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Il potere della stupidità
Capitolo 21
Errori di prospettiva
Sappiamo che la terra è rotonda. Ma la nostra percezione quotidiana ci dice che è piatta. Sappiamo che l’orizzonte è limitato, che occorre salire più in alto per vedere più lontano. Ma troppo spesso ci dimentichiamo di farlo nelle prospettive del pensiero e della curiosità. Restiamo chiusi, senza neppure rendercene conto, nell’orizzonte ristretto del nostro punto di vista e del nostro piccolo cerchio di abitudini.
Gli studi sulla percezione ci dicono che vediamo le cose in modo molto diverso non solo dalla cima di una montagna rispetto al fondovalle, ma anche stando in piedi o seduti – o spostandoci di pochi metri. E che lo stesso oggetto, lo stesso disegno o grafico, può avere diverse interpretazioni secondo l’atteggiamento mentale con cui lo guardiamo.
Gli esperimenti sulla “testimonianza” ci insegnano che, anche pochi minuti dopo aver visto la stessa cosa, ogni persona la racconta in modo diverso – non perché sta consapevolmente mentendo, ma perché ne ha avuto una diversa percezione.
Sappiamo che capire vuol dire “mettersi nei panni degli altri”, osservare ogni cosa dal loro punto di vista. Sembra ovvio. Ma, in pratica, è difficile, perché non siamo abbastanza abituati a cambiare prospettiva.
Se ho imparato molto dai lettori di questo libro è perché ognuno lo legge in modo diverso. Ogni volta che qualcuno legge nasce un libro nuovo, che non è ciò che ha scritto l’autore, ma ciò che si forma nella mente del lettore, in base alle sue esperienze e al suo stato d’animo. E spesso il commento di un lettore mi ha aiutato a capire meglio l’opinione di un altro, proprio per il fertile incrocio delle loro diverse prospettive.
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L’infinita ricchezza e varietà della comunicazione è affascinante.
E la quantità di risorse continua a crescere. Ma quell’abbondanza rimane sterile quando percezioni troppo ristrette rendono vuoto il dialogo o misero l’apprendimento.
Quanti sono abituati a guardare una carta geografica? Possiamo vivere tranquillamente senza sapere a memoria qual è la capitale del Quasiland o la popolazione del Forsistan. Ma capiamo meglio situazioni, avvenimenti, opinioni, mentalità e culture se sappiamo dove, e in quali condizioni, vivono le persone a cui stiamo pensando – o con cui, per qualsiasi motivo, abbiamo un rapporto. 1
Non si tratta solo dell’utilità di cambiare prospettiva quando è necessario, per uscire da banali e devianti convenzioni o per capire meglio il punto di vista di qualcun altro. È sempre bene, di qualsiasi cosa si tratti, cercare di vederla da punti di vista diversi. Può essere sorprendente, talvolta affascinante, spesso illuminante, fare apposta a cambiare l’angolo di visuale. E può essere utile anche cambiare linguaggio. In che modo si potrebbe sviluppare la nostra percezione di qualcosa se provassimo a chiamarla in modo diverso?
Vorrei dire, per inciso, che sapere più di una lingua non è solo utile per poter comunicare meglio con le persone che non conoscono la nostra. Una lingua non è solo un lessico. È anche un elemento strutturale di quella che i filosofi, con un termine solo apparentemente “difficile”, chiamano Weltanschauung – cioè “visione del mondo”. 2
Johann Goethe diceva: «Chi non conosce altre lingue non sa nulla della propria».
Non si tratta solo delle differenze fra l’italiano e il cinese, o degli infiniti “gerghi” più o meno devianti, come il politichese, il legalese, il tecnichese, il burocratese, il letterariese, l’astruso, il modaiolo, eccetera, che sembrano – e spesso sono – fatti apposta per essere incomprensibili ai “profani”. Ci sono varie differenze di linguaggio (e perciò difficoltà di comprensione) anche fra persone che “credono” di parlare la stessa lingua, ma in realtà ne hanno una diversa percezione.
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1 Alcuni esempi di problemi di prospettiva si trovano nel supplemento – pagine 5­7. 2 Può sembrare che le persone “di madre lingua” inglese, ora che la loro è diventata la “lingua globale”, si trovino sempre in vantaggio. Ma ci sono motivi per pensare il contrario. Chi sa una sola lingua ha una capacità culturale ristretta. Infatti i più “svegli” fra gli “anglofoni” cercano di impararne almeno un’altra per avere una risorsa di prospettiva. E per capire che l’inglese non è più la “loro“ lingua, è quella del mondo. (Vedi La torre di Babele e il globalese in L’umanità dell'internet gandalf.it/uman/). Un fatto curioso (meriterebbe qualche meditazione) è che la conoscenza del latino (e del greco “classico”) oggi è più diffusa nei paesi di lingua inglese di quanto sia in Italia.
Sono molteplici, talvolta comici, spesso devianti gli errori di traduzione. 3 Non solo da una lingua a un’altra, ma anche fra diversi modi di pensare e di esprimersi. E non si tratta solo di “capirsi meglio” nel dialogo con gli altri, ma anche di arricchire le nostre risorse di conoscenza.
Naturalmente ci sono prospettive diverse non solo nella lingua, parlata o scritta, ma in ogni genere di comunicazione. Strumenti “non verbali” (immagine, movimento, atteggiamento) possono aumentare l’efficaciadella comunicazione, oppure confonderla, secondo la loro intrinseca chiarezza o il modo in cui si combinano in un “insieme”. 4 Dovrebbe essere un esercizio continuo, una perenne ginnastica mentale, cambiare prospettiva in ogni cosa, cercare sempre di “vedere” da punti di vista diversi. Non si tratta solo di un serio e metodico approfondimento, che può essere laborioso e impegnativo – ma anche, più facilmente, di una varietà prospettica che, con un po’ di pratica, può diventare spontaneamente abituale.
È istintivo, in parte inevitabile, che ognuno di noi veda le cose in base alla posizione (fisica o mentale) in cui si trova. È legittimo, in una visione relativistica, pensare che ogni punto possibile o immaginabile possa essere scelto come centro dell’universo. È ovvio che ogni nostro stato di coscienza si trova in un (mutevole e incerto) punto di contatto fra un mondo interiore e uno esterno. Ma ciò non giustifica il diffuso errore di rinunciare a capire che il nostro (per abitudine generale o per il ruolo in una particolare situazione) è solo uno degli infiniti punti di riferimento possibili – e che capiamo assai poco se non sappiamo collocarci anche in altre prospettive. 5
Diceva Vitaliano Brancati: «Gli sciocchi si annoiano perché mancano di una qualità estremamente fine: il discernimento. L’uomo intelligente scopre mille sfumature nello stesso oggetto, intuisce la diversità profonda di due fatti apparentemente simili. Lo sciocco non distingue, non discerne. Il potere di cui è orgoglioso è quello di trovare simili le cose più diverse». 6 3
3 Per esempio... un elenco di errori e incomprensioni fra la lingua inglese e quella italiana si trova in Ambiguità gandalf.it/net/inglit.pdf
4 Vedi Parole e immagini gandalf.it/arianna/parola.pdf
5 Mi scuso per un’osservazione che può sembrare astrusa per chi non si occupa di astrofisica – o rozzamente semplicistica per gli scienziati. Il concetto di “universo” è definito come “universo visibile” – ciò che ci è possibile vedere. Perciò il “centro“ è il punto in cui si trova l’osservatore. Se a questa prospettiva aggiungiamo il “principio di indeterminazione” di Heisenberg, cioè (mi scuso per l’imprecisa semplificazione) il fatto che osservare un fenomeno significa modificarlo... si conferma che nessun punto di vista si può considerare “assoluto”. Un motivo in più per abituarsi a ragionare con prospettive diverse.
6 In Diario romano, Bompiani, 1961, pagina 142.
La vita può essere molto noiosa per il continuo ripetersi delle stesse circostanze, degli stessi discorsi, degli stessi esasperanti cliché. “Guardare da un altro punto di vista” non è l’unico modo per uscire da quel “circolo vizioso”, ma è uno dei più semplici e più efficaci.
Non si tratta solo di uscire dalla prigione delle abitudini, come abbiamo visto nel capitolo 15 – o di alimentare quella insaziabile curiosità di cui riparleremo nel capitolo 30. “Saper vedere” in modo meno convenzionale, saper capire in un’ottica diversa da quella apparentemente ovvia, cogliere gli aspetti che sfuggono a una visione “unilaterale”... non è solo un modo per essere più intelligenti – o meno stupidi. È anche un’esperienza interessante, piacevole, stimolante. Esteticamente “bella” prima ancora di essere culturalmente, e concretamente, utile.
Cambiare prospettiva può essere molto divertente. Ed è quasi sempre illuminante.
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Supplemento
Questi esempi sono tratti da un breve articolo sull'argomento che avevo pubblicato nel 2007 (prima che questo capitolo fosse aggiunto nella terza edizione di Il potere della stupidità).
Questi due piccoli esempi possono sembrare banali, ma spesso il linguaggio rivela un modo di pensare.
Sentiamo parlare abitualmente di “nord” e “sud” del mondo per distinguere fra paesi (o regioni) con un maggiore benessere e altri che si trovano in condizioni disagiate. Le più elementari nozioni di geografia ci dicono che la definizione è sbagliata. Per esempio ci sono paesi “benestanti” nell’emisfero meridionale (come l’Australia o la Nuova Zelanda) e situazioni di grave disagio nell’Asia settentrionale. Il criterio nord­sud è privo di senso nella definizione di ciò che accade in Africa – o nell’America meridionale. Come ci sono, all’interno di singoli paesi, casi di maggior benessere a sud che a nord. Non è un dettaglio lessicale. Riflette un profondo errore di prospettiva da parte di chi vive in Europa o nel Nord America. Questo piccolo mappamondo può aiutare a capire qual è la situazione reale.
Il colore rosso indica i paesi con reddito (prodotto nazionale lordo) pro capite sopra i 20.000 dollari.
Il blu fra 10.000 e 20.000, il verde fra 4.000 e 10.000, il giallo fra 2.000 e 4.000, il grigio fra mille e duemila.
I sette paesi del mondo con un PNL totale oltre i mille miliardi di dollari (Stati Uniti, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Cina e Italia) sono nell’emisfero settentrionale.
Ma questo non giustifica una grossolana e impropria prospettiva “nord­sud”.
Benché questa mappa sia molto semplificata rispetto alla complessità della situazione, è evidente che il quadro non si può definire solo in base alla latitudine. Il numero di persone in condizioni disagiate che vivono a nord dell'equatore è enormemente più grande che a sud.
Un altro esempio riguarda la recente tragedia del maremoto nell’oceano indiano. 7 L’area colpita è definita dai mezzi di informazione italiani (non nel resto del mondo) come “sudest asiatico”.
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7 Vedi Maremoto, comunicazione e stupidità gandalf.it/offline/maremoto.htm
Se guardiamo le cose dall’Italia, quella è la prospettiva. Ma se (come è più corretto e coerente) osserviamo la situazione dal punto di vista dell’Asia, vediamo che l’area di crisi si trova a sud, ma non a est.
Il colore azzurro indica zone colpite dal maremoto.
L’area in giallo è quella che si può definire “sudest asiatico”.
La maggior parte del sudest asiatico non è stata coinvolta in questa catastrofe. Mentre l’onda, verso ovest, è arrivata fino alle coste dell’Africa.
Chi vive a Bolzano può giustamente dire che Trieste è a sud­est, ma ciò non significa che sia nell’Italia meridionale. Bari è a nord di Napoli, ma non per questo è settentrionale. Quando si osserva un avvenimento o una situazione è sempre meglio cercare di capirla dal punto di vista (non solo geografico) di chi ci si trova.
Sono dettagli? No. Sono sintomi preoccupanti di provincialismo, di capire le cose da un punto di vista ristretto e deformato. Un terzo esempio può sembrare ancora più banale, ma nella sua semplicità è significativo. Vediamo l’oriente e l’occidente da un punto di vista diverso dalla prospettiva abituale – come in questa mappa dell’Oceano Pacifico (che occupa un terzo della superficie del pianeta).
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Visto dall’America, l’oriente è a ovest. Vista dall’Asia orientale, l’America è a est. Ovvio? Si. Ma quanti si fermano un attimo a pensarci? L’orientamento (non solo geografico) parte abitualmente dall’Europa. Visto in un’altra prospettiva, ha un aspetto molto diverso.
Gli esempi potrebbero essere infiniti... e naturalmente non si tratta solo di geografia, ma anche di prospettive culturali.
Due divertenti disegni di un artista straordinario, Saul Steinberg, illustrano efficacemente questo problema. Sono copertine del New Yorker. Una del 12 ottobre 1963. L’altra del 29 marzo 1976.
Copyright © Saul Steinberg – The New Yorker
La prima rappresenta un dialogo in qualche posto fra la Francia e la Sardegna. La prospettiva della signora parigina parte dall’intrico di vie nella sua città, mentre l’altra pensa dal punto di vista della sua isola.
È molto più famosa la seconda copertina, che mostra il mondo dal punto di vista di una persona che vive a Manhattan e guarda verso ovest, con una prospettiva che continua a restrigersi al di là del fiume Hudson. È stata riprodotta infinite volte – e ha dato origine a tanti disegni di altri artisti, con prospettive basate su diverse città (di cui alcune italiane).
Proviamo a ricordare i disegni di Steinberg. E a capire che in Australia, in Argentina o in Sudafrica la gente non cammina a testa in giù e gli uccelli non volano con la pancia per aria.
È ovvio? Molto meno di quanto può sembrare. Vedere le cose in prospettive diverse non è spontaneo. Ci vuole un po’ di attenzione, insaziabile curiosità e molta voglia di capire. È anche uno dei modi per ridurre l’invadente potere della stupidità.
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