce la regola fondamentale della materia secondo la quale
«i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede» e «non sono applicabili sanzioni al
contribuente che si sia attenuto ad indicazioni contenute in atti dell’amministrazione
finanziaria o a seguito di ritardi, omissioni od errori della stessa. Non vanno applicate
sanzioni, inoltre, quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza
sull’applicazione della norma tributaria».
Da tale articolo discendono due principi fondamentali: la tutela della buona fede e del
legittimo affidamento.
La buona fede riguarda numerose norme di comportamento cui è tenuta l’Amministrazione improntate a principi di correttezza quali ad esempio:
— correggere errori macroscopici in cui è incorso il contribuente;
— ritirare atti ritenuti illegittimi.
In base a tale principio l’Amministrazione è tenuta a:
— informare correttamente i contribuenti di ogni atto o fatto da cui possa derivare il
mancato riconoscimento di un credito;
— fornire i modelli di dichiarazione e le relative istruzioni;
— motivare i propri atti;
— garantire al contribuente l’effettiva conoscenza degli atti a lui destinati.
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Parte terza Il diritto tributario
Con la Statuto si è inteso tutelare, inoltre, il contribuente che, comportandosi in buona fede,
faccia affidamento sulle indicazioni fornite dall’amministrazione tramite ad es. le circolari.
Ciò significa, pertanto, che se il contribuente si è comportato in un certo modo affidandosi ad una data interpretazione ministeriale e in seguito questa è mutata «in peggio»,
il nuovo orientamento non può valere per il passato.
5.Interpretazione e integrazione delle norme finanziarie
Interpretare una norma significa compiere un’operazione mirante a ricercare il significato della stessa.
La legge tributaria non si comporta diversamente da ogni altra legge, per cui ad essa si
applicheranno tutti i procedimenti tecnici previsti per interpretare la norma.
Per il diritto tributario, questa operazione è spesso complessa, perché:
a) il legislatore tributario di frequente usa un linguaggio molto tecnico, ma non sempre
preciso;
b) talvolta mancano, nel corpo delle norme tributarie, disposizioni di carattere generale;
c) nella ricerca della ratio della norma, spesso si deve procedere ad una identificazione
di elementi economico-politici e tecnico-finanziari.
Altre fonti interpretative sono rappresentate dalle istruzioni ministeriali, dalla dottrina
e dalla giurisprudenza.
6.La lotta all’elusione e il diritto di interpello
A) Generalità
Con l’elusione il contribuente mira ad evitare il prelievo tributario a suo carico ricorrendo ad opportune scappatoie al limite della legalità. Il fenomeno consiste nello
sfruttamento, operato da alcune categorie di soggetti, delle smagliature delle norme
tributarie per realizzare un consistente risparmio d’imposta.
L’elusione si realizza quando il contribuente applica (abusivamente) una normativa
fiscale più favorevole eludendo, in tal modo, il regime fiscale appropriato (abuso di
diritto) come, ad esempio, nel caso in cui si stipuli un contratto volto ad eludere l’applicazione di una norma fiscale o riqualifichi un negozio giuridico elusivo in modo da
far emergere il vero negozio posto in essere dalle parti.
I comportamenti elusivi possono essere neutralizzati ricorrendo a tre diversi meccanismi difensivi:
1) introdurre un’ampia casistica di presunzioni legali, volte ad individuare legalmente
il fatto tassabile;
2) abrogare o modificare norme tributarie che abbiano consentito in passato eccessive
smagliature (si pensi alle disposizioni che hanno soppresso le società di comodo e
le fusioni di comodo di società non operative, definite scatole vuote);
3) applicare sanzioni amministrative o penali ai fenomeni elusivi.
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Capitolo 2 I principi giuridici dell’imposta e le fonti del diritto tributario
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L’art. 37bis del D.P.R. 600/1973 costituisce attualmente la più incisiva norma antielusiva
del nostro ordinamento: tale articolo prevede che «sono inopponibili all’amministrazione finanziaria tutti quegli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare
obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte
o rimborsi altrimenti indebiti».
Pertanto, affinché la norma antielusiva possa essere applicata, è necessario che:
— si consegua, attraverso di essa, un effettivo vantaggio fiscale (riduzione o rimborso
di imposta);
— ci si trovi in presenza di un comportamento volto ad aggirare il sistema fiscale;
— gli atti posti in essere non siano supportati da apprezzabili ragioni economiche.
Per valide ragioni economiche si intende, secondo la relazione ministeriale, un’apprezzabilità
economico-gestionale e non una formale ed astratta «validità giuridica».
Giurisprudenza
Molto si dibatte sui concetti di abuso del diritto di elusione ed in particolare la Cassazione è
intervenuta con due sentenze di interpretazione restrittiva in merito alla necessità dell’assenza
di valide ragioni economiche.
Con la prima, del 30-11-2011, n. 25537, ha chiarito che questo requisito può ritenersi implicitamente verificato ove si assume che l’unico motivo dell’aggiramento sia il conseguimento di
un vantaggio fiscale.
Con la seconda del 16-2-2012, n. 2193 la Corte di Cassazione ha stabilito che il contribuente
non può conseguire indebiti vantaggi fiscali mediante l’utilizzo distorto degli strumenti giuridici
dell’autonomia privata. Per cui sono disconosciuti gli effetti di qualunque negozio giuridico posto
in essere solo per conseguire vantaggi fiscali.
La delega fiscale sull’abuso del diritto e l’elusione fiscale
Con la legge delega di riforma fiscale (L. 11 marzo 2014, n. 23) viene ad essere disciplinato l’abuso
del diritto. In particolare l’art. 5 prevede l’emanazione di decreti legislativi volti ad unificare le
disposizioni antielusive al principio generale del divieto dell’abuso del diritto.
La delega prevede che i decreti debbano:
— definire la condotta abusiva intesa come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un
risparmio di imposta anche se tale condotta non è in contrasto con alcuna disposizione;
— garantire la libertà di scelta del contribuente tra molteplici operazioni comportanti anche un
diverso carico fiscale;
— prevedere l’inopponibilità, da parte del contribuente all’amministrazione finanziaria, degli strumenti giuridici di cui al primo punto e il potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio
d’imposta.
In sostanza viene sancita legalmente l’eguaglianza tra elusione e abuso del diritto.
È a carico del contribuente, inoltre, l’onere della prova delle valide ragioni economiche
che gli consentono di accedere al risparmio fiscale.
Altra disposizione di carattere antielusivo è contenuta nell’art. 110 del TUIR.
In particolare, il comma 10 dell’art. 110 del TUIR prevede che non sono ammesse in
deduzione dal reddito dell’impresa le spese e gli altri componenti negativi derivanti da
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Parte terza Il diritto tributario
operazioni intercorse con imprese residenti in Italia e imprese domiciliate fiscalmente in
Stati o territori non appartenenti all’Unione europea e aventi un regime fiscale privilegiato.
Sono considerati regimi fiscali privilegiati quelli di paesi o territori in cui:
— il livello di tassazione è sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia;
— manca un adeguato scambio di informazioni o di altri criteri da cui si possa desumere
la formazione del reddito.
B) L’interpello previsto dall’art. 21 della L. 413/1991
Al fine di arginare i comportamenti antielusivi e favorire i rapporti tra contribuente
e fisco, l’art. 21 della L. 413/1991 ha introdotto nel nostro ordinamento per la prima
volta il diritto d’interpello (ruling).
Ai sensi dell’articolo suddetto, ciascun contribuente, anche prima della conclusione di
contratti, atti o convenzioni, può preventivamente interpellare l’Agenzia delle entrate.
In caso di mancata risposta, entro 120 giorni dalla data di presentazione dell’istanza l’interpellante
può diffidare l’Agenzia delle entrate ad adempiere nei successivi 60 giorni. La mancata risposta
equivale a silenzio-assenso.
Il contribuente può richiedere il parere dell’Agenzia delle entrate per l’applicazione ai casi concreti delle disposizioni antielusive nel co. 2 dell’art. 21 fra le quali i casi di interposizione fittizia
e le operazioni o i comportamenti elusivi ex art. 37bis D.P.R. 600/1973 esaminati alla lett. A del
presente paragrafo.
C) L’interpello generalizzato (o ordinario)
Con l’approvazione dello Statuto del contribuente ad opera della L. 212/2000, è stato
ampliato l’ambito di applicazione del diritto d’interpello rafforzando, così, il rapporto
di fiducia tra il fisco e il contribuente.
La nuova normativa — contenuta nell’art. 11 dello Statuto e integrata dal regolamento
di attuazione (D.M. 26-4-2001, n. 209) — fissa regole ben precise volte a tutelare il
contribuente che, facendo affidamento sulle circolari ed istruzioni del fisco, si comporti in un determinato modo successivamente considerato errato per un cambiamento
dell’orientamento dell’amministrazione finanziaria.
L’istituto in esame, inoltre, viene esteso a tutte le materie fiscali a condizione, però,
che l’istanza presentata dal contribuente sia circostanziata, riferita a casi concreti e
personali, relativa ad obiettive condizioni d’incertezza sulla corretta interpretazione
della norma fiscale.
Ricorrendo tali presupposti l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dare risposta entro
120 giorni: in caso contrario il comportamento prospettato dal contribuente si intende
implicitamente accettato.
D)L’interpello in materia di società partecipate estere
Le disposizioni antielusive relative alle società partecipate estere (CFC), attualmente
contenute negli artt. 167 e 168 del TUIR, possono essere disapplicate, con la procedura
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Capitolo 2 I principi giuridici dell’imposta e le fonti del diritto tributario
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di cui all’art. 11 della L. 212/2000 (vedi supra lett. C), pur trattandosi di materia per
la quale è previsto il ricorso all’interpello ex L. 413/1991.
Tale procedura si rende applicabile quando il soggetto residente dimostri in alternativa che:
— la società non residente svolge nello Stato o territorio ove ha sede, quale attività
principale un’effettiva attività industriale o commerciale;
— dalle partecipazioni non consegua la localizzazione dei redditi in Stati o territori
sottoposti a regimi fiscali privilegiati.
E) Il ruling internazionale
L’art. 8 del D.L. 269/2003 ha introdotto un tipo di interpello rivolto alle imprese che
svolgono attività internazionale.
Queste ultime possono ricorrere ad una procedura di ruling di standard internazionale
con riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi,
delle royalties e alla valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti che
configurano una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, nonché alle vigenti
disposizioni contro le doppie imposizioni.
Si tratta, in sostanza, di una sorta di «concordato preventivo» tra imprese multinazionali e fisco:
infatti, la procedura si conclude con un accordo — vincolante per un triennio — tra il competente
Ufficio dell’Agenzia delle entrate e il contribuente.
L’esito dell’accordo deve essere comunicato all’autorità fiscale competente degli Stati di residenza
o di stabilimento delle imprese con i quali i contribuenti pongono in essere le relative operazioni.
Questionario
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Qual è la fonte primaria del diritto tributario? (§1)
Quale articolo della Costituzione stabilisce il principio della riserva di legge? (§1)
Il principio della capacità contributiva in che cosa consiste? (§1)
Quando la tassazione è considerata progressiva? (§1)
In che cosa differiscono i decreti legislativi dai decreti legge? (§2)
Il referendum abrogativo è ammesso per le leggi tributarie? (§3)
Una disposizione tributaria può essere retroattiva? (§3)
Quali obiettivi si è voluto raggiungere con l’approvazione dello Statuto del contribuente? (§4)
Quali funzioni svolge il Garante del contribuente? (§4)
Che cos’è l’elusione fiscale? (§6)
In che cosa consiste il diritto di interpello? (§6)
Che cosa s’intende per interpello generalizzato? (§6)