LIBRO QUADERNO 68.indb

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LIBRO QUADERNO 68.indb
Cesvot Edizioni
I Quaderni
Bimestrale
n. 68, Aprile 2014
reg. Tribunale di Firenze
n. 4885 del 28/01/1999
Direttore Responsabile
Cristiana Guccinelli
Redazione
Cristina Galasso
spedizione in abbonamento postale
art. 2 comma 20/c legge 662/96 FI
ISSN 1828-3926
ISBN 978-88-97834-11-3
Prodotto realizzato nell’ambito di un
sistema di gestione certificato alle
norme Iso 9001:2008 da Rina con
certificato n. 23912/04
Pubblicazione Periodica del
Centro Servizi Volontariato Toscana
Volontariato e advocacy
in Toscana
Territorio, diritti e cittadinanza
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di Luca Raffini, Andrea Pirni
e Carlo Colloca
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Premessa
Sandra Gallerini, responsabile Settore Ricerca Cesvot
La nostra attività di ricerca stimola a far acquisire la consapevolezza
che oltre al saper fare è importante anche il sapere, al fine di conoscere le trasformazioni in atto nel volontariato ed essere in grado di
ri-orientare in maniera adeguata la propria attività, soprattutto in fase
di programmazione e progettazione, considerato l’attuale contesto di
crisi.
Ci preme sottolineare che per studiare al meglio il volontariato, le nostre ricerche sono orientate ad assumere la forma di ricerche-azione,
che vedono come protagoniste proprio le nostre associazioni di volontariato, le quali hanno l’occasione di farsi conoscere e poter manifestare al Cesvot, alle Istituzioni e ad altri soggetti coinvolti, le proprie
aspettative e proposte sul tema oggetto del nostro studio. Pertanto
ringraziamo fin d’ora le 25 associazioni che si sono rese disponibili ad
essere “osservate” nella nostra indagine.
Come nasce questa ricerca? Il 2013 è stato l’Anno europeo dei cittadini, un’occasione propizia per riflettere su quale possa essere il ruolo
del volontariato nel promuovere l'attività di advocacy, intesa come
tutela dei diritti delle fasce deboli della popolazione, quale caratteristica qualificante, e pertanto trasversale, delle stesse associazioni,
a prescindere dal proprio ambito di intervento. Le azioni dell’Anno
europeo dei cittadini proseguono anche nel 2014, pertanto gli esiti
di questa indagine potranno essere utili per inquadrare le modalità
e i livelli di realizzazione del fare advocacy e quali sono realmente le
difficoltà per espletare tale attività.
Cesvot ha studiato con attenzione alcuni fenomeni sociali inerenti la
tutela della diritti, quali ad esempio l’immigrazione, i beni comuni, le
forme di partecipazione, che hanno portato in alcuni casi a dar vita a
laboratori di studio e a coordinamenti associativi multisettoriali e non,
affinché le associazioni possano scambiarsi conoscenze ed esperienze. Proprio sul tema dell’advocacy, nel 2012 Cesvot e Università
di Pisa hanno svolto uno studio sulla capacità effettiva dell’associa-
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zionismo toscano di conferire voice, ovvero di “dare voce”, ai soggetti
che ne hanno bisogno affinché essa arrivi alle sfere decisionali1.
In questo caso abbiamo ritenuto opportuno partire dal nostro progetto
“Per i diritti dei cittadini”, avviato con un protocollo d’intesa tra Cesvot
e Difensore civico regionale al fine di potenziare la collaborazione
tra le associazioni di volontariato e la difesa civica toscana. Scopo
del protocollo è sostenere e rafforzare la rete territoriale di protezione
sociale e di tutela dei diritti soprattutto nei confronti dei cittadini che
vivono in condizioni di disagio e di marginalità e che, in virtù della loro
condizione di debolezza, sono meno capaci di svolgere una attività
di auto-advocacy, ovvero di tutelare i propri diritti in forma autonoma. Le associazioni aderenti al progetto offrono la loro disponibilità
a svolgere un ruolo di intermediazione tra cittadini e Difensore civico
regionale, agendo come terminali e punti di riferimento nel territorio e
svolgendo, in particolare, una funzione di informazione e di supporto
ai cittadini, raccogliendo le loro istanze e trasmettendole al Difensore
civico.
Obiettivi della nostra ricerca sono principalmente comprendere, innanzitutto, il processo ed il ruolo svolto dai tre attori principali – associazioni, cittadini, difesa civica – a fronte di una domanda di riconoscimento di diritti; in secondo luogo, comprendere le potenzialità ed
eventuali sviluppi dello stesso progetto di Cesvot, esaminando anche
associazioni che nel nostro database risultano attive nella promozione e tutela dei diritti ma che ad oggi non hanno aderito al progetto
“Per i diritti dei cittadini”; infine, contribuire a delineare il concetto di
advocacy.
Si ringrazia infine il Difensore civico regionale, Lucia Franchini, e la
sua équipe per la disponibilità dimostrata e per aver creduto in questa ricerca.
1 La ricerca in questione dal titolo L’importante è partecipare. Il ruolo di advocacy delle associazioni di volontariato toscane, a cura di Raffaello Ciucci, 2013, è
consultabile sul sito Cesvot all’indirizzo: http://www.cesvot.it/repository/cont_schedemm/9382_documento.pdf
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Introduzione
di Luca Raffini, Andrea Pirni e Carlo Colloca
Il Parlamento europeo ha proclamato il 2013, in coincidenza con il
ventesimo anniversario della nascita della cittadinanza Europea,
Anno europeo dei cittadini. Tra gli obiettivi perseguiti dalle iniziative
realizzate in questa cornice vi sono la promozione della partecipazione civica e democratica attiva dei cittadini dell’Unione, il rafforzamento della coesione sociale, della diversità culturale, della solidarietà, il
perseguimento della parità di genere e del rispetto reciproco e, più
in generale, la concretizzazione in pratiche di cittadinanza dei valori
cardine contenuti nella Carta dei diritti fondamentali della Ue. Tra i
diritti fondamentali affermati nella Carta vi sono il diritto alla vita, il
diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto di protezione dalla tortura
e, in generale, il diritto alla dignità. Si afferma, oltre ai “classici” diritti
civili, politici e sociali, che compongono la triade dei diritti costitutivi
della cittadinanza, secondo la definizione di T.H. Marshall (1976), la
centralità dei diritti culturali. Tra i diritti fondamentali richiamati nella
Carta vi è anche, nell’articolo 41 del Capo V, il diritto alla buona amministrazione, che afferma: “ogni individuo ha diritto a che le questioni
che lo riguardano siano trattate in modo imparziale”.
Si tratta di un elemento di straordinaria importanza, in quanto l’introduzione di questo tipo di diritto fornisce ai cittadini strumenti per
rivendicare di fronte alle istituzioni l’applicazione concreta di tutti gli
altri diritti, e l’adozione di iniziative volte a realizzare nella pratica tali
diritti e finalizzate alla rimozione degli ostacoli che ne impediscono
la realizzazione, per tutti i cittadini o per loro specifiche componenti.
In definitiva, il diritto alla buona amministrazione può essere concepito come un meta-diritto che promuove un passo in avanti nella costruzione di una piena affermazione del principio della cittadinanza e
quindi nella trasformazione di diritti astratti in pratiche concrete.
La ricerca promossa dal Cesvot sul tema: L’associazionismo e la funzione di advocacy in Toscana nell’Anno europeo dei cittadini – e curata dal Ceuriss (Centro Europeo di Ricerche e Studi Sociali) – affronta
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il tema in questione focalizzandosi su un contesto, quello toscano, le
cui caratteristiche socio-politiche lo rendono un ambito “naturale” di
sperimentazione di innovative pratiche di cittadinanza e di promozione e tutela dei diritti, fondate sulla cooperazione e sulla sinergia tra
istituzioni e soggetti del Terzo settore. La Toscana, infatti, si caratterizza per la presenza di un forte e variegato tessuto associativo che,
in virtù dell’interlocuzione con gli attori istituzionali territoriali, ha dato
forma ad uno specifico modello di coesione territoriale tra i cui punti
di forza vi è la capacità di costruire solide reti di cooperazione tra
soggetti diversi. Uno dei settori più vivaci e dinamici in cui si esplica
il volontariato toscano è proprio quello della promozione e della tutela
dei diritti, che vede impegnati una pluralità di attori e che costituisce
il punto di incontro anche con soggetti la cui dimensione principale
di intervento – sebbene spesso si incentri su altre issues – li trova
consapevoli rispetto alla centralità della promozione e della tutela dei
diritti. Quest’ultimo ambito non può essere considerato una specializzazione, ma piuttosto una finalità trasversale del volontariato.
In particolare, abbiamo studiato le dinamiche di rete attivatesi grazie
al progetto Cesvot “Per i diritti dei cittadini”, avviato con un protocollo
d’intesa tra Cesvot e Difensore civico regionale al fine di potenziare
la collaborazione tra le associazioni di volontariato e la difesa civica toscana. La rete è aperta alle organizzazioni di volontariato (L.
266/1991) e si rivolge a tutti i cittadini, ponendo particolare attenzione
ai soggetti che vivono condizioni di disagio e di marginalità e che, in
virtù della loro condizione di debolezza, sono meno capaci di svolgere una attività di auto-advocacy, ovvero di tutelare i propri diritti in
forma autonoma. Le associazioni aderenti offrono la loro disponibilità
a svolgere un ruolo di intermediazione tra cittadini e Difensore civico
regionale, agendo come terminali e punti di riferimento nel territorio e
svolgendo, in particolare, una funzione di informazione e di supporto
ai cittadini, raccogliendo le loro istanze e trasmettendole al Difensore
civico.
Il rapporto di ricerca si dipana a partire dall’approfondimento del ruolo dei tre attori che triangolano l’oggetto di studio: associazioni, cittadini, difesa civica; segue una esplorazione critica dei significati, dei
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processi e delle modalità di sviluppo dell’azione di tutela e promozione dei diritti e della funzione di advocacy. Quest’ultimo è un concetto
che, a seconda della prospettiva con cui lo si guarda, può assumere
una pluralità di significati, soprattutto quando si analizza dal punto di
vista del non profit e dell’associazionismo. La molteplicità dei significati e delle interpretazioni, già presente nella letteratura scientifica, si
incrementa ulteriormente tra i practitioners, non favorendo la condivisione di un linguaggio comune. Nel caso italiano, l’indeterminatezza
concettuale è ulteriormente alimentata dall’utilizzo del termine inglese, spesso interpretato in maniera erronea, tanto da condurre in molti
casi ad un rifiuto del termine e alla ricerca di termini alternativi, che
permettano di declinare un concetto che, proprio per la pluralità di
accezioni che può assumere, rivela una scarsa autonomia semantica.
Nell’introdurre gli attori principali di cui si indaga la funzione di advocacy, inizieremo dalle associazioni di volontariato, non soltanto perché sono le principali protagoniste del progetto promosso da Cesvot,
ma perché l’intuizione su cui si fonda la ricerca – e cioè che l’attività di
promozione e tutela dei diritti costituisca una funzione trasversale del
volontariato in quanto tale, e non di una sola parte di questo mondo
– si lega strettamente ad una lettura del volontariato come mondo in
trasformazione, nel quale si sta compiendo un passaggio da un volontariato tradizionale a quello che Salvini, nella ricerca Cesvot Identità, bisogni e rappresentazioni del volontariato in Toscana, ha definito
un “nuovo volontariato” (Salvini, Corchia 2012), che sempre meno si
limita a un ruolo di surroga e supplenza allo Stato nella fornitura di
servizi, e all’interno del quale l’attività di advocacy acquista un peso
sempre maggiore.
Per comprendere come le associazioni di volontariato possano porsi
al centro di una inedita triangolazione che ha come altri vertici i cittadini e il Difensore civico, proporremo un inquadramento normativo e
storico di tale figura. Il Difensore civico (Ombudsman) è una figura di
riferimento, soprattutto nei Paesi scandinavi e anglosassoni, nell’ambito della promozione e tutela dei diritti dei cittadini, ma che in Italia,
secondo la percezione che ne hanno le associazioni, è ancora debolmente radicata, sia a livello istituzionale sia a livello di conoscenza
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e consapevolezza del ruolo che svolge. Basti pensare che ad oggi
l’Italia è l’unico Paese, nell’ambito della Ue, in cui non è presente la
figura dell’Ombudsman nazionale. Vi sono i Difensori civici regionali,
ma non in tutte le regioni, mentre la figura del Difensore civico comunale, spesso quello più noto ai cittadini, è stata abrogata dalla legge
finanziaria del 2010 che ha mantenuto, a livello territoriale, la sola
figura del Difensore civico provinciale.
La conseguenza è che sul Difensore civico regionale, laddove è presente, si concentrano le funzioni e le aspettative altrimenti prerogativa
del Difensore civico nazionale, da un lato, dei Difensori civici comunali, dall’altro. A partire da questi presupposti è fondamentale che,
data la “scarsa familiarità” dei cittadini con questo istituto e la poca
attenzione manifestata dalle istituzioni politiche, il Difensore civico regionale sappia valorizzare il proprio ruolo e radicarsi nel territorio, promuovendo sinergie e collaborazioni con tutti i soggetti che, da punti
di vista e con approcci diversi, sono attivi nella promozione e tutela
dei diritti. In questo contesto si colloca il progetto “Per i diritti dei cittadini” che sperimenta un’inedita e promettente rete tra associazioni di
volontariato e Difensore civico regionale potenzialmente esportabile,
a livello italiano ed europeo, e che attribuisce alla Regione Toscana
un ruolo di sperimentatore, che è del resto in linea con il ruolo di innovazione che la Regione ha da sempre svolto in merito alla promozione
della difesa civica. Nel quadro di un panorama italiano in cui la figura
del Difensore civico ha stentato a consolidarsi, la Toscana ha storicamente giocato un ruolo di avanguardia, da quando, nel 1974, è stata
la prima regione ad introdurre tale figura. Il ruolo di “apripista” della
Toscana a livello italiano è confermato oggi, con la sperimentazione
di inedite e innovative pratiche di coinvolgimento del Terzo settore e
degli organi istituzionali di prossimità, in reti territoriali di difesa civica. Si tratta di sperimentazioni che comprendono il protocollo siglato
con il Cesvot, ma anche altri protocolli e progetti, realizzati con Anci,
Corecom, Uncem e Legambiente. Si tratta di azioni che non acquistano soltanto valore a livello italiano – dove l’assunzione del ruolo di
Coordinatore nazionale dei difensori civici, nel 2013, è avvenuto da
parte del Difensore civico toscano, Lucia Franchini – ma possono
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favorire la diffusione di tale esperienza in altre regioni, oltre che a
livello europeo, con il sostegno del Mediatore europeo, interessato a
raccogliere e a promuovere le best practices. A livello europeo, infatti, l’esperienza toscana di avvicinamento e di cooperazione tra difesa
civica e volontariato è unica e trova eco soltanto in una esperienza
realizzata nei Paesi baschi.
La sinergia tra soggetti istituzionali e una pluralità di organizzazioni
di volontariato così differenti fra loro non è tuttavia così semplice ed
immediata, ma dipende dalla costruzione e dalla condivisione di un
lessico, di significati e di obiettivi comuni, e quindi dal reciproco avvicinamento tra modi distinti di concepire e realizzare la funzione di
advocacy che, a partire dalla valorizzazione di tale diversità, le concepisca come una ricchezza sulla quale investire per la costruzione
di una progettualità più ampia.
Uno degli obiettivi primari della ricerca è dunque indagare come il
mondo del volontariato toscano concepisca l’attività di promozione e
tutela dei diritti, come la declini operativamente, quali obiettivi e quali significati vi attribuisca, quali strumenti utilizzi, a che livello operi,
quali siano destinatari e interlocutori.
Specularmente la riflessione si è spostata sul ruolo del Difensore civico, approfondendo in che modo questa figura istituzionale contribuisca a implementare una azione di advocacy con riferimento al volontariato. Per farlo, abbiamo analizzato la figura e l’evoluzione di tale
figura a livello internazionale ed europeo, e quindi il suo sviluppo a livello italiano, ripercorrendo le tappe che hanno portato dall’istituzione
dei Difensori civici territoriali a partire dagli anni Settanta alle recenti
normative che hanno condotto all’estinzione del Difensore civico comunale, attribuendo ancor più centralità ai Difensori civici regionali,
dal momento che l’ormai antico dibattito sull’istituzione del Difensore
civico nazionale non si è ancora concretizzato in interventi legislativi
in tal senso.
È sulla scorta dell’analisi critica di questi due attori fondamentali
nell’ambito della promozione e tutela dei diritti, ma che spesso stentano a trovare forme di incontro, che siamo partiti con uno studio delle
dinamiche attivate grazie al progetto “Per i diritti dei cittadini” per in-
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traprendere una riflessione dai significati più ampi, anche in prospettiva di una estensione dell’esperienza in altre realtà. Ciò a partire dal
presupposto che se la democrazia si fonda, al di là dell’attribuzione
dei diritti formali, sulla partecipazione attiva dei cittadini e sulla costruzione di relazioni di dialogo e di cooperazione tra cittadini, associazioni e istituzioni, “educare alla conciliazione, alla risoluzione non
conflittuale degli interessi in causa costituisce un paradigma fondamentale per la convivenza civile” (Difensore civico toscano 2011, 5).
La ricerca è stata sviluppata seguendo alcuni step. A una prima fase,
finalizzata all’inquadramento teorico, alla definizione delle ipotesi di
ricerca, alla costruzione del campione e alla predisposizione delle
tracce di intervista, è seguita la fase di ricerca sul campo e di analisi
critica dei dati raccolti. In questa fase si sono studiati gli approcci e i
significati attribuiti alla funzione di advocacy da parte delle associazioni di volontariato e si sono analizzate le interazioni sviluppatesi tra
associazioni, cittadini e Difensore civico grazie all’implementazione
del progetto “Per i diritti dei cittadini”. Infine, le chiavi interpretative
costruite sono state utilizzate per individuare potenziali direttrici di
sviluppo del progetto, sia in ambito toscano sia in altri contesti.
La ricerca sul campo è stata effettuata conducendo un’intervista in
profondità ai rappresentanti di un campione di associazioni aderenti
al progetto Cesvot “Per i diritti dei cittadini” unitamente a quelle che
dal database di Cesvot risultano indicare come settore prevalente la
“tutela e promozione dei diritti”.
La traccia dell’intervista è stata costruita inserendo un primo gruppo
di domande orientato a ricostruire la storia, la mission e la vision delle
organizzazioni di volontariato studiate. Il secondo gruppo di domande era finalizzato a ricostruire la diversità di stili e di approcci alla
funzione di advocacy da parte dalle organizzazioni di volontariato, al
fine di individuare i significati che le diverse associazioni attribuiscono a questa attività e come la svolgono sul piano organizzativo e dei
repertori di azione.
Si è cercato di evidenziare le specificità, ma anche di rintracciare
un filo conduttore all’interno di questa pluralità di azioni, data dalla
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presenza di associazioni rivolte alla generalità dei cittadini e di associazioni che indirizzano invece la propria mission a soggetti specifici (pazienti, utenti dei servizi, migranti, minori, disabili, donne, ecc.),
di associazioni che sono nate, e da sempre sono attive nell’ambito
della promozione e tutela dei diritti, e di associazioni il cui settore
di intervento distintivo è diverso (si tratta di associazioni attive nel
settore socio-sanitario, sociale, culturale, ambientale), ma che hanno
sviluppato una sensibilità rispetto al tema dei diritti che ha trovato forma attraverso il progetto “Per i diritti dei cittadini”. In altri casi è stato
proprio grazie al progetto promosso da Cesvot che le associazioni si
sono avvicinate alla difesa civica.
Il terzo gruppo di domande è stato rivolto alla rilevazione della percezione che i rappresentanti delle associazioni hanno in merito alla diffusione di una cultura dei diritti da parte dei cittadini, della valutazione
dei possibili strumenti e delle possibili azioni da intraprendere per
affermare una cultura e una prassi di tutela e promozione dei diritti,
e, ancora, a ricostruire la rappresentazione della figura del Difensore
civico elaborata sia dai cittadini sia dai volontari. Si è quindi indagato,
attraverso le associazioni che hanno sottoscritto il protocollo, le dinamiche attivate a seguito dell’adesione alla rete territoriale di difesa
dei diritti, nonché le modalità organizzative adottate, entità e tipo di
istanza eventualmente presentante, tipo di rapporto sviluppato con il
Difensore civico e il suo staff.
Coerentemente con l’approccio dell’intervista in profondità, le interviste sono state condotte privilegiando la massima flessibilità e facendo in modo che gli intervistati si esprimessero liberamente descrivendo storia e obiettivi dell’associazione e ne illustrassero la vision e
la mission. Seguendo una traccia di intervista differenziata tra le tre
categorie di associazioni (cfr. Appendice), si è cercato di approfondire i significati e le modalità organizzative adottate per la promozione
e tutela dei diritti e, nello specifico, per comprendere come i diversi
intervistati interpretino il ruolo di advocacy dal punto di vista di una
associazione di volontariato, sia in relazione alla sensibilizzazione e
alla mobilitazione della cittadinanza, sia in relazione alle attività di
lobbying con le istituzioni pubbliche.
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Le interviste face-to-face hanno coinvolto tre sotto-campioni: il primo
composto dalle associazioni estrapolate dal database di Cesvot che
svolgono prevalentemente l’attività di “tutela dei diritti” e sono contestualmente aderenti al progetto di Cesvot “Per i diritti dei cittadini”; il
secondo composto dalle associazioni aderenti al progetto di Cesvot
“Per i diritti dei cittadini” che risultano operare in altri settori di intervento; il terzo composto dalle associazioni estrapolate dal database
di Cesvot che dichiarano di svolgere la “tutela dei diritti” quale attività
prevalente ma che non hanno aderito al progetto.
Tab. 1: Associazioni aderenti alla rete che indicano la tutela dei diritti come primo settore di
intervento
Associazione
Città
Ambito di attività
Federconsumatori
Arezzo
Tutela dei consumatori
L’Altro Diritto Onlus
Firenze
Tutela dei diritti dei detenuti
Atri Onlus
Firenze
Retinopatici e ipovedenti
Victoria Regia
Scandicci
Promozione dei diritti umani
Cittadinanzattiva
Livorno
Tutela dei consumatori e dei malati
Movimento dei consumatori
Livorno
Tutela dei consumatori
Centro per i diritti del malato
Prato
Tutela dei diritti dei malati
Tra le associazioni che hanno aderito al progetto “Per i diritti dei cittadini”, ne risultano 9 che indicano come settore prevalente la promozione e tutela dei diritti (tab. 1). Di queste, una è risultata inattiva
al momento del contatto e con un’altra non si è riusciti a realizzare
l’intervista. Le associazioni intervistate che rientrano in questo gruppo
sono quindi 7. In questo gruppo, oltre la metà sono associazioni di
difesa dei cittadini-consumatori, in generale o nel settore socio-sanitario. Un’associazione si occupa di diritti dei detenuti, un’altra di diritti
delle persone affette da una particolare patologia visiva, un’altra, infine, di cooperazione internazionale.
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Tab. 2: Associazioni aderenti alla rete per cui la promozione e tutela dei diritti non è il
principale settore di intervento
Associazione
Città
Ambito di intervento
Alice
Firenze
Tutela dei malati di Ictus
Ambiente Pulito Marginone
Altopascio
Tutela dell’ambiente
Anelli Mancanti
Figline
Prima accoglienza e integrazione di migranti e rifugiati
Anteas Valdarno Superiore
Reggello
Assistenza e sostegno agli anziani
Cui - Ragazzi del sole
Scandicci
Assistenza e sostegno ai disabili
Circolo Legambiente Gallo Verde
Greve
Tutela dell’ambiente
Gioco Parlo Leggo Scrivo
Prato
Percorsi di apprendimento per bambini
sordomuti
Il Giardino
Figline
Attività sociali e ricreative per gli anziani
Progetto Arcobaleno
Firenze
Assistenze e sostegno ai soggetti deboli
Circolo Interculturale Samarcanda
Piombino
Integrazione sociale e politica dei
migranti
Shqiperia
Livorno
Associazione di migranti
Legambiente Toscana
Firenze
Tutela dell’ambiente
Tra le associazioni del secondo gruppo, aderenti al progetto “Per i
diritti di cittadini” e il cui settore di intervento primario è diverso dalla
promozione e tutela dei diritti (tab. 2), vi sono realtà assai differenziate, in termini di ambito di azione, di mission, di dimensione e di struttura organizzativa. Sono state incluse associazioni attive nell’ambito
sociale e ambientale, ma anche associazioni ad personas, ovvero
rivolte agli anziani, agli immigrati, ai disabili e alle persone colpite da
particolari patologie.
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Tab. 3: Associazioni attive nella promozione e tutela dei diritti non aderenti alla rete Cesvot
Associazione
Città
Ambito di intervento
Medu
Firenze
Promozione diritto alla salute degli
immigrati
Adipel
Carrara
Tutela dei diritti dei cittadini e dei
lavoratori
Centro Nuovo modello di sviluppo
Pisa
Tutela dei lavoratori dei paesi in
via di sviluppo
CIF Carrara
Carrara
Tutela dei diritti delle donne
Eccetera
Livorno
Promozione cultura dei diritti e
partecipazione tra gli adolescenti
La Martinella
Grosseto
Tutela della Costituzione
Anche le associazioni appartenenti al terzo gruppo sono tra loro assai
differenziate (tab. 3), al di là della condivisione di azioni per la tutela
e promozione dei diritti come dimensione primaria di intervento. Si
tratta di associazioni che non hanno partecipato al progetto “Per i
diritti dei cittadini”, anche se molte fra queste hanno manifestato interesse per una eventuale adesione, e che interpretano in maniera
diversificata la funzione di promozione e tutela dei diritti, anche in virtù della specificità dei destinatari che richiede l’adozione di strategie
differenziate. Vi sono associazioni che si occupano di promozione dei
diritti dei cittadini, in senso generale, e associazioni che promuovono
i diritti di soggetti specifici, come le donne, i migranti, i lavoratori dei
Paesi in via di sviluppo. Alcune di queste associazioni sono attive soprattutto a livello culturale, promuovendo, per esempio, la diffusione
della cultura della legalità tra i giovani o impegnandosi nella difesa
della Costituzione.
Il panorama delle interviste in profondità si completa con una intervista al Difensore civico regionale della Toscana dott.ssa Lucia Franchini e con una intervista al dott. Vittorio Gasparrini, membro dell’Ufficio
del Difensore civico regionale, all’interno del quale svolge la funzione
di referente per le questioni relative alla sanità, al fine di confrontare
le differenze di approccio nella promozione e tutela dei diritti tra questa figura istituzionale e le associazioni di volontariato, di valutare le
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dinamiche attivate a seguito della firma del protocollo e di tracciare
dei possibili scenari di sviluppo per il futuro, sia in merito al prosieguo
dell’esperienza toscana sia in merito a una sua possibile esportazione in altri contesti.
Le interviste sono state realizzate tra giugno e dicembre del 2013, solitamente presso la sede delle associazioni e hanno avuto una durata
media di 40 minuti.
Il volume è strutturato come segue.
Il primo capitolo inquadra il rapporto tra associazionismo e advocacy
nell’ambito di una più ampia riflessione in merito alle trasformazioni
del volontariato. Lo spunto di partenza in questa direzione è venuto dalla ricerca Cesvot Il volontariato inatteso. Nuove identità nella
solidarietà organizzata in Toscana (Salvini, Corchia 2012) che, focalizzandosi sul contesto toscano, evidenzia le linee di sviluppo di
un “nuovo volontariato”, che si affianca al volontariato tradizionale,
introducendo nuovi approcci e costruendo nuovi significati dell’agire solidale. Tra le caratteristiche distintive del “nuovo volontariato” vi
sono il superamento di un’ottica di gratuità pura, l’affermazione del
principio di reciprocità e la crescente professionalizzazione. Quest’ultima caratteristica si associa ad una tendenza alla specializzazione
e alla settorializzazione che, tuttavia, non ostacola l’inquadramento
del lavoro volontario in una prospettiva più ampia. Nel contesto del
“nuovo volontariato”, la funzione di advocacy assume una crescente
rilevanza, tanto da potere essere concepita come un filo conduttore,
di natura trasversale, che lega associazioni diverse tra loro per mission e per vision, ma che da punti di vista diversi contribuiscono alla
promozione e tutela dei diritti. Proprio per il suo carattere trasversale,
la funzione di advocacy può rappresentare un elemento unificante su
cui costruire reti e sinergie.
Nel secondo e nel terzo capitolo l’approfondimento critico dei significati assunti dal concetto di advocacy, rappresenta il punto di partenza di una analisi critica della pluralità di approcci che caratterizzano
le associazioni di volontariato attive nell’attività di promozione e tutela dei diritti. L’analisi dei significati e degli approcci all’advocacy da
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parte del volontariato è integrata da un inquadramento storico e normativo della figura del Difensore civico, a livello europeo e italiano, il
cui obiettivo è individuare i possibili punti di incontro tra questa figura
istituzionale e il mondo del volontariato, ai fini della costruzione di una
rete territoriale di promozione e tutela dei diritti dei cittadini. Si tratta
esattamente dell’obiettivo che si è posto Cesvot con il progetto “Per i
diritti dei cittadini”, di cui si descrivono gli obiettivi e si analizzano le
dinamiche attivate.
Nel quarto capitolo, a partire dalle dinamiche attivate grazie al progetto “Per i diritti dei cittadini”, si traccia una prospettiva di sviluppo
di una rete territoriale di promozione e di tutela dei diritti. Questa, a
ben vedere, può assumere declinazioni e significati che vanno oltre
le ambizioni originarie del progetto, “mettendo a sistema” le associazioni di volontariato creando sinergia e stimolando dinamiche di crescita condivisa lungo la triangolazione cittadini-associazioni e difesa
civica, e favorendo, per questa via, la valorizzazione reciproca delle
associazioni di volontariato attive nel territorio. Sulla base delle osservazioni raccolte dai suoi protagonisti, si identificano le azioni che
possono essere assunte per rafforzare ulteriormente una visione del
volontariato che individua nell’advocacy una funzione trasversale: un
filo conduttore a partire dal quale costruire e rafforzare reti. Infine, si
esplorano le possibilità di esportazione del modello toscano, a livello
nazionale ed europeo, quale promising practice.
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Capitolo 1
Volontariato e advocacy
di Andrea Pirni
1.
I volti plurali di un volontariato in trasformazione
La recente ricerca Cesvot Identità, bisogni e rappresentazioni del volontariato in Toscana (Salvini, Corchia 2012) ha messo in luce una
serie di trasformazioni che investono il panorama del Terzo settore
in Toscana, in un complesso scenario di continuità e mutamento che
conferma alcune chiavi di lettura emerse dalle più recenti ricerche
sul volontariato, a livello nazionale e internazionale, ma nel contempo
conferma le specificità del volontariato toscano, sia sul piano della
diffusione quantitativa che sul piano qualitativo.
Il mutamento del volontariato è specchio dei cambiamenti della società, dei bisogni e delle necessità, sia della cittadinanza nel suo
complesso, sia degli stessi volontari. I processi di individualizzazione
si accompagnano a una trasformazione dei valori e delle forme della
socialità che cambiano i volti dell’agire sociale e dell’agire solidale. I
protagonisti di tale trasformazione sono in particolare i giovani, socializzati in un contesto di disillusione, di sfiducia verso i soggetti organizzati tradizionali, di rilevanti tendenze verso il disimpegno, alimentate dall’erosione del capitale sociale (Putnam 2000) e che vivono ed
esprimono in prima persona gli effetti di un processo di pluralizzazione e di frammentazione dell’universo valoriale e di uno spostamento
del baricentro dalla dimensione collettiva alla dimensione individuale.
Si parla a proposito dell’emergere di una socialità ristretta (de Lillo
2002), a cui corrisponde la costruzione di una gerarchia di valori ad
anelli concentrici che vede i giovani porre al centro del loro sistema
valoriale gli affetti e le relazioni primarie e che concepisce la realizzazione di sé come un processo riflessivo e dinamico di autonomizzazione e di costruzione di relazioni significative in un contesto di
eguaglianza e solidarietà sociale, prima che in una ricerca di appartenenze forti. La dimensione collettiva dell’impegno politico e sociale, in questo scenario, rimane apparentemente sullo sfondo, ma non
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scompare. A ben vedere, infatti, il mutamento valoriale non si concretizza in sé, in una semplice riduzione della disponibilità all’impegno
sociale e in una riduzione dell’agire solidale, ma in una sua progressiva riconfigurazione, nei principi ispiratori, nelle finalità e nelle modalità organizzative. La figura dell’individuo impegnato socialmente,
oggi, prendendo a prestito le parole di Ulrick Beck, risponde, idealtipicamente, al profilo del “cosmopolita individualista” che coniuga
individualizzazione e costruzione riflessiva del legame sociale, praticando una “morale accattivante e innovativa che riesce a mettere
in connessione termini apparentemente antitetici: autorealizzazione
e impegno per gli altri, impegno per gli altri come autorealizzazione”
(Beck 2000, 45). Si tratta di un elemento chiave, che sottolinea come
il mutamento delle forme e dei significati della partecipazione sociale,
civica e politica, non sia semplicemente spiegabile nei termini di un
processo di indebolimento dell’azione solidaristica, ma sia da comprendere nei termini di una sua rideclinazione che non pone più al
centro un principio di gratuità pura, come avveniva nel volontariato
tradizionale, ma il principio della reciprocità, che non esclude il perseguimento, più o meno esplicito, di benefici per lo stesso volontario
(Psaroudakis 2012, 19). Il superamento della prospettiva della gratuità non significa che l’agire del volontariato si profili necessariamente come un atto strumentale, finendo per mutuare principi e valori
estranei all’azione non profit, ma che la gratificazione personale del
volontario diventi una finalità costitutiva del volontariato, almeno al
pari dei benefici apportati ai destinatari che, rimanendo in un’ottica di
azione volontaria, non sono da intendersi in senso economico, ma di
gratificazione personale, sul piano delle competenze acquisite, delle
relazioni costruite e del percorso di crescita condivisa sviluppato con
i destinatari, che non sono più concepiti come meri ricettori passivi
ma come soggetti attivi.
Come efficacemente descrive Psaroudakis, “il nuovo volontariato
è subordinato a quelli che sono i nuovi valori della società attuale,
come la libertà, la democrazia, la partecipazione. Tutto ciò si lega,
in ultima istanza, a un crescente processo di individualizzazione: la
crescita personale è dovuta in larga misura al genere di attività che
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si svolge, rendendo esplicito il legame tra dinamiche solidali e relazionali, e sviluppo individuale. La scelta dell’organizzazione è quindi
subordinata a fattori individuali e interessi personali: la struttura che
si presenta, pur se gestita su base democratica, non può più essere
forte, ma è caratterizzata da legami deboli o da adesione parziale. Il
volontariato del nuovo tipo è assimilabile alla creazione di forme di
comunità concrete, generate nell’interazione tra globale e locale, e
bilanciate perennemente tra il punto di vista personale degli aderenti
ed i bisogni dell’organizzazione” (Psaroudakis 2012, 30).
Si tratta di una tendenza che contiene molteplici implicazioni e che
spinge a ripensare alcune della categorie interpretative con cui si
indaga il mondo del volontariato, al tempo stesso iscrivendosi in un
più ampio processo di mutamento delle forme organizzative e del
legame tra attivisti e strutture stesse, e che non investe il solo ambito
del volontariato, ma che investe partiti, movimenti, reti informali. Se
concentriamo l’attenzione sulle organizzazioni di nuova generazione,
si osserva un progressivo spostamento dalle organizzazioni generaliste – che procede in parallelo alla loro progressiva istituzionalizzazione – ad organizzazioni specialistiche, o single-issue (Raffini 2014).
Si tratta di un fenomeno che riguarda i movimenti e le mobilitazioni
collettive, al pari delle organizzazioni non profit che, anche quando
mantengono la tradizionale forma della charity, sempre più tendono
a focalizzare gli interventi su segmenti specifici della popolazione (i
migranti, le donne, i minori, ecc.) calibrando su questi competenze e
strumenti di azione, piuttosto che rivolgersi genericamente ai “bisognosi”.
Settorializzazione e frammentazione rappresentano una tendenza che
possiamo attribuire alla trasformazione delle esigenze e dei bisogni,
in società sempre più complesse e plurali, e quindi dalla necessità di
offrire risposte specialistiche, ma anche alle trasformazioni dell’approccio al volontariato, soprattutto da parte dei giovani. In una società caratterizzata da incertezza e precarietà lavorativa, si osserva una
generale diminuzione del tempo libero, ma anche una crescente sovrapposizione e compenetrazione tra tempo libero e tempo di lavoro,
tra attività lavorativa e attività gratuita. La ricomposizione delle espe-
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rienze formative e professionali, sempre più, discende dalla costruzione di un curriculum coerente, in termini di competenze acquisite
che, al di là delle posizioni lavorative di tipo tradizionale, si maturano
in una pluralità di esperienze, compresa l’attività nel settore non profit,
sia a titolo volontario che retribuito. È anche in questa forma che si ha
il passaggio da un volontariato inteso come gratuità pura a un volontariato fondato sul principio di reciprocità che non tradisce la filosofia
di fondo del volontariato, ma persegue il bilanciamento tra benefici
collettivi e benefici individuali di chi presta il proprio “lavoro volontario”, espressione che si fa spazio per sostituire quella più tradizionale
di “azione volontaria”. Il volontariato, sotto questo punto di vista, viene
a configurarsi come una forma di lavoro volontario nell’ambito della
società dei lavori plurali, in cui la differenziazione netta tra tempo di
lavoro (retribuito), tempo libero e tempo dedicato ad attività sociali e
politiche si sfuma dando forma a nuovi equilibri.
Il giovane specializzando in medicina che presta il proprio contributo
in un’associazione di promozione dei diritti sanitari degli immigrati e il
giovane laureando o laureato in giurisprudenza che è coinvolto nelle
attività di un’associazione di tutela dei diritti dei detenuti si discostano
dalla figura tradizionale del volontariato che, nel proprio tempo libero,
si dedica ad attività filantropiche estranee alle proprie competenze
professionali. Si tratta di esempi paradigmatici in un nuovo volontariato le cui motivazioni si fondano sulla volontà di trovare un equilibrio tra
crescita personale e contributo all’interesse generale, a fronte di una
minore disponibilità di tempo libero da destinare ad attività ispirate
alla gratuità e al contempo dall’esigenza di attivarsi in progetti e attività che permettano di utilizzare le proprie competenze per metterle
al servizio di chi dispone di minori risorse, conferendo per questa via
un senso di efficacia a fronte del proprio impegno, poiché sempre
più la professionalità, e non solo la buona volontà, è considerata un
elemento necessario e imprescindibile per praticare del buon volontariato.
È una concezione del volontariato che, nell’ambito della ricerca che
abbiamo realizzato, si riscontra pienamente nelle associazioni di nuova generazione, ma anche nelle associazioni più tradizionali, impe-
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gnate nell’esplorazione di nuove modalità di azione. Il nuovo modo di
concepire il volontariato vede nella professionalità non un elemento
che ne snatura il ruolo, ma che lo arricchisce, permettendo una valorizzazione delle competenze del volontario e allo stesso tempo di
renderne più incisivo l’intervento nella società.
È importante fare corsi per specializzare il volontario, per renderlo competente, per “professionalizzarlo”. Non perché il volontario debba sapere fare tutto, ma per fare capire sin da subito
di cosa esattamente si tratta, quello che il volontario va a fare;
facendo sì che il volontario abbia il massimo spettro di competenze a cui attingere per potere essere pratico e efficace nei
suoi interventi. Stiamo riuscendo a coinvolgere dei nuovi volontari, soprattutto giovani, che si affiancano alle generazioni precedenti, cosa tipica della nostra associazione che si rivolge a
tutte le età (Anteas Valdarno Superiore).
Il personale è composto di studenti di giurisprudenza, laureati,
ricercatori, avvocati. Un gruppo di persone, quindi, che sono
formate in questo specifico ambito e utilizzano le proprie competenze per fornire un lavoro volontario. Quello che noi cerchiamo di fare all’Università, nei corsi e nei seminari, è di fare capire
che il diritto è un fenomeno sociale, e quindi può essere utilizzato anche a favore delle categorie più deboli. Quello che cerchiamo di trasmettere è che il giurista esercita una funzione sociale
importante, non è soltanto un mero esecutore o applicatore di
leggi (L’altro diritto).
Abbiamo una trentina di volontari che non sono solo medici ma
sociologi, psicologi, antropologi, infermieri, legali. Ci avvaliamo
di una serie di professionalità per garantire un approccio multidisciplinare all’utenza (Medu).
Tra le linee di mutamento che caratterizzano lo sviluppo di un nuovo
volontariato, che non si sostituisce ma si affianca al volontariato tradizionale, vi è dunque il passaggio da un modello fondato sullo spirito
di dedizione e sullo spontaneismo a un modello più professionalizzato (Salvini 2012) che non di rado si associa all’assunzione di modus
operandi e forme organizzative proprie dell’impresa.
Si tratta di una evoluzione che si spiega con la necessità di fornire
risposte efficaci e concrete a problematiche specifiche, ma anche
con la necessità, ai fini dell’acquisizione di risorse finanziarie, di par-
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tecipare a bandi, in particolare quelli europei, sempre più complessi
e che richiedono specifiche competenze. La professionalizzazione,
ma anche l’incremento delle forme, più o meno strutturate e stabili di
collaborazione con le istituzioni, soprattutto nel caso delle associazioni attive nel settore sociale e sanitario, ha favorito un processo di isomorfismo istituzionale, conducendo le associazioni, ed in particolare
quelle più grandi e consolidate, ad assumere tratti propri del primo e
del secondo settore, ovvero delle istituzioni e delle imprese (Salvini
2010).
Tale avvicinamento del Terzo settore alle configurazioni organizzative
e ai principi di azione di istituzioni e imprese, evidente soprattutto nei
settori del non profit che prevedono attività retribuite, ha come effetto,
non sempre desiderabile, lo sviluppo di associazioni specialistiche e
settoriali, con il risultato di arricchire il mondo del volontariato, ma al
tempo stesso di incrementarne la frammentazione. Ciò pone degli interrogativi sulle capacità di trovare strumenti di connessione, capaci
di favorire lo sviluppo di solidarietà più ampie e di favorire la produzione di capitale sociale, la cui chiave, come osserva Psaroudakis
(2011, 38), può essere l’affermazione di una lettura che si sposta “da
un livello individuale a uno collettivo: si va verso una solidarietà interorganizzativa e diffusa, composta di reti di organizzazioni. Il sistema
deve essere compreso in maniera inedita, attribuendo valore ai volontari e a ogni singola organizzazione in una cornice più ampia di
interazioni”.
Frammentazione, specializzazione e professionalizzazione, infatti,
non rappresentano la porta di ingresso verso derive particolariste e
ipersettoriali, se tale processo si associa allo sviluppo di forme di networking, che pongono in rete non solo le associazioni con le istituzioni pubbliche, laddove il rapporto con quest’ultime diventa sempre più
rilevante per permettere alle associazioni di reperire risorse e di dare
concretezza alle proprie azioni (Salvini 2012), ma tra le stesse organizzazioni, che nella costruzione di reti orizzontali possono favorire la
reciproca valorizzazione e massimizzare l’impatto della loro azione
in un’ottica di trasformazione degli assetti sociali ed economici della
società in cui operano.
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Le trasformazioni valoriali e organizzative del volontariato sopra descritte concorrono a sancire il superamento di una concezione “additiva” del volontariato, tipica di un volontariato “compassionevole”, che
lo vede svolgere una funzione di supplenza o di sostituzione delle
istituzioni, soprattutto in materia di servizi sociali e sanitari, a favore
di una concezione “emergentista”, che identifica il volontariato come
una forza trainante per il cambiamento delle istituzioni politiche ed
economiche (Zamagni 2011). Il volontariato, nella prospettiva emergentista, si configura come un ambito di sperimentazione di nuove
pratiche di socialità che mirano a trasformare la società nel suo complesso. Si tratta di una concezione del volontariato perfettamente in
linea con l’affermazione di Beck in merito alla conciliazione tra impegno e autorealizzazione, che passa per una definizione dell’impegno per gli altri come momento di autorealizzazione, che promuove
la costruzione di relazioni significative e l’attivazione di strumenti di
crescita condivisa e reciproca.
Il discostamento del “nuovo volontariato” dall’ottica della gratuità afferma una pratica del “dono come atto pubblico” (Zamagni 2011),
piuttosto che come atto privato, circoscritto nella sfera della socialità
e degli affetti ristretti (gli amici, la famiglia). Il nuovo volontariato, quindi, si differenzia dal volontariato tradizionale, poiché se la prospettiva
della gratuità, circoscritta ad un’ottica filantropica, concepisce l’azione solidale come rivolta agli altri, il nuovo volontariato si fonda su
un “fare con gli altri” (ibidem) che non rende i destinatari dipendenti
dall’organizzazione che presta il servizio, ma che promuove percorsi
di autonomizzazione dei destinatari e quindi una reciprocità tra gli
stessi e i volontari, che idealmente trova concretizzazione nel pieno
coinvolgimento dei destinatari.
Si tratta di una concezione del ruolo del volontariato che è esplicitamente rivendicata dalle associazioni di nuova generazione, dalla cui
autorappresentazione emerge in forma piena la rivendicazione di un
volontariato fondato sul principio della reciprocità, piuttosto che della
gratuità, sulla base della convinzione che un volontariato così definito
sia maggiormente in grado di offrire benefici concreti ai destinatari e
al tempo stesso sia gratificante per chi presta il lavoro volontario.
26
Il primo livello è la diffusione della consapevolezza e delle regole. Chi viene ad Anelli Mancanti sa che io vi dedico il mio tempo
ma loro si devono impegnare a frequentare la scuola e a curare
la struttura, anche dando un po’ del loro tempo. Io ti aiuto e ti do
un servizio ma tu devi rispettare le strutture e gli spazi in cui sei.
Ma per la mia esperienza queste regole spesso non sono stabilite e si finisce per dare un messaggio ambiguo (…). Dare (agli
immigrati) il messaggio che gli viene data loro della roba gratis,
per esempio dei vestiti gratis, o da mangiare gratis, è un messaggio fuorviante che fa sì che loro si trovino un una situazione e
per cui è loro tutto dovuto, perché vivono condizioni di difficoltà,
e non c’è invece quel percorso di autonomia che noi cerchiamo
di attivare dando strumenti affinché una persona possa decidere della propria vita (Anelli Mancanti Figline).
Cerchiamo il più possibile una valorizzazione delle persone cui
ci rivolgiamo, anche in Palestina e negli altri contesti in cui lavoriamo. Cerchiamo, prima di tutto, il collegamento con il servizio
pubblico e cerchiamo quindi di valorizzare il personale locale,
preferendo lavorare con le comunità che creare grandi strutture
ospedaliere. Cerchiamo di formare gli addetti e di creare brigate
mediche che si attivino sui territori. Lavoriamo, insomma, su una
modalità di intervento il più possibile orizzontale (Medu).
Il periodo d’oro dell’associazionismo è stato quindici/venti anni
fa. Trovare oggi nuove leve per il volontariato è difficile; cerchiamo di mettere in campo proposte innovative, momenti di aggregazione, eventi, che possano attirare l’interesse, e sperare
che qualcuno rimanga a darci mano. Ma soprattutto per noi è
importante la soddisfazione di chi viene (Il Giardino).
La sottolineatura della dimensione della reciprocità si associa al superamento di un approccio assistenziale a favore di un intervento pluridimensionale che non si limita a offrire risposte caritatevoli a bisogni che non trovano altrimenti canali di espressione, ma si interroga
riflessivamente sulle cause e sugli effetti dei fenomeni che affronta,
coniugando quindi l’attività assistenziale con un’azione volta a promuovere percorsi che conducono il destinatario ad acquisire risorse
e diritti, e quindi a rimuovere le cause stesse che rendono necessario
rivolgersi al volontariato. È in questo mutamento di prospettiva che si
colloca la crescente centralità della funzione di advocacy da parte
delle associazioni di volontariato, in quanto il superamento della lo-
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gica caritatevole comporta la ridefinizione del rapporto del volontariato con la società e con le istituzioni, favorendo per questa via una
progressiva trasformazione del baricentro delle attività, delle finalità
perseguite e delle forme di azione. Queste si orientano sempre più
alla tematizzazione delle cause che producono marginalità e vulnerabilità, piuttosto che alla semplice cura degli effetti. Si tratta di un
riorientamento che non caratterizza, del resto, soltanto le associazioni
di nuova generazione, ma che si afferma anche nelle più tradizionali
e consolidate associazioni attive in ambito socio-sanitario: anch’esse
tendono a superare l’approccio caritatevole, integrandolo con forme
di advocacy, variamente declinate. Il volontariato, per questa via, si
va a porre al centro di “un fenomeno organizzativo che comprende
quella pluralità di forme con cui i cittadini si uniscono, mobilitano risorse e agiscono nel ciclo delle politiche pubbliche esercitando poteri e responsabilità al fine di tutelare diritti, curare beni comuni e
sostenere soggetti in difficoltà” (Moro 2010).
La definizione proposta da Moro ha il pregio di sintetizzare le principali dimensioni distintive del volontariato: prestazione di assistenza ed
erogazione di servizi, costruzione di beni comuni, promozione e tutela
dei diritti. Quando le tre dimensioni coesistono, l’attività di volontariato
si incrocia con quella dell’attivismo civico, coniugando l’azione di risoluzione dei problemi con l’attività di prevenzione, contribuendo per
questa via a trasformare la società. Detto in altri termini, le attività di
servizio, nel nuovo volontariato, tendono a non rimanere isolate, configurando una mera funzione suppletiva e surrogatoria del welfare, ma
trovano completamento tanto nel perseguimento del coinvolgimento
attivo dei destinatari, quanto in una attività di advocacy, finalizzata
a tematizzare pubblicamente le dinamiche che contribuiscono ad
escludere alcuni soggetti dai diritti sociali, civili e politici, mobilitando
i cittadini e indirizzando alle istituzioni istanze per modificare lo status
quo.
Ne emerge un approccio che si sviluppa in un doppio binario: quello
della implementazione ed erogazione di servizi, il cui fine è rispondere a diritti e interessi altrimenti non tutelati, e quello dell’attivazione
affinché tali interessi e diritti possano trovare riconoscimento, ponen-
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dosi al fianco delle categorie che non dispongono delle risorse per
auto-tutelarsi, privilegiando, a seconda della mission dell’associazione e dell’ambito di intervento, l’una o l’altra dimensione, o perseguendo una integrazione virtuosa tra le due.
Il principio che ci ha spinto a ragionare come Medu è quello
di affermare un concetto di salute che attribuisca alle istituzioni
pubbliche la responsabilità di garantire il diritto alla salute e alle
cure. Non un terzo settore sostitutivo del servizio pubblico ma
che sia complementare e di stimolo al servizio pubblico. Per cui
andiamo a cercare quelle situazioni escluse per fare da ponte e
ricondurle all’utilizzo del servizio pubblico (Medu).
La ricerca Cesvot Identità, bisogni e rappresentazioni del volontariato
in Toscana ha rilevato come questo tipo di trasformazione sia pienamente all’opera nella regione dove, a fronte di una tradizionale sovrarappresentazione delle associazioni attive in ambito socio-sanitario
(il 75% sul totale delle organizzazioni nel 2010), si osserva, tra le associazioni di recente costituzione, la netta tendenza a privilegiare l’adozione di ambiti di azione “no welfare”, a favore di una declinazione
più orientata al sociale e all’advocacy, piuttosto che all’erogazione di
servizi in ambito sanitario (Psaroudakis 2012, 45). Le nuove sfere di
intervento spaziano dalla tutela dei beni comuni alla protezione civile
e al volontariato internazionale. I destinatari, spesso, sono categorie
specifiche di cittadini, di cui ci si occupa “a 360 gradi” (immigrati e
rifugiati, detenuti, minori, donne, anziani, disabili).
Anche nei casi in cui nell’azione delle organizzazioni di volontariato tendono a convivere la dimensione della prestazione del servizio
e quella dell’advocacy, la seconda acquista un particolare rilievo,
avendo per oggetto il perseguimento degli obiettivi di medio-lungo
periodo, rivestendo quindi una centralità, anche simbolica, nelle autorappresentazioni che i volontari offrono delle organizzazioni in cui
sono coinvolti.
La conciliazione riflessiva della dimensione della prestazione di servizi e della attività di advocacy si pone a fondamento di un volontariato
il cui obiettivo è promuovere una “civilizzazione del mercato e dello
stato” (Zamagni 2011).
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2.
Associazionismo e advocacy: approcci e significati
L’attività di promozione e tutela dei diritti da parte delle associazioni
di volontariato comprende una serie di azioni relative alla “tutela di
diritti proclamati in leggi o radicati nella coscienza comune. Si tratta
di diritti a rischio, non per un formale misconoscimento, ma per un
insieme di gap di implementazione che possono derivare da disinteresse della pubblica amministrazione, da conflitti con diritti più forti
(come nel caso del diritti di sciopero nei servizi o, in svariati casi, del
diritto alla privacy), di interpretazioni riduttive – spesso formalizzate
in regolamenti attuativi – di chi sarebbe preposto a proteggerli, ma
anche di formulazioni così generiche da non significare nulla” (Moro
2010). Adottando questa definizione, che operativizza il concetto di
promozione e tutela dei diritti associandolo in maniera diretta al diritto
alla buona amministrazione e alle attività di denuncia-risoluzione dei
casi di cattiva amministrazione, il quadro toscano conferma l’immagine di una regione in cui l’attenzione verso i diritti è tenuta alta, e in cui
le associazioni svolgono un ruolo fondamentale, evidenziano consolidati rapporti di dialogo e di cooperazione con le istituzioni locali. Le
interviste realizzate con i rappresentanti delle associazioni impegnate
in questa attività evidenziano una forte condivisione e un significativo
allineamento, almeno a livello di principio generale. Gli elementi di
differenziazione e di diversità che emergono dalla ricerca non riguardano principi e obiettivi di fondo, ma l’individuazione delle modalità di
azione e delle strategie per realizzare tali finalità.
Non vi è, infatti, un solo modo di contribuire alla promozione e tutela
dei diritti. Emerge, al contrario, una pluralità di rappresentazioni e di
significati, oltre che di modalità operative, che sottostanno a un panorama estremamente articolato. La pluralità di definizioni e di approcci
rappresenta un potenziale fattore di frammentazione, ma anche di
ricchezza, dal momento che le diversità riescono a porsi in rete favorendo rapporti di complementarietà e di reciproca valorizzazione.
Risulta difficile operare una definizione sintetica delle attività che definiscono la funzione di advocacy, termine che rispetto al concetto
più generale di promozione e tutela dei diritti dovrebbe assumere un
significato più circoscritto, ma che ancor più risulta sfuggente agli
30
occhi degli stessi volontari, in particolare di coloro che operano in associazioni che non si occupano di promozione e tutela dei diritti come
attività primaria e che non dispongono di specifiche competenze di
tipo legale-giuridico. La polisemia assunta dal termine advocacy è
del resto, in un certo senso, connaturata al concetto stesso, di cui è
difficile sintetizzare una definizione univoca e condivisa, anche nella
letteratura internazionale, dove il termine è utilizzato per descrivere
una serie di attività che spaziano dalla sensibilizzazione dell’opinione
pubblica, all’individuazione e tematizzazione di problemi e di proposte di interventi per la loro risoluzione all’organizzazione della mobilitazione dei cittadini, all’agenda setting e al policy-design, al coinvolgimento nell’implementazione di politiche pubbliche, al monitoraggio
delle policies.
Come prima definizione generale e comprensiva di advocacy, possiamo adottare quella proposta da Jenkins, per cui tale attività indica un processo di “articolazione di posizioni e la mobilitazione di
supporto a loro favore” (Jenkins 2008, 309), che amplia lo spettro
rispetto ad un’altra possibile definizione proposta dallo stesso autore,
che definisce invece advocacy “ogni tentativo di influenzare una élite
istituzionale in rappresentanza di un diritto collettivo” (ivi, 297). L’azione da parte di una organizzazione collettiva per realizzare l’obiettivo
di influenzare i decisori politici o, in generale, le istituzioni può, tuttavia, fondarsi su strumenti diversi. Può perseguire la strada del dialogo-confronto-conflitto con le istituzioni da parte dei rappresentanti
dell’organizzazione, ma può anche promuovere la mobilitazione dei
cittadini in modo da allargare la base della rivendicazione e di accrescere il potere di influenza sulle istituzioni. Le due direttrici di azione
spesso convivono, dando forma a due dimensioni distinte e complementari della funzione di advocacy, la prima definibile di advocacy
diretta, la seconda definibile di advocacy indiretta. La distinzione tra
le due forme di azione può essere rappresentata anche con il ricorso
ai concetti di advocacy politica e di advocacy sociale, laddove la
prima si rivolge alle istituzioni politiche e la seconda ha come destinataria l’opinione pubblica e si fonda quindi sull’organizzazione della
mobilitazione dei cittadini.
31
Se guardiamo alle definizioni proposte nella letteratura italiana, nel
glossario Le parole del no profit, curato da Carbone, troviamo una definizione della advocacy quale “processo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo a una causa, un’idea, una persona (per es., i
diritti dei disabili, i diritti umani, i diritti civili, il rispetto dell’ambiente)
da parte di individui, organizzazioni, aziende o istituzioni pubbliche”
(Carbone 2010), che ne sottolinea la dimensione sociale della funzione, mentre la definizione proposta da Moro enfatizza maggiormente la dimensione prettamente politica, definendo l’advocacy come
quell’attività finalizzata a “rappresentare e difendere punti di vista e
diritti di cittadini di fronte a chi dovrebbe riconoscerli” (Moro 2010).
È il riferimento all’interesse collettivo che distingue l’attività di advocacy dalla attività di lobbying rispetto a interessi privati. “Le organizzazioni no-profit sono strumento per lo sviluppo di visioni comuni e di
mission sociali, finalizzate al perseguimento collettivo dell’interesse
e dei valori comuni. Analizzano, interpretano e convogliano le informazioni dal livello societario e creano quindi il contesto che orienta
l’azione amministrativa” (Reid 2010, 5). La distinzione tra lobbying, intesa come promozione, legittima, di interessi particolari, e advocacy,
intesa come promozione dei diritti collettivi, è utile sul piano teorico,
per quanto difficilmente tracciabile in molti casi concreti, in cui la tutela di interessi di un collettivo di individui può porsi in contraddizione
con gli interessi di un altro collettivo di individui.
La rilevazione ha evidenziato che il concetto di advocacy non risulta
noto e immediatamente comprensibile alla gran parte dei soggetti
intervistati, soprattutto tra le associazioni aderenti al progetto “Per i
diritti dei cittadini” che non hanno avuto precedenti esperienze nel
settore della promozione e tutela dei diritti. In questi casi si è cercato
di ricostruire i significati e le modalità concrete di realizzazione della
funzione di advocacy a partire dalle azioni concrete realizzate in tema
di promozione e tutela dei diritti, dei destinatari e degli interlocutori e
in base alle reti di relazione costruite.
I rappresentanti delle associazioni tendono ad adottare una concezione dell’advocacy, che la identifica primariamente con il contatto
diretto con le istituzioni, e non vi fa rientrare le attività di promozione e
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tutela dei diritti realizzate nell’ambito della sfera pubblica, il cui obiettivo è nondimeno influenzare i decisori politici. Definiscono, quindi,
la funzione di advocacy primariamente nei termini di quella che abbiamo precedentemente definito advocacy diretta, ovvero come un
farsi carico dei problemi e delle violazioni dei diritti che riguardano le
persone, e in particolare i settori più deboli, e rappresentarne le istanze con le istituzioni, in modo che il problema trovi soluzione. Come
vedremo, tuttavia, un tratto distintivo che accomuna la maggioranza
delle associazioni è la loro integrazione di questa funzione con quella
di advocacy sociale, o indiretta, che si esplica nella promozione della
mobilitazione dei cittadini o nel coinvolgimento in campagne e mobilitazioni più ampie sul tema dei diritti.
Le definizioni più tecniche della funzione di advocacy, e al tempo
stesse quelle più focalizzate sul rapporto diretto con le istituzioni sono
proposte dalle associazioni che individuano nella tutela e promozione
dei diritti il settore principale di intervento, per cui l’advocacy è “dare
voce a chi non l’ha”, “farsi carico dei problemi delle persone e rappresentarli presso le istituzioni”.
Fare attività di advocacy per me significa dare voce a chi non
l’ha. Noi sappiamo che quando le istanze sullo stesso tema sono
tante allora c’è un problema. Noi verifichiamo e se vediamo che
un problema è grande lo denunciamo, Per esempio sulla questione degli sfratti, degli alloggi, certo in questo caso risolvere
è un altro discorso ma noi denunciamo, magari insieme ad altre
associazioni (Movimento consumatori Livorno).
La funzione di advocacy è uno dei nostri obiettivi costitutivi. Mi
piace usare il termine inglese: una delle mission dell’associazione è la tutela dei diritti delle persone che non hanno voce, che
per difficoltà culturali, economiche e sociali, non hanno – o non
avevano – la possibilità di tutelare i propri diritti. Il nostro scopo
è stato proprio riuscire a dare voce a chi normalmente voce non
l’ha (Progetto Arcobaleno).
Il rapporto con le istituzioni può assumere una forma cooperativa,
come nel caso delle associazioni che interpretano la funzione di
advocacy come contributo alla diffusione di una cultura dei diritti e
del rispetto delle regole e della dignità delle persone, a tutti i livelli
33
e che, per esempio, si impegnano nella promozione di percorsi di
educazione alla legalità nelle scuole, o in processi di partecipazione attiva alla vita istituzionale, oltre che nella realizzazione di attività
orientate al rispetto della legalità in tutti gli aspetti della vita sociale
ed economica.
Associazioni con mission diverse, come quelle di tutela dei consumatori, tendono ad adottare in prevalenza modalità di interlocuzione
di natura conflittuale, in quanto le finalità delle associazioni di questo
tipo sono prevalentemente orientate all’intervento di ripristino del diritto violato. Anche le associazioni dei consumatori, tuttavia, quando
possibile perseguono forme di cooperazione con le istituzioni, al di là
del momento conflittuale.
I rapporti prevalenti sono di conflitto, di vertenza, nel senso che
noi ci attiviamo quando qualcosa non funziona, stiamo attenti a
che si rispetti il codice del consumo, le norme che sottostanno
all’erogazione del sevizi pubblici, stiamo anche attenti a chi è
borderline. Siamo conflittuali nel senso che chiediamo che si
rispettino le norme. Questa è l’attività predominante, però c’è
anche una attività di tipo collaborativo, per esempio nel passaggio dal terrestre all’analogico provincia e comune ci hanno
contattato perché potessimo dar informazioni ai cittadini e raccogliere eventuali segnalazioni da passare agli enti per potere
poi risolvere i problemi (Federconsumatori Arezzo).
Sul piano definitorio, le associazioni attive nella difesa dei diritti, non
fanno rientrare la mobilitazione e la sensibilizzazione dell’opinione
pubblica nel concetto di advocacy, pur sottolineando il loro impegno
anche in questa direzione.
Altre associazioni, invece, propongono una definizione di advocacy
che comprende sia la dimensione diretta, di denuncia e di tutela dei
diritti nei confronti delle istituzioni, sia la dimensione indiretta, ovvero
di sensibilizzazione della cittadinanza affinché la pressione nei confronti delle istituzioni assuma maggiore forza.
Noi individuiamo i problemi e svolgiamo una attività di pressione
nei confronti delle istituzioni e delle imprese che hanno la responsabilità. Ma l’attività di pressione nei confronti delle imprese
e delle istituzioni cerca di avere un grande coinvolgimento popolare, e noi chiediamo a chi condivide le nostre idee di coin-
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volgersi, per esempio inviando messaggi, o una forma abituale
che noi usiamo perché anche la più semplice (Centro nuovo
modello di sviluppo).
Le associazioni che hanno aderito alla rete ma che si caratterizzano
per l’attività primaria in altri settori di intervento, tendono a suggerire
definizioni più articolate, ampliano l’orizzonte, sottolineando il ruolo
proattivo svolto dalle associazioni che, in virtù del loro radicamento e
della loro conoscenza del territorio, non si limitano a raccogliere e a
organizzare le istanze, ma ne favoriscono l’espressione, individuando nell’interlocuzione con i soggetti istituzionali, e in particolare con
il Difensore civico, lo strumento più efficace che attribuisce senso e
corona una funzione di advocacy concepita in forma processuale.
L’attività di advocacy serve per rendere più soft il percorso che
c’è tra problema e risoluzione, e si fa dando maggiore informazione, facendo divulgazione in modo da abbreviare il percorso e
avere un cittadino sempre più sereno e sempre più collaborativo
(Anteas Valdarno Superiore).
Al fine di renderla operativa, più che limitarla in un concetto,
probabilmente, la funzione di advocacy va identificata, anche
teoricamente, in un processo; innanzitutto, diversamente da
quanto accade, la si dovrebbe collocare in una “dimensione attiva”: compreso che la violazione emerge con difficoltà, il primo
passo da compiere è proprio quello di intercettare la stessa,
agevolandone l’esternazione; in buona sostanza, in una sorta di
“aggancio”, la segnalazione va favorita, intercettata, rendendosi
il più possibile aperti e comunicativi nei confronti del territorio.
Così facendo si potrebbe tematizzare e dare voce a tutta una
serie di questioni a rilevanza diffusa che diversamente rimangono inespresse. In seconda battuta, è necessario avviare un’azione di riordino e di sintesi delle varie istanze al fine di agevolare
lo stesso operato del Difensore civico: la restituzione deve essere chiara. In sintesi, l’advocacy porta in sé l’accompagnamento
della persona verso la cittadinanza: è in qualche modo, un’azione maieutica di cittadinanza (Ambiente pulito Marginone).
Alcune definizioni sono di particolare interesse, in quanto esprimono
pienamente i valori costitutivi del nuovo volontariato, che si autointerpreta come contributo allo sviluppo di un progetto complessivo di
trasformazione dei rapporti sociali ed economici e, in particolare, di
35
costruzione di una società pienamente democratica e inclusiva, fondata sulla piena estensione dei diritti ai soggetti e alle situazioni in
cui questi sono negati, agendo su una pluralità integrata di livelli. Il
volontariato, da queste definizioni, assume una connotazione “emergentista” (Zamagni 2011), che integra la dimensione della prestazione di servizi con quella dell’advocacy, riservando a quest’ultima
funzione un ruolo centrale, che attribuisce senso e corona le attività
di assistenza e si esplica sia nel rapporto diretto con le istituzioni sia
nella realizzazione di campagne informative e nella promozione della
sensibilizzazione della cittadinanza e nella sua mobilitazione.
Fare advocacy significa dare senso all’attività di volontariato
che facciamo. Senza quella componente di advocacy avrebbe sicuramente comunque una utilità però sicuramente molto
più limitata. Per noi è fondamentale la dimensione della raccolta
dei dati, su cui noi pubblichiamo regolarmente report. L’aspetto
dell’advocacy riguarda la ricerca di soluzioni alle problematiche
raccolte, che avviene tramite il rapporto con le istituzioni. Significa non essere concessionari di servizi. Noi siamo una organizzazione umanitaria, per cui diciamo che la mobilitazione in
senso politico spetta ad altri livelli, ma quello che facciamo è
sicuramente una sensibilizzazione della opinione pubblica per
promuovere lo sviluppo di certe visioni e istanze. Cerchiamo di
portare con noi l’opinione pubblica, che è quello che poi fa la
differenza (Medu).
L’attività svolta dalle associazioni di volontariato ai fini della promozione e tutela dei diritti non si limita quindi all’interlocuzione con istituzioni e policy-makers, ma trova completamento in una serie di attività
realizzate nell’ambito della società, e che possiamo definire di advocacy sociale.
Incontriamo qui una serie di attività, relative alla realizzazione di campagne di informazione e di educazione, di sensibilizzazione e di mobilitazione della cittadinanza che, seppur non definite dalle stesse
associazioni come attività che rientrano nella funzione di advocacy,
danno il senso profondo della funzione di advocacy svolta dalle associazioni di volontariato, trovando compimento proprio nell’integrazione di azioni rivolte alle istituzioni ed azioni rivolte ai cittadini, finalizzate a mobilitarli e a renderli soggetti attivi nella promozione e tutela
36
dei diritti.
L’advocacy sociale, o indiretta, assume forme diverse a seconda
dell’attività svolta, dei destinatari e delle problematiche affrontate,
che possono essere di natura più o meno generale, interessare una
categoria numericamente circoscritta della cittadinanza (soggetti affetti da patologie specifiche) o potenzialmente l’intera cittadinanza (i
consumatori). La capacità di mobilitazione della cittadinanza, infatti,
è determinata dalla rilevanza pubblica del tema, nonché dalle risorse
a disposizione delle associazioni.
La principale differenziazione, nell’ambito delle associazioni che si
occupano di promozione e tutela dei diritti, si ha tra le associazioni
che interpretano la promozione e tutela dei diritti focalizzandosi sulla
dimensione della diffusione di una cultura dei diritti, realizzando iniziative e progetti con le scuole, o contribuendo alla promozione di campagne specifiche, su temi come il rispetto dei diritti umani, la tutela
della Costituzione, la mobilitazione contro le mafie, e le associazioni
di difesa dei consumatori o dei pazienti, per le quali la rappresentanza e la tutela degli interessi, soprattutto a seguito delle violazioni dei
diritti, rappresenta la principale attività, prevedendo una interlocuzione stabile e strutturata con pubbliche amministrazioni, Asl, erogatori
di servizi pubblici. Anche queste ultime, tuttavia, integrano questa attività con iniziative finalizzate alla promozione dei cittadini, di cui sono
promotori, o aderenti all’interno di reti più ampie, soprattutto se le
piccole dimensioni dell’organizzazione non permettono di sviluppare
autonomamente iniziative e campagne di ampio respiro.
La costruzione di mobilitazioni finalizzate a promuovere la sensibilizzazione della cittadinanza e un più ampio coinvolgimento in azioni di
pressione nei confronti delle istituzioni, rappresenta spesso l’occasione per la costruzione di reti tra associazioni, e per favorire l’inserimento di istanze e rivendicazioni di natura specialistica in rivendicazioni di ordine più generale, favorendo l’inquadramento della difesa di
quelli che possono altrimenti essere percepiti come interessi specifici
in questioni che hanno a che vedere con la tutela dei diritti, e quindi
riguardano tutti i cittadini.
La maggioranza delle associazioni intervistate ha preso parte alle più
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importanti campagne di mobilitazione che sono state sviluppate negli
ultimi anni in Italia in tema di promozione e tutela dei diritti. È stato ampio il coinvolgimento nelle mobilitazioni per la difesa dell’acqua come
bene comune e nella campagna contro il nucleare. Ma il riferimento
più ricorrente è stato in relazione alla campagna L’Italia sono anch’io
per l’estensione dei diritti di cittadinanza alle seconde generazioni e
per il cambiamento delle norme per l’ottenimento della cittadinanza
italiana.
Noi non facciamo solo assistenza tramite lo sportello, facciamo
anche campagne di tipo politico come quella per l’acqua e per
i beni comuni, anche con i comitati. Siamo andati al meeting
antirazzista, partecipiamo insomma (Movimento consumatori
Livorno).
Abbiamo partecipato, e ancora ci crediamo, alla campagna
L‘Italia sono anch’io per la cittadinanza alle seconde generazioni, Abbiamo anche fatto una raccolta di firme per il diritto di
voto, ci crediamo tantissimo, si deve dare il voto agli immigrati residenti da cinque anni come in gran parte della Ue (Anelli
mancanti Figline).
L’iniziativa sulle seconde generazioni, per esempio, L’Italia sono
anch’io, cui abbiamo aderito (...). Cerchiamo di metterci tutti insieme per fare emergere la questione dello ius soli, che è pressante (Circolo Interculturale Samarcanda).
C’è un altro tema per noi importantissimo, che è la cittadinanza.
Io non dico che si debba chiedere di cambiare la costituzione,
ma deve cambiare la legge perché cambiano le situazioni, cambia la società, io devo avere almeno il diritto di votare a livello
amministrativo, perché io non posso avere il diritto di scegliere
chi amministra la città in cui vivo? (Shqiperia).
La partecipazione non avviene esclusivamente su campagne e mobilitazioni strettamente legate alla mission dell’associazione, ma anche
rispetto a mobilitazioni che, seppur focalizzate su altre dimensioni
attinenti alla tutela dei diritti, son ritenute fondamentali per affermare
una cultura e una prassi dei diritti.
Nel 2011 abbiamo preso parte alla mobilitazione referendaria
sull’acqua e contro il nucleare, che abbiamo vinto. É stata una
specie di lotta di “Davide contro Golia”. In quel caso, si è atti-
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vata una grande rete orizzontale cui hanno partecipato tutte le
associazioni ambientaliste. Noi collaboriamo, però, anche verticalmente con associazioni come Arci, Libera, Acli, Caritas e col
Sindacato (Cgil e Cisl). Per esempio, con loro collaboriamo in
maniera serrata sulla questione dei diritti sociali. Nella campagna L’Italia sono anch’io ci siamo anche noi, partecipiamo alla
grande battaglia civile per lo Ius soli. Che un bambino che è
figlio di immigrati, che abita qui, vive qui e studia qui, non abbia
la cittadinanza italiana, è una cosa che grida vendetta (Legambiente Toscana).
La partecipazione alle grandi mobilitazioni realizzate e livello nazionale dalle reti di associazioni e movimenti trova completamento nella
realizzazione di progetti e iniziative sul territorio, finalizzati alla diffusione di una cultura dei diritti, di cui si avverte una generalizzata mancanza, e più nello specifico a fare conoscere la figura del Difensore
civico.
Per Legambiente diritti comuni e ambiente sono elementi da tutelare e il Difensore civico in materia ambientale ha le stesse
finalità e da questo nasce il nostro rapporto con il Difensore civico. Ma noi ancora prima della tutela ci siamo accorti che in Italia
manca una cultura dei diritti. Manca tra noi cittadini ma anche
tra gli amministratori. Forse c’è una carenza anche nell’educazione che si fa a partire dai ragazzi, per questo la nostra prima
iniziativa è stato un incontro del Difensore civico con i ragazzi
della prima media dell’Istituto comprensivo di Greve. I ragazzi
in questo modo hanno capito quanto possa essere concreta la
difesa dei diritti. A noi capita tutti i giorni, parlando con le persone, che ci pongano dei problemi. La settimana scorsa c’è stato
un blackout molto lungo, e qualcuno ha avuto dei danni conseguenti e nessuno sa che, per esempio, anche questa è una
segnalazione che si può fare al Difensore civico. Il Difensore
civico, purtroppo, è un illustre sconosciuto. Non sappiamo quali
sono i nostri diritti, non sappiamo come possiamo tutelarli, non
sappiamo che la prima forma di tutela non è quella giurisdizionale ma quella non giurisdizionale, che può essere fatta tramite
il Difensore civico. Non sappiamo niente, per cui lavoriamo su
un terreno vergine, e capita spesso che le persone che ci segnalano un problema non sappiano che come primo approccio
la questione può essere affrontata con il Difensore civico (Circolo Legambiente Gallo Verde).
L’esercizio concreto di un’azione di advocacy da parte di un’as-
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sociazione di volontariato non è semplice: vi è, soprattutto, un
errore interpretativo di fondo da parte della comunità che, in un
modo o nell’altro, ostacola il buon esercizio della difesa civica:
con la confusione del caso, per i cittadini difesa civica equivale
alternativamente ad avvocato e ad apparato giudiziario. Molto spesso la stessa terminologia “promozione dei diritti” risulta oscura ai più: per fare chiarezza ed ordine l’unica soluzione
praticabile sembra quella di partire da un esempio concreto di
una violazione, di una disfunzione o di una difficoltà all’interno di
un procedimento amministrativo, richiamando alla mente, non di
rado, esperienze vissute in prima persona; dalla esemplificazione è possibile, poi, spingersi verso casi più articolati (Ambiente
Pulito Marginone).
Vogliamo fare un seminario informativo, fare formazione civica di
tipo pratico nelle scuole, non di diritto costituzionale, i cittadini
non hanno bisogno di quello, questo può essere il nostro piccolo contributo per sensibilizzare alla coscienza e alla consapevolezza del diritto, magari a partire alla scuole medie (Anteas
Valdarno Superiore).
In questo momento ciò che riteniamo prioritario è di lavorare
quotidianamente, anche a livello personale, alla diffusione di
una consapevolezza dei diritti. É una battaglia che va combattuta per lottare per il rispetto e la dignità delle persone (Circolo
Interculturale Samarcanda).
Il nostro scopo è riuscire a dare voce a chi normalmente voce
non l’ha. A partire dalla corretta informazione sui propri diritti,
e quindi dallo spiegare cosa una persona può fare e cosa non
può fare, perché a volte ci sono delle aspettative che è giusto
non avere, altre volte delle aspettative che neanche ci si immagina (Progetto Arcobaleno).
È importante fare qualcosa a livello di mentalità, essere contro
e basta non serve, dobbiamo costruire insieme qualcosa, per
questo è importante agire nella dimensione culturale (Cif Carrara).
Il problema di una scarsa diffusione di una cultura dei diritti, sottolineano molti rappresentanti delle associazioni, non riguarda solo i cittadini, ma anche i rappresentanti delle istituzioni, e proprio gli atteggiamenti di chiusura all’ascolto e di scarsa trasparenza da parte delle
istituzioni si riflettono negativamente sui cittadini, generando sfiducia
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e scollamento, e ciò non favorisce il ricorso agli strumenti di conciliazione e di mediazione, che si fondano su un presupposto di reciproca
fiducia, ma nel ricorso al conflitto. In un certo senso, tali considerazioni sottolineano un paradosso, per cui il ricorso a strumenti la cui
finalità è promuovere il confronto e la mediazione e la costruzione di
relazioni fiduciarie tra cittadini e pubblica amministrazione trova in
alcuni casi ostacoli proprio nel solco profondo che si è creato.
Penso che nella percezione dei cittadini il Difensore civico sia
un organo che è più espressione delle istituzioni che dei cittadini, e c’è un grosso problema di scollamento e di sfiducia. Io mi
domando perché una associazione alla fine debba arrivare allo
scontro per risolvere il problema: se lo risolvo in quel momento
lo posso risolvere anche prima. Allora il problema è il modo di
ragionare dei politici, se fosse diverso l’atteggiamento dei politici sarebbe diverso anche l’approccio dei cittadini (Adipel).
Il non rispetto dei diritti deriva da molti fattori, tra i quali l’eccessiva
burocrazia, la scarsa chiarezza delle leggi – e, spesso, l’esistenza
di ‘cattive leggi’ –, la deludente organizzazione di PAL e fornitori di
servizi pubblici. Ma il non rispetto dei diritti è dovuto anche a una debole diffusione di una cultura dei diritti da parte dei cittadini, che non
hanno coscienza di quali siano i loro diritti e, soprattutto, non sanno
quali strumenti usare per chiederne il rispetto. Tale lacuna culturale
può essere superata investendo sulla formazione e sulla sensibilizzazione, per fare in modo che i diritti vengano effettivamente percepiti
come tali e i cittadini ne chiedano l’esigibilità, promuovendo una cultura dei diritti che, in quanto tale, prevede la coscienza e il rispetto di
diritti e doveri.
La promozione dei diritti passa prima di tutto dalla conoscenza
dei diritti medesimi. Il cittadino non deve essere spinto a trovare
escamotage per ottenere i suoi diritti, e da questo punto di vista,
noi svolgiamo un lavoro di informazione per la cittadinanza (Il
Giardino).
Spesso succede che i cittadini se non sono a conoscenza dei
loro diritti credano che il problema che vivono sia irresolubile
e non agiscono. La consapevolezza è quindi molto bassa e la
scarsa conoscenza dei propri diritti si lega alla sfiducia crescente (Anteas Valdarno Superiore).
41
Noi andiamo nelle scuole per seminare e per sperare di avere
in futuro cittadini più responsabili, avveduti, competenti, e che
sappiano anche rapportarsi meglio con le istituzioni. Cerchiamo
quindi di mobilitare, di sensibilizzare, di lavorare con le nuove
generazioni (…). Scommettiamo sull’educazione ambientale e,
in generale, sulla costruzione di cittadini più consapevoli dei
propri diritti e dei propri doveri. Sottolineo le due dimensioni perché non si possono scindere. Quando si parla di diritti si parla di
doveri. Viviamo in uno Stato in cui si reclamano solo diritti e non
si evocano mai i doveri. Noi invece dobbiamo affermare questo principio, anche nelle scuole. Dobbiamo avere il coraggio
di essere impopolari e di affermare che quando chiediamo un
diritto ad una istituzione dobbiamo sempre validare ed attestare
un dovere che abbiamo di fronte a quella stessa istituzione (Legambiente Toscana).
L’affiancamento dell’azione di advocacy diretta nei confronti delle istituzioni, a fronte di violazioni dei diritti o di cattiva amministrazione, ad
azioni finalizzate alla promozione della cultura dei diritti, persegue lo
scopo di coniugare l’intervento ex-post, di tipo riparativo e di ripristino
del diritto negato, con un intervento ex-ante, di prevenzione, in modo
da assicurare che i diritti vengano garantiti a tutti e che non sia quindi
più necessario intervenire per ripristinarli. Proprio la volontà di legare
la risoluzione delle problematiche alla prevenzione di problematiche
future, e quindi di affermare una prassi di rispetto dei diritti, si configura come un vero elemento distintivo della funzione di advocacy,
intesa come tutela di diritti collettivi, a differenza delle azioni di risarcimento di tipo giudiziario: forme di azione che assumono un valore individuale e che sempre più si stanno affermando in Italia, recependo
una tendenza tipica dei paesi anglosassoni. Si tratta di un elemento
posto in rilievo soprattutto dalle associazioni che raccolgono i reclami
in materia di sanità, che sottolineano come spesso i cittadini perseguono l’obiettivo di essere risarciti a fronte di un danno che ritengono
di avere subito, per motivi di malasanità, piuttosto che di segnalare la
problematica affinché non si ripresenti in futuro.
Le associazioni attive nella promozione e tutela dei diritti dei cittadini, a fronte di questa tendenza diffusa, si attribuiscono una funzione
di particolare rilevanza: ricollegare sempre l’interesse individuale al
diritto collettivo, attribuendo al singolo intervento un valore che va al
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di là del singolo caso, anche a fronte di una debole propensione da
parte dei cittadini a inquadrare le proprie problematiche in una più
ampia ottica di interesse diffuso.
Tante volte dal singolo caso emerge un precedente che può
avere un valore più complessivo per la generalità dei cittadini.
La persona che viene da me vuole avere il permesso di soggiorno, e che attivarsi per risolvere il caso possa rappresentare una
breccia per casi successivi, non gli interessa Il pensare in grande per la tutela dei diritti della persona, è riservato all’operatore
più che al diretto interessato. Per questo siamo noi che a partire
dai singoli casi quando sono ripetuti, ci rivolgiamo alle istituzioni
competenti per avere una risposta rivolta alla generalità delle
persone coinvolte, al di là dei singoli casi. Ma il singolo pensa al
suo caso immediato, che ce ne siano altri cento nella sua condizione non gli interessa (Progetto arcobaleno).
In questo periodo si è accentuato l’individualismo, ognuno pensa a sé. Anni fa chi veniva da noi in genere ci chiedeva di agire
perché non si verificasse un disservizio, ora vengono per chiedere risarcimenti, anche se non hanno avuto seri danni se non
lo spavento. Non interessa che ad altri non si verifichi un problema, ma in genere si vuole solo pensare a monetizzare il disservizio. In genere ognuno pensa ai vantaggi che gli possono venire
da una attivazione di una denunzia. Anche l’impegno nel volontariato non è più come prima è diventato più difficile, mentre
prima si trovava con più facilità la disponibilità all’impegno delle
persone, oggi spesso chi vuole fare volontariato chiede qualche
piccolo compenso economico (Cittadinanzattiva Livorno).
L’attività di advocacy, invece, è raffigurata dai rappresentanti delle
associazioni proprio come il tentativo di tenere sempre legate la dimensione dell’intervento riparatore e quella dell’intervento di prevenzione, il perseguimento del legittimo interesse individuale e il perseguimento dell’interesse comune. Svolgere attività di advocacy, è
stato ampiamente sottolineato, significa ricondurre sempre le singole
problematiche a una dimensione più ampia, che coinvolge i cittadini
nel loro rapporto con una istituzione, interrogandosi sulle cause e sui
possibili interventi che possono scongiurare il ripetersi in futuro della
violazione del diritto.
Anche le associazioni di tutela dei consumatori e dei pazienti, che
sono conosciute dai cittadini prevalentemente per la loro attività di so-
43
stegno nella formulazione di reclami, sottolineano come la loro azione
di ripristino dei diritto violato trovi completamento nella realizzazione di mobilitazioni finalizzate a sensibilizzare l’opinione pubblica e a
influenzare i decisori politici. In alcuni casi, l’azione è finalizzata ad
estendere i diritti o a prefigurarne di nuovi.
La caratteristica principale della nostra attività è stata la creazione delle Carte dei Diritti del Malato. Siamo un movimento che
mette insieme tutta una serie di diritti. Adesso da parte delle Istituzioni c’è una certa attenzione nei confronti del cittadino che si
rivolge alle strutture sanitarie e c’è un maggiore rispetto dei suoi
diritti. Questa attenzione è stata realizzata e promossa tramite
una serie di lotte che hanno portato a conquiste importanti come
il consenso informato: perché le persone prima negli ospedali
rischiavano di diventare oggetto di sperimentazioni e non potevano esprimere la loro volontà sulle cure a cui dovevano essere
sottoposti. La volontà del cittadino valeva zero, e il suo destino
era nella mani del medico che faceva cosa voleva e come voleva. Con le Carte dei Diritti del Malato si è affermato il diritto
al rispetto della persona e della sua tutela psicofisica tenendo
conto che varia da soggetto a soggetto. Si è affermato che le
persone devono essere informate di tutto. Dagli anni novanta in
ogni provincia si è realizzata la Carta dei servizi che successivamente nel 2005 è stata sintetizzata in una Carta unica di 14
diritti che sono diventati il nostro punto di forza. Questa Carta ha
messo al centro la figura del cittadino con i suoi diritti che devono essere tutelati nel momento in cui si trovano in difficoltà. Non
è accettabile che i medici litighino sulle cure da fare, il cittadino
ha il diritto di avere le cure più efficaci e di non essere oggetto
di sperimentazioni, deve essere tutelato nella sua volontà e la
famiglia nel suo ruolo di assistenza (Cittadinanzattiva Livorno).
Le attività di sensibilizzazione e la promozione di campagne di respiro più ampio tendono dunque a completare l’attività di supporto ai
cittadini a fronte di violazioni, anche da parte delle associazioni che
per loro natura trovano in questa funzione la loro mission costitutiva.
Noi ci occupiamo di diritti dei pazienti. Questo non significa che
non siamo interessati ai diritti dei cittadini in generale. Anzi, il
nostro Presidente ha tante idee e proposte che vengono fatte al
livello regionale e nazionale ma anche ai ministeri competenti.
Sul tema del fumo, delle biciclette, per esempio, delle assicurazioni, perché sempre di più con la crisi si trovano macchine non
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assicurate, e in caso di incidente è un problema serio. Sul fumo
portiamo avanti un progetto con il nuovo ospedale per estendere il divieto di fumo alle aree circostanti e non solo dentro,
vorremmo introdurre il divieto di fumo nelle macchine, pensando
per esempio a quei nonni che portano i bambini in macchina e
fumano e le macchine diventano camere a gas. Quindi ci occupiamo anche di questi argomenti, ma è evidente che su questi abbiamo idee, le proponiamo ai livelli regionale e nazionale,
perché possiamo fare poco, mentre per quello che si può siamo
molti impegnati in materia socio-sanitaria, con lo sportello (Centro per i diritti del malato).
Il collegamento costante tra la tutela dell’interesse individuale e la
promozione dell’interesse collettivo (integrazione tra attività di ripristino a seguito della violazione e attività di prevenzione) insieme alla disposizione al dialogo e al confronto, piuttosto che al conflitto, rappresentano tratti in comune tra l’approccio alla promozione e tutela dei
diritti da parte delle associazioni di volontariato e la difesa civica; ciò
costituisce la premessa per la costruzione di un rapporto sinergico tra
questi due mondi, trovando forza proprio nella condivisione di alcuni
principi basilari e al tempo stesso nella diversità di modus operandi e
di destinatari. Difesa civica e associazioni di volontariato impegnate
nella promozione e tutela dei diritti – è la nostra ipotesi – ponendosi
in rete possono, sulla base di significativi elementi di condivisione,
costruire relazioni di complementarietà e di reciproca valorizzazione,
contribuendo in modo sensibile alla diffusione di una cultura e di una
prassi di affermazione dei diritti, con particolare riguardo ai settori più
deboli e svantaggiati della popolazione.
45
Capitolo 2
Società locale, cittadini e cultura della difesa
civica
di Carlo Colloca
1.
Il Difensore civico come figura istituzionale di promozione
e tutela dei diritti
Il Difensore civico è una figura istituzionale presente ormai da alcuni
decenni in Italia ma non ha ancora raggiunto il consolidamento che
ha invece in altri Paesi, sia sul piano istituzionale sia sul piano culturale. Si tratta di una figura che stenta a trovare quel forte riconoscimento e quella centralità in ambito di promozione e tutela dei diritti,
diversamente dai Paesi scandinavi e anglosassoni, dove la figura in
questione è centrale nello sviluppo della vita democratica ed è un
punto di riferimento per istituzioni, cittadini e organizzazioni sociali e
politiche (La Bella 2012).
È utile inquadrare le origini di tale figura a livello internazionale, introdurre una breve comparazione sulle sue funzioni e i suoi significati in
alcune realtà straniere e ripercorrere le tappe della sua affermazione
in Italia, per comprendere il ruolo che tale istituto svolge e quale evoluzione può avere.
Le origini del Difensore civico risalgono al 1809, quando in Svezia è
per la prima volta introdotta la figura dell’Ombudsman, in svedese
letteralmente “uomo che funge da tramite”, termine che sarà mutuato
nella maggior parte dei Paesi che in seguito adotteranno tale istituzione. La Svezia era allora uno dei pochi paesi europei, insieme
al Regno Unito, ad adottare un sistema democratico fondato sulla
separazione dei poteri. Nella Costituzione svedese, la figura dell’Ombudsman assume la funzione di garante della Rule of Law ed ha il
compito di monitorare le leggi e di garantire il rispetto dei diritti dei
cittadini rispetto al potere, e in particolare rispetto al potere esecutivo,
che nel sistema parlamentare svedese è affidato a ufficiali pubblici
che hanno facoltà di agire al di fuori del controllo di ministeri, a loro
volta responsabili di fronte al Parlamento. L’Ombudsman, all’interno
46
della peculiare struttura di separazione dei poteri adottata in Svezia,
assume il ruolo di una istituzione indipendente, che ha la fiducia da
parte del Parlamento e una riconosciuta autorevolezza da parte dei
cittadini. Ha il compito di controllare la pubblica amministrazione e
di garantire ai cittadini protezione, sicurezza e libertà, vigilando sul
rispetto dei diritti e intervenendo a seguito delle loro istanze. Si tratta degli elementi di base che sottostanno alla diffusione della figura
dell’Ombudsman nei decenni e nei secoli successivi e che legano
inscindibilmente il concetto di Ombudsman alla stessa idea di democrazia e di Stato di diritto (Kucsko-Stadlmayer 2009, 5), tanto che, a
ben vedere, la diffusione a livello europeo e internazionale di questa
figura segue fedelmente le ondate di democratizzazione che si sono
succedute dal diciannovesimo secolo ad oggi.
La figura dell’Ombudsman si diffonde inizialmente negli altri Paesi
scandinavi, a partire dalla Finlandia, quando si rende autonoma dalla
Russia e si configura come repubblica indipendente nel 1919, ma è
a partire dal Secondo dopoguerra, e quindi dalla grande ondata di
democratizzazione che la figura dell’Ombudsman inizia a diffondersi
fino al punto di affermarsi nella quasi totalità dei Paesi aderenti al progetto europeo e, più in generale, dei paesi aderenti all’Ocse. Il modello di Ombudsman che va radicandosi nel dopoguerra rappresenta
una variante del modello svedese, inizialmente introdotta in Danimarca, nel 1954, con meno poteri rispetto all’Ombudsman svedese (non
ha, in particolare, un potere ispettivo nei confronti dell’esecutivo), ma
al tempo stesso acquisisce una sfera di intervento più ampia. In particolare, si distingue da altri organi costituzionali di tutela dei diritti,
assumendo la funzione di garante dei cittadini in caso di cattiva amministrazione: tale concetto assume via via un significato ampio, non
limitandosi ad avere come oggetto la violazione delle leggi, ma, più
in generale, l’appropriatezza delle decisioni assunte. La funzione di
monitoraggio della pubblica amministrazione e di garanzia nei confronti dei cittadini diventa particolarmente importante dal momento
che nelle democrazie affermatesi nel Secondo dopoguerra le funzioni
e i settori di intervento delle pubbliche amministrazioni sono sempre
più ampie, con la conseguenza di provocare una forte espansione
47
del sistema burocratico.
“In molti paesi ai cittadini fu attribuito il diritto di appellarsi ai tribunali
per chiedere la revisione giudiziaria degli atti amministrativi. Ciò nonostante, per molti, l’accesso ai tribunali era difficile, per via di barriere sociali, economiche e psicologiche. La mancanza di protezione
legale effettiva era particolarmente critica in aree in cui lo Stato utilizzava strumenti di diritto privato per assolvere i suoi obblighi (…). I tribunali amministrativi erano competenti solo nel giudicare la legittimità
delle azioni amministrative, non il controllo dell’appropriatezza delle
decisioni assunte” (Kucsko-Stadlmayer 2009, 6). Al contrario, l’Ombudsman, più che al controllo della legittimità degli atti, è orientato
a promuovere la buona amministrazione, anche attraverso suggerimenti e proposte innovative e preventive di risoluzione dei problemi.
In questo senso l’Ombudsman trova una ampia diffusione quale organo di protezione dei cittadini nei confronti della cattiva amministrazione, ma con una riduzione dei poteri rispetto al modello originario
svedese, che gli attribuiva anche potere di tipo giudiziale. L’istituzione dell’Ombudsman in Danimarca nel 1954 è seguita da quella in
Norvegia e in Nuova Zelanda (1962), Regno Unito (1967), e da una
pluralità di altri Paesi europei occidentali e dell’area del Commonwealth, negli anni Settanta.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta l’Ombudsman
viene introdotto nei Paesi impegnati nella transizione dai regimi autoritari alla democrazia, e nei nuovi ordinamenti costituzionali la figura
assume proprio la funzione di garanzia rispetto alla tutela dei principi
democratici e dei diritti umani. È il caso del Portogallo e della Spagna, in cui la costruzione delle nuove democrazie, dopo i regimi di
Salazar e di Franco, è sancita dall’adesione al Consiglio d’Europa e
dalla ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo che si
accompagnano all’introduzione di moderne Corti Costituzionali.
È in questo contesto che si colloca l’introduzione delle figure del Provedor de Justica, in Portogallo nel 1976 e del Defensor del Pueblo, in
Spagna nel 1978 (Corchete-Martin 2001). L’adozione di queste denominazioni non risponde soltanto alla necessità di tradurre il concetto
di Ombudsman nelle lingue nazionali, ma rispecchia anche una par-
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ziale revisione dello strumento, che si discosta dal “modello classico”,
introdotto dalla Danimarca ed estesosi agli altri Paesi europei con
democrazie consolidate, assumendo maggiori poteri, come quello di
appellarsi alle stesse Corti Costituzionali e di assumere quindi una
funzione proattiva che va al di là della moral suasion, e che li configura come veri e propri “guardiani dei diritti umani”. Anche nell’ultima
ondata di democratizzazione, quella che ha visto l’affermazione della
democrazia nei Paesi dell’Est Europa, l’introduzione dell’Ombudsman
assume una simile valenza, dal momento che a questa figura istituzionale è affidato il compito di garantire il rispetto del principio della
separazione dei poteri, di garante e promotore dei diritti umani, di
sostegno alla creazione di una società civile forte ed autonoma dagli
apparati burocratici. L’Ombudsman nazionale in questi Paesi svolge
una vera e propria funzione di istituzione nazionale di tutela dei diritti
umani, nel rispetto della raccomandazione dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite in tal senso. Ad oggi, la quasi totalità dei Paesi
dell’Unione Europea e ben 47 Paesi aderenti all’Ocse su 54 hanno introdotto la figura dell’Ombudsman, a livello nazionale e in alcuni casi
a livello regionale. L’Italia, in questo contesto, è uno dei pochi Paesi
a non avere introdotto la figura a livello nazionale ma soltanto a livello
regionale.
Possono essere identificati tre modelli di Ombudsman (Kucsko-Stadlmayer 2009, 10).
1) Il modello classico, codificato dalla Danimarca nel 1954, che non
ha poteri di intervento diretto, o di tipo coercitivo, ma una riconosciuta “autorità morale”. Il possesso di minori poteri rispetto agli organi
giurisdizionali, ma al tempo stesso la maggiore ampiezza e libertà
di intervento, contribuiscono a differenziare lo strumento rispetto ad
altre istituzioni deputate alla promozione e tutela dei diritti, rappresentandone l’elemento di forza. Nel modello classico, l’Ombudsman
dispone di un soft power, che non per questo gli conferisce un ruolo
marginale. Anche il mediatore europeo (European Ombudsman), introdotto nel 1995, è così definito.
2) Il modello della rule of law, dove non si dispone soltanto di un soft
power, fondato sulla espressione di raccomandazioni, ma ha anche il
49
potere di appellarsi direttamente agli organi giurisdizionali. Si tratta di
un modello che si è diffuso in alcune democrazie per fornire strumenti
aggiuntivi di garanzia, come nel caso della Spagna, ma che è diffuso
anche in altri Paesi, come Svezia e Austria.
3) Il modello dei diritti umani, in cui al potere di intervenire nei confronti della Corte Costituzionale, e di agire come organo giudiziario
di tutela dei diritti umani, quando non previsto costituzionalmente, si
aggiunge il compito di agire, anche a livello preventivo, quale organo
deputato alla difesa e alla promozione dei diritti umani. Il modello è
diffuso in particolare nei regimi dell’Est Europa.
L’Ombudsman è dunque una figura che, a livello internazionale, si
lega saldamente alla stessa idea di democrazia e di rispetto e di promozione dei diritti fondamentali, ma le cui prerogative e le cui modalità di intervento variano significativamente in base alle caratteristiche
storico-politiche dei diversi Paesi, adattandosi alle diverse configurazioni costituzionali e alle diverse esigenze.
A livello europeo, la figura dell’Ombudsman si conforma al modello
che gli attribuisce un soft power, perché la stessa architettura istituzionale europea è ampiamente fondata su forme di soft power, e
perché la natura multilivello, e spesso informale, dei processi decisionali, rende particolarmente utile la presenza di un organo che possa
monitorare e offrire suggerimenti a decisori politici che agiscono a
diversi livelli.
La caratterizzazione dell’Ombudsman quale “magistrato di persuasione”, e non di coercizione, è infatti ciò che conferisce un valore
aggiunto a questo organo istituzionale, differenziandolo da altri. Si
può quindi affermare che questa configurazione rende la figura del
Difensore civico “uno strumento di relazioni pacifiche e di comunicazione comprensibile, corretta, di ascolto ed empatia tra il cittadino e
la P.A.”, capace di promuovere attivamente una “ricerca delle comuni
ragioni dell’agire” (Dolcher 2009). Caratteristiche che più difficilmente
possono attribuirsi a un organo dotato di poteri coercitivi e che favoriscono il superamento di un’ottica conflittuale a favore di una prospettiva di dialogo e di cooperazione tra cittadini e istituzioni, in quanto, a
differenza del giudice, che ha il potere di imporre la propria interpre-
50
tazione della norma, il Difensore civico ha il “potere” di convincere i
soggetti in conflitto a dialogare tra di loro per trovare un accordo che
soddisfi entrambi. In questa prospettiva, si comprende il significato
originario del termine Ombudsman (colui che media), e che in italiano
trova espressione nei concetti di mediazione e di conciliazione.
Prerogativa del Difensore civico, infatti, è il superamento della logica
del conflitto e la facilitazione del confronto e delle mediazione, cui
il Difensore civico contribuisce esercitando non atti coercitivi, ma la
forza della persuasione. L’Ombudsman “prende in carico” i problemi
sollevati dai cittadini e li sottopone alle istituzioni competenti, promuovendo una risoluzione pacifica delle controversie, ma non è una sorta
di avvocato dei cittadini. Sotto questo aspetto, la definizione adottata
in alcuni Paesi, come in Spagna, dell’Ombudsman come “difensore
del popolo”, o come “avvocato del popolo”, in Albania, esprime una
concezione della figura che tende a sbilanciarla sul lato della cittadinanza, piuttosto che sottolinearne il ruolo di mediatore imparziale ed
equidistante. Il Difensore civico, in quanto mediatore, non “blandisce”
il cittadino, ed è nel suo stesso interesse che valuta la fondatezza o
meno di una istanza e la sua configurazione come interesse prettamente individuale o come interesse collegato alla fruizione di un
diritto collettivo. Ciò non significa che nelle modalità adottate ai fini
di favorire la mediazione non si tenga in dovuta considerazione che il
cittadino, rispetto alle istituzioni, è la parte debole della relazione, e in
quanto tale dev’essere sostenuto e supportato.
Si tratta di un elemento che è ben sottolineato dal Difensore civico
Toscano:
Noi non rappresentiamo né i cittadini né la Pubblica Amministrazione, come può fare un politico eletto, siamo nominati dalla Pa
ma siamo rispetto a questa completamente autonomi e l’unico
limite che ci è posto sono le nostre funzioni e la mission che ci è
attribuita dalle istituzioni che ci nominano. Per cui se parliamo di
livello regionale, il limite sono le funzioni attribuite dallo statuto
della Regione Toscana, e lo stesso vale per gli altri livelli. Quindi
noi operiamo come strumento di facilitazione della comunicazione tra cittadini e Pa. Il nostro apporto è sempre quello di facilitatori; in primis, siamo conciliatori e mediatori. È l’attività per
cui ci si pone come intermediario tra due soggetti in contrappo-
51
sizione, favorendo l’individuazione della soluzione migliore per
entrambi, non proponendole, ma indirizzandoli. Siamo anche
strumento di osservazione dell’applicazione legislativa sul territorio. Possiamo quindi essere fonte importante per la Pa per
indicare quali sono i limiti nell’applicazione della legislazione
corrente e per suggerimenti su come superarli, e per il cittadino
diventiamo fonte di informazione di quale è il diritto attuale e di
come potrebbe essere migliorato. Questa è una funzione non da
poco. Poi la funzione di garanzia e tutela, per cui nel confronto,
anche se non prendiamo parte, partiamo dal presupposto che
tra le due parti il cittadino è quello meno potente, questo è un
dato di fatto, e noi non possiamo non prenderlo in considerazione. La tutela e promozione dei diritti è uno dei nostri compiti
fondamentali (Difensore civico).
2.
Cittadini, associazionismo e difesa civica: una
triangolazione in divenire
L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere ancora istituito la
figura del Difensore civico nazionale. L’introduzione dei Difensori civici a livello regionale e territoriale, avvenuta inizialmente al di fuori di una legislazione nazionale in materia, è iniziata a partire dagli
anni Settanta. Allo stato attuale l’unica figura esistente in Italia è il
Difensore civico regionale, infatti, a seguito della Legge finanziaria
del 2010, è stata cassata la figura del Difensore civico comunale, che
è quindi una figura che progressivamente si estinguerà all’esaurirsi
dei rispettivi mandati. Nel contempo il Difensore civico non è presente
in tutte le regioni italiane, in alcune perché non è mai stato istituito, e
in altre perché seppur previsto dagli ordinamenti regionali non è mai
stato nominato, o non è stato nominato a seguito della conclusione
del mandato precedente.
In questo panorama frammentato, la Regione Toscana si è caratterizzata da subito per il suo ruolo di innovazione: è stata la prima a
introdurre la figura del Difensore civico già nello Statuto approvato nel
1971, conducendo alla nomina del primo Difensore civico regionale
nel 1974 che svolge ancora oggi una funzione pioneristica a livello
nazionale. Negli anni successivi altre Regioni italiane hanno seguito
l’esempio della Toscana, a partire dalla Campania e dall’Umbria che
hanno approvato le relative leggi istitutive, rispettivamente nel 1978
e nel 1979. La maggior parte delle altre Regioni italiane istituiscono
52
il Difensore civico negli anni Ottanta, a partire da Lazio e Lombardia
nel 1980, ma soltanto in una minoranza di casi si decise di inserire la
figura del Difensore civico nello Statuto regionale, sul modello della
Regione Toscana, strada che hanno seguito esclusivamente Lazio,
Emilia-Romagna e Liguria. Negli anni successivi saranno approvate
leggi istitutive in Friuli-Venezia Giulia, nelle Marche, in Piemonte e in
Puglia nel 1981, in Emilia-Romagna nel 1984, in Calabria nel 1985, in
Basilicata e in Liguria nel 1986, in Sardegna nel 1989, in Veneto nel
1998, mentre in Trentino-Alto Adige si ha l’istituzione del Difensore
civico nelle province autonome di Bolzano e di Trento rispettivamente
nel 1982 e nel 1983.
Le ultime Regioni ad istituire il Difensore civico sono state il Molise, nel
2000, la Valle d’Aosta nel 2001 e l’Abruzzo, nel 2004. L’unica Regione
in cui non è stata istituita la figura del Difensore civico è la Sicilia, ma
ci sono altre regioni, la Puglia e la Calabria, in cui il Difensore civico,
a oltre trenta anni dalla legge istitutiva, non è mai stato nominato, e
altre regioni, come l’Umbria e la Sardegna in cui l’organo è vacante,
poiché non è stata effettuata la nuova nomina a seguito del termine
del mandato precedente. Un caso particolare è rappresentato dal
Friuli-Venezia Giulia che nel 2008 ha abrogato la legge istitutiva.
Il risultato è che le Regioni dove nel 2014 è attiva la figura del Difensore civico regionale sono 14, includendo il Trentino, in cui sono attivi i
difensori civici delle due province autonome e poi: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche,
Molise, Piemonte, Toscana, Veneto e Valle d’Aosta, evidenziando uno
squilibrio territoriale a favore del Centro-Nord.
Non soltanto l’istituzione è avvenuta in anni diversi, ma anche seguendo una pluralità di modelli. Tra le Regioni che hanno inserito la figura
del Difensore civico nel proprio statuto, infatti, soltanto la Toscana ha
collocato l’articolo nella sezione dedicata all’organizzazione amministrativa, declinando la figura come garante del buon funzionamento
dell’amministrazione nel suo rapporto con i cittadini, mentre nel Lazio
e nella Liguria il Difensore civico è inquadrato come un organo di
partecipazione popolare. Se quest’ultima scelta segna una connotazione della figura che lo distanzia rispetto al modello scandinavo e
53
anglosassone dell’Ombudsman, in Toscana la limitazione del campo
di azione del Difensore civico come strumento di agevolazione dei
rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione ha favorito interpretazioni restrittive delle sue funzioni, di fatto dando forma a un organo
con poteri assai ridotti.
In linea generale, è osservabile una correlazione tra la diffusione della
figura nelle Regioni italiane e il progressivo aumento dei poteri a questa attribuiti. Se negli statuti regionali e nelle leggi istitutive approvate
nelle Regioni “pioniere”, infatti, i poteri attribuiti al Difensore civico
sono molto limitati, ascrivendo un valore eminentemente simbolico,
le leggi istitutive introdotte a partire dagli anni Ottanta, attribuiscono
esplicitamente al Difensore civico il compito di fornire, nelle sue relazioni, osservazioni, suggerimenti e raccomandazioni al legislatore
e alla pubblica amministrazione, e non di limitarsi alla segnalazione
delle disfunzioni. Ha inoltre un potere di intervento di ufficio e si afferma l’obbligo, da parte delle amministrazioni, di fornire al Difensore
civico atti e documenti che questi ritenga necessari per potere adempiere alla sua funzione di monitoraggio e controllo (Vianello 2011).
Nel corso degli anni, infine, in molte Regioni, comprese quelle che
avevano inizialmente seguito un approccio restrittivo, a partire dalla
Toscana, si ampliano i settori di intervento del Difensore civico che
non sono più confinati all’operato dell’amministrazione regionale, ma
di tutte le amministrazioni di ordine inferiore e ad altri enti pubblici,
come le Asl. Il Difensore civico si evolve progressivamente da mero
gestore delle rimostranze a strumento chiave ai fini del miglioramento
complessivo del sistema e del perseguimento della buona amministrazione.
La frammentazione, la disomogeneità territoriale e la pluralità di modelli sono conseguenza del ritardo con cui in Italia si è approdati a
un inquadramento legislativo a livello nazionale, che ha tra le sue
più evidenti conseguenze l’assenza del Difensore civico nazionale.
Il dibattito in merito all’istituzione del Difensore civico nazionale inizia
in Italia negli anni Sessanta, mentre la figura del Difensore civico è
istituita nei principali Paesi europei, ma non si concretizza in un provvedimento legislativo.
54
Tra i principali fattori che conducono a questo esito vi è il dibattito in
merito alla necessità di introdurre delle modifiche costituzionali per
introdurre una figura che, intervenendo nei rapporti tra potere legislativo e potere esecutivo, finirebbe per alterare l’equilibrio tra i diversi poteri (Manzi 2004). Tale dibattito è riemerso, concretizzandosi in
anni successivi nell’elaborazione di numerosi progetti di legge, che
non si sono però mai conclusi con l’approvazione.
È soltanto nel 1990 che una legge nazionale riconosce la figura del
Difensore civico, seppur limitatamente a quelli provinciali e comunali.
Si tratta della legge 142/1990 che all’art. 8 stabilisce che “lo statuto
provinciale e quello comunale possono prevedere l’istituto del Difensore civico, il quale svolge un ruolo di garante dell’imparzialità e del
buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni,
le carenze ed i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini”.
Si tratta di un passaggio importante, perché afferma e riconosce il
ruolo di intervento del Difensore civico, anche di sua iniziativa autonoma, ai fini dell’affermazione della buona amministrazione, ponendosi
in sintonia con l’evoluzione della figura che nel frattempo si osservava
nella normativa regionale. La legge 142/1990, dunque, non interviene
nel merito dei poteri specifici del Difensore civico, ma ne riconosce il
ruolo di garante dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, in attuazione dell’articolo 97 della Costituzione
italiana.
Più controversa è la valutazione degli effetti sulla figura del Difensore
civico della legge 241/1990 sulla trasparenza della pubblica amministrazione che afferma il diritto di accesso agli atti amministrativi da
parte di tutti i soggetti che ne abbiano interesse per la tutela di quanto
giuridicamente rilevante, il che per alcuni svuota di significato le funzioni del Difensore civico, e per altri, le rende ancor più importanti.
Una legge rilevante è infine la 127/1997 (Bassanini bis) che attribuisce al Difensore civico regionale il potere di intervento anche nel
rispetto delle amministrazioni periferiche dello Stato, conferendogli
dunque un potere sostitutivo in previsione dell’istituzione del Difensore civico nazionale.
55
Ad oggi, alla luce dei mutamenti avvenuti nell’arco di decenni dall’istituzione del primo Difensore civico in Toscana, nel 1974, è possibile sintetizzare le principali funzioni del Difensore civico regionale: la
raccolta e la gestione delle doglianze dei cittadini relative al loro rapporto con le pubbliche amministrazioni; il miglioramento del sistema
amministrativo, il diritto di accesso agli atti e ai documenti prodotti e
il controllo di legittimità, anche dalle istituzioni periferiche dello Stato;
la possibilità di effettuare un controllo sostitutivo, anche ricorrendo
alla nomina di commissari ad acta (Vianello 2011). È costitutivo delle
funzioni del Difensore civico l’obiettivo di coniugare la gestione della
singola rimostranza a una risoluzione preventiva delle disfunzioni e
dei cattivi funzionamenti della pubblica amministrazione, o d’ufficio, o
a partire proprio dalle singole istanze, che spesso rivelano criticità di
tipo strutturale e sistemico della macchina amministrativa.
Il compito di mediazione del Difensore civico è esercitato sulla base
dei principi di indipendenza, imparzialità, terzietà ed autorevolezza
con l’obiettivo di fondare i presupposti affinché le parti possano giungere a una risoluzione condivisa, e non ad accettare un’imposizione.
Nello Statuto regionale toscano del 2009 si affida alla difesa civica
regionale il compito di associare tutela dei diritti, garanzia della trasparenza e legalità dell’azione amministrativa. La L.R. 19/2009, art.
5, che disciplina l’istituto del Difensore civico, rileva la presenza di
cattiva amministrazione quando: 1) un atto dovuto sia stato omesso
o immotivatamente ritardato; 2) un atto sia stato formato o emanato
oppure un’attività sia stata esercitata in modo irregolare o illegittimo;
3) si sia verificata la violazione dei principi in materia di erogazione di
servizi pubblici dettati dalle disposizioni per la tutela degli utenti; 4)
vi sia stata mancanza di risposta o rifiuto di informazione; 5) in ogni
altro caso in cui non siano stati rispettati i principi di buona amministrazione.
Il compito di intervenire in caso di maladministration si integra ad una
funzione di interpretazione delle norme al fine di formulare pareri per
un miglioramento della produzione legislativa, nonché di promozione
del principio di equità territoriale e di affermazione della parità dei
diritti; di monitoraggio della legislazione e della sua applicazione. In
56
particolare, lo Statuto regionale toscano del 2009 affida al Difensore
civico: una funzione di tutela non giurisdizionale dei cittadini in caso
di cattiva amministrazione; il potere di formulazione di proposte; il
perseguimento di criteri di imparzialità, trasparenza ed equità; il supporto ai soggetti che si trovano in particolari condizioni di disagio sociale, dipendente da ragioni economiche, culturali e di integrazione
sociale; la promozione di un “cultura ed educazione civica a sostegno
di una democrazia sostanziale”; la funzione di tutela dei diritti umani.
L’evoluzione della figura del Difensore civico in Italia, sia sul piano
della diffusione territoriale sia sul piano dei poteri e delle prerogative,
potrebbe suggerire un progressivo allineamento del quadro italiano
a quello europeo, pur nell’assenza di un Difensore civico nazionale, il
cui ruolo è svolto, in parte, dai difensori civici regionali. Questi, al fine
di diffondere e valorizzare il ruolo della difesa civica, si sono dotati
nel 1994 di un importante strumento organizzativo, il Coordinamento
della Conferenza nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle
Province autonome di Trento e Bolzano. Finalità del Coordinamento è
di “garantire a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro residenza,
la tutela nei confronti della pubblica amministrazione a ogni livello; di
promuovere la piena affermazione dei diritti umani e di cittadinanza,
sanciti dall’ordinamento italiano e dalle risoluzioni europee e internazionali; di sviluppare i collegamenti con il Mediatore Europeo”.
In realtà, l’istituzione di un Coordinamento nazionale, peraltro riconosciuta dal Mediatore europeo, che si relaziona con il presidente del
Coordinamento alla stregua di un Difensore civico nazionale, non è
nelle condizioni di sopperire all’assenza di un Difensore civico nazionale equivalente agli altri Paesi europei. Ciò per una serie di motivi. In
primo luogo, perché, come è stato sottolineato, il Difensore civico è
attualmente attivo in 14 Regioni italiane, tra le quali sono significative
le diversità di approccio, in merito al ruolo e alle funzioni della figura,
al suo rapporto con le istituzioni e con i cittadini, ma anche in merito
ai campi di azione e al rapporto con altri organi di conciliazione eventualmente presenti. Diversi sono anche la dotazione di risorse e la
struttura organizzativa degli uffici.
Si può ancora considerare valida la definizione proposta da Mannoni
57
nel 1990 che definiva il Difensore civico un “istituto a metà”, non più
considerabile sperimentale, in quanto presente da decenni, ma al
contempo non ancora considerabile una figura consolidata e riconoscibile, anche in virtù dell’assenza di una legislazione sistematica
a livello nazionale; istituto di livello regionale, ma di fatto operante in
più ambiti e con competenze in espansione; chiamato a intervenire “a
tutto campo” nei confronti della pubblica amministrazione, ma al contempo dotato di poteri molto ridotti. Questa serie di fattori si riflettono
in quello che tutt’oggi appare come il limite principale della figura,
ovvero il fragile riconoscimento pubblico da parte dei cittadini. Il risultato è che, se a livello internazionale il radicamento e la riconoscibilità
della figura dell’Ombudsman “evoca sentimenti di sicurezza, protezione e libertà” che lo rendono “intrinsecamente legato ai concetti di
democrazia, stato di diritti e diritti umani” (Kucsko-Stadlmayer 2009,
1), in Italia la figura del Difensore civico è conosciuta da una minoranza di cittadini e, soprattutto, è considerata da molti come un’emanazione delle istituzioni e, di conseguenza, relativamente determinante
ai fini della promozione e tutela dei diritti in caso di maladministration.
Uno dei fattori che può contribuire a spiegarne la bassa popolarità è
la relativa enfasi posta in Italia sul diritto alla buona amministrazione
come un diritto fondamentale, in accordo con la Carta europea dei diritti fondamentali, peraltro recepito anche dallo Statuto della Regione
Toscana, che si lega strettamente ad una cultura della difesa extragiudiziale, come sottolineato dal Difensore civico toscano.
Tra i diritti fondamentali vi è il diritto alla buona amministrazione.
In Italia quando si parla di diritti fondamentali si pensa alla tortura e alla prigione, ma non c’è una consapevolezza di questo
diritto fondamentale, e non c’è una cultura della difesa extragiudiziaria dei diritti. Quando si pensa alla tutela dei diritti c’è il
mito della magistratura o degli organismi ad hoc, come il garante dei detenuti, dei minori, ecc. Ci aiuta che nella Costituzione
europea, tra i diritti fondamentali, è inserito il diritto alla buona
amministrazione (Difensore civico).
Sottolineare il legame diretto tra le dimensione della tutela dei diritti dei cittadini rispetto a episodi di cattiva amministrazione e i diritti
fondamentali della persona, non ha soltanto un significato ideale e di
58
principio, ma è un messaggio condiviso dalle associazioni che svolgono una funzione di advocacy perché, come sarà approfondito nei
paragrafi successivi, alla base della violazione dei diritti vi è spesso la
scarsa diffusione di una coscienza degli stessi. Più che per esplicita
volontà, i diritti sono negati perché non si ha la piena consapevolezza
che offrire determinati servizi o seguire specifiche procedure rappresenta un diritto per il destinatario e un dovere per chi ha il compito di
diffonderlo e riconoscerlo. Il non attivarsi per reclamare il diritto negato è a sua volta conseguenza di questa mancanza di consapevolezza. La rete territoriale di promozione e tutela dei diritti assume, sotto
questa prospettiva, la funzione di contribuire non soltanto a una più
efficace risoluzione delle problematiche, ma a generare dinamiche
virtuose di un’affermazione piena dei diritti, e con questi dei doveri
dei cittadini. In altre parole, ad affermare una piena democratizzazione della società.
A noi interessa portare avanti la questione dei diritti umani (…)
ma cosa sono i diritti umani? Una persona che lavora nelle istituzioni e non ti risponde al telefono, non ti dà le informazioni e
il rispetto che chiedi, quella persona sta violando i diritti umani.
Sembra che i diritti umani siano una cosa e la prepotenza, l’arroganza e la maleducazione un’altra, ma non è così.
Il rispetto dei diritti sta già nel modo di porsi nei confronti del
prossimo, dell’ambiente, della società. I diritti umani si affermano diffondendo tra i cittadini e i bambini la consapevolezza che
tutti gli individui hanno dei bisogni e da questi bisogni devono
nascere diritti e parallelamente anche doveri, perché le cose
sono collegate. Per molti, però, il collegamento non è così ovvio,
per cui si parla di diritti ma non si sottolineano i doveri, perché è
più facile dire che oltre i diritti ci sono anche i doveri. Non capiscono che il dovere è relativo a una partecipazione, a un impegno, ma la politica spesso non fa partecipare affatto, e per questo abbiamo problemi a costruire una commissione regionale
indipendente di diritti umani, in ottemperanza a una risoluzione
dell’Onu. La Regione Toscana sarebbe la prima a dotarsi di uno
strumento così, ma non avviene perché c’è un limite culturale,
dicono che si fa ma è difficile andare avanti. Ma il limite c’è nei
cittadini e si riflette nei politici che le persone scelgono per farsi
rappresentare (Victoria Regia).
59
Il nesso costitutivo tra democrazia e promozione e tutela dei diritti,
dunque, si pone alla base di una rete che affida alla funzione di advocacy un ruolo centrale nell’affermazione del principio di cittadinanza che trova nella promozione della buona amministrazione e nella
costruzione di rapporti virtuosi tra cittadini e istituzioni un elemento
fondamentale.
In quest’ottica, il fatto stesso che in Italia la figura del Difensore civico,
non sia associato dai cittadini “ai concetti di democrazia, stato di diritto e diritti umani” (Kucsko-Stadlmayer 2009, 1), ma sia spesso visto
come espressione di istituzioni autoreferenziali e distanti dai cittadini,
indica l’esistenza di un gap da colmare, sul piano della cultura e della
pratica dei diritti.
La debole affermazione del Difensore civico come figura di riferimento nell’ambito della tutela dei diritti dei cittadini si associa, del resto,
ad una valutazione negativa del ruolo esercitato che in molti casi affonda le radici nelle pratiche di azione del Difensore civico comunale.
Una figura, quest’ultima, che ha interpretato il suo ruolo a seconda
del contesto e della personalità che ha assunto l’incarico, determinando perciò valutazioni assai diversificate – non di rado tacciabili di
particolarismo – con l’effetto di riflettersi negativamente sulle aspettative nei confronti del Difensore civico regionale.
Le valutazioni più critiche, in tal senso, provengono dalle associazioni
a tutela dei consumatori.
Come Cittadinanzattiva riteniamo che sia necessario avere una
difesa civica che dia delle risposte ai cittadini nei rapporti con la
Pubblica Amministrazione.
I Difensori civici regionali in Toscana nei primi tempi erano, in
genere, dei prefetti in pensione e si limitavano a dare risposte
meramente burocratiche ai cittadini che si rivolgevano loro. La
situazione è migliorata negli ultimi 15 anni e specialmente gli
ultimi due Difensori civici hanno svolto un ruolo positivo. A livello
locale i Difensori civici, nella realtà livornese, si sono limitati a
dire “questo non si può fare, su questo non ho la competenza”,
svolgendo una funzione di meri uffici di pubbliche relazioni del
comune limitandosi ad intervenire, in modo burocratico, soltanto
sulle materie di loro stretta competenza. Riteniamo invece che il
Difensore civico poteva intervenire nei casi di mancato rispetto
dei diritti dei cittadini (anche se non era sua stretta competenza)
60
mettendo all’attenzione dell’opinione pubblica un fatto negativo
e creando così le condizioni per risolvere il problema. Questo a
livello locale non è stato fatto, non è stata mostrata autonomia
rispetto alle Amministrazioni. Sicuramente le competenze ufficiali saranno state circoscritte, ma si ha avuta l’impressione che
spesso nella sua azione si autolimitasse per non dare ‘troppo
fastidio’ all’Amministrazione comunale (Cittadinanzattiva).
Le note dolenti vengono dal fatto, ed è un giudizio personale,
che (il Difensore civico n.d.r.) è un carrozzone “mangia-risorse”;
è una struttura che sul piano della soluzione delle questioni per
me non funziona, se si pensa a ciò per cui è stato istituto, per lo
meno per le esperienze che ho avuto (Federconsumatori Arezzo).
La percezione in merito a una figura considerata organica alle istituzioni, di cui è espressione, e per questo non nelle condizioni di porsi
in una reale posizione di autonomia rispetto ad esse, è molto diffusa,
genera scetticismo e diffidenza e conduce molti cittadini e associazioni a preferire strumenti alternativi, quali l’interlocuzione diretta con
le istituzioni e i fornitori di servizi, o la via giudiziaria.
Ricordo che da noi il Difensore civico era l’avvocato in pensione,
o altre figure che ti davano l’impressione che, invece di svolgere una azione facilitatrice, si fosse davanti a una persona che
magari ti faceva anche andare avanti la pratica, ma nell’ottica
di un percorso di ‘complessificazione’, invece che di semplificazione. Sei andato dall’assessore, sei andato dal dirigente e
non ti hanno risposto, vai dal Difensore civico perché a sua volta
intervenga. Lo dico con un po’ di semplificazione demagogica;
ti spetta qualcosa, fattelo dare, ma la protesta la faccio con il Difensore civico? La protesta non la faccio con il Difensore civico,
vado direttamente da chi il servizio lo eroga, non devo aspettare
che il Difensore civico vada da chi di dovere a dire che devono
rispettare le regole (…). Il Difensore civico non deve essere un
ulteriore passaggio; tutto ciò che sta tra un diritto e il suo non
ottemperamento, non deve essere un ulteriore ingranaggio di
una macchina malfunzionante che ne rallenta il funzionamento.
Sembra il ‘gioco dell’oca’, dove si va indietro di qualche casella,
mentre io voglio la soluzione! La voglio alla svelta e se il Difensore civico ce la fa a fluidificare, bene, ma se io non posso arrivare
a chi voglio perché non mi risponde e devo tornare indietro e
passare dal Difensore civico non torna, è soltanto un rallentamento (Circolo Interculturale Samarcanda).
61
Con il Difensore civico regionale onestamente non ho mai avuto
il piacere di poterci interloquire, è una possibilità che prenderemo in considerazione in futuro e mi piacerebbe avere un incontro per discutere dei problemi di Carrara. Con quello comunale
ho avuto più occasioni di interloquire, per vari aspetti, e soprattutto per problemi sociali, minori, sfratti, situazioni di disagio, ma
io non amo essere preso in giro, se mi e ti attivo, ti dico quali
sono i problemi e tu Difensore mi dici che ho ragione, ma perdo un mese e mezzo senza ottenere risultati, questo non è un
servizio, ma una figura inutile. Il Difensore civico deve avere dei
poteri e mettere in contatto cittadini, associazioni e istituzioni. Il
Difensore civico non è stato così, ed è questo il motivo per cui i
cittadini si rivolgono alle associazioni, altrimenti si rivolgerebbero direttamente al Difensore civico. In molti sicuramente non lo
conoscono o non lo prendono in considerazione, io penso che
la figura del Difensore civico debba dare risposte concrete, e
non fare perdere tempo in chiacchiere, perché poi i problemi si
accumulano. È un organo che allunga i tempi e non dà risposte
concrete (Adipel).
Laddove la difesa civica territoriale è stata percepita come espressione delle istituzioni locali, la sua caratterizzazione come organo terzo
e di mediazione con i cittadini ne è stata negativamente influenzata.
In un clima di crescente sfiducia e disaffezione nei confronti delle
istituzioni, i cittadini tendono a rivolgersi ai soggetti cui attribuiscono
più fiducia e che sentono più vicini, tra questi vi sono i sindacati e le
associazioni dei consumatori.
I cittadini qui non si fidano, le associazioni di consumatori sono
dei punti di riferimento, così come i sindacati e i patronati. Se
capita un problema con le bollette si rivolgono alle associazioni
dei consumatori, se c’è un problema sul lavoro si rivolgono al
sindacato, anche se gli dico di rivolgersi a noi perché possiamo
fare da tramite con il Difensore civico è difficile che vengano da
noi per questo tipo di richiesta (Cif Carrara).
Critiche più radicali individuano nel Difensore civico, non tanto una
figura capace di risolvere le controversie e di facilitare il rapporto dei
cittadini con le P.A., ma un ulteriore anello della catena burocratica
che, più che semplificare, rischia di introdurre altri elementi di complessità e di farraginosità.
Sono proprio le associazioni più attive nell’attività di advocacy che
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avvertono del rischio che si perpetui una rappresentazione del Difensore civico come “un personaggio decorativo, pressoché inutile” (Alì
1999), piuttosto che una figura che fonda la propria legittimazione e
la propria capacità di intervento sull’autorevolezza e sulla competenza riconosciute dai cittadini e dagli interlocutori istituzionali, rispetto ai
quali lo stesso Difensore civico sottolinea la propria autonomia:
il Difensore civico regionale non è un avvocato, né un magistrato, né un politico, ma un cittadino eletto dal Consiglio Regionale,
chiamato in piena autonomia a difendere i diritti e gli interessi
dei cittadini nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, nel
rispetto dei principi di imparzialità, efficienza, equità, trasparenza1.
Per altri il vero problema non è la presunta organicità con le istituzioni,
ma l’assenza di poteri effettivi.
È uno strumento utile di monitoraggio e di controllo di quello che
fanno le istituzioni, perché è un servizio al quale si segnalano le
criticità tra cittadini e istituzioni. Ben venga, e se potesse fare di
più, ancora meglio, perché l’Italia è un Paese in cui non basta
segnalare le cose che non vanno, ma c’è il bisogno di organi terzi, tra cittadini e istituzioni, che possano anche provare a cambiare le cose. Il Difensore civico dovrebbe avere assolutamente
più potere. Probabilmente i cittadini non lo conoscono sufficientemente, ma anche se lo conoscessero, è un organismo che
avendo solo funzioni di segnalazione e non di intervento è già un
po’ perdente (...). Il cittadino che è vittima di un mancato rispetto
dei propri diritti si trova di fronte a un sistema collassato, per cui
va bene il Difensore civico, ma è già una strada non pienamente
soddisfacente per una persona che si sente danneggiata nei
suoi diritti. Personalmente preferirei la strada giudiziale rispetto
al Difensore civico (Anelli Mancanti Figline).
Molti cittadini alla via della mediazione e della conciliazione preferiscono seguire forme di protezione dei diritti di tipo giudiziale, sebbene costose, in termini economici e di tempo, e spesso non accessibili
a tutti e, per di più, improntate ad una relazione conflittuale tra cittadi-
1 Lo stralcio in questione riporta le parole con cui il Difensore civico regionale si
presenta ai cittadini nell’apposita pagina web.
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ni e amministrazione, piuttosto che ad un confronto, tramite gli istituti
di mediazione e conciliazione ai quali il Difensore civico, in primis,
fa riferimento. Si tratta di un elemento che ha trovato conferma nelle
interviste realizzate con i rappresentanti delle associazioni attive territorialmente nella promozione e tutela dei diritti. Costoro concordano
nel ritenere l’aspetto principale che penalizza la figura del Difensore
civico, ancor prima delle eventuali criticità nelle funzioni e nelle modalità organizzative, la scarsa informazione che dello stesso hanno i
cittadini. Il Difensore civico è una figura che non sembra mai essere
pienamente entrata nella cultura civica del nostro Paese quale risorsa
istituzionale per la tutela dei diritti dei cittadini. In particolare, la consapevolezza in merito all’esistenza di questa figura sembra essere
appannaggio di una minoranza di cittadini “cognitivamente” e politicamente mobilitati. I cittadini più esposti a forme di marginalità ed
esclusione sociale sono quelli che più di altri potrebbero trovare supporto appellandosi al Difensore civico, ma è proprio tra questo strato della popolazione ch’è minore la consapevolezza delle tutele che
tale istituto potrebbe garantirgli. Il ricorso alla via giudiziaria, tramite
il coinvolgimento di un avvocato, implica costi che i soggetti economicamente più deboli non possono affrontare, e l’accesso diretto alle
istituzioni richiede un capitale culturale, ma anche sociale, del quale
questi cittadini non sempre dispongono.
È ampiamente condivisa l’opportunità di portare avanti iniziative finalizzate a comunicare più diffusamente ai cittadini “cosa fa” il Difensore civico, quali sono i suoi ambiti di intervento ed i suoi poteri, in modo
da rendere più “vicina” e accessibile questa figura. Più in generale, si
avverte la necessità di promuovere la cultura della mediazione e della
conciliazione. I mediatori e i conciliatori, nell’ambito dei sistemi democratici, svolgono un’importante funzione di persuasione che, proprio
per il carattere non impositivo, può condurre a risultati efficaci, in tempi relativamente brevi e, soprattutto, in modo gratuito per il cittadino.
Si tratta di una caratterizzazione del Difensore civico che spesso non
è adeguatamente comunicata dalle stesse istituzioni.
Rendere “vicina” la figura del Difensore civico nazionale, d’altra parte, non è un obiettivo facile, a fronte della diffusa percezione di una
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lontananza simbolica, che in contesti periferici si associa ad un senso
di distanza di tipo territoriale che sembra rendere virtuale tale figura
istituzionale. Per colmare questo senso di distanza, si suggerisce l’intensificazione di momenti di confronto fra società locali e Difensore
civico.
Sicuramente è difficile da immaginare e risulta paradossale per
un periodo storico in cui la dominante sociale è rappresentata
dalla globalizzazione e dal relativo scambio di informazioni al
di là di ogni confine, ma in relazione alla posizione del Difensore civico, oltre al problema della distanza simbolico-funzionale,
riferita alla sua collocazione istituzionale ed alle sue funzioni,
sussiste anche il problema della distanza fisica: avendo la propria “sede operativa” a Firenze, i cittadini che non abitano vicino
al capoluogo lo percepiscono come distante; i chilometri che li
separano dallo stesso Difensore vengono comunemente vissuti
in termini negativi, come lontananza dal loro “caso”, dalle loro
esperienze da parte dell’organo che dovrebbe offrire loro tutela, come impossibilità di controllo diretto della stessa azione di
difesa civica e, quindi, di nuovo, come “aleatorietà” dello stesso procedimento. Come associazione di volontariato abbiamo
indubbiamente la possibilità di svolgere una funzione di filtro e
di mediazione che può anche essere rinforzata ed ulteriormente specializzata, ma, tuttavia, solo il Difensore civico, in quanto
tale, potrà costruire un “senso di prossimità” presso le comunità locali: premessa per un rapporto di fiducia (Ambiente Pulito
Marginone).
Una simile percezione di distanza non è espressa soltanto dai cittadini, ma anche dai membri di alcune associazioni, soprattutto quelle
attive nei territori più lontani da Firenze, per i quali la lontananza geografica si tramuta di fatto in una lontananza nelle relazioni, impedendo di concepire il Difensore civico regionale come un interlocutore al
quale ricorrere nella quotidianità.
Per quanto riguarda invece il nostro rapporto con il Difensore
civico, che due anni fa era stato rilanciato come figura, per noi è
abbastanza lontano, non rientra negli strumenti che maneggiamo quotidianamente, magari ora che abbiamo questo colloquio
ce ne ricordiamo, poi già tra un mese ci dimentichiamo che c’è
il Difensore civico regionale. Mi pare che per il momento del Difensore civico si sia persa la traccia, mi pare siano quei fenomeni carsici che magari chissà, riemergeranno. Purtroppo siamo
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in una società in cui o emergi oppure sei dimenticato. Ripeto, è
uno strumento per noi non particolarmente adoperabile, e non è
un giudizio sulla persona, che credo di grande qualità, ma per
noi è uno “strumento fuori mano”. Non lo utilizziamo mai (Circolo
Interculturale Samarcanda).
È proprio nei territori più distanti dal capoluogo regionale che la
scomparsa del Difensore civico comunale è maggiormente avvertita,
traducendosi in una richiesta di reintroduzione di questa figura che,
soprattutto nei casi di maggiore radicamento e riconoscimento sociale, ha svolto una funzione più ampia rispetto ai compiti ufficialmente
attribuiti, ovvero la raccolta e la gestione delle doglianze nei confronti
di amministratori ed erogatori di servizi, diventando un punto di riferimento per i cittadini in condizioni di disagio. Il Difensore civico era
diventato una sorta di “sportello” cui segnalare le problematiche alle
quali la suddetta figura cercava di fornire soluzioni avvalendosi della
rete di contatti con le associazioni attive nel territorio, oltre che con le
istituzioni locali.
Lo stralcio di intervista che segue ben sintetizza il tipo di servizio che
è venuto a mancare in alcuni territori e che può trovare risposta nella
rete territoriale di promozione e tutela dei diritti promossa dal Cesvot.
L’incontro e la sinergia tra difesa civica regionale e associazioni di
volontariato attive nel territorio può rappresentare un punto di riferimento per i cittadini posti in condizioni di disagio, in una prospettiva
di integrazione tra la dimensione sociale dell’intervento e quella di
riconoscimento dei diritti. Si tratta di una prospettiva che, come si
vedrà oltre nel testo, può trovare nel progetto “Per i diritti dei cittadini”
i presupposti per una piena realizzazione, affidando alle associazioni un ruolo propulsivo nel sostenere, in una ottica di valorizzazione
reciproca, una istituzione che, secondo la percezione degli stessi
rappresentanti del mondo del volontariato risente di un deficit di rappresentanza per responsabilità delle stesse istituzioni oltre che per lo
scetticismo e per la scarsa consapevolezza del suo valore.
A Livorno la difesa civica funzionava con il passaparola, io ho
fatto anche pubblicità negli autobus e avevo ottocento richieste
l‘anno. È un servizio gratuito, e se la gente sa che puoi aiutarli
effettivamente a risolvere i problemi si rivolge, il problema è che
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non è abbastanza pubblicizzato il ruolo del difensore e le istituzioni non hanno interesse a farlo. A un certo punto l’attività è diventata insostenibile perché i problemi erano diventati di natura
sociale più che di mala amministrazione in senso stretto. Spesso
per la casa, che non c’è o è inadeguata per la famiglia, per la
mancanza di lavoro, per la mancanza di un posto dove dormire
(…), le richieste spesso arrivano a me. Mi conoscono perché lavoro anche per il Cesvot, perchè faccio il consulente giuridico, e
mi conoscono le associazioni del territorio, che mi telefonavano
per chiedere se c’era un posto per accogliere una persona, e
io facevo telefonate a tutte le persone che potevano darmi una
mano, era diventata una forma di assistenza sociale, ma ora non
c’è più quel tipo di figura anche se ora continuano a rivolgersi
a me: alcune persone ora vengono qua e continuo a seguirle. È
un peccato che non ci sia più quella figura di riferimento, perché
delle ottocento persone che venivano da me fino al 2011, solo il
5% si è rivolto l’anno dopo, nel 2012, al Difensore civico regionale perché non è uno strumento sul territorio, di prossimità. La
rete Cesvot potrebbe supplire a questa mancanza (…) devono
essere le associazioni a fare questo servizio (Movimento consumatori Livorno2).
L’impressione è che partiti e istituzioni non abbiano rafforzato
questo strumento (il Difensore Civico n.d.r.) non per un disegno, ma per disattenzione e sciatteria Sono disattenti, e ciò non
è rassicurante come prospettiva. Aggiungo che l’istituto della
conciliazione comporterebbe risparmi per le istituzioni, perché
una vertenza che si ricompone prima di arrivare ad un’azione
giudiziaria farebbe risparmiare molti soldi alla macchina statale
e non capirlo è esiziale (Legambiente Toscana).
La perdurante assenza della figura del Difensore civico nazionale e la
scomparsa della figura del Difensore civico territoriale attribuiscono
ai Difensori civici regionali una duplice funzione di supplenza, che li
induce, da una parte, a svolgere le funzioni che in altri ordinamenti
sono proprie del Difensore civico nazionale e, dall’altra, a garantire
una presenza sul territorio, in modo da supplire alla funzione fino ad
oggi svolta dai Difensori civici comunali. Questi, nei casi più virtuosi,
hanno rappresentato un punto di riferimento per la cittadinanza, e
2 La referente dell’associazione ha in passato ricoperto la carica di Difensore
civico comunale a Livorno.
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spetta al Difensore civico regionale sopperire alla mancanza dell’equivalente comunale, riallacciando e valorizzando le reti e le relazioni
che si erano attivate e consolidate, operandosi per la rigenerazione
di un capitale socio-territoriale a supporto della tutela dei diritti. Tale
compito appare ancor più difficile in quei territori in cui l’azione del
Difensore civico comunale è stata meno incisiva, in virtù di un diverso
approccio sviluppato dai titolari della carica, dal minore investimento
politico o dalla ridotta propensione dei cittadini e del tessuto sociale
a costruire relazioni di fiducia con un organo istituzionale.
Tale sfida – data la scarsa disponibilità di risorse economiche generalmente conferita alla difesa civica ed in presenza di strutture organizzative sottodimensionate – appare tutt’altro che facile da affrontare, dovendosi spesso compiere su due fronti dove la cultura della
difesa civica appare debolmente sviluppata, quello istituzionale e
quello della cittadinanza. D’altra parte, la necessità di “reinventare” la
presenza della difesa civica sui territori rappresenta l’occasione per
sperimentare nuove modalità organizzative e nuove reti di relazione
con istituzioni, cittadini e società civile, con l’obiettivo di affermare
una nuova cultura della promozione e della tutela dei diritti che veda
partecipare, in processi virtuosi, tutti quei soggetti coinvolti in attività
di advocacy, nella sua accezione più ampia, ovvero che comprenda
le forme dirette e indirette di azioni rivolte alle istituzioni politiche e
alla società nel suo complesso al fine della costruzione di una società
più giusta. Se in ambito istituzionale il Difensore civico è lo strumento par excellence orientato alla promozione e tutela dei diritti tramite
la mediazione, nell’ambito della società civile i soggetti che per loro
natura possono svolgere un ruolo di mediazione tra cittadini e istituzioni sono le associazioni di volontariato. Queste, occupandosi dei
problemi quotidiani dei cittadini, e impegnandosi per la loro risoluzione, rappresentano un punto di riferimento sul territorio soprattutto
per quanti sono in condizioni di marginalità socio-economica e non
hanno gli strumenti e le risorse per praticare forme di autotutela. Allo
stesso tempo, le associazioni di volontariato hanno dei canali di interlocuzione con le istituzioni, di cui sono spesso partner fondamentali
ai fini dell’erogazione dei servizi e, più in generale, della costruzione
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della coesione sociale. Le associazioni di volontariato, in definitiva,
rappresentano un importante ponte che lega i cittadini alle istituzioni
sociali e politiche e che, come è stato argomentato, possono contribuire significativamente all’azione di advocacy che si profila sempre
più come un elemento costitutivo della mission di un volontariato che
non si “accontenta” di prestare servizi in sostituzione dello Stato e si
interroga sulle condizioni che conducono ad escludere segmenti della cittadinanza dalla tutela dei diritti.
Ma che relazioni hanno le associazione di volontariato con il Difensore civico regionale? L’attività di promozione e tutela dei diritti svolta
da questo istituto si esprime su canali paralleli e non comunicanti con
l’attività di advocacy svolta dalle associazioni di volontariato? Si tratta
di concezioni dell’advocacy alternative, se non conflittuali, o di concezioni dell’advocacy che, nella diversità dei ruoli istituzionali e degli
approcci, possono trovare elementi di sintesi e complementarietà?
Il progetto “Per i diritti dei cittadini”, promosso dal Cesvot, si fonda sul
presupposto che la funzione di advocacy sia trasversale al mondo
del volontariato, e che data questa caratterizzazione, sia possibile
costruire rapporti stabili di collaborazione tra questo mondo e la difesa civica regionale. Obiettivo del progetto è la costruzione di una
rete tra associazioni di volontariato e Difensore civico che permetta
alle prime di avere un interlocutore istituzionale con cui interfacciarsi
e trovare supporto nella propria azione di advocacy, al secondo di
costruire una rete sul territorio che sopperisca alla scomparsa dei Difensori civici comunali, ma, soprattutto, consegni ai cittadini dei punti
di riferimento sul territorio che rappresentino strade di accesso alla
difesa civica regionale.
La sottoscrizione del protocollo tra Difensore civico regionale e
Cesvot è stata seguita da altri protocolli (con Uncem, Anci, Corecom
e Legambiente) e si pone al centro di un progetto finalizzato ad avvicinare la difesa civica ai cittadini. Il protocollo siglato con Uncem e
Anci ha come oggetto l’istituzione degli sportelli Ecco fatto! gestiti da
giovani coinvolti nel servizio civile regionale che, nei piccoli comuni,
accorpano una pluralità di servizi pubblici, dall’Urp, al Cup, ai servizi
postali, con l’obiettivo di rendere disponibili, anche nei piccoli centri,
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una serie di servizi integrati. Il protocollo siglato con Anci Toscana
e Corecom prevede, invece, la costituzione di presidi territoriali per
la difesa civica, presso strutture preesistenti come gli Urp, i Paas, i
Centri giovani e le biblioteche comunali. Il protocollo siglato con Legambiente Toscana, infine, riproduce i tratti essenziali del protocollo
siglato con il Cesvot, ed è rivolto ai circoli territoriali di Legambiente,
concentrandosi sulle problematiche relative ai diritti ambientali.
Si tratta di una serie di iniziative che collocano ancora una volta la
Regione Toscana all’avanguardia nell’implementazione della difesa
civica in Italia, al punto da rendere il progetto “Per i diritti dei cittadini”
una possibile pratica da esportare, a livello italiano ed europeo. A
livello italiano la diffusione di un progetto come quello promosso in
Toscana dal Cesvot può essere favorito dalla nomina del Difensore
civico toscano a presidente della conferenza nazionale dei Difensori
civici regionali. L’applicazione del progetto in questione può, però,
imbattersi in talune criticità laddove intervengono taluni fattori, come,
in primo luogo, l’assenza del Difensore civico, nonché la diversità del
tessuto associativo e l’assenza di una struttura di coordinamento dei
servizi al volontariato (quale ad esempio il Cesvot), che, in virtù di una
presenza capillare sul territorio, può farsi promotrice della costruzione di una rete per la promozione e tutela dei diritti.
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Capitolo 3
Il progetto Per i diritti dei cittadini
di Luca Raffini
1.
Genesi e obiettivi
“Per i diritti dei cittadini” è un progetto nato all’interno di un protocollo
d’intesa siglato da Cesvot e Difensore civico nel novembre del 2011,
con lo scopo di sviluppare una maggiore collaborazione tra associazioni di volontariato e Difensore civico regionale per “promuovere sul
territorio una rete integrata di protezione sociale e tutela dei diritti”,
con particolare attenzione e riferimento ai soggetti che, data la loro
condizione di disagio, hanno maggiori difficoltà a fare valere i propri
diritti. L’obiettivo della rete è, quindi, integrare l’attività di difesa dei
diritti dei cittadini svolta dal Difensore civico con l’attività di advocacy
condotta dalle associazioni, creando una rete territoriale di promozione e tutela dei diritti, capillare e di prossimità.
Il progetto sopperisce, inoltre, alla abrogazione della figura del Difensore civico comunale che, insieme alla mancata istituzione del
Difensore civico territoriale nella maggioranza delle province, rinvia
al Difensore civico regionale il compito di svolgere la funzione precedentemente svolta a livello comunale.
Scrive il Difensore civico Toscano nella relazione del 2010: “spesso
ho affermato che non è importante e tantomeno necessaria l’esposizione personale della figura del Difensore civico ma ciò che deve
essere favorita è la diffusione capillare dell’attività della difesa civica,
tanto da auspicare almeno il mantenimento degli uffici della difesa
presso i Comuni. Purtroppo invece ciò non avviene e una volta decaduto il Difensore civico anche l’ufficio viene soppresso, con un danno
evidente, a nostro parere, per il cittadino che perde un punto di riferimento di sua prossimità, un confronto con una figura indipendente,
non dotata di alcun potere gerarchico, che può essere in grado di
ricostituire relazione divenute critiche. Ma tutto ciò rappresenta un
danno anche per le amministrazioni, infatti l’attività della difesa civica
è un contributo al rispetto della legalità e alla fiducia nella pubblica
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amministrazione stessa”. Un elemento di preoccupazione, in particolare, è dato dalla percezione diffusa tra i cittadini che l’abrogazione
del Difensore civico comunale significhi una scomparsa della figura,
a tutti i livelli, rendendo necessaria un’azione di pubblicizzazione e di
presenza nel territorio, a partire dal presupposto che “la conoscenza
e la diffusione dell’attività e delle potenzialità della difesa civica rappresentano una pre-condizione perché si attui garanzia dei diritti e
degli interessi delle persone e delle formazioni sociali sul nostro territorio in un quadro di reciprocità con le istituzioni stesse” (Difensore
civico 2011).
Un obiettivo più ampio perseguito con la costruzione della rete è promuovere una sinergia tra soggetti che da posizioni diverse, e con approcci diversi, realizzino una funzione di advocacy, a partire dall’idea
che la diversità di ruoli e di prospettive non costituisca un ostacolo
alla costruzione di relazioni di collaborazione ma un valore aggiunto
in favore della complementarietà e della reciproca valorizzazione nel
perseguire l’obiettivo di fondo: la promozione e la tutela dei diritti, con
particolare riferimento a chi vive condizioni di disagio.
Si tratta di un punto di incontro tra la mission del Difensore civico e la
mission di Cesvot che, come recita il protocollo di intesa citato, “tra
le varie attività che gli competono, si occupa anche di promuovere
strumenti ed iniziative atte a favorire la crescita di una cultura solidale, stimolando forme di partecipazione e di cittadinanza attiva da
parte delle associazioni e dei singoli, sostenendo nuove iniziative di
volontariato e il rafforzamento di quelle esistenti con una particolare
attenzione al lavoro di rete e alla concertazione con le istituzioni pubbliche”.
Le associazioni aderenti alla rete, 58 in origine, provenienti soprattutto dalle province di Firenze, Livorno e Lucca, firmando il protocollo si
impegnano a fornire dei punti di accesso facilitati alla difesa civica,
raccogliendo le istanze dei cittadini e facendo da tramite con il Difensore civico. Il ruolo di intermediazione delle associazioni può essere
di gradi diversi. Al momento dell’adesione al progetto, infatti, le associazioni interessate possono dare la disponibilità a offrire ai cittadini
informazioni su come trasmettere le istanze, ad affiancare il cittadino
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nella stesura dell’istanza, ad accompagnarlo nella trasmissione, impegnandosi a seguire l’evoluzione dell’istanza e ad affiancare il cittadino nei passaggi successivi, fino alla conclusione dell’iter.
Le associazioni di volontariato aderenti alla rete, quindi, offrono informazioni, assistenza e supporto ai cittadini interessati a presentare
un’istanza al Difensore, “integrandone l’attività e facilitandone il rapporto con il territorio”, attraverso tre possibili livelli di coinvolgimento
delle associazioni stesse. Un tratto distintivo da sottolineare è che il
progetto non si rivolge solo alle associazioni il cui settore di intervento principale o secondario è la promozione e difesa dei diritti, ma a
tutte le associazioni, partendo dal presupposto che questa rimane
un obiettivo trasversale delle associazioni di volontariato, al di là del
settore di intervento.
L’analisi della lista delle associazioni aderenti rivela, in effetti, una
presenza preponderante di associazioni attive nel settore sociale e
socio-sanitario, coerentemente con la netta prevalenza di questo tipo
di associazioni nel panorama del volontariato toscano. Le associazioni aderenti al progetto il cui settore di intervento è la promozione e la
tutela dei diritti sono invece solo 8 su 58, e si tratta in prevalenza di
associazioni di tutela dei consumatori e dei malati.
Per promuovere il progetto e il coinvolgimento attivo delle associazioni aderenti, le 11 delegazioni provinciali di Cesvot hanno organizzato
assemblee e momenti di incontro tra Difensore civico regionale e associazioni, con l’obiettivo di introdurre le funzioni e le attività svolte dal
Difensore e illustrare gli obiettivi del progetto.
Gli incontri sul territorio hanno avuto un ruolo importante ai fini dell’avvio del progetto, poiché, come è emerso dalle interviste realizzare,
se una minoranza di associazioni, e in particolare quelle attive nella
promozione e tutela dei diritti, conoscevano la figura del Difensore
civico, e alcune di queste avevano avuto in precedenza occasioni di
collaborazione, la maggioranza dei rappresentanti delle associazioni
di volontariato avevano una conoscenza ridotta della figura del Difensore civico, e per questo motivo non avevano mai maturato l’idea di
presentare istanze.
A ben vedere, le motivazioni che hanno spinto le diverse associazio-
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ni a intervenire sono svariate, e si riflettono sul successivo modo di
interpretare l’attività di mediazione tra cittadini e difesa civica, anche
sul piano organizzativo.
Per alcune associazioni, si è detto, l’adesione alla rete è motivata dalla pregressa esperienza di interlocuzione con il Difensore civico, cui
l’associazione si era in precedenza rivolta per presentare istanze, di
natura individuale o collettiva. È il caso di associazioni di consumatori
come Movimento dei consumatori e Cittadinanzattiva, e di associazioni di tutela dei malati, come Centro per i diritti del malato, che vedono nel progetto di Cesvot uno strumento per costruire una sinergia
tra associazionismo impegnato nell’attività di advocacy e Difensore
civico, ma anche per facilitare i legami orizzontali tra le diverse associazioni.
Noi eravamo già in relazione con il Difensore civico ma crediamo
che fare parte di una rete sia un valore aggiunto per le associazioni, perché ci sarebbero molte cose da dire, per esempio che
siamo troppi e troppo frastagliati, qualcuno dice che è una cosa
positiva, perché aumenta il pluralismo, ma su un tema come
i diritti del malato non vale la distinzione destra/sinistra e non
pensiamo che si debba sempre fare lo scontro con la Direzione,
anzi, se riusciamo ad evitare lo scontro e a collaborare per noi
è positivo, al di là delle amministrazioni che abbiamo davanti.
Le associazioni si dividono in diecimila rivoli e le risorse che
già sono poche alla fine non servono per nessuno. Ma al di là
di questo la rete tra associazioni è fondamentale perché ci permette di avere una visione più complessiva. Forse va rafforzato
il nostro ruolo come mediatore tra cittadino e Difensore civico,
nel senso che tempo fa noi davamo indicazioni dicendo che il
rapporto con il Difensore civico può essere tenuto dal singolo
cittadino. Prima tendevamo più a dire “faccia lei”. Il fatto è che
siamo pochissimi, siamo quattro persone attive e due che fanno
lo sportello, e non ci possiamo impegnare in tante cose, e quando non è proprio necessaria la nostra presenza ci ritiriamo, ma
in realtà dobbiamo essere presenti perché il cittadino ci vede
dalla sua parte e con noi si sente più tutelato. Il cittadino preferisce venire da noi che all’Urp perché ci sente dalla sua parte
mentre l’Urp è l’Asl. Anche se non andiamo allo scontro con l’Asl
si sentono più tutelati con noi, e questo penso possa valere anche per il Difensore civico. E forse le associazioni possono anche aiutare a migliorare il servizio (Centro per i diritti del malato).
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L’associazione è stata tra i promotori dell’istituzione del Difensore civico a livello regionale e comunale già negli anni Ottanta
e Novanta. La figura dei Difensori civici comunali è stata soppressa e noi riteniamo non sia stato un fatto positivo. Il Difensore civico regionale dovrebbe avere più poteri di intervento, sia
sulla sanità che in altri campi dei diritti dei cittadini. È importante
che interagisca con le realtà locali per recepire la problematiche
vive e non si isoli nella sua torre d’avorio a Firenze. Qualcosa del
genere ha fatto l’attuale difensore. É importante che si rafforzi il
rapporto con le associazioni territoriali che tutelano i diritti, per
mettere in evidenza e dare soluzioni alle varie problematiche
e coordinare l’azione delle diverse associazioni che in genere
tutelano uno specifico settore, realizzando momenti di conoscenza indispensabili per risolvere i problemi che le singole
associazioni portano avanti singolarmente. Per noi, che siamo
un movimento che fa la difesa dei diritti in modo trasversale, il
rapporto con il Difensore civico è molto importante (Cittadinanzattiva Livorno).
Per altre associazioni attive nella promozione e tutela dei diritti, la
scelta di aderire al protocollo deriva dall’esistenza di forme di collaborazione con il Difensore civico, più come interlocutore rispetto
a progetti, campagne e iniziative, che come destinatario di istanze
individuali relative alla violazione di un diritto, e la costruzione di una
rete formale tra associazioni e Difensore civico è vista come uno strumento che può favorire l’interlocuzione tra associazioni e Difensore
in tal senso. Altre associazioni, ancora, guardano alla rete come un
possibile strumento di rafforzamento e di valorizzazione delle associazioni. Per la maggioranza delle associazioni il cui primo settore di
intervento non è la promozione e tutela dei diritti, la scelta di aderire
risponde alla volontà di aprirsi a questo settore, di cui si ravvisa la
centralità e l’importanza, soprattutto in tempo di crisi. L’esperienza,
argomentano molti dei soggetti intervistati, insegna che molto spesso
i problemi su cui i cittadini coinvolgono le associazioni, non sono riducibili a un solo aspetto, per esempio quello sociale o sanitario, ma
presentano una natura polidimensionale, e dietro una situazione di
disagio di tipo economico, sociale, o anche psicologico, si nasconde
molto spesso una posizione di marginalità sul piano dei diritti, perché
il cittadino che vive una condizione di disagio ha meno strumenti per
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tutelarsi. A fronte di questa percezione, associazioni che si occupano
di tematiche specifiche – in molti casi si tratta di piccole associazioni, dipendenti dal lavoro di pochi volontari – avvertono la difficoltà di
offrire una risposta a tutte le esigenze delle persone che assistono e
individuano nella costruzione di una rete più ampia di promozione e
tutela dei diritti lo strumento per trovare supporto nella gestione delle
problematiche legate alla dimensione dei diritti e, in generale, per sviluppare relazioni orizzontali con le altre realtà attive sul territorio. L’approccio prevalente, da parte di queste associazioni, vede l’adesione
al progetto come un’opportunità di crescita, di attribuire nuovi significati all’attività di volontariato effettuata, per mettersi in gioco e aprire
nuovi orizzonti. La partecipazione al progetto costituisce, pertanto,
una scommessa e si accompagna a un atteggiamento iniziale orientato allo studio e alla comprensione di un mondo che è scarsamente
conosciuto, quale fase propedeutica a una eventuale attivazione successiva che, data la piccola dimensione di molte delle associazioni
aderenti, è dipendente dalla disponibilità di risorse, e in particolare di
volontari che dispongano delle necessarie competenze e che curino
per conto dell’associazione i rapporti con i cittadini e con il Difensore
civico, ai fini della raccolta e della trasmissione delle istanze.
Il numero ridotto delle istanze complessivamente presentate dalle
associazioni aderenti alla rete al Difensore civico nei primi mesi di
operatività non è da interpretare come un segno di insuccesso del
progetto. Al contrario, le associazioni intervistate si sono rivelate molto attive nello sviluppo di questo tipo di attività, e sono proprio le
associazioni di volontariato per cui la tutela e la promozione dei diritti
non sono costitutive della propria mission associativa che, come vedremo, sperimenteranno i percorsi più interessanti, allo stesso tempo
più aderenti all’obiettivo iniziale del progetto, ovvero alla costruzione di una rete di intermediazione tra cittadino e Difensore civico. Le
stesse associazioni si sono non di meno rivelate capaci di introdurre
significati e pratiche innovative, che permettono di pensare a ulteriori
prospettive di sviluppo, proponendo interessanti promising practices
da diffondere e riapplicare.
A rallentare la piena operatività dell’attività di mediazione hanno con-
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tribuito alcuni fattori, legati alla scarsa consapevolezza e informazione, spesso a partire dagli stessi membri delle associazioni che, a seguito degli incontri con il Difensore civico, hanno impiegato qualche
mese per prepararsi adeguatamente e per organizzare, anche sul
piano strettamente pratico, gli sportelli. La fase di formazione interna
all’associazione è quindi seguita da un momento – ancor più impegnativo – di sensibilizzazione della cittadinanza che ha impegnato le
associazioni nella produzione di materiale informativo e nella realizzazione di incontri pubblici.
Il procrastinamento della fase di organizzazione interna, in cui le associazioni, soprattutto quelle non precedentemente attive nella promozione e tutela dei diritti, hanno approfondito la conoscenza dello
strumento e hanno condiviso con i propri volontari approcci e metodi,
può essere letto come un indicatore dell’entità del lavoro preparatorio
da svolgere per affermare una prassi di intermediazione tra cittadini
e difesa civica.
A questo elemento si deve aggiungere che il ruolo delle associazioni nell’ambito del progetto “Per i diritti dei cittadini”, alla luce di una
pluralità di fattori relativi alla natura dell’associazione e della forma
organizzativa ma anche delle caratteristiche del tessuto sociale nei
diversi territori, è stato interpretato in vari modi, talvolta discostandosi dagli intenti originari che sottostavano alla costruzione della rete
da parte dei promotori, il cui oggetto è la realizzazione di una rete
territoriale che vede le associazioni di volontariato come dei terminali della difesa civica sul territorio, ai fini dell’ attivazione di una rete
capillare che ha come oggetto la ricezione delle istanze individuali
tramite le associazioni aderenti. Molte delle associazioni, in contrasto
con questa aspettativa, non hanno trasmesso istanze individuali dei
cittadini ma istanze collettive, espresse dalle stesse associazioni che,
sulla base della conoscenza delle problematiche e del rapporto con
i cittadini, hanno posto l’attenzione su questioni relative all’interesse
collettivo, definite dal carattere ricorrente e strutturale della problematica, indicante non un singolo caso di mala amministrazione, ma un
problema più profondo, da risolvere, con l’aiuto del Difensore civico,
suggerendo interventi legislativi o sul piano dell’applicazione delle
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leggi esistenti.
Noi dal protocollo siglato con Cesvot ci attendevamo di ricevere tante istanze individuali, in realtà, salvo per casi particolari,
come il Tribunale del Malato, che però lo faceva già prima, e
lo sportello che è nato a Figline con l’associazione il Giardino,
abbiamo ricevuto istanze significative ma che riguardavano una
pluralità di casi, piuttosto che il singolo cittadino, ma quando è
nato il progetto noi ci aspettavamo che potessero essere raccolte tante istanze individuali sul territorio (Vittorio Gasparrini –
Ufficio del Difensore civico).
La propensione a presentare istanze collettive piuttosto che istanze
individuali, e quindi a prediligere forme di coinvolgimento del Difensore civico che vedono come diretto interlocutore le associazioni in
rappresentanza di interessi diffusi, piuttosto che i cittadini coadiuvati
dalle associazioni, può del resto essere parzialmente spiegata come
un’interpretazione diversa del ruolo della rete, rispetto alla visione originaria, che ne rappresenta in parte un limite, da superare per riportare al centro l’obiettivo iniziale, in parte un elemento di ricchezza, che
può rappresentare un valore aggiunto della rete, indicando importanti
potenziali di sviluppo della stessa, e la concretizzazione di esiti possibili che vanno anche al di là degli obiettivi iniziali. Diversi elementi,
connessi alla difficoltà, sopra descritta, nell’avviare una prassi che richiede notevoli sforzi sul piano organizzativo e, soprattutto, un ampio
lavoro preparatorio sul piano informativo e formativo sulla cittadinanza, suggeriscono, d’altra parte, che la prevalenza di istanze collettive
possa essere letta come un fenomeno transitorio, che ha visto associazioni che in precedenza non avevano avuto rapporti con la difesa
civica regionale, impegnarsi su due fronti, quello della costruzione di
un canale di interlocuzione con la cittadinanza, e quello dell’avvicinamento alla figura del Difensore civico. Visto in questa prospettiva,
è sicuramente un elemento positivo che le associazioni, in attesa di
una piena operatività della mediazione tra cittadini e Difensore civico,
propongano istanze, coinvolgendo il Difensore civico su quelle che
percepiscono come questioni di interesse diffuso, in modo da perseguire un intervento sistematico alla radice del problema, e quindi di
tipo strutturale e preventivo.
79
2.
Le modalità organizzative adottate: una pluralità di
approcci
La diversità dei percorsi di avvicinamento all’azione di tutela e promozione dei diritti si riflette in approcci diversificati a questa attività e,
di conseguenza, in una pluralità di modi con cui si percepisce il ruolo
della rete territoriale di promozione e tutela dei diritti e il ruolo dell’associazione al suo interno.
Il diverso approccio è condizionato, oltre che dalla vision e dal target
dell’associazione, dalla struttura organizzativa, dal tipo e dal numero
di volontari coinvolti, dalla disponibilità di risorse e dall’inserimento
in reti o organizzazioni di secondo livello. La disponibilità di risorse,
in termini di personale (sia retribuito che volontario), di competenze
e di spazi si rivela, in particolare, un elemento determinante affinché
l’interesse nei confronti della difesa civica si traduca nella predisposizione di una struttura organizzativa in grado di coinvolgere i cittadini e di aprirsi alla raccolta della loro istanze da indirizzare al Difensore civico. Come vedremo, le associazioni intervistate si collocano
a diversi livelli di avanzamento, condizionati dal livello pregresso di
strutturazione e di attività nel settore, dalla presenza di competenze
interne, dalle risorse a disposizione, nonché dalla data di adesione
al progetto.
A un primo livello, vi sono associazioni, come quelle di tutela dei consumatori e dei pazienti o quelle che da anni offrono un servizio di consulenza legale ai cittadini (rivolgendosi a tutti, ai cittadini che vivono
condizioni di marginalità, o a categorie specifiche, come gli immigrati). Queste hanno integrato l’attività di mediazione con il Difensore
civico nei propri sportelli, non alterandone il modello organizzativo
di base. A un secondo livello troviamo associazioni che non hanno
precedenti esperienze di sportelli dedicati alla promozione e tutela
dei diritti, e che a seguito dell’adesione al progetto “Per i diritti dei
cittadini” hanno progettato l’apertura di sportelli ad hoc.
Se, infatti, per le associazioni di tutela dei consumatori gli sportelli
aperti ai cittadini, finalizzati alla raccolta di istanze, rappresentano
una dimensione costitutiva della propria attività, per le associazioni attive in ambito ambientale, socio-sanitario e culturale, la pratica
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dello sportello rappresenta una novità. L’apertura di uno sportello di
difesa civica ha quindi richiesto una fase di preparazione e di riorganizzazione interna, l’individuazione dei responsabili, e in qualche
caso la ricerca di luoghi adatti per ospitarli. L’apertura degli sportelli è
stata inoltre accompagnata da campagne di promozione, che hanno
coinvolto le istituzioni e altre associazioni del territorio, e da iniziative
finalizzate a sensibilizzare e informare la cittadinanza.
A un terzo livello di implementazione troviamo associazioni che, per
loro natura, si rivolgono a un target definito di cittadini, per esempio i
genitori di persone con disabilità, e che concepiscono la loro attività
di mediazione con il Difensore civico come primariamente rivolta a
una categoria specifica richiedendo una conoscenza approfondita e
specialistica. L’attività di mediazione con il Difensore riguarda quindi in primo luogo i soci e i cittadini che trovano nell’associazione un
punto di riferimento, pur non escludendo l’attività di informazione e
di supporto a un pubblico più ampio e su temi diversificati. Molte
associazioni che seguono questo approccio hanno individuato un referente per l’attività di intermediazione con il Difensore civico ma non
hanno, almeno per il momento, organizzato un apposito sportello.
Il numero di istanze individuali trasmesse al Difensore civico è nel
complesso molto ridotto e con una prevalenza di istanze relative alla
promozione di interessi diffusi, presentate dalle stesse associazioni. Sono stati non di meno raccolti esempi di istanze presentante al
Difensore, in tema di diritto alla salute, diritto di cittadinanza, diritti
dei detenuti, di ambiente, che hanno prodotto risultati concreti e che
hanno spinto i soggetti coinvolti ad approfondire la collaborazione.
Sono stati segnalati anche casi in cui è valsa la “minaccia” di presentare istanza al Difensore per ottenere gli effetti voluti, per esempio la
pubblicizzazione di dati relativi alle rilevazioni ambientali in presenza
di un contenzioso ambientale. Uno scenario in cui la sola “minaccia”
del ricorso al Difensore civico possa riuscire a sortire questo effetto è
vista, da alcuni, come auspicabile, ma ancora lontano da realizzarsi.
Dato conto della pluralità di approcci alla rete e dello stato di avanzamento assai variegato dell’azione delle associazioni all’interno del
progetto “Per i diritti dei cittadini”, possiamo costruire una tipologia di
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modalità di inserimento nella rete, indagando in profondità le caratteristiche di ciascuna.
3.
L’adesione silente
Il tipo dell’adesione silente riguarda quelle associazioni che hanno
aderito al progetto condividendone gli obiettivi di fondo ma che, per
una serie di motivi, relativi in prevalenza alla scarsa disponibilità di risorse per avviare una nuova attività, alla necessità di organizzarsi, sul
piano logistico e della comunicazione e, ancor prima, di sviluppare
competenze adeguate per fornire un nuovo servizio, non hanno effettuato alcuna attività di intermediazione con il Difensore civico, né in
relazione a istanze individuali, né in relazione a istanze collettive, presentate cioè dalla stessa associazione in rappresentanza di interessi
diffusi. Si tratta di una categoria in cui rientra una esigua minoranza
delle associazioni intervistate.
Molte delle associazioni aderenti alla rete sono di dimensioni ridotte,
e dipendono da un numero ristretto di volontari che sostengono quotidianamente quelle che possono essere definite le attività centrali
dell’associazione. Poiché le piccole dimensioni dell’associazione si
legano alla natura specialistica della mission, questo tipo di associazione non trova solo ostacoli nella scarsa disponibilità di risorse, in
primis di volontari o nell’assenza di una sede, ma anche nel gruppo
ridotto delle persone che fanno riferimento all’associazione. Il riferimento è, in particolare, alle associazioni attive in iniziative e progetti
di assistenza nei confronti di patologie specifiche, i cui rapporti sono
solitamente limitati ai soggetti coinvolti dalla patologia e dalle istituzioni di riferimento (Asl, scuole, ecc.). La ricerca evidenzia che per valorizzare il ruolo svolto all’interno della rete da parte di queste piccole
associazioni, che del resto contribuiscono in maniera rilevante alla
ricchezza del tessuto associativo toscano, può essere utile individuare strumenti di coordinamento e di cooperazione che permettano loro
di sopperire alla difficoltà di organizzarsi in proprio, sia sul piano della
comunicazione e dell’informazione ai cittadini, sia sul piano dell’organizzazione di una struttura atta a raccogliere e a trasmettere le istanze
dei cittadini al Difensore civico. Tra le possibilità indicate in tal senso
82
vi è quella della creazione di sportelli territoriali co-gestiti da più associazioni o la collaborazione da parte delle istituzioni comunali, per
esempio tramite la concessione di una stanza in cui svolgere l’attività.
La questione della presenza di un luogo riconoscibile e, quindi, di un
punto di riferimento chiaro e stabile per i cittadini è stata sottolineata
da molti intervistati. Le esperienze più avanzate sono, infatti, quelle in
cui l’attività di intermediazione con il Difensore civico si sono innestate in precedenti sportelli sul territorio, come gli sportelli di consulenza
legale o sociale, o in cui l’attività è ospitata in luoghi già frequentati e
riconosciuti dai cittadini come punti di riferimento (sedi istituzionali o
sedi di associazioni radicate nel territorio).
La costruzione di uno sportello in un luogo non già precedentemente
conosciuto, o presso un’associazione che, per la sua mission, non è
frequentata da un grande pubblico, implica un maggiore investimento nella comunicazione e nell’attivazione del rapporto con la cittadinanza che, abbiamo detto, è difficile da realizzare, soprattutto in assenza di risorse. Ancor più difficile è diventare un punto di riferimento
quando non si ha una sede stabile. Il risultato è che queste associazioni tendono, più di altre, a illustrare le funzioni del Difensore civico
e a proporsi di svolgere un’azione di mediazione nella presentazione
di istanze, limitatamente al gruppo di soci dell’associazione e, data
la specificità della mission associativa, tendono a concentrare l’attenzione sulle tematiche più direttamente legate alla loro attività, pur non
escludendo la possibilità di raccogliere e trasmettere istanze su temi
che esulano da questo campo specifico, relative quindi a problematiche riguardanti i servizi pubblici, casi di cattiva amministrazione, ecc.
Si tratta di associazioni la cui attivazione all’interno della rete per la difesa dei cittadini esprime un forte potenziale che non si è però al momento concretizzato o che si è limitato alla presentazione di istanza
collettive su temi strettamente attinenti alle attività dell’associazione,
la cui attivazione può essere favorita dalla condivisione delle esperienze realizzate da altre realtà.
4.
L’associazione come “filtro” tra cittadino e difesa civica
Molte delle associazioni aderenti alla rete territoriale di promozione
83
e tutela dei diritti (circa la metà tra le associazioni intervistate) hanno
interpretato, sul piano operativo, gli obiettivi della rete discostandosi
parzialmente dallo spirito con il quale era stata ideata. Hanno instaurato un rapporto stabile e strutturato con il Difensore civico fondandolo, tuttavia, su un’interlocuzione diretta più che sulla trasmissione
di istanze individuali. Non interpretano il loro ruolo nei termini di una
funzione di una funzione di mediazione tra cittadini e Difensore civico
affidando alle associazioni il ruolo di offrire informazioni ai cittadini
in merito alle attività del Difensore stesso, al tipo di problematiche
che possono trovare da questo risposte e alla funzione di accompagnamento delle istanze, che può vedere un ruolo più o meno diretto
dell’associazione al fianco del cittadino. Piuttosto, queste associazioni, soprattutto quando hanno costruito un rapporto di fiducia con
i cittadini e sono da questi viste come un punto di riferimento saldo,
tendono a “preservare” il credito acquisito e a porsi come interlocutori
di riferimento, che cercano di risolvere le problematiche o intervenendo direttamente con le competenze e gli strumenti a disposizione
dell’associazione o, quando necessario, tramite l’interlocuzione diretta con amministrazioni pubbliche e fornitori di servizi. Il coinvolgimento del Difensore civico avviene, in questo caso, prevalentemente su
iniziativa della stessa associazione, quando la raccolta di numerose
richieste di assistenza su questioni simili segnala la presenza di un
problema strutturale, e quindi di un interesse collettivo da tutelare.
Le associazioni pertanto, tendono a svolgere una funzione da filtro,
a raccogliere le problematiche individuali e, sulla base della conoscenza dei problemi, a loro volta ad interloquire con il Difensore per
sollevare questioni di diritto collettivo. La relazione tra cittadini, associazioni e Difensore civico, per questa via, tende ad assumere la
forma di un rapporto che pone al centro le associazioni, più che una
triangolazione, poiché tende a non mettere in rapporto diretto cittadini e Difensore civico.
Lo sviluppo di questa dinamica può essere analizzato da diverse prospettive. Da una parte è spiegabile con la natura della mission e dei
destinatari dell’attività di advocacy svolta dalle associazioni: più la
mission è specifica e più i destinatari sono costituiti da categorie ben
84
definite, più l’associazione tende ad agire in prima persona in rappresentanza di interessi diffusi. In altri casi si osserva una dinamica
che vede le associazioni “preservare” e difendere il proprio ruolo di
riferimento principale dei cittadini: per questo preferiscono attribuirsi
una funzione di filtro e di attivazione diretta che di intermediazione
temendo – sulla scorta delle interviste – che diversamente verrebbe
svilito il ruolo dell’associazione. Come vedremo, tale preoccupazione emerge soprattutto nel caso delle associazioni la cui principale
dimensione di intervento è la tutela e promozione dei diritti ma molto
meno fra le associazioni attive in altri settori, che percepiscono nella
funzione di intermediazione con il Difensore civico un completamento
e un reciproco arricchimento piuttosto che una possibile minaccia.
In generale, la tendenza a presentare istanze collettive comporta
indubbi elementi di positività se integra e rafforza, senza sostituire,
l’azione di intermediazione finalizzata all’invio di istanze singole, ma
rischia di avere dei limiti se si pone in alternativa all’attività di trasmissione delle istanze individuali.
È, tuttavia, da sottolineare un elemento importante: molte delle istanze
collettive sono state presentante dalle associazioni immediatamente
a seguito della sottoscrizione del protocollo tra Cesvot e Difensore civico regionale e l’adesione al Progetto “Per i diritti del cittadini”. L’idea
di coinvolgere il Difensore civico su istanze collettive è maturata in
occasione degli incontri territoriali organizzati dalle delegazioni provinciali di Cesvot per favorire l’incontro e il dialogo tra associazioni e
Difensore civico regionale: ciò ha avviato l’attivazione di un rapporto
di collaborazione e di conoscenza reciproca. Per molte associazioni
la via dell’istanza collettiva è dunque seguita in una prima fase, in
cui, a fronte dell’organizzazione del servizio di mediazione e in attesa delle presentazione delle prime istanze da parte dei cittadini,
si è pensato di coinvolgere il Difensore civico su quelle che, per l’esperienza dei volontari, sono problematiche urgenti, che coinvolgono
molti cittadini, e che, alla luce delle esperienze precedenti, non si è
stati in grado di risolvere in maniera definitiva agendo caso per caso
o tramite forme di interlocuzione diretta o di pressione esterna sugli
interlocutori istituzionali. In una prospettiva di breve e medio periodo,
85
queste associazioni si propongono di implementare la trasmissione
delle istanze dei cittadini, pur mantenendo un’interlocuzione diretta
con il Difensore civico, e quindi prevedendo per il futuro la possibilità
di inviare ulteriori istanze collettive come associazione.
Tra le istanze collettive presentate dalle associazioni a seguito dell’incontro con il Difensore civico si segnalano quella realizzata da Auser
Pistoia in merito alle liste di attesa e quella presentata da Alice sulla
questione della riduzione dei posti letto in riabilitazione neurologica.
Nel caso dell’associazione Victoria Regia, invece, il Difensore civico
regionale è stato coinvolto come interlocutore istituzionale nell’ambito
di un progetto finalizzato a promuovere l’istituzione di una consulta
dei diritti umani in Toscana.
Il ricorso a istanze collettive è una modalità particolarmente utilizzata
dalle associazioni che operano su questioni specialistiche (per esempio a tutela di fasce particolarmente deboli). È il caso, in particolare,
di categorie come i rifugiati e i detenuti, per cui sono state presentante
istanze collettive rispettivamente da Medu e da l’Altro diritto. Si tratta
di associazioni che, avendo come destinatari persone che per la loro
condizione sono poste in una condizione di particolare debolezza,
non solo sul piano dei diritti, sviluppano una modalità di intervento
radicalmente diversa rispetto a quella delle associazioni di tutela dei
consumatori. Queste ultime attivano sportelli o punti di ascolto dove
i cittadini possono rivolgersi per presentare le proprie problematiche
e si rivolgono a tutti e in particolare a coloro che hanno meno risorse
per gestire in forma autonoma un’azione di tutela a livello giurisdizionale o la presentazione di un’istanza al Difensore civico, offrendo loro
sostegno e accompagnamento. Ma il presupposto è che siano i cittadini, che si cerca di informare debitamente, a rivolgersi agli sportelli.
Le categorie cui si rivolgono associazioni come Medu e l’Altro Diritto
comprendono, invece individui senza fissa dimora, rifugiati, detenuti,
persone che, dunque, non sanno a chi rivolgersi o non hanno una
conoscenza dei propri diritti tale da spingerli a reclamarli. Il rapporto
tra associazione e destinatari in questo caso si ribalta: non sono i
destinatari che si rivolgono alle associazioni ma le associazioni che
cercano le situazioni di disagio, entrano nei luoghi dove le persone
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vivono, cercano di ottenere la fiducia e di essere visti come punti di
riferimento, al fine di fare emergere, e quindi affrontare, le problematiche, grazie alle professionalità e alle competenze disponibili nell’associazione. Ciò attribuisce all’associazione stessa un ruolo diretto di
attivazione e di mobilitazione, più che di intermediazione.
Andiamo a cercare le situazioni di esclusione per fare da ponte
e ricondurle all’utilizzo del servizio pubblico. Nello specifico, nel
progetto Camper dei diritti quello che facciamo è informare le
persone che incontriamo, stabilire un rapporto di fiducia, con un
avvicinamento a livello umano che è il minimo per potere iniziare
un lavoro, ci vuole un ingresso anche fisico in contesti che sono
caratterizzati da particolari criticità. Informiamo sui diritti che le
persone hanno effettivamente, offriamo una prima assistenza
sanitaria e medica, che è per noi un ottimo modo per agganciarci ed entrare in certe situazioni. Poi informiamo sui diritti e
orientiamo all’uso dei servizi, nei casi più critici accompagnando le persone fisicamente, garantendo in primo luogo la tessera
sanitaria, anche per i cittadini irregolari, per poi orientarli all’uso
del servizio pubblico. Usciamo un paio di volte a settimana a
Firenze in contesti vari, cercando di fare un monitoraggio delle
situazioni problematiche (Medu).
Non sono i detenuti che vengono nel nostro ufficio ovviamente
ma noi che andiamo dai detenuti, con un gruppo di volontari in
ogni istituto, gruppi con due o tre coordinatori e dai 15 ai 40 volontari. I volontari settimanalmente vanno negli istituti e parlano
con i detenuti che ne fanno richiesta, se vogliamo comunicare
a tutti i detenuti ci avvaliamo invece dei detenuti scrivani, che
hanno questa funzione. Ma ciò che funziona negli istituti è “Radiocarcere”, si diffonde una cosa e dopo un giorno lo sanno
tutti. Con i volontari facciamo riunioni settimanali per discutere
del diversi casi. È importante un lavoro di coordinamento e supervisione, e decidiamo qual è la strada migliore per risolvere
i diversi casi (…). La modalità è quella del rapporto tra noi e
il Difensore civico; il detenuto ha grossi problemi a rapportarsi
con qualsiasi organo di garanzia e di mediazione per cui noi non
solo raccogliamo le problematiche, ma siamo noi in prima persona a rappresentarle all’organo di competenza (L’Altro Diritto).
L’istanza presentata da Medu ha come oggetto la normativa che stabilisce l’esenzione dal ticket per i disoccupati e non per gli inoccupati, categoria in cui rientrano i rifugiati che, per legge, non possono
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lavorare nei mesi in cui attendono il responso in merito alla richiesta
d’asilo. Si tratta di una elemento che, oltre i rifugiati, riguarda in realtà
milioni di italiani, come tutti coloro che non lavorano a seguito di contratti a termine o chi non risulta disoccupato perché non è iscritto alla
lista di disoccupazione e ha rinunciato quindi a cercare lavoro.
Nel caso dell’associazione l’Altro Diritto l’istanza, il cui percorso è stato rallentato dal fatto che nel caso dei detenuti la competenza è del
Garante dei detenuti e non del Difensore civico, ha invece riguardato
l’ottenimento dell’invalidità civile. Come sottolineano i rappresentanti
delle associazioni che lavorano con questo tipo di destinatari, lo stato
di disagio e di debolezza dei destinatari si riflette in una difficoltà,
o impossibilità, a intraprendere forme di tutela diretta, come la presentazione di una istanza al Difensore e la via dell’istanza collettiva
risulta spesso l’unica praticabile per cercare di ottenere un intervento
efficace su questioni di interesse diffuso.
Il coinvolgimento da parte delle associazioni del Difensore, su temi
di rilevanza generale, non di meno, può favorire una stretta collaborazione tra le stesse, implicando la condivisione dei passaggi e una
vera e propria forma di azione comune. Come dichiara il Difensore
civico,
A noi non interessa tanto che le istanze siano collettive o individuali, quello che noi ci aspettiamo dalla rete è che le istanze
arrivino, e quindi che ci sia un aumento nel numero di istanze
presentate a seguito del progetto (Difensore civico).
È lo stesso Difensore civico a sottolineare, tuttavia, il vero limite che
caratterizza l’approccio che attribuisce alle associazioni il ruolo di filtro e non di intermediario tra cittadini e difesa civica. Si tratta dell’inibizione di un percorso che vede le associazioni di volontariato proporsi
come terminali territoriali per la promozione e la tutela dei diritti, in
ogni sua declinazione. L’idea della rete territoriale di promozione e
tutela dei diritti, infatti, è concepita come uno strumento che offre al
cittadino un canale di accesso alla difesa civica e, soprattutto, la possibilità di essere informato, indirizzato, sostenuto e accompagnato
nella formulazione di una istanza. Alla base del progetto, vi è infatti
l’idea che le associazioni, ai di là del loro settore di intervento, del tipo
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di attività svolta e dei destinatari, possano sviluppare una competenza generica sulle problematiche di cui si occupa il Difensore civico,
di quali siano le sue modalità di intervento, di come si trasmettono
le istanze e come queste possano essere seguite da parte di chi
le formula. Ciò significa che ogni associazione aderente alla rete ha
gli strumenti conoscitivi e organizzativi per raccogliere e trasmettere
istanze che spaziano dalle perdite occulte dell’acqua alla mancata
pubblicizzazione di un atto pubblico, dai problemi seguiti al cambio di
gestore di un servizio alla segnalazione di una problematica di natura
ambientale ma non è tenuta, ovviamente, ad avere conoscenze approfondite sull’oggetto dell’istanza. Non è l’associazione che risolve
la problematica con il Difensore civico: l’associazione accompagna il
cittadino e, se questo lo ritiene, può seguire con lui l’esito dell’istanza,
informandosi sugli esiti e sul suo avanzamento.
Privilegiare una funzione di filtro significa, da parte delle associazioni,
concentrare le istanze su questioni strettamente attinenti alla mission
dell’associazione, e che la vedono quindi svolgere un ruolo attivo in
tutto il percorso ma esclude, di fatto, che la stessa possa trasmettere
istanze su questioni non direttamente attinenti alle attività dell’associazione. La scelta di privilegiare la trasmissione di istanze collettive,
in definitiva, attenua il carattere innovativo del progetto “Per i diritti
dei cittadini;” ciò almeno in relazione all’obiettivo di aprire l’attività di
mediazione (diretta o indiretta) alla promozione e tutela dei diritti in
quanto tale.
Nel caso di Legambiente, che ha sottoscritto con il Difensore civico
uno specifico protocollo per realizzare un’attività di mediazione e di
trasmissione delle istanze in materia ambientale, si è esplicitamente
privilegiato un approccio che attribuisce all’associazione, e ai suoi
circoli territoriali, una funzione di filtro, limitata ai temi che rientrano
negli ambiti di competenza dell’associazione, sui quali perciò questa
è in grado di supportare e indirizzare i cittadini, non limitandosi ad un
mero ruolo di trasmettitore.
Perché abbiamo fatto l’accordo con il Difensore civico? Ci sono
situazioni che si prestano alla conciliazione, situazioni in cui ricevere da parte degli interlocutori una lettera con il logo di Legambiente garantisce maggiori possibilità di essere ascoltati
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che ricevere un’istanza da un gruppo di cittadini. Né un facilitatore scientifico né un avvocato può avere la stessa capacità di interpretare i bisogni e di esprimerli (…). Noi svolgiamo
una funzione fondamentale di tramite tra l’istanza legittima del
territorio e l’istituzione preposta ad occuparsene (Legambiente
Toscana).
Non è quindi la preferenza per la trasmissione di istanze collettive in
sé che rappresenta un limite. Questo si palesa quando, a seguito di
tale impostazione, la rete si limita, sostanzialmente, ad assumere la
funzione di facilitatore per la cooperazione tra il Difensore civico e
le associazioni che si occupano delle diverse problematiche, senza
operare per un coinvolgimento dei cittadini.
Un simile approccio alla rete territoriale per la promozione e tutela dei
diritti non favorisce il bilanciamento della frammentazione e della specializzazione che sempre più caratterizza il nuovo volontariato (e che,
come abbiamo sottolineato, non costituisce di per sé un limite ma una
condizione necessaria affinché l’azione del volontariato sia efficiente
e capace di offrire risposte alle esigenze plurali di una società complessa) tramite lo sviluppo di una forma di azione trasversale. Una
piena affermazione della tutela e promozione dei diritti come attività
trasversale dell’associazionismo si ha, al contrario, se l’adesione delle associazioni alle rete territoriale si traduce nella possibilità per i cittadini, e in particolare per i cittadini meno dotati di risorse, di trovare
nelle associazioni presenti sul territorio un interfaccia che li assista e li
sostenga nella presentazione di istanze relative a tutte le situazioni di
violazione dei diritti; così che i cittadini possano trovare nelle associazioni uno strumento di supporto che non si esaurisca sul solo ambito
di intervento diretto delle stesse. Con le parole del Difensore civico:
L’importante è che i cittadini, anche se continuano a ricevere
una tutela diretta da parte delle associazioni, possano essere
informati dell’esistenza del Difensore civico e delle sue funzioni.
Perché se lo stesso soggetto che ha avuto problematiche relative al percorso assistenziale per l’ictus ha un problema relativo
al pagamento del bollo auto sa che può rivolgersi al Difensore civico e che l’associazione può assisterlo. Il problema è che
questo non sta accadendo. Il primo limite è che le associazioni
tendono, a parte pochi esempi, a non presentarci casi singoli
90
sulla propria specificità e a mandarci istanze collettive, magari
a supporto di loro proposte di intervento di modifica legislativa.
Il che può andare bene ma è limitativo. Ma soprattutto, quelle
associazioni specifiche non informano il cittadino che possono
rivolgersi a noi anche per problemi relativi, per esempio, al bollo, perché non sono aumentate le istanze presentate (Difensore
civico).
A ben vedere non sorprende che siano soprattutto le associazioni
non precedentemente attive nella funzione di advocacy, e fra queste
quelle con una mission meno specialistica, a mostrarsi più predisposte ad organizzarsi per raccogliere e trasmettere istanze individuali.
Si tratta di associazioni che, aderendo alla rete, si trovano a muoversi
su un terreno “inesplorato” che permette loro di aprirsi a un settore di
intervento di cui avvertivano la necessità, per completare la propria
attività sul territorio e rispondere alle problematiche dei cittadini a 360
gradi, ma che non ritenevano di avere strumenti per sviluppare questa attività in forma autonoma,
Proprio queste associazioni sembrano maggiormente capaci di cogliere il carattere innovativo del progetto e a interpretarlo al tempo
stesso nella maniera più estesa.
5.
Il modello dello sportello territoriale di difesa civica
Lo strumento che realizza in forma piena lo spirito del progetto “Per
i diritti dei cittadini” è l’apertura di uno sportello sul territorio o l’inserimento della mediazione con il Difensore civico regionale in uno
sportello preesistente. Tra le associazioni intervistate circa la metà ha
un proprio sportello o centro di ascolto o ne sta organizzando uno. Si
tratta, soprattutto per la prima opzione, di una scelta che si verifica
quando un forte investimento da parte delle associazioni si coniuga
con l’adeguata disponibilità di risorse: la presenza di uno o più volontari che dispongano, o si formino, le necessarie competenze e propongano un impegno in forma continuativa, ma anche la disponibilità
di una sede in cui svolgere le attività.
Questi fattori, di ordine pratico e logistico, si intrecciano poi a una
serie di altre variabili nel favorire l’attivazione effettiva dei cittadini. In
primo luogo, incidono la capacità di realizzare un’efficace campagna
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di informazione e di sensibilizzazione e la disponibilità alla collaborazione delle amministrazioni comunali e di altri soggetti della società
civile. In secondo luogo, incide la centralità, spaziale, ma soprattutto
sociale, del luogo prescelto per l’apertura dello sportello, che può
essere una sede di un’associazione che gode di un ampio riconoscimento e che è già frequentata dai cittadini, ma può anche essere
una sede pubblica, messa a disposizione del Comune. A incidere
sulla capacità di attrarre i cittadini influisce anche la propensione dei
cittadini stessi a rivolgersi alle associazioni, che varia sensibilmente
da territorio e territorio, pur in una realtà, come quella toscana, in cui
la densità associativa è mediamente alta. Infine, non secondario è
l’effetto delle precedenti esperienze di rapporti con il Difensore civico
comunale. In alcune realtà, in cui i cittadini erano abituati a interagire
con questa figura, la sua abolizione ha lasciato un vuoto che la rete
territoriale colma. In questo caso la prima finalità che ci si pone con
l‘apertura di uno sportello è la riattivazione di una rete di relazioni
consolidata, che in altri casi non esiste. Quando non si può contare
su una simile risorsa di fiducia, e in generale su una sufficiente conoscenza della figura del Difensore civico, e magari l’associazione che
promuove e gestisce lo sportello non dispone di un forte radicamento
sul territorio, è necessario integrare l’apertura di uno sportello con
un’azione, sul piano dell’informazione e della sensibilizzazione, orientata alla costruzione dei presupposti affinché questo possa effettivamente diventare un riferimento.
L’apertura di uno sportello, inteso come punto di riferimento fisico e
tangibile, può sembrare un aspetto non fondamentale. Questa conclusione non tiene tuttavia conto della molteplicità di barriere, di natura prevalentemente informale, che limitano l’iniziativa dei cittadini con
meno risorse. Il Difensore civico può essere contattato tramite mail,
posta certificata, telefono, fax, o tramite un incontro diretto, previo
appuntamento. La possibilità di telefonare e di parlare con un responsabile dell’ufficio del Difensore rende possibile segnalare le problematiche anche a cittadini che hanno difficoltà a utilizzare il web o a
compilare un modulo, offrendo loro la possibilità di esprimersi oralmente, permettendo all’interlocutore di comprendere la problemati-
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ca e come risolverla. Ciò non di meno, sono in molti a percepire un
senso di distanza, che inibisce il contatto, e che può trovare risposta
nell’individuazione di un punto di riferimento tangibile, sul territorio,
possibilmente posto in un luogo di incontro, frequentato dai cittadini
in relazione ad altre attività e ad altri servizi, e che trovandovi la presenza di volontari che prestano opera di mediazione con il Difensore
civico, possono essere invogliati a richiedere informazioni e a segnalare le proprie problematiche.
Il principio che emerge in maniera chiara dalla ricerca sul campo
è, insomma, che la più grande barriera che separa i cittadini dagli
strumenti di tutela dei diritti, in questo caso dal Difensore civico, è di
tipo culturale, e si tratta di una barriera che, per definizione, colpisce
le persone socialmente marginali: gli immigrati, gli anziani, le persone che vivono condizioni di disagio. Se per chi possiede le risorse
per relazionarsi autonomamente con il Difensore civico la presenza
di una rete territoriale può fornire un sostegno, per meglio indirizzare
le istanze e valutare quando siano possibili o preferibili altre forme
di azione, per i cittadini meno centrali ogni forma di mediazione che
si limita ad aprire un ulteriore canale, ma che non prevede percorsi
di concreto “avvicinamento”, rischia di non avere un grande valore
aggiunto.
Noi crediamo nell’importanza di avere un punto di ascolto, nell’avere un luogo dove la gente possa andare a parlare. Magari all’inizio vanno più facilmente le fasce marginali della popolazione,
e non sarebbe un risultato da poco, e piano piano magari si intensificano i contatti. Quindi crediamo nell’individuazione fisica
di un punto di ascolto, secondo noi è la cosa più importante per
fare funzionare qualsiasi meccanismo di raccolta e conoscenza,
e altrettanto fondamentale è l’informazione (Circolo Legambiente Gallo Verde).
Da questo punto di vista, l’attività di mediazione con la difesa civica
si rivela più efficace quando integrata in uno sportello preesistente o
quando, per implementarla, si apre un apposito sportello, in questo
caso scontando un periodo iniziale più o meno lungo di sedimentazione, in cui l’attività operativa di trasmissione delle istanze è preceduta da una fase di avvicinamento dei cittadini.
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Tra le esperienze in cui l’azione di mediazione con il Difensore civico
è stata inserita in uno sportello preesistente di assistenza legale e sociale, e in un contesto di consolidate relazioni di collaborazione con
il Difensore civico, vi è quella del Progetto Arcobaleno, il cui rapporto
con il Difensore prevede sia la trasmissione di istanze collettive, sia
l’indirizzamento dei cittadini verso l’istituto, ai fini della tutela dei propri diritti, quando si ritiene che l’intervento del Difensore possa essere
risolutivo.
Con il Difensore civico regionale abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto, e anni fa avevamo un rapporto di collaborazione
organica, con altre associazioni gestivamo uno sportello interno
presso il Difensore civico per quanto riguarda gli immigrati. C’è
una collaborazione di vecchia data quindi, che parte dal Difensore che c’era ancora prima di Morales, nel 1998. C’è quindi
un’ampia conoscenza dello strumento da parte dell’associazione. Noi a volte ci rivolgiamo al Difensore civico quando la problematica riguarda una Pal, perché noi sappiamo che l’intervento del Difensore, se non risolutivo, può essere significativo. Per
esempio in materia di sanità, se c’è la negazione dell’accesso a
una struttura o ad una prestazione sanitaria, il Difensore civico,
in quanto organo regionale, ha una certa autorità nell’intervenire, ce l’ha poi rispetto a tutte le Pal. É chiaro che se un privato
non paga una retribuzione il Difensore civico non può fare molto.
Spesso siamo noi che invitiamo a rivolgersi al Difensore civico,
presentando un’istanza se riteniamo che il suo intervento possa
essere risolutivo. Se scrive l’associazione Progetto Arcobaleno
all’Asl, invitando a garantire l’accesso a una prestazione, non ci
sarà un grande effetto, se scrive il Difensore civico l’effetto sarà
diverso. Non dico che sia sempre risolutivo, ma ha il potere di
avere accesso agli atti, e può avere effetti. Lo stesso vale per
quanto riguarda le Pal, per esempio quando il Difensore civico è
intervenuto in materia di attribuzione della cittadinanza, e vedo
che gli uffici del Difensore civico sono discretamente attivi in tal
senso (Progetto Arcobaleno).
La strada dell’integrazione della funzione di intermediazione tra la
difesa civica regionale con la preesistente attività di assistenza e
consulenza è stata scelta anche da alcune associazioni che, per la
propria mission, si rivolgono a individui e famiglie interessati da problematiche più specifiche. È il caso di associazioni come Alice, che
si occupa di pazienti colpiti da ictus, e come Cui-Ragazzi del sole,
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attiva nell’ambito della disabilità, con particolare riferimento alla disabilità intellettiva.
La prima associazione ha da anni attivato un centro di ascolto cui
si possono rivolgere le famiglie per ottenere informazioni e supporto
in relazione ad una pluralità di problematiche che possono vivere le
famiglie che affrontano il percorso riabilitativo a seguito dell’ictus: sul
piano sanitario, in primo luogo, ma anche psicologico e legale.
L’adesione alla rete territoriale di promozione e tutela dei diritti promossa da Cesvot ha rappresentato, per i responsabili dell’associazione, l’occasione per favorire l’avvicinamento a una figura, il Difensore civico, con cui l’associazione non aveva avuto in precedenza
rapporti, e che si è ritenuto potesse essere un punto di riferimento
per la risoluzione di una serie di problematiche che si trovano a dovere affrontare i pazienti che si rivolgono all’associazione. A seguito
dell’adesione alla rete, Alice ha sottoposto due istanze al Difensore:
una relativa a una problematica di interesse collettivo e una relativa a
un caso individuale, ma posto in stretta connessione con l’interesse
collettivo, in quanto riguardante una problematica comune affrontata
dai pazienti.
Il ricorso al Difensore civico lo abbiamo utilizzato in due circostanze emergenziali, la prima perché c’è stata la chiusura di un
certo numero di posti letto in riabilitazione all’ospedale di Montedomini senza nessun opzione alternativa, e allora si è trattato di
difendere un diritto alla riabilitazione che veniva meno, da 30-40
posti letto in una struttura fortemente specializzata a zero. Un’altra ha riguardato un problema di malasanità, ovvero di ritardi
nella gestione di un paziente in riabilitazione. Uno è un caso di
interesse diffuso e l’altro è un singolo caso, di cui noi abbiamo
contezza in maniera evidente di essere rappresentativo di molti
altri che sono sconosciuti. Noi non possiamo intervenire se non
ci viene chiesto, in questo caso abbiamo avuto l’occasione e
l’abbiamo fatto, ma interessa anche gli altri casi che non sporgono istanza. La cosa è andata a buon fine, la signora si è rivolta a noi e noi abbiamo chiesto a lei di fare istanza al Difensore
civico e lei l’ha fatto volentieri. Noi l’abbiamo accompagnata, ci
abbiamo messo la faccia e l’abbiamo presentata oltre che come
singolo come associazione. Abbiamo ottenuto che nel nuovo
centro di riabilitazione ci sia un numero, seppur più limitato di
letti in riabilitazione neurologica, è stato però un guadagno netto
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rispetto alla perdita secca che c’era stata, credo che il Difensore civico abbia avuto una funzione importante. Anche il caso
singolo è stato risolto, e si è ottenuto di fare il percorso di riabilitazione nei tempi in cui aveva senso e significato clinico farla, e
non dopo un mese (Alice).
Lo stesso presidente dell’associazione rileva che in molti casi le persone non sono informate dei diritti che hanno e dei percorsi che devono
essere loro garantiti, trattandosi di persone che vivono un’emergenza
di cui non hanno alcuna previa esperienza. In altri casi i pazienti e
le famiglie si rivolgono al centro di ascolto dell’associazione, da cui
ottengono informazioni e suggerimenti su come presentare eventuali
istanze al Difensore civico, ma di fronte a questa possibilità spesso si
manifesta uno scarso interesse e la segnalazione della problematica
non si concretizza nella trasmissione di una istanza.
Molte persone hanno questi problemi ma spesso non vogliono
seguire l’iter dell’istanza con il Difensore civico. Arrivano molte
lamentele e segnalazioni di problematiche e quando noi diciamo di rivolgersi al Difensore civico la cosa finisce lì. Hanno la
sensazione che sia un altro organismo non fecondo di risultati
ma soltanto un adempimento che uno fa, non lo vedono come
un organismo risolutivo, considerando che le persone in questo
ambito vivono una situazione emergenziale, e su quello vanno
le priorità, intervenire dopo è già una forma di depotenziamento. Il caso singolo rimane fine a se stesso, se non è rafforzato
dalla presentazione di altre singole istanze, allora potrebbero
più facilmente prodursi dei cambiamenti a livello sistemico. Se
tutte le persone volessero seguire questo percorso con il nostro
appoggio andrebbe diversamente, ma purtroppo spesso non lo
vogliono fare, noi diamo il sostegno e invitiamo a muoversi, ma
se il cittadino non vuole, non si può fare niente, sono loro i primi
a doversi mobilitare. Noi non istruiamo la pratica, la promuoviamo e l’accompagniamo, ma l’associazione non può farsi carico
di presentare una istanza autonomamente (Alice).
Si tratta di un ostacolo che è stato riscontrato anche da parte di altre
associazioni, che vedono spesso la loro azione di mediazione scontrarsi con una diffidenza da parte dei cittadini talvolta insuperabile.
Spero che come associazione riusciremo ben presto ad attivare
tutte le potenzialità insite nella rete di tutela dei diritti: sono a co-
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noscenza di alcuni “casi” in cui l’intervento del Difensore civico
risulterebbe ottimale e potrebbe, a mio avviso, portare buoni
risultati. Questa speranza non può, però, sostituirsi all’autonoma attivazione da parte del cittadino: l’associazione, dal canto
suo, porta avanti, com’è giusto che sia, un’azione di counseling,
facendo conoscere le risorse insite nella rete e più in generale
nello Sportello di cittadinanza sociale ed agevolandone l’utilizzo, ma non potrà e non dovrà mai prendere il posto dello stesso
cittadino. Molto probabilmente è l’approccio comunitario alla
difesa civica ad essere sbagliato: con frequenza, nel momento
in cui si consiglia di farvi ricorso, l’utente avanza la pretesa di risultati certi di “vittoria”: un approccio sbagliato, poco costruttivo
(Ambiente Pulito Marginone).
Cui-Ragazzi del Sole ha deciso di integrare la funzione di intermediazione nel suo sportello giuridico-legale, dove un volontario offre consulenza in merito ad un pluralità di tematiche relative alla disabilità,
dalle facilitazioni che la legge prevede, al pensionamento, all’indennità di accompagnamento e in cui le famiglie possono riportare le problematiche incontrate nei rapporti con le strutture sanitarie o con le
amministrazioni, offrendo, se necessario, anche una consulenza più
approfondita con un legale, per valutare ed eventualmente procedere
con forme di tutela giurisdizionale.
Abbiamo deciso di aderire alla rete Cesvot perché pensiamo
che molte problematiche possano essere risolvibili tramite il Difensore civico. Molti dei nostri utenti hanno problemi per avere
servizi o perché i servizi non sono fatti bene. Noi non abbiamo
la possibilità di reclamare, ma lo possiamo fare rivolgendoci al
Difensore civico, per cui grazie a Cesvot possiamo aiutare le
persone che hanno una persona con handicap in casa. Ci rivolgiamo a tutti, ai soci, ma anche a tutte le persone che hanno delle problematiche e vengono a conoscenza del servizio.
Siamo aperti anche all’esterno ma è chiaro che in prevalenza
i destinatari sono i soci. Noi abbiamo abbastanza circoscritto
l’interazione al tema della disabilità perché ci vede più preparati
ma siamo aperti a tutti, se ci chiedono aiuto su altre questioni
siamo meno formati, ci stiamo formando, ma non escludiamo
che si possano trasmette istanze su ogni problematica (CuiRagazzi del sole).
La prima istanza presentata tramite l’associazione riguarda una pro-
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blematica relativa a un disservizio riscontrato in ospedale da parte di
una madre di un disabile che riteneva di non avere ricevuto un trattamento adeguato: questa voleva verificare se per legge aveva diritto a
un servizio più appropriato e a tal fine, d’accordo con il responsabile
dello sportello, ha deciso di presentare istanza al Difensore civico. In
questo caso, per motivi di riservatezza, la persona che ha presentato
istanza ha preferito farlo in forma individuale, e non con un accompagnamento da parte dell’associazione, per questo l’associazione,
dopo avere indirizzato e istruito la pratica, non ha avuto notizia sull’esito dell’istanza.
Il caso di associazioni come Alice e Cui-Ragazzi del sole evidenzia come la rete territoriale di tutela e promozione dei diritti possa
generare processi virtuosi di più dimensioni. Può fornire ai cittadini
informazioni su uno strumento di tutela dei diritti in molti casi non ben
conosciuto, ma ancor prima sviluppare una funzione di informazione
in merito ai diritti su cui i cittadini con specifiche patologie dispongono, poiché spesso manca un’adeguata informazione, anche per
la difficoltà oggettiva ad orientarsi tra una molteplicità di norme e di
interpretazioni spesso discordanti. Capire se l’assenza di un servizio
è frutto dell’applicazione della legge o è da attribuire ad un mancato
rispetto della stessa, è molto spesso il primo passaggio da compiere,
per orientare un’eventuale azione di tutela o finalizzata a migliorare il
sistema. Il ruolo delle associazioni, sulla base delle proprie competenze, è fondamentale per potere fare da filtro, e per fornire ai cittadini
tutte le informazioni di cui hanno bisogno per decidere come tutelarsi
e per accompagnarli nel percorso eventualmente attivato. Allo stesso
tempo, il ruolo svolto dalle associazioni può facilitare l’azione del Difensore civico, non solo perché favorisce l’invio di istanze sulla base
di un primo filtro, ma anche perché l’associazione può fornire un supporto allo stesso Difensore civico nella fase di istruzione della pratica,
fornendo indicazioni e documenti utili per portare avanti l’istanza. Si
tratta di un elemento sottolineato da un’altra associazione che ha una
mission specifica, e che individua nella rete uno strumento capace di
promuovere una reciproca valorizzazione tra associazioni e difesa civica in un’ottica di reciproco supporto e di complementarietà. Si tratta
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di una visione che sottolinea il ruolo di filtro che possono svolgere le
associazioni ma l’azione di filtro non si concretizza nella propensione
a sottoporre istanze collettive, da parte dell’associazione, a scapito
della trasmissione di istanze individuali da parte dei singoli cittadini;
si esplica piuttosto proprio in una funzione di intermediazione che
può limitarsi da parte dell’associazione, a seconda delle problematiche e degli ambiti, nonché della volontà dei cittadini coinvolti, alla
funzione di informazione, di supporto alla trasmissione dell’istanza, o
di accompagnamento della stessa.
Sicuramente in una realtà associativa c’è una maggiore sensibilità e conoscenza delle esigenze vere dei cittadini e possono quindi fare da filtro perché al Difensore arrivino istanze già
selezionate e filtrate e messe in ordine con un obiettivo chiaro,
stabilire se una istanza è da presentare o meno. L’associazione
raccoglie le necessità e le esigenze, ne parla con il Difensore
civico e fa passare questa istanza agli interlocutori per vedere
come si possono risolvere le cose. Si dà un impegno minimo alle
associazioni e si fa in modo che al Difensore civico non arrivino
istanze generiche, non filtrate, ma circostanziate e documentate. Il Difensore civico su una serie di temi può non avere una immediata conoscenza, per esempio di tutte le tipologie di patologie e l’associazione può offrirle al Difensore civico perché possa
intervenire in maniera più efficace e rapida, e allora il rapporto
non è unilaterale ma sono anche le associazioni che possono
conferire un valore aggiunto (Gioco Parlo Leggo Scrivo).
In alcuni casi si è scelto di perseguire la strada dell’apertura di uno
sportello ex-novo, dedicato all’intermediazione con la difesa civica,
differenziando tale sportello da altri sportelli preesistenti eventualmente esistenti. In altri casi ancora, la mediazione con il Difensore
civico si inserisce come parte costitutiva nell’apertura di nuovi sportelli, concepiti in forma multisettoriale. Tale scelta è di norma praticata
dalle associazioni la cui mission è meno specifica e, seppur relativa
a diversi settori di intervento principali (ambientale o sociale), ha un
taglio meno specialistico, rivolgendosi quindi, a una platea più ampia
di destinatati.
Tra le associazioni che hanno seguito la via dell’apertura di uno sportello sul territorio, perseguendo una strategia proattiva di avvicinamento dei cittadini, quella realizzata dall’Associazione Il Giardino, di
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Figline Valdarno, può essere presa ad esempio di Promising Practice,
da condividere e riportare in altri contesti, come suggerito da chi ha
vissuto in prima persona l’esperienza, da chi ha avuto modo di conoscerla e ha cercato di riapplicarla, e anche da parte dell’ufficio del
Difensore civico.
Abbiamo pensato di organizzarci così, attraverso lo Sportello
per ovviare al limite del protocollo Cesvot che, a nostro parere,
non promuove strumenti concreti come appunto gli Sportelli. Per
questo, lo stesso Difensore civico ci diceva che un'esperienza
come quella del Giardino andrebbe esportata, come progetto
pilota. Noi consideriamo l’aiuto come un qualcosa di concreto,
di tangibile, avendo fatto l’esperienza di altri Sportelli. Se le associazioni che aderiscono alla Rete per i Diritti, in funzione del
Difensore civico, non si danno un corpo, una presenza sul territorio concreta e visibile, finisce che la gente continua ignorare
l’esistenza di questo servizio. Noi siamo andati sia oltre l’idea
del limite territoriale del Comune, sia oltre l’idea del protocollo,
mettendo in piedi lo Sportello che, da quando ha aperto, ha
visto venire tante persone che ormai non trovavano più il Difensore civico comunale nel territorio. Deve esserci uno sportello
aperto sul territorio, perché fare spostare le persone, magari fino
a Firenze, è comunque un ostacolo e un freno al ricorso al Difensore civico. L’ex Difensore civico comunale, Gasparrini, che
assicurava la presenza a Figline, Incisa, Rignano e Reggello, ci
ha detto che in questa area aveva raggiunto un notevole numero
di istanze, circa 500 all’anno, quando lui dovette lasciare. Aveva
creato un rapporto importante con la cittadinanza, una base a
partire dalla quale ripartiamo con lo Sportello per ricostruire (Il
Giardino).
Il successo dell’esperienza figlinese, che ha portato alla fine del 2013
a raggiungere una diecina di istanze presentate tramite lo sportello,
si fonda su una serie di circostanze di contesto positive, oltre che
sull’investimento convinto dell’associazione nella funzione di intermediazione con il Difensore civico.
In primo luogo, un elemento di forza è dato dal fatto che Il Giardino è
una associazione di associazioni, nata per coinvolgere una pluralità
di associazioni attive nel territorio nella gestione di una struttura di
proprietà del comune, che ospita una serie di attività, di tipo sociale, culturale e ricreativo, rivolte in prevalenza ma non esclusivamente
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agli anziani. Il Giardino, in qualità di associazione di associazioni, ha
soci collettivi, ma anche soci individuali, assumendo così una forma
ibrida, che le conferisce una soggettività autonoma e non una semplice funzione di coordinamento, di federazione, o di associazione di
tipo funzionale.
La mission dell’associazione è fare rete con il volontariato sociale non solo figlinese ma in tutta l’area del Valdarno Fiorentino.
Con grande difficoltà stiamo portando avanti la revisione di una
mappatura di tutte le associazioni, per rilevare la loro struttura
organizzativa e i servizi che erogano e fornire così ai cittadini
la possibilità di rivolgersi all’associazione giusta, quando hanno
bisogno di un servizio. Insieme è nato qui dentro un gruppo di
volontari che ha aperto lo Sportello Rete di Solidarietà, perché
sulla base della prima mappatura, fatta sette anni fa, si metteva in contatto l’utente che aveva bisogno di un servizio con
l’associazione o con l’ente che poteva erogare quel servizio. È
un’idea che piano piano, nel tempo, è andata affievolendosi; ma
ora pensiamo di rilanciarla con la nuova indagine che stiamo facendo (…). Poi abbiamo aperto ad altre associazioni, per esempio ad Anelli Mancanti, che qui ha aperto uno sportello legale
d’aiuto agli immigrati, per il disbrigo di pratiche amministrative,
e che qui realizzano corsi di formazione, di italiano, doposcuola
per i bambini di elementari, medie e superiori. È una associazione di primaria importanza per noi, perché si occupa di una parte
importante della popolazione. Perseguire l’integrazione è fondamentale per il benessere della collettività, e in questo la condivisione di uno spazio fisico è un fattore decisivo. Qui nel Centro
sociale l’accesso è sempre libero, ci sono anziani che giocano
a carte, volontari che svolgono le più diverse attività e stranieri
che volentieri partecipano. Quindi l’integrazione è anche fisica,
il che non è una cosa da poco. Abbiamo anche un altro sportello
che gestiamo con le cooperative Cepiss ed Arca, ed è il Punto
Anziani, che nacque tanti anni fa. Loro garantiscono una presenza settimanale e aiutano le persone in difficoltà, soprattutto
gli anziani, a sbrigare pratiche d’ogni genere, se hanno ricevuto
una lettera che non capiscono, ecc. Da ultimo abbiamo istituito
questo Sportello per la Difesa civica, che è il primo sportello
nato in Toscana (Il Giardino).
Dalla ricostruzione dell’esperienza proposta dai rappresentanti
dall’associazione, si comprende come l’apertura dello sportello di
difesa civica avvenga a coronamento di un lavoro pregresso di co-
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ordinamento e di costruzione di reti e progetti comuni, che è difficile
riscontrare in altre realtà.
La disponibilità di un luogo molto frequentato dalla cittadinanza, per
una pluralità di scopi, ha permesso ai promotori di aprire lo sportello
di difesa civica in un luogo in cui anche chi non vi arriva sapendo
già dell’esistenza dello sportello, può facilmente entrarci in contatto,
e che facilita il passaparola tra i cittadini. Il fatto che a promuovere
l’iniziativa sia stata una associazione di associazioni, poi, ha favorito
un’ampia divulgazione dell’iniziativa, sui cui si è investito sia distribuendo opuscoli informativi, sia pubblicando informazioni tramite i
canali di informazione del comune e i mezzi di comunicazione presenti a livello locale. I comuni di Figline e di Incisa, nel frattempo impegnati nel percorso che porterà alla costruzione del Comune unico,
si sono fatti attivamente promotori del progetto, sostenendolo e contribuendo a pubblicizzarlo, collaborando attivamente con l’associazione e con la delegazione provinciale di Cesvot per la sensibilizzazione dei cittadini. Infine, ha inciso positivamente il buon radicamento
della figura del Difensore civico comunale nel territorio, prima della
sua abrogazione a seguito delle disposizioni contenute nella legge
finanziaria del 2010. Abituati a interagire con questa figura, i cittadini
di Figline, rispetto ad altri territori, hanno trovato naturale rivolgersi al
nuovo sportello, che offriva loro un servizio sul territorio compensativo
rispetto alla disattivazione del Difensore civico comunale.
In sintesi, a Figline si sono verificati tutti i presupposti che hanno reso
possibile non solo l’apertura di uno sportello, ma anche la sua rapida
operatività, al punto che, a meno di un anno dalla sua apertura, lo
sportello aveva già permesso la trasmissione di una diecina di istanze al Difensore civico.
Vi sono altre esperienze di sportello sul territorio. Alcune, come quelle
di Incisa e di Reggello, gestita da Auser, sono state realizzate come
gemmazione dell’esperienza di Figline, mentre altre sono state avviate in altri contesti. Si tratta di esperienze che i responsabili ritengono
molto promettenti, anche se non hanno, al momento in cui sono state
realizzate le interviste, e quindi nell’estate del 2013, condotto alla raccolta di un numero significativo di istanze. Ciò si spiega in primo luo-
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go con l’apertura relativamente recente dello sportello, e con i tempi
relativamente lunghi che intercorrono tra questo momento e la fase di
piena operatività nella trasmissione delle istanze. Le esperienze realizzate, ed in primis quella di Figline, mostrano che prima di giungere
alla formulazione di istanze da sottoporre al Difensore civico i cittadini iniziano a frequentare lo sportello, a informarsi, a comprendere
in cosa il Difensore civico può aiutarli a risolvere le problematiche e
come l’associazione può seguirli in questo percorso.
Stabilito un canale di dialogo, i cittadini tendono a portare all’attenzione dei volontari problematiche di ogni genere, che spesso non
rientrano tra le problematiche di pertinenza del Difensore civico, oppure presentano una dimensione legata alla tutela dei diritti, che si
intreccia però con una serie di altre dimensioni, conferendo alla situazione di disagio vissuta una natura pluridimensionale. Nei casi di
non pertinenza del Difensore civico, gli addetti allo sportello cercano
di indirizzare il cittadino verso l’interlocutore più adatto. I primi mesi
di attività dello sportello, dunque, anche se non conducono immediatamente alla trasmissione di istanze, costruiscono le basi affinché
questa funzione si possa attivare, oltre ad offrire, in sé, un servizio
prezioso per la cittadinanza.
Prima di arrivare allo specifico, c’è un po’ un’opera di padre
confessore. La persona che se ne occupa è abituata, sa ascoltare (Il Giardino).
I cittadini vengono a curiosare. Ne parlavamo con il Difensore
civico la settimana scorsa. Pensando all’esperienza di Figline,
arrivano all’istanza, facendo un rapido calcolo, dieci consulenze
fatte su trenta. Questi sono i dati ufficiali di Figline: trenta cittadini che si sono formalmente rivolti allo sportello e nove istanze presentate. Questo significa che gli altri sono stati ascoltati
e hanno ricevuto un consiglio ma sono comunque andati via
soddisfatti. Ciò è un risultato positivo, perché significa che si
può dare delle risposte anche senza passare necessariamente
da un’istanza formale del Difensore civico. Ci possono essere
casistiche diverse che prendono canali differenziati. Ma a Figline le domande erano quasi tutte attinenti, qui molto spesso la
domanda è a volte di natura fiscale o legale, oppure di carattere
informativo su quale servizio esistente nel Comune possa essere utile, e quindi di puro orientamento. I casi che si sono pre-
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sentati qui a Reggello, in particolare uno, erano casi a carattere
sociale. Spesso non si ha l’esatta dimensione del problema che
può essere di tipo personale o familiare e non si hanno problemi
particolari con un gestore di servizi. In altri casi non si sa se si
deve andare da un parente, da un’associazione di volontariato,
all’ospedale, non è chiaro il tipo di problema, si è perso il lavoro,
si hanno problemi di tipo fiscale, non si sa bene a chi rivolgersi,
si ha un malessere generale. Spesso di tratta di casi limite. E li
risolviamo come? (Anteas Valdarno Superiore).
Anche le altre associazioni che hanno sperimentato, in altri territori,
la strada dell’apertura di uno sportello, concordano nel rilevare che
l’attivazione dello sportello è seguita da un periodo di avvicinamento
dei cittadini, che lo utilizzano inizialmente per esporre problemi che
altrimenti non saprebbero a chi sottoporre, e che non sono in molti
casi direttamente legati alla segnalazione di un diritto violato o di un
caso di cattiva amministrazione, ma esprimono forme più complessive di disagio, che si riverbera su più dimensioni.
Per questo motivo alcune associazioni, è il caso di Ambiente Pulito
di Marginone, hanno scelto di integrare la mediazione con il Difensore civico in uno sportello che offre una pluralità di servizi, come
la consulenza psicologica e le mediazione familiare. La funzione di
mediazione con il Difensore civico risulta nella prima fase più difficile
da rendere operativa, ma ciò, come emerso in altre situazioni, è specchio di un divario da colmare tra la necessità di instaurare un canale
di fiducia e di svolgere un lavoro preparatorio con i cittadini, che si
presentano con problemi di disagio a tutto tondo, prima di arrivare a
produrre una eventuale istanza.
Lo Sportello di cittadinanza sociale attivato dall’associazione
è un servizio di supporto e di promozione comunitaria “a tutto
tondo” od olistico, se si preferisce, cosicché pubblicizzando lo
stesso attraverso varie forme di comunicazione, come il volantinaggio, l’informazione sui giornali od i social networks, facebook in particolare, si è dato maggiore risalto anche alla rete
di tutela dei diritti; si è cercato di ottenere il medesimo risultato
anche collocando intorno alla rete stessa una pluralità di professionisti: così facendo le persone percepiscono il servizio offerto
come più sicuro, affidabile e continuativo.
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Indubbiamente, allo stato le richieste di accesso riguardano nella maggior parte dei casi il supporto psicologico, ma è ugualmente possibile far conoscere la difesa civica nelle sue potenzialità: in qualità di responsabile e coordinatore dello Sportello,
infatti, nel momento in cui il cittadino prende contatto con il servizio porto avanti un pre-colloquio informativo durante il quale
illustro l’intero spettro di servizi offerto, tra cui anche la difesa
civica. Lo Sportello in sé, malgrado esista da meno di un anno,
ha avuto un numero significativo di accessi; al contrario, malgrado venga svolto in maniera continuativa e non in giorni specifici del mese come i restanti servizi, al servizio relativo alla rete
al momento non è pervenuta nemmeno una richiesta. Ci sono
stati dei “contatti” informativi a cui hanno fatto seguito dei “ci
penserò”. C’è da interrogarsi sul perché alla semplice richiesta
di informazioni non abbia fatto seguito la segnalazione: il più
delle volte si ha la sensazione che la mancanza di un potere
sanzionatorio da parte del Difensore civico venga percepita dal
cittadino come un difetto di partenza: il dar vita ad un procedimento che altro non è se non un’ulteriore lungaggine. A livello
comunitario, manca una cultura della mediazione, in generale, e
di quella istituzionale, in particolare, senza voler insistere sul fatto che il Difensore civico nell’immaginario collettivo è una figura
che sta all’interno delle istituzioni pubbliche e, quindi, in linea ed
in continuità con le stesse: “di parte”. Il senso e la misura della
difesa civica sono ancora troppo lontane dalle nostre comunità:
si avverte la necessità, preliminare, di lavorare su questo deficit,
di sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica: come associazione ci stiamo muovendo anche in questa direzione, ma
dobbiamo riconoscere i limiti che un’associazione può avere in
tal senso (Ambiente Pulito Marginone).
D’altra parte, il confronto tra le esperienze evidenzia come le caratteristiche di contesto siano determinanti nel modellare il rapporto con i
cittadini e richiedano in ogni territorio di adattarsi e di rispondere alle
necessità e ai bisogni specifici.
Si tratta di un elemento che è emerso anche al momento che Anteas Valdarno Superiore ha deciso di aprire uno sportello a Reggello, quale gemmazione dell’esperienza figlinese, in un territorio che
condivide molte caratteristiche con Figline, ma al tempo stesso assai
diverso, soprattutto in merito alla struttura del tessuto associativo. Il
responsabile del neonato sportello di Reggello, che aveva avuto in
precedenza occasione di collaborare alla gestione dello sportello di
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Figline, rileva che la risposta della popolazione a Reggello è stata
molto più bassa di quella riscontrata a Figline e attribuisce questa
differenza alla diversità di contesto.
Avendo fatto un’esperienza a Figline a luglio vedo la differenza.
A Figline c’è una consapevolezza maggiore e i cittadini si presentano allo sportello portando questioni di attinenza con le funzioni del Difensore civico. Problemi con il Comune per l’Ici o con
la Provincia per un passo carrabile. Sono già preparati perché
Figline è più una cittadina, e le relazioni cambiano, poi perché Il
Giardino svolge un ruolo di casa comune e i cittadini, soprattutto
di una certa età, ci passano, parlano tra di loro, conoscono le
cose, mentre a Reggello le persone si trovano più in piazza. Poi
ci sono molte associazioni, oltre 22, e il Comune è molto attivo.
Chi è del luogo spiega che la mentalità qui è più chiusa, e si ha
l’idea che portare le problematiche significhi metterle in piazza,
e a volte preferiscono andare a Figline a portare le problematiche. A Figline, d’altra parte, il Comune è percepito come distante dal cittadino, i cittadini dicono che hanno paura a parlare con
l’ente e pensano che parlare con il Comune sia tempo perso,
questa è la triste realtà.
Qui c’è un atteggiamento più paesano, il sabato mattina il Sindaco o l’Assessore lo incontri al bar. C’è un rapporto con le
istituzioni molto più familiare. A Figline sicuramente le persone
di riferimento sono altrettanto disponibili, ma fosse solo per l’estensione del Comune un rapporto continuo e diretto sarebbe
inimmaginabile (Anteas Valdarno Superiore).
Nel caso di Altopascio, in cui opera l’associazione Ambiente Pulito
Marginone, all’assenza di un tessuto associativo coeso e coordinato,
si aggiunge la mancanza di un rapporto di collaborazione tra l’associazione promotrice dello sportello di mediazione con il Difensore
civico e le istituzioni locali. Ciò si riflette in una maggiore difficoltà
incontrata nella fase di pubblicizzazione, ma incide anche nell’individuazione di un possibile luogo in cui aprire lo sportello che, nella
mente dei responsabili, doveva essere il più possibile un punto di
riferimento per la cittadinanza.
Da parte dell’associazione c’è sempre stata la volontà di entrare
il più possibile in relazione con la popolazione: è per questo
che ho deciso di portarla con i suoi servizi di informazione e di
supporto sociale nei luoghi simbolo del territorio. In primo luogo,
106
si è preso contatto con l’Istituto comprensivo: non si può dimenticare che la scuola è il luogo di incontro e di confronto, simbolico e funzionale, di una comunità: è lì che i ragazzi trascorrono
una buona parte del loro tempo vitale, ma non solo: attorno ad
essa “orbitano”, con i più svariati significati sociali e con tutte le
loro peculiarità, le famiglie. Ne è nata così una convenzione per
uno Sportello di cittadinanza sociale di stampo eco-sistemico: i
servizi – segnalazione ambientale, difesa civica, supporto per la
sicurezza sociale, supporto psicologico, mediazione familiare,
educazione alimentare e segretariato sociale – sono totalmente
a carico dell’associazione ed offerti gratuitamente alla comunità e la scuola primaria del paese mette a disposizione alcune
delle sue aule per gli incontri. I professionisti dello Sportello ricevono il primo ed il terzo venerdì di ogni mese, dalle 16.30 alle
19.00, senza necessità di appuntamento, al fine di agevolare il
più possibile l’accesso. Nel periodo di chiusura della scuola,
non potendo usufruire dell’edificio in assenza del personale ausiliario, al fine di garantire la continuità del servizio, lo Sportello
si trasferisce presso la sede legale dell’associazione od in altre
associazioni di volontariato con le quali è stata istituita una collaborazione per alcuni progetti sociali. Inserire la rete nell’organicità di un servizio “olistico”, od eco-sistemico che si voglia dire,
ha significato, come già detto, darle maggiore enfasi: una maggiore capacità di “aggancio” dei possibili utenti ed un maggior
respiro operativo; d’altronde, si deve ricordare come sia dura
sconfiggere la reticenza delle persone a contattare il Difensore
civico (Ambiente Pulito Marginone).
Un’altra esperienza interessante, ma che non è ancora entrata in una
fase di piena operatività è quella di Greve in Chianti, dove è attivo il
circolo Legambiente di Greve in Chianti Gallo Verde (dal 2013 circolo
Legambiente del Chianti fiorentino), che ha aderito alla rete territoriale
di promozione sociale e dei diritti prima che Legambiente toscana
siglasse un proprio protocollo con il Difensore civico.
L’approccio seguito dai membri del circolo Gallo Verde evidenzia tratti in comune con l’esperienza di Ambiente Pulito Marginone: fondare
un progetto complessivo di promozione dei diritti, anche nella dimensione sociale, a partire dalla prospettiva ambientale. Anche nel caso
di Greve l’obiettivo è perseguire il massimo coinvolgimento della cittadinanza, in un’ottica di collaborazione con l’amministrazione locale,
che nel caso di Greve è finalizzato alla creazione di uno sportello
107
presso una sede del Comune, per favorire la massima visibilità e il
massimo ampliamento del bacino degli utenti e creare un punto di
riferimento per la cittadinanza, nella forma di un punto di accesso alla
difesa civica a cui i cittadini possano esprimere, più in generale, le
loro problematiche, per essere indirizzati. Anche nel caso di Greve,
come in altre esperienze, ad esempio quella di Reggello, e a differenza di Figline, la creazione di uno sportello non si fonda né su una rete
preesistente di associazioni, né sull’abitudine dei cittadini a rivolgersi
al Difensore civico locale, e questo rende necessario un lavoro preparatorio, di informazione e di sensibilizzazione, che prende anche
la forma di incontri pubblici e del coinvolgimento delle scuole. La
possibilità di aprire uno sportello gestito da volontari in una sede del
Comune è concepita come una sorta di progetto pilota da replicare in
altre realtà, magari con il coinvolgimento di più associazioni.
Abbiamo pensato di aprire uno sportello, due ore a settimana,
facendo una debita pubblicità e raccogliere le istanze, ma il Difensore toscano, la Dott.ssa Franchini, ha detto di aspettare a
fare l’apertura perché lei in Toscana vorrebbe partire con un progetto pilota con un volontario in uno spazio all’interno del Comune per ricevere lì le istanze, perché qui non c’è più il Difensore
civico comunale, ma comunque non funzionava perché non ci
veniva nessuno. Per questo siamo ancora alla preistoria, partivamo dall’anno zero. Per questo sarebbe utile trovare un legame
più diretto con il territorio, ma formale, perché essere presenti
come volontari ma presso la sede comunale ha una visibilità e
un valore diverso che farlo presso la sede dell’associazione. Si
tratterebbe di dare una strutturazione perché il volontario possa
radicare il proprio lavoro in una cornice comune. Sicuramente
quando c’è un punto di riferimento ci vanno anche persone con
altri problemi, come contenziosi tra privati, che non c’entrano
con il Difensore civico, ma l’associazione può fare da filtro, dare
informazioni e suggerimenti ai cittadini su che tipi di azione fare,
a chi rivolgersi, anche se su questioni che non riguardano il Difensore civico e non si traducono in istanze (Circolo Legambiente Gallo Verde).
Tutte queste esperienze, per quanto in molti casi ancora in fase embrionale, suggeriscono che l’idea della rete territoriale dei diritti possa
rispondere in maniera efficace ad alcuni bisogni emergenti, favorendo
una reciproca valorizzazione e una virtuosa sinergia tra associazioni-
108
smo e difesa civica e concretizzando il principio dell’integrazione tra
dimensione sociale degli interventi e dimensione della promozione
e tutela dei diritti. In questa prospettiva, lo sportello sul territorio può
essere concepito come il luogo in cui si apre uno spazio in cui i cittadini possano esprimere le proprie problematiche ed essere indirizzati
verso il soggetto più in grado di offrire risposte, o da più soggetti, se,
come spesso succede, la situazione di disagio contempla una pluralità di dimensioni. Lo sportello può essere dunque concepito come
un punto di accesso al sociale e alla tutela dei diritti, che oltre che a
mettere in rete le associazioni e il Difensore civico favorisce una sinergia tra le associazioni stesse nell’ottica di un intervento integrato.
Un’idea da sviluppare è che gli sportelli sul territorio potrebbero anche essere gestiti da più associazioni, soprattutto quando coinvolgono piccole associazioni che non avrebbero le risorse per gestire autonomamente l’intermediazione, se il comune fosse disponibile anche
utilizzando una sede istituzionale. Un altro suggerimento è che la rete
possa essere rafforzata, prevedendo, come avviene per gli sportelli
Ecco Fatto! di Uncem, l’impiego dei giovani del servizio civile, o il
coinvolgimento di laureandi, che potrebbero svolgere una esperienza
interessante sul piano formativo, e ottenere dei crediti formativi.
La mia è una riflessione che può essere applicata in generale
al volontariato, ma il Difensore è un servizio al quale i giovani
potrebbero avvicinarsi, anche perché hanno le competenze per
farlo. Penso agli studenti universitari che seguono corsi di legge
o di sociologia, i quali, non dietro pagamento, ma riconoscendogli dei crediti, potrebbero fare uno stage. Potremmo disporre
così del nostro volontario, una persona che garantisce la presenza e la continuità del servizio, affiancata da persone giovani.
Questa idea l’abbiamo condivisa col Difensore civico regionale,
con cui abbiamo un rapporto diretto, essendo una persona che
ama il proprio lavoro e con cui il dialogo è molto facile. Quando
parliamo di sociale, trovare persone con questa apertura mentale è importante (Il Giardino).
Non si potrebbe attivare il servizio civile sulla difesa civica? Un
servizio civile per cui lo studente, il laureato stia presso le sedi
delle associazioni e sia anche in grado di fare un primi lavoro
di preparazione della pratica. A noi interessa avere la casistica, ma per noi non sarebbe un problema se i cittadini, ricevono
109
risposte o vengono indirizzati direttamente, quando possibile,
senza passare da noi. Faccio l’esempio di una cittadina che ha
un problema di Ici, in questo caso non c’è bisogno che mi mandi la pratica, se puoi vai in comune, senti che ti dicono e se la
risposta non ti ha convinto vieni da noi. Noi aderiamo ai punto
Ecco Fatto! di Uncem, siamo uno dei servizi principali, e la stessa organizzazione dei punti Ecco fatto! la potremmo replicare
con le associazioni che aderiscono a Cesvot, o potrebbero essere le stesse Delegazioni provinciali di Cesvot che diventano
punti simili ai punti Ecco fatto! (Difensore civico).
Si tratta di una idea che si pone in sintonia con il concetto di “nuovo volontariato” (Salvini 2012), che punta a coniugare un’attività dal
profondo significato sociale alla valorizzazione delle competenze dei
giovani, promuovendo una relazione virtuosa.
Un’altra dimensione di sviluppo della rete ha per oggetto l’ampliamento degli strumenti a disposizione dei cittadini e delle associazioni
per presentare e seguire l’avanzamento delle istanze. Obiettivo del
Difensore civico è rendere nel 2014 disponibile il nuovo sistema informatico, le cui funzionalità prevedono, tramite un sistema di accreditamento, non solo l’invio digitale delle istanze, ma anche la possibilità
di seguire in maniera costante l’andamento delle stesse, di modo da
ridurre alcuni passaggi e permettere a chi presenta l’istanza di rispondere immediatamente, per esempio a fronte di una richiesta di
ulteriore documentazione.
Le associazioni, soprattutto nei territori più lontani dall’area metropolitana formata da Firenze, Prato e Pistoia, lamentano il senso di lontananza fisica e virtuale del Difensore civico, e esprimono la necessità
di una maggiore presenza nei diversi territori, in maniera tale che il
rapporto tra associazioni e Difensore civico non si riduca alla trasmissione della relazione annuale ma preveda occasioni di scambio. Si
tratta di un limite che è condiviso dal Difensore civico, che tuttavia
sottolinea che per avere una maggiore presenza nei territori avrebbe
bisogno di maggiore risorse e di una struttura organizzativa maggiore. Lo stesso Difensore civico sottolinea un paradosso, per cui da una
parte si sostiene che lo strumento del Difensore civico è scarsamente conosciuto e di conseguenza scarsamente utilizzato dai cittadini,
rispetto alle funzioni che potrebbe potenzialmente svolgere, e che
110
dovrebbe essere maggiormente pubblicizzato. Dall’altra parte, tuttavia, le risorse e l’organizzazione a disposizione non renderebbero
possibile agire con efficacia a fronte di un eventuale aumento radicale delle istanze, obiettivo che ci si propone con il Progetto “Per i diritti
dei cittadini” e con gli altri protocolli siglati dal Difensore civico con
altre istituzioni e organizzazioni.
Sotto questo aspetto, il Difensore civico invita le associazioni che
sono impegnate nella promozione dei diritti e che hanno aderito alla
rete promossa da Cesvot, ritenendo che il Difensore civico sia uno
strumento utile e da diffondere, a mobilitarsi per chiedere che a questa figura, così centrale per la tutela dei diritti dei cittadini, siano attribuite più risorse, necessarie per mantenere e ampliare un servizio di
tutela dei diritti in forma giurisdizionale e gratuita, che, come è stato
sottolineato da molte associazioni, non solo permette ai cittadini di
difendere efficacemente i propri diritti, ma permette alle istituzioni di
migliorarsi e che, oltretutto, è più economico, anche per le istituzioni,
rispetto ad altre forme di gestione delle vertenze, quali le vie giudiziarie.
6.
La ricerca dell’equilibrio: le associazioni di promozione e
tutela dei diritti e la difesa civica
La ricerca sul campo ha rivelato che se tra le associazioni attive nel
settore sociale ed ambientale, in particolare, la rete ha avviato dinamiche di cooperazione che possono sfociare in forme strutturate di
sinergia e in una reciproca valorizzazione tra mondo del volontariato
e difesa civica, capace di dare impulso a processi virtuosi di intervento integrato sul piano sociale e dei diritti, le maggiori difficoltà nel
costruire significati comuni e pratiche condivise si hanno tra i soggetti che operano nello stesso settore, e che in teoria dovrebbero
avere maturato forme più avanzate di cooperazione. Ci riferiamo a un
rapporto storicamente difficile tra associazioni di tutela dei diritti dei
cittadini e difesa civica. Tale rapporto, come spiega il Difensore civico, è motivato da una diffidenza mai pienamente superata da parte
di alcune associazioni nei confronti della figura del Difensore civico,
percepito come aderente alle istituzioni e inefficace, ma anche, se-
111
condo l’interpretazione del Difensore stesso, da sentimenti di rivalità
e di concorrenza.
Da parte di alcune associazioni di tutela dei consumatori – come
vedremo, non avviene in tutti i casi – il Difensore civico è percepito
come uno strumento di scarsa utilità, il cui operato allunga i percorsi
di risoluzione delle vertenze, che non dispone di poteri particolari che
ne giustifichino l’intervento, che per il suo carattere generalista dispone di strumenti inferiori rispetto a quelli di natura specialistica, con
particolare riferimento agli strumenti di conciliazione di tipo settoriale.
Questa serie di argomentazioni si saldano a rafforzare il convincimento che le associazioni di tutela dei consumatori, alla luce della loro
competenza in materia di tutela dei diritti dei cittadini, del loro rapporto diretto con gli interlocutori – istituzioni o erogatori di servizi pubblici
e privati – e della loro presenza nelle commissioni conciliative, siano
in grado di fornire ai cittadini risposte più rapide ed efficaci rispetto al
Difensore civico.
Abbiamo visto che il rapporto diretto con le controparti permette
la risoluzione diretta. Spesso basta il rapporto informale ma se
questo non basta si passa ad utilizzare strumenti che sono stati
concordati e riconosciuti dalle controparti.
La risposta è immediata, è più agevole, snella e specialistica,
perché è difficile per il Difensore civico rappresentare il cittadino
in tutti i settori, ci vuole una tuttologia, nelle commissioni invece
ci sono esperti, specialisti del settore. Se si va presso Corecom
si sa che si va a discutere di problemi che riguardano un settore
specifico, nelle commissioni di conciliazione tra le parti si sa di
cosa si discute e si possono trovare le soluzioni. Per me è questa la strada da perseguire, perché non è più tanto un problema
del rapporto tra le associazioni e il Difensore civico, dal Difensore civico ci possono andare le singole persone, e basta valutare
quante persone vi si rivolgono per tutelare i propri interessi e
vedere quanti si rivolgono ad associazioni come la nostra e si ha
una idea del giudizio che i cittadini danno del Difensore civico
e della sua efficienza e capacità di dare risposte ai cittadini. Le
materie sono così articolate che per fare funzionare l’ufficio del
Difensore civico ci vorrebbe una sequela di competenze specialistiche in tutti i settori, io non so quale è l’aspetto economico
e come potrebbe funzionare effettivamente l’ufficio del Difensore civico se tutte le istanze su materie specialistiche arrivassero
a loro. Ci vorrebbero uffici pletorici. (...) A noi non è mai succes-
112
so di indirizzare i cittadini dal Difensore civico, perché se il cittadino viene da noi, noi lo indirizziamo e istruiamo la procedura
per quelle che per la nostra esperienza sono le vie più facili ed
efficaci per avere un risposta. Avendo noi l’esperienza del rapporto diretto o del ricorso in commissione di conciliazione quando è prevista, il fatto che da noi vengano a chiedere di metterli
in contatto con il Difensore civico non esiste, loro ci chiedono di
fare la cosa migliore e noi, con la nostra esperienza, seguiamo
la strada migliore (Federconsumatori Arezzo).
Vi sono anche altre associazioni, per esempio attive nella tutela dei
diritti degli immigrati, che condividono il giudizio in merito alla scarsa
utilità del Difensore civico e che ritengono che le sue funzioni siano
più efficacemente svolte dalle associazioni, grazie al loro radicamento nel territorio e al loro inserimento in una rete di reputazioni che attribuisce loro un ampio riconoscimento, sia da parte dei cittadini, sia da
parte degli interlocutori, favorendo rapporti di collaborazione diretta
con le istituzioni, dai Comuni alla Prefettura. La critica all’efficacia del
Difensore civico, posta da questa prospettiva, si integra con quella
precedente. Questa, infatti, criticava l’istituto della difesa civica per
via del suo carattere generale, che lo rende inadeguato a offrire risposte su temi specialistici. La seconda critica, invece, si concentra sulla distanza del Difensore civico rispetto ai territori, che gli rende impossibile disporre tanto della conoscenza delle problematiche, tanto
dell’inserimento in reti, quanto del prestigio e del riconoscimento che
ha invece un’associazione attiva nel territorio.
Svolgiamo un po’ noi la funzione del Difensore civico (…) perché siamo chiamati dalle varie comunità, grazie alle nostre conoscenze, a convogliare le esigenze e i bisogni, e possiamo
favorire la convivenza. In effetti noi abbiamo delle reti e delle conoscenze, se dobbiamo riempire un modulo con un immigrato e
qualcosa non ci torna alziamo il telefonino e chiamiamo la Questura, ci mettiamo d’accordo su cosa fare, noi facciamo le pratiche come vuole la Questura e loro sanno che i richiedenti sono
già passati da noi e le facciamo come loro vogliono, ed è per
questo che loro stessi inviano le persone da noi, siamo un punto
di riferimento, anche gli studi commerciali stanno chiamandoci
per chiedere informazioni su come procedere e come compilare
i documenti sui permessi di soggiorno. Anche la polizia ci chiede un confronto su situazioni che non sanno risolvere, anche
113
rispetto alla prefettura, lo stesso fanno le scuole, che chiedono
di intervenire come intermediari con le famiglia, e i Comuni, gli
uffici dell’anagrafe, mandano direttamente a noi documenti da
girare ai cittadini (Circolo Interculturale Samarcanda).
Da parte della difesa civica, le ragioni di una perdurante tiepida cautela mostrata da una parte del mondo associativo si spiegano con
motivazioni sedimentate nel tempo, ma anche con un atteggiamento
che vede nel Difensore civico non un possibile alleato in una battaglia
comune ma un concorrente.
Con le associazioni il rapporto è un po’ particolare. In passato c’era sicuramente un rapporto di conflittualità. Mi riferisco ai
primi anni Novanta, quando le associazioni sostenevano che
erano loro e solo loro i soggetti titolari del ruolo di difesa dei
diritti del cittadino e il Difensore civico era in qualche modo una
emanazione dell’istituzione stessa e quindi non sufficientemente
indipendente per tutelarlo (Vittorio Gasparrini-Ufficio del Difensore civico).
La situazione adesso sta migliorando e ci sono molti esempi
di forte collaborazione positiva con le associazioni. La stessa
convenzione con Cesvot ha ottenuto l’adesione di associazioni
che non mi aspettavo, resta un po’ lo scoglio del rapporto con
le associazioni di tutela dei consumatori, che paradossalmente
vogliono agire su quella fetta di tutela circa i servizi pubblici,
pur avendo un ampissimo spazio relativo nei rapporti tra i consumatori e i soggetti privati (...). Le associazioni di tutela dei
consumatori vedono il nostro intervento come una riduzione del
loro spazio di attività (Difensore civico).
Vi sono, tuttavia, esempi di associazioni che, pur svolgendo una funzione di tutela dei cittadini che avviene prevalentemente con canali
autonomi, contemplano il ricorso al Difensore civico come un possibile strumento, da proporre ai cittadini quando si ritiene che l’intervento
del Difensore civico possa apportare un valore aggiunto. In questo
modo si costruisce un legame positivo tra associazione e Difensore
civico, e una forma di cooperazione che assume un valore positivo
per entrambi. In tal senso, l’esperienza di una associazione come il
Centro per i diritti del malato di Prato, che già prima della adesione
al progetto “Per i diritti dei cittadini” aveva rapporti di interlocuzio-
114
ne stabili con il Difensore civico, testimonia che l’integrazione della
mediazione con il Difensore civico in sportelli preesistenti e gestiti
da associazioni attive nel settore della promozione e tutela dei diritti,
permette di conciliare il ruolo di filtro dell’associazione, che si assume
il compito di indirizzare i cittadini verso il miglior percorso di risoluzione del loro problema, con la pubblicizzazione e l’accompagnamento
del cittadino nei confronti del Difensore civico, e di fare convivere la
possibilità dell’invio di una istanza collettiva con l’invio delle istanze
individuali dei cittadini.
Accogliamo le persone, raccogliamo i loro problemi, a volte
diamo semplicemente informazioni. A volte basta una semplice
telefonata nel reparto per capire meglio il problema perché non
sempre il cittadino comprende qual è il problema, e magari si
scopre che la questione si può appurare in maniera più precisa.
Ci sono poi i problemi relativi ai reclami nei confronti della direzione sanitaria, che passano attraverso noi e noi ci impegniamo
a seguire l’iter anche dopo che è arrivata la risposta per assicurarci che il cittadino sia soddisfatto o per capire se non lo è. Facciamo da ponte verso le direzioni sanitarie e verso il Difensore
civico regionale, perché anche se i cittadini conoscono l’iter poi
magari hanno difficoltà a seguirlo, perché si teme la burocrazia
e si ha diffidenza nel seguire direttamente le cose e non tutti ci
riescono, e noi per questo facciamo da ponte (Centro per i diritti
del malato).
Nel caso del Centro per i diritti del malato la maggioranza dei reclami
presentati trova soluzione nell’interlocuzione diretta con l’Azienda sanitaria, mentre la percentuale di segnalazioni che si concludono con
la presentazione di una istanza al Difensore civico o in una procedura
di tipo giudiziario sono quantificate in una su dieci. Se a queste ultime
si ricorre per questioni di presunta malasanità che si accompagnano
ad una richiesta di risarcimento, i casi su cui si suggerisce di presentare un’istanza al Difensore civico sono quelli in cui è più difficile
stabilire le responsabilità. Ne sono un esempio le problematiche derivanti dal passaggio da una Asl ad un’altra e il mancato riconoscimento del percorso avviato, o che mettono in luce disfunzioni di ordine
più ampio, non riguardanti l’Asl di riferimento e che per questo motivo
richiedono una prospettiva di osservazione più ampia.
115
In generale, è opinione condivisa tra molte delle associazioni di tutela
dei consumatori e dei pazienti intervistate che il coinvolgimento del
Difensore civico possa essere richiesto quando l’interlocuzione diretta con i referenti istituzionali non soddisfa il cittadino, o quando si
profila la necessità di un maggiore approfondimento o, ancora, quando una problematica supera i confini di un singolo interlocutore, rendendo necessario indagare un sistema più complessivo di rapporti,
compito che è al di fuori della portata di una associazione territoriale.
Il ricorso al Difensore civico è utile perché costringe a un approfondimento che se si fosse sicuri che c’è nel primo livello si
potrebbe anche evitare. Prima esisteva il Difensore civico comunale, da noi a Prato non esiste più, i troppi livelli mi sembrerebbero eccessivi perché come sempre poi non si capisce a
chi rivolgersi, ma una struttura regionale può permettere anche
di avere una visione più ampia. Noi abbiamo una visione della
nostra Asl, perché ci occupiamo della provincia di Prato, e sappiamo di altre Asl perché ci viene raccontato dalle persone, ma
la nostra visione è inevitabilmente parziale, mentre al Difensore
civico è data la possibilità si comprendere che in una Asl le cose
non funzionano e in altre sì e di indicare eventualmente cosa
potrebbe essere migliorato (Centro per i diritti del malato).
Con il Difensore civico regionale abbiamo avuto degli incontri
anche qui a Livorno, ci è sembrata una presenza importante
per risolvere alcuni problemi anche legati alla salute per cui c’è
bisogno di un intervento a livello più alto. Noi cerchiamo di risolvere tra di noi i problemi, ma se c’è bisogno, per cose più
importanti che non riusciamo a risolvere da soli, cerchiamo di
coinvolgerlo. Ultimamente non abbiamo presentato istanze, ma
quando ci sono stati casi di interpretazione, il suo intervento è
stato utile: per esempio nel campo della sanità, in cui le varie Asl della Toscana danno interpretazioni diverse della stessa
norma, l’intervento del Difensore civico è indispensabile (Cittadinanzattiva Livorno).
Se ci arrivano problemi legati all’amministrazione legale se riteniamo che sia utile ci rivolgiamo al Difensore civico, l’abbiamo
fatto, per esempio in tema di tributi. Se il problema è la telefonia c’è la possibilità di fare il reclamo e se il reclamo non viene accettato e il cittadino non è contento della risposta si può
andare in conciliazione paritetica, noi abbiamo un protocollo di
intesa con i principali gestori di energia, altrimenti andiamo da
116
Corecom. Per le sanzioni amministrative scriviamo al comune
che a volte risponde positivamente a volte no. Se la questione
richiede maggiori informazioni ci rivolgiamo al Difensore civico,
presentiamo l’istanza del cittadino e il Difensore civico risponde
direttamente a noi se il cittadino ci dà mandato di seguire la sua
pratica (Movimento consumatori Livorno).
7.
I protagonisti potenziali
L’attivazione del progetto “Per i diritti dei cittadini” ha portato a dei primi, importanti, percorsi di interlocuzione, e la ricerca sulle dinamiche
attivate ha permesso di individuare alcune buone pratiche e alcune
possibili linee di sviluppo. Tra queste, vi è sicuramente la possibilità di
incentivare la condivisione tra più associazioni della funzione di mediazione con la difesa civica, in tutti i casi in cui la piccola dimensione, e quindi la scarsità di risorse in possesso delle singole associazioni, rende difficile la gestione in forma autonoma del servizio. A tal
fine, alcuni intervistati, e lo stesso Difensore civico, individuano nelle
delegazioni provinciali Cesvot i soggetti che possono favorire un passo in avanti del progetto, facendosi promotrici della costruzione di reti
nei territori, per esempio coadiuvando le associazioni nell’apertura di
uno sportello. Obiettivo della ricerca, non di meno, era individuare gli
spazi di estensione del progetto, anche in riferimento ad associazioni
che al momento non hanno aderito al progetto.
Sono state, a tal fine, effettuate delle interviste con i rappresentanti
di associazioni attive nella promozione e tutela dei diritti e che non
hanno aderito alla rete. Da parte di tali associazioni non si è generalmente rilevata una scelta consapevole di non partecipare al progetto, quanto una conoscenza del progetto solo superficiale, se non
l’ignoranza in merito all’esistenza dello stesso. Se alcuni intervistati
hanno espresso un’opinione critica nei riguardi dell’istituto della difesa civica, non dissimile da quella espressa da alcuni soggetti aderenti alla rete, altri hanno manifestato apprezzamento e interesse per
la costruzione della rete esprimendo un potenziale interessamento.
In alcuni casi, infine, come era avvenuto in occasione degli incontri
pubblici organizzati da Cesvot nei territori per illustrare alle associazioni il progetto e il ruolo del Difensore civico, la stessa intervista ha
suggerito possibili istanze, o richieste di supporto nella realizzazione
117
di proprie campagne e progetti. È il caso del Centro nuovo modello di
sviluppo, che è impegnato in una campagna per la trasparenza dei
bilanci comunali, il cui obiettivo è indagare le radici del debito che
grava su molte amministrazioni locali, differenziando un “debito buono”, contratto cioè per costruire o mantenere le scuole, per prestare i
servizi, ecc, e un “debito odioso”, frutto, per esempio, di investimenti
rischiosi.
Mi dai un gancio per pensare che noi ci occupiamo di debito
pubblico, facciamo analisi perché la gente sia informata, ma
una delle nostre proposte è che noi abbiamo il diritto di ripudiare un debito odioso, non scaturito per dare un servizio ai
cittadini ma per altre ragioni, come fare spese inutili, o magari
con l’incrostazione della corruzione, per cui il prezzo è lievitato,
o perché non si è in condizioni di pagare i tassi di interesse
perché si è seguito politiche che hanno favorito i ricchi, riducendo le aliquote, e trovandosi quindi senza risorse pubbliche.
Noi per scoprire quello che chiamiamo debito odioso dobbiamo
fare delle indagini, cercando anche di costituire dei gruppi locali di indagine sul debito, senza pretese di aggredire il debito
nazionale, ma concentrandosi sul debito locale. I problemi per
una analisi del genere sono la mancanza di strumenti, perché
non é per niente semplice, ma anche l’accesso alle informazioni, ed è assurdo perché in una democrazia dovrebbe essere
tutto accessibile pubblicamente, ma te ne rendi conto quando
le cose non funzionano che non è cosi, e anzi, ti accorgi anche
di essere spiato e non ti dicono niente. La democrazia è un bel
principio ma che si realizza se si realizzano una serie di condizioni tra cui la trasparenza. Mi dai quindi uno spunto, questo
potrebbe essere una questione su cui coinvolgere il Difensore
civico, chiedendo che ci aiuti in nome della trasparenza (Centro
Nuovo modello di Sviluppo).
Un approfondimento particolare va poi riservato alle grandi associazioni. Nel territorio toscano operano molte piccole associazioni, associazioni di dimensioni medio-grande, che operano ad un solo livello, e
associazioni di secondo livello, articolate a livello nazionale, regionale
e territoriale. Tra queste, in particolare, vi sono alcune grandi associazioni, che per la loro struttura organizzativa e per il loro forte radicamento, non solo sono articolate in più livelli, ma hanno una struttura
capillare nel territorio che vede la partecipazione di molti volontari.
118
Nel progetto “Per i diritti dei cittadini” sono presenti associazioni che
fanno parte di tutte queste categorie, ma prevalgono le associazioni
di dimensioni medio-piccole e non inserite in associazioni di secondo
livello, mentre risulta ridotta l’adesione da parte delle grandi realtà
associative, come Arci e Acli, o come le Misericordie e le Pubbliche
Assistenze.
Si tratta di associazioni che, dal punto di vista del Difensore civico,
potrebbero svolgere un ruolo determinante per il consolidamento
della rete territoriale di promozione e tutela dei diritti, in primo luogo
perché, in sé, dispongono di una ampia rete nel territorio, perché dispongono di robuste strutture organizzative, e perché, dato il tipo di
attività che svolgono, possono vantare un ampio bacino di riferimento
che è, oltretutto, molto eterogeneo sul piano della composizione. Ciò
significa che le grandi associazioni dispongono di uno straordinario
potenziale di diffusione. Ai fini di un ulteriore sviluppo della rete, si
possono ipotizzare forme di coinvolgimento diretto delle organizzazioni regionali, magari con appositi protocolli di intesa, sul modello di
quello sottoscritto da Legambiente, in questo caso limitatamente alla
dimensione dei diritti ambientali, che si impegna così a mobilitare i
propri circoli sul territorio, sviluppando una azione organica.
Poi c’è il problema delle grandi associazioni. Alcune associazioni di settore pensano solo al loro settore, mentre le grandi
associazioni ci ignorano. In questi casi ci vorrebbe un rapporto
diretto con il livello regionale, vista la capillarità di queste associazioni. Cercano un rapporto con me come figura pubblica,
al limite, ma non in relazione stretta alla attività di difesa civica
(Difensore civico).
Tra i potenziali soggetti che potrebbero trovare nella rete territoriale di
promozione e tutela dei diritti un prezioso strumento sono le associazioni di migranti.
Io del Difensore civico l’ho saputo per caso, e tante altre cose
le ho sapute per caso, anche rispetto alle possibilità che abbiamo di partecipare nel Comune di Livorno. Noi siamo andati per
caso anche all’incontro con il Difensore civico, perché siamo
andati da Cesvot per avere un’informazione su un progetto e ci
hanno detto che quel giorno c’era un incontro con il Difensore
civico, e se volevamo potevamo rimanere, ed è stato un incontro
119
positivo, ma spesso le cose belle avvengono per incontri fortuiti.
Penso che il Difensore civico abbia un potere grande, forse è
ancora sconosciuto e non ne so il motivo, ma penso che per noi
stranieri può essere molto utile fare conoscere questa figura,
può essere molto importante (Shqiperia).
121
Capitolo 4
La rete territoriale di promozione e tutela dei
diritti: una promising practice
di Luca Raffini
1.
Significati originari e significati emergenti
Il progetto “Per i diritti dei cittadini” ha attivato processi di sicura rilevanza, e rivela una serie di potenzialità ancora solo in parte espresse,
che lo configurano come una promising practice, da consolidare e
approfondire a livello toscano e da esportare a livello italiano ed europeo.
Una lettura concentrata sul numero di istanze presentate dai cittadini
grazie alla rete porta, a una prima analisi, a un bilancio che può apparire inferiore alle aspettative. Il numero di istanze individuali presentate tramite le associazioni aderenti al progetto è infatti relativamente
ridotto, e l’implementazione del progetto, almeno fino al 2013, non
ha condotto a un significativo aumento del numero di istanze gestite
dagli uffici del Difensore civico, come questi si sarebbe aspettato.
L’ufficio del Difensore civico non è stato in grado di indicare il numero
esatto di pratiche trasmesse nell’ambito della rete territoriale di promozione dei diritti, in quanto il sistema di gestione attualmente in uso
non permette di catalogare le istanze includendo questa informazione. D’altra parte, si tratta di un conteggio reso difficile dalla molteplicità di forme in cui può prendere forma l’azione di intermediazione
da parte delle associazioni. Alcune di queste si sono limitate a fornire
informazioni al cittadino sulla possibilità di sottoporre un’istanza al
Difensore civico in merito alla problematica sollevata. In altri casi l’associazione ha assistito il cittadino nella compilazione nel modulo o ha
preso i primi contatti con l’ufficio del Difensore civico, ma l’istanza è
stata presentata individualmente dal cittadino, e i responsabili dell’associazione non sono a conoscenza degli esiti. In altri casi ancora, e si
tratta dei casi più facilmente rintracciabili, le associazioni affiancano il
cittadino e seguono le tappe che si susseguono dall’invio dell’istanza
alla conclusione del processo, avendo cura di raccogliere e archivia-
122
re le risposte e i documenti prodotti.
La predisposizione del sistema informatico in maniera che possa rendere facilmente rintracciabili le istanza trasmesse nell’ambito della
rete promossa da Cesvot potrà in futuro permettere un migliore monitoraggio delle stesse, soprattutto in previsione di un ampliamento
numerico di cui, alla luce della ricerca effettuata si intravedono tutti i
presupposti.
Il numero relativamente ridotto di istanze individuale trasmesse dalle
associazioni, infatti, è a ben vedere un indicatore del lavoro preparatorio che le associazioni devono realizzare per arrivare ad una piena
operatività della propria azione di intermediazione, e non di una mancanza di interesse nei confronto del progetto da parte delle associazioni coinvolte.
La fase preparatoria, propedeutica alla fase operativa, si è rivelata in
molti casi assai più impegnativa di quanto previsto. Per le associazioni, e soprattutto per quelle medio-piccole, come la maggioranza delle
associazioni aderenti, predisporre uno sportello aperto ai cittadini è
un compito che richiede tempo, implicando una fase di formazione
dei volontari, la predisposizione di una modalità organizzativa, l’individuazione di una sede adatta. A sua volta, l’apertura di uno sportello,
possibilmente in un luogo riconosciuto e frequentato dai cittadini, è
stata indicata come un condizione necessaria ma non sufficiente affinché questo venga effettivamente utilizzato. La percezione di una
scarsa conoscenza dello strumento del Difensore civico da parte dei
cittadini ha suggerito alle associazioni la necessità di avviare campagne informative e di organizzare iniziative ed incontri esplicativi
sulle funzioni del Difensore civico, ma anche iniziative di carattere
più generale, di sensibilizzazione al tema dei diritti e degli strumenti
di tutela.
I primi mesi di operatività dello sportello, infine, si sono rivelati utili
per favorire un avvicinamento dei cittadini, ma più che l’inizio della
fase operativa del progetto le prime aperture hanno costituito la parte
finale della fase di radicamento. Quasi tutti i responsabili degli sportelli hanno sottolineato che nei primi mesi i cittadini vi si sono rivolti
presentando una pluralità di problematiche, spesso non attinenti agli
123
ambiti di intervento del Difensore civico, ma relativi a condizioni di
disagio di ordine più generale, mentre in altri casi la formulazione
dell’istanza è avvenuta a conclusione di una lunga fase di interlocuzione, durante la quale i cittadini hanno maturato fiducia nei confronti
dell’associazione e del Difensore civico. L’esperienza più avanzata è
allo stato attuale quella di Figline, in cui l’associazione Il Giardino ha
attivato uno sportello di difesa civica che, in un anno, ha condotto alla
presentazione di una diecina di istanze, quasi tutte concentrate negli
ultimi mesi.
A rendere quella figlinese l’esperienza più avanzata concorrono una
serie di fattori: la preesistenza di una solida rete tra le associazioni, i
rapporti di forte collaborazione con l’amministrazione comunale, la disponibilità di una sede riconosciuta e frequentata, la preesistenza di
sportelli di consulenza e di ascolto presso la stessa, una conoscenza
e una abitudine all’interlocuzione con il Difensore civico comunale assai superiore alla media regionale. In poche parole, a Figline si sono
trovati i presupposti di contesto che nella maggioranza delle altre realtà si sono rivelati obiettivi da costruire, spiegando in questo modo il
ritardo nella trasmissione delle istanze.
Ad oggi, gli sportelli sui territori si stanno diffondendo e radicando.
Agli sportelli e ai centri di ascolto di associazioni attive nella promozione e tutela dei diritti (come dimensione primaria o secondaria di intervento), come quelli del Centro per i diritti del malato, di Movimento
Consumatori e di Progetto Arcobaleno), e che già prima dell’adesione
al progetto interloquivano con il Difensore civico, si aggiungono le
associazioni che hanno integrato la funzione di intermediazione con il
Difensore civico in sportelli preesistenti, e che hanno maturato la conoscenza dello strumento della difesa civica a seguito dell’adesione
alla rete.
È il caso, per esempio, di associazioni come Alice e Cui - Ragazzi
del Sole. Infine, vi sono associazioni che, sul modello de Il Giardino a
Figline, hanno aperto uno sportello ex novo, appositamente dedicato
alla intermediazione con il Difensore civico (Anteas Valdarno Superiore a Reggello, Avis a Incisa, ma anche il circolo Legambiente del
Chianti Fiorentino Gallo Verde a Greve e Ambiente Pulito Marginone
124
ad Altopascio/Capannori, in quest’ultimo caso optando per uno sportello multidisciplinare). In questa prima fase le associazioni aderenti
hanno presentato delle istanze collettive, ovvero prodotte dalle associazioni stesse, non in relazione a un singolo caso ma in relazione a un
interesse diffuso. Per alcune associazioni si è trattato dell’occasione
per aprire un primo canale di contatto con il Difensore civico, su questioni che nella propria attività associativa si sono rivelate sistemiche
e ripetute. Per altre associazioni la forma dell’istanza collettiva rappresenterà, anche in futuro, la forma di interlocuzione principale, data
la specificità dei destinatari: soggetti posti in particolari condizioni di
disagio e non nella condizioni di assumere una iniziativa autonoma.
Da parte del Difensore civico l’auspicio è che la trasmissione di istanze collettive, che attribuisce alle associazioni un ruolo di filtro, in senso forte, tra cittadini e difesa civica, possa affiancare ed integrare e
non sostituire la trasmissione di istanze individuali, mettendo cioè in
connessione diretta cittadini e Difensore civico.
L’azione di filtro da parte delle associazioni e la loro attivazione per la
tutela di interessi diffusi, infatti, può rappresentare un valore aggiunto
nell’ambito di una sinergia tra associazionismo e Difensore civico,
poiché permette alle associazioni di fornire competenze utili per una
efficace risoluzione delle problematiche, ma questo tipo di funzione
prevede un’attivazione delle associazioni su questioni direttamente
attinenti al propri ambito di intervento, mentre obiettivo della rete è
che le associazioni possano fungere da terminale e da punto di riferimento anche per la trasmissione di istanze su tematiche diverse da
quelle di cui si occupa l’associazione.
Sotto questo aspetto, la rete potrà acquisire forza se riesce a coniugare le due dimensioni, quella di attivazione diretta e di intermediazione da parte delle associazioni, integrando i significati e gli obiettivi
originari del progetto con nuovi significati e obiettivi che scaturiranno
da processi di learning by doing.
2.
“Tutelare i più deboli per tutelare tutti”
Una considerazione che è spesso emersa riguarda il ruolo risolutivo
che il Difensore civico può svolgere per promuovere la tutela dei di-
125
ritti dei segmenti più svantaggiati della popolazione, ovvero di coloro
che più rischiano di subire il mancato rispetto dei diritti e che meno
dispongono delle risorse per farvi fronte autonomamente e che più
difficilmente riescono a intraprendere la via dell’azione legale. La sinergia tra associazioni di volontariato, in particolare, può contribuire
a offrire risposte concrete e immediate a una serie di problematiche,
sempre più diffuse, legate a una condizione di disagio che dalla dimensione economica si trasmette alla dimensione dei diritti, creando,
soprattutto nei territori toscani più colpiti dalla crisi, nuove sacche di
marginalità e di esclusione.
Il Difensore civico per il fatto di essere gratuito, ha la possibilità
di lavorare con le fasce marginali, in un momento di crisi come
questo penso che le prospettive siano da seguire e coltivare
dall’associazionismo perché la fascia marginale è destinata ad
allargarsi e non tutti possono andare dall’avvocato. Pensiamo
alla tutela del diritto alla salute, pensiamo agli anziani, una fascia fragile, per cui è importantissima una tutela di questo tipo
(Circolo Legambiente Gallo Verde).
A Grosseto c’è una vera e propria emergenza sul piano sociale,
ci sono molte situazioni di disagio, disoccupazione, gente che
ha problemi con la casa, gli sfratti, è una situazione difficile, c’è
stato un appello da parte della Caritas per mobilitare su questo
le forze politiche, ma la risposta non c’è stata a parte pochi casi,
sarebbe importante riuscire a fare rete, soprattutto in materia di
diritto sociale, perché le problematiche sono tante e difficili da
gestire (La Martinella).
Vi sono poi delle categorie specifiche, le cui problematiche sono
spesso riconducibili a questioni di ordine collettivo. Il riferimento è
ai disabili, agli immigrati e ai detenuti. Per quest’ultimi, in particolare,
alla condizione di marginalità e di disagio si aggiunge la non titolarità
di alcuni diritti, connessa alla loro condizione e l’esclusione di fatto,
da altri diritti. La scarsa conoscenza dei diritti, e in alcuni casi anche
della lingua e la debolezza delle reti sociali di riferimento pongono
questi individui in condizioni di particolare vulnerabilità.
Situati in un terreno di mezzo, tra una teorica universalità dei diritti
e una condizione di marginalità che di fatto li pone alla periferia del
sistema dei diritti e posti in una condizione di cittadinanza precaria,
126
l’esperienza quotidiana di queste categorie di individui1 è costellata
di problematiche che prendono forma in un’area grigia, fatta di incertezze, intoppi burocratici, ritardi, che si frappongono tra il diritto e il
suo godimento. La risoluzione delle problematiche vissute da queste
categorie, infine, è spesso ostacolata dalla difficoltà a individuare un
referente chiaro.
Tutti questi elementi: stretta connessione tra interesse individuale e
interesse diffuso; non rispetto dei diritti dovuto a malfunzionamenti e
cattive pratiche della pubblica amministrazione; difficoltà a individuare responsabilità e referenti, rendono il Difensore civico, date le sue
prerogative, un punto di riferimento per le associazioni che si occupano di migranti e di detenuti. L’associazione l’Altro Diritto, dotata di
competenze e di una autorevolezza riconosciute in materia di diritti
dei detenuti, ha coinvolto il Difensore civico per promuovere campagne di estensione dei diritti, oltre che per il rispetto dei diritti di cui i
destinatari già dispongono, ma che la burocrazia o l’inefficienza delle
istituzioni rendono di difficile fruizione.
Il Difensore civico, per le sue prerogative, è la figura più adatta per
prendere in carico una situazione in cui il malfunzionamento amministrativo si riflette in una negazione del diritto. Nel caso di immigrati
e detenuti, l’intervento del Difensore civico può costituire una risorsa
importante, intervenendo nella risoluzione di contenziosi e nei casi
di cattiva amministrazione, ma, soprattutto, intervenendo in maniera
strutturale sulle disfunzioni e sulle cattive pratiche che, agendo in maniera ripetuta e continuativa, conducono di fatto alla negazione di un
diritto o ne rallentano e inibiscono la piena affermazione. Le disfunzioni e le cattive pratiche, da parte delle pubbliche amministrazioni e dei
fornitori di servizi pubblici, pongono un filtro tra l’attribuzione formale
dei diritti e il loro godimento, che conduce a discriminazioni e alla
violazione del principio della parità di fronte alla legge.
1 Gli operatori delle associazioni sottolineano che si tratta di categorie che tendono spesso a sovrapporsi, in quanto i detenuti sono in larga maggioranza immigrati,
“deboli tra i deboli” per i quali, parafrasando il rappresentante di un’associazione
che si occupa di diritti dei detenuti, “non è chiaro, per primo a loro stessi, perché
sono in carcere”.
127
Possiamo contribuire a promuovere i diritti degli immigrati, per
esempio segnalando tutte le distorsioni che ci sono, perché gli
immigrati, come tutti noi, sono soggetti alla burocrazia, e tutti
siamo vittime dei tempi lunghi della burocrazia, ma se a noi non
ci cambia la vita ricevere la carta di identità un mese dopo la
richiesta, alle persone straniere non avere un permesso di soggiorno può anche precludere una occasione di lavoro, perché il
datore di lavoro fino a quando non vede il permesso di soggiorno non le assume. Gli immigrati hanno tanti diritti negati se ogni
ritardo o inadempienza della burocrazia comporta un diritto negato, nell’ottenimento di un documento. Auspico che il Difensore civico possa intervenire in tal senso (Anelli Mancanti Figline).
Come è stato sottolineato dal presidente di una associazione,
tutelare i più deboli e i più marginali è un modo per tutelare e garantire tutti perché contribuisce a costruire una società basata
sull’uguaglianza dei diritti. Perché anche noi, viste le condizioni
attuali di crisi economica, possiamo trovarci un giorno in condizione di marginalità. (Circolo Interculturale Samarcanda).
Da una pluralità di associazioni, come Progetto Arcobaleno, Shqiperia, Anelli Mancanti, Samarcanda, l’Altro Diritto, sono emersi numerosi
stimoli in merito al ruolo che può svolgere il Difensore civico per promuovere iniziative di ampliamento dei diritti di cittadinanza, sia agendo a livello normativo, sia, soprattutto, agendo sul piano delle pratiche, per esempio favorendo la diffusione di interpretazioni estensive
e non restrittive delle leggi vigenti. Un esempio in tal senso, riportato
anche nella relazione del Difensore civico, riguarda le procedure di
attribuzione della cittadinanza ai giovani nati in Italia da genitori stranieri al conseguimento della maggiore età.
Una istanza presentata riguardava l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di una ragazza rom. (…). Questa persona l’ho conosciuta come Difensore civico del comune di Livorno
che ho fatto per sei anni. Hanno problemi di casa, di acqua, di
tutto, lei nata in Italia da genitori rom, come da normativa, a diciotto anni ha scelto di chiedere la cittadinanza italiana. Si parla
tanto oggi del tema. Abbiamo fatto la pratica per fare domanda
al Comune, il problema è che la bimba non era stata iscritta
all’anagrafe, è nata a Livorno, anche sua madre è nata qui, sua
padre è bosniaco ma ha sempre avuto il permesso di soggiorno
e ha risieduto qui da quando lei è nata, senza soluzione di conti-
128
nuità. Non era stata iscritta all’anagrafe fono al 1999, per cui c’è
un periodo di buco e la madre ha avuto altri figli ma il Comune di
Livorno ha risposto che non c’è continuità nella residenza. Siamo riusciti, dopo un po’ di lettere, ad ottenere il libero patrocinio,
e l’azione sta precedendo. Il Difensore civico era intervenuto
all’inizio perché io avevo capito che non le avrebbero concesso
la cittadinanza, e il Difensore civico è intervenuto affermando
che c’erano tutti gli estremi, ma il Comune di Livorno ha ritenuto
di proseguire con una posizione di rifiuto e per questo abbiamo
deciso di proseguire per vie legali, con il ricorso al tribunale
(Movimento consumatori Livorno).
Interventi del Difensore civico di fronte a simili problematiche possono concludersi con una decisione da parte delle amministrazioni
di ribadire la propria posizione, e in tal caso la via giudiziaria rimane
l’unica alternativa da seguire, ma hanno, non di meno, la funzione di
contribuire a sollevare il tema, anche in vista della diffusione di interpretazioni estensive delle norme.
Se scrive l’associazione Progetto Arcobaleno all’Asl, invitando
a garantire l’accesso a una prestazione, non ci sarà un grande
effetto, se scrive il Difensore civico l’effetto sarà diverso. Non
dico che sia sempre risolutivo, ma ha il potere di avere accesso
agli atti, e può avere effetti. Lo stesso vale per quanto riguarda
le Pal, per esempio quando il Difensore civico è intervenuto in
materia di attribuzione della cittadinanza. Vedo che gli uffici del
Difensore civico sono discretamente attivi in tal senso. Io conosco le persone che lavorano nell’ufficio specifico, come la Dott.
ssa Pastacaldi, da quando c’è stata questa collaborazione nel
1998. Li incontriamo spesso nei tavoli istituzionali. Le persone
che se ne occupavano allora sono le stesse che se ne occupano oggi, e si tratta di persone preparate, che conoscono la normativa. Loro possono scrivere alla Questura chiedendo perché
non concedono il permesso, possono scrivere al Ministero degli
Interni per chiedere perché non concedono la cittadinanza, se
ce ne sono i requisiti. Se non rispondono sollecitano, e se rispondono in modo che si possa controbattere controbattono.
Se poi c’è un rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno o della
cittadinanza, il Difensore civico non può fare altro. Può fare un
intervento di sollecito, non si può neanche dire di mediazione,
di spiegazione e di chiarimento, questo sì, oppure di sollecito,
può ricordare che c’è un diritto e affermare che questo diritto
l’istituzione in questione lo sta negando, ma se da parte della Pa
129
continua un determinato comportamento non resta che un’azione di tipo giudiziario (Progetto Arcobaleno).
L’intervento del Difensore civico, in un’altra occasione, ha permesso
di risolvere una problematica, semplicemente mettendo a conoscenza il richiedente di un servizio già esistente di cui potevano usufruire
gli immigrati, ma di cui questi non erano a conoscenza.
L’istanza era relativa allo straniero che per ottenere la carta di
soggiorno deve superare un test, ma gli stranieri che superano
i sessanta anni non hanno la capacità di comprendere l’italiano
come un italiano di sessanta anni, perché un italiano di sessanta anni è giovane rispetto a un albanese di sessanta anni, e ho
chiesto che quando fanno il corso per ottenere la carta di soggiorno ci possa essere un traduttore in albanese, e il Difensore
civico, entro tempi brevi, ha preso contatto con il provveditorato
di Livorno, dove c’era un insegnante albanese, e noi non lo sapevamo finché non ce l’ha detto lei, e il problema così si è risolto. Ora sappiamo che c’è una persona che parla la nostra lingua
e può aiutare le persone che non parlano italiano e a questa
età non lo impareranno mai, risolvendo un problema perché il
permesso di soggiorno va rinnovato ogni due anni e costa oltre
duecento euro (Shqiperia).
Infine, l’intervento del Difensore civico è stato positivamente sollecitato in merito ad una questione di interpretazione relativa all’idoneità
alloggiativa di abitazioni di cittadini stranieri, su richiesta del gruppo
che, per l’Altro Diritto, si occupa di prestare consulenza ai comuni in
materia di immigrazione. Anche in questo caso si tratta di una questione di fondamentale importanza, in quanto relativa a un bene di
primaria necessità, quale l’alloggio. Per la sua capacità di mediazione e di stimolo, il Difensore civico è individuato anche come la figura
ideale per promuovere il pieno rispetto dei diritti per un’altra categoria di cittadini per cui la discriminazione non è frutto delle leggi, ma
della loro mancata applicazione o della loro applicazione parziale. Il
riferimento è ai cittadini con disabilità, la cui condizione pregiudica
spesso l’accesso ai servizi pubblici, per il mancato adeguamento alle
norme sull’accessibilità.
130
3.
La dimensione verticale e la dimensione orizzontale della
rete
Un secondo elemento che è emerso nel corso delle interviste riguarda l’importanza che alla dimensione verticale della rete possa unirsi
una dimensione orizzontale, che connetta tra loro le associazioni.
La rete può favorire l’incontro sia tra associazioni che lavorano su
ambiti simili in territori diversi sia tra associazioni che, con mission e
vision diverse, sono attive nello stesso territorio.
Proprio quest’ultima declinazione della rete è stata indicata come
fondamentale, per “fare sistema” tra le associazioni di volontariato,
favorire una valorizzazione reciproca e offrire ai cittadini risposte professionalizzate, indirizzandoli, oltre che dal Difensore civico, per le
questioni di sua attinenza, alle associazioni che meglio possono dare
risposta alle problematiche sollevate. La rete promossa da Cesvot è
indicata dalle associazioni e dal Difensore civico come uno straordinario strumento ai fini di una gestione integrata delle problematiche,
che riesca ad affrontare in una ottica complessiva le diverse dimensioni del disagio, attribuendo un ruolo a ogni soggetto coinvolto.
In questa prospettiva gli sportelli attivi sul territorio possono fornire ai
cittadini dei punti di riferimento per esprimere i propri bisogni, attivando risposte su più dimensioni e che coinvolgono più soggetti.
Una dimensione in cui le associazioni auspicano una intensificazione
è quella degli incontri sul territorio tra associazioni e Difensore civico.
Questi momenti hanno la funzione, oltre a rendere sempre più stretta la collaborazione con questa figura, di favorire la reciproca conoscenza tra le associazioni, rispondendo così a quel bisogno di “fare
rete” di cui spesso le associazioni avvertono il bisogno ma che non
sempre si riesce a mettere in pratica.
La rete, in sintesi, secondo i rappresentanti delle associazioni, può
svolgere una preziosa funzione di connessione, di reciproca conoscenza, di valorizzazione, tra associazioni che si occupano, da prospettive diverse, di promozione e tutela dei diritti dei cittadini, nonché, in una ottica ancora più ampia, di connessione e integrazione
tra la dimensione sociale degli interventi e la dimensione di promozione e tutela dei diritti. Alla rete si guarda come uno strumento di
131
scambio delle competenze e di stimolo alla costruzione di rapporti
di complementarietà, perché si segnala che spesso il cittadino che
vive una condizione di disagio tende a rivolgersi all’associazione che
conosce, ma questa spesso non è in grado di offrire risposte sulla
problematica sollevata, e magari non ha sufficienti conoscenze delle
altre associazioni del territorio per potere indirizzare il cittadino verso
chi è in grado di rispondere al suo bisogno.
Noi abbiamo cercato di mettere insieme tutte le associazioni,
ma non è facile farlo. In questo ultimo periodo si è accentuato il
patriottismo delle associazioni, perché qui ognuno pensa a sé e
a mettersi in evidenza, ed è difficile realizzare progetti insieme
(Cittadinanzattiva Livorno).
Tendenzialmente l’associazione fa parte di qualsiasi tipo di raccordo. In questo territorio ci si conosce tutti ma c’è un forte individualismo delle realtà fiorentine, che per qualche motivo devono sempre primeggiare e c’è una grossa difficoltà a fare rete, ma
per la mia esperienza non si sono mai davvero creati processi
di scambio di esperienze, di competenze, di procedure (…). Si
cerca di mantenere buoni rapporti con le altre associazioni ma
siamo in un periodo in cui non credo che ci sia una rete forte che
possa fare lobby e promuovere efficacemente la tutela e promozione dei diritti. Abbiamo aderito alla rete promossa da Cesvot
perché è importante avere momenti e occasioni in cui ci si confronta con altri. Noi avendo gli sportelli locali abbiamo sempre
cercato di rapportarci con gli altri sportelli legali che operano
nel territorio di Firenze. Sei anni fa c’era stato un progetto per
costruire una rete degli sportelli legali, coinvolgendo sei associazioni, ma poi, andando via l’assessore De Siervo l’idea non
è stata rinnovata a ognuno va per sé. È una perdita reale per la
città, perché un discorso è se ognuno va per sé, un altro se c’è
un coordinamento. Per cui abbiamo deciso di aderire alla rete
di Cesvot per riprendere l’idea di mettere insieme gli sportelli, in
questo caso in rapporto con il Difensore civico, ma in generale
per scambiare idee e informazioni (Anelli mancanti Figline).
Per noi è normale fare rete e cooperare con tutti, ma quello che
è difficile nell’associazionismo è riuscire a fare massa critica, riuscire a utilizzare il potenziale di chi già opera e di costituire dal
nulla altre associazioni, come è successo ora per l’associazione
su Laicità e Diritti: è uno spezzare e sminuzzare ciò che dovrebbe coordinarci, ma ognuno rivendica la propria specificità, e impedisce di creare qualcosa che pesa e che porta il cittadino a
132
essere protagonista e consapevole dei propri diritti e dei propri
doveri. Questa è la rete che vorremmo fare. Ma c’è troppa frammentazione (Circolo Interculturale Samarcanda).
Ho sempre creduto nel valore evocativo e nelle potenzialità di
azione della rete, ma con una certa frequenza mi capita di notare che nel mondo dell’associazionismo permane la difficoltà a
progettare e ad operare in sinergia, nell’ottica della collaborazione che rinforza operatori ed operato a beneficio del territorio.
La rete è molto diffusa a livello formale, sul piano comunicativo
od in specifiche situazioni, come può essere la richiesta di fondi attraverso i bandi dedicati; lo è ben poco, invece, a livello
sostanziale-operativo: è sempre difficile portare avanti forme di
progettazione sociale che necessitano di un’implementazione
di rete: è intorno a queste proposte, le uniche a mio avviso che
possano affrontare il disagio sociale espresso oggi dai territori,
che si manifesta il deficit, la mancanza della cultura della rete,
la difficoltà ad operare fattivamente in tal senso (Ambiente Pulito
Marginone).
Quest’ultima affermazione affronta un tema che è emerso con ricorrenza nelle interviste: molto spesso i cittadini esprimono situazioni di
disagio che hanno una natura multidimensionale, rendendo necessario un altrettanto pluridimensionale approccio nella elaborazione
delle risposte, che è però difficile che vengano fornite da una sola
associazione, che è specializzata in una dimensione di intervento.
Un intervento efficace, che può svilupparsi contemporaneamente su
diversi livelli, può trovare supporto proprio nella rete, sia ponendo in
rapporto le singole associazioni con il Difensore civico, sia, in forma
orizzontale, le associazioni attive nel territorio. La messa in rete delle
associazioni, da questo punto di vista, è visto come un elemento di
riequilibrio a fronte della inevitabile tendenza alla specializzazione,
permettendo lo sviluppo di un approccio multidisciplinare, che preveda di integrare la dimensione sociale e del problema e quella relativa
alla tutela dei diritto, quella dell’intervento di risoluzione dell’emergenze e quella dell’intervento strutturale e di lungo periodo.
C’è anche un interesse nostro per i soggetti che si stanno rivolgendo a noi perché hanno problemi a pagare le rate del mutuo,
della macchina, dei divorziati che hanno problemi a pagare gli
alimenti e magari sono in cassa integrazione. Sono persone al
133
limite che hanno necessità di essere assistiti nella tutela delle dignità del cittadino ma anche da un punto di vista materiale e noi
sostegno materiale non lo possiamo dare, e qui può intervenire
il volontariato sociale, per esempio quello cattolico (Federconsumatori Arezzo).
La creazione si sportelli nei territori e la rete tra le associazioni e il Difensore civico può contribuire a questo obiettivo, come dimostrano le
prime esperienze realizzate nell’ambito del progetto, e in particolare
il caso di Figline, i cui tratti caratteristici sono la capacità di integrare
una lavoro di networking sia di tipo verticale, tra associazioni e difesa
civica, sia orizzontale, tra le associazioni stesse, con il risultato di riuscire ad offrire ai cittadini un punto di riferimento saldo, cui sottoporre
le problematiche e le condizioni di disagio vissute.
L’approccio deve essere multidisciplinare, per cui va bene lo
portello che può essere il punto di accesso, poi magari la persona avrà bisogni di assistenza fiscale, sociale, sanitaria. Lo sportello può svolgere un lavoro che è una sorta di pre-assistenza
Il Difensore civico è uno strumento utilissimo e potrebbe essere
fatto conoscere di più, in primo luogo presso le istituzioni che
sono anch’esse ignoranti sull’argomento. La proposta è quella
di renderlo sempre di più una chiave di accesso al sociale, non
solo in materia di promozione e tutela dei diritti violati, perché
a volte non si viola nessun diritto, non si sa neanche di averlo
un diritto, e quindi di potenziare gli sportelli come interfaccia di
orientamento e di indirizzamento tra le realtà esistente, a livello
istituzionale e associativo (Anteas Valdarno Superiore).
(…) Probabilmente in controtendenza con l’affermazione della
“parcellizzazione” pseudo-specialistica, un credo importato dal
mondo anglosassone, penso che oggi un’associazione di volontariato non possa essere unicamente “settoriale”. Sono più
portato ad avere fiducia in un tipo di intervento sociale che potremmo riassumere nella terminologia di “presa in carico a tutto
tondo”: ed è a questa impostazione olistica, in armonia con il
concetto di “sviluppo sostenibile” e che supera il limite del “settore principale di intervento”, che ho cercato di informare l’intera
attività sociale dell’associazione: un tentativo, una sperimentazione in tale direzione, evitando così di andare a sovrapporsi
all’esistente. Forse è proprio nei periodi di maggiore criticità e nei
territori dove il disagio è diffuso e multiforme che c’è bisogno di
sperimentazione e di innovazione (Ambiente Pulito Marginone).
134
Il vantaggio che offre una rete come quella promossa da Cesvot è
che può favorire lo sviluppo dell’approccio integrato e multidimensionale alla gestione del disagio di cui molte associazioni ravvisano la
necessità, ma senza avere gli strumenti per farvi fronte.
Hai realtà con cui relazionarti e che possono affiancarti e anche
sostituirti nella risoluzione delle problematiche portate dai cittadini. La rete ti fa conoscere anche di più come associazione e
incrementa la tua forza, hai una possibilità di ritorno anche per
le associazioni. L’importante è potere costruire una complementarietà tra dimensione culturale, sociale e dimensione dei diritti.
Cesvot può fare tesoro di quello che ha per promuovere questa
interdisciplinarietà e per far favorire la reciproca conoscenza tra
le associazioni, in modo da potere interpellare in maniera più
collettiva e comunitaria (Anteas Valdarno Superiore).
In questa prospettiva, di sinergia e di complementarietà tra diverse
dimensioni di intervento, che valorizzi competenze e specificità dei
diversi attori, si possono individuare importanti possibilità di sviluppo della rete, anche attraverso l’individuazione di percorsi standard
da seguire ai fine della risoluzione delle problematiche in tutti i suoi
aspetti, che coinvolgano soggetti diversi, attribuendo ad ognuno la
gestione di una dimensione. Il tema è stato oggetto di un incontro
pubblico con il Difensore civico, nel novembre del 2013, promosso
dall’associazione Alde (Associazione Nazionale Donne Elettrici), cui
ha partecipato Croce Rossa. Durante l’incontro si è dibattuto su come
sia possibile gestire in forma integrata situazioni caratterizzate dalla
multidimensionalità di cui si accennava sopra.
Un esempio di tale situazione è dato dalla condizione di difficoltà da
parte di una famiglia che si trova costretta a pagare un’utenza che
non è in grado di sostenere economicamente, per non incorrere nella
sospensione del servizio, ma che ritiene che si tratti di un’attribuzione
indebita.
La collaborazione tra l’associazione e il Difensore civico, in questo
caso, si fonda sulla conciliazione di un intervento risolutivo dell’emergenza, da parte dell’associazione, per esempio provvedendo a coprire le spese con una forma di garanzia, o di prestito agevolato, e di un
intervento risolutivo delle radici del problema, da parte del Difensore
135
civico: intervento che richiederà, inevitabilmente, tempi più lunghi.
La costruzione di una rete orizzontale tra le associazioni può dunque completare e valorizzare la rete tra associazioni e difesa civica, dando forma a una rete radicata e capace di aprirsi alla
multidimensionalità.
Si tratta, a ben vedere, di una caratteristica che nel caso di maggior
successo, quello de Il Giardino di Figline, era già presente, e che
ha permesso alla realizzazione dello sportello di difesa civica di radicarsi in un terreno fertile. Il coordinamento e la cooperazione tra
una pluralità di associazioni attive nel territorio, infatti, non è solo un
elemento che facilita la costruzione di uno sportello di difesa civica,
anche laddove le piccole dimensioni delle associazioni e la scarsità
di risorse renderebbe difficile svolgere questa funzione in forma autonoma, ma è anche un elemento che consente ai volontari che raccolgono le istanze dei cittadini di indirizzarli verso le associazioni che
sono maggiormente in grado di offrire risposte alla problematica, integrando così l’azione del Difensore civico e per questa via ampliando
significati e modalità della funzione di advocacy.
L’approfondimento delle concezioni e degli approcci all’advocacy da
parte delle associazioni di volontariato e della difesa civica rivela una
pluralità di significati e di modi di praticare questa funzione.
Permangono divergenze di punti di vista e di prospettive tra l’azione
svolta dalla difesa civica e l’azione svolta dalle associazioni che, in
linea generale, sono fisiologici, data la diversa natura dei soggetti ma
che, proprio in virtù di una chiara distinzione dei ruoli, non rappresenta un impedimento al rafforzamento del confronto e della cooperazione, ma un fattore di reciproco arricchimento, in una prospettiva che
non vede il ruolo dei due soggetti sovrapporsi completamente, ma
condividere un tratto di strada comune, nel rispetto della reciproche
differenze.
Del resto, una diversità di approcci rispetto alla funzione di advocacy
si riscontra tra le stesse associazioni, che interpretano variamente la
funzione di advocacy come attività rivolta alla vertenza nei confronti
della violazione di un diritto; come attività di promozione di una amministrazione efficiente e orientata al rispetto della dignità dei diritti di
136
ogni cittadino o, meglio, di ogni essere umano; come attività rivolta
primariamente alle istituzioni o come attività di sensibilizzazione e di
mobilitazione rivolta alla cittadinanza. Per alcune associazioni l’attività di promozione e tutela dei diritti si rivolge a categorie specifiche
di cittadini, per altre si concentra, più in generale, sulle situazioni di
disagio, per altre ancora si rivolge all’intera cittadinanza.
I punti di convergenza, al di là di queste differenziazioni, sono ampi e
riguardano alcuni principi di fondo, quali l’inquadramento del ripristino
del diritto violato in un’ottica più generale di prevenzione della violazione del diritto, il costante collegamento tra diritto individuale e diritto
collettivo, la necessità di coniugare la dimensione del confronto con
le istituzioni alla mobilitazione dei cittadini, affinché siano loro stessi
i primi a reclamare il rispetto dei diritti. Infine, un importante punto di
convergenza riguarda la necessità di concepire la promozione e tutela dei diritti non come una dimensione di intervento autonoma, ma
come una funzione che si integra con una pluralità di interventi volti
a rimuovere le cause del disagio sociale, che, in un contesto come
quello attuale di crisi, includono più dimensioni.
La distinzione dei ruoli e della natura si riflette, ovviamente, in modalità di azione diverse, per cui, per esempio, un’associazione può prevedere tra i suoi strumenti di azione la mobilitazione, anche in chiave
di protesta di piazza, a supporto delle proprie rivendicazioni, mentre
gli strumenti di intervento del Difensore civico sono per definizione
orientati alla mediazione, alla conciliazione e alla persuasione nei
confronti delle istituzioni. Al pari, se una associazione può esprimere una posizione prettamente politica, il Difensore civico può offrire
una opinione sugli effetti di una determinata legge in materia di diritti
e di buona amministrazione, e anche suggerire possibili interventi,
ma non può esprimere valutazioni di natura strettamente politica sulla
bontà di una legge.
In una parola, il Difensore civico, a differenza delle associazioni, è
sempre vincolato ai rispetto del suo ruolo di terzietà, sia nei confronti
del rapporto tra cittadino e istituzioni che nel rapporto tra i diversi cittadini. La terzietà è al tempo stesso garanzia della sua autorevolezza
e quindi dell’efficacia dei suoi interventi, ma ciò non impedisce che
137
Difensore civico e associazioni di volontariato non possano condividere percorsi comuni, nell’ampia area di intersecazione tra le proprie
attività.
Lo stesso Difensore civico sottolinea che questa concezione del proprio ruolo, che nell’attività di promozione e tutela dei diritti dei cittadini
esclude ogni forma di intervento di tipo politico, non è condivisa, a
livello internazionale, in cui, come abbiamo visto, è la stessa normativa che, in paesi come la Spagna attribuisce al Difensore civico prerogative di tipo giurisdizionale e in parte anche di natura prettamente
politica, ma anche a livello italiano, dove tende, in alcune regioni, a
essere sostenuta una concezione del Difensore civico più “militante”,
che ne enfatizza il ruolo politico e lo conduce a concepirsi come figura che, per il ruolo che ricopre, deve stare dalla parte dei cittadini,
sempre e comunque.
Ci sono delle regioni in Italia in cui il Difensore civico è ancora
visto come una sorta di Difensore del popolo, ponendosi quindi
dalla parte del cittadino, piuttosto che in una posizione di equidistanza. É una visione minoritaria, ma esiste la visione del Difensore civico come tribuno del popolo, e si tratta di una figura che,
per esempio, esiste anche in Spagna, in cui si chiama Defensor
del pueblo. Si tratta di una concezione più politica della figura,
che a partito preso sta dalla parte del cittadino. Il Defensor del
pueblo può arrivare a rapportarsi con la giustizia, e applicare
sanzioni dirette al funzionario che non collabora, mentre in Italia
si dispone solo di un potere di suasion (Difensore civico).
Come sottolinea Gasparrini, dell’ufficio della difesa civica regionale,
rispetto all’advocacy che fa una associazione, va sottolineato
il ruolo di terzietà del Difensore civico, che non vuole dire che
non si sbilanci a favore del cittadino, che è la parte debole, ma
l’associazione tende di più ad assumere una dimensione politica e a stare sempre e comunque dalla parte del cittadino. Noi
possiamo esprimere delle valutazioni, ma se la legge stabilisce,
per esempio, che sulla Tarsu si paga l’Iva, non possiamo dire
che non è legittimo. L’associazione magari dice che sulla Tarsu
non si deve pagare l’iva e invita i cittadini a farsi una autoriduzione perché non è giusto, noi non possiamo fare questo tipo
di intervento (Vittorio Gasparrini – Ufficio del Difensore civico).
Un altro tipo di equilibrio che il Difensore civico è tenuto a mantenere
138
è quello che riguarda il bilanciamento tra i diritti delle diverse parti
in causa o, in altri casi, del bilanciamento tra i diritti tra i cittadini dei
diversi territori, elemento che le associazioni che operano in un territorio non sono tenute a considerare, anche perché la loro azione si
colloca in un contesto più circoscritto, mentre il Difensore civico ha
uno sguardo più generale.
Una prerogativa del Difensore civico è poi la sua costante opera
di monitoraggio, per cui si cerca di non limitarsi a risolvere il
caso singolo, ma di cambiare la regola generale, se il singolo
caso è spia di un problema generale. L’ultimo problema è relativo ai servizi pubblici, che, soprattutto a livello locale, sfuggono
ormai al controllo politico dell’amministrazione. Se io ho un problema di traffico con l’assessore competente riesco a risolverlo,
in un Comune piccolo ma anche a Firenze, se riesco a parlarci.
Se ho un problema con Publiacqua, il Comune di Incisa, dove
io facevo il Difensore civico può chiamare il presidente o il direttore generale di Publiacqua, ma non lo risolve il problema del
cittadino che ha una perdita e non vengono a fare la riparazione
(Gasparrini – Ufficio del Difensore civico).
L’istituto della difesa civica si caratterizza rispetto agli strumenti di tutela di tipo giudiziario, come il Tar o i giudici di pace, in quanto svolge
una funzione di conciliazione e di mediazione, oltre che di garanzia. I
cittadini, in una pluralità di situazioni, possono decidere di ricorrere a
uno o all’altro strumento (o a entrambi, in successione, per esempio
ricorrendo in giudizio se non sono soddisfatti dal risultato della mediazione).
Su una pluralità di problematiche, tuttavia, i cittadini possono fare
ricorso anche a strumenti alternativi di conciliazione. È il caso delle commissioni paritetiche. In molti settori le vertenze aperte dagli
utenti sono gestite dalle associazioni di tutela, in cui le problematiche
dei consumatori sono rappresentate dalle associazioni di tutela dei
consumatori, che cercano una risoluzione insieme ai rappresentati
dell’azienda. Le commissioni paritetiche sono attive in una pluralità di settori: in primo luogo l’energia, i servizi idrici e la telefonia. In
quest’ultimo caso i cittadini possono rivolgersi anche al Corecom per
tutelarsi a fronte di disservizi. In tutti questi settori i cittadini possono
rivolgersi anche al Difensore civico, che ha competenza in tutte le
139
problematiche relative alla pubblica amministrazione, ma anche dei
servizi pubblici, pur se gestiti da privati. Si tratta di un aspetto che
caratterizza il Difensore civico in Toscana, rispetto ad altre regioni italiane in cui l’accento è posto in via esclusiva sulla tutela dei cittadini
di fronte alla pubblica amministrazione, e che ha la conseguenza di
ampliare sensibilmente il campo di intervento del Difensore civico.
Sottolineo una specificità della regione Toscana: noi parliamo di
Pubblica amministrazione e servizi pubblici, ma è una invenzione tipicamente toscana, perché in altre parti e in altre regioni, il
servizio pubblico, in quanto gestito da privati, non è considerato
competenza del Difensore civico. A noi piace pensare in questa
maniera, d’altra parte siamo stati la prima regione in Italia ad
istituire il Difensore civico, potremo avere questo diritto e questa
capacità di fare da apripista. In altre regioni il Difensore civico può intervenire rispetto al titolare del servizio pubblico, per
esempio la regione, ma non dell’azienda che gestisce il servizio pubblico, noi qui in Toscana siamo riusciti a fare istanza nei
confronti delle compagnie di volo, che sono sempre trasporto
pubblico, ma bisogna tirare un po’ il concetto per riuscire a fare
istanze (Difensore civico).
Questo ampliamento delle competenze del Difensore civico può generare una sorta di competizione, poiché la stessa problematica può
seguire percorsi diversi e rivolgersi a diversi interlocutori ai fini della
risoluzione: le associazioni dei consumatori, se si intraprende la strada della commissione paritetica, o il Difensore civico, se si sceglie
di indirizzare un’istanza a questo istituto. Se in molti casi la presenza
di una pluralità di strumenti rappresenta un ampliamento delle possibilità di scelta da parte del cittadino, in alcune situazioni possono
emergere divergenze di vedute e contrapposizioni tra le associazioni
e il Difensore civico.
È quanto è successo in relazione all’istituzione della commissione
mista conciliativa regionale per la risoluzione dei disservizi e delle
problematiche relative ai servizi idrici. Nel 2011 la regione Toscana ha
istituito l’autorità idrica unica, con l’obiettivo di eliminare la frammentazione dei regolamenti e dei rapporti con i gestori. Tra gli obiettivi
dell’autorità idrica unica vi è l’adozione di un regolamento unico che
regola l’organizzazione del servizio e i criteri che il gestore è tenuto
140
a seguire, per esempio in materia di perdite occulte, in cui variano
sensibilmente le quote di spesa a carico del gestore e a carico del
cittadino.
Tra gli elementi di differenziazione vi sono i regolamenti delle commissioni miste conciliative nei diversi Ato. In uno di questi, si è verificato
un conflitto tra associazioni di tutela dei consumatori e Difensore civico in merito alla regolamentazione della commissione mista conciliativa, che è presieduta dal Difensore civico, e che vede la partecipazione delle associazioni, con un criterio di turnazione e del gestore.
In un Ato avevamo già trovato un accordo ma una associazione
si è opposta perché non voleva la commissione mista conciliativa, perché la commissione mista conciliativa è unica, è regionale, e le associazioni devono fare a turno. Ma loro hanno
voluto mantenere come primo livello la commissione paritetica
(...), così le associazioni mantengono una rappresentanza più
forte. Io mi sono opposta, loro volevano che il percorso fosse
obbligato che il primo livello prevedesse la commissione paritetica e solo in secondo livello si andasse alla commissione mista.
Al cittadino così si limitano le possibilità di accesso. Invece è il
cittadino che deve avere la possibilità di scelta. Al cittadino allora, da parte del gestore, dovrà essere detto che si può rivolgere
alla commissione paritetica, o al Difensore civico e alla commissione mista conciliativa. Ciò non toglie che se non si ottiene
una soluzione in commissione paritetica non si possa passare
alla commissione mista, ma non solo come opzione di secondo
livello. Più possibilità di scelta il cittadino ha, più diritti riesce a
tutelare (Difensore civico).
Si tratta di un caso esemplare in cui tra soggetti che perseguono lo
stesso obiettivo, la tutela dei diritti dei cittadini, a partire da diversi
punti di vista, si possono creare divergenze e conflitti che ostacolano
una piena collaborazione.
In altri casi delle difficoltà sorgono dalla moltiplicazione degli organi
di garanzia e di tutela, non in relazione a diversi settori di intervento
ma rispetto a diverse categorie di individui. È il caso di figure come
il garante dei detenuti, per i quali l’esistenza di un apposito garante
ha l’effetto paradossale di privare questi della tutela che potrebbero
avere dal Difensore civico, poiché le loro problematiche sono di competenza del garante dei detenuti, che però non dispone dei poteri di
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cui invece dispone il Difensore civico, in relazione all’accesso agli
atti. L’esistenza di uno specifico organo di garanzia, che per legge ha
la titolarità dei casi riguardanti i detenuti anche in tutte le materia che,
per la generalità della cittadinanza sono oggetto di intervento del Difensore civico, fa sì che le associazioni che intendono sollevare una
problematica in materia di trattamento sanitario debbano rivolgersi a
una figura che dispone di minori poteri e il cui potere è di conseguenza meno efficace. A fronte di questo paradosso, le associazioni impegnate nella tutela dei diritti dei detenuti auspicano una revisione della
figura del garante, che gli attribuisca poteri equiparati a quello del
Difensore civico (il principale elemento di differenziazione è l’accesso
agli atti), o, in alternativa, suggeriscono l’affidamento della promozione e tutela dei diritti dei detenuti al Difensore civico, possibilmente
dotandolo di un ufficio apposito, con specifiche competenze.
Il Difensore è un’esperienza importante perché rispetto ad altri
garanti e mediatori ha dei poteri concreti, per esempio quello di
accesso agli atti. Cosa che noi non possiamo fare e neanche il
garante dei diritti dei detenuti può fare, per cui anche il garante
del diritti del detenuti è svuotato di ogni capacità di intervenire
che non sia legata alla sua personale abilità e capacità di sapersi relazionare con le amministrazioni e convincerle a fare qualcosa, ma è un potere che la legge non gli attribuisce. Purtroppo
per la legge regionale c’è un problema di competenze, di attribuzione perché la legge dice che le competenze del garante
dei diritti del tenuti non si devono accavallare con quella del Difensore civico. La situazione è paradossale perché c’è una serie
di diritti che riguardano i detenuti che formalmente spettano al
Difensore civico perché il detenuto è una persona, ma dal momento che c’è il garante dei detenuti, tutto deve passare da lui,
noi abbiamo provato a mettere sullo stesso tavolo il garante e il
Difensore, ma non ci sono state conseguenze perché il Difensore non può occuparsi di questi temi se non passando attraverso
il garante, il cui ufficio è poco strutturato, oltre ad avere pochi
poteri, a differenza del Difensore civico. Io non so come si può
risolvere sul piano formale, se è possibile un protocollo tra i due
garanti, perché il potere di accesso agli atti è fondamentale, se
oggi il garante dei detenuti ravvisa delle violazioni non può chiedere l’accesso al fascicolo del detenuto per vedere se ci sono
state effettivamente violazione e se le cose sono andate come
dice il detenuto stesso, la legge non attribuisce quel potere, e
142
magari lui è in buoni rapporti con la direzione ma non ha questa
prerogativa, soprattutto in materia sanitaria che è una materia
importantissima per i detenuti. Eppure anche in questo caso,
la gestione è della sanità e della Asl, e quindi di livello regionale, se un cittadino ha un problema può rivolgersi al Difensore
civico, ma non se è un detenuto. È una cosa paradossale che
andrebbe risolta (l’Altro Diritto).
La scelta di invertire la tendenza alla frammentazione delle funzioni
di garanzia e di tutela dei diritti e di farne convergere le funzioni nella
difesa civica regionale, è recentemente stata assunta nella regione
Marche, e anche il Difensore civico toscano indica in questa soluzione la strada da seguire.
4.
Un modello per l’Italia e per l’Europa
La rete territoriale di promozione e tutela dei diritti costruita in Toscana, tenuto conto delle dinamiche attivate e delle sue potenzialità di
sviluppo, anche oltre gli obiettivi iniziali, si rivela una promising practice, che afferma una triangolazione virtuosa tra cittadini, associazioni
di volontariato e difesa civica, capace di innescare processi di valorizzazione reciproca e di learning by doing nella finalità condivisa di
affermare una prassi e una cultura diffusa di promozione e tutela dei
diritti. L’esperienza toscana può rappresentare un modello di riferimento sia a livello italiano sia a livello europeo. Per quanto riguarda
l’Italia, unico paese europeo che non ha ancora istituito il Difensore civico nazionale, contravvenendo alla raccomandazione espressa dalle istituzioni europee in tal senso, la costruzione di reti tra i Difensore
civici regionali e l’associazionismo può favorire lo sviluppo di una rete
capillare di difesa dei diritti dei cittadini.
L’assenza del Difensore civico nazionale attribuisce ancora maggiore responsabilità ai Difensori civici regionali che, tuttavia, sono attivi
in poco più di metà delle regioni italiane, e sono generalmente debolmente supportati dalle amministrazioni regionali e locali e scarsamente dotati di risorse. In questo contesto, la regione Toscana, che
ha storicamente svolto un ruolo pioneristico in materia di difesa civica, continua a caratterizzarsi per la sua spinta innovatrice, che, con
l’insediamento del Difensore civico toscano a capo del coordinamen-
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to nazionale dei Difensori civici regionali, può trovare nuovo impulso.
Citando le parole di una responsabile di una associazione intervistata,
il Difensore civico è una di quelle istituzioni che ci avvicina
all’Europa, ed è importante anche per questo, perché l’Italia ha
bisogno di crescere sul piano culturale e civico in senso europeo (Circolo Legambiente Gallo verde).
Il consolidamento della rete territoriale di promozione dei diritti promossa da Cesvot, sotto questo aspetto, in coincidenza con l’anno
europeo dei cittadini offre un importante contributo a questo tipo di
avvicinamento, rafforzando e attribuendo nuovi significati alla sinergia tra associazioni di volontariato e difesa civica regionale ai fini di
un’azione di promozione e tutela dei diritti che, come abbiamo visto,
valorizza la diversità di punti di vista e di modalità con cui i diversi
attori territoriali interpretano questa funzione, e contribuendo a una
importante opera di sensibilizzazione sul piano della coscienza dei
diritti, oltre che nell’implementazione di un servizio radicato nel territorio.
Si tratta di un’esperienza che può trovare sviluppo a livello italiano e
a livello europeo, incontrando un impulso importante nel ruolo di coordinatore dei Difensori civici nazionali da parte del Difensore civico
Toscano Lucia Franchini che, oltre ad attribuirle un ruolo di guida a
livello nazionale, le permette, a livello europeo, di essere riconosciuta
alla stregua del Difensore civico nazionale.
A livello nazionale, le prospettive di allargamento e di riproposizione
dell’esperienza della rete in altre regioni è ostacolata dalla diversità
dei contesti, oltre che dalla diversità che caratterizza la figura del Difensore civico. Non in tutte le regioni, per esempio, è attivo un Centro
Servizi del Volontariato che possa svolgere il ruolo trainante svolto
da Cesvot in Toscana. In alcune regioni, come in Lombardia, Veneto,
Emilia-Romagna, che stanno sperimentando nuove modalità di radicamento territoriale del Difensore civico regionale, è invece possibile
pensare ad una estensione del modello.
Ancor più concreta appare la possibilità che il modello toscano di
rete territoriale di promozione e tutela dei diritti possa porsi come modello di riferimento a livello europeo, grazie all’interessamento attivo
144
del mediatore europeo ad una esperienza che, quando presentata,
è stata recepito come innovativa e meritevole di essere discussa e
approfondita. Come osserva il Difensore civico toscano, l’unica esperienza assimilabile a quella sperimentata in Toscana è stata realizzata
nei Paesi Baschi.
145
Pratiche di advocacy in azione.
Considerazioni conclusive
di Luca Raffini, Andrea Pirni e Carlo Colloca
Il principio della cittadinanza si fonda, in primo luogo, su un’attribuzione formale: definisce chi fa parte di una comunità politica, tracciando una distinzione tra insiders e outsiders. La democrazia è un
concetto aperto, in divenire, un ideale cui tendere, al punto che una
società democratica può dirsi una società dove i processi di democratizzazione sono costantemente in azione. Parimenti, il concetto di
cittadinanza prende forma dalla continua evoluzione e dall’estensione dei diritti e dei doveri che lo definiscono. Si tratta di dinamiche che
acquisiscono maggiore significatività in una società in mutamento,
come quella contemporanea, che registra l’ampliamento delle sfere
di applicazione dei diritti – si pensi ai diritti culturali o ai diritti in materia di autodeterminazione e di bioetica – ma che al tempo stesso
evidenzia il profilarsi di un rischio di contrazione dei diritti anche per
effetto della crisi economico-finanziaria degli ultimi anni. Rischi che si
concretizzano nella erosione dei diritti dei lavoratori o nella costruzione di nuovi steccati che definiscono una concezione della cittadinanza esclusiva, piuttosto che inclusiva.
Il concetto di cittadinanza, nato in stretta connessione con la nozione di appartenenza territoriale, sta vivendo, da anni, un processo di
stiramento, in chiave transnazionale, quale potenziale contraltare di
una cittadinanza nazionale che appare sempre più “svuotata” dai limiti posti alla sovranità nazionale, nonché dai crescenti fenomeni di
marginalità e di esclusione sociale: fenomeni che trovano la loro origine nelle dinamiche globali, ma che si riflettono in forma diretta sui
territori, che sono chiamati a gestire e a rispondere proattivamente
alle sfide globali, nella dimensione economica, così come sul piano
della cittadinanza e dei diritti.
La cittadinanza, ridefinendosi in chiave post-nazionale, è sottoposta
a processi di deterritorializzazione e di rilocalizzazione. Se alla cittadinanza nazionale si affiancano forme di cittadinanza sovranazionale
146
e di cittadinanza di residenza (Ferrera 1993; Faist 2007), anche i diritti scaturiscono, ed al tempo stesso trovano esigibilità, in una pluralità
di livelli. I processi di globalizzazione e di europeizzazione (Raffini
2010), accompagnandosi all’affermazione del principio della sussidiarietà verticale e orizzontale, attribuiscono ai territori una rinnovata
centralità, al punto di dare forma ad inediti processi di “localismo dei
diritti” (Gargiulo 2011) che si manifestano in particolare in alcuni settori di policy-making, quali le politiche sociali e la governance dell’immigrazione, presentando rischi e opportunità (Colloca et al. 2012).
È a partire da ciò – e la ricerca lo evidenzia – che le dimensioni locale
e regionale non sono più meri contesti territoriali di applicazione, ma
acquistano un ruolo propositivo proattivo, sia nell’allargamento dei
diritti, sia nella loro promozione e tutela, e per questa via prefigurano,
favoriscono – e talvolta inibiscono – la piena attivazione della cittadinanza, poiché questa dipende dallo sviluppo di pratiche concrete
di condivisione di diritti e doveri che, a loro volta, sono condizionate
da fattori strutturali e culturali (Baglioni 2009). Proprio dall’intreccio di
queste due dimensioni, una relativa agli strumenti concreti che rendono possibile la piena fruizione dei diritti da parte dei cittadini con
il superamento di ogni forma di discriminazione, e una relativa alla
piena affermazione di una cultura dei diritti, è possibile la piena affermazione della cittadinanza, in chiave inclusiva.
Il protagonismo dei territori, insomma, si afferma, parallelamente
all’ampliamento delle sfere di autonomia in settori strategici del policy-making, nelle peculiari pratiche di cittadinanza sviluppate e dal
loro carattere più o meno inclusivo, nonché nella capacità di affermare il diritto di “buona amministrazione”, quale diritto-filtro il cui perseguimento è chiave di volta per la piena affermazione della cittadinanza, in tutti i suoi aspetti, e che può trovare impulso in percorsi virtuosi
di confronto e cooperazione tra la pluralità di soggetti che, in ambito
istituzionale e della società civile, pongono la promozione e la tutela
dei diritti come propria mission.
Dalla ricerca emerge che la costruzione della rete territoriale per la
promozione dei diritti si fonda dunque su una triangolazione tra cittadini, associazioni di volontariato e Difensore civico, il cui studio offre
147
l’occasione per sviluppare una più ampia riflessione sulla declinazione locale del principio di cittadinanza e, in particolare, sulla dimensione della tutela e promozione dei diritti. Quest'ultima azione ricopre un
ruolo determinante nel trasformare il principio formale di cittadinanza
in una pratica concreta, con particolare riferimento alle fasce più deboli della popolazione. Una fascia che tradizionalmente comprende
anziani, donne, minori, migranti, famiglie in condizioni di marginalità
socio-economica, e che nel contesto di una crisi economica che da
congiunturale sempre più si configura come strutturale, tende ad ampliarsi, al punto che, anche in un territorio come quello toscano, si
stima che circa un terzo della popolazione sia sottoposto al rischio
di povertà, e quindi a processi di marginalizzazione e di esclusione
sociale. Terreni fertili questi ultimi per lo sviluppo di forme di indebolimento della cittadinanza e di esclusione dalla fruizione piena dei diritti. La crisi economica si inserisce in un processo di lungo periodo di
trasformazione del Welfare State e di riconfigurazione dei rapporti tra
cittadini, istituzioni e Terzo settore al punto che quest’ultimo, come è
stato sottolineato da una recente ricerca promossa da Cesvot (Salvini, Corchia 2012), vive una fase di ridefinizione con il protagonismo di
un “nuovo volontariato” che reinterpreta la propria funzione di azione
sussidiaria in ambito sociale, e che sempre più affianca alla dimensione della prestazione di servizi un’azione di advocacy. Proprio la
funzione di advocacy del volontariato si pone al centro della nostra ricerca, come dimensione nodale sulla quale riflettere e che si completa con l’analisi della funzione di tutela dei diritti svolta dall’istituto della
difesa civica e, soprattutto, con l’analisi dei percorsi virtuosi che si
possono sviluppare attraverso l’incontro e la collaborazione tra questi due mondi. Entrambi centrali ai fini della promozione e tutela dei
cittadini, e soprattutto a favore delle sue fasce più deboli e marginali.
L’idea di fondo a partire dalla quale si è sviluppata la ricerca è che
l’attività di promozione e tutela dei diritti non costituisca una specificità di una parte dei soggetti del volontariato, limitata quindi a quelli
che indicano questa funzione come settore prevalente di attività, e
che sia, piuttosto, una caratteristica qualificante di un associazionismo che si interpreta come soggetto attivo nella costruzione di un
148
modello di società ispirato alla piena realizzazione dell’individuo, al
superamento delle discriminazioni, alla pari condivisione di diritti e
doveri. Un volontariato che non si concentra sulla risoluzione delle
emergenze, ma che svolge un più ambizioso ruolo di trasformazione della società. A ben vedere, questa caratterizzazione del ruolo
dell’associazionismo non è un elemento che si può dare per scontato, è piuttosto l’esito di percorsi condivisi e delle forme assunte dalle
interazioni tra le diverse anime che compongono il Terzo settore e dai
rapporti intessuti da questo con le istituzioni e i cittadini. In tempi di
antipolitica, il volontariato può, infatti, rivendicare una sua caratterizzazione come associazionismo del fare che sottolinea la sua alterità
e specificità rispetto alle istituzioni e più in generale, alla dimensione
politica. Ma un associazionismo che si autodefinisce in questi termini, e che si concentra quindi nella risoluzione delle problematiche
quotidiane delle persone, rischia di non interrogarsi sulle cause dei
problemi su cui interviene, di fornire assistenza ai soggetti deboli e
marginali, non contribuendo a correggere le cause che determinano
l’esistenza di tali condizioni di marginalità e di debolezza, che possono essere di natura legale, amministrativa o culturale.
Anche da questo punto di vista la società toscana rappresenta un
modello che vede l’associazionismo rivestire un ruolo centrale nella
realizzazione di attività di assistenza e di risoluzione dei problemi,
ma anche nel contribuire attivamente alla governance di fenomeni
complessi che si manifestano chiedendo alla società locale non soltanto di gestire i problemi, ma di costruire specifici modelli territoriali
che governino i fenomeni, a partire dal rispetto dei diritti. È in questo
senso che la promozione e tutela dei diritti viene a configurarsi come
un’attività trasversale alle diverse associazioni che, in forma diversa
e con specifici obiettivi, si attivano nel territorio, al di là della natura e
della mission perseguita.
L’interesse espresso dalle associazioni toscane nei confronti del progetto “Per i diritti dei cittadini” rappresenta il primo indicatore della
condivisione effettiva di questo approccio che concepisce la promozione e tutela dei diritti non come un settore specialistico di intervento, ma come una attività costitutiva della stessa idea di volonta-
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riato, che trova quindi una possibile declinazione in tutti i settori di
intervento. L’adesione al progetto, cui prendono inizialmente parte 58
associazioni è, infatti, sia sul piano quantitativo, sia sul piano qualitativo, particolarmente rilevante in quanto coinvolge uno spaccato assai
eterogeneo e diversificato del volontariato toscano: associazioni che
individuano nella promozione e tutela dei diritti il principale settore di
intervento, ma anche associazioni ambientaliste, culturali, e soprattutto sociali e socio-sanitarie, molte delle quali di dimensioni mediopiccole.
Proprio l’eterogeneità delle associazioni aderenti fornisce un elemento di interesse per l’indagine: non si tratta di una rete tra associazioni
specializzate nella funzione di advocacy, ma di una rete di associazioni che trovano nella tutela e promozione dei diritti un minimo comune denominatore, un filo rosso, che ne unisce le prospettive e i
significati, a partire da interessi specifici che sono altrimenti assai
diversificati e, in alcuni casi settoriali, contribuendo così a costruire
un terreno comune di confronto e di azione, in cui la questione della
tutela e della promozione dei diritti perde il proprio carattere astratto
e prende forma attraverso i problemi quotidiani ed i cleavages che i
soggetti incontrano laddove esercitano i propri diritti.
La trasversalità del tema si presta alla costruzione e al rafforzamento
di una rete, non tra organizzazioni simili, ma tra organizzazioni unite
nella diversità che consenta di confrontare significati e repertori di
azione diversi e di condividere le migliori pratiche, rendendo la promozione e la tutela dei diritti un ambito trasversale di confronto, sia tra
le associazioni, sia tra queste e il Difensore civico.
La diversità e la ricchezza di competenze e di approcci presenti rappresenta un potenziale valore aggiunto che può avvicinare la difesa
civica al più alto numero di cittadini e di problematiche e, al tempo
stesso, può valorizzare le associazioni aderenti, favorendo non solo
uno scambio verticale tra Difensore civico e associazioni, ma tra le
stesse associazioni, nonché eventualmente indirizzare il cittadino, oltre che dal Difensore civico, dal soggetto o dai soggetti che possono
offrire sostegno e supporto rispetto alla problematica sollevata. Ciò
a partire dalla consapevolezza, emersa con forza dalla ricerca, che
150
nel contesto della crisi economica i cittadini vivono spesso problematiche e situazioni di disagio che si riverberano su una pluralità di dimensioni, e che per essere efficacemente risolte richiedono interventi
capaci di affrontare tale pluralità, non limitandosi all’aspetto sociale,
o a quello legale. La necessità di sviluppare un approccio olistico
alle problematiche, che raramente si presentano limitate a un aspetto
specifico, si pone potenzialmente in contraddizione con la tendenza del volontariato a specializzarsi e a settorializzarsi, rispondendo
così tanto alle esigenze dei destinatari, poiché la sempre maggiore
complessità delle problematiche richiede apposite competenze, che
a quelle degli stessi volontari, che nell’agire solidale perseguono un
criterio di reciprocità e, sempre più, intendono mettere a disposizione
le proprie competenze per offrire risposte concrete, piuttosto che una
generica buona volontà. La ricostruzione di un approccio integrato,
con particolare riferimento alla gestione della marginalità e della tutela dei soggetti più deboli, a partire da queste premesse, può essere
promossa con la realizzazione e il consolidamento di reti che favoriscano il dialogo e la sinergia tra associazioni di volontariato e soggetti
istituzionali attivi nella promozione di una cultura e di una prassi di
tutela dei diritti.
La costruzione di una sinergia tra Difensore civico e associazioni,
nella realizzazione di un sistema territoriale di advocacy non affida,
infatti, alle associazioni un ruolo di sostituzione del cittadino nella tutela dei diritti, gli attribuisce piuttosto il compito di affiancarlo ad adiuvandum, con modalità che inquadrino la tutela del diritto negato in
una ottica più ampia di promozione e tutela degli “interessi diffusi”. Si
tratta di un progetto, quindi, che riconosce le funzioni svolte dell’associazionismo attivo sul territorio, ne valorizza le attività e il ruolo di
partner istituzionale, favorisce lo scambio di esperienze e, soprattutto, integra gli interventi di difesa dei cittadini, di fronte alla violazione
dei diritti, alla loro negazione, anche in conseguenza di un malfunzionamento delle pubbliche amministrazioni. Il tutto si inquadra in un più
ampio progetto di affermazione di una cultura dei diritti e di risposta
alla crisi di fiducia nella legalità, contribuendo, per questa via, alla
ricucitura dei rapporti tra cittadini e istituzioni, e quindi alla riprodu-
151
zione/generazione di capitale sociale. Questa serie di esiti possibili
del progetto si integra e dà forza all’obiettivo primario, che è quello
per cui le associazioni aderenti sono chiamate a fornire “informazione, assistenza e supporto ai cittadini che desiderano presentare le
istanze di reclamo presso i Difensori civici, integrandone le attività e
facilitandone il rapporto con il territorio”.
La ricerca ha permesso di studiare associazioni che operano in settori diversi, con molteplici modalità organizzative e mission, seppur
unite dal filo comune della tutela e promozione dei diritti: attività che
le associazioni intervistate svolgono seguendo modalità e target specifici. Alcune identificano in questa attività il fine costitutivo e l’attività
prevalente, altre individuano nella pluridimensionalità degli interventi
un principio distintivo della propria attività. Ciò avviene soprattutto
quando la mission associativa è rivolta a categorie specifiche di cittadini, i cui interessi si cerca di perseguire “a trecentosessanta gradi”.
Infine, vi sono associazioni per cui la promozione e tutela dei diritti è
un ambito di attività avvertito come rilevante ma ancora scarsamente
esplorato. In questo caso, l’adesione al progetto “Per i diritti dei cittadini” ha offerto l’occasione per aprire nuovi orizzonti di azione.
Sono stati individuati diversi modi di concepire la triangolazione tra
cittadini, associazioni di volontariato e difesa civica, sulla base dei
quali è stata costruita una tipologia di modalità di adesione alla rete
territoriale di promozione e di tutela dei diritti.
L’adesione silente descrive una minoranza di associazioni, non precedentemente attive nell’ambito della tutela dei diritti, che hanno aderito al progetto “Per i diritti dei cittadini” condividendone obiettivi e
filosofia di fondo, ma che, per la scarsa disponibilità di risorse, non
hanno avviato una attività di intermediazione tra cittadini e Difensore
civico.
Il tipo dell’associazione filtro descrive un approccio che privilegia, da
parte delle associazioni, la formulazione di istanze collettive rispetto
alla trasmissione di istanze individuali. L’associazione filtro tende, in
questo modo, a proporsi come strumento indiretto di raccordo tra cittadini e difesa civica, piuttosto che a porre in diretta connessione cittadini e Difensore civico. A declinare in questo modo il proprio ruolo
152
nella rete territoriale di promozione e tutela dei diritti sono in prevalenza le associazioni per cui la promozione e tutela dei diritti rappresenta il settore primario di intervento, e che tendono di conseguenza a
“preservare” il loro ruolo di interlocutore privilegiato dei cittadini ai fini
della difesa dei diritti. Il ricorso al Difensore civico è praticato come
strumento di supporto alla propria azione, quando una problematica
dimostra di avere un carattere diffuso e strutturale, richiedendo quindi
un intervento incisivo e di ampio respiro, che l’associazione non può.
Per queste associazioni l’adesione al Progetto non ha determinato
significativi mutamenti organizzativi e di approccio all’advocacy. Nel
tipo dell’associazione filtro rientrano anche associazioni con mission
specialistiche, i cui destinatari sono soggetti a particolari condizioni
di disagio e di debolezza, e per cui, data la loro condizione, le problematiche assumono generalmente un dimensione collettiva. Si tratta
delle associazioni che si occupano di migranti, di detenuti, di rifugiati,
ma anche delle associazioni che si occupano delle problematiche relative a patologie specifiche. In questo caso le associazioni scelgono
di intervenire in prima persona nel sollevare questioni di interesse diffuso in quanto si tratta della via più efficace per risolvere questo tipo
di problematiche, riguardanti interi settori della popolazione.
Il tipo dello sportello territoriale di difesa civica, al contrario, vede le
associazioni svolgere una funzione di terminale territoriale della difesa civica, e quindi attivare una funzione di intermediazione in senso
stretto. Aprendo uno sportello l’associazione offre ai cittadini la possibilità di segnalare qualsiasi tipo di problematica relativa alla cattiva
amministrazione o di sospetta violazione dei diritti, al di là dell’ambito
di intervento dell’associazione che offre il servizio. Questo modello è
più facilmente adottato dalle associazioni generaliste e il cui settore di
intervento primario non è la promozione e tutela dei diritti. Per queste
associazioni l’adesione al progetto “Per i diritti dei cittadini” ha rappresentato una occasione di formazione e di crescita per l’associazione
e i suoi soci e un’opportunità per arricchire e valorizzare la propria
azione nella società. L’adesione al progetto rappresenta lo strumento
ideale che consente di perseguire quel principio di integrazione tra
dimensione della risoluzione della problematica e dimensione della
153
affermazione del diritto, che risponde ai valori di riferimento di un volontariato che rifiuta di autoconcepirsi come mero fornitore di servizi.
Infine, la tipologia è completata dal gruppo dei protagonisti potenziali. Rientra in questa categoria una pluralità di associazioni che non
hanno aderito al progetto, ma che potrebbero apportarvi un importante contributo. Tra i “protagonisti potenziali” vi sono, in primo luogo, le grandi associazioni di tipo ricreativo-culturale e socio-sanitarie
che, per la loro presenza capillare nei territori e per la natura eterogenea dei cittadini che vi fanno riferimento, potrebbero svolgere un
ruolo centrale di intermediazione con la difesa civica, integrando tale
funzione nella loro attività quotidiana sul territorio. Altri protagonisti
potenziali sono le associazioni di migranti, che possono trovare nella
sinergia con il Difensore civico e con le altre associazioni attive nel
territorio gli strumenti per tutelare e promuovere i diritti di un settore
della popolazione che è particolarmente sottoposto al rischio di essere posta al margine della fruizione dei diritti, data la condizione di
debolezza, che rende difficile praticare forme di auto-advocacy.
L’analisi in profondità della pluralità di approcci alla funzione di advocacy, rivela, dunque, come questi siano condizionati dalla vision, dalla mission, dal/dai settore/i di intervento dell’associazione, e, più in
generale, dalla concezione del volontariato che anima l’associazione.
Tali approcci precedono l’adesione alla rete e ne condizionano l’inserimento, suggerendo che i diversi modi di concepire obiettivi e modalità di funzionamento della rete non costituiscono un limite, ma, al
contrario, un fattore di ricchezza per lo sviluppo della rete stessa, attribuendo ad associazioni con storia e obiettivi diversi, ruoli differenti.
Prendendo spunto dal dibattito scientifico italiano ed internazionale
sui significati e sulle modalità organizzative che caratterizzano la funzione di advocacy svolta dalle associazioni di volontariato (Jenkins
2008; Moro 2010; Reid 2010), possiamo, a partire dai risultati dell’approfondimento empirico realizzato a livello toscano, elaborare una tipologia complessiva di approcci alla promozione e tutela dei diritti
(tab. 1).
La dimensione principale su cui è costruita la tipologia riguarda gli
interlocutori dell’azione svolta, che possono essere le istituzioni o la
154
cittadinanza nel suo complesso.
Nel primo caso le associazioni svolgono una funzione di advocacy
politica, o diretta, mentre nel secondo caso la funzione di advocacy
assume una forma indiretta, in quanto si pone l’obiettivo di mobilitare i
cittadini. Si può parlare a proposito di una attività di advocacy sociale.
La seconda dimensione di distinzione riguarda l’orientamento dell’azione di advocacy lungo l’asse definito dalla coppia concettuale “intervento reattivo”-“intervento preventivo”.
I tipi che compongono la tipologia sono da intendersi in forma idealtipica, ovvero come tipi ideali, che sul piano pratico non si presentano
in forma esclusiva, ma danno luogo a una pluralità di combinazioni: in
entrambi gli assi. Una modalità di intervento non esclude infatti l’altra,
e l’efficacia dell’azione di promozione e tutela dei diritti, al contrario,
può scaturire proprio dalla multidimensionalità dei piani di intervento.
Tab. 1: Una tipologia di approcci all’advocacy
Approcci all’advocacy
Sociale (indiretta) – rivolta alla
cittadinanza
Politica (diretta) – rivolta alle
istituzioni
Reattiva (intervento di ripristino
del diritto)
Mobilitazioni, manifestazioni
di protesta rispetto alla violazione dei diritti.
Interventi di ripristino a fronte
di diritti negati.
Proattiva (intervento di prevenzione e promozione)
Campagne di educazione e di
sensibilizzazione.
Collaborazione con i soggetti istituzionali finalizzata
all’ampliamento/promozione
dei diritti.
Tenendo conto delle frequenti sovrapposizioni delle diverse modalità
di azione, la funzione di advocacy politica, o diretta è privilegiata dalle
associazioni per le quali la promozione e tutela dei diritti è costitutiva
della propria mission. Questo tipo di associazioni si rivolge agli attori
istituzionali per “dare voce a chi non l’ha”, sia in relazione al caso
singolo, sia in relazione a questioni di interesse diffuso. Il rapporto di
interlocuzione può essere di tipo conflittuale o di tipo cooperativo, a
seconda della problematica affrontata e della disponibilità al confronto da parte delle istituzioni.
Un esempio paradigmatico di intervento finalizzato al ripristino a seguito della violazione di un diritto è rappresentato dalle vertenze con-
155
dotte dalle associazioni di tutela dei consumatori e degli utenti, mentre
esempi di interlocuzione con le istituzioni finalizzati alla prevenzione
della violazione e all’ampliamento dei diritti sono le attività formative
rivolte agli studenti delle scuole, o la realizzazione di iniziative e progetti finalizzati alla revisione legislativa, in cui le associazioni agiscono
in qualità di partner delle istituzioni. Il dato che emerge dalla ricerca è
che, quando possibile, le associazioni toscane tendono a privilegiare
un rapporto di collaborazione con le istituzioni, confermando quanto
emerso dalla precedente ricerca Cesvot Identità, bisogni e rappresentazioni del volontariato in Toscana (Salvini, Corchia 2012).
L’advocacy sociale, o indiretta, indica un’azione finalizzata a promuovere la tutela dei diritti ad ampio raggio, che individua come obiettivo
la diffusione di una cultura dei diritti tra i cittadini, in particolare tra i
più marginali. Questo tipo di intervento parte dal presupposto che la
violazione del diritto è alimentata da una scarsa consapevolezza dei
diritti e degli strumenti che ne favoriscono la difesa. L’attività di advocacy sociale si fonda, a partire da questa premessa, sulla promozione della mobilitazione dei cittadini, perché a loro volta esprimano la
propria voce nei confronti delle istituzioni politiche, e sulla realizzazione di iniziative e progetti finalizzati a diffondere una cultura dei diritti.
Anche in questo caso, dunque, le modalità di intervento possono privilegiare il ricorso ad approcci conflittuali, come l’adesione a manifestazioni di protesta, o assumere la forma di azioni proattive, come le
campagne di sensibilizzazione. Per le associazioni che si occupano
di diritti degli immigrati, per esempio, lo strumento della protesta è
quello che ha caratterizzato le manifestazioni contro i Centri di Identificazione e di Espulsione, mentre lo strumento della sensibilizzazione
nella forma di campagna “dal basso” è stato utilizzato per promuovere la campagna L’Italia sono anch’io.
Assumendo questa seconda declinazione, la funzione di advocacy
non si configura come una modalità di azione specialistica, e rivela un coinvolgimento diffuso da parte delle associazioni toscane di
volontariato, anche se le attività che vi rientrano non sono spesso
definite nei termini dell’advocacy da parte dei suoi protagonisti. Ancor più dell’advocacy diretta, che richiede il possesso di competenze
156
specifiche, è l’advocacy indiretta che si configura come una funzione
trasversale e diffusa dell’associazionismo, che vede impegnate, in
particolare, le associazioni che individuano il primo settore di intervento in ambiti diversi dalla promozione e tutela dei diritti. La funzione
di advocacy indiretta, finalizzata alla mobilitazione e alla sensibilizzazione dei destinatari degli interventi, e più in generale dei cittadini,
rappresenta un elemento centrale che unisce la dimensione dell’intervento risolutivo, in ambito sanitario, sociale, ambientale, a un’azione
riflessiva, volta alla trasformazione della società, e per questo può essere considerata un ambito distintivo di azione del nuovo volontariato.
L’advocacy indiretta, o sociale, costituisce quindi l’altra faccia della
medaglia della advocacy diretta, o politica, e al tempo stesso ne rappresenta un complemento, compiendo rispetto a questa un passaggio in più: non solo “dà voce a chi non l’ha”, ma si attiva perché chi
oggi non ha voce sviluppi gli strumenti per esprimerla in forma autonoma, non dipendendo da soggetti terzi ma acquisendo autonomia e
quindi, sul piano dei diritti, piena cittadinanza. Agisce, in sintesi, per
fare in modo che “chi non ha voce la possa avere autonomamente
domani”.
La pluralità di approcci e di significati attribuiti dalle associazioni di
volontariato alla funzione di advocacy conferma l’intuizione, sottostante al progetto “Per diritti dei cittadini”, che individua nella funzione di advocacy un filo comune che accompagna e attribuisce senso
al volontariato, ma al tempo stesso ne amplia le possibili declinazioni
operative. Svolgere una funzione di advocacy, infatti, alla luce della
ricostruzione effettuata, non significa solo interloquire con le istituzioni a fronte di un diritto violato, ma, contribuire alla promozione e alla
tutela dei diritti, integrando una pluralità di forme di azione. Significa,
per le associazioni di volontariato, non limitarsi a fornire un servizio,
ma interrogarsi sulle cause che determinano l’assenza di un diritto o
che comportano l’esclusione, formale o di fatto, di alcune categorie
di cittadini dal suo pieno godimento, e quindi attivarsi per intervenire
sulle radici profonde delle problematiche affrontate.
Le associazioni, svolgendo una funzione di advocacy, rivendicano
una capacità trasformativa nei confronti della società. Coniugando
157
l’attività di prestazione di servizi ad una attività finalizzata ad elaborare e a costruire una idea di società, rifiutano di definirsi come attori
meramente esecutivi o sostitutivi delle istituzioni, ma assumono il profilo di un nuovo attore politico-sociale, che contribuisce a svolgere
una funzione di attivazione civica, a fianco di partiti e movimenti. Ciò,
allo stesso tempo, mantenendo un profilo specifico e distinto rispetto
a questi attori, proprio in quanto il proprio ruolo politico e sociale si
afferma a partire dalle problematiche concrete.
A fronte di una tendenza alla frammentazione e alla professionalizzazione, connaturata alle nuove esigenze e ai nuovi valori che caratterizzano oggi l’agire volontario, gli stessi protagonisti del nuovo
volontariato avvertono il bisogno di bilanciare questa tendenza con
la costruzione di nuovi strumenti di connessione, che permettano di
coniugare la specializzazione con lo sviluppo di una dimensione “olistica” che consenta alla specializzazione di non trasformarsi in frammentazione e nella perdita di un orizzonte di significati più ampio.
Il nuovo volontariato, abbiamo sottolineato, non si caratterizza soltanto per la crescente professionalità e per la tendenza alla specializzazione, ma anche per un graduale superamento del principio di
gratuità a favore di un principio di reciprocità. Il principio di reciprocità implica che l’agire solidale non sia da intendersi come svincolato
da una logica di ricompensa anche per chi presta il lavoro volontario.
L’entità di tale ricompensa, in termini di capitale simbolico e professionale generato, si comprende nel contesto del mutamento sociale,
e del più ampio processo di riconfigurazione dei confini tra dimensione lavorativa, dimensione privata, dimensione dell’attività sociale.
Il volontario non si definisce più, o almeno non solo, come una persona che dedica parte del suo tempo libero ad una attività il cui valore è dato dalla gratuità stessa, prima ancora che dalla qualità della
prestazione offerta. Sempre di più, al contrario, il volontario è colui
che concepisce il lavoro volontario come parte costitutiva del proprio
percorso personale e professionale, per esempio il giovane laureato
che, in attesa di un lavoro in linea con le sue aspettative, mette a disposizione le proprie competenze come contributo al miglioramento
della società, ma che al tempo stesso ottiene benefici in termini di
158
competenze e di capitale umano e professionale.
L’ottica della reciprocità, tuttavia, non è da ridursi ad un mero calcolo
costi/benefici, e diventa piuttosto una vera e propria nuova prospettiva con cui guardare al rapporto tra prestatori del lavoro volontario
e destinatari. La prospettiva della reciprocità implica che il volontario
non si senta appagato dall’idea di “fare del bene agli altri”, ma che
trovi appagamento dal momento che il suo intervento ha contribuito a
trasformare il destinatario, coinvolgendolo attivamente in uno scambio virtuoso che conduce a superare la stessa distinzione tra le due
parti. Da questo punto di vista, è costitutiva del “nuovo volontariato”
(Salvini, Corchia 2012) l’idea che tra gli effetti dell’azione svolta vi
debba essere l’autonomizzazione del destinatario, e non la sua riduzione a destinatario passivo dell’intervento. In questo modo, il principio di reciprocità si lega strettamente alla natura riflessiva del “nuovo
volontariato”, che non si limita ad intervenire sui bisogni ma si interroga sulle cause di tali bisogni, integrando quindi la dimensione sociale
con la dimensione della promozione e tutela dei diritti.
Il progetto “Per i diritti dei cittadini”, a ben vedere, si pone in sintonia
con i valori e i principi espressi dal “nuovo volontariato”, contribuendo
a favorire l’affermazione di una sistema territoriale di advocacy che
valorizza e promuove un nuovo ruolo delle associazioni di volontariato quali attori che non solo gestiscono problemi, ma rivendicano i
diritti, in una prospettiva che rende le due dimensioni del volontariato
inscindibili.
Se la funzione di advocacy, sempre più, si configura come un patrimonio comune dell’associazionismo, questa caratterizzazione del
nuovo volontariato tende spesso a rimanere a un livello latente, a non
tradursi in piena consapevolezza. Cesvot, con il progetto Per i diritti
dei cittadini, ha contribuito a rendere esplicita e consapevole questa
funzione latente, fornendo alle associazioni gli strumenti conoscitivi
ed organizzativi per dargli forma. Una indicazione che emerge dalla
ricerca è che questa funzione di stimolo alla emersione della latenza e alla acquisizione di consapevolezza può essere ulteriormente
rafforzata da parte di Cesvot promuovendo momenti di formazione e
svolgendo una funzione di facilitatore di pratiche di advocacy, raffor-
159
zando e portando “a sistema” il principio che individua nell’advocacy
un patrimonio trasversale delle associazioni di volontariato, e non una
funzione specialistica svolta da alcune di queste.
La sinergia tra associazioni di volontariato e Difensore civico rendono
le prime delle vere e proprie antenne territoriali dell’advocacy. La funzione di intermediazione con il Difensore civico, finalizzata a rendere
le associazioni terminali di una azione di advocacy politica, o diretta, rivolta cioè agli attori istituzionali e ai soggetti erogatori di servizi
pubblici, si pone a coronamento della funzione di advocacy sociale,
o indiretta svolta nei territori. Rispetto alla funzione di advocacy svolta
dalle associazioni, nella pluralità di forme che abbiamo in precedenza sintetizzato, infatti, il Difensore civico regionale può rappresentare
per le associazioni un compagno di viaggio per un tratto del percorso, nello specifico per quella parte di strada che prevede l’interlocuzione istituzionale, mentre i compagni di viaggio nella promozione
della mobilitazione dei cittadini e nelle altre iniziative che configurano
una funzione di advocacy sociale, saranno le altre associazioni, insieme, eventualmente, a partiti politici e movimenti, con cui molte delle
associazioni intervistate dichiarano di interloquire e di partecipare a
progetti comuni, pur rivendicando la propria indipendenza.
La collaborazione tra associazioni e difesa civica, in definitiva, non
implica che tra i due soggetti vi sia una coincidenza di ruoli e di funzioni, ma l’esistenza di una ampia area di incontro, in cui si possono
sviluppare forme di collaborazione che rappresentano un reciproco
arricchimento per le due parti. Ciò che è più importante, è che questa
sinergia è funzionale all’ampliamento delle opportunità per i cittadini,
e soprattutto per i più deboli, in materia di promozione e tutela dei
diritti.
In un contesto sociale in cui, anche in Toscana, si osserva un ampliamento della vulnerabilità sociale, la rete territoriale di tutela e promozione dei diritti promossa da Cesvot favorisce lo sviluppo di un
approccio integrato alla gestione del disagio, che affronti insieme la
dimensione sociale e la dimensione del diritto, a partire dalla considerazione, formulata in maniera ripetuta dagli intervistati, che i confini
tra problematica sociale e violazione del diritto sono spesso sfumati,
160
soprattutto tra i destinatari degli interventi.
La costruzione della rete territoriale di promozione e tutela dei diritti
permette quindi alle associazioni di svolgere allo stesso tempo la funzione di un canale di accesso privilegiato all’espressione delle problematiche di disagio e un ruolo di antenna territoriale della difesa civica,
e proprio in questa sovrapposizione di funzioni possiamo individuare
un valore aggiunto della rete. In tempi di antipolitica e di declino della
fiducia nei confronti degli attori istituzionali, infatti, le associazioni, più
delle istituzioni, sono capaci di rappresentare un punto di riferimento
certo e riconosciuto, cui i cittadini, e in particolare i cittadini che vivono una condizione di disagio, affidano i propri problemi, nella loro
multidimensionalità. È anche per questo che il ruolo di intermediazione svolto dalle associazioni può contribuire a indirizzare al Difensore
civico istanze che il cittadino non presenterebbe in forma autonoma:
svolgendo una funzione di intermediazione le associazioni rappresentano un punto di accesso alla difesa civica che contribuisce a
superare le barriere culturali, più che burocratiche, che ne inibiscono
il ricorso da parte dei cittadini.
Anche svolgendo questa funzione, le associazioni di volontariato affermano un ruolo che non si limita ad una mera azione di supporto o
di supplenza rispetto alle istituzioni, ma contribuiscono ad offrire un
contributo alla trasformazione della società, che trova espressione nel
mutamento delle relazioni tra cittadini e istituzioni e nella promozione
del diritto alla buona amministrazione. Questo rappresenta una sorta
di diritto-filtro, da cui, in buona parte, dipende l’affermazione di ogni
altro tipo di diritto, soprattutto nell’ambito di una crescente “localismo
dei diritti”, che vede il territorio svolgere un ruolo da protagonista nella
costruzione di una cittadinanza sostanziale.
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SALVINI A., CORCHIA L.
2012 — Il volontariato inatteso. Nuove
identità nella solidarietà organizzata in
Toscana, Cesvot, (a cura di) “I Quaderni”, 60 <http://www.cesvot.it/repository/cont_schedemm/8154_documento.
pdf>
SICA M.
1993 — Il difensore civico nell’ordinamento regionale, Giuffrè, Milano.
VIANELLO A.
2011 — Il Difensore civico, Tesi di dottorato di ricerca in comparazione giuridica e storico-giuridica, ciclo XXIV, Università degli studi di Ferrara, Ferrara.
ZAMAGNI S.
2011 — Del volontariato organizzato, in
“Psicologia Sociale”, 3.
165
Appendice
Elenco delle associazioni intervistate e tracce di
intervista
Le associazioni intervistate
Associazione
Città
Ambito di attività
Federconsumatori
Arezzo
Tutela dei consumatori
L’Altro Diritto Onlus
Firenze
Tutela dei diritti dei detenuti
Atri Onlus
Firenze
Retinopatici e ipovedenti
Victoria Regia
Scandicci
Promozione dei diritti umani
Cittadinanzattiva
Livorno
Tutela dei consumatori e dei malati
Movimento dei consumatori
Livorno
Tutela dei consumatori
Centro per i diritti del malato
Prato
Tutela dei diritti dei malati
Alice
Firenze
Tutela dei malati di Ictus
Ambiente Pulito Marginone
Altopascio
Tutela dell’ambiente
Anelli Mancanti Figline
Figline
Prima accoglienza e integrazione di migranti e rifugiati
Anteas Valdarno Superiore
Reggello
Assistenza e sostegno agli anziani
Cui-Ragazzi del sole
Scandicci
Assistenza e sostegno ai disabili
Circolo Legambiente Gallo Verde
Greve
Tutela dell’ambiente
Gioco Parlo Leggo Scrivo
Prato
Percorsi di apprendimento per bambini
sordomuti
Il Giardino
Figline
Attività sociali e ricreative per gli anziani
Progetto Arcobaleno
Firenze
Assistenza e sostegno ai soggetti deboli
Circolo Interculturale Samarcanda
Piombino
Integrazione sociale e politica dei migranti
Shqiperia
Livorno
Associazione di migranti
Legambiente Toscana
Firenze
Tutela dell’ambiente
Medu
Firenze
Promozione diritto alla salute degli
immigrati
166
Adipel
Carrara
Tutela dei diritti dei cittadini e dei
lavoratori
Centro Nuovo modello di sviluppo
Pisa
Tutela dei lavoratori dei paesi in via di
sviluppo
Cif Carrara
Carrara
Tutela dei diritti delle donne
Eccetera
Vaiano
Promozione cultura dei diritti e partecipazione tra gli adolescenti
La Martinella
Grosseto
Tutela della Costituzione
La traccia di intervista alle associazioni
Gruppo 1: Associazioni che aderiscono alla rete e che indicano la
promozione e la tutela dei diritti come primo ambito di intervento
Gruppo 2: Associazioni che aderiscono alla rete e che non indicano
la promozione e la tutela dei diritti come primo ambito di intervento
Gruppo 3: Associazioni che non aderiscono alla rete e che indicano
la promozione e la tutela dei diritti come primo ambito di intervento
Gruppo 1
Gruppo 2
Gruppo 3
Primo blocco: attività dell’associazione e caratteristiche
Mi parli dell’associazione che rappresenta, di quando è nata, di quanti sono i volontari, dei principali ambiti di attività, della mission e della vision che la caratterizzano
Mi dice, brevemente, anche quale è il suo background e la sua esperienza di partecipazione civica, in questa ed in altre associazioni
L’associazione si fonda esclusivamente sul volontariato o ha del personale retribuito?
A che livello territoriale opera? É affiliata/federata ad associazioni di secondo livello?
Qual è il vostro principale
settore di intervento?
Secondo blocco: significati attribuiti alla “promozione dei diritti” e attività concrete realizzate
In che modo la vostra associazione contribuisce alla promozione e alla tutela dei diritti?
Cosa significa, nel concreto, contribuire alla promozione e alla
tutela dei diritti svolgendo attività di advocacy?
La vostra organizzazione svolge attività di advocacy?
167
Quali attività e progetti realizza l’associazione nell’ambito
della promozione e tutela dei
diritti?
Quali attività e progetti realizza l’associazione nell’ambito
della promozione e tutela dei
diritti?
Chi sono i destinatari/beneficiari cui rivolgete la vostra
azione di promozione/tutela
dei diritti?
Chi sono i destinatari/beneficiari cui rivolgete la vostra
azione di promozione/tutela
dei diritti?
La vostra associazione,
operando in questo settore,
è inserita in reti? Con quali
soggetti vi capita maggiormente di cooperare o
avete un rapporto organico di
collaborazione?
La vostra associazioni, operando in questo settore, è inserita
in reti? Con quali soggetti
vi capita maggiormente di
cooperare o avete un rapporto
organico di collaborazione?
E chi sono, invece, i vostri interlocutori? (amministrazioni,
società partecipate, erogatori
di servizi, difensore civico, ecc)
La vostra associazioni, operando in questo settore, è inserita
in reti? Con quali soggetti
vi capita maggiormente di
cooperare o avete un rapporto
organico di collaborazione?
E chi sono, invece, i vostri interlocutori? (amministrazioni,
società partecipate, erogatori
di servizi, difensore civico, ecc)
Terzo blocco: modalità di attivazione nell’ambito della rete
Perché avete deciso di aderire
alla rete promossa da Cesvot?
Siete a conoscenza della rete
promossa da Cesvot?
Come esercitate la vostra attività di intermediazione con il
Difensore civico?
Vi capita di indirizzare i cittadini al Difensore civico?
Se e in che modo l’associazione cerca di favorire la mobilitazione dei cittadini? In quali occasioni?
Su quali temi? E con quali obiettivi?
Che modalità adottate, sul piano dell’organizzazione interna?
E sul piano dei rapporti con i cittadini e gli utenti?
Mi prova a descrivere che processo si apre dal momento che un
cittadino si rivolge a voi per avviare una pratica, seguendo le
varie tappe?
Che tipo di cittadini si rivolge a voi per chiedere informazioni e
assistenza nell’indirizzare segnalazioni al difensore civico?
Quanti processi avete attivato? E in che settori in prevalenza?
Seguite l’esisto dei processi che avete contribuito ad avviare? Ne
conoscente l’esito?
Tracciate il flusso delle attività? Prevedete dei processi di valutazione e monitoraggio?
168
Quarto blocco: criticità e prospettive
Secondo la vostra esperienza, il Difensore civico è un istituzione utile ai fini della promozione e
tutela dei diritti?
Pensate che ci siano degli aspetti da cambiare nella sua attività?
I cittadini hanno sufficienti informazioni in merito alle sue attività?
Che ruolo possono svolgere le associazioni ai fini dell’intermediazione?
Che bilancio esprimete, dopo il primo periodo di attività, della
rete promossa da Cesvot? Che vantaggi offre essere inseriti nella
rete?
Come si interfaccia la rete con il difensore civico e viceversa
169
Gli autori
Carlo Colloca è ricercatore confermato in Sociologia dell’ambiente
e del territorio presso il Dipartimento di Scienze politiche e Sociali
dell’Università di Catania dove insegna Sociologia urbana e Analisi sociologica e metodi per la progettazione del territorio. Dal 2004
partecipa alle ricerche promosse dal Centro Servizi Volontariato Toscana (Cesvot) in tema di società urbane, volontariato ed immigrazione. Dal 2010 è componente del Consiglio Scientifico della sezione di
Sociologia del Territorio dell’Ais, dove ricopre, dal dicembre 2013, la
carica di segretario nazionale. È componente della redazione di «SocietàMutamentoPolitica. Rivista Italiana di Sociologia». Tra le principali pubblicazioni si ricordano: Metamorfosi sociali. Attori e luoghi del
mutamento nella società contemporanea, (con E. Recchi e M. Bontempi) (Soveria Mannelli 2013); La globalizzazione delle campagne.
Migranti e società rurali nelle campagne, (con A. Corrado) (Milano
2013); Città e migranti in Toscana (con A. Pirni e S. Milani) (Firenze
2012); Urbanesimo, in G. Bettin Lattes e L. Raffini (a cura di), Manuale
di Sociologia (Padova, 2011); Vivere l’insicurezza. I giovani e lo spazio urbano, in G. Amendola (a cura di), Insicuri e contenti. I giovani e
lo spazio urbano (Napoli, 2011); Crisi e mutamento sociale in «SocietàMutamentoPolitica. Rivista Italiana di Sociologia» (Firenze, 2010);
(con A. Pirni et al.) Insieme a scuola. Classi multietniche e processi di
integrazione a Milano (Milano, 2009).
Andrea Pirni è ricercatore confermato in Sociologia dei fenomeni
politici presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di
Genova dove insegna Sociologia politica, Comunicazione politica e
istituzionale e Comunicazione politica e opinione pubblica. È membro
del Consiglio Scientifico della sezione di Sociologia Politica dell'Ais,
del Consiglio di gestione del Centro Interuniversitario di Sociologia
Politica (Ciuspo), della redazione di «SocietàMutamentoPolitica. Rivista Italiana di Sociologia», del Comitato di redazione della collana
di Sociologia politica per FrancoAngeli. Si occupa del rapporto tra
trasformazioni sociali e mutamento della democrazia, dell’identità po-
170
litica delle nuove generazioni e delle relazioni interculturali nei contesti locali. Fra le sue pubblicazioni: Giovani adesso. Le nuove generazioni a 150 anni dall’Unità d’Italia (Torino 2012); Città e migranti in
Toscana (con C. Colloca e S. Milani) (Firenze 2012); Tra Settecento
e Novecento: le sfide del cambiamento (con G.B. Varnier) (Genova
2012); Tra il Palazzo e la strada. Gioventù e democrazia nella società
europea (con S. Monti Bragadin e G. Bettin Lattes) (Soveria Mannelli
2008); Verso una nuova democrazia? Una risposta sociologica (Genova 2008); Breve lessico dello sviluppo (Genova 2008).
Luca Raffini è dottore di ricerca in Sociologia e Sociologia politica.
Si occupa di democrazia, partecipazione, migrazioni. Fa parte della
redazione di «Partecipazione e Conflitto» e di «SocietàMutamentoPolitica. Rivista Italiana di Sociologia». Dirige la collana «Mutamenti»
per EdiSes. Tra le sue pubblicazioni recenti si segnala (con L. Alteri,
a cura di) La Nuova politica. Movimenti, mobilitazioni e conflitti in Italia (Napoli 2014); (con G. Bettin Lattes, a cura di), L’eclissi del ceto
medio, numero monografico di «SocietàMutamentoPolitica», 7, 2013;
(con G. Bettin Lattes, a cura di), Manuale di Sociologia (Padova 2011),
(con L. Viviani, a cura di), Il ritorno della politica? Uno sguardo sull’Italia, in «SocietàMutamentoPolitica. Rivista Italiana di Sociologia», 3,
2011; (con A.C. Freschi, a cura di), Democrazia, partecipazione e
deliberazione, numero monografico di «Partecipazione e Conflitto»,
3, 2010; La democrazia in mutamento. Dallo Stato-nazione all'Europa
(Firenze, 2010).
171
Indice
Premessa
di Sandra Gallerini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
5
Introduzione
di Luca Raffini, Andrea Pirni e Carlo Colloca . . . . . . . . . . .
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7
»
»
19
19
»
29
»
45
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45
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51
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71
71
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»
79
81
»
82
Capitolo 1
Volontariato e advocacy
di Andrea Pirni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. I volti plurali di un volontariato in trasformazione .
2. Associazionismo e advocacy:
approcci e significati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Capitolo 2
Società locale, cittadini e cultura della difesa civica
di Carlo Colloca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Il Difensore civico come figura istituzionale
di promozione e tutela dei diritti . . . . . . . . . . . . . .
2. Cittadini, associazionismo e difesa civica:
una triangolazione in divenire. . . . . . . . . . . . . . . .
Capitolo 3
Il progetto Per i diritti dei cittadini
di Luca Raffini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Genesi e obiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Le modalità organizzative adottate:
una pluralità di approcci. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. L’adesione silente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. L’associazione come “filtro” tra cittadini
e difesa civica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
172
5.
6.
7.
Il modello dello sportello territoriale
di difesa civica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La ricerca dell’equilibrio: le associazioni
di promozione e tutela dei diritti e la difesa civica
I protagonisti potenziali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Capitolo 4
La rete territoriale di promozione e tutela dei diritti:
una promising practice
di Luca Raffini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Significati originari e significati emergenti . . . . . .
2. “Tutelare i più deboli per tutelare tutti” . . . . . . . . .
3. La dimensione verticale e la dimensione
orizzontale della rete. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Un modello per l’Italia e per l’Europa . . . . . . . . . .
»
90
» 110
» 116
» 121
» 121
» 124
» 130
» 142
Pratiche di advocacy in azione.
Considerazioni conclusive
di Luca Raffini, Andrea Pirni e Carlo Colloca . . . . . . . . . . .
» 145
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 161
Appendice
Elenco delle associazioni intervistate e tracce di intervista
Gli autori
...................................
165
» 169
173
“I Quaderni” del Cesvot
1
10
Lo stato di attuazione del D.M.
21/11/91 e successive modifiche
Raccolta normativa commentata.
Leggi fiscali e volontariato
Relazione assemblea del seminario
Stefano Ragghianti
2
Volontari e politiche sociali: la
Legge regionale 72/97
Atti del Convegno
3
Gli strumenti della
programmazione nella raccolta
del sangue e del plasma
Cristiana Guccinelli, Regina Podestà
4
Terzo settore, Europa e nuova
legislazione italiana sulle Onlus
Cristiana Guccinelli, Regina Podestà
5
Privacy e volontariato
Regina Podestà
6
La comunicazione per il
volontariato
Andrea Volterrani
7
Identità e bisogni del volontariato
in Toscana
Andrea Salvini
8
Le domande e i dubbi delle
organizzazioni di volontariato
Gisella Seghettini
9
La popolazione anziana: servizi e
bisogni. La realtà aretina
Roberto Barbieri, Marco La Mastra
11
Oltre il disagio. Identità
territoriale e condizione giovanile
in Valdera
Giovanni Bechelloni, Felicita
Gabellieri
12
Dare credito all’economia sociale.
Strumenti del credito per i
soggetti non profit
Atti del convegno
13
Volontariato e Beni Culturali
Atti Conferenza Regionale
14
I centri di documentazione
in area sociale, sanitaria e
sociosanitaria: storia, identità,
caratteristiche, prospettive di
sviluppo
Centro Nazionale del volontariato,
Fondazione Istituto Andrea Devoto
15
L’uso responsabile del denaro.
Le organizzazioni pubbliche
e private nella promozione
dell’economia civile in toscana
Atti del convegno
16
Raccolta normativa commentata.
Leggi fiscali e volontariato
Stefano Ragghianti
174
17
Le domande e i dubbi delle
organizzazioni di volontariato
Stefano Ragghianti, Gisella
Seghettini
18
Accessibilità dell’informazione.
Abbattere le barriere fisiche e
virtuali nelle biblioteche e nei
centri di documentazione
Francesca Giovagnoli
19
Servizi alla persona e
volontariato nell’Europa sociale
in costruzione
Mauro Pellegrino
20
Le dichiarazioni fiscali degli Enti
non Profit
25
Viaggio nella sostenibilità
locale: concetti, metodi, progetti
realizzati in Toscana
Marina Marengo
26
Raccolta normativa commentata.
Leggi fiscali e volontariato
Stefano Ragghianti
27
Le trasformazioni del
volontariato in Toscana. 2°
rapporto di indagine
Andrea Salvini, Dania Cordaz
28
La tutela dei minori: esperienza e
ricerca
Fondazione Il Forteto onlus - Nicola
Casanova, Luigi Goffredi
Stefano Ragghianti
21
Le buone prassi di bilancio
sociale nel volontariato
Maurizio Catalano
22
Raccolta fondi per le Associazioni
di Volontariato. Criteri ed
opportunità
Sabrina Lemmetti
23
Le opportunità “finanziare e
reali” per le associazioni di
volontariato toscane
Riccardo Bemi
24
Il cittadino e l’Amministrazione di
sostegno. Un nuovo diritto per i
malati di mente (e non solo)
Gemma Brandi
29
Raccontare il volontariato
Andrea Volterrani
30
Cose da ragazzi. Percorso
innovativo di Peer Education
Luca Napoli, Evelina Marallo
31
L’arcobaleno della
partecipazione. Immigrati e
associazionismo in Toscana
Ettore Recchi
32
Non ti scordar di te. Catalogo
dei fondi documentari del
volontariato toscano
Barbara Anglani
33
Buone prassi di fund raising nel
volontariato toscano
Sabrina Lemmetti
175
34
Il bilancio sociale delle
organizzazioni di volontariato
Luca Bagnoli
35
Le responsabilità degli organi
amministrativi delle associazioni
di volontariato
Stefano Ragghianti, Rachele
Settesoldi
36
Storie minori - Percorsi di
accoglienza e di esclusione
dei minori stranieri non
accompagnati
Monia Giovannetti
37
Ultime notizie! La
rappresentazione del
volontariato
nella stampa toscana
Carlo Sorrentino
Ettore Recchi, Emiliana Baldoni,
Letizia Mencarini
42
Altre visioni. Le donne non
vedenti in Toscana
Andrea Salvini
43
La valutazione di impatto sociale
dei progetti del volontariato
toscano
Andrea Bilotti, Lorenzo Nasi, Paola
Tola, Andrea Volterrani
44
Le donazioni al volontariato.
Agevolazioni fiscali per i cittadini
e le imprese
Sabrina Lemmetti, Riccardo Bemi
45
Una promessa mantenuta.
Volontariato servizi pubblici,
cittadinanza in Toscana
Riccardo Guidi (2 voll.)
38
Contributi e finanziamenti per le
associazioni di volontariato
Guida pratica
Riccardo Bemi
39
Le domande e i dubbi delle
associazioni di volontariato
Riccardo Bemi, Stefano Ragghianti
46
Atlante del volontariato della
protezione civile in Toscana
Riccardo Pensa
47
La mediazione linguisticoculturale.
Stato dell'arte e potenzialità
Valentina Albertini, Giulia Capitani
40
Cittadinanze sospese. Per
una sociologia del welfare
multiculturale in Toscana
Carlo Colloca
48
Contributi e finanziamenti per le
assocciazioni di volontariato.
Aggiornamento 2009
Riccardo Bemi
41
Un mondo in classe. Multietnicità
e socialità nelle scuole medie
toscane
49
Volontariato e formazione a
distanza
Giorgio Sordelli
176
50
Il volontariato. Immagini,
percezioni e stereotipi
Laura Solito, Carlo Sorrentino
51
Le competenze del volontariato.
Un modello di analisi dei
fabbisogni formativi
Daniele Baggiani
52
Le nuove dipendenze.
Analisi e pratiche di intervento
Valentina Albertini, Francesca Gori
53
58
Il valore del volontariato.
Indicatori per una valutazione
extraeconomica del dono
Alessio Ceccherelli, Angela Spinelli,
Paola Tola, Andrea Volterrani
59
Città e migranti in Toscana.
L’impegno del volontariato e
dei governi locali per i diritti di
cittadinanza
Carlo Colloca, Stella Milani e Andrea
Pirni
60
Atlante sociale sulla tratta.
Interventi e servizi in Toscana
Il volontariato inatteso.
Nuove identità nella solidarietà
organizzata in Toscana
Marta Bonetti, Arianna Mencaroni,
Francesca Nicodemi
a cura di Andrea Salvini e Luca
Corchia
54
L'accoglienza dei volontari nel
Terzo Settore.
Tecniche di comunicazione
e suggerimenti pratici
Stefano Martello, Sergio Zicari
55
Il lavoro nelle associazioni di
volontariato
a cura di Sabrina Lemmetti
56
La comunicazione al centro.
Un’indagine sulla rete dei Centri
di Servizio per il Volontariato
a cura di Gaia Peruzzi
57
Anziani e non autosufficienza.
Ruolo e servizi del volontariato
in Toscana
a cura di Simona Carboni, Elena Elia,
Paola Tola
61
Disabilità e ”dopo di noi”
Strumenti ed esperienze
a cura di Francesca Biondi Dal Monte
Elena Vivaldi
62
Le domande e i dubbi delle
associazioni di volontariato
a cura di Riccardo Bemi
63
Fund raising per il volontariato
a cura di Sabrina Lemmetti
64
Volontariato senza frontiere
Solidarietà internazionale e
cooperazione allo sviluppo in
Toscana
a cura di Fabio Berti e Lorenzo Nasi
177
65
Volontariato e invecchiamento
attivo
a cura di Elena Innocenti e Tiziano
Vecchiato
66
Crisi economica e vulnerabilità
sociale.
Il punto di vista del volontariato
a cura di Simona Carboni
67
Giovani al potere
Attivismo giovanile e
partecipazione organizzata in
tempo di crisi
Riccardo Guidi
Stampato in Italia
da La Grafica Pisana - Bientina (Pisa)
Aprile 2014