Camilla e Antonio

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Camilla e Antonio
Simonetta Spinelli
pratiche di ricerca
LE NON-DONNE DI MONIQUE WITTIG1
“[Esse] Dicono che sanno cosa insieme significano” : è una delle frasi di Monique
Wittig, riferita alle Guerrigliere2. Ed esprime un pensiero dichiaratamente politico.
Identifica un insieme di guerriere, ognuna consapevole della sua singolarità, che
scelgono di essere una collettività che pensa su di sé e in questo pensarsi si significa
attraverso coordinate proprie. E’ una delle tante frasi che si intrecciano nelle opere di
Wittig, decostruiscono immagini e storie prefabbricate e giocano a rimetterne insieme
i frammenti disegnando altri racconti, altri percorsi possibili. Percorsi che appaiono
insensati nella logica codificata, perché rispondono ad una logica altra, che nasce dal
quel significarsi insieme e dà origine ad un altro tessuto narrativo.
Questo lavoro, che è letterario perché politico, in quanto la costruzione di sè come
soggetto politico deve necessariamente inventare le parole con le quali dirsi, è quasi
del tutto sconosciuto. Wittig è stata – ed è – lo scandalo del movimento femminista
quasi unicamente per la frase finale di The Straight Mind3, un saggio breve che
terminava con il ben noto “Le lesbiche non sono donne” e sarà seguito da un altro
scritto-bomba dal titolo polemico di Non si nasce donna4.
Negli articoli incriminati Wittig afferma, riallacciandosi alle teorizzazioni del
femminismo materialista francese5, che l’eterosessualità, fondata sull’oppressione
delle donne, è un regime politico che sottende ogni struttura di potere e informa a sè
ogni discorso, filosofico, scientifico, antropologico, psicanalitico. “Come a priori
dato in ogni scienza, il pensiero eterosessuale sviluppa un’interpretazione totalizzante
della storia, della realtà sociale, della cultura, del linguaggio”6: strutturale al sistema
eterosessuale è mascherare i conflitti di interesse, che potrebbero minarlo, ponendo la
categoria dell’altro, del diverso, di quello che è in sé, ontologicamente, inadeguato al
codice e quindi necessita di controllo: il dominato (la donna, lo schiavo, i
colonizzati). Ogni volta che una lesbica rompe il contratto eterosessuale incrina
sistemi pretesi universali, introduce nuove conoscenze e prospettive, inventa un
linguaggio, provoca imprevedibili ripercussioni a livello sia sociale che culturale. In
1
Intervento al 1° Convegno sulla Letteratura Lesbica, Roma , Casa delle Letterature, giugno 2002
M. Wittig, Les guérillères, Paris, Editions de Minuit, 1969 [trad.it. di Ana Cuenca, Le
guerrigliere, Bologna, Autoproduzione delle Lesbacce incolte, 1996, p. 74]
3
“The Straight Mind”, intervento letto alla Modern Language Association Convention nel 1978 a
New York, poi pubblicato in francese in Questions Féministes, n. 7 (febbraio 1980), e in inglese in
Feminist Issues, n. 1 (estate 1980) [trad. it. di R. Fiocchetto, in Bollettino del CLI, a. IX (febbraio
1990)]
4
“On ne Naît pas Femme”, in Questions Féministes, n. 8 (maggio 1980), poi in inglese “ One Is
Not Borne a Woman “, in Feminist Issues, I,2 (inverno 1981)
5
Nicole-Claude Mathieu, Christine Delphy, Colette Guillaumin, in particolare
6
“The Straight Mind”, trad. it. cit.
2
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quest’ottica, la lesbica non è più l’altro dominato, identificato dal sistema di dominio
come donna. Rimanere all’interno delle categorie di sesso uomo/donna (come fa
parte del femminismo enfatizzando la differenza biologica) significa per Wittig
ribadire che uomini e donne sono gruppi naturali, là dove l’esistenza stessa delle
lesbiche evidenzia che sono il risultato di una manipolazione ideologica, che investe
corpi e pensieri per farli corrispondere ad un’idea di natura prefissata, in modo da
interpretare l’oppressione come biologicamente, prima che storicamente, determinata.
Non mettere in discussione il sistema delle categorie di sesso, sia pure ai fini di una
reazione politica (ad esempio sottolineare il valore di caratteristiche biologiche delle
donne in contrapposizione al maschile, come viene teorizzato anche da alcuni gruppi
lesbici), equivale per Wittig a naturalizzare la storia e i fenomeni sociali che
sottendono ogni forma di oppressione, quindi implicitamente ammettere
l’impossibilità del cambiamento7. Al contrario – scrive Wittig – “donna” e “uomo”
sono costruzioni politiche e ideologiche, funzionali alla struttura di dominio, che
mascherano il conflitto di interessi tra due classi, le donne e gli uomini, ambedue
prodotto di relazioni sociali. Classi che hanno ragione di esistere solo perchè esiste il
conflitto, e che la composizione del conflitto abolirebbe. Sfuggendo alla relazione
sociale particolare con un uomo – e quindi alla costruzione ideologica codificata
proprio da questa relazione – la lesbica diventa transfuga della sua classe. Non è più
una donna, come gli schiavi neri che fuggivano dalle piantagioni non erano più
schiavi.
Le polemiche sulla teorizzazione di Wittig – o meglio sulla frase che la riassume,
spesso presa nel suo significato più semplicistico di mera provocazione – dilagano
con un effetto onda. Nel 1980, la pubblicazione del saggio porta allo scoperto in
Francia le difficoltà di una politica unitaria tra femministe lesbiche ed eterosessuali.
Le une, decise a fondare un movimento politico basato sul lesbismo per affermare la
loro visione del mondo, e mettere in discussione l’eterosessismo anche nelle sue
manifestazioni femministe, sono accusate dalle altre di voler dividere il movimento e
di settarismo separatista. La polemica porta prima alla scissione della redazione, poi
alla chiusura di “Questions Féministes”, testata storica del femminismo radicale, e
alla fondazione di un nuovo periodico, “Nouvelles Questions Féministes”, dal quale
le lesbiche politiche sono escluse. Nello stesso tempo, Wittig e il lesbismo radicale in
essa identificato, sono oggetto di attacchi, sia pure da ottiche diverse, da parte di
Kristeva, Cixous e Irigaray8.
7
“On ne naît pas femme”, cit.
Sulle polemiche di cui sopra cfr. le prefazioni di Louise Turcotte e Marie-Hélène Bourcier alla
raccolta dei saggi di Wittig pubblicata in Francia (La Pensée Straight, Paris, Balland, 2001). I saggi,
quasi tutti pubblicati in inglese negli Stati Uniti tra il 1980 e il 1985 (solo uno nel 1990), sono
tradotti in Francia nel 2001. Le date non appaiono qui casuali.
8
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L’opposizione è così compatta che Wittig decide di lasciare la Francia e raggiungere
gli Stati Uniti. Approdate in “Feminist Issues”, le sue teorizzazioni sembrerebbero
trovare un clima più favorevole, dal momento che nel femminismo statunitense, fin
dalle origini, le divisioni tra etero e lesbiche sono un fatto compiuto e la realtà
politica dei gruppi femministi fa i conti con altre separazioni (ad esempio tra donne
bianche e donne di colore) che producono analisi diverse perché nascono da storie e
percorsi diversi. Ma anche negli Stati Uniti Wittig non ha vita facile. Al suo “Le
lesbiche non sono donne” fa la guerra – tra le altre – proprio una lesbica, Adrienne
Rich che, mentre critica il sistema dell’eterosessualità obbligatoria, che definisce
un’istituzione politica all’interno del patriarcato “imposta, diretta, organizzata,
veicolata dalla propaganda e mantenuta con la forza”, e ribadisce che l’esistenza
lesbica “è un atto di resistenza”9 alla struttura di dominio codificata, arriva poi alla
teoria del continuum lesbico. Il rifiuto del lesbismo, anche da parte di alcune
femministe, secondo Rich, non è che l’aspetto più evidente di un atteggiamento
indotto dall’eterosessualità obbligatoria che reprime ogni tentativo delle donne di
riferirsi alle donne (in termini di passione amorosa, ma anche di complicità, di
alleanza, di appartenenza), cioè di interiorizzare la soggettività femminile
utilizzandola come potenziale sorgente di potere femminile per modificare i rapporti
sociali tra i sessi. In quest’ottica, ogni donna che sceglie, all’interno delle sue
relazioni sociali, di privilegiare i rapporti tra donne, rientra in una potenzialità
femminile liberata che Rich chiama continuum lesbico. Ma esistenza lesbica e
continuum lesbico- scrive Rich - non coincidono: se la scelta erotica che non si
adegua all’eterosessualità obbligatoria rappresenta una “resistenza” e “ha un nucleo
di contenuto politico”, tale nucleo non produce esiti se non si trasforma in
“consapevole interiorizzazione di una soggettività femminile”10. Per Rich – è chiaro –
le lesbiche sono donne.
In Italia Wittig è soprattutto rimossa. E’ una specie di fantasma che appare e
scompare: tutte ne hanno, più o meno nebulosamente, sentito parlare; in ogni
generazione c’è un gruppo di irriducibili appassionate che ricerca le tracce del suo
passaggio; viene lanciata nelle discussioni come una sfida; di lei si ricorda solo che
ha scritto da qualche parte che le lesbiche non sono donne. E sembra sempre una cosa
nuova.
A questo fenomeno possono essere date varie spiegazioni: nasce forse da problemi di
traduzione, dato che poche sue opere sono state tradotte e non nell’ordine in cui le ha
scritte.
9
A.Rich, La Contrainte à l’hétérosexualitée et l’existence lesbienne, in Nouvelles Questions
Féministes, n. 1 (marzo 1981), pp. 31 e 41
10
A. Rich, Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica, in Nuova DWF , n. 23-24 (1985), p. 39
[Trad.it. di M.L. Moretti di una versione modificata nel 1985 del saggio citato nella nota
precedente]
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O dal fatto che in Italia siamo abituate a leggere quello che passa il convento, e il
convento Wittig non la passava. O più semplicemente perchè i suoi scritti toccano il
nervo scoperto di una contraddizione aperta e poi lasciata cadere, che ogni volta
sembra nuova perchè resta irrisolta: come conciliare unità e differenze, e quindi non
ricadere in un nuovo dogmatismo monolitico, senza che la differenza sessuale azzeri
le differenze e che queste ultime si moltiplichino all’infinito fino a divenire di nuovo
inessenziali.
In realtà Wittig – prima di esplicitare la famosa frase – di non-donne ha sempre
parlato. Per verificarlo è sufficiente rileggere anche solo i suoi scritti tradotti in
italiano: L’Opoponax e Il corpo lesbico, pubblicati per vie ufficiali, Le Guerrigliere,
uscito in edizione pirata, e il saggio (non la raccolta di saggi) The Straight Mind, fatto
circolare nel “Bollettino” del Collegamento fra le lesbiche italiane. Scritti che sono
stati spesso interpretati in maniera univoca, nel loro aspetto meno dirompente, e
soprattutto mai discussi collettivamente.
L’Opoponax11 esce in Italia nel 1966, quando la prima generazione di donne
numericamente consistente è approdata nelle università e si è lanciata a testa bassa
nell’emancipazione. Di questo percorso personale e culturale fa parte
l’appassionamento ad ogni forma di sperimentalismo. Abbiamo incontrato per la
prima volta Wittig – e l’incontro è quasi l’annotazione anagrafica che rivela una
generazione – perchè il romanzo si avvicina alle esperienze letterarie del nouveau
roman, anticipate da Nathalie Sarraute12, e ne abbiamo apprezzato soprattutto la
tenuta di un linguaggio che non ha mai sbavature, che segue la cronaca quotidiana
della vita di una bambina come una macchina fotografica che registra luoghi, oggetti,
persone disancorandole da valutazioni moralistiche o psicologiche, e restituisce la
consistenza di un’infanzia senza sovrastrutture, vista con gli occhi di chi
quell’infanzia la vive minuto per minuto, con occhi che non hanno ancora
disimparato a guardare. Un’infanzia non tradotta attraverso parametri culturali, nello
stesso tempo primitiva, crudele nella sua logica elementare, appassionata e incurante.
Un’infanzia individuata solo attraverso un dato anagrafico: Catherine Legrand.
Riletto negli anni ’70, in un’altra predisposizione mentale, L’Opoponax assume un
significato più complesso. Lo sguardo dell’infanzia che tutto registra e affastella
11
M.Wittig, L’Opoponax, Paris, Editions de Minuit, 1964 [trad.it. di C. Lusignoli, Torino, Einaudi,
1966]
12
Nathalie Sarraute, di origine russa ma vissuta in Francia, per il suo primo libro Tropismes, uscito
quasi inosservato nel 1939, e ripubblicato nel 1957 dalle Editions de Minuit, è considerata
l’anticipatrice della scuola del nouveau roman, poi teorizzata da Alain Robbe-Grillet, corrente
letteraria che tende a modificare la tecnica narrativa del romanzo, eliminando qualunque
annotazione psicologica dei personaggi nel tentativo di fornire un’immagine oggettivata di un
universo estraniato e estraniante.
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senza gerarchie e piani logico-temporali, se non quelli del continuo scorrere del
presente e di una curiosità onnicomprensiva, isola a poco a poco una soggettività
inconsapevole, ma proprio per questo non ancora regolamentata dal codice. Che
costruisce rituali suoi, impermeabile com’è alla logica dei rituali che vede recitarsi
intorno, e inventa una storia sua, di magia, di potenza, per un gioco di seduzione che
non sa dire e di cui deve inventare le parole. L’opoponax è la parola magica che
identifica un essere mitico, “né animale, né vegetale, né minerale”13, indeterminato,
indescrivibile, poco raccomandabile, metafora di ciò che interrompe, eccede la vita di
ogni giorno, e non può essere detto con il linguaggio dell’abitudine. “Dice che
Valerie Borge ha mani gambe viso d’un bruno lucente... Dice che è l’opoponax” 14: il
quotidiano viene reinterpretato dalla gerarchia irriducibile della passione. La nondonna di Wittig sembra trovar qui il suo atto di nascita.
Il corpo lesbico15 è tradotto in Italia nel 1976, in pieno femminismo, e le lesbiche
politicizzate che militano nei collettivi femministi se ne innamorano perdutamente.
Perchè Wittig in questo testo stravolge tutto: impone di prepotenza le figure e il
linguaggio dell’eccesso, ignorando le convenzioni letterarie e linguistiche,
riattraversa generi e strutture sintattiche, costruisce una poetica impensabile per dire
l’indicibile: il corpo lesbico è corpo del desiderio di una donna per una donna. Senza
mediazioni il corpo lesbico irrompe sulla scena, impudente, inaddomesticabile, non
inquadrabile in termini convenzionali: corpo stravolto, smembrato, reinventato e poi
ancora stravolto. La non-donna non è solo seno, vagina, glutei; è pelle, muscoli, ossa,
struttura, è organi interni ed esterni, è umori, è cellule e tendini, è scaglie, fibre,
arterie, midollo. Il percorso d’amore è un percorso epico in cui tutto va scoperto,
risignificato, inventato in aderenza al desiderio che lo muove. Il soggetto di quel
desiderio e di quel percorso è a sua volta un soggetto che accetta il rischio della
disintegrazione per potersi ricostruire come corpo desiderante: j/e, né femminile, né
maschile, perché il femminile e il maschile sono il risultato di una convenzione
sociale che il corpo lesbico, nella sua ricostruzione di sé per sé, cancella e rende
insensato.
Se Il corpo lesbico ha coinvolto nella fascinazione gran parte delle femministe che vi
hanno letto, sia pure da ottiche diverse, una restituzione di orgoglio, l’interpretazione
che ne è stata data ha segnato tra lesbiche ed eterosessuali l’inizio di una frattura che
si sarebbe approfondita molto più tardi. Ma che già era visibile nei primi commenti.
Per le donne eterosessuali, come appare chiaramente nella nota introduttiva di
Elisabetta Rasy, premessa all’edizione italiana del Corpo lesbico, fondante in Wittig
13
M.Wittig, L’opoponax, cit., p. 139
Ibidem, p. 198
15
M. Wittig, Le corps lesbien, Paris, Editions de Minuit, 1973 [trad. it. di C. Bazzin e E. Rasy,
Milano, Edizioni delle Donne, 1976]
14
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è “il recupero politico del sociale che la donna vive all’interno del proprio corpo,
territorio di colonia sconosciuto e ostile”, o la metafora del viaggio solitario,
puntualizzato dalle “stazioni anatomiche del corpo lesbico”, verso la riappropriazione
di sè e l’uscita dalla logica dell’oppressione.
Per le lesbiche – Teresa de Lauretis lo dirà per tutte negli anni Ottanta in altro
contesto16 - il corpo lesbico segna il percorso di “una fatica d’amore”, una ricerca del
desiderio che, proprio perché è desiderio di una donna per una donna, costruisce una
diversa economia erotica. Ma perché questa economia erotica si instauri non è
sufficiente una donna. E’ necessaria una lesbica, cioè una donna amante/amata,
desiderante/desiderata da un’altra donna. Consapevoli l’una e l’altra del desiderio e
motivate, proprio da quel desiderio, a costruirne il linguaggio e la pratica, a
“riconoscerlo in un’altra semiotica”. Il soggetto smembrato/rimembrato è soggetto di
una relazione sessuale e sessuata e la “fatica d’amore” , ironica e cruenta, è il
percorso della sua ricerca di senso.
I termini per un approfondimento e un confronto sulla sessualità, a partire dalla
materialità dei percorsi, erano tutti lì, nel corpo lesbico che non corrispondeva più al
corpo culturalmente e socialmente definito “donna”. Ma nessuna ha aperto quel
confronto. Né lesbiche, né eterosessuali, perché il sentirsi in un’appartenenza comune
sembrava in quel momento politicamente prioritario. Così insieme al discorso sulla
sessualità è stata rimossa Wittig.
Agli inizi degli anni ’90, quando il Bollettino del CLI, che circola soltanto tra
lesbiche, pubblica The Straight Mind, nessuna ne parla, perchè tra lesbiche ed
eterosessuali si è chiuso anche lo spazio della polemica. La frase del suo saggio,
scollegata dal contesto teorico in cui è maturata, diventa quasi solo uno slogan che le
giovani lesbiche lanciano come una sfida, ogni volta che un dibattito tra donne
sembra volerle respingere nell’irrilevanza. Wittig sembra essere, ancora una volta,
più citata che conosciuta17.
Per sfida (uscire dalla scelta obbligata tra la politica dell’irrilevanza del lesbismo e la
richiesta di diritti civili), e per appassionamento a uno dei pochi testi in cui una
lesbica può riconoscersi senza mettere tra parentesi la propria vita, viene pubblicato
nel 1996, in edizione pirata e artigianale, Le Guerrigliere, scritto nel 1969. In Le
Guerrigliere viene attuato l’espediente linguistico inverso rispetto a quello già
sperimentato in L’Opoponax per annullare la sottolineatura del genere. Nel primo
16
T. de Lauretis, Sexual Indifferences and Lesbian Representation, in Theatre Journal, XL,2
(1988), pp. 155-177 [trad.it. Differenza e indifferenza sessuale, Firenze, Estro, 1989]
17
Fa eccezione il saggio di M. Wittig, The Straight Mind, inserito tra i materiali in discussione nel
dibattito sul movimento lesbico tra il gruppo Laboratorio di critica lesbica e la redazione di I
Quaderni Viola. cfr. I Quaderni Viola, n. 4 (E l’ultima chiuda la porta), 1996
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testo l’uso del pronome indefinito (in francese on) permetteva la dislocazione dei
personaggi del romanzo al di fuori della divisione sociale dei sessi. Wittig scrive che
l’utilizzazione di on “è stata la chiave che ... ha permesso l’accesso a un linguaggio di
cui nulla turba l’uso e l’esercizio (soprattutto non il genere), come avviene
nell’infanzia quando le parole sono magiche...”18. In Le Guerrigliere il soggetto
diventa elles, femminile plurale che assume il segno di soggetto umano assoluto
scalzando il maschile imposto dal linguaggio codificato. Ma tale operazione non va
nel senso della femminilizzazione del mondo, che a Wittig suscita orrore come la
mascolinizzazione, è un tentativo “di rendere le categorie di sesso obsolete nel
linguaggio”19.
Le Guerrigliere è in apparenza il testo più facile di Wittig. In apparenza perchè
Wittig già qui, come farà altrove (in Virgil, non20, mai tradotto in italiano, gioca
persino con Dante), riattraversa con dissacrante ironia le strutture narrative note, dal
mito all’epopea, dalle tradizioni popolari ai resoconti storici, al romanzo d’azione.
E’ la cantora di una comunità di ‘resistenti’, guerriere che si muovono insieme e si
raccontano come in un coro di tragedia greca: “[Esse] Dicono che non hanno bisogno
di simboli o miti...”21, “[Esse] Dicono che essendo portatrici di vulve conoscono ciò
che le caratterizza...”22, “[Esse] Dicono ti hanno tenuta a distanza, ti hanno
mantenuta, ti hanno innalzata, costituita in una differenza essenziale...” 23, “[Esse]
Dicono che la guerra è un affare di donne...”24, “[Esse] Dicono...”. La collettività
predomina sulla singolarità, l’appartenenza sulla divisione, ma elenchi di nomi
femminili intervallano le pagine e sembrano la premessa di quanto verrà detto in
seguito nei saggi: le lesbiche fuggono dall’eterosessualità ad una ad una come gli
schiavi neri dalle piantagioni. E nella fuga perdono le loro caratteristiche di “donne”.
Non sono più le vittime sacrificate, inchiodate ad un ruolo che le vuole pacifiche,
assoggettate, passive, diventano una collettività per necessità e per scelta. Una
collettività che può essere cruenta, feroce, dissacratoria, ma anche narcisista e
autoreferenziale, e poi di nuovo capace di rimettere in discussione anche quanto nel
percorso rischia di diventare un contro-mito.
18
M. Wittig, La Marque du genre, in La Pensée Straight, cit. p.136 . I edizione in inglese :The
Mark of gender, in Feminist Issues, n. 2 (autunno 1985)
19
Ibidem, p. 137
20
M. Wittig, Virgil, non, Paris, Editions de Minuit, 1987
21
M. Wittig, Le guerrigliere, op. cit., p.21
22
Ibidem, p. 24
23
Ibidem, p. 90
24
Ibidem, p. 114
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Uno stesso tema attraversa tutta l’opera di Wittig: uscire dal codice significa
smembrarsi/ri-membrarsi come corpo sociale quanto come corpo desiderante. In
quest’ottica anche i contro-simboli (il matriarcato, il materno, la donnità, le derive
essenzialiste del femminismo e del lesbismo) vanno stravolti e sottoposti a verifica.
Da qui, e non solo da una frase provocatoria, nasce lo scandalo Wittig.
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