la casa del raviolo (gavi)
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la casa del raviolo (gavi)
LA CASA DEL RAVIOLO (GAVI) Ravioli solo fatti a mano, come a casa. E’ la bandiera di questa aziendalaboratorio aperta tre anni e mezzo fa nel centro di Gavi da Claudio Maggengo un giovane (ha 37 anni) che viene dalla terra, nel senso che la sua prima parte di esistenza nel mondo del lavoro si è svolta tra campi e vigne nell’Astigiano, vicino a Roccaverano. Di qui l’attenzione alla materia prima quando ha deciso di tornare nel suo territorio d’origine e, tutto sommato, ad un’attività consona allo spirito di famiglia: i suoi sono panettieri a Novi. “Noi facciamo tutto a mano, ma proprio tutto, dalla pasta al ripieno, a cui possiamo dare una consistenza che non sarebbe tollerata dalle macchine riempitrici”. Una scelta che punta sulla qualità: poco, ma fatto bene. Perché certo la Casa del Raviolo non produce a quintali ma a chili: “Siamo in quattro a farli”. E poi Maggengo ha messo a punto una “linea freddo” con congelatori mobili che permettono di spostare i suoi ravioli senza il rischio che perdano la loro fragranza. Li vende al minuto, o a qualche ristoratore della zona: “Ce li chiedono quando hanno necessità di servire un pranzo più numeroso del solito, con la sicurezza di un prodotto come fosse fatto da loro”. Non solo ravioli comunque alla Casa, ma anche lasagne verdi, insalata russa e altre specialità, tutte realizzate secondo l’identica filosofia artigianale. LA CASERECCIA (TORTONA) L’agnolotto Derthona è il mito che sopravvive a La Casereccia, un’azienda per due: lui Marco (dei Pietranera di Montemarzino) il marito, lei Luciana (Boccardo) la moglie. Uniti nella vita e uniti nell’impresa fin dal 1986 quando - 21 anni ma già un po’ d’esperienza, quella di generazioni che iniziavano a lavorare a 16 anni, in negozi e pescherie di Torino – aprirono in via Emilia a Tortona la loro piccola rivendita alimentare: un po’ di tutto, latteria compresa. Tre anni dopo nasce La Casereccia, gastronomia che pian piano si fa un nome e si allarga lungo la via. Fino al 2002 quando arriva anche un ristorantino, otto tavoli giusto per il pranzo di chi a mezzogiorno vuol mangiar bene ma veloce nella pausa di lavoro. “Era l’unica evoluzione possibile senza grandi spostamenti di orario” dice Marco. Così si va avanti dalle 8 alle 15, poi un’ora di sosta e si riapre fino a sera: ci vuole voglia di lavorare e tanta passione. Quanta ne mettono nei loro agnolotti, col ripieno di solo stufato di carne cotto nel Barbera dei Colli Tortonesi, verdura e soffritto. “Niente uova, niente pangrattato, abbiamo trovato a Como una macchina che lavora i ravioli senza richiedere un ripieno di particolare consistenza”. E poi il sugo con il solo fondo di cottura (“Anche se sono dell’avviso che il nostro agnolotto non vada troppo condito, è già buono di suo”) come appunto si faceva nel mitico ristorante Derthona di piazza Duomo, tappa fissa oltre mezzo secolo fa dei viaggiatori che erano obbligati ad attraversare una città ancora priva di tangenziali. E adesso Marco e Luciana si preparano a un altro passo avanti: l’agriturismo Foresteria La Merlina che apriranno sui colli nei primi mesi dell’anno prossimo. MACELLERIA SEMINO (VIGUZZOLO) Qual è l’ingrediente chiave di un buon agnolotto di vallata appenninica? La pasta, diranno molti sbagliando, la carne replicheranno i veri buongustai. Ed è appunto la carne bovina l’asso nella manica della Macelleria Semino, nel centro di Viguzzolo. Tutto parte di lì, dall’allevamento di famiglia che nel 1993 cominciò ad alimentare uno spaccio poi diventato gastronomia. Era il 18 marzo, una data che Carlo Semino, 44 anni, non dimentica. Lui punta da sempre sulla qualità delle carni che l’ha reso famoso in buona parte della Val Curone e così quasi naturalmente è arrivato alla produzione degli agnolotti. “Qui c’è solo stufato, parmigiano, un punta di mortadella, un pizzico di salsiccia”. E il tempo giusto per cucinare il tutto, compresa la notte in cui si lascia la carne a marinare nel vino, Barbera dei Colli Tortonesi, ovviamente. Una tradizione destinata ad esaurirsi? “Mah, mia figlia al momento studia da chimico”. Sì, però non è anche la cucina un laboratorio in cui facendo reagire gli ingredienti si creano sapori magici? E la chimica storicamente nasce dalle arti magiche degli alchimisti. Dunque diamo tempo al tempo. PASTA FRESCA PADOVAN (VALENZA) Nella città che ha fatto della produzione artigiana la sua bandiera anche in gastronomia c’è chi da almeno un paio di generazioni ci riesce con successo. E’ la famiglia di Antonio Lamusta, Martina Padovan. Lui originario delle Puglie, cuoco a Torino e poi a Courmayeur, infine al Roma di Valenza dove fu “scoperto” da Luigi Illario, padre dell’oreficeria valenzana nel dopoguerra. Gestì la Mensa Dc che faceva 150 coperti per il pranzo degli operai che lavoravano nelle piccole aziende orafe, quindi aprì lo Smeraldo, infine decise di mettersi in proprio. E’ il 1971 quando con la moglie Martina apre un negozietto sul corso, poi si trasferisce poco più in là e infine nel ’96, finalmente in locali di proprietà, ecco la Pasta Fresca Padovan, oggi guidata dai fratelli Giuseppe e Stefano, la seconda generazione. “Ma mio padre e soprattutto mia madre mantengono la supervisione, sono spesso in negozio a controllare” dice Stefano. La Pasta Fresca Padovan ormai è quasi un’istituzione per i buongustai valenzani, qui si cucinano tante cose ma l’agnolotto resta il cavallo di battaglia. “Ormai ne facciamo di tantissimi tipi, con ripieni anche innovativi secondo le stagioni: dai lamponi ai funghi, dal primo sale alla zucca”. Quello classico resta comunque il più gettonato: “Fatto molto semplicemente, gli ingredienti base sono al solito parmigiano e carne stufata, ma cotta davvero per bene, almeno due o tre ore nel vino”. E qual è l’anno nella manica? “Sono i clienti, se continuano a tornare dopo tanti anni vuol dire che apprezzano“. Gente che sa riconoscere i “gioielli” anche in gastronomia. PESCE EMILIANA (ACQUI TERME) Una vita dietro il banco di gastronomia quella di Emiliana Pesce, che nei primi Anni ’60 del secolo scorso lavorava ad Acqui Terme da Camera con la cugina Pinuccia. Quest’ultima poi s’è trasferita ad Alessandria, avviando la pasta fresca La Moderna, lei invece è rimasta nella città degli “sgaientò” aprendo il suo primo negozio e convincendo poi il marito Livio Ricci a seguirla nell’impresa. Anni difficili, ma anche esaltanti, coronati nell’89 con il trasferimento nell’attuale sede di via Marcini (con possibili imminenti sviluppi). Intanto si affacciava la seconda generazione, il figlio Piergiorgio che, dopo la laurea in Scienze Politiche nel ’95, decideva di “dare una mano” in azienda. “Ma sempre nel solco della tradizione - spiega orgoglioso -. Facciamo anche quelli del plin, ma il pezzo forte sono i classici agnolotti monferrini, come ce li chiede la nostra clientela che arriva anche da lontano per gustarli”. Quindi due carni, suino e collo di vitello castrato, più parmigiano reggiano “di montagna” (“Mantiene a lungo la sua fragranza, altri formaggi simili no”) e le verdure. Sugo d’arrosto, “ma non eccessivo, non deve coprire il sapore dell’agnolotto”. Niente pangrattato né grissini sbriciolati, ma macchine a doppia sfoglia degli Anni ’70 che consentono di lavorare anche l’impasto più morbido, come ormai non ne fanno più. “Abbiamo dovuto farcela fare apposta da un artigiano del Cuneese”. Una ricerca della perfezione che arriva da lontano. SAPORI CASERECCI (SPINETTA MARENGO) Si può pensare alla cucina della Fraschetta senza gli agnolotti? Certo che no. E come sempre si deve passare per una macelleria perché la carne da queste parti è sempre stata una cosa seria fin dai tempi di mandrie e mandriani (da cui il nome Mandrogne). Così lei e lui - Manuela Mascia e il marito Paolo Volpi - quando dieci anni fa hanno deciso di aprire sulla via principale di Spinetta Marengo la loro gastronomia hanno trovato un terzo, non incomodo, ma al contrario ineguagliabile nel portare avanti la tradizione. E’ Gigetto Armano, macellaio di Cascinagrossa (sobborgo alessandrino poco distante), citato anche dal giornalista-gastronomo Paolo Massobrio nel Club Papillon soprattutto per i suoi salamini “morbidi, aromatizzati in modo sapiente ed equilibrato, hanno gusto deciso e sono buonissimi con una fetta di pane fragrante”. Si è associato all’avventura gastronomica di Manuela e Paolo mettendo a disposizione la sua conoscenza delle carni e delle ricette storiche. Così arriviamo agli agnolotti della Fraschetta prodotti da Sapori Caserecci: “Carne scelta della zona, uova e tanto parmigiano, senza aggiungere pangrattato” dice Manuela. E come superare le difficoltà di utilizzare questo tipo di ripieno nella raviolatrice? “Ci vuole esperienza per dosare impasto e tempi di lavorazione”. La carne? “Una notte a bagnomaria nel Barbera”. Il sugo? “Dello stufato, ovviamente”. Promossi e dunque pronti per andare in tavola. RAVIOLERIA DA MARINA (FRANCAVILLA BISIO) E’ l’azienda più giovane fra i concorrenti (aperta solo un anno e sette mesi fa), ma anche una di quelle che affonda le radici nella storia di un territorio: l’area della provincia che fu già ultima propaggine della Liguria nell’Oltregiogo. L’avventura l’hanno iniziata due giovani, Cristina e Adriano, 33 e 35 anni, nella casa dei nonni di lei nel centro di Francavilla Bisio: una bottega come quelle di una volta, con il dlin-dlon del campanello quando si entra. “Siamo partiti quasi per gioco – racconta lui – una domenica dicendoci: facciamo due ravioli? Poi sono piaciuti al cugino, al vicino, hanno iniziato a chiederceli. E allora ci siamo detti: perché non farne un’attività vera e propria?”. Questa è una storia di nonni: quelli di Cristina, Nonno Nanni e Nonna Maria, che hanno trasmesso alla figlia Marina i segreti dei ravioli e lei a sua volta col marito Paolo li ha passati alla terza generazione, e poi Nonna Rosita. “Aveva un Raviolamp e la domenica ci mettevamo tutti e due a preparare il ripieno e metterlo nello stampo. Ecco, i ravioli che facciamo noi mi ricordano quelli di Nonna Rosita”. La loro filosofia Cristina e Adriano l’hanno anche fissata in una frase appesa in negozio, comincia con: “L’ispirazione nasce dal territorio, dai suoi colori e sapori, dalla gente, dalle chiacchiere, da una ricetta antica condita con qualche segreto di famiglia che la rende solo nostra”. Al Festival portano il raviolo classico del Novese: carne di manzo e di maiale, come verdura la scarola, poi parmigiano e olio extravergine. Fra Francavilla e Capriata, il paese di Adriano, il “raviolotto” si gusta così. PASTIFICIO BARACCO (MONTEMAGNO) E’ il 1998 quando Annalisa e Pietro, panettieri in Camagna, vengono a sapere che a Montemagno c'è un piccolo pastificio in vendita. Il problema non è comprarlo, ma rimetterlo in carreggiata, adeguarlo alle normative Asl, farsi (anzi rifarsi) una clientela. Mission impossible? Macché, anche perché con loro c'è il figlio Diego, poco più che ventenne ma già con lo spirito giusto, quello imprenditoriale. Dopo 17 anni si può dire che la missione è riuscita. "All'inizio è stata dura - dice Diego - ma con il passa parola siamo cresciuti. La clientela tornava perché trovava un prodotto di qualità e portava anche gli amici". Oggi il Pastificio Baracco comincia ad essere qualcosa in più di un semplice laboratorio artigianale se è vero che produce una decina di quintali di pasta alla settimana (anche 50 sotto Natale) e ha addirittura prospettive d'export verso la Svizzera e persino Long Island, Usa. Ma i suoi agnolotti monferrini, fatti secondo tradizione "camagnese" mantengono un'altissima qualità, tanto da essersi aggiudicati il torneo eliminatorio fra nove produttori organizzato da Slow Food Casale, una specie di "preliminari di Champions". È Diego a dare la formazione: manzo, coniglio, spalla di maiale o capocollo, poi verze col salamino per dare consistenza. Tutti ingredienti cotti a parte e poi assemblati con soffritto, parmigiano, sale, noce moscata in una squadra d'eccellenza. Se non fosse così mamma Annalisa che sovrintende ("E trova sempre qualche difetto, è una perfezionista") fischierebbe un fallo da espulsione. PASTIFICIO PERASSO (OVADA) Quando quasi 40 anni fa Bruno Perasso e la moglie Licia (oggi di 73 e 65 anni) aprirono il loro pastificio artigianale nel centro di Ovada, lui aveva già l’esperienza all’Albergo Italia di Silvano d’Orba. Anche lì uno dei cavalli di battaglia della cucina erano gli agnolotti fatti con la “ricetta della nonna” e sono rimasti così fino ad oggi. L’azienda poi si trasferì nel 1994 nella sede di via San Paolo, finalmente di proprietà. Un salto di qualità dettato anche dall’ingresso nel ‘92 della seconda generazione, il figlio Raniero, che prese le redini di un laboratorio dove aveva bazzicato fin da bambino, partendo proprio dalla gavetta: “Quando facevo le elementari, mio padre mi faceva pulire le macchine impastatrici con lo spazzolino”. Un mestiere che aveva già nel sangue e che ha sviluppato nel solco della tradizione. Gli ingredienti principali sono: manzo, prosciutto, ricotta d’Ascoli; la carne viene cotta in tegame, a lungo quasi come il brasato. E il ragù ha come base il soffritto. Ma gli agnolotti di Perasso sono tipici di quella parte dell’Ovadese che confina con il territorio storicamente votato al raviolo di stampo ligure. Lo si vede dall’uso della maggiorana che da un tocco tipicamente “rivierasco”. Così come le case a colori vivaci del centro di Ovada ci fanno sentire sulla riva del mare, quando in realtà siamo immersi fra le colline.