per un`ipotesi interpretativa - Società Italiana di Scienza Politica
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per un`ipotesi interpretativa - Società Italiana di Scienza Politica
Rendita fondiaria e sviluppo urbano nella riqualificazione urbana: per un'ipotesi interpretativa, Società Italiana di Scienza Politica, XXIV Convegno, Università IUAV di Venezia, 16-18 sett. 2010 Marco Cremaschi* Intorno alla riqualificazione urbana sono in corso dei cambiamenti rilevanti dei modi di sfruttare la rendita fondiaria e, di conseguenza, dei modi di abitare come pure dei rapporti di produzione. Come è noto, il meccanismo di sviluppo del paese ha premiato la rendita fondiaria sia nella fase di espansione delle città (fino al '70) che nella successiva fase di diffusione insediativa. Una delle caratteristiche del primo periodo è che i benefici di questo scambio tra produzione e rendita, questa è una delle caratteristiche italiane, sono stati estesi a una platea vasta di piccolissimi proprietari, con crescenti costi ambientali e scarsa qualità sociale e insediativa. Nel secondo periodo, il modi del cambiamento urbano hanno spesso sostenuto direttamente o indirettamente la riconversione e decentramento produttivo della medie e grandi industrie urbane del Nord e, successivamente, sono entrati nel processo di autofinanziamento di ampi settori delle amministrazioni pubbliche. Si avanza l'ipotesi che sia possibile indicare elementi comuni a queste epoche e a paradigmi diversi, qui rapidamente distinti come keynesiana e neoliberista. In questa rapida ripartizione, il momento attuale appare come una riformulazione sia del paradigma razionalista e keynesiano dentro al quale sono stati forgiati discorsi e pratiche dell'azione riformista; sia di quello neoliberista, che pure appare più complesso e articolato della vulgata che lo schiaccia sul mercato. Questa ricostruzione suggerisce che il governo di questi fenomeni affronti oggi alcuni nuovi problemi, e anche qualche opportunità. Critiche e ipotesi sulla natura della pianificazione e gli strumenti della politica andrebbero dunque aggiornati. La riconfigurazione del mercato fondiario recente intorno ai processi di riqualificazione urbana sembra -sia pur ambiguamente- andare in una direzione diversa dalle precedenti stagioni di espansione e investimento immobiliare. In altre parole pratiche, discorsi e governance della riqualificazione urbana sembrano consentire una ricostruzione congiunta, e mostrare qualche relazione, in periodi diversi. Anche ai grandi progetti residenziali dunque possono essere indirizzate quelle domande relative ai progetti urbani (Swyngedouw et al. 2002) che scrutano: le forme urbane degli interventi edilizi, che tendono ad assumere caratteri meno minuti, di scala integrata, con una certa importanza assegnata inoltre all'economia simbolica degli spazi e delle tipologie; i rapporti con la nuova economia postfordista, che si palesano nel mix di settori diversi (residenza e non), nel peso delle attività legate alla economia ricreativa, nelle nuove modalità di insediamento tipiche della economia della conoscenza; infine, i sistemi di governance, che si fanno insieme più complessi e più elusivi, implicano rapporti multidimensionali tra stato e mercato, tendono a penalizzare gli attori socialmente deboli, mostrano comunque un certo livello, pur critico, di apprendimento. Ipotesi Gli anni dal 1993, l'anno della crisi della prima repubblica e dalla riforma elettorale che assegna nuovi poteri ai sindaci, segnano un periodo di complessivo inequivocabile rilancio delle città. A Roma, in particolare, è un periodo caratterizzato da uno sforzo di ricostruzione della “macchina” comunale dopo la crisi di tangentopoli e dalla dinamica politica della leadership locale. La posta chiave è l'interpretazione che questo attivismo locale riesce dare alla ricerca della competitività, l'indirizzo apparentemente dominante nelle politiche urbane. Quanto di questo paghi pegno alle rendite immobiliari e ai poteri forti, e quanto apra ad un'economia più dinamica e avanzata non è chiaro, ma sarebbe inutile farsi illusioni. Il bilancio è , nel migliore dei casi, a Torino e Milano come a Roma, forse meno a Napoli per altre ragioni, indirizzato a favore dei primi. Cosa sia stato reinvestito nella produzione di una nuova economia locale, e cosa sia stato sacrificato alla creazione di un nuovo blocco edilizio -dove è ben visibile l'intreccio perverso tra poteri pubblici e interessi economici- è materia all'attenzione non solo degli studiosi, ma delle aule dei tribunali. Va detto però che lo sforzo di prendere per le corna il toro liberista è stato una sfida raccolta consapevolmente dai nuovi sindaci, che (paradossalmente) gli stessi personaggi non hanno saputo o non hanno voluto trasferire nei governi nazionali e regionali. * Dipartimento di studi urbani, Università degli Studi Roma Tre, via della Madonna dei Monti 40, 00184 Roma, tel. +390657339650, fax +390657339649; [email protected]; http://cremaschi.dipsu.it/. 1 La riqualificazione urbana è uno dei primi obiettivi delle grandi città di tutto il mondo, alle prese con problemi simili: città di nuovo in crescita, alle prese con problemi di trasporti, casa, ambiente, bilanci sempre in affanno, una forte esposizione internazionale. In questa operazione, i sindaci e le vicende locali tornano a contare (“mayors matter”, come dice l'Economist). Anche gli stili di governo mostrano qualche similitudine: un forte pragmatismo, concentrazione e dedizione esasperata, una personalizzazione del rapporto con l'elettorato anche a costo di continui dissidi con i partiti di appartenenza1. Ricondurre la varietà delle situazioni locali all'affermazione del modello unico della città liberista e del comune imprenditoriale è una tentazione forte di molte letture critiche, forse un pò precipitose, che danno per assodata l'inferiorità negoziale della politica rispetto al business immobiliare: in questa prospettiva, la città è ridotta tendenzialmente a un manufatto sempre più simile ad un bene di mercato (Harvey 2005). Conseguentemente, il modello Roma -che ha coinciso tra il 1997 e il 2006 con il ciclo immobiliare più intenso dell’ultimo mezzo secolo, secondo solo allo sviluppo del dopoguerra (Cresme 2008)- si risolverebbe in un “patto” tra sinistra e costruttori (banchieri, finanzieri ecc.). Si può accettare questa impostazione? Solo in parte. Anche ad uno sguardo superficiale, le maggiori realtà urbane mostrano interpretazioni e performance diverse, talvolta problematiche, comunque tutt’altro che univoche: il ruolo pubblico è sì rivisto, ma non interamente piegato agli interessi immediati degli interessi economici; l'enfasi sulle opportunità di crescita economica lascia spazio al perseguimento di agende più o meno sociali; la messa in valore dei potenziali immobiliari originati dallo smantellamento dell'apparato produttivo novecentesco trova attuazioni tutto sommato diverse dal puro profitto. Inoltre, le difficoltà di realizzare queste operazioni non sono interamente superate, e spesso le regole e le remore del quadro normativo che rispondeva alle esigenze di una fase precedente sono prevalenti: accordi e negoziazioni non dipendono tanto dalle nuove regole liberiste, ma risolvono gli impacci del precedente regime. Insomma, ricondurre la varietà delle situazioni locali all'affermazione del modello unico della città liberista e del comune imprenditoriale è una tentazione forte, come pure quella di esaltare le differenze e le innovazioni locali a difesa di autonomia e creatività, spesso strumentalmente enfatizzate dalle retoriche comunitarie. Ma non risponde a tutte le domande. Le specificità mediterranee evidenzia “inflessioni contestuali delle politiche neoliberali” (Donzelot 2007), che consentono di aprire i frame delle politiche all’attivazione di risorse giacenti (Cremaschi 2007) e di esaltare le capacità adattive di territori e quartieri nei confronti del cambiamento (Annunziata 2010). Tornare alla political economy della città, e allo studio del mercato urbano consente di concettualizzare questi problemi come un campo strutturato (Pasqui 2007) dove un'ampia varietà di agenti e portatori di interesse agiscono in una pluralità di meccanismi di regolazione2. Questo campo strutturato ha conosciuto due maggiori declinazioni nello scorso secolo. Tra il New Deal dopo la crisi del '33 e la ricostruzione degli anni '60, il mondo ha conosciuto il dispiegarsi di un modello interventista fortemente tecnocratico di ispirazione keynesiana, che autorizzava un modello di intervento sulla città con forti caratteristiche. Era l'epoca del rinnovo urbano, della costruzione della città fordista e dell'automobile, che ha portato ai grandi quartiere di espansione (il Tuscolano è in quegli anni il quartiere moderno più densamente popolato in Europa) e alle grandi ipotesi di ristrutturazione urbana (a Roma, prima l'Eur; poi il grande progetto Sdo, mai realizzato): è una combinazione di politica forte e di una diffidenza radicale rispetto al contesto fisico, dove le scelte politiche sono di preferenza allocative, dirigiste, aggregate e astratte (generali, e non riferite a contesti specifici). A partire dagli anni '70, questo modello va in crisi, e si avvertono i limiti e i problemi sociali e di gestione di questi grandi progetti. L'ascesa della nuova destra, la crescita degli anni '90, la crisi finanziaria mondiale disegnano un ciclo politico di segno diverso ma di analoga durata, poco meno di 40 anni di storia. Al contrario della vulgata iniziale, la destra liberista e di mercato non solo non ha abolito, ma ha approfittato di ogni spazio regolativo per moltiplicare le opportunità imprenditoriali e di controllo sociale. Grazie grazie a questa profonda riarticolazione, gli stili della politica si sono moltiplicati, ed è divenuta possibile agire in 1 Dal 2004 City Mayors, un think tank internazionale, assegna il premio World Mayor attraverso segnalazione e selezioni. Anche gli eventi internazionali diventano più numerosi: UN-Habitat ha organizzato ogni due anni un World Urban Forum sin dal 2002 (nel 2010 a Rio de Janeiro); altre organizzazioni internazionali, tra cui la Banca Mondiale, hanno avviato il World Cities Summit dal 2008 (nel 2010 a Singapore). Non è possibile associare il ruolo dei nuovi sindaci a un orientamento politico distinto; ma si può certamente affermare che le prime esperienze hanno reso l'arena locale più appetitosa per tutti i partiti e per i politici più innovativi. è nuovamente difficile affermare se il cambiamento di maggioranza e la maggior competizione influiscano sulle agende politiche e sul difficile equilibrio tra innovazione e continuità, omologazione e riforma. Il radicamento internazionale sembra suggerire però che la direzione del cambiamento sia segnata e che prima o poi la politica nazionale ne dovrà prendere atto. 2 Il mercato urbano si distingue dal mercato immobiliare perché non valuta i beni come elementi autonomamente valutabili e trasferibili, ma come beni la cui esistenza e valore dipende dalla regolazione nonché dall’investimento pubblico infrastrutturale: cfr. Pasqui in Bolocan Goldstein e Bonfantini 2007. 2 forme diverse, anche con modalità politiche meno allocative, dirigiste, aggregate e astratte di quanto fossimo abituati. Inoltre, in questa epoca il pendolo è girato verso il rinnovo urbano, non senza qualche esitazione e con molte conversioni politiche. Al termine di questo secondo quarantennio, le carte tornano a mescolarsi: l'azione pubblica in questo frangente storico sta ricollocandosi con nuovi riferimenti. Si suggerisce dunque di considerare questa fase come un momento di incerta transizione dopo l'esaurimento dei due precedenti periodi di politiche urbane. Quale sono dunque il ruolo e le possibilità della riqualificazione urbana dopo Keynes e dopo la Thatcher? Non è ancora tempo, tantomeno a partire da questi materiali, di indicare una sintesi, ma si può cercare di fissare alcune scansioni tipologiche (tab. 1). Tavola 1: Tre modelli di politiche del territorio 1. 2. 5. 6. principi generali 7. ricostruibili dalla logica complessiva Urbanistica welfarista 3. Urbanistica neoliberista 4. Governo del territorio salute, equità, bellezza 8. competizione e crescita economica 9. competizione economica e garanzia di livelli uniformi di tutela 10. obiettivi espressi12. regolare l’assetto e l’incremento 13. liberare dai lacci e lacciuoli 11. da dichiarazioni edilizio dei centri abitati (legge generali urbanistica 1150/1942) 15. finalità 16. funzionamento della 17. organizzazione ed espansione urbana attraverso una (relativamente semplice) gerarchia funzionale di piani 14. tutela e valorizzazione del territorio, disciplina degli usi e delle trasformazioni; mobilità libera organizzazione del 18. mercato, sostegno pubblico allo sviluppo imprenditoriale e riuso del suolo da parte di imprese sostegno allo sviluppo (economico, ma anche sociale e civile) rispetto a una rete istituzionale multilivello 19. priorità 21. indicazioni sarebbero dovute 22. 20. di volta in volta provenire dai programmi espresse economico-territoriali o da linee di assetto nazionale (mai formulate) risultano dall'aggregato ex-post 23. concertati, oggetto, in di elementi definiti da stato, prospettiva, delle linee guida, in regioni, comuni attraverso particolare sui requisiti minimi; leggi, programmi e direttive 24. standard e diritti25. libera circolazione, libera 26. fruizione qualitativa delle amenità collettive, e riserva di una dotazione minima di spazi da utilizzare per servizi comuni rimozione dei vincoli e degli 27. obblighi, benefici individuali assegnati dal mercato, minima o nulla attenzione ai beni comuni 28. rendita concertazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei diritti di cittadinanza necessari per garantire l’unitarietà del sistema e l’uguaglianza dei cittadini 29.“estratta” e incamerata tramite 30.“costruita” tramite interazioni31.“ costruita”, negoziata e mercato o esproprio tra attori pubblici e privati e tendenzialmente privatizzata ripartita tramite scambi e tassazione tratto con modificazioni da Cremaschi 2010b Da questo punto di vista, quello che sembra opportuno considerare è che dalla commistione di pratiche di segno opposte emerge, in alcuni settori, una dinamica complessa dell’azione pubblica, che la dizione di GdT cerca di cogliere. La finalità generale è sostenere lo sviluppo, nella sua componente economica e sociale (riflettendo una contraddizione non sempre conciliabile). L’obiettivo non si concentra più solo sulla espansione edilizia, ma sulla regolazione degli effetti reciproci tra diversi usi del suolo, tutela e sviluppo (evidentemente diversi in termini competitivi e sociali). In teoria, nelle diverse proposte, si rafforza l’idea di direttive (linee guide) che interpretano progressivamente la traduzione operativa dei principi generali in politiche e strumenti; una traduzione che avviene in un contesto istituzionale complesso e multilevello, di stampo federale e federativo. La principale conseguenza pratica di questa distinzione si traduce in diversi atteggiamenti nei confronti degli standard dei servizi e della idea di diritti ai quali questi rimandano, dove viene a cadere l'idea di universalismo e quantificazione tipica del welfarismo; e si recupera l'aspetto di attivazione e responsabilità equivocamente introdotta dal liberismo. I due casi studio esaminati suggeriscono una risposta eclettica e adattiva (che però potrebbe venire a precisarsi nello studio delle altre iniziative in corso) che va nella direzione del superamento indicato dalla tripartizione (ibrida) di tab. 1. Roma (ma forse l'Italia) appare sospesa, metà indietro e metà avanti alla direzione indicata nella tabella. La gran bolla immobiliare creatasi in Europa negli ultimi venti anni ha infatti riguardato uffici, direzionale, ma anche attività innovative nel campo culturale e tecnologico, che hanno permesso sovente forti innovazioni tecnologiche e procedurali. Molti dei grandi progetti fondiari italiani riguardano espansioni residenziali, settore giudicato meno rischioso dagli operatori, solo talvolta con qualche aspetto innovativo (tra gli altri: 3 Spina 3 a Torino, S. Giulia a Milano, i due casi qui trattati a Roma). Altri grandi interventi (Bicocca e Bovisa a Milano; Ostiense a Roma; le aree Fs a Torino...) riguardano nuovi sedi universitarie e uffici pubblici su aree industriali. Queste iniziative, apparentemente, restano nell'ambito della tradizione consolidata, spesso nelle logica welfarista i primi, di divisione dei compiti tra pubblico e privato; più raramente, i secondi, nella logica liberista e deregolativa, ancorché con forti sostegni e preliminari pubblici. Questo almeno è come il dibattito tra i pianificatori sembra in prevalenza descriverli. L'ipotesi di questo lavoro è che alcuni aspetti specifici di questi interventi si capiscono meglio alla luce delle caratterizzazioni indicate nella terza colonna, dove sono enfatizzati appunto gli elementi ibridi e di transizione che potrebbero concretizzarsi in fatti nuovi, e a cui alcune delle operazioni in corso sembrano alludere. Questa ipotesi -va ricordato- è ancora incerta. Infatti, queste operazioni avvengono in un momento in cui il tono generale è dato ancora dal ricorso da parte delle maggior città a grandi progetti urbani volti a ri-qualificare economia e sviluppo immobiliare per far fronte alla competizione internazionale, e in un momento di radicalizzazione ideologica e dei comportamenti. E in un momento di obiettivo confusione politica nella interpretazione della fase. E' sintomatica la contrapposizione tra l'ultimo grande quartiere costruito dalla giunta rossa degli anni Settanta a Roma, Tor Bella Monaca; e la prima opera del ciclo Rutelli-Veltroni, il nuovo Auditorium di Piano al Flaminio. Ora TBM è candidata da Alemanno alla demolizione, in contemporanea al rilancio di grandi progetti di sviluppo (come il GP automobilistico all'Eur, la nuova Défense in periferia, la nuova forma istituzionale del governatorato metropolitano); ma anche alla proposta di contrastare la megalomania architettonica della sinistra con la promozione di un'altra ideologia dell'abitare in periferia, e la costruzione di casette con giardino sul modello Garbatella. La confusione tra grandi progetti con funzione strategica e la mobilizzazione di vasti domini fondiari (sia pur con ambizioni diverse dalla pura speculazione) è un dato specifico italiano, forse un elemento di arretratezza. D'altra parte, in questo orizzonte strategico di tono minore, si pongono problemi di governo non meno semplice, un più preciso interrogativo sulla ideologia e le forme dell'urbanità, e una domanda specifica sul ruolo degli investimenti pubblici nella valorizzazione della rendita (sulla quale torna recentemente Tocci 2009), e sulla conseguente difficoltà tecnica e politica di ripartirne i benefici. Considerazione che diventa ancora più rilevante se si considera la centralità del circuito di valorizzazione fondiaria nella forma attuale di accumulazione, e i pesanti contraccolpi che la crisi immobiliare può generare sull’intero sistema capitalista. Roma città divisa Spesso Roma è stata rappresentata –e con qualche buona ragione- come una metropoli arretrata, divisa ed eterodipendente, sia dal punto di vista economico che sociale: il rischio di esclusione e divisione riappare ora (Macioti e Ferrarotti 2008), e non è un caso che certi testi esemplari di una lettura classica della città vengano rieditati. L’esito della straordinaria crescita del dopoguerra è la costituzione di una città divisa per cerchi concentrici: solidamente borghese al centro (che progressivamente viene sostituita dalla città turistica e da quella politica); con una prima corona di quartieri otto-novecenteschi per la media e piccola borghesia; circondata da una vasta periferia popolare, in particolare nei settori Sud ed Est, dove la mancanza di servizi, l’abusivismo edilizio, la costruzione a macchia d’olio si manifestano in tutta la loro gravità. Ancora oggi la metafora abusata per descrivere Roma -in politica come in urbanistica- è quella delle due città contrapposte, la prima corrispondente al “centro” borghese, la seconda alla periferia povera e popolare. Pasolini interpreta -con tutti i suoi limiti e virtù- questa visione, e la sua influenza continua ad applicarsi in modo consistente sulle successive rappresentazioni della città. Raramente la letteratura recente, inclusi i reportages e gli interventi scientifici, ha poi messo in discussione questa opposizione, che forse inizia a sgretolarsi invece nell'immaginario collettivo e filmico, dove spadroneggia un ceto e un sentimento medio che non ha più una collocazione spaziale e sociale così determinata. In sintesi, si possono ricostruire quattro fasi e quattro regimi urbani che hanno orientato e influenzato lo sviluppo del sistema Roma e la selezione dei problemi prioritari. Il primo regime urbano del dopoguerra si è retto su un forte “blocco edilizio” che ha fomentato la “macchina dello sviluppo” urbano; questo blocco politico che ha gestito il primo venticinquennio di crescita della città. Si tratta prevalentemente di una espansione basata sul direzionale di stato e sulla edilizia, favorita dal boom economico che avviene nel Nord industriale. La crescita oppone sia classi che geografie: il centro, la borghesia dei rentiers e dei burocrati; agli operai e gli impiegati delle periferie. Il malfunzionamento della città ha avuto radici robuste nella crescita distorta degli anni Cinquanta, della città e della sua economia. Conseguenti effetti saranno la concorrenza degli uffici nei quartieri residenziali, l’emergenza abitativa degli anni Settanta, la diffusione urbana e la conseguente congestione della mobilità. 4 Il secondo regime "progressista" ha operato sulla creazione di attrezzature e servizi pubblici per compensare e ridurre la distanza tra le “due città” venutesi a creare nel periodo precedente. Ma le pur coraggiose politiche redistributive in campo urbanistico, delle attrezzature di quartiere e dei servizi sociali, non potevano far fronte alla crisi del sistema complessivo di regolazione dei mercati locali che ne è seguito. Le politiche redistributive appaiono oggi esaurite. I servizi che vengono realizzati ora, afferma un intervistato, arrivano “troppo tardi”. La “crisi” urbana degli anni Settanta è stata un aspetto ed una conseguenza della crisi sociale e di consenso del blocco politico che ha gestito il venticinquennio di crescita della città, una crescita dualista e minata da enormi scompensi sociali drammaticamente evidenziati dal cambiamento di clima morale e politico di metà anni Settanta. In campo urbanistico, attrezzature di quartiere e servizi sociali hanno contribuito a far fronte alla crisi del sistema complessivo di regolazione dei mercati locali. Anche le politiche urbane seguenti hanno esaurito la spinta propulsiva. I tentativi di gestione di questo processo dagli anni Settanta in poi sono stati discontinui, ed hanno comunque privilegiato il campo delle grandi opere o della rilocalizzazione delle grandi funzioni, e parzialmente della realizzazione di attrezzature urbane. La terza fase vede un tentativo di imporre un regime neocorporativo che associava i grandi decisori pubblici, le grandi imprese del settore pubblico, il capitale finanziario intorno a un circuito di operazioni infrastrutturali e iniziative di sviluppo a forte gestione unitaria. “Roma Capitale”, la legge speciale che finanzia le opere che sostengono il ruolo nazionale della città, è dunque il terzo atto delle politiche urbane in epoca repubblicana. Roma Capitale ha ridefinito le strategie della città identificando nello Stato la causa dei mali di Roma (prima indicate nella arretratezza economica o nella speculazione edilizia), con un battage concluso da una legge speciale che finanziò un programma di opere da realizzare con procedure accelerate. Nel merito, venivano proposti come settori di punta il carattere terziario, direzionale, la ricerca e la cultura -fino allora trattati da elementi parassitari- e venivano rivalutati a questo fine il Sistema direzionale orientale e le connesse infrastrutture. Va detto che, al momento attuativo, l'esiguità delle risorse e la genericità della gestione hanno sacrificato l’orientamento strategico. A parte poche realizzazioni nel campo dei beni culturali, nessun gran progetto è stato realizzato (tantomeno lo Sdo). Ciononostante, il programma cristallizzò delle convinzioni sia tecniche che politiche, e cioè che: a) la trasformazione della città andasse corretta con grandi operazioni fondiarie; b) solo queste potessero generare il surplus adeguato a reggere il costo delle attrezzature urbane (treni, metro, ecc.); c) e che infine, i grandi soggetti pubblici, prima l’Iri poi le Fs, fossero i partner ottimali per rendere celeri tali opere. Le premesse di Roma Capitale erano discutibili anche negli anni Ottanta (3). Dagli anni Ottanta in poi sono state privilegiate le procedure speciali, non sempre con esiti coronati da successo. Infine, sul finire del secolo, si impone un orizzonte competitivo che convive però con l'aspirazione di rendere 'normale' la gestione urbana della città. Gli ultimi venti anni sono segnati da questa duplicità che accompagna la costruzione di quello che verrà chiamato il modello Roma. Per esempio, ne Il programma del sindaco di Rutelli del 1993 vengono indicate delle proposte divergenti. Per esempio, si propone di articolare l'urbanistica su due tempi: a monte, un piano direttore metropolitano per gestire l’innovazione, al quale avrebbero fatto seguito i prg dei comuni metropolitani con funzione di manutenzione e regolazione dell’esistente; a valle, uno o più “progetti urbani” con funzione di armonizzare in loco i diversi interventi. Senza perdersi in dettagli, quello che va sottolineato è che, nello spirito della allora recente legge 142/90 sulle Autonomie locali, venivano assunti due pre-requisiti indispensabili al funzionamento della grande città: il decentramento funzionale e la riorganizzazione tecnico-istituzionale. Proposte forse non dettagliate, forse non eclatanti, ma per lo meno nella linea di quanto è poi riuscita davvero a realizzare l’amministrazione. Peraltro, lo sdoppiamento del piano era un’idea tempestiva, che si sta ora traducendo nelle nuova riforma urbanistica in discussione al Parlamento. Si può schematizzare l’ispirazione di queste idee nel modo seguente: re-distribuire e decentrare l’azione pubblica verso la periferia; agire su progetti strategici relativi a grandi settori urbani e funzionali. Con ogni evidenza era una linea d’azione diversa da quello posta a sostegno dello Sdo, che non ha inciso molto ed è forse sopravvissuta nei piani di riqualificazione delle periferie. Ma la strategia che puntava soprattutto a normalizzare la gestione ordinaria dura poco. Una seconda formulazione strategica per la città si presenta improvvisamente a metà circa del primo mandato amministrativo, quando appare evidente che l’istituzione dell’area metropolitana non apparteneva al futuro prossimo (e che la preparazione degli strumenti ordinari avrebbe richiesto più tempo del previsto). Si cerca allora di utilizzare la preparazione del “grande evento” Giubileo -di cui si era scoperta nel frattempo la 3 Sull’argomento, chi scrive è intervenuto a distanza di tempo nel 1990, 1994, 1997, 2001, 2010a. 5 prossimità- per veicolare la realizzazione di opere pubbliche. Rispetto alle linee di azione precedenti, le decisioni relative al Giubileo appaiono solo parzialmente innovative, e riemergono in successivi tentativi, probabilmente sintomatici di sensibilità diverse, tra cui la riproposizione tormentata di un mini-Sdo, il grande stadio e le stazioni di Roma ‘90, via via degradando verso la gestione scellerata dei Mondiali di Nuoto e quella infelice delle candidature Olimpiche (dal 2004 al 2020). Nello spirito, queste proposte riprendono la prospettiva emergenziale di Roma Capitale; nei contenuti, sono ripresi e confermati parecchi dei progetti elaborati in precedenza. Infatti, metro, ferrovie, autostrade, sottopassi, sono tutti idee preesistenti parzialmente perfezionate dal punto di vista tecnico, progettuale e economico. Non a caso, la stessa forma amministrativa della legge per la Capitale (che prevede potenti accelerazioni alle procedure ordinarie) è stata assunta per il programma del Giubileo nonostante la sostanziale decadenza dell’opera che giustificava (e dava il nome) al primo programma (e cioè il Sistema direzionale Orientale). Venti anni dopo E' utile ricostruire queste aspettative soprattutto per ricordare che la domanda di output politici era allora commisurata ai deficit pregressi e al generale malgoverno del decennio precedente. Beni comuni relativamente semplici, come parchi, trasporti pubblici, servizi sociali, erano ancora fortemente rivendicati e sembravano corrispondere a offerte politiche distinte. Si può forse parlare al passato di questa fase anche perché le poste in gioco sembrano cambiate, quegli stessi canoni di misura resi ora meno evidenti, mentre altri output sono richiesti dal contenuto meno semplice o più evanescente (lo sviluppo, la sicurezza). Roma mostra una situazione più tradizionale di “ricostruzione” da zero, significativa per tutte le amministrazioni meridionali. Il grande merito della prima amministrazione Rutelli 4 è, infatti, quello di ricostruire dalle ceneri l'azione pubblica a Roma, agendo efficacemente sulla riorganizzazione tecnicoistituzionale, il ruolo della dirigenza e il decentramento amministrativo. In secondo luogo, la redazione del piano regolatore -il secondo dell'epoca repubblicana, dopo il monumento inattuato del 1962- offre l'opportunità di mettere a coerenza strategie infrastrutturali e sviluppo urbano sotto il segno di una solida regia pubblica, coordinando investimenti pubblici locali e nazionali, e il ruolo di grandi e piccole aziende private. Nel 1998 una conferenza cittadina segna il tentativo, non riuscito e tutto sommato rituale, di avviare un piano strategico rimasto senza conseguenze (Camagni e Mazzonis 2001). Si può schematizzarne a posteriori le logica strategica dell'azione politica dei due sindaci di sinistra nel modo seguente: re-distribuire e decentrare l’azione pubblica verso la periferia; agire di concerto con i grandi operatori su progetti strategici relativi a grandi settori urbani e funzionali. Con ogni evidenza, era una linea d’azione diversa da quello posta a sostegno del grande progetto pubblico del Sistema Direzionale Orientale ispirato dal piano del 1962, e che genera in seguito i numerosi piani di riqualificazione delle periferie e i progetti per le centralità metropolitane. A quella ispirazione però si è tornati con la preparazione del Giubileo e degli eventi sportivi che riprendono la forma procedurale di Roma Capitale (l'accordo con lo stato); e, nei contenuti, adottano progetti elaborati in precedenza. Solo successivamente si intravede la possibilità di organizzare uno sforzo strategico innovativo che dopo diversi tentativi abortiti ripiega sulla gestione personalistica di Veltroni dei rapporti con le maggiori imprese. Per questa via, sono ricostruiti –non senza discussioni politiche anche importanti- i rapporti con il mondo delle costruzioni e con i settori emergenti della economia terziaria (informatica, comunicazioni, 4 A Roma viene eletto Francesco Rutelli, attivo in politica da sempre ma da una posizione eccentrica rispetto alla nomenclatura e alla stessa maggioranza che lo elegge. Proveniente dai Radicali, approda ai Verdi e sconfigge Fini (che riceve l'appoggio dichiarato di un Berlusconi ancora in panchina) in un significativo duello che vede generare i due futuri schieramenti che dividono l'Italia nei successivi quindici anni. Molto apprezzato anche nella successiva conferma elettorale, la sua amministrazione ricostruisce praticamente da zero un'amministrazione mortificata dalla corruzione e dagli arresti. Fatta ripartire la macchina comunale con un consistente investimento in opere e servizi collettivi, dedica gran parte del secondo mandato alla preparazione del Giubileo del 2000 che risulta un prova non indifferente della capacità gestionale della macchina pubblica, un'occasione di migliore diffuse (ma non di un significativo salto nella dotazione infrastrutturale), e un trampolino per la promozione personale a rango di politico nazionale su posizioni più centriste. Il successivo sindaco, Veltroni, PD, eletto per due mandati tra 2001 e 2008, è al contrario un politico nazionale del partito localmente maggioritario che decide di investire nel ruolo ormai altamente visibile di sindaco della Capitale. Curiosamente, Rutelli riproverà nel 2008 perdendo vistosamente contro Alemanno, un personaggio che può forse rivendicare a destra alcune simmetrie con la posizione originaria dell'altro. L'elezione diretta ha avuto senza dubbio un effetto di stabilità anche sulle maggioranze politiche, se è vero che le altre città maggiori hanno goduto di una sostanziale continuità politica e -in certa misura- di leadership per quattro termini elettorali. Roma dunque, al di là del significato locale, rappresenta un test importante dell'esperienza di governo dei sindaci. La valutazione della corrente amministrazione Alemanno darà motivi di conferma o diniego della particolare forma di leadership e responsabilità emersa nella riforma del 1993, e in particolare modo della centralità delle “politiche” piuttosto che della politica, delle ideologie, degli scontri nazionali. 6 televisione) nel frattempo per lo più privatizzati. Le principali iniziative avviate riguardano le grandi attrezzature culturali e convegnistiche (Auditorium al Flaminio, la nuova Fiera presso l'aeroporto, il nuovo palazzo dei Congressi in costruzione all'Eur, la cosiddetta Città della cultura e dei giovani prevista sul sito dei vecchi Mercati Generali); le espansioni universitarie usate anche come volano per la riqualificazione di quartieri dismessi (la più importante all'Ostiense, Mattatoio e Valco S. Paolo ad opera dell'Università Roma Tre nella direttrice Sud-ovest: oltre ai due nuovi poli previsti dalla Sapienza a S. Maria della Pietà e Quintiliani); il tradizionale campus di Torvergata (Sud Est) che accoglie, sia pur con ritardi, importanti investimenti sportivi giustificati opportunisticamente con maldestre e sfortunate proposte olimpiche o sportive. In buona misura, i principali di questi interventi si innestano, o promettono di farlo, sui nodi della rete metropolitana e ferroviaria regionale, che ha costituito a partire dagli anni '90 il principale elemento di strutturazione degli investimenti delle autorità locali. Sulla consistenza di questa strategia urbanistica sono state avanzate critiche pesanti (Berdini 2008), che la nuova giunta di destra sembra in parte far proprie. Con il piano regolatore definitivamente approvato all'inizio del 2000 si apre un'operazione dichiaratamente policentrica che redistribuisce in periferia pesi residenziali e commerciali che il vecchio piano poneva in prossimità di aree verdi5. Questi grossi volumi sono organizzati in “centralità”, poli di attività a servizio della organizzazione metropolitana. Le 18 centralità hanno una dimensione complessiva di circa 5 milioni di mq di sul, su una superficie territoriale pari a circa 26 milioni di mq., cifra che si avvicina molto alle previsioni del vecchio SDO. Molti dei progetti di centralità tendono a concentrarsi su contenuti omogenei, accogliendo una forte concentrazione di funzioni analoghe, che le qualifica come poli specialistici. Ognuna di queste “città” si propone come parte urbana complessa dove la funzione prevalente si presenta con una molteplicità di offerte: alle manifestazioni musicali o sportive si aggiungono attività commerciali e direzionali specifiche, ristoranti e residenze. Si tende così a sostituire un’organizzazione funzionalista dello spazio con una parcellizzazione tematica della centralità. Questi poli urbani tematici, opportunamente localizzati all’interno della periferia o delle aree dismesse, sono proposti però come elementi ordinatori di parti di città disgregate. Esperienze paragonabili sono state effettuate anche in molte città europee6, sebbene con caratteri più orientati allo sviluppo. Le operazioni romane sembrano scegliere condizioni di riparo e di maggior sicurezza nello sfruttamento della rendita. Due casi: Ponte di Nona e Bufalotta La ricostruzione, in chiave politico economica, dei meccanismi di produzione di Roma recente è sullo sfondo delle considerazioni che seguono, che trattano in particolare alcuni casi studio (Bufalotta, Ponte di Nona, le centralità, il Giubileo ecc.) oggetto di ricerche presso il nostro dipartimento (traggo in parte quanto segue da, rispettivamente, Fassio 2009; e Annunziata 2010). Bufalotta: a ridosso del Grande Raccordo Anulare verso Nord e dell'autostrada per Firenze, è individuata una Centralità in un Centro Commerciale di notevoli dimensioni e un quartiere. Il progetto urbano “Bufalotta”, inserito nel programma per Roma Capitale, è stato approvato, con un Accordo di Programma fra Comune, Regione e ANAS nel settembre 1998. Nel gennaio 2001 la Porta di Roma s.r.l. firma la Convenzione Urbanistica con il Comune che attribuisce compiti e costi reciproci. La superficie urbanizzata misura circa 140 ha, quella a verde circa 170 ha, il volume costruito circa 2.102.000 mc. Nelle intenzioni iniziale, la parte 5 Alcune di queste sono in corso di realizzazione, altre sono ancora da pianificare. Negli elaborati del PRG, in particolare sulla tavola di piano D5 “centralità e funzioni”, le centralità metropolitane e urbane sono suddivise in due gruppi che fanno riferimento allo stato della pianificazione. Dopo l’adozione del piano, sono iniziati i lavori per la nuova Fiera di Roma (ambito Fiumicino-Magliana) che è stata quindi aggiunta alle centralità a pianificazione definita. Attualmente le centralità in corso di realizzazione (denominate “a pianificazione definita”) sono nove: Bufalotta, Pietralata, Ostiense-Marconi, Eur Castellaccio, Polo Tecnologico, Tor Vergata, Ponte di Nona-Lunghezza, MaglianaAlitalia e Fiumicino-Magliana (la nuova Fiera di Roma). Queste aree, che costituiscono più della metà delle previsioni totali, sono in parte realizzate o sono comunque in stato avanzato di progettazione; si tratta comunque di aree di trasformazione previste in precedenza, divenute “centralità” a posteriori. Le centralità soggette alla procedura del Progetto urbano dell’art. 16 delle NTA consistono in nove ambiti territoriali: Acilia-Madonnetta, Saxa Rubra, AnagninaRomanina, Cesano, Torre Spaccata, La Storta, S. Maria Della Pietà, Massimina, Ponte Mammolo. Tra le centralità ancora da pianificare il livello di definizione è molto differenziato: per alcune sono state realmente avviate le procedure urbanistiche di attuazione, per altre si hanno solo i piani di assetto generale, altre ancora non sono ancora state prese in considerazione da nessun tipo di intervento (Fassio 2009). 6 Per esempio, la “Città delle arti e delle scienze” realizzata a Valencia su progetto di Santiago Calatrava: il nuovo Tribunale di Richard Rogers A Bordeaux, occasione per riorganizzare un’intera area e destinarla a “Città della giustizia”; il progetto di Perrault per il velodromo e la piscina olimpica di Berlino. Vedi anche Comet, Gualini, ecc. 7 residenziale incideva per meno del 40% del costruito, mentre polo commerciale e uffici avrebbero inciso ciascuno per il 25% circa (l'ultima voce si vorrebbe rivederla al ribasso). Il nuovo quartiere si trova in un quadrante già fortemente densificatosi dagli anni ’60, e subito vicino ad una Riserva naturale ed archeologica (la Marcigliana). L'intervento ricuce in parte le preesistenze e realizza un nuovo svincolo sul G.R.A. all'altezza di Via di Settebagni e la viabilità complanare al G.R.A. dallo svincolo con la Roma-Firenze, collegandosi con la nuova viabilità di ingresso verso la città sulla quale si innesta la rete viaria principale del comprensorio. Queste opere sono a carico dei privati e preliminari alla realizzazione dell'intervento. L'Enel inoltre dovrebbe interrare un elettrodotto e diverse altre piccoli accorgimenti di qualità ambientale accompagnerebbero la costruzione del quartiere. A connettere tutte le nuove consistenze residenziali un grande boulevard che diventerà la strada di quartiere,di quattro corsie e 50 metri di larghezza (con due di controviale a servizio dei parcheggi) e con un vasto spartitraffico con alberi al centro; il viale segue l'andamento naturale delle curve di livello del terreno, e organizza la viabilità secondaria dei quartieri con una larghezza minima di metri 20 tra gli edifici. Nei punti di incontro tra due sistemi viari si trovano le piazze su cui si affacciano i luoghi pubblici principali (teatro, chiesa, alberghi, centro sanitario). La rete viaria ha una sua chiara gerarchia che orienta anche la densità edilizia, 7 piani del direzionale sul boulevard, 5 piani del residenziale sulle altre strade; sui nodi tra i livelli sono collocate le funzioni di servizio: tutto questo sembrerebbe offrire un conclamato “effetto città”. Il nuovo quartiere dovrebbe servirsi del futuro prolungamento della metropolitana, secondo la “Cura del ferro” impostata del Prg, che però non è prevista prima di una decina d’anni. Anche i pur previsti percorsi ciclopedonali sono carenti e comunque persi in mezzo al vasto dominio verde. La proprietà del terreno su cui si innesta il nuovo progetto è della famiglia Toti, titolare dell’impresa Lamaro Appalti che si è occupata di costruire il nuovo Centro Commerciale provvedendo anche alla realizzazione di un nuovo svincolo sul Raccordo Anulare. Il progetto preliminare del Centro Commerciale di Porta di Roma è stato commissionato direttamente dalla Lamaro all’architetto Gino Valle e presentato nel quadro dei nuovi interventi promossi per Roma Capitale (Legge 396/90). Il centro commerciale, come pure lo schema viaria, propone almeno nelle intenzioni una forte caratterizzazione iconica, che ricorre addirittura all'immagine della cittadella medievale. Questa scelta influenza la tipologia (la piattaforma sopraelevata è pedonale, tutto il traffico di accesso resta separato al livello inferiore) che ha causato qualche problema di accesso ai servizi di sicurezza con conseguenti aggravi di costo. Il nuovo centro commerciale viene inaugurato nel luglio 2007; Ikea, che insiste anch’esso nel complesso dell’iper-centro, aveva aperto invece un paio d’anni prima, perché ha posto un ultimatum di tempi (pena la scelta di altro sito dove impiantarsi): per questo è stata anticipata la costruzione dello svincolo del Raccordo. Ikea, Le Roy Merlin, Decathlon hanno acquisito la titolarietà del sito ma hanno proceduto a distinti progetti anche per motivi di allestimento. Il complesso commerciale di 220 negozi circa è invece rimasto di proprietà della Lamaro che pone in affitto gli spazi in accordo a propri criteri e regolamenti. Sul comparto del Centro Commerciale è anche in costruzione una torre, prevista all’inizio per un Albergo, ma probabilmente convertita in un’ulteriore quota di miniappartamenti residenziali. La nuova area residenziale godrebbe di un’elevata qualità ambientale per la presenza del Parco. Il quartiere residenziale è parte in costruzione e parte abitato. Partecipano il gruppo Caltagirone e Scarpellini, noti costruttori romani. Le case, di non enormi dimensioni, sono state vendute a circa 5.000/6.000 euro al mq. Il Comune di Roma ha ottenuto una quantità minima di edilizia a prezzo controllato il cui prezzo non deve superare i 2.000/2.500 euro al mq. Le case sono state vendute spesso prima ancora di essere messe sul mercato, talvolta ai dipendenti stessi delle imprese. E' prevista inoltre su un'area di circa 22,7 ha un intervento di edilizia residenziale pubblica (Casale Nei) per circa 4.000 abitanti. Gran parte dell’area di Bufalotta sarà lasciata a verde, ivi incluso il casale con il grande maneggio di Toti, è destinata a Parco e in gran parte ceduta al comune. Nella parte ancora più a sud, ai margini dell’area, è previsto un piccolo Parco attrezzato prospiciente alle scuole e alla sede del Municipio e della Polizia. Dal punto di vista della promozione immobiliare, il quartiere è frutto di una sostenuta mobilitazione dei costruttori, che hanno saputo proporre e negoziare la realizzazione con il comune, anche individuando modi di congegnare il progetto in forme appetibili: per esempio, adottando un master plan unitario, cedendo quasi la metà per il parco, sollecitato un approccio architettonico di qualità e comunque di alta visibilità, ricorrendo alla mediazione di tecnici di alto profilo. La decisione ha richiesto una lunga vicenda di revisione delle originali destinazioni di piano, non alterate al fondo ma rinnovate consistentemente soprattutto negli elementi qualitativi; ma nell'area sono anche “atterrate” alcune volumetrie oggetto di compensazione con altre zone urbane rese non edificabili dal nuovo prg. Al fondo, il progetto è coerente con l'ispirazione del piano che la redistribuzione urbanistica di alcune “funzioni centrali” avvantaggerebbe la periferia. La qualità 8 di queste funzioni è naturalmente il punto critico: la scelta di mantenere il 50% a commerciale e direzionale rispecchia la volontà di inserire l'area nelle dinamiche metropolitane, offrire posti di lavoro e riequilibrare la prevalente vocazione residenziale del settore. Si tratta comunque di una scelta astratta, dettata da accordi diretti con i grandi operatori commerciali e senza una riflessione sul direzionale, non a caso la parte più caduca dell'intervento. Infatti, i residenti si sono mobilitati per difendere la quota di direzionale quando il consorzio ha cercato di convincere il comune a convertirlo in ulteriore residenziale. A parte questo aspetto, il coinvolgimento degli abitanti nei processi decisionali è limitato -come non raro nella prassi italiana, a maggior ragione negli insediamenti nuovi. Infine, dal punto di vista del dare/avere tra comune e costruttori i conteggi non sono semplici, ma sembrano scontare come minimo l'assenza di una valutazione dei costi di gestione delle aree a verde trasferite, e del beneficio per i privati delle opere realizzate a scomputo degli oneri concessori. Infine, il disegno urbano del quartiere è abbastanza paradossale, nella ricerca ostentata di elementi di urbanità 'densa' in un contesto geograficamente marginale, con un effetto imbarazzante di mimesi. Ponte di Nona: Nell’estrema periferia Est, sempre in prossimità del raccordo anulare e dell'autostrada per l'Aquila, il piano regolatore colloca una delle “centralità metropolitane” il cui progetto si avvia all’attuazione nel 2002 mediante un accordo di programma tra il Comune e la Master Engineering S.r.l. Il tutto consentirebbe la realizzazione di una superficie complessiva di 360.000 mq. nei pressi di una nuova stazione ferroviaria (non ancora attivata). Al momento, la centralità consiste in un grande contenitore per il commercio con più di 200 negozi, cinema multisala e ristoranti, 2000 posti di parcheggio, servizi pubblici e privati, oltre ad attività ospedaliere, la sede del municipio, un hotel con centro congressi, un mercato coperto. Lo spazio restante dovrebbe essere occupato da un “parco tematico” con attrezzature sportive. Ad oggi, la maggior parte di queste infrastrutture e servizi non sono stati realizzati, mentre il centro commerciale e’ stato inaugurato nel 2007 contestualmente all’apertura del casello autostradale sulla A-24 – l’autostrada Roma-L’Aquila – che fornisce una discreta connessione a pagamento con il centro. L’area conta inoltre 6.000 alloggi (realizzate all'80% con 18.000 residenti) e venne progettata da un consorzio di costruttori che negli anni Ottanta aveva acquistato terreni edificabili in accordo al piano allora vigente. Il consorzio Nuovo Ponte di Nona da statuto deve completare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e occuparsi della fornitura dei servizi entro il 2010. Dal punto di vista dell’urbanizzazione primaria, non mancano le fognature e gli allacciamenti ma l’insediamento presenta i limiti della tipica speculazione edilizia romana: poca cura degli spazi di prossimità e carenza di servizi. I primi abitanti sono arrivati nel 2002 quando l’area era ancora un enorme cantiere, segregato e distante da tutto e privo dei servizi minimi. I “pionieri” hanno mantenuto comunque aspettative costruite sulla retorica immobiliare del “complesso suburbano nel verde, con attrezzature sportive nel parco e molti negozi”. Nel 2004 un gruppo rivolge al Sindaco una domanda esplicita di servizi pubblici locali. Primi nella lista dei problemi la sicurezza (che diventerà cavallo di battaglia della coalizione di destra), l’assenza di autobus e di servizi. Nasce un Comitato di Quartiere, viene aperto un portale online, e un giornale locale. Gli abitanti organizzano una manifestazione nel marzo 2007 – rara nel suo genere – e in altre due occasioni durante l’estate. Nel maggio 2007 si inaugura il centro commerciale “più grande d’Europa”: il comitato di quartiere chiede il potenziamento delle infrastrutture, soprattutto carrabili, di accesso al quartiere. Negli anni recenti a Ponte di Nona si intravede il consolidamento di un quartiere neoborghese, che trova corrispondenza elettiva nel centro commerciale. La planimetria del quartiere esemplifica un modello insediativo semplice, distinto tra residenza e consumo. Lo spazio pubblico, gli spazi “tra le case”, non sono oggetto di cura né un progetto comune. Il quartiere presenta inoltre una configurazione delle strade e una gerarchia di spazi a tutto vantaggio della circolazione automobilistica: rotonde e svincoli, parcheggi a pianterreno ecc., mentre è del tutto privo di connessioni tra le parti e con le aree limitrofe (anche il conseguenza della storica impostazione per parti indipendenti del vecchio Prg del 1962). Il centro commerciale offre astutamente un surrogato di piazzette, fontane e spazi per l’infanzia che catturano le preferenze degli abitanti. Anche gli spazi verdi sono numerosi ma recintati e chiusi, contribuendo a rendere il quartiere poco permeabile e a impedirne l'attraversamento. Alcune strade si presentano addirittura come cul de sac che terminano direttamente sull’agro romano. Al centro del quartiere un parco è stato ricavato dall’antico tracciato di ingresso di un'abitazione rurale: ma il passaggio è interdetto dalla sovrintendenza. Il territorio infatti si presentava ricco di curve di livello e i due progetti: quartiere residenziale e centro commerciale si presentano su quote diverse senza soluzione di continuità tra gli spazi aperti del quartiere e gli spazi aperti del centro commerciale. Inoltre il centro commerciale si presenta rivolto verso il casello autostradale dal quale arriva l’afflusso di consumatori. La strada che divide il quartiere dal centro commerciale è dimensionata per ospitare un traffico 9 di visitatori che vengono da fuori come se si trattasse di strade al alto scorrimento e questo motivo è difficilmente attraversabile e rappresenta una vera e propria interfaccia al movimento tra area residenziale e centro commerciale. Anche in questo caso, la mobilitazione degli operatori privati è molto forte, come pure è forte il quadro programmatico pubblico di sostegno all'operazione (che anche qui coinvolge operatori nazionali come le FS, per la stazione e il servizio di trasporto, e la società autostrade per lo svincolo). Anche in questo caso i promotori investono sulla qualità progettuale non solo dell'edilizia, ma almeno nelle intenzioni, anche urbanistica, pur nella particolarità' di inserirsi in un settore vasto dove molte altre operazioni immobiliari di segno e qualità variegata erano contemporaneamente in corso (e il cui risultato aggregato è di difficile valutazione). Anche in questo caso l'eredità del piano precedente impone una direzione e definisce i confini delle scelte anche formali, che vengono sostanzialmente rispettate. La realizzazioni delle funzioni non residenziali, ancora non completata se non per la parte a commercio, come pure delle infrastrutture è più evidentemente un punto di minor forza, e non a caso diventa occasione di rivendicazione significative, che acquistano rapidamente un rilievo politico consistente. Originale è invece l'attivazione del centro commerciale a supporto delle attività di quartiere, che presenta evidenti elementi innovativi per quanto ibridi. Ancora più evidente invece è la subordinazione del disegno urbano alla ideologia del comfort individualista: i patenti limiti di qualità urbana sono però frutto anche dell'applicazione -in modo invero un po’ stolido- di standard e regolazioni urbanistiche. Prime conclusioni Come premesso, queste operazioni esaminate nell'ipotesi che si manifestino elementi di superamento dei quadri che hanno retto le politiche nelle due fasi precedenti. Al di là delle vicende esaminate, queste operazioni mettono in gioco la posta della rivalorizzazione fondiaria, che ha avuto da sempre un ruolo cruciale in Italia, tanto più in questa fase storica quando continua a drenare le risorse utili al superamento della crisi (Sapelli 2008). Ma questo prudente approccio lascia intendere che la disamina in corso non puo' condurre se non a elementi indiziari. Cosa hanno in comune questi due interventi che li differenzia dai quartieri -pubblici e privati- costruiti in epoche precedenti? Il gran boom economico del dopoguerra ha visto la stagione più intensa di costruzione di questi quartieri. Questi erano frutto di decisioni relativamente semplici, coerenti -sia pur con logiche opposte - con i dettami welfaristi: promotore unico, suolo di proprietà (eventualmente tramite esproprio), economia amministrata o di mercato, obiettivi sociali o di profitto, limitata attenzione al dettaglio qualitativo non direttamente funzionale all'apprezzamento economico o redistributivo del bene. Rispetto a questo modello, le differenze sono rilevanti e riguardano in particolare la gestione fondiaria e l'ideologia, la visione urbana. In epoca più recente, vaste operazioni immobiliari sono stati avviati con altre premesse, a partire dai Docklands di Londra. Alcune assonanze sono riscontrabili tra i due casi e la stagione liberista (in particolare sul lato dei modelli urbani e di urbanità), ancorchè di interventi residenziali si tratti, per loro natura scarsamente coerenti con l'orizzonte di competitività strategica e di profitto. Quali elementi fanno dunque pensare ad un modello diverso? Intanto, la collocazione in estrema periferia, almeno inizialmente poco favorevole, ma tale da consentire una mobilità veicolare ottimale e -almeno nelle intenzioni- l'innesto sulle grandi infrastrutture di trasporto pubblico. Questa collocazione risponderebbe a una forte intenzionalità strategica collettiva, almeno sulla carta, in particolare rispetto alla armatura infrastrutturale urbana, uno degli elementi del nuovo prg che incontra però le maggiori difficoltà attuative (per i costi delle infrastrutture). L'idea rinnova una antica e vecchia costante della pianificazione romana, l'ambizione di riequilibrare la distribuzione della funzioni centrali portando attività rare in periferia. Dallo Sdo alle centralità l'ispirazione pare il perseguimento di una forma di “giustizia geografica” per combattere la marginalità sociale. Nel passaggio, c'è però da chiedersi se i riferimenti oppositivi centro-periferia non siano nel frattempo cambiati; il carattere astratto e generale della riallocazione di uffici e direzionali senza migliore specificazione, che dà per scontato l'impatto sulle economie locali; e peraltro la resistenza del direzionale e la concentrazione invece degli ipermercati (con un'offerta di posti lavoro consistente ma non qualificata). Un altro elemento comune è la combinazione tra tradizionale quartiere residenziale e grande intervento commerciale (con alcune ambizioni da “grande progetto” nel mix funzionale); che in parte si traduce anche in un'incipiente ricerca iconica e, pur con qualche cedimento alle logiche di marketing, anche in una riflessione sulla forma urbana. Ancorché il miglioramento rispetto alle operazioni storicamente più speculative sia evidente, appare considerevole la lontananza rispetto ai livelli di qualità ambientale, tecnologica e alla maturità della riflessione sul modello di urbanità implicata dall'abitare metropolitano nelle operazioni comparabili a livello internazionale (Fainstein e Orueta 2008). Non va nascosto però il favore senza riserva accordato a queste operazioni da parte di un ceto medio neo 10 borghese, dai saldi valori individualistici ma solidamente convinto della legittimità di disporre delle risorse pubbliche quando opportuno, che evidentemente trova motivi di soddisfazione sia nell'investimento economico che nella soluzione residenziale, e sembra apparentemente condividere alcune soluzioni urbanistiche ed edilizie di comfort e decoro. Ciononostante, questi quartieri sono sedi di mobilitazioni e rivendicazioni sui servizi capace di assumere risvolti politici ma anche di mettere in questione priorità e scelte strategiche e, in qualche misura, di instaurare relazioni con altri attori locali. Per quanto problematico, questo aspetto è trascurato nei resoconti critici, e meriterebbe invece qualche considerazione. Ancora, un elemento ancora comune è una complessa strutturazione dei diritti fondiari, mentre la proprietà è relativamente semplice, con un itinere negoziale 'spesso', e un bilancio di scambi di aree e servizi con l'attore pubblico non banale (Marcelloni 2003; Campos Venuti 2002); più in dettaglio, una vicenda innestata su diritti fondiari pregressi (a volte 50 anni prima), con il consueto intreccio tra proprietà fondiaria e promozione immobiliare, variamente e non senza difficoltà ritradotti nei sistemi regolativi attuali, a volte con innovazioni e adattamenti non irrilevanti. Va segnalata la difficoltà comune a tutti questi strumenti a confrontare valori e benefici e imporre il rispetto di uno “scambio leale” (Curti 2006): detto in altre parole, le pubbliche amministrazioni non sono capaci di valutare e negoziare investimenti e valorizzazioni fondiaria in questi casi, meno che mai nelle più complesse operazioni di redevelopment. Infine, ma connesso al punto precedente, l'esito di queste regolazioni congiunte è frutto del coordinamento tra attori nazionali e locali, pubblici e privati, che dovrebbe creare condizioni di reciproco vantaggio grazie alla condivisione delle informazioni su tempi e decisioni di investimento (Camagni 2003). Se l'esito materiale è superiore (almeno per quanto attiene le urbanizzazioni primarie, meno per la qualità) alla storica disgiunzione tra edifici e servizi che ha afflitto lo sviluppo urbanistico italiano, siamo ancora lontani dagli obiettivi e dalle condizioni raggiunte da analoghe operazioni all’estero (prova ne sia la mancanza di adeguato trasporto pubblico, elemento strategico del prg). La qualità e incisività dei network decisionali appare invece limitata, rigidamente contenuta nei binari del rapporto contrattuale e delle autorizzazioni, con effetti limitati di carattere transattivo e di apprendimento (una riflessione ancora iniziale per questo genere di operazioni in Gualini e Majoor 2007). In definitiva, questi elementi suggeriscono una natura ibrida e complessa di queste forme di azione pubblica, sia pur dal profilo relativamente elementare, che anticipano elementi sufficienti a ipotizzare una dislocazione rispetto ai modelli di politiche urbane precedenti. Non si tratta ancora di un modello alternativo, e ciascuno di questi elementi solleva piu' problemi di quanti ne risolva. Cionostante, sembra una direzione di studio che meriti un approfondimento, in particolare sui processi di ri-sviluppo immobiliare che per loro natura implicano problemi di govenance piu' sofisticati. Riferimenti Annunziata S. 2010, “Roma oltre il Piano: forme di urbanità per la città contemporanea. Il caso di Nuovo Ponte di Nona”, in Città e Crisi: clima, sviluppo e convivenza, XIII Conferenza della SIU Società Italiana degli Urbanisti, Roma, Università Roma Tre. Berdini P., 2008a, Roma tra pianificazione e contrattazione, Dupt dell’università di Firenze, n. 2 Berdini P., 2008b, La città in vendita, Donzelli, Roma. Bolocan Goldstein M., Bonfantini B. (a cura di), Milano incompiuta. Interpretazioni urbanistiche del mutamento, Angeli, Milano, 2007 Camagni R., Mazzonis D. 2001, Verso il Piano strategico di Roma, Alinea, Firenze. 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