Leggi tutto - Iussit.com
Transcript
Leggi tutto - Iussit.com
Tabella 1. I principali ordini di protezione. Condizioni di applicazione - Reati Ordine di protezione Prima del procedimento Misure atipiche Atti persecutori ex art. 612 bis c.p. (c.d. stalking) Ammonimento del questore (introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38 c.d. decreto sicurezza) (art. 8. D.L. 23 febbraio 2009 n. 11) 1. Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore. 2. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni. 3. La pena per il delitto di cui all'articolo 612-bis del codice penale è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo. 4. Si procede d'ufficio per il delitto previsto dall'articolo 612-bis del codice penale quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. Durante il procedimento Misure cautelari personali Delitti per cui la legge prevede la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni Allontanamento dalla casa famigliare (art. 280 comma 1 c.p.p.) (art. 282 bis c.p.p. introdotto dalla L. 4 aprile 2001, n. 154, contro la violenza nelle relazioni familiari) Delitti previsti dagli articoli 570 (violazione degli obblighi di assistenza famigliare), 571 (abuso dei mezzi di correzione e di disciplina) 600 bis (prostituzione Con il provvedimento dell’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa famigliare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può 1 prescrivere determinate modalità di visita. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni. 3. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell'assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell'obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l'assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell'obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L'ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo. minorile), 600 ter (pornografia minorile), 600 quater (detenzione di materiale pedo-pornografico), 609 bis (violenza sessuale), 609-ter (violenza sessuale aggravata), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (corruzione di minorenne) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo) c.p. commessi in danno dei prossimi congiunti o del convivente (art. 282 bis comma 6 c.p.p.) Delitti per cui la legge prevede l’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p. introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38 c.d. decreto sicurezza) (art. 280 comma 1 c.p.p.) 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa. 2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone. 3. Il giudice può, inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2. 4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni. Delitti per cui la legge prevede l’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni Obbligo di presentazione alla P.G. (Art. 281 c.p.p.) (art. 280 comma 1 c.p.p.) Divieto e obbligo di dimora 2 (art. 283 c.p.p.) Arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.) Delitti per cui la legge prevede l’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a quattro anni Custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.) (art. 280 comma 2 c.p.p.) Durante il procedimento Misure interdittive Delitti per cui la legge prevede l’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni Sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale (art. 288 c.p.p.) (art. 287 comma 1 c.p.p.) Con il provvedimento che dispone la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori [c.c. 316], il giudice priva temporaneamente l'imputato, in tutto o in parte, dei poteri a essa inerenti. Delitto di cui all’art. 571 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza famigliare) in danno dei prossimi congiunti (art. 288 comma 2 c.p.p.). All’esito del procedimento Pene accessorie Condanna all’ergastolo Decadenza della potestà parentale (art. 32 c.p.) (Art. 34 comma 1 c.p.) Delitti di cui agli artt. 609-bis (violenza sessuale), 609-ter (violenza sessuale aggravata), 609-quater (atti sessuali con minorenne), 609-quinquies (corruzione di minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale quando la qualità di genitore è elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato La decadenza dalla potestà dei genitori importa anche la privazione di ogni diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in forza della potestà di cui al titolo IX del libro I del codice civile. (art. 34 comma 3 c.p.). (art. 609 nonies comma 1 n. 1) c.p.) Delitto di cui all’art. 564 c.p. (incesto), delitti di cui agli artt. 566-568 (supposizione o soppressione di stato, alterazione di stato, occultamento di stato di un fanciullo legittimo o naturale riconosciuto) 3 (artt. 564, 569 c.p.) Sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta Delitti commessi con l’abuso della potestà dei genitori (art. 34 comma 2 c.p.) (art. 34 comma 2 c.p.) La sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori importa anche l'incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del codice civile; durata: il doppio della pena inflitta con la sentenza (art. 34 comma 4). Delitti di cui gli artt. 609 bis (violenza sessuale), 609 ter (violenza sessuale aggravata), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (corruzione di minorenne) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo) c.p. Interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela (art. 609 nonies c.p.) (art. 609 nonies comma 1 n. 2) c.p.) Delitti di cui gli artt. 609 bis (violenza sessuale), 609 ter (violenza sessuale aggravata), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (corruzione di minorenne) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo) c.p. Perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione della successione della persona offesa (art. 609 nonies c.p.) (art. 609 nonies comma 1 n. 3) c.p.) Delitti di cui gli artt. 609 bis (violenza sessuale), 609 ter (violenza sessuale aggravata), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (corruzione di minorenne) e 609 octies (violenza sessuale di gruppo) c.p. Interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori (art. 609 nonies comma 2 c.p.) (art. 609 nonies c.p.) 4 Contrasto alla violenza, ordini di protezione, lotta alla persecuzione. Guglielmo Gulotta∗ Il panorama legislativo di protezione della vittima si è notevolmente arricchito di varie forme di interventi che possono limitare violenze nei confronti di persone familiari ed extrafamiliari. Nella tabella 1 sono riportati i differenti tipi di misure adottabili. Essi costituiscono i principali strumenti di protezione che il legislatore ha introdotto con il decreto sicurezza del 2009 e con la legge contro le violenze famigliari del 2001, nonché gli altri istituti che possono costituire una forma di protezione delle vittime di violenze. Con il d.l. 23 febbraio 2009 n. 11, poi convertito con modifiche dalla L. 23 aprile 2009 n. 38, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” è stato introdotto l’art. 612 bis c.p. relativo agli atti persecutori chiamati comunemente stalking. Il verbo to stalk (“dare la caccia a/fare la posta”) di matrice anglosassone, indica un comportamento in cui lo stalker mette in atto un atteggiamento assillante ed invasivo per la vita della sua “preda” attraverso l’utilizzo di appostamenti, di telefonate continue e molto spesso mute, di invio di e-mail e di sms, in modo persecutorio e reiterato nel tempo, incutendo nella vittima uno stato di soggezione e provocando nella stessa un considerevole disagio fisico o psichico oltre ad un ragionevole senso di timore. Anche in assenza di minacce esplicite, violenze o armi, la vittima di stalking esperisce infatti un livello notevole di paura, in cui entra probabilmente in gioco un fattore quantitativo: l’elevata frequenza dei comportamenti persecutori può creare nella vittima uno stato continuo di stress o disagio. I pedinamenti e le molestie, che possono durare anche per molto tempo, possono far sorgere problemi di ordine sociale o psicologico nella vittima, la quale vive come “sotto assedio”( Lloyd-Goldstein, 1998); le vittime di stalking, infatti, soffrono spesso di gravi effetti psicologici (ansia, depressione, sintomi di trauma), sotto forma di reazioni intense ma attese di fronte ad un comportamento abnorme e continuamente intrusivo (Meloy, 1998). La vita di chi subisce l’esperienza dello stalking si modifica (life disruptions): alcune vittime possono cambiare o lasciare il loro lavoro, abbandonare amici e famiglia, cambiare il proprio aspetto, ricorrere a consulenze psicologiche, o sentirsi costantemente preoccupate circa la propria sicurezza personale (Aramini, 2002). Il reato di stalking è caratterizzato da un’estrema varietà di comportamenti che rimandano a diverse tipologie (tabella 2), identificate da Canter e Ionnau (2004): questi Autori hanno svolto una dettagliata analisi empirica su un campione di 50 casi di stalking che comprendevano, tra le vittime, ex partner, estranei o personaggi celebri. Sono state individuate due principali dimensioni, utili per comprendere tale variabilità: da un lato, le differenze nella distanza interpersonale o nella familiarità della relazione tra lo stalker e la sua vittima, dall’altro la natura del contatto che lo stalker tenta di imporre alla sua vittima (Canter & Youngs, 2009). Tabella 2. Differenti comportamenti messi in atto dallo stalker e corrispondenti tipologie di stalking (tratto da Canter & Ioannou, 2004) Varietà di comportamenti che caratterizzano lo Stili comportamentali dello stalker stalking Richiesta di dettagli personali: lo stalker chiede, per mezzo di lettere, telefonate, e-mail o di persona informazioni su dettagli personali riferiti alla vittima (es. che cosa le piace indossare, dove vive o lavora…) Indagini sulla vittima: lo stalker fa delle ricerche sulla sua vittima, ad es. contattando e facendo domande alle persone a lei legate, cercando informazioni su di lei, sorvegliandola. ∗ Stile dell’Intimità: azioni che rappresentano un tentativo Sono molto grato a Giulia A. Capra per l’aiuto prestatomi nell’organizzare il materiale consultato. 5 distorto di ridurre la distanza interpersonale tra lo stalker e la sua vittima e di entrare in una sorta di relazione con lei. La vittima è considerata come una persona: lo stalker riconosce di avere a che fare con un individuo reale e mostra interesse nell’ottenere informazioni specifiche. Egli mette in atto dei tentativi per ottenere ciò che vuole; essi, benché inadeguati e intrusivi, rappresentano per lui una modalità legittima di relazionarsi agli altri e, in particolare, un modo per ottenere una relazione, senza alcun rimorso per la violazione della privacy della vittima. Conoscenze sulla vittima: lo stalker rivela alla vittima di essere a conoscenza di informazioni su di lei, ad es. riguardo alla sua famiglia, al suo luogo di lavoro, alle sue attività o al colore dei vestiti che indossa in un determinato momento. Sorveglianza della vittima: la vittima può essere consapevole o meno di essere oggetto di sorveglianza da parte dello stalker, che può fotografarla/filmarla di nascosto o utilizzare cimici elettroniche. Infrazione degli ordini restrittivi: lo stalker infrange le ingiunzioni da parte della legge che gli impediscono di contattare la sua vittima. Ricerca di contatto dopo l’intervento dell’autorità: lo stalker continua ad entrare in contatto con la vittima anche dopo l’intervento, ad es., delle Forze dell’Ordine. Invio di lettere: lo stalker invia materiale scritto alla sua vittima (lettere, cartoline, e-mail). Telefonate: lo stalker effettua telefonate (in cui parla o resta in silenzio) o lascia messaggi sulla segreteria telefonica della vittima. Invio di regali: i doni dello stalker (es. fiori, cioccolatini, fotografie, vestiti) possono essere recapitati alla vittima, per posta, a casa o al lavoro, o lasciati vicino a casa sua o alla sua macchina, in modo che lei possa trovarli. Stile della Sessualità: comportamenti che hanno alla base una sessualità esplicita o implicita o riflettono un potenziale contatto sessuale. Anche il furto o le azioni distruttive ne fanno parte, se sono focalizzati sul possesso personale della vittima. La vittima è considerata come un mezzo: lo stalker usa semplicemente la vittima per esprimere il proprio desiderio di possesso o la propria rabbia; intende imporre i propri sentimenti e desideri sessuali sulla vittima. Le reazioni di rifiuto della vittima possono provocare azioni drammatiche o attacchi verso oggetti che hanno una rilevanza personale per lei. Comunicazioni a contenuto sessuale: nelle comunicazioni provenienti dallo stalker si osserva spesso un contenuto osceno (ad es. lettere con riferimenti sessuali, telefonate con respiri affannosi…) Inviti: lo stalker esprime alla sua vittima il desiderio di incontrarla, di avere con lei una relazione intima e può invitarla a contattarlo. Furto di proprietà personali: lo stalker si appropria di oggetti di proprietà della vittima dalla sua casa, dal suo giardino, dalla sua auto o dal suo posto di lavoro (ad es. biancheria intima, fotografie personali…) Distruzione di proprietà personali: lo stalker distrugge o cerca di distruggere oggetti appartenenti alla vittima o a lei associati. Accesso alla casa della vittima: lo stalker riesce ad intrufolarsi in casa della vittima in modo illegale o con l’inganno (es. convincere i bambini a lasciare entrare un amico della mamma) 6 Diffamazione: lo stalker diffonde in pubblico messaggi offensivi, falsi o diffamatori sulla vittima. Minacce: contenuti minacciosi o offensivi si possono osservare nelle comunicazioni provenienti dallo stalker. Le minacce possono essere dirette (es. minacce di morte rivolte direttamente alla vittima) o indirette (es. far trovare davanti a casa animali morti). Confronto diretto: lo stalker minaccia direttamente la sua vittima di usare violenza fisica contro di lei. Stile dell’Aggressione: comportamenti che rimandano al preteso controllo dello stalker sulla vittima: da un lato un controllo indiretto, mediante l’osservazione della vittima e il contatto con la sua famiglia o i suoi amici, dall’altro forme più aggressive e distruttive, in cui cerca di imporre un controllo diretto ed infliggere violenza fisica o psicologica. La vittima è considerata come un oggetto: lo stalker vede la sua vittima come una sua proprietà; se egli non può possederla, nessun altro potrà farlo. Vi è una totale mancanza di empatia, la vittima è spogliata di ogni sua dimensione umana. L’approccio crudele e socialmente inadeguato di questo tipo di stalker mostra come essi ritengano di poter forzare una relazione semplicemente esercitando il controllo sulle condizioni esterne, ad es. minacciando altre persone legate alla vittima. Contatto con altri: lo stalker contatta una persona legata alla vittima, al fine di ottenere informazioni su di lei, di farle pervenire un messaggio o di minacciarla e insultarla. Minacce ad altri: lo stalker minaccia di ferire o uccidere persone legate alla vittima, ad es. familiari o amici. Insulti contro la famiglia: lo stalker formula minacce, fa osservazioni offensive o perseguita persone collegate con la sua vittima (es. familiari, partner, ma anche colleghi o vicini di casa). Violenza sulla vittima: lo stalker manifesta violenza fisica sulla sua vittima (es. percosse), che può sfociare persino nell’omicidio. Minaccia di suicidio: lo stalker può minacciare di suicidarsi se la vittima non soddisferà le sue richieste. Appostamenti: lo stalker passa ripetutamente in macchina nei pressi dell’abitazione della vittima o del suo luogo di lavoro. L’introduzione dello stalking in Italia è nata in seguito alla comparazione e all’influenza subita dai paesi di common e civil law nei quali la condotta tipica dello stalking trovava già da tempo attuazione autonoma e collocazione sistematica. È bene precisare che, fino a quando non vi era la fattispecie autonoma degli atti persecutori, le diverse condotte tenute dal molestatore integravano un reato qualora rientrassero in fattispecie quali la violenza privata, la molestia alle persone, la minaccia, le lesioni personali e altri reati della stessa natura. Il suddetto decreto legislativo introduce quindi: • l’art. 612 bis c.p. (Atti persecutori); • l’art. 8 D.L. 11/2009 (Ammonimento); • l’art. 282- ter c.p.p. (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) e • l’art. 282- quater (Obblighi di comunicazione). In base all’articolo 612 bis c.p. è punito con la reclusione dai sei mesi ai quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minacci (intrusione nella sfera altrui che può avvenire in qualunque modo) o molesti (alterare in modo fastidioso o inopportuno l’equilibrio psichico di una persona ) taluno in modo da cagionare un perdurante (richiesta una serialità del comportamento) e grave stato di ansia o di paura tale da ingenerare, come visto precedentemente, un fondato timore per la sua o l’altrui incolumità ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita (richiesta come danno-conseguenza del comportamento dello stalker la prova di una situazione di disequilibrio psicologico che assume carattere patologico e quindi obiettivo). Il delitto è punito a querela della persona offesa, da presentarsi entro sei mesi. Tuttavia è stato previsto all’art. 8 del d.l. 11/2009 l’ammonimento, misura di prevenzione anch’essa di natura 7 anglosassone (c.d. order of protection) con il quale si prevede che, fino a che non sia proposta la querela, la persona offesa possa esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza. Con il decreto sicurezza, attraverso tale strumento, il legislatore ha previsto una forma di tutela anticipata all’instaurazione del procedimento penale. La persona offesa del reato di stalking può infatti scegliere di non presentare immediatamente querela, ma di chiedere al questore di ammonire lo stalker. Si tratta quindi di una misura di prevenzione adottata dal questore, che ha limitati poteri di indagine, e con cui si ammonisce il futuro stalker di interrompere qualsiasi interferenza creata sinora nella vita della vittima. Se il soggetto ammonito compirà altri atti persecutori, nei suoi confronti si procederà d’ufficio (come nei casi di reato a danno di minorenni e persone con disabilità). Sempre il decreto legge ha inserito anche all’art. 282 –ter c.p.p. una misura cautelare coercitiva che prevede il divieto di avvicinamento o l’obbligo di mantenere una certa distanza dai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima e, in casi di particolare esigenze di tutela, anche da quelli frequentati da persone a lei vicine. A ciò può aggiungersi, inoltre, il divieto di comunicare, con qualsiasi mezzo, con i congiunti della persona offesa o con le persone legate ad essa da relazione affettiva. Mentre il provvedimento del 2001 mirava, come testimoniato dall’introduzione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa famigliare posta a tutela della vittima che spartisce il tetto con il suo carnefice, a tutelare dalla violenza intra-familiare, con il nuovo intervento si è estesa analoga tutela anche ai casi in cui non vi sia, o non vi sia più, una relazione fra la persona offesa e l’imputato. Infatti, la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa introdotta dal decreto sicurezza, avente contenuto analogo all’ordine previsto dal comma 2 dell’art. 282 bis per i casi di allontanamento dalla casa famigliare, è applicabile a qualsiasi soggetto indipendentemente dalla convivenza con la vittima. Il reato di stalking risulta aggravato quando sia commesso a seguito di una precedente unione matrimoniale, o anche solo di una semplice relazione affettiva, risultando così puniti più gravemente gli atti persecutori commessi da chi abbia precedentemente condiviso una relazione con la vittima, indipendentemente dalla natura coniugale o semplicemente affettiva dell’unione, rispetto a quelli commessi dall’estraneo. Infatti, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La condivisione di una relazione diventa quindi elemento idoneo a giustificare l’aumento di pena, secondo una prospettiva ormai completamente ribaltata rispetto a quella entro cui si inseriva fino al 1981 il c.d. delitto d’onore, previsto dall’abrogato art. 587 c.p., in cui il rapporto coniugale con la vittima poteva assurgere ad elemento attenuante della responsabilità del reo che avesse agito per tutelare l’onore proprio o della famiglia. Sul piano procedurale si osserva inoltre l’ampliamento della sfera di applicabilità dell’istituto dell’incidente probatorio, con l’inserimento dell’art. 392, n. 1 bis c.p.p.; con tale norma, al fine di evitare alle vittime di stalking di dover rivivere in dibattimento le passate e dolorose vicende che hanno una forte implicazione psicologica, si consente di assumere la loro testimonianza già nella fase delle indagini preliminari nelle forme dell’incidente probatorio. Relativamente alle “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, la legge n. 154/01 ha introdotto, con l’art. 282 bis c.p.p., un rimedio coercitivo volto ad arginare il fenomeno della violenza domestica. L’art. 282 bis c.p.p. introduce infatti la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, consistente nella prescrizione rivolta all’accusato di lasciare la casa familiare ovvero di non farvi rientro, nel caso in cui l’indagato si trovi in luogo (anche di detenzione) diverso dal domicilio domestico e nella prescrizione di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede (che, se concessa, può prevedere modalità di visita). Si tratta di una misura sottoposta ai presupposti generali di applicabilità delle misure cautelari contenute nell’art. 274 c.p.p. ed ai limiti di pena previsti dall’art. 280 c.p.p.. È prevista però un’eccezione, avuto riguardo non alla misura della pena, bensì al titolo di reato per cui si procede. 8 Infatti, la misura può essere concessa anche in deroga ai limiti di pena, qualora si proceda per una tipologia di reati intra-familiari, tassativamente indicati, commessi in danno dei prossimi congiunti o del convivente che sono: • la violazione degli obblighi di assistenza familiare (ex art. 570 c.p.), • l’abuso di mezzi di correzione (ex art. 571 c.p.), • la prostituzione minorile (in particolare nell’ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 600-bis c.p.), la pornografia minorile (nell’ipotesi di cui al comma 4 dell’art. 600-ter c.p.), • la detenzione di materiale pornografico (ex art. 600-quater c.p.), la violenza sessuale (nell’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 609-bis), • gli atti sessuali con minorenne (nell’ipotesi attenuata di cui al comma 3 dell’art. 609-quater c.p.), • la corruzione di minorenne (ex art. 609-quinquies c.p.), • la violenza sessuale di gruppo (nell’ipotesi attenuata in virtù del richiamo dell’art. 609-bis, comma 3 c.p.). Accanto alla misura principale, il legislatore ha previsto una prescrizione accessoria per il caso in cui esistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti: in particolare, l’obbligo di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa (segnatamente il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti), a meno che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro, nel qual caso il giudice dispone le relative modalità o limitazioni. Innovativa è sicuramente la previsione di misure provvisorie a contenuto patrimoniale, introdotta nel comma 3 dell’art. 282-bis c.p.p. Il giudice può ingiungere (l’ordine ha efficacia di titolo esecutivo), contestualmente o successivamente alla misura dell’allontanamento, il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi, qualora quest’ultime, per effetto della misura cautelare coercitiva, rimangano prive di mezzi. Non è infatti infrequente che le persone accusate di abusi familiari rappresentino al contempo la sola fonte di reddito della famiglia. Viene così riconosciuto, per la prima volta, un contributo economico al convivente anche in mancanza di figli, non previsto in alcuna ipotesi nella legislazione precedente in materia di famiglia. Il giudice stabilisce le modalità ed i termini del pagamento, ordinando, se necessario, che l’assegno sia versato al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. La sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori di cui all’art. 288 c.p.p. è una misura cautelare interdittiva. Vi è la possibilità di commisurare il quantum dell’interdizione in funzione delle esigenze cautelari, giacché al giudice è consentito di sospendere in tutto o in parte l’esercizio dei poteri che concorrono a formare la potestà genitoriale. La temporanea perdita può, quindi, riguardare specifici segmenti di potere, un singolo potere e non altri, oppure l’applicazione della misura ad un figlio e non ad altri. Per la determinazione del contenuto della misura prevista dall’art. 288 c.p.p., bisogna avere riguardo al complesso dei poteri e delle facoltà inerenti alla potestà dei genitori, disciplinati dagli artt. 315 e ss. c.c.. La misura appare utile quando, ad esempio, si vuole evitare che l’imputato possa porre in essere un’attività direttamente o indirettamente pericolosa per l’inquinamento del materiale probatorio: la sospensione della potestà dei genitori può contribuire, infatti, a sottrarre chi vi è soggetto a possibili intimidazioni (di natura psicologica od economica), che gli impedirebbero di deporre liberamente in un processo a carico del genitore. Sotto il profilo civilistico, se la violenza si riversa contro i figli ed è causa di pregiudizio per i medesimi, il giudice potrà emettere dei provvedimenti limitativi o ablativi della potestà familiare; se invece la violenza si riversa nei confronti del coniuge, il coniuge potrà iniziare le procedure per la 9 separazione o per il divorzio. A questi rimedi si è aggiunta anche la misura degli ordini di protezione introdotta dalla legge n. 154/2001. Nei casi di violenza intra-familiare rilevanti sono i provvedimenti limitativi o ablativi della potestà e i provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare (sia da parte del minore che dei genitori). A tal proposito, significativi sono i cambiamenti introdotti dalla legge n. 149 del 2001 riguardo al testo degli artt. 330 e 333 c.c. I rimedi di natura civilistica a tutela dei minori, principalmente rientrano negli artt. 330 e 333 c.c.. La legge 18 marzo 2001 n. 149, benché volta principalmente a modificare la disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, ha introdotto anche alcune modifiche al titolo VIII del libro I del codice civile. Si è dato al giudice il potere di emettere un ordine di allontanamento del genitore violento dalla casa familiare, permettendo in questo modo che gli altri appartenenti al nucleo familiare possano, con il semplice allontanamento di colui che ha posto in essere i fatti pregiudizievoli, mantenere unita la famiglia nel luogo dove essa ha i propri interessi, le proprie relazioni e gli affetti indispensabili per mantenere un contatto positivo con la realtà. Il diritto penale prevede infine delle pene accessorie, che conseguono alla condanna e che possono incidere suoi rapporti famigliari, tra queste certamente la decadenza dalla potestà parentale prevista dagli artt. 34 c.p e 32 comma 2 c.p. La decadenza della potestà dei genitori consegue, in primo luogo, in caso di condanna all’ergastolo ex art. 32 comma 2 c.p. In tema di reati familiari, alcuni dei casi indicati dalla legge che prevedono esplicitamente la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale sono previsti dall’art. 609 nonies c.p., in tema di violenza sessuale, per cui la condanna per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609 quinquies e 609-octies c.p. comporta la perdita della potestà del genitore quando la qualità di genitore è elemento costitutivo del reato. Il contenuto della pena accessoria in oggetto riproduce il modello delineato dall’art. 34 c.p., che prevede appunto la decadenza della potestà dei genitori (oltre alla sospensione dell’esercizio della stessa), ossia la perdita dei poteri che la legge riconosce ai genitori nei confronti del figlio. Il terzo comma dell’art. 34 c.p., che prevede la privazione di ogni diritto spettante al genitore sul figlio, si riferisce al diritto di amministrare i beni del minore (ex art. 320 c.c.) ed all’usufrutto legale sui medesimi beni (ex art. 324 c.c.). La sospensione dalla potestà genitoriale ex art. 32 comma 3 c.p. ed ex art. 34 comma 2 e 4 c.p. non consegue automaticamente: il giudice è libero di determinare che alla condanna della reclusione per un tempo pari o superiore ai cinque anni non consegua la sospensione della potestà genitoriale. La sospensione consegue anche nell’ipotesi di delitti commessi con abuso di autorità parentale (ex 34 comma 2 c.p.) e può essere inflitta per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta. Quindi questa pena accessoria potrebbe essere applicata, per esempio, nel caso di condanna per reati di maltrattamenti su minori ex art. 572 c.p. Secondo l’art. 34 comma 4 c.p., la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori importa anche l’incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del codice civile. Il fenomeno dello Stalking dal punto di vista della psicologia evoluzionistica L’interesse per il fenomeno dello stalking era presente ancor prima che la persecuzione interpersonale di carattere passionale/sessuale prendesse questo nome. In un caso di omicidio avvenuto nel 1999 e raccontato da M.C. Zanconi nel libro “Processi penali e processi psicologici”, ci si è ad esempio trovati di fronte ad un uomo che perseguitava la donna che lo aveva lasciato fino ad ucciderla, perché ella si sottraeva alla sua volontà di riappacificazione. La vittima, con la quale 10 l’uomo aveva una relazione sentimentale da circa tre anni, fu uccisa con numerose coltellate al cuore, ai polmoni e all’aorta. Il padre della vittima, fin da subito, mostrò di ritenere che l’assassino della figlia fosse l’ex fidanzato, il quale non aveva accettato l’interruzione della relazione amorosa e che da tempo era più volte ricorso a minacce di morte contro la ragazza e i suoi familiari. Dopo un iniziale corteggiamento discreto, l’uomo in un secondo momento aveva iniziato ad assumere atteggiamenti possessivi ed esclusivi, impedendo alla donna di avere una qualsiasi vita di relazione; la scelta di interrompere un rapporto diventato ormai insostenibile era sembrata alla ragazza inevitabile. L’uomo, però, non l’aveva accettata e aveva iniziato perseguitare lei e i suoi familiari, con telefonate e appostamenti, fino a minacce di morte per indurla a tornare con lui; minacce che, alla fine, si sono concretizzate. All’epoca della trattazione di questo caso, nonostante il comportamento dell’uomo non sia stato qualificato come stalking, vi era consapevolezza, nel difensore della vittima, che questo potesse rientrare all’interno della categoria. L’assassino era uno stalker perché agiva per mero spirito di possesso, travalicando la mera gelosia e con una tale determinazione e violenza espressa in un atteggiamento drammaticamente punitivo nei confronti della donna, tanto che anche la sentenza di condanna ha riconosciuto l’essere andato oltre il delitto passionale, con una ferocia definita “bestiale”. In un altro caso, risalente al 1995, il perseguitante era una donna, che fu però uccisa dall’uomo. Si trattava di due insegnanti elementari, entrambi sposati, che avevano iniziato una relazione amorosa extraconiugale; la donna non si rassegnava di fronte al fatto che lui volesse allontanarsi, vista l’insistenza di lei alla continuazione del legame e le minacce anche di fronte agli scolari, ai bidelli etc. In particolare, dopo sei anni, l’uomo intendeva troncare la relazione tanto da avere richiesto un trasferimento e un periodo di aspettativa, ma la donna non ne voleva sapere e non smetteva di “tormentarlo”: lo seguiva continuamente in automobile ovunque andasse, anche fino alla sua abitazione, faceva telefonate mute ad ogni ora del giorno e della notte e lo apostrofava con parole ingiuriose anche all’interno dell’ambiente scolastico, alla presenza degli alunni. Lui, esasperato, la uccise al parco di Monza con quattro colpi di pistola. È infine proprio di questi giorni la notizia, apparsa sul Corriere della Sera, che una ragazza di 24 anni è stata accoltellata in strada, a pochi passi da casa, colpita con alcuni fendenti al collo. L’aggressore, secondo quanto riferito dalla stessa vittima, sarebbe l’ex fidanzato, il quale non si rassegnava alla fine della loro relazione. Un avvocato che voglia correttamente operare in questo campo, per compiere un’operazione di contrasto e, in ipotesi, anche di difesa dello stalker, deve anche comprendere il fenomeno. Vista la gravità degli avvenimenti connessi a queste persecuzioni, è necessario trovare delle teorie esplicative per comprendere perché/come detto fenomeno si produca, anche per ridurne l’accadimento. Esso si innesta per lo più in rapporti interpersonali preesistenti (ma ci sono anche gli stalker di persone famose, in cui la relazione interpersonale non preesiste, - es. dicembre 2000: Dante Soiu, un pizzaiolo di Columbus (Ohio), che per un anno aveva perseguitato l’attrice Gwyneth Paltrow inviandole lettere a sfondo sessuale, e-mail, giocattoli, riviste e libri porno viene riconosciuto colpevole del reato di stalking e condannato a una pena da 6 mesi a 3 anni di carcere da scontare in ospedale psichiatrico; giugno 2009: Andrea Spinelli 36enne romano che avrebbe per anni molestato la showgirl Michelle Hunziker è condannato a 9 mesi e a un risarcimento pari a 10mila euro per danni morali. L’imputato ha dovuto rispondere di accuse gravi come l’invio alla presentatrice presso la redazione di “Striscia la Notizia” nel 2005, di una mail di minacce e all’indirizzo della presentatrice svizzera di una busta contenente una lametta e delle frasi offensive e minatorie) e ha normalmente tre finalità: 1. Impedire che la relazione preesistente venga interrotta 2. Riottenere che la relazione preesistente ormai interrotta venga ripristinata 3. Ottenere la disponibilità dell’altro/a al rapporto sentimentale/sessuale 11 La psicologia evoluzionistica propone un modello esplicativo dell’aggressività umana che sia integrativo, offrendo gli strumenti per comprendere come e perché certi fattori ambientali influenzino e siano a loro volta influenzati dagli aspetti psicologici alla base del comportamento umano. Anche il comportamento aggressivo sarebbe quindi evocato da particolari problemi adattivi presenti in determinati contesti evolutivi, secondo la logica costi-benefici, rappresentandone la soluzione. Cerchiamo di vedere in che modo: come sostenuto da Dawkins (1977), la logica sottesa all’evoluzione è quella dei geni, che hanno come unico interesse quello di riprodurre quante più copie possibili di se stessi e che quindi progettano organismi che hanno come scopo primario l’aumento del successo riproduttivo. I nostri circuiti cerebrali sarebbero stati progettati per produrre risposte comportamentali appropriate alle circostanze ambientali. Tuttavia, il nostro è un cervello plasmato dalla selezione naturale per essere adatto a sopravvivere in epoca preistorica. Un mutamento genetico spontaneo, per affermarsi nella specie, ha bisogno di molte generazioni di individui che, grazie a questo mutamento, acquisiscano un tratto anatomico o comportamentale che li avvantaggi nella riproduzione all’interno di un determinato ambiente. Negli ultimi diecimila anni, cioè dalla scoperta e dalla diffusione dell’agricoltura, dobbiamo ritenere che non siano stati possibili adattamenti evolutivi, sia per il breve tempo intercorso, sia per i continui mutamenti ambientali prodotti culturalmente. La differenza tra strategie maschili e femminili è legata ad una specifica asimmetria, che si spiega con la teoria dell’investimento parentale (Trivers, 1972): un uomo può avere moltissimi figli poiché è fertile per quasi tutta la vita ed il costo per la riproduzione è per lui minimo; una donna, al contrario, ha a disposizione un numero limitato di ovuli nel corso di un limitato periodo di fertilità, ed è inoltre impegnata in un periodo di gestazione di nove mesi a cui segue il periodo dell’allattamento. Per massimizzare il successo riproduttivo, l’uomo cercherà la quantità e sarà più competitivo sessualmente (più donne fecondate = più figli che perpetueranno i suoi geni), mentre la donna preferirà la qualità e sarà quindi più selettiva nella scelta del partner (che garantisca le risorse necessarie all’allevamento di un numero limitato di figli). Geni che predispongano gli uomini ad un atteggiamento di proprietà (Wilson & Daly, 1992) nei confronti della donna e che, pertanto, tendono a mettere in atto tutte le misure possibili per impedire alla loro partner di essere fecondate da altri uomini, si saranno affermati facilmente nella specie. Questi stessi geni devono essere responsabili delle violente emozioni a cui gli uomini vanno incontro quando percepiscono possibili minacce alla fedeltà della loro partner. Il termine stalking già rimanda al nostro passato ancestrale. Esso deriva infatti dal linguaggio tecnico della caccia (stalker è il cacciatore in agguato della preda) e letteralmente è traducibile con “fare la posta”, “inseguire”, “cacciare”, “seguire le tracce della preda”; individua un insieme di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo nei confronti di una vittima designata, che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni non gradite. Si tratta di un fenomeno tipicamente relazionale caratterizzato, come abbiamo visto, da: a. Una serie di comportamenti diretti ripetutamente verso uno specifico individuo, per un periodo continuativo di alcune settimane b. Tali atteggiamenti devono risultare intrusivi e sgraditi per la vittima c. Devono provocare in quest’ultima una sensazione di ansia, disagio e paura e una forte limitazione della libertà personale Le tre finalità dello stalking precedentemente esposte rimandano ad altrettante ipotesi esplicative del comportamento aggressivo e, in particolare, dell’aggressività predatoria (Buss & Duntley, 2006): 1. Dissuadere il proprio partner dall’essere infedele: alla base delle manifestazioni violente verso il partner, vi sarebbe un’estrema gelosia. Per quanto aberrante, certi uomini maltrattano, molestano o perfino uccidono le loro mogli per impedire loro di interrompere la 12 relazione ed intraprenderne una nuova con un altro uomo, inducendole a credere che non troveranno mai un partner più desiderabile di quello che hanno attualmente. 2. Recuperare una relazione con un partner precedente: l’aggressione può essere parte di una strategia designata a riconquistare un partner che ha interrotto una relazione sentimentale. Apparentemente, l’uso dell’aggressività per attrarre nuovamente un partner può sembrare contro intuitiva. Tuttavia, in questo contesto, essa può funzionare come rinforzo negativo: l’aggressione costituisce il rinforzatore negativo che viene meno quando la relazione si è ristabilita. L’oggetto dell’aggressività – il partner desiderato – è incoraggiato ad intraprendere una relazione con l’aggressore al fine evitare di continuare ad essere sua vittima. Infatti, una delle funzioni dello stalking è appunto quella di recuperare un partner che ci ha lasciato (Duntley e Buss, 2006). Quando la partner di un uomo ha abbandonato al relazione, il comportamento di stalking contro di lei le infligge costi notevoli per ogni suo tentativo di relazionarsi con altri uomini, e contemporaneamente dissuade altri uomini da cercare il contatto con lei. 3. Ottenere partner sessuali altrimenti inaccessibili: l’aggressione sessuale spazia dal toccare il corpo di una donna senza il suo permesso, all’usare minacce, fino al forzarla fisicamente ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà. Il comportamento aggressivo consente all’uomo di ottenere un contatto sessuale che altrimenti gli sarebbe precluso. La violenza in famiglia Un’ulteriore spia di quanto finora esposto possiamo averla se consideriamo il fenomeno della violenza in famiglia, a proposito del quale già abbiamo osservato le tutele previste dal legislatore. In essa, come vedremo, gli autori sono per lo più maschi che si dimostrano aggressivi verso le femmine, per motivi prevalentemente passionali. La famiglia è il primo luogo di socializzazione; in essa si coltivano gli affetti e l'amore è il sentimento dominante: come mai diviene allora anche teatro di violenze? Un primo punto è che le persone, fatta eccezione per i coniugi che si presume si siano sposati volontariamente, non scelgono la famiglia nella quale vivono: i figli ci sono nati ed i suoceri vi entrano spesso loro malgrado. Così, possono crearsi situazioni familiari in cui un individuo convive con i suoi parenti non per scelta autonoma ma perché vi si ritrova e in presenza di condizioni che gli impediscono di abbandonare eventualmente il nucleo familiare, quali, ad esempio, la mancanza di mezzi di sussistenza autonomi, la minore età o la salute precaria. Un secondo punto riguarda il conflitto generazionale: nell'ambito di una stessa famiglia convivono più generazioni e ciò può facilitare scontri dovuti a modi diversi di vedere e di affrontare la vita. Questa osservazione sembra trovare particolare riscontro per quanto riguarda il rapporto tra genitori e figli: i maltrattamenti diretti sia agli uni che agli altri ed atti estremi quali i parricidi sembrano spesso nascere da divergenze di opinioni o da tentativi di ostacolare i progetti di vita del congiunto. Un'ulteriore fonte di conflitto è la presenza in famiglia di persone di sesso diverso, cosa che richiede una definizione reciproca e consensuale dei ruoli maschili e femminili. Non a caso i maltrattamenti alle donne hanno spesso origine nella visione distorta che il marito ha della propria compagna: quest'ultima, in quanto donna, è talvolta definita come soggetto senza diritti né poteri ed è obbligata ad obbedire e a soddisfare il suo “padrone”; ciò in un'epoca di forte emancipazione femminile è spesso all'origine di conflitti familiari. Per quanto concerne le violenze di coppia reciproche, sembra che il problema non sia legato tanto alla definizione dei ruoli, quanto alla “lotta” per il controllo di una particolare situazione. Un altro fattore facilitante la violenza familiare è la vicinanza fisica. I congiunti, infatti, vivono in spazi ristretti e questo può determinare un comportamento di difesa del proprio territorio. Esistono vari studi che dimostrano che gli uomini, così come gli animali, tendono a definire un loro territorio personale: l'uso non autorizzato da parte di altri dei propri spazi e delle proprie risorse può essere vissuto come un'intrusione e quindi scatenare un comportamento di difesa territoriale. Quest'ultima 13 si può manifestare con un attacco verbale o attraverso comportamenti “bloccanti” fino a sfociare in aperte aggressioni fisiche. L'importanza della gestione degli spazi è stata evidenziata dalla prossemica, una disciplina che studia i diversi significati legati alla distanza interpersonale, la quale ha evidenziato che esistono, in ordine decrescente di contatto fisico, una distanza sociale, una amicale ed una distanza intima (Gulotta, 1984). Le statistiche A 6 mesi dal provvedimento che introduce anche in Italia il reato di stalking (23 febbraio 2009), si contano 520 arresti e 2950 persone denunciate (www.poliziadistato.it, 10.11.2009). Secondo i dati raccolti dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale, le vittime del fenomeno sono per l'80,03 % donne, contro il 19,97 % di uomini (figura 1a). Una ricerca condotta negli Stati Uniti, circa una decina di anni fa, dal NVAW (National Violence Against Women), su un campione formato da 8.000 uomini e 8.000 donne, ha accertato che l’ 80 % delle vittime erano giovani donne, di età media intorno ai 28 anni. Tra le vittime si osserva la netta prevalenza di donne tra i 18 ed i 24 anni. Tuttavia, laddove lo stalker risulta essere un ex partner il target di età delle vittime diviene statisticamente significativo tra i 35 ed 44 anni, se non altro perché in questo range sono più frequenti separazioni e divorzi. In Italia, dalla ricerca condotta dall’ONS (Osservatorio Nazionale Stalking) è emerso un dato sostanzialmente coincidente con la ricerca statunitense: circa l’80% delle vittime sono donne, e, per converso, la maggior parte degli stalkers sono uomini (il 70% è la percentuale italiana, rispetto all’87% americano, figura 1b). 90% 80,03% 80% 70% 70% 60% 50% 40% 30% M 30% F 19,97% 20% 10% 0% Vittima S talker Figura 1. Sesso della vittima (a) e dell’autore (b) di stalking in Italia (elaborazione dati tratti da www.poliziadistato.it e da Osservatorio Nazionale Stalking). Normalmente il persecutore è un maschio di età compresa tra i 18 e i 50 anni (il 55% un’età compresa tra i 18 e i 25 anni). In Italia le vittime di stalking sono prevalentemente donne con un’età compresa più frequentemente tra i 18 ed i 24 anni (20%), tra i 35 ed i 44 (6,8%) o dai 55 anni in poi (1,2%) (dal sito www.stalking.it). Un’indagine australiana ha osservato, tramite un sondaggio rivolto a 6300 donne, che è più probabile che la molestia sia commessa da un uomo; risulta inoltre che il 2,6% delle vittime sposate o legate stabilmente riferisce non solo che il reo risulta essere il coniuge o l’ex- partner, ma anche di aver subito violenza da questi. La violenza fisica, spesso di natura sessuale, è quindi un tratto distintivo della vita della vittima (dal sito www.stalking.it). Nella maggior parte dei casi, la vittima conosce lo stalker, mentre solo una minoranza risulta essere stata perseguitata da uno sconosciuto, e ciò è significativo dell’origine o 14 causa del “comportamento deviato”: l’intento e l’atto persecutorio nascono, per lo più, da un legame affettivo/sentimentale finito male, spesso interrotto per volontà della vittima e non accettato. I soggetti pienamente capaci, così come quelli riconosciuti infermi di mente, hanno la tendenza a rivolgere l’aggressività preferibilmente contro le persone conosciute. Come si può vedere dalle statistiche citate, vengono comunemente rispettati i ruoli tradizionali: il persecutore è il maschio che seduce e che trattiene la femmina ed il tutto avviene durante i periodi in cui entrambi (persecutore e perseguitato) sono sessualmente fertili. In accordo con l’ipotesi secondo la quale l’obiettivo ancestrale dell’aggressività predatoria del maschio è quello di massimizzare il successo riproduttivo, si comprende come mai le aggressioni avvengano, più frequentemente, verso donne in età fertile. Le donne tendono infatti ad essere vittime di questi episodi di maltrattamento o molestia soprattutto durante il periodo fecondo, quando, sempre secondo una logica evoluzionistica, c’è il rischio che un’eventuale loro infedeltà porti alla generazione di prole con un patrimonio genetico diverso da quello del partner, il quale correrebbe così il rischio di impegnare risorse nell’allevamento di figli non suoi, perpetuando un patrimonio genetico diverso dal proprio. Il fenomeno dello stalking si produce solo in quella realtà in cui alle donne è consentito di abbandonare l’uomo, sia pure a costi socio-emotivi alti e ovviamente difficilmente si può manifestare laddove il controllo dell’uomo sulla donna (massimo del marito sulla moglie) non consente alcuna alternativa: si consideri, in proposito, che il fenomeno dello stalking non esiste nel mondo musulmano, dove non avrebbe ragion d’essere per le sue finalità di ripristino di una relazione che, in quel contesto, non può essere interrotta dalla donna. Si è di fronte, in ogni caso, ad una manifestazione di possesso da parte dell’uomo: nelle epoche successive all’avvento dell’agricoltura, le acquisizioni evoluzionistiche sono spesso diventate elementi di barbarie piuttosto che di sopravvivenza; in particolare, il senso di proprietà che l’uomo ha sviluppato nei confronti della donna ha rappresentato per millenni fonte di soprusi e violenze ingiustificabili, che si perpetuano ancor oggi, spesso mascherati da credenze religiose o residui culturali. Come nel caso dello stalking, anche l’analisi delle statistiche relative alla violenza in famiglia dà credito all’ipotesi esplicativa offerta dalla psicologia evoluzionistica. Facendo riferimento al rapporto Eures-Ansa, verranno citati, ove disponibili, i dati aggiornati al 2008; tuttavia, essendo il rapporto 2009 ancora in fase di elaborazione nel momento in cui si scrive, si farà riferimento anche al rapporto Eures-Ansa 2007, relativo all’anno 2006. Focalizzandosi nello specifico sul fenomeno della violenza familiare, si può osservare come sia proprio la famiglia l’ambito principale in cui maturano gli omicidi: osservando le diverse variabili relative all’incidenza dell’omicidio familiare sul totale degli omicidi, nel 2008 il 32,9% degli omicidi con autore noto, tra quelli censiti, è riferibile all’ambito familiare. Tuttavia si rileva, negli anni, una tendenza progressivamente decrescente degli omicidi familiari in Italia, con 226 vittime nel 2000 e 171 nel 2008, benché il fenomeno sia comunque molto frequente, con un omicidio che ogni due giorni avviene in questo contesto. Analizzando il profilo della vittima, si può osservare come la prima e forse più importante tra le variabili che definiscono la specificità dell’omicidio familiare sia la prospettiva di genere: come nel caso dello stalking, le vittime tra le donne sono sempre più numerose di quelle tra gli uomini, i quali invece rappresentano la quasi totalità degli autori. Come si può vedere in figura 2, infatti, sono soprattutto donne le vittime degli omicidi in Italia (75% dei casi contro il 25% uomini), mentre la fascia di età più colpita è quella compresa tra i 25 e i 54 anni (50,3% dei casi), cui seguono le vittime anziane (22,8% gli over 64) e i minori (8,2%) (tabella 2). Si osservi come le fasce di età più colpite siano, anche in questo caso, quelle in età fertile. 15 80% 75% 70% 60% 50% Maschi 40% 30% Femmine 25% 20% 10% 0% Sesso della vittima Figura 2. Vittime degli omicidi in famiglia nel 2008 in Italia (elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2009) Tabella 2. Età delle vittime degli omicidi nel 2008 in Italia (dati Eures-Ansa, rapporto 2009, in elaborazione) Età in anni <18 18-25 25-54 >64 % 8,2 8,2 50,3 22,8 Relativamente al profilo dell’autore, possiamo osservare che l’autore degli omicidi in famiglia è in 8 casi su 10 un uomo (i dati relativi al 2008 indicano un’incidenza pari all’83%), di età prevalentemente compresa tra i 25 e i 44 anni. La violenza omicida espressa dalla componente maschile investe un gran numero di figure: coniugi, ex coniugi o partner (che sono le vittime predominanti), genitori, figli, fratelli/sorelle, ma anche rivali amorosi o familiari di diverso grado. Nell'analizzare il movente dell'omicidio, prevale tra i moventi censiti (tabella 3) quello passionale o del possesso (26,3% delle vittime), seguito dai conflitti relazionali del quotidiano (23,4%), da motivi economici (11,7%), da raptus difficilmente spiegabili dai comportamenti precedenti l’evento omicidiario (11,7%), dai disturbi mentali del responsabile (8,8%) e dalle situazioni di disagio o grave malattia della vittima (6,4%). Il movente passionale è conseguente, nella maggior parte dei casi, alla decisione della donna di abbandonare il partner e, in numero più limitato, alla gelosia patologica dell’autore. In generale, gli omicidi passionali hanno una lunga maturazione: la carica aggressiva dell’autore si autoalimenta in una difficile quotidianità, fino a sfociare nell’azione omicida che, spesso, si verifica in presenza o in conseguenza di avvenimenti che assumono una valenza simbolica di rinforzo e diventano fattori scatenanti (ad es. la sentenza di separazione o divorzio, l’affidamento dei figli stabilito dal Giudice o l’instaurarsi di nuove relazioni della partner). Tabella 3. Movente degli omicidi in famiglia nel 2008 in Italia (dati Eures-Ansa, rapporto 2009) Movente Passionale Conflitti quotidiani Interesse/Denaro % 26,3 23,4 11,7 16 Raptus Disturbi psichici o mentali dell’autore Disagio o grave malattia della vittima Altro 11,7 8,8 6,4 11,7 Focalizzandoci sull’aspetto relazionale, risulta particolarmente interessante la variabile della convivenza tra la vittima e l’autore. Facendo riferimento ai dati relativi al 2006, nella tabella 4 si può osservare come il rapporto di convivenza caratterizzi soprattutto gli eventi che colpiscono le vittime anziane (78,9 %) o minori (88,9%), mentre per le fasce giovani, in cui si concentrano gli omicidi passionali, il rapporto di convivenza non risulta essere un fattore di rischio (nel 2006, il 69,2% delle vittime dai 18 ai 24 anni e il 55,6% delle vittime dai 25 ai 34 anni non conviveva con l’omicida). Ciò può essere spiegato dal fatto che questi omicidi, spesso, sono proprio conseguenza della fine di una relazione. Tabella 4. Vittime di omicidio in famiglia in base all'età della vittima e alla convivenza con l'autore nel 2006 in Italia (dati Eures-Ansa, rapporto 2007) Età in anni <17 18-24 25-34 35-44 45-54 55-64 >64 Valori percentuali Non convivente 11,1 69,2 55,6 36,4 40,6 22,7 21,1 Convivente 88,9 23,1 40,7 59,1 53,1 77,3 78,9 Info non disponibile 7,7 3,7 4,5 6,3 Se si considerano nello specifico gli omicidi tra conviventi, si può osservare (figura 3) come la maggior parte delle donne uccise in famiglia risulti convivente con l'autore, al contrario degli uomini. 80% 70,90% 70% 55,70% 60% 50% 41% Maschio 40% Femmina 26,10% 30% 20% 10% 0% Convivente Non convivente Figura 3. Vittime di omicidio in famiglia in base al sesso della vittima e alla convivenza con l'autore nel 2006 in Italia (elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2007) 17 Come si evince dalla figura 4, è nel rapporto “orizzontale” che si conta la percentuale più elevata di vittime di omicidio (35,9 % delle vittime tra i coniugi o conviventi, 13,3 % tra gli ex). Nei diversi rapporti di coppia, la vittima è, anche in questo caso, prevalentemente di sesso femminile. Si osserva una prevalenza di vittime maschili solo negli omicidi commessi tra parenti al di fuori del rapporto di coppia (figli, fratelli o altri parenti) e, ovviamente, nel caso di rivali, in cui il maschio uccide un altro maschio che insidia la sua partner (figura 5). C oniuge/C onvivente E x c oniuge/E x G enitore F iglio/a A ltri parenti/affini F ratello/S orella P artner/amante R ivale Non rilevato Nonno/a F iglio/a ac quis ito/a A ltro S uoc ero/a 35,9 13,3 11,8 10,8 7,7 5,1 3,6 3,6 2,1 V alore % 1 1 1 1 0 10 20 30 40 Figura 4. Vittime di omicidio in famiglia in base alla relazione con l'autore principale nel 2006 in Italia (elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2007) Mas c hio T otale Non rilevato A ltro Nonno/a F iglio/a ac quis ito/a S uoc ero/a R ivale P artner/amante F ratello/S orella Altri parenti/affini F emmina G enitore C omiuge/C onvivente E x c oniuge/E x partner F iglio/a 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Figura 5. Relazione vittima/autore in base al sesso delle vittime nel 2006 in Italia (elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2007) Come già sottolineato, la dimensione di coppia rappresenta, tra gli omicidi in famiglia, il contesto in cui si concentra la maggioranza dei casi. In Italia, dal 2000 al 2006, gli omicidi di coppia hanno superato costantemente le 100 unità (con la sola eccezione del 2005, quando sono stati 80). Nel 2006, al momento dell’omicidio, autore e vittima erano prevalentemente coniugati e conviventi (57,3%). Se consideriamo che l’11% degli omicidi di coppia è avvenuto tra conviventi non coniugati, risulta che la convivenza caratterizza, complessivamente, il 69% degli eventi. Il 25,2% degli omicidi è invece avvenuto dopo la fine della relazione di coppia (figura 6). 18 Figura 6. Omicidi di coppia in base alla relazione al momento dell'omicidio nel 2006 in Italia (elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2007) Negli omicidi di coppia, le donne costituiscono le vittime quasi esclusive (91,4%, a fronte dell’8,7% di uomini). Nel complesso degli omicidi familiari, le donne rappresentano il 68,7 % (dati riferiti al 2006). Il sesso prevalente della vittima è sempre quello femminile. Un ultimo dato interessante riguarda gli omicidi di coppie separate: in 15 casi su 16 per i quali si dispone di un’informazione credibile (pari al 93,8% del fenomeno noto), il soggetto attivo nella decisione della separazione intervenuta è la vittima dell’omicidio; solo in un caso è stato l’autore dell’omicidio a volere la separazione (figura 7). Nella quasi totalità dei casi è quindi il partner che non accetta la fine della relazione a manifestare aggressività verso l’altro, opponendosi alla sua decisione, fino ad arrivare all’omicidio. Come abbiamo visto precedentemente, tali dinamiche possono rappresentare l’esito di una estrema volontà di possesso e possono trovare una spiegazione nella psicologia evoluzionistica . 38,5% Vittima 57,7% Autore Info non disponibile 3,8% Figura 7. Omicidi di coppia separata: il soggetto "attivo" nella separazione nel 2006 in Italia (elaborazione dati Eures-Ansa, rapporto 2007) 19 La spiegazione evoluzionistica del comportamento umano non pretende in alcun modo di fornirne una giustificazione. Anche se l’aggressione può essere ricondotta a meccanismi evolutivi, non si sostiene certo che essa non possa essere prevenuta o che si debba semplicemente accettare il suo verificarsi. L’obiettivo della psicologia evoluzionistica, come quello di ogni scienza, è di contribuire alla comprensione del fenomeno d’interesse. Indagare l’aggressività dell’uomo nei confronti della donna secondo questa prospettiva non giustifica né promuove questi atti. Bibliografia: Aramini, M. (2002). Lo stalking: aspetti psicologici e fenomenologici. In G. Gulotta, S. Pezzati (a cura di). Sessualità diritto e processo. Milano, Giuffrè, pp. 495-539. Buss, D. M. & Duntley, J. D. (2006). The evolution of aggression. In M. Schaller, J.A. Simpson & D.T. Kenrick (Eds.), Evolution and social psychology. New York, Psychology Press, pp. 263-285. Canter, D. & Ioannou, M. (2004). A multivariate model of stalking behaviour. Behaviormetrika, 31, 113-130. Canter, D. & Youngs, D. (2009). Investigative Psychology. Offender Profiling and the Analysis of Criminal Action. John Wiley & Sons Ltd. Publication. Dawkins, R. (1976). The selfish gene. New York, Oxford University Press. Tr. It. Il gene egoista. Bologna, Zanichelli, 1979. Duntley, J. D. & Buss, D. M. (2006) The evolutionary psychology of stalking. Department of Psychology, University of Texas. Eures-Ansa. L’omicidio volontario in Italia, Rapporto 2007. Eures-Ansa. L’omicidio volontario in Italia, Rapporto 2009, in elaborazione. Gulotta, G. & Del Castello E. (2002). La violenza coniugale alla luce della teoria evoluzionistica. Rivista di Psicoterapia Relazionale, n. 15, pp. 5-25. Gulotta, G. (1984). Famiglia e violenza. Aspetti psicosociali. Milano, Giuffrè. Lloyd-Goldstein, R. (1998). Dé Clerembault On-Line: A Survey of Erotomania and Stalking from the Old World to the World Wide Web. In J. R. Meloy (ed.), The Psychology of Stalking: Clinical and Forensic Perspectives. San Diego, Academic Press, pp.193-212. Meloy, J.R. (1998). The psychology of stalking, in J.R. Meloy (Ed.), The psychology of stalking: Clinical and Forensic Perspectives. San Diego, Academic Press, pp. 1-23. Trivers, R. L. (1972) Parental investment and sexual selection. In B. Campbell (Ed.) Sexual selection and the descent of man. Chicago, Aldine, pp. 136-179. Wilson, M. & Daly, M. (1992). The man who mistook his wife for a chattel. In J. H. Barkow, L. Cosmides, J. Tooby (Eds.), The adapted mind. Evolutionary psychology and the generation of culture. New York, Oxford University Press, pp. 289-322. 20 Zanconi, M. C. (2009). Un’ossessione amorosa che conduce alla morte: dalla parte della vittima. In M.C. Zanconi e coll. Processi penali processi psicologici. Studi sull’attività forense di Guglielmo Gulotta. Milano, Giuffrè . Sitografia: www.poliziadistato.it www.stalking.it 21