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Popolazione/ Siamo di più, grazie agli immigrati
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Lunedí 14.05.2007 09:00
1.299.388
Lucciole per lanterne
L’Italia cresce, ma solo grazie al contributo
straniero Tra il 2002 ed il 2005 la
popolazione è cresciuta in media di circa 440
mila unità l’anno, ma le previsioni dei
La caccia è
demografi non sono state contraddette: il saldo
aperta. Contro le “lucciole”. Ma anche
negativo tra nascite e morti è stato di circa 15
contro chi le lucciole le cerca e le
mila l’anno. La crescita è dovuta soprattutto
paga, i “clienti”...
all’iscrizione in anagrafe di mediamente di 305
di M. Falcioni
mila stranieri l’anno, dovuta alle regolarizzazioni collegate alla Legge “BossiFini” e a nuove entrate immigratorie. Il dato sull’immigrazione è uno dei più
eclatanti messi in luce dal “Rapporto sulla popolazione italiana – L’Italia
all’inizio del XXI secolo”, realizzato dal Gruppo di coordinamento per la
demografia della Società italiana di statistica con il contributo scientifico di
diversi suoi aderenti, e curato da Giuseppe Gesano, dirigente di ricerca
dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del
Consiglio nazionale delle ricerche, da Fausta Ongaro, ordinario di Demografia
all’Università di Padova, e da Alessandro Rosina, associato di Demografia
all’Università Cattolica di Milano.
I DATI- Tra il 2002 ed il 2005 sono nati in Italia circa 170 mila bambini
figli di madre straniera, che costituiscono poco meno dell ’8% del totale delle
nascite, percentuale che è in rapida crescita, così come lo è la popolazione
straniera: inferiore allo 0,6 per cento nel 1991, quadruplicata al 2,3 per cento
nel 2001, è oggi quantificata tra i 2,7 (4,5% dei residenti) ed i 3,5 milioni
(6%), se si comprende una stima degli irregolari, con la quota più significativa
nel Nord-est: 6,6 per cento. Gli stranieri contribuiscono anche a ridurre
’invecchiamento nazionale: senza di loro, gli ultra65enni avrebbe già
superato il quinto della popolazione. La loro età media è di 31 anni, contro i
43 dei cittadini italiani, e la loro fecondità è doppia di quella italiana: nel
2004, per le donne straniere il numero medio finale di figli è stimato in 2,61,
mentre per le italiane è pari a 1,26.
La minore incidenza di persone anziane determina che il tasso di
mortalità tra gli stranieri sia circa dieci volte inferiore a quello italiano (1,2
per mille contro 10,1). “Dal punto di vista demografico, la vitalità di una
popolazione si misura dalla capacità di rinnovare se stessa, cioè dal fatto che
Mumble Mumble
Franco Saudelli, maestro dell'eros
a fumetti: "Legare una donna,
meglio che fare sesso..."
Vota il premier...
...con il gioco di Affari ispirato al
libro di AleX Bevilacqua. Il nuovo
candidato: un ginecologo
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14/05/2007
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ciascuna generazione riesca a produrre, nel corso della sua vita feconda, un
numero di figli pari almeno al suo ammontare”, spiega Giuseppe Gesano
dell’Irpps-Cnr. “Ciò non avviene, in Italia, da circa trent’anni, e se nel
frattempo la popolazione ha continuato a crescere (debolmente) lo si deve alla
struttura ereditata dal passato (ancora molte le persone in età riproduttiva) e
all’allungamento della vita media (+8,2 anni per gli uomini e +7,5 per le
donne)” e all’immigrazione dall’estero. L’Italia è il paese con la maggiore
quota di popolazione anziana: le stime dell’Onu al 2005 danno gli ultra65enni
al 20% dell’intera popolazione, gli ultimi calcoli Istat 2006 al 19,8%. Agli
inizi degli anni ‘90 la quota nell’Unione europea si aggirava ovunque intorno
al 15%, con Italia e Spagna un po’ più ‘giovani’.
Nel 2005 l’Italia ha superato la Germania ed è diventata prima per
grandi vecchi’ (over 80, 5,1%). Nel futuro, il divario si accentuerà. La vita
media delle donne è di oltre 83 anni, quella maschile oltre i 77. Gran parte
della riproduzione da noi passa ancora attraverso l’uscita dei giovani dalla
famiglia solo in coincidenza o prossimità del matrimonio. Questo processo si
è rallentato di molto. Il diffondersi di studio e lavoro tra le giovani donne, a
differenza di altri paesi avanzati, viene vissuto come un ostacolo alla
formazione delle unioni ed alla messa al mondo di figli. “Nei soli dieci anni
che vanno dal 1993 al 2003”, afferma Alessandro Rosina, dell’Università
Cattolica di Milano, “nella cruciale fascia d’età tra i 25 ed i 34 anni, gli
uomini che avevano una famiglia con figli sono scesi da uno su tre a uno su
cinque, e le donne da oltre la metà a poco più di una su tre”.
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