le difficoltà della famiglia sono causa o effetto delle difficoltà della

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le difficoltà della famiglia sono causa o effetto delle difficoltà della
le difficoltà della famiglia sono causa o effetto delle
difficoltà della società?
Martedì 20 gennaio 2015 Redona
Può sembrare un luogo comune ma oggi non viviamo più nella “societàcomunità delle famiglie”. Dove si era riconosciuti per l’appartenenza alla
famiglia (il figlio di). Se analizziamo quel tipo di società con gli occhi di oggi
diverse cose ci appaiono strane. Si perché vivere in quel tipo di società voleva
dire spesso e volentieri aver di fronte, in modo quasi determinato il proprio
percorso di vita (la biografia della propria vita). Il legame intergenerazionale
della famiglia e tra le famiglie era molto forte, per alcuni troppo forte. Del resto
il legame con le altre istituzioni era anch’esso molto forte (chiesa, comunità,
ecc.). L’identità aveva un suo nucleo ben stabile, il solco nel quale stare era
molto chiaro. Si viveva in una società tutto sommato semplice e abbastanza
prevedibile.
Oggi, come sappiamo, molti di questi legami si sono allentati in quanto
giudicati come costrittivi. Maggior spazio viene data all’individualità e alla
autorealizzazzione.
Si è resa più complessa la società ma si è anche notevolmente articolata la vita
di ognuno di noi. Le biografie non sono certamente chiare a priori, anzi
l’incertezza, nonostante la nostra razionalità che tutto chiarisce e giustifica,
sembra inarrestabile.
Differenziazione e individualizzazione sono i due fondamentali processi della
modernizzazione, dai quali derivano i caratteri decisivi della modernità.
E’ ormai evidente che la famiglia stia vivendo alcune difficoltà:
 la famiglia tende a privatizzare i propri ruoli,
 fatica a trovare spazi e tempo per stare assieme ed educare i figli,
 i giovani trovano difficoltà ad esprimere una loro progettualità,
 il numero degli anziani soli è notevole,
 sono in aumento i casi di patologie di coppia (separazioni e divorzi),
 i costi sociali sono in costante aumento.
Siamo in difficoltà a leggere i comportamenti delle famiglie trovando in essi dei
punti di speranza che ci rendano più ottimisti di vivere serenamente il nostro
tempo.
Facili sono anche i confronti con le idealizzazioni di un modello di famiglia e di
comunità a tratti irrealistici. Il confronto potrebbe essere positivo se
riuscissimo a vedere i chiari e scuri di tutte e due le epoche. Altro problema è
che proprio perché li stiamo vivendo che ci è più difficile analizzarli.
Oltre agli elementi di negatività, ci vengono forniti dei modelli di famiglia verso
i quali tendere che sono per lo più straordinari e non sempre pienamente
adeguati.
Certamente i cambiamenti che si sono manifestati sono fenomeni tipici della
nostra società consumistica.
La moda attuale incoraggia lo sfogo immediato e diretto dell’eccitazione, la via
breve della soddisfazione, piuttosto che incitare alla dilazione e al rinvio del
piacere. Le società occidentali, lungi dal contribuire a consolidare il sentimento
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di appartenenza, incoraggiano piuttosto l’individualità, se non addirittura la
solitudine la vita da single.
Oggi il sistema societario impone alla famiglia dei comportamenti ispirati ad un
individualismo strumental-acquisitivo che provocano nella famiglia spinte alla
frammentazione, una elevata conflittualità interna, una sempre più debole
capacità di affidarsi a valori, e in generale uno scadimento della capacità
comunicativa significante nelle reti familiari, parentali, amicali, di vicinato.
La transitorietà ha sostituito la durevolezza in cima alla scala dei valori. Quello
che oggi viene apprezzato (sia per scelta sia per necessità non imposta) è la
capacità di essere in movimento, di viaggiare leggeri e con poco preavviso. Il
potere si misura in base alla velocità con cui si sfugge dalle responsabilità. Chi
accelera vince; chi si ferma perde.
A contare non è però la forza, bensì il numero di contatti, non è la durevolezza,
bensì la disinvoltura con cui si allacciano (e quindi con cui si abbandonano).
Non ha importanza se i singoli nodi hanno vita breve.
La cultura della società dei consumi riguarda piuttosto il dimenticare che non
l’imparare.
Le cose ottenute vanno consumate, non conservate. Non ci si aspetta e non si
desidera che durino per paura che rubino il posto ad altre cose “nuove e
migliori”. La durata è stata svalutata, mentre il valore della transitorietà cresce
rapidamente.
Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquistare e
possedere, né di accumulare ricchezze in senso materiale, tangibili, quanto
l’eccitazione per sensazioni nuove, mai sperimentate prima. I consumatori
sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni: sono collezionisti di cose solo in
un senso secondario e derivato.
Essere moderni significa essere incapaci di fermarsi, e a maggior ragione di
rimanere fermi.
Ma tutto ciò ha i suoi risvolti negativi: fragilità, insicurezza, ecc..
Questa improvvisa abbondanza e palese disponibilità di “esperienze amorose”
potrebbe alimentare e di fatto alimenta la convinzione che l’amore
(l’innamorarsi, il chiedere amore) sia un’arte che si può imparare e la cui
padronanza aumenti in base al numero di esperimenti e all’assiduità
dell’esercizio.
Minore è l’ipoteca, meno insicuro ti sentirai quando sarai esposto alle
fluttuazioni del futuro mercato, meno investi nella relazione, meno insicuro ti
sentirai quando sarai esposto alle fluttuazioni delle tue emozioni future. Ci
vuole poco perché la convivenza si trasformi nel suo opposto. E dunque, “fa sì
che la relazione non sfugga mai al controllo razionale, non permettere che si
sviluppi la propria logica e soprattutto che acquisisca diritti di possesso”.
Le persone si lanciano alla ricerca di partner e “instaurano rapporti” per
sfuggire al fastidioso senso di fragilità, solo per poi ritrovarsene ancora più
penosamente preda. Quello che si sperava/credeva/intendeva fosse un rifugio
(forse il rifugio) contro la fragilità, si dimostra invece, ogni volta, la sua fucina.
“Evita gli abbracci troppo soffocanti. Ricorda: quanto più profondi e densi sono
i tuoi impegni e coinvolgimenti, tanto maggiori sono i rischi che corri.”
A questi cambiamenti corrisponde una nuova semantica dell’amore che ne
evidenzia i caratteri di passione non regolabile socialmente: l’amore è ormai
pensato come un’esperienza privata impermeabile alla normatività sociale e
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senza più connessione con le responsabilità pubbliche e con i criteri di giudizio
morali.
Quello che sino a molti anni fa rappresentava un semplice problema di
compatibilità nell’impiego delle risorse familiari e individuali disponibili, sembra
assumere ora la forma brutale di un’alternativa “quello o quello”: più bambini o
maggiori consumi, vita per sé o vita per gli altri, carriera o sacrificio delle
proprie aspirazioni professionali a beneficio della necessità di altri componenti
della famiglia, in particolare il bambino.
Assistiamo da un lato al nascere di nuove aspirazioni, soprattutto di maggiore
affettività e parità nella coppia, di bisogno di stare assieme, anche con i figli
piccoli, di creare nuove reti amicali e di vicinato. Dall’altro i comportamenti
restano assai rigidi e tradizionali, con vuoti affettivi notevoli, una divisione
sessuale del lavoro molto accentuata, scarso tempo dedicato ai figli,
isolamento da forme partecipative e scarsi scambi verso l’esterno.
Il matrimonio sembra persistere come “ideale”, ma tale ideale: contiene aspetti
irrealistici, perché ci si aspetta dall’altro una felicità che l’altro non può dare.
Scarse sono la capacità di tollerare le ambivalenze (personali e situazionali), di
superare eventuali “sbandate”, di accettare le cose che non vanno bene e le
inevitabili rinunce. Manca una relazionalità adeguata e coerente al progetto
matrimoniale, sia all’interno della coppia, che nel rapporto con la famiglia e con
il gruppo degli amici, in quanto ai giovani non vengono offerti modelli
strutturati di comportamento che consentano di bilanciare l’unità-solidarietà di
coppia con l’autonomia-libertà dei soggetti.
Una volta sposati, ciascun coniuge cerca dall’altro sempre maggiori
consolazioni, e siccome l’altro aspetta da lui/lei esattamente la stessa cosa, è
altamente probabile che si manifestino delusioni, frustrazioni e comunque
risposte insoddisfacenti. In un tale clima, anche l’aver figli diventa un obiettivo
o un evento altamente ansiogeno, ipercaricato di emotività e anche di valori di
auto-affermazione, cosicché vengono messe a dura prova le capacità di
sacrificio e di accordo.
Il matrimonio richiede un impegno incondizionato e duraturo, un impegno “per
sempre”. Si comprende perciò che esso possa far paura.
Per la cultura postmoderna, impegni matrimoniali, valorizzazione della
stabilità, rilevanza delle appartenenze familiari sembrano essere niente più che
“sopravvivenze”.
I giovani di oggi sono assai più insicuri dei giovani del passato proprio perché
vivono in un mondo in continuo mutamento, in cui non ci sono punti di
riferimento stabili e sicuri, in cui cioè si vive all’insegna della precarietà anche
per quanto riguarda i propri sentimenti più profondi come l’amore per un’altra
persona.
Volenti o nolenti, vivere la coppia vuol dire accettare di costruire insieme
regole di vita; in caso contrario, la coppia non si forma oppure non va avanti.
Una relazione “fissata-stabile” comporta un numero più elevato di vincoli, ma
offre anche una maggior sicurezza; una relazione “mantenuta libera” lascia sì
aperte molte strade, ma, appunto, “media di meno” e, dunque, comporta
maggiori insicurezze fra i partner.
E’ possibile vivere in famiglia come individui casuali che si incontrano,
coabitano, condividono gli stessi spazi e magari fanno talora anche le stesse
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cose; nella quale ciascuno ha come punto di riferimento se stessi, la propria
autorealizzazione, il proprio successo, la propria felicità?
In nome della mia autonomia decido di non volermi legare, pensando che se mi
lego perdo la libertà. Ma se non mi lego all’altro non lo incontrerò mai.
Nel legame familiare non c’è solo l’istinto, il piacere, l’interesse, ma c’è un
senso, un significato, un valore che mette in gioco la dignità della persona e la
sua libertà. Se andiamo ancora un po’ più in profondità, all’interno di questi
valori messi in gioco dal legame troviamo il dono. Nel legame familiare, di
coppia e di relazioni genitoriali, filiali e comunque parentali, c’è il dono. Il dono
è il fatto che pur attraverso l’istinto, il piacere e anche l’interesse la persona si
dà all’altro.
Se viene meno l’attitudine al dono, l’apertura all’altro, la capacità di
gratitudine, le relazioni si fanno utilitaristiche e strumentali, sia che esse
riguardino la sfera sessuale sia che concernano la vita quotidiana.
E’ possibile che, per qualche tempo, i vari egoismi trovino un punto di incontro
e di equilibrio. Ma quando i rapporti fra uomo e donna e fra genitori e figli sono
soltanto un intreccio e una relazione di contrapposti egoismi, la vita di
relazione fa poca strada, e la crisi, almeno nella forma dell’indifferenza e della
opacità dei rapporti, è dietro l’angolo. Ben diverso è invece lo scenario quando,
nella relazione familiare, si assume il punto di vista dell’altro e si è disponibili a
sacrificare, per l’altro, qualche cosa di se stessi. Quando ci si pone in questa
logica si constata che, con un apparente paradosso, quanto più si dona tanto
più si riceve, quanto più ci si spoglia di sé, tanto più si e colmati e arricchiti
dall’incontro con l’altro.
Quando noi sentiamo il termine ‘legame’ pensiamo che significhi ‘legare’. Il
legare ci richiama a sua volta ad un’esperienza di vincolo, di costrizione:
‘essere legati a …’ è qualcosa che impedisce la libertà o l’autonomia o
l’espressione della propria identità.
Un soggetto che perde il senso del legame sociale, di fronte agli altri soggetti
rischia di dover impostare le relazioni contrattando continuamente, cioè
individuando continuamente la necessità di mettersi d’accordo.
Grazie alla modernità, ci siamo liberati dei nostri legami, ma siamo diventati
d’altra parte sempre più dipendenti dai nostri beni, dai nostri prodotti, e
soprattutto dalla necessità di produrre sempre di più. Detto altrimenti, ciò che
era il mezzo (il prodotto) diventa il fine.
Sempre più diffuse nei nostri paesi sono le patologie della modernità, da
solitudine e da dipendenza, nella disgregazione sociale. Patologie cui l’attuale
sistema dei servizi non sembra capace di porvi efficace rimedio in quanto la
loro soluzione dipende prevalentemente dalle relazioni positive tra le persone.
Rivoluzione sessuale, modificazioni nello status della donna, aumento della
sopravvivenza e del divorzio, diffusione della contraccezione, crescente ruolo
centrale e preminenza del rapporto filiale sulla coppia – sono alcuni capisaldi
della grande trasformazione che si è avuta e che si sta avendo nella famiglia.
Per i giovani di oggi lo scoglio più problematico non è tanto paradossalmente la
questione dell’indipendenza economica ma soprattutto la responsabilità e la
stabilità sul fronte affettivo e relazionale al di fuori della propria famiglia di
origine.
I riti di passaggio dall’adolescenza-gioventù verso la maturità sono in crisi e
vengono evitati. Vi è la necessità di offrire e ripensare a riti di passaggio
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condivisi tra le generazioni perché la dimensione sociale e simbolica è uno
snodo ancora importante.
La precarietà non solo economica, ma di valori (relativismo), di relazioni e di
pensiero prospettico è oggi l’aria che respirano i nostri giovani, questa
situazione si va ad assommare con la loro caratteristica situazione di età e fase
della vita passaggio e di transito.
I comportamenti dei giovani, la loro analisi ci permette soprattutto leggere la
nostra società (cartina tornasole), non esasperiamo la lettura e non
attribuiamo tutto a loro come se potessero realmente scegliere.
E’ soprattutto l’evidente incoerenza che le nostre generazioni stanno vivendo
che stanno mettendo in crisi il sistema dei valori e quindi i riferimenti. La
razionalità astratta che ha scisso in modo più evidente il pensiero e l’azione ci
ha portati ad essere dei forti proclamatori moralisti quasi che questo ci aiuti a
negare o a nascondere la nostra fragilità e umanità. Dovremmo proprio partire
dalla nostra precarietà e fragilità. Certo è difficile essere educatori se anche noi
stessi siamo sbandati e confusi, ma questo è un dato di base creaturale di
partenza che non dobbiamo negare, ma cercare di elaborare grazie anche al
confronto con le nuove generazioni.
Se la crisi politica ed economica che stiamo vivendo è un occasione per
rivedere ciò che avevamo costruito (un sistema con risorse illimitate e
costantemente rinnovabili, un sistema capace di costruire condizioni che lo
possono portare alla definitiva estinzione “bomba atomica”, un sistema che
non è stato capace di valorizzare e promuovere il bene famiglia, che non ha
pensato alle nuove generazioni) ben venga la crisi in quanto occasione di
cambiamento e di consapevolezza. Altrimenti la crisi può essere un ulteriore
occasione di tutela individualistica a discapito degli altri in quanto le risorse
sono limitate. In questo caso che è più fragile farà più fatica.
La crisi dell’istituzione del matrimonio, sia esso con rito civile o attraverso il
sacramento, è uno degli elementi più preoccupanti in quanto tante relazioni
(anche quelle più importanti) sono vissute come scelte individuali, tanto che
anche l’altro/a spesso non sono considerati dentro un pensiero organico (si
fanno accordi momentanei basati su scambi di affetti e di opportunità
transitorie e momentanee).
Il pensarsi in legame duraturo fa paura. Ma ancora è un pensiero narcisistico e
di onnipotenza che tutto pensa di regolare e governare. Si vogliono fare delle
prove, ma perdendo di vista cosa si prova. Il matrimonio è un percorso è una
relazione che costantemente ci porta alla conoscenza dell’altro e di noi, in
questo senso nessuno può dichiararsi arrivato e quindi tutti siamo in prova.
In questa epoca delle passioni tristi e delle relazioni liquide è importante saper
leggere gli elementi di criticità, ma è altrettanto importante saper leggere i
segnali di speranza e positività.
La libertà e la razionalità quando è in sintonia con la fragilità sana, con
l’emotività e con le dimensioni creaturali, già oggi, offrono forti e incoraggianti
segni di speranza. Per vedere ciò dobbiamo togliere gli occhiali e metterne di
nuovi. Modelli e strumenti di lettura che andavano bene prima oggi vanno
rinnovati e aggiornati.
A diverso grado e titolo ognuno è chiamato responsabilmente a partecipare a
questa trasformazione che è soprattutto personale, relazione e poi comunitaria
e societaria. Certamente le istituzioni e chi ha formali compiti educativi
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dovrebbero seriamente offrire nuove possibili occasioni di cambiamento
possibili anche se faticose.
Dobbiamo cercare di rivalutare alcune ricchezze e caratteristiche che sono
proprie della famiglia: ad esempio è soprattutto nella famiglia che si forma la
“fiducia” di cui ogni sistema sociale ed economico ha bisogno per poter
funzionare. Un sistema che introduce sanzioni per sostituire la fiducia, finisce
per distruggere quel poco di fiducia che resta. Le capacità di socializzare, di
fidarci e di essere degni di fiducia, di saper soffrire e perdonare, si acquistano
soprattutto nella vita familiare, e negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.
Per uno stile nuovo di famiglia è necessario costruire un’alleanza tra famiglie,
una rete di famiglie. Bisogna farlo con uno stile agile e leggero, corrispondente
al nostro modo di vita moderno, ma in ogni caso è urgente uscire dal regime di
appartamento.
La famiglia deve aprirsi alla comunità attraverso il tempo libero, il volontariato,
nei luoghi educativi, nell’assistenza, ecc.. Essa ha un grande dono da dare: la
forza della sua presenza, della sua testimonianza di vita, dello stile di casa,
muta la qualità dei rapporti sociali, umanizza le relazioni, richiama la società a
una dimensione che non è solo quella mercantile e consumistica, ma quella
relazionale e dell’amicizia fraterna.
La famiglia è chiamata ad umanizzare il mondo con il suo stile di vita.
La vita se è un dono va accolta con gratitudine e riconoscenza, a noi spetta il
compito di custodirla, ma soprattutto di farla crescere in modo che porti frutti
che mangeranno altri e in questo modo faranno circolare e daranno la
possibilità di allargare il raggio della nostra azione portando i semi dei quali
siamo stati esperienza. In questo senso la vita non è solo quella degli altri,
soprattutto quelli che stanno procreando e generando una nuova creatura, ma
parla a noi direttamente, questo elemento base ci dovrebbe forgiare al punto
che la coerenza tra quanto chiediamo di fare agli altri, o dichiariamo di fare
noi, emerga soprattutto dalle opere e dalla quotidianità, umile e laboriosa.
La famiglia è il luogo per eccellenza dove le persone crescono e si riconoscono,
dove il dono e la reciprocità è alla base delle relazioni. Il dono è pratica
ordinaria in famiglia. Si può concepire un figlio senza gratuità, ma per
accoglierlo al mondo e farlo nascere occorre gratuità. Il sentirsi oggetto
dell’amore gratuito di qualcun altro è poi fonte di nuove idee, di creatività, di
crescita nel senso più ricco del termine. Il primo luogo dove sperimentiamo la
fiducia disinteressata degli altri, il perdono, la possibilità di ricominciare, dove
sperimentiamo anche le sanzioni per la sfiducia tradita, per le promesse non
rispettate, è proprio la famiglia. Nella famiglia si è amati non perché abbiamo
dei “meriti”, ma perché siamo persone.
La famiglia è chiamata ad umanizzare il mondo con il suo stile di vita.
Per evitare il rischio che la famiglia si chiuda a riccio su se stessa è importante
valorizzare e sostenere alleanze tra famiglie. In questo senso anche le famiglie
dovrebbero credere maggiormente in se stesse, in quanto molto dipende da
loro: dalla loro consapevolezza in quanto soggetto sociale titolare di diritti,
oltre che di doveri, della loro capacità di collegarsi e di associarsi fino ad
identificarsi in soggetti strategici di rilevanza collettiva.
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Rivoluzione sessuale, modificazioni nello status della donna, aumento della
sopravvivenza e del divorzio, diffusione della contraccezione, crescente ruolo
centrale e preminenza del rapporto filiale sulla coppia – sono alcuni capisaldi
della grande trasformazione che si è avuta e che si sta avendo nella famiglia.
Paradossalmente ci si trova nella situazione in cui è l’adulto ad aspettarsi dal
figlio il senso della propria esistenza, mentre una volta era il figlio che cercava
nel genitore quel che sarebbe potuto diventare (o non diventare) la propria
vita.
L’obiettivo primario di educare si ribalta allora nella preoccupazione
predominante di sedurre. Il genitore è meno animato dal dovere di educare,
ma assillato dal bisogno di sedurre, e chiede implicitamente al figlio: “dimmi
che sono un bravo genitore”. Se l’educazione nella sua forma tradizionale
consisteva nel tirare fuori di sé, ex ducere, la seduzione consiste nell’attirare a
sé, se ducere.
Per uno stile nuovo di famiglia è necessario costruire un’alleanza tra famiglie,
una rete di famiglie. Bisogna farlo con uno stile agile e leggero, corrispondente
al nostro modo di vita moderno, ma in ogni caso è urgente uscire dal regime di
appartamento.
La famiglia deve aprirsi alla comunità attraverso il tempo libero, il volontariato,
nei luoghi educativi, nell’assistenza, ecc.. Essa ha un grande dono da dare: la
forza della sua presenza, della sua testimonianza di vita, dello stile di casa,
muta la qualità dei rapporti sociali, umanizza le relazioni, richiama la società a
una dimensione che non è solo quella mercantile e consumistica, ma quella
relazionale e dell’amicizia fraterna.
La famiglia è chiamata ad umanizzare il mondo con il suo stile di vita.
La famiglia non è un oggetto di colonizzazione, ne tanto meno di
strumentalizzazione ideologica.
Le famiglie devono credere maggiormente in se stesse, in quanto molto
dipende da loro: dalla loro consapevolezza in quanto soggetto sociale titolare di
diritti, oltre che di doveri, della loro capacità di collegarsi e di associarsi fino ad
identificarsi in soggetti strategici di rilevanza collettiva.
Alcune domande guida:
Le famiglie vivono delle fasi (cicli di vita) nelle quali cambiano bisogni/risorse.
La famiglia è chiamata a trasformarsi facilitando autonomie dei figli, ma anche
momenti di cura e presenza forte nella solidarietà intergenerazionale. Quali
sono i punti di riferimento importanti in questo continuo fluttuare?
Perché le famiglie fanno fatica ad essere flessibili e solide nel medesimo
tempo?
Quali sono i pericoli di una privatizzazione della famiglia ed una accesa polarità
e conflittuali sui bisogni dei singoli membri?
Come le nostre comunità possono operare scelte a favore delle famiglie non
lasciandole sole, ma cercando di valorizzarle e sostenerle?
Bergamo, Redona, 20 gennaio 2015
Bruno Vedovati
Sociologo, [email protected];
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