la dimensione educativa dello sport
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la dimensione educativa dello sport
LA DIMENSIONE EDUCATIVA DELLO SPORT Serata di formazione con i dirigenti e gli allenatori sportivi della parrocchia di S. Ilario Non sono uno sportivo ma credo molto nel potenziale educativo dello sport. Sono convinto che lo sport aiuti una persona a crescere. Una delle prime cose che feci nella parrocchia di Rio Saliceto dove fui inviato come prete giovanissimo - era il settembre del 1978 e avevo solo 23 anni - fu proprio l’incentivazione dell’attività sportiva. Ma veniamo a noi. Innanzitutto mi compiaccio delle relazioni che mi avete fatto pervenire: sono piene di passione educativa e sportiva. Complimenti! Alcuni testi in particolare li ho travati davvero belli. Con le considerazioni che ora svolgo spero di rispondere almeno a qualche questione da voi sollevata. La domanda che vorrei affrontare è questa: in che modo lo sport aiuta a crescere e a maturare? 1) Una persona attraverso lo sport impara a conoscersi. * Lo sport fa conoscere il proprio fisico, cioè le caratteristiche e le reazioni del proprio organismo. Fa conoscere le proprie prestazioni fisiche, cioè le cose in cui uno se la cava o no. * Fa conoscere la propria capacità di concentrarsi. Un elemento prezioso nella crescita della persona è l’ attenzione a quanto si fa, e questo proprio lo sport lo favorisce. La concentrazione è il sapere raccogliersi dalla dispersione e da quanto ci frulla in testa per ritrovare l’unità della mente, della volontà e del cuore. Il concentrarsi è favorito dall’ interesse. Il “t’ interessa” è quello che tiene in piedi la tua costanza e la perseveranza. * Fa conoscere la propria capacità di accettazione. Là dove ti trovi a fare una gara le cose sono come sono, e non come tu le vorresti: la palestra in cui ti trovi è quella che è; se il campo non è sfalciato a modo, non ci puoi fare niente. L’arbitro forse è tutt’altro che simpatico; alcuni tuoi compagni di squadra ti danno da fare, ma sono quelli lì;... E dunque se non hai la capacità di vedere e accettare la realtà così com’è, vivi male il tuo fare sport. Fare sport è scuola di accettazione e collaborazione. Una cosa fondamentale della vita è dire di sì a se stessi e alle circostanze nelle quali ci troviamo. Ci piacerebbe essere perfetti, ma così non è. Abbiamo bisogno di conoscere quello che siamo e una volta conosciuti occorrerebbe dire: è bello che io abbia certe doti e anche certi limiti; è bello che io abbia ricevuto il codice genetico dai miei genitori che per certi aspetti mi dà un fisico sano, ma è anche bello accettare quegli aspetti che sono invece di insufficienza, perché di codici genetici perfetti non ne esistono in natura. Questa accettazione di sé è la 1^ prestazione fondamentale dell’uomo e lo sport in questo aiuta. * Fa conoscere la propria capacità decisionale. Mentre si gioca si è costretti a prendere decisioni anche sul momento, senza la possibilità di rimandarle. * Fa conoscere il proprio rigore morale. Fare sport porta a verificare quanto nella gara c’è correttezza, quanto si riesce a controllare il proprio impulso a barare o a ingannare; quanto si è in grado di giocare lealmente;… 2) Qualche approfondimento Ho parlato sopra di ‘accettazione’. L’accettazione di sé, pur importante, non deve però diventare un assoluto. Uno non può dire: “Io son fatto così, punto e basta!”. No! L’accettazione di sé deve tendere al miglioramento di sé. L’uomo è fatto per trascendersi, cioè per superarsi. Ebbene, l’esercizio fisico sportivo è da questo punto di vista prezioso, non perché rende l’uomo perfetto, ma perché lo aiuta a migliorarsi. L’allenamento e la disciplina sono preziosi perché aiutano la persona a diventare padrona di sé, dei suoi impulsi. Gli impulsi li abbiamo, e come li sentiamo! Viene l’impulso della rabbia e dell’aggressività, ma la persona matura è appunto quella che ha imparato a conoscere i suoi impulsi; li sa controllare, li gestisce con tutta la ragionevolezza possibile e li integra nella relazione con gli altri. Legato al tema dell’accettazione c’è quello della pazienza: è la capacità di sopportare il tempo che ci vuole per arrivare al traguardo. Uno non può pretendere di arrivare al traguardo subito, forse lo può pretendere per le cose da poco, ma per le cose importanti il cammino è lungo e ci vuole la pazienza e perseveranza. Fa parte dell’accettazione, l’accettazione delle regole. Le regole non sono perfette, non esistono leggi perfette, tolte quelle di Dio. Ma le leggi permettono agli uomini di incontrarsi su un piano di parità. Se io baro, mi pongo in un atteggiamento di non parità con l’altro. Imparare ad accettare le regole nella vita personale e sociale, è importante. Dicevo prima dell’accettazione anche dell’arbitro. Anche il signor arbitro perfetto non è, e però fa parte del gioco accettare la sua decisione. E questo è indispensabile perché il gioco funzioni. Altrimenti si scade in una dinamica senza regole, da “libera volpe in libero pollaio”: senza regole, a rimetterci sono “i polli”, cioè i deboli che possono essere facilmente pestati o oppressi. La regola serve esattamente per difendere chi è più debole e metterlo su un piano di parità nel rapporto con gli altri. E imparare ad accettarlo è prezioso. Il discorso sulle regole sconfina poi in quello, importante, della disciplina, non intesa come imposizione dall’esterno, ma come un autodominio. Disciplina è voler per propria decisione mettere ordine alla propria esistenza. > Sport è imparare a perdere Se la prestazione dell’altro è stata migliore, riusciamo a riconoscerlo? E’ inevitabile che, se siamo in due a giocare - a tennis ad es. - o vince uno o l’altro, non è possibile diversamente; quindi se la prestazione dell’altro è stata migliore, bisogna riconoscerlo. Se uno accetta questo atteggiamento si pone in un cammino di crescita. Perché se perdo, se sono una persona ragionevole e matura, comincio a riflettere e mi chiedo: “Qual è stato il mio limite nella mia preparazione? Dove ho sbagliato lungo la gara?”. Allora sì, che una simile riflessione mi aiuta a cambiare. E se individuo qualcosa di errato, sono spronato a migliorarmi. Il riconoscimento di essere stato inferiore può diventare l’occasione per un recupero e un lavoro sulle mie prestazioni. Una sconfitta brucia sempre, anche in allenamento. E’ inevitabile che quando uno perde si scatenino in lui gelosie, invidie, ribellioni, rabbie… Ma non è un problema se tali cose vengano fuori, anzi vale la pena rendersene conto: solo così s’impara a divenire padroni dei propri sentimenti. I sentimenti sono preziosissimi, perché sono un’energia immensa che l’uomo può mettere al servizio delle sue attività; ma sono un’ energia salutare se sono controllati, perché se sono vaganti e non si capisce dove vadano a parare, possono diventare distruttivi. In breve, la sport può essere un cammino per arrivare ad un buon controllo di sè. > Sport è imparare a perdere, ma è anche - pur se più difficile - imparare a vincere. Se non è facile imparare a perdere, forse è ancora più difficile imparare a vincere. Occorre imparare a vincere senza che la gioia per la propria prestazione diventi arroganza e autosufficienza, perché il rischio è di non vedere più i propri limiti e difetti. “Se io mi sento perfetto, perché devo cambiare? Io resto così!”. Ma questo è pericoloso, perché se uno non migliora, prima o poi viene facilmente superato; e allora è necessario non dimenticare che la vittoria è sempre provvisoria. Io ho vinto ieri, ma domani? Non ho la garanzia. La vittoria non diventa una collocazione in riposo perché ho “raggiunto il vertice della montagna”. Diventa invece un momento in cui debbo rigenerarmi con l’energia che mi viene dell’aver vinto. L’energia è un sentimento positivo, grande e bello, ma deve essere accompagnata dalla possibilità di rigenerarsi. E devo sapere che prima o poi verrà il momento in cui perderò, se non altro per motivi di età. Uno fa sport e vince quando è giovane, ma poi diventa vecchietto e comincia a camminare più adagio e ad avere meno energie, e riuscire a rendersene conto è fondamentale. Bisogna riuscire ad accettare che la vita è fatta in un modo preciso: nasce debole, diventa forte, e poi pian piano torna debole. Ecco perché il forte non può farsi arrogante: anche lui è nato bambino e se non aveva una mamma che lo prendeva in braccio non poteva vivere. Quindi, questo suo successo fa bene a tenerselo, ma sappia che ce l’ ha provvisoriamente. Lo gestisca al meglio perché verrà il momento in cui tale forza non l’avrà più o almeno non più così intensa e forte. Imparare questo vuole dire diventare saggi. > Sport è imparare a collaborare. Se fare sport è stare insieme e interagire, da esso si può imparare la collaborazione, cioè a saper giocare ma anche far giocare l’altro. E’ importante a volte che io rinunci a emergere perché possa emergere l’altro, che in certe situazioni è fin migliore di me. La squadra vince se ciascuno ci mette il massimo, ma anche se ciascuno è capace di lasciare spazio agli altri. E’ scuola di umiltà essere capaci qualche volta di rimanere nell’ ombra lasciando che emerga qualcun altro. Comprendiamo bene allora quanto fare sport possa favorire un cammino di crescita personale. Preciso una cosa: lo sport non è educativo per natura, ma lo può e lo deve diventare solo se lo si vive con certe disposizioni. > Sport è prendersi cura Dallo sport s’impara anche a prendersi cura di sè. Una delle cose tragiche della vita di un giovane è quando si butta via, quando smette di prendersi cura di sè. Ora, fare sport è segno che si è attivi, vivi, che non ci si trascura, bensì che ci si ama, che si ha a cuore la propria crescita. C’è poi il prendersi cura della squadra. “Mi sta a cuore il bene della squadra, fino al punto che sono disposto a sacrificare un pezzo del mio successo perché la squadra riesca”. “Prendersi cura della squadra” è molto importante perché in ogni squadra sportiva l’ unità di gruppo è vitale. Il prendersi cura riguarda anche l’avversario. Tocchiamo qui il tema della lealtà: “se io sono leale nei tuoi confronti, in qualche modo mi prendo cura di te, ti pongo su una condizione di uguaglianza, di parità; non ti opprimo, ti lascio esprimere e ti lascio anche vincere. Non ti lascio vincere nel senso che io non gioco bene, ma accetto che tu vinca; quindi in qualche modo se lo accetto lealmente, mi prendo cura di te.” Infine c’è il prendersi cura del pubblico (gli spettatori) e dei giovani, perché non c’è dubbio che lo sport abbia un valore esemplare immenso. Il comportamento di uno sportivo, specie se bravo, diventa anche responsabilità nei confronti della società che ruota intorno allo sport e che ad esso dà un’importanza enorme. Tale responsabilità è anche nei confronti dei giovani, che vedono negli sportivi dei modelli; se il comportamento degli atleti è esemplare facilita il desiderio degli altri di diventare un po’ più maturi, di diventare un po’ più capaci di prendere in mano la propria vita. > Lo sport parrocchiale è un’ occasione missionaria In parrocchia vengono a fare sport ragazzi praticanti e non. Verso quest’ ultimi l’allenatore cristiano è tenuto ad avere un occhio di riguardo. Non è la 1^ volta infatti che qualche sgarbo o disattenzione abbia ulteriormente allontanato certi ragazzi. Tra qualche giorno sarà San Giovanni Bosco, patrono della gioventù. Affidiamoci alla sua intercessione affinché la nostra attività sportiva divenga sempre più una realtà bella ed educativa e perché attraverso di essa si riesca a risalire a Colui che è il vero artefice di ogni autentica crescita e del raggiungimento di vittorie e traguardi. Don Fernando S. Ilario d’ Enza , 28.01.2013