Camilla e Antonio

Transcript

Camilla e Antonio
Simonetta Spinelli
pratiche di ricerca
Uno sguardo di rispetto. «Elsa Braun» di Monique Wittig
Elsa Braun è un brevissimo testo di Monique Wittig. Datato 1964, lo stesso anno in
cui usciva L’Opoponax1in Francia, appartiene, come l’autrice stessa scrive, ad una
serie di testi attinenti ad una medesima ricerca – l’universalizzazione del punto di
vista tale da rendere inessenziali le categorie di sesso nella lingua – da questi espulsi
perché non del tutto omogenei rispetto allo scopo inizialmente previsto.
Rappresentano comunque uno scarto che deve essere considerato, proprio perché
scarto, eccesso, e quindi segnato da un’emozione, da una riflessione significativa di
per sé. Non a caso Wittig sceglie di non eliminarli, ma di farne una raccolta, inserita
poi nel numero speciale in suo onore della rivista francese «Vlasta»2, riedita con il
titolo Paris-la-Politique nel 19993.
Il brevissimo frammento è chiaramente collegato a L’Opoponax. Ne ha lo stile, il
ritmo, la scelta di una linearità temporale continuamente frazionata. Ma introduce
l’accenno ad una molestia sessuale, che inevitabilmente riporta ad una dimensione in
cui l’universalizzazione del punto di vista torna ad essere quello normativo. Là dove
in L’Opoponax la rappresentazione dell’infanzia poteva dar voce ad un pensiero non
ancora irreggimentato dal codice linguistico, non intaccato da sovrastrutture, in cui i
ruoli designano gli adulti, e gli adulti non hanno nomi ma sono riconoscibili solo in
quanto ruoli (la madre di, la maestra, il parroco, la suora) e mai altrimenti identificati
e identificabili, l’espediente letterario risulta falsato quando si affronta
un’adolescenza che, aldilà dei romanticismi, è il tempo dell’addestramento
sistematico alla norma sociale e, di conseguenza, ad un ruolo predefinito e codificato.
Nel testo, in sole cinque o sei pagine, Wittig riesce a cogliere come in un fermoimmagine, la fragilità, l’impossibilità di difesa, l’estraneità di chi vive quel breve
lasso di tempo che intercorre, senza soluzione di continuità, tra la fine di un’infanzia
inconsapevole e la dolorosa esperienza di un’adolescenza che impatta con il reale tra
il bisogno-rifiuto di razionalizzarlo e la mancanza di strumenti. E la sua è una grande
dimostrazione di rispetto.
Alla quale non siamo abituate. Sommerse da immagini e linguaggi che tendono a
svilire le donne aggredendole con ogni tipo di volgarità e in ogni occasione possibile.
Spesso anche le adolescenti, con un sottile, ipocrita distinguo. Se le donne uccise in
questa mattanza senza fine, che dopo anni di denunce si è deciso di chiamare
femminicidio, sono viste , nel migliore dei casi, come vittime deficienti, e nel
peggiore come spregiudicate in cerca di guai, per le adolescenti si usa un qualche, se
così si può dire, riguardo.
1
M. Wittig, L’Opoponax, Paris, Éditions de Minuit, 1964 (ed.it. Einaudi, 1966)
«Vlasta», spécial Monique Wittig, n°4, 1985
3
Paris-la-Politique et autres histoires, Paris, P.O.L, 1999
2
http://simonettaspinelli2013.wordpress.com/
[email protected]
Simonetta Spinelli
pratiche di ricerca
Nel senso che, nei resoconti dei media, alle adolescenti uccise si abbassa l’età,
definendole, per esigenze di copione, “bambine”, “ragazzine”, a quelle che restano
vive si riserva una colpevolizzazione appena velata dalla cautela, coniando il termine,
a mio parere osceno, di “baby-squillo”. Che salva – pare - il politicamente corretto,
perché a definirle bambine-puttane cadrebbe la penna di mano anche al più cinico
cronista di nera. Il tutto dando per scontato che la mentalità generalizzata in cui
crescono non abbia niente a che fare, che assassini e puttanieri siano esempi sporadici
di turbamenti psichici momentanei, e che oggi sia impossibile capire se una giovane
donna sia già maggiorenne o una sessuomane mentitrice abituale indipendentemente
dall’età.
Wittig osserva la ormai non più bambina Elsa Braun in un momento di angoscia. E’
in collegio. Situazione non particolarmente anomala nel dopoguerra, quando la
mancanza di scuole, che saranno costruite solo con l’avvento dell’istruzione
obbligatoria prolungata (anche in Italia), costringevano le famiglie residenti in aree
extra-urbane o agricole a scelte obbligate per l’istruzione secondaria dei figli: le
femmine in collegio, i maschi, spesso, più che in collegio in seminario. Non è il
collegio che genera angoscia (in L’Opoponax la vita comunitaria è vista soprattutto
come luogo di complicità, di nascita di passioni, di scoperte culturali, di strategie
condivise di sopravvivenza), ma la frustrazione di non poter capire. Una compagna,
che la tiene per mano per attenuare l’impatto della notizia, le comunica che il padre
non andrà all’attesa visita periodica. La comunicazione è da Elsa Braun
immediatamente collegata ad un suo precedente fallimento: l’insegnante ha trovato
troppi errori nel suo compito in classe e, non contenta di averla punita – dovrà
copiare cento volte la parola ortografia – l’ha umiliata dandole zero. Un voto non
voto. Un giudizio di assoluta inadeguatezza che si lega nella mente non più infantile
alla mancata visita del padre. Così come al colloquio con il Canonico, che approfitta
per molestarla, impostole dalla Superiora come necessaria guida spirituale.
La reazione di Elsa Braun ad una realtà che la ferisce e non riesce a capire (perché il
padre non viene, perché un compito è addirittura dichiarato nullo, perché la Superiora
la lascia da sola con il Canonico) è astrarsi e fissarsi sugli oggetti, sulle pareti, sui
quadri del parlatorio, sui giochi di luce sul muro. Andar via. In una dimensione
comprensibile, confortata da luci ed odori: il blu della carta da parati del parlatorio, il
chiarore che filtra dalle persiane e proietta disegni di luce sulle pareti, il calore che è
come un’ovatta che attenua i rumori, gli iris sfioriti sul tavolo, il loro odore che forse
turba anche le sagome dei santi appese al muro, la cera fusa delle candele che sembra
la resina che imprigiona le api. Esorcizza Elsa Braun l’ortografia, immaginandola
come un cane accucciato in attesa di saltare per morderle le gambe. Seleziona i
rumori: la voce della compagna è un indistinto parlottio, la suora che passa nel
corridoio è solo un suono di veli struscianti, di grani di rosario che cozzano mentre
cammina.
http://simonettaspinelli2013.wordpress.com/
[email protected]
Simonetta Spinelli
pratiche di ricerca
L’astrazione raggiunge l’apice con la spersonalizzazione del Canonico che abbassa la
testa sempre più vicina al suo ventre: un cranio rosa-caramella percorso da rughe
come di pelle di elefante, un gorgogliare incoerente, una presenza che muta l’odore
dei fiori rendendolo asfissiante, mentre la luce si sposta sul muro lasciandosi dietro il
niente, e il calore si disperde. Elsa Braun immobile e incapace di reagire si sente
come immersa nella glassa, un oggetto prigioniero di una vischiosità. Quando
l’improvvisa entrata della Superiora fa rialzare di scatto la testa al Canonico, la
sensazione di essere libera le restituisce una sordità opaca in cui le parola che l’uno
dice all’altra non sono che assenza di suono. Incongrue. E ancora una volta
incomprensibili.
Wittig interpreta in profondità quel momento iniziale dell’adolescenza, prima che la
passività come rifugio inconsapevole si trasformi in ribellione rabbiosa contro il
mondo. Lo riconosce e lo rispetta.
Giugno 2014
http://simonettaspinelli2013.wordpress.com/
[email protected]