Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo
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www.ildirittoamministrativo.it DIRITTI INVIOLABILI DELLA PERSONA E RIPARTO DI GIURISDIZIONE A cura di GIUSEPPINA VITIELLO La tematica amministrativa del riparto di giurisdizione, nucleo essenziale dell’intero sistema di giustizia amministrativa, risulta da sempre strettamente collegata a quella delle situazioni soggettive che il privato può vantare nei confronti della PA in quanto, nel nostro ordinamento, il principale criterio di riparto - per quanto concerne le controversie tra PA e privati - è proprio quello che fa leva sulla natura della situazione giuridica soggettiva e quindi impone la previa qualificazione delle pretese del privato, in termini di diritto soggettivo o interesse legittimo. Ormai non si dubita più del fatto che la situazione di interesse legittimo sia una situazione giuridica sostanziale avente ad oggetto un bene della vita, non diversamente, dunque, rispetto al diritto soggettivo. Perciò le antiche teorie che configuravano l’interesse legittimo talvolta come situazione meramente processuale consistente nel potere di impugnare l’atto amministrativo, e dunque nascente solo dopo l’emanazione del provvedimento; talaltra come situazione avente ad oggetto non un determinato bene della vita, ma la mera legittimità dell’azione amministrativa; nonché come interesse solo occasionalmente protetto in concomitanza con la protezione dell’interesse pubblico, unico interesse ritenuto giuridicamente rilevante, pur contenendo ciascuna un pezzo di verità, sono ormai definitivamente superate alla luce della tesi, ormai accolta da dottrina e giurisprudenza assolutamente prevalenti, secondo cui l’interesse legittimo è una situazione sostanziale che ha ad oggetto un bene della vita, cosi come i diritti soggettivi. Questo elemento di analogia pone, allora, il problema di individuare il criterio distintivo tra gli uni e gli altri e ciò risulta fortemente influenzato in primis dalle modalità di tutela. Ed infatti se il diritto soggettivo riceve una tutela assoluta ed incondizionata, come tale non subordinata a nessun altro interesse, neppure pubblico, l’interesse legittimo riceve una tutela condizionata dalla necessità di soddisfare un interesse pubblico, nel senso che la soddisfazione dell’interesse privato dovrà corrispondere o quanto meno non contrastare con l’interesse pubblico. Si badi bene, tale protezione non è occasionale o indiretta bensì diretta, specifica, puntuale. Pertanto l’interesse legittimo è situazione soggettiva che dialoga con l’interesse pubblico e quindi col potere attribuito alla PA per soddisfare proprio quell’interesse pubblico, nel senso che il bene 1 www.ildirittoamministrativo.it della vita cui il privato aspira rappresenta l’oggetto di quel potere e spetta alla PA decidere se concedere o meno quel bene della vita al privato (id est interessi legittimi pretensivi), oppure riconoscere o sottrarre quel bene in nome dell’interesse pubblico (id est interessi legittimi oppositivi). In entrambi i casi la pretesa del privato, a conseguire il bene che non ha, ovvero a conservare quello che ha, passa attraverso la verifica dell’interesse pubblico, e poiché per la tutela dell’interesse pubblico è attribuito alla PA un potere, è inevitabile che la soddisfazione dell’interesse legittimo del privato passi proprio per l’esercizio di quel potere. Nei diritti soggettivi la situazione cambia perché il privato ha già il bene della vita, ma la PA in nome dell’interesse pubblico decide di sottrarglielo, tant’è che tradizionalmente l’interesse oppositivo, ossia l’interesse a non vedersi tolto un bene di cui si è già titolari, e dunque interesse a non subire provvedimenti ablatori, veniva tradizionalmente spiegato con la teoria della degradazione. Si diceva infatti che si trattava di un diritto che, per effetto del provvedimento amministrativo, degradava appunto ad interesse legittimo, interesse questo che nasceva sulle ceneri di un diritto degradato e che poi, una volta annullato il provvedimento “degradante”, si riespandeva e cessava lo status di diritto degradato ad interesse. Tale tesi aveva avuto grande fascino, poiché consentiva anche la risarcibilità degli interessi legittimi ben prima delle famosa sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione n. 500/99, dato che il diritto soggettivo degradato era risarcibile nel momento in cui veniva meno il peso degradatorio. In sostanza, si ammetteva che il privato potesse chiedere l’annullamento del provvedimento ablatorio innanzi al GA e, dopo che il diritto si era riespanso, poteva chiedere il risarcimento del danno da lesione del diritto soggettivo, ex art 2043 cc., ovviamente innanzi al GO. Questo meccanismo presupponeva una certa pregiudizialità tra azione di annullamento e risarcimento, sul piano non tanto processuale quanto sostanziale, pregiudizialità che salta con la suddetta sentenza n. 500/99 per poi essere reinserita, salvo venire nuovamente accantonata nel CPA, che pur sancendo l’autonomia tra le due azioni impone alcuni confini temporali e talune condizioni, quale quella della valutazione ex art. 1227 c.c. dell’omessa impugnativa dell’atto, ai fini della individuazione e delimitazione del quantum risarcitorio. Non va dimenticato che in materia di riparto di giurisdizione, venne introdotta dalla prassi pretoria la nozione di “carenza di astratto”, laddove la PA agiva in totale assenza di una norma attributiva del potere, o ancora laddove il provvedimento veniva adottato da un organo che non faceva parte 2 www.ildirittoamministrativo.it del plesso amministrativo titolare del potere de quo, con la conseguenza che alcun affievolimento poteva realizzarsi in assenza di potere autoritativo, con radicamento della giurisdizione del GO. Parimenti ricondotte nella sfera giurisdizionale del GO erano le ipotesi di carenza di potere in concreto ossia le ipotesi in cui, pur sussistendo una norma attributiva del potere, la PA agiva in assenza di taluni presupposti operativi della stessa. A ben vedere, occorre specificare che l’inserimento dell’art. 21 septies nella L. n. 241/90 ad opera della L.n. 15/05, ha profondamente inciso sulla questione dal momento che sia la carenza in astratto che quella in concreto confluiscono nel concetto di difetto di attribuzione, elemento sintomatico della nullità sulla scorta della norma citata. Da ciò ne derivava l’inidoneità del provvedimento emesso in queste circostanze a produrre effetti e dunque il radicarsi della giurisdizione del GO. A diverse conclusioni giunge invece la giurisprudenza amministrativa che sospinge la carenza in concreto nell’incompetenza ex art. 21 octies L. n. 241/90, con conseguente annullabilità del provvedimento e giurisdizione del GA, fermo restando quella del GO nelle sole ipotesi di carenza di potere in astratto. Oggi la teoria della degradazione apparirebbe ancora utile laddove si tenga a mente la situazione del proprietario espropriando che, prima dell’esproprio, vanta un diritto soggettivo il quale, per effetto dell’espropriazione, diventerebbe interesse legittimo; una volta annullato l’esproprio tornerebbe ad essere diritto soggettivo. Ma, quanto tutto ciò risponde al vero, se in apertura abbiamo rilevato che non può confermarsi più che l’interesse oppositivo sia un diritto soggettivo degradato, essendo ormai pacifico che l’interesse legittimo sia una situazione sostanziale che esiste ancor prima dell’esercizio del potere? Da ciò si deduce che il privato espropriando, a fronte del potere espropriativo della PA, sarà titolare di un interesse legittimo oppositivo sin da subito, dal momento che il suo interesse a conservare il bene della vita, id est la proprietà, non è più oggetto di tutela assoluta, ma diventa una tutela relativa e condizionata poiché la pretesa di rimanere proprietario deve combaciare con l’interesse pubblico, sempre che la PA eserciti un potere autoritativo (quello espropriativo), e non decida di agire iure privatorum (qui ritornerebbe una tutela assoluta ed incondizionata). Orbene, appare chiaro che l’unico ambito in cui possa ancora avere valenza la tesi della degradazione sia quello dei diritti inderogabili e dunque dei diritti fondamentali. Si tratta di posizioni giuridiche che rinvengono molteplici referenti normativi sia a livello costituzionale, che nella legislazione ordinaria, così come in ambito internazionale e comunitario. Si pensi all’art. 2 della Costituzione in base al quale “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità 3 www.ildirittoamministrativo.it e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”; nonché all’art. 3 della Costituzione che riconosce l’uguaglianza di tutti i cittadini e grava lo Stato dell’onere di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla vita politica, economica e sociale del paese. Tra l’altro non va dimenticato che alcuni diritti sono oggetto di specifiche disposizioni costituzionali previste ad hoc, come gli artt. 7, 17, 18, 21 e così via. Come anticipato, fonte di legittimazione dei diritti inviolabili sono anche lo strumento comunitario della CEDU, le cui disposizioni sono ritenute parametri costituzionali interposti, di talchè un’eventuale norma interna violativa delle stesse potrà essere dichiarata incostituzionale ai sensi dell’art. 117 Cost. (sempre che non sia possibile una lettura della stessa costituzionalmente orientata). Infine, vale ricordare anche le svariate convenzioni internazionali che, di contro, essendo state comunitarizzate per effetto del Trattato di Lisbona nel 2009, risultano direttamente applicabili nel nostro ordinamento giuridico, con disapplicazione automatica delle norme interne contrarie, ad opera del giudice a quo. Ebbene, il carattere fondamentale di questi diritti ne impedirebbe l’affievolimento anche in occasione dell’esercizio del potere amministrativo, non potendo gli stessi essere pregiudicati e subire un vulnus di tutela, ancorchè coinvolti in un’attività pubblicistica. La naturale conseguenza di quanto detto, sulla scorta dell’applicazione dei criteri discretivi sin qui rassegnati, sarebbe la giurisdizione del GO, non venendo in rilievo alcun attribuzione di potere pubblicistico alla PA. Tuttavia, non può non rilevarsi che, nella realtà moderna la PA molto spesso si trova a svolgere la sua attività anche e forse soprattutto a fronte di situazioni che involgono diritti fondamentali, che necessariamente entrano in rotta di collisione con l’interesse pubblico, di cui la stessa si fa portatrice. Si pensi, a titolo esemplificativo, al diritto del singolo ad una determinata prestazione sanitaria, che va necessariamente contemperato col diritto collettivo ad un giusto stanziamento delle risorse pubbliche nel settore medico-sanitario, sempre che il servizio di cui si chieda il riconoscimento non si presenti come urgente ed improrogabile (chiaro sarebbe in tal caso il richiamo alla giurisdizione del GO). Ed ancora, la stessa questione succitata, relativa al diritto di proprietà, va oggi letta in chiave diversa, stante una nuova ricostruzione ad opera della CEDU, dello stesso diritto reale in termini assai diversi, essendo strutturato come molto più forte e resistente agli attacchi pubblicistici, e sancendone proprio la natura di diritto fondamentale. 4 www.ildirittoamministrativo.it Parimenti interessante è stato lo sviluppo delle questioni giurisdizionali riguardanti il diritto alla salute ex art 32 della Costituzione, diritto per antonomasia inaffievolibile e come tale sindacabile innanzi al GO. In verità, anche questo giudice si troverebbe a sindacare nel merito se la PA abbia o meno correttamente esercitato quel potere e, laddove lo faccia in nome di un interesse pub parimenti importante rispetto al diritto fondamentale, il primo subirebbe una deformazione (ad es. il giudice che autorizza l’inceneritore per i rifiuti). Di conseguenza qui occorrerebbe prevedere la giurisdizione amministrativa in via esclusiva, come avvenuto in materia di rifiuti, sebbene la causa petendi della richiesta del privato contro il provvedimento che autorizza l’inceneritore sia un diritto fondamentale (id est diritto alla salute). La questione si spiega perché le varie pronunce che si sono occupate dell’argomento hanno in realtà distinto tra valenza oppositiva del diritto fondamentale, come tale insindacabile, e valenza pretensiva, come tale subordinata a quell’attività comparativa della PA e dunque ad una degradazione che non può non determinare la giurisdizione del GA. È appena il caso di ricordare che ai fini del riparto non rileva la prospettazione fatta dalle parti bensì la reale consistenza della situazione, determinata dalla sussistenza di un esercizio del potere della PA (come ormai da tempo si desume dalle note pronunce della Consulta n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006) e dunque se la legge consente alla PA di incidere anche su diritti fondamentali la tecnica di tutela non è quella assoluta ma quella degli interessi legittimi. Tutto ciò annichilisce la rivisitata tesi dell’inderogabilità. Dunque, oggi si è convinti che il GA possa ben tutelare anche i diritti fondamentali, anche stante i mutati strumenti di tutela rispetto al passato (prima solo una tutela caducatoria, come tale non adeguata alla cura dei diritti fondamentali) che ormai virano con successo verso l’atipicità degli stessi (e cioè azioni di risarcimento, condanna atipica al facere provvedimentale ed azioni di accertamento). 5